XVIII Legislatura

Commissioni Riunite (VI Camera e 6a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Lunedì 1 febbraio 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Marattin Luigi , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA RIFORMA DELL'IMPOSTA SUL REDDITO DELLE PERSONE FISICHE E ALTRI ASPETTI DEL SISTEMA TRIBUTARIO

Audizione in videoconferenza del professor Dario Stevanato.
Marattin Luigi , Presidente ... 3 
Stevanato Dario , professore ordinario di diritto tributario presso l'Università degli studi di Trieste (intervento da remoto) ... 3 
Marattin Luigi , Presidente ... 8 
Gusmeroli Alberto Luigi (LEGA)  ... 8 
Fragomeli Gian Mario (PD)  ... 8 
Fenu Emiliano  ... 9 
Pittella Gianni  ... 9 
Zanichelli Davide (M5S)  ... 9 
Marattin Luigi , Presidente ... 10 
Stevanato Dario , professore ordinario di diritto tributario presso l'Università degli studi di Trieste (intervento da remoto) ... 11 
Marattin Luigi , Presidente ... 13 

(La seduta, sospesa alle 15.25, riprende alle 15.30) ... 13 

Audizione in videoconferenza del professor Vincenzo Visco:
Marattin Luigi , Presidente ... 13 

(La seduta, sospesa alle 15.35, riprende alle 15.45) ... 14 

Visco Vincenzo , presidente dell'Associazione Nuova Economia Nuova Società – NENS (intervento da remoto) ... 14 
Marattin Luigi , Presidente ... 20 
Fragomeli Gian Mario (PD)  ... 21 
Fenu Emiliano  ... 22 
Ungaro Massimo (IV)  ... 22 
Marattin Luigi , Presidente ... 23 
Visco Vincenzo , presidente dell'Associazione Nuova Economia Nuova Società – NENS (intervento da remoto) ... 23 
Marattin Luigi , Presidente ... 23 

Allegato 1: Documentazione depositata dal professor Stevanato ... 25 

Allegato 2: Appendice alla relazione del professor Visco ... 51 

Allegato 3: Quesiti formulati da deputati e senatori e risposte del professor Visco ... 53

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Centro Democratico-Italiani in Europa: Misto-CD-IE;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Azione-+Europa-Radicali Italiani: Misto-A-+E-RI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero-PSI: Misto-MAIE-PSI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA VI COMMISSIONE
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI LUIGI MARATTIN

  La seduta comincia alle 14.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione in videoconferenza del professor Dario Stevanato.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla riforma dell'imposta sui redditi delle persone fisiche e altri aspetti del sistema tributario, l'audizione del professor Dario Stevanato, professore ordinario di diritto tributario presso l'Università degli studi di Trieste.
  Ricordo che l'audizione si svolgerà in videoconferenza dinnanzi alle Commissioni riunite VI (Finanze) della Camera dei deputati e 6a (Finanze e Tesoro) del Senato della Repubblica, con la partecipazione da remoto dei deputati, dei senatori e dell'audito, conformemente alle disposizioni dettate dalla Giunta per il Regolamento della Camera dei deputati nelle riunioni del 31 marzo e del 4 novembre 2020 e dalla Giunta per il Regolamento del Senato della Repubblica nelle riunioni del 9 giugno e del 10 novembre 2020.
  Rivolgo quindi un saluto, anche a nome del presidente della 6a Commissione Finanze e Tesoro del Senato, Luciano D'Alfonso, al professor Dario Stevanato, al quale do il benvenuto e che ringrazio per la partecipazione.
  Darei quindi la parola al professor Stevanato, al quale chiederei di limitare se possibile il proprio intervento ad una ventina di minuti al massimo, al fine di lasciare poi adeguato spazio al successivo dibattito.

  DARIO STEVANATO, professore ordinario di diritto tributario presso l'Università degli studi di Trieste (intervento da remoto). Grazie di questa opportunità. Entro subito nel tema. Dal mio punto di vista, riterrei necessario fare una premessa che in parte riprende anche alcuni punti già trattati nelle altre audizioni che ho avuto modo di vedere e di sentire, ovvero in che modo l'attuale sistema di tassazione dei redditi si è evoluto e, in misura considerevole, si è discostato da quello che era il disegno originario. Credo che questa sia una premessa importante anche in chiave prospettica per individuare quali sono o quali siano le possibili linee di riforma di un intervento sull'IRPEF e, più in generale, sul sistema di tassazione dei redditi.
  Ripercorrendo anche un poco la relazione scritta che ho depositato, l'IRPEF si è sostanzialmente discostata in maniera molto netta dal disegno originario, elaborato e concepito negli anni Sessanta, confluito nella legge di riforma del 1971 e poi nei decreti attuativi, in particolare nel decreto del 1973 che aveva alcuni capisaldi. Il primo punto era l'adozione di un sistema di tassazione progressiva dei redditi che presupponeva l'abbandono e il superamento dei precedenti sistemi di carattere reale di derivazione ottocentesca che tassavano ogni reddito in modo diverso, con aliquote diverse e con modalità sempre Pag. 4disuguali. Quindi si tratta del principio di progressività, che, peraltro, è contenuto nell'articolo 53, secondo comma, della Costituzione. Il secondo punto su cui l'IRPEF doveva imperniarsi era la personalità, ovvero il superamento di un insieme, di una congerie di imposte reali a favore di un'imposta personale, che tenesse conto della situazione personale e familiare del contribuente e che riuscisse a esentare il minimo vitale, il minimo d'esistenza e che fosse anche progressiva, ovvero che attuasse un principio di equità verticale oltre che orizzontale. Il terzo punto si rintraccia nelle discussioni precedenti alla riforma, che poi hanno trovato effettiva attuazione con la legge delega del 1971, ed era quello della cosiddetta discriminazione qualitativa dei redditi, cioè l'idea per cui i redditi fondati sul capitale evidenziano una maggiore capacità di contribuire, perché, in estrema sintesi, si ritiene che siano dei redditi perpetui, conseguiti senza sforzo e che non necessitano di accantonamenti a fini previdenziali. Per tutti questi motivi un aggravio di tassazione sui redditi di capitale era affidato all'imposta locale sui redditi – ILOR, ovvero un'imposta che, come sappiamo, oggi non esiste più. Infine, l'imposta sul reddito, come dice il nome stesso, è un'imposta sul reddito calcolata al netto dei costi di produzione.
  Questi capisaldi della riforma, in parte fin dall'inizio e poi in modo via via sempre più evidente, sono stati smantellati o compromessi.
  Con riguardo al principio di progressività, formalmente l'IRPEF è oggi un'imposta ad aliquote progressive per scaglioni, come ognuno di noi sa, ma vi è un altro problema, che spesso viene trascurato nel dibattito e sul quale invece va posta molta attenzione. Infatti, di estrema attualità negli ultimi mesi e nelle ultime settimane è il discorso relativo a quale disegno della progressività attribuire all'IRPEF. Si discute, ad esempio, se mantenere un impianto a scaglioni oppure passare al sistema ad aliquota continua, a progressività continua, sul modello tedesco. Tuttavia, si trascura un dato fondamentale: la progressività, ovvero la capacità dell'imposta di trattare diversamente i redditi più elevati, presuppone che l'imposta venga applicata al reddito complessivo. L'IRPEF è formalmente un'imposta sul reddito complessivo, secondo le norme che la disciplinano, ma nella sostanza non lo è o non lo è più, perché molti redditi, le cui principali fattispecie sono elencate nella relazione scritta, non scontano più l'IRPEF progressiva, ma sono tassati quasi sempre in maniera proporzionale e soprattutto con aliquote sempre diverse. Anche questa è una caratteristica non esattamente positiva dell'ordinamento italiano che esclude dalla base imponibile molteplici fattispecie di reddito. Basti ricordare, infatti, i redditi finanziari, quelli immobiliari, ad esempio le locazioni o le plusvalenze immobiliari, e, da ultimo, anche i redditi di una significativa quota dei cosiddetti autonomi, ovvero gli imprenditori individuali e i professionisti che, accedendo al regime forfettario, possono pagare un'imposta proporzionale del 15 per cento e poi tante altre fattispecie minori che deteriorano questo impianto. Nel momento in cui la progressività colpisce e interessa soltanto un sottoinsieme di redditi, in particolare quelli di lavoro e di pensione, è chiaro che la progressività stessa rischia di trasformarsi non in un elemento di equità, ma in un fattore di discriminazione, perché ci possono essere soggetti in possesso di redditi elevati o molto elevati che pagano imposte più basse di quelle che pagano altri contribuenti a parità di reddito o, addirittura, con redditi inferiori.
  Il secondo punto su cui soffermerei l'attenzione è che l'imposta italiana, oltre ad avere una progressività dimezzata, nel senso che riguarda soltanto alcune fattispecie reddituali, seppur importanti, ha un altro elemento che la connota negativamente. A mio avviso, questo elemento è la perdita dei tratti di personalità. In particolare l'IRPEF non attua uno dei corollari del principio costituzionale di capacità contributiva, che è quello dell'esenzione del minimo vitale. Se si vanno a leggere i lavori dell'Assemblea costituente, ci si accorge che la formula «capacità contributiva» in luogo di altre è stata scelta proprio perché si riteneva che la stessa includesse al suo interno l'esenzione Pag. 5 dei redditi minimi, del minimo d'esistenza. Nel nostro sistema questa esenzione non è concessa su basi universali, ma trova applicazione in modo molto eterogeneo e parziale. Ad esempio, trova applicazione nell'ambito dei redditi di lavoro dipendente in una maniera indiretta, attraverso una detrazione di imposta a fronte della produzione di quei redditi, ma la stessa detrazione è concessa in misura molto inferiore sui redditi di lavoro autonomo, non è concessa affatto per i titolari di redditi di impresa e non è per nulla concessa a tutti quei soggetti titolari di redditi che sono tassati alla fonte a titolo d'imposta o in via sostitutiva. Quindi, anche sotto questo profilo, vi è stato il venir meno del principio di esenzione alla base dei redditi minimi su base universale, che invece si riscontra in maniera piuttosto diffusa negli altri ordinamenti europei e internazionali.
  Per diversi aspetti l'IRPEF in parte segue la linea di tendenza riscontrabile in un panorama internazionale, ma se ne discosta in senso peggiorativo, ad esempio, sotto il profilo che ho appena evidenziato, ovvero quello della mancata esenzione del minimo vitale su base universale, e anche sotto il profilo del grande numero di redditi sottratti alla base imponibile che paga aliquote progressive. Anche in altri Stati e in altri ordinamenti esistono situazioni di quel tipo, ma sono inferiori per intensità e per numerosità. Sul piano della capacità degli altri sistemi di riuscire in qualche modo ad attuare princìpi di personalità e di progressività anche nell'ambito della tassazione dei redditi finanziari – tanto per citare il caso che più si riscontra in ambito internazionale e che si lega, peraltro, al fenomeno della concorrenza fiscale internazionale sui capitali, che spinge verso la riduzione delle aliquote – ci sono vari tentativi che compiono gli altri ordinamenti, come quello di graduare le aliquote in funzione dell'entità del reddito posseduto o della capacità complessiva del soggetto, tenendo conto, ad esempio, del rimanente coacervo dei suoi redditi, e che riescono anche a garantire dei minimi esenti anche a fronte di redditi di capitale che sono tassati alla fonte. Per qualche riferimento ad altri ordinamenti, rinvio alla relazione scritta.
  Sul piano della perdita dei tratti di personalità, segnalerei che nel nostro ordinamento non sono tendenzialmente possibili compensazioni intercategoriali di perdite. Una perdita realizzata nell'ambito di un reddito di una certa categoria non è quasi mai scomputabile in senso orizzontale, ovvero da redditi di altre categorie. Questo è in parte dovuto ai tanti meccanismi di tassazione cedolare e alla fonte, che rendono difficoltoso il riporto e la compensazione, dall'altro però non si spiega perché questo debba avvenire anche all'interno del perimetro dell'IRPEF progressiva, dove non vi sarebbe alcun motivo per non consentire la compensazione di perdite da redditi di altra categoria. Anche in questo caso il sistema italiano si connota per limitazioni che, invece, non si riscontrano in altri ordinamenti o che non si riscontrano in questa misura.
  Un terzo elemento che vorrei evidenziare è che in molti casi vi è addirittura la perdita della fisionomia di quello che normalmente viene chiamato «presupposto impositivo» od «oggetto dell'imposta». L'oggetto dell'imposta di cui discutiamo dovrebbe essere il reddito. Il reddito è ovviamente un concetto differenziale, perché è la differenza tra i proventi e i costi di produzione. Formalmente l'imposta sul reddito nelle varie forme in cui si applica, sia l'IRPEF progressiva sia le tante imposte sostitutive o cedolari, dovrebbero insistere sul reddito netto, ma non è così, perché in molti casi i redditi sono tassati al lordo dei costi. Quindi non è più il reddito a essere tassato, ma è il prodotto lordo. Questo vale, ad esempio, per i redditi di lavoro dipendente, che sono tassati senza tenere in considerazione i costi di produzione. Eppure all'inizio, nel 1971, e poi nel decreto del 1973 vi era una detrazione a fronte delle spese di lavoro dipendente. Molti altri ordinamenti stranieri, quasi tutti, concedono la deduzione dei costi di produzione del reddito di lavoro. Da noi questo non accade. La detrazione, che una volta aveva la funzione di forfettizzare i costi di produzione, oggi ha la diversa funzione di Pag. 6attuare in parte l'esenzione del minimo d'esistenza e in altra parte di contribuire al disegno della progressività, peraltro creando dei problemi legati ai salti di aliquota marginale effettiva che si verificano allo svanire, al phase out della detrazione stessa. A mio avviso, il fatto che questa detrazione non abbia più la finalità di tenere luogo delle detrazioni di spese analitiche di produzione del reddito, è abbastanza pacifico, se solo si considera che questa detrazione comincia a decrescere oltre un certo livello di reddito e poi non spetta più quando si arriva a 55.000 euro, quando, invece, potremmo immaginare che al crescere del reddito vi sia probabilmente una correlazione positiva con le spese di lavoro che il soggetto sostiene. Questo è quindi un altro punto che, a mio avviso, andrebbe tenuto in considerazione in un'ipotetica riforma.
  Il caso dei redditi di lavoro dipendente non è l'unico caso in cui i crediti sono tassati al lordo, perché lo stesso accade per i redditi di capitale. Non sto a ricordare il perché si è arrivati a questa interpretazione, sulla base di una norma letterale che inizialmente era letta in un altro modo, perché sarebbe troppo lungo fare la storia del diritto tributario italiano. Resta il punto fermo che i redditi di capitale sono tassati anch'essi al lordo dei costi di produzione, ma lo stesso vale anche per i redditi immobiliari. La deduzione forfettaria concessa a fronte dei costi di locazione è stata significativamente ridotta e oggi si attesta al 5 per cento del reddito, ma non spetta a chi è assoggettato a cedolare secca su base opzionale. Quindi è evidente che anche nel settore dei redditi fondiari, in questo caso di locazione, si assiste a una tassazione sul prodotto lordo anziché sul reddito netto. Purtroppo, questa tendenza si è nel tempo allargata ed estesa ad altri settori. Mi pare il caso di menzionare gli autonomi che accedono a un regime forfettario, laddove, sia pure in ossequio a esigenze di semplificazione e di mancata tenuta degli oneri di contabilità da parte di questi soggetti, non vi è alcun dubbio che la forfettizzazione, non di questo o di quel componente negativo di reddito, ma dell'insieme complessivo dei costi di produzione, non dico che ha l'effetto di trasformare l'imposta in un'imposta sul prodotto lordo, ma certamente non è più un'imposta sul reddito netto effettivo, perché, nel momento in cui tutti i soggetti, indipendentemente dall'incidenza dei costi di produzione, sono tassati sulla base imponibile forfettizzata, mi pare evidente che viene meno la tassazione su un reddito netto di tipo effettivo.
  Restando sul tema della base imponibile, un elemento che altri hanno evidenziato, e su cui non mi soffermo più di tanto, è quello per cui da un lato non si tiene conto in molti casi dei costi di produzione e dall'altro, invece, vengono defalcati dal reddito tassabile anche quegli elementi che non hanno nulla a che vedere con la determinazione del reddito stesso. Mi riferisco, ovviamente, al tema delle spese fiscali o tax expenditures, che in molti casi sono meritevoli di essere conservate, perché contribuiscono alla definizione del cosiddetto clear income, ovvero di un reddito che tiene conto dell'effettiva capacità contributiva dell'individuo e della famiglia. Penso, ad esempio, alle spese sanitarie o alle stesse detrazioni per lavoro dipendente, che erroneamente vengono qualificate tra le tax expenditures. Su questo si dovrebbe aprire una parentesi, ma non abbiamo certo il tempo di farlo. Ad ogni modo, occorrerebbe anche ripensare il modo di definire il concetto di spesa fiscale. Non mi pare che si possa semplicisticamente riferire il concetto ad ogni qualsivoglia deviazione da un modello teorico di tassazione del reddito che, per la verità, non è mai stato attuato in Italia e che comunque porta a inquinare il concetto stesso. È altrettanto vero che nel corso del tempo si sono stratificate tutta una serie di possibilità di deduzioni e detrazioni che inseguono più che altro contingenti interessi di gruppi di pressione elettorale ed è abbastanza fatale che sia così, però indubbiamente vi è un inquinamento significativo anche su questo versante nella determinazione della base imponibile.
  Infine, l'ultimo punto che vorrei toccare, e che ho toccato nella relazione, è la difficile scelta che ogni tentativo di riforma si dovrà porre con riguardo alla scelta Pag. 7dell'unità impositiva, ovvero se continuare a tassare l'individuo, la persona, o il nucleo familiare. La scelta è difficile perché in entrambi i casi si possono verificare dei problemi. Il sistema attuale è imperniato sulla persona e per certi aspetti appare disattento alle esigenze della famiglia. In una precedente audizione il rappresentante dell'ISTAT, se non sbaglio, aveva sottolineato che, per tutti i livelli di reddito, le famiglie con un unico percettore di reddito sono penalizzate rispetto alle altre. Altri ordinamenti, come molti di voi sicuramente sanno, prevedono dei correttivi, come, ad esempio, il ben noto quoziente familiare alla francese o lo splitting dei redditi che viene fatto in Belgio, dove una parte dei redditi di un coniuge viene spalmato sull'altro. A loro volta, però, anche questi sistemi possono creare dei disincentivi all'ingresso nel mondo del lavoro del secondo coniuge, ovvero quello che non lavora o quello a più basso reddito. Questo sarà sicuramente un altro dei punti su cui dovrà incidere un intervento di riforma.
  Per concludere mi sembra che, da un lato, ogni ipotesi di riforma debba farsi carico di tutto ciò che sta in un cono d'ombra rispetto all'IRPEF. Le tante proposte formulate da studiosi, da osservatori, da enti di ricerca e anche in sede politica devono stare attente a non trascurare tutto ciò che sta fuori dall'IRPEF, che ormai consta di tanti elementi, ovvero tutti i redditi tassati in via sostitutiva, cedolare, e tutti i trattamenti differenziati, poiché, per quanto noi possiamo immaginare una riforma dell'IRPEF che attui i princìpi di equità, di progressività e di personalità, se questa è dimezzata e riguarda solo un sottoinsieme di redditi, non raggiungerebbe probabilmente nessuno dei risultati che ci si prefigge.
  Un altro punto che ho cercato di evidenziare è che tutte le soluzioni teoricamente fondate, però al tempo stesso più radicali, difficilmente possono trovare sbocco in sede concreta. Ad esempio, l'idea di includere tutti i redditi, oggi tassati in via sostitutiva e alla fonte con ritenuta d'imposta, nell'ambito dell'IRPEF progressiva deve scontare diverse difficoltà. Questo porterebbe, ad esempio, a un aggravio di tassazione per molte categorie reddituali, farebbe perdere i benefici della semplicità o della semplificazione che sono garantiti dalla ritenuta d'imposta ed esporrebbe l'Italia alla concorrenza fiscale internazionale sul mercato dei capitali, se si trattasse di incrementare la tassazione sui redditi di capitale.
  Un altro intervento, a mio avviso, si impone anche nell'ambito dei redditi di lavoro. Se fino ad oggi vi era la possibilità di fondare un diverso trattamento dei redditi di capitale rispetto a quelli di lavoro sulla scorta di teorie economiche, che io non trovo particolarmente condivisibili – mi riferisco all'idea della dual income taxation, secondo cui i redditi di capitale dovrebbero pagare di meno dei redditi di lavoro – viene così ribaltato il postulato che invece aveva imperniato la riforma degli anni Settanta. L'elemento del diverso trattamento di redditi di diversa natura è stato portato, a mio avviso, alle estreme conseguenze con l'ampliamento del regime forfettario. Questo regime si è allargato e quindi non è più riservato ai contribuenti di tipo marginale o minimi, come venivano chiamati, ma si estende a una platea che ormai è piuttosto significativa, perché, data l'attuale struttura di distribuzione dei ricavi e dei redditi in Italia, gli autonomi che rientrano in questo regime sono diverse centinaia di migliaia. Al di là di altre distorsioni che questo può creare, su cui non mi soffermo, questo regime pone in maniera abbastanza clamorosa il problema dell'equità di trattamento tra un reddito di lavoro dipendente e un reddito di lavoro autonomo della stessa dimensione quantitativa, che rischiano di scontare aliquote molto diverse, anche doppie l'una rispetto all'altra. Quindi, io credo che anche su questo fronte vada effettuata una riflessione in sede di riforma.
  Se si scartano le ipotesi estreme del ricondurre tutto nell'ambito della base imponibile assoggettata alle aliquote progressive, la cui fattibilità politica mi pare difficile, e l'altro estremo, che non vedo con disfavore, del passaggio a una flat rate tax, ovvero a un'imposta ad aliquota unica con Pag. 8esenzione universale, con altre deduzioni tarate sulle situazioni personali e familiari del contribuente, che invece pone altri problemi, soprattutto di gettito, una strada intermedia potrebbe essere quella, indicata in alcuni punti finali della relazione, quantomeno di riordinare i tanti regimi di tassazione sostitutiva, unificando l'aliquota, perché oggi abbiamo una miriade di aliquote diversificate che non trovano alcuna ragion d'essere, introdurre un minimo esente universale e allineato alla media dell'Unione europea, perché il nostro è più basso di quello di altri Paesi, e ripensare se si vogliono mantenere i regimi cedolari di tassazione, introducendo in essi un qualche elemento di differenziazione delle aliquote per contribuenti con redditi diversi e dei minimi esenti, e un riordino altresì della curva di progressività dell'IRPEF, poiché, come altri hanno già rilevato, come la stessa Banca d'Italia nella sua audizione e nei lavori dei propri ricercatori, il sistema dell'IRPEF necessita di un riordino tra salti di aliquota, aliquote marginali superiori al 100 per cento, aliquote marginali negative e tratti in cui l'aliquota media è addirittura decrescente. Ciò potrebbe essere attuato senza gravi problemi di saldi di finanza.
  Mi sembra di essere andato ben oltre i venti minuti e per questo mi fermo qui.

  PRESIDENTE. Grazie mille, professor Stevanato. Cedo la parola ai colleghi che intendono formulare quesiti od osservazioni, ricordando cortesemente di rimanere in due o tre minuti, onde consentire poi al professor Stevanato un'adeguata replica finale e consentire anche l'audizione successiva nei tempi previsti.

  ALBERTO LUIGI GUSMEROLI (intervento da remoto). Buongiorno, professore. Intanto la ringrazio, perché sia il contributo scritto sia il suo intervento hanno colto l'esigenza di queste Commissioni riunite di Camera e Senato di avere degli spunti, poi non è detto che tutti siano condivisibili, ma la sua presentazione ci dà la possibilità di fare alcune riflessioni e lascia aperte quasi tutte le possibilità.
  Il problema che l'IRPEF non è più un'imposta su tutti i redditi è una caratteristica che, peraltro, è stata abbandonata quasi subito. Ultimamente io ho notato che in particolare le cedolari secche sugli affitti sono state introdotte, non tanto per semplificare un sistema non particolarmente critico, ovvero quello della tassazione dei redditi di locazione sommati a tutto il resto, ma per recuperare l'evasione. Sostanzialmente la cedolare secca sugli affitti nel giro di poco tempo si è autofinanziata. Forse la semplificazione del sistema e l'abbassamento dell'aliquota potrebbero essere una sufficiente motivazione per spingerci ad affrontare anche una semplificazione del tema delle cedolari secche, perché effettivamente c'è la flat tax al 15 per cento, ci sono quelle sugli affitti al 21 per cento, il 26 per cento sulle rendite finanziarie eccetera. Quindi, effettivamente qualcosa si può fare.
  Invece sulla questione del reddito singolo e del reddito familiare, le volevo fare una domanda. Io credo al tema dell'innesto di meccanismi di favore quando si parla di due coniugi, di coniugi con figli o quant'altro, ma la tassazione del reddito familiare pone qualche perplessità quando poi si tratta di tradurla in casi concreti, come per esempio il lavoro dipendente, per il quale la tassazione è prevista tutti i mesi. Il mio timore è che, prevedendo un meccanismo di tassazione del reddito familiare, si vada verso una complicazione ulteriore del sistema fiscale. Volevo capire che cosa ne pensava.

  GIAN MARIO FRAGOMELI(intervento da remoto). Grazie, professor Stevanato. Finalmente, anche io mi aggiungo al collega Gusmeroli, siamo entrati nel merito di una riforma che ha l'ambizione di essere organica. Lei ci ha dato un quadro veramente organico della materia, che ci serviva e ci serve per la prosecuzione dei nostri lavori e ci ha fatto uscire un po' da questa logica tanto incentrata sulle aliquote, per entrare nel merito di quella che poi è una questione molto più complessa, ovvero quella della ricostruzione della base imponibile e dell'impianto delle deduzioni. Vengo alle domande.
  Sull'accorpamento reddituale, che lei ci ha sollecitato con le dovute di criticità – Pag. 9perché sappiamo bene cosa vuol dire oggi intervenire portando tutto in base imponibile – mi piacerebbe se potesse sviluppare il tema, utilizzando un ossimoro, della flat tax progressiva, cioè utilizzarla almeno con un paio di aliquote, che, in qualche modo, dividono da un'impostazione proporzionale, ma che però si riferiscono poi a determinate fattispecie di reddito che devono essere differenziate, a seconda del quantum, dal restante reddito che la persona ha.
  L'altra questione è sull'impianto delle deduzioni nella ricostruzione del minimo vitale, che mi interessa molto. Da questo punto di vista, vorrei che ci dicesse qualcosa in più sulla riforma che dovremo fare delle tax expenditures e su come riorganizzare questo tema dell'impianto delle deduzioni, in particolare, per arrivare ad avere sempre più un'imposizione sul reddito netto e non tanto sul lordo.
  In ultimo, volevo sapere cosa ne pensa della tassazione per cassa, che è un tema molto dibattuto per le partite IVA e per i liberi professionisti, e sulla questione, che ormai viene relegata al terzultimo o al quartultimo posto, ma che secondo me è molto importante, di una tassazione che comunque dovremo affrontare anche per le società di persone, dopo la non introduzione dell'imposta sul reddito imprenditoriale – IRI. Cosa ne pensa di questa fattispecie? Chiaramente per noi è importante, perché nel quadro della riforma dell'IRPEF non possiamo dimenticarci di questi soggetti.

  EMILIANO FENU(intervento da remoto). Anche io mi unisco ai ringraziamenti per l'esposizione del professor Stevanato, perché è stata molto chiara e ricca di spunti. Ho una sola domanda. Nella sua esposizione lei ha fatto emergere diverse esigenze, che un po' conosciamo, come l'esigenza di ristabilire la progressività dell'imposta o anche di tassare il reddito netto, che è un tema che nelle precedenti audizioni non era ancora stato trattato, ma che rappresenta un tema reale. Ad esempio, non avevo ancora sentito parlare nelle precedenti audizioni, ma anche nella mia breve esperienza da parlamentare, dell'esigenza di reintrodurre la possibilità di dedurre i costi anche per il lavoro dipendente. Su questo ho un po' di perplessità che sono tutte personali, perché in realtà anche il piccolo imprenditore, nonostante abbia la possibilità di dedurre tutti i costi, ha comunque un carico di adempimenti e un carico di incertezza della dimensione dell'imposta, e secondo me questi due elementi da soli costituiscono un costo non deducibile, ma soltanto un carico di adempimenti. La mia domanda è questa. Tra tutte queste esigenze, che potrebbero rendere in astratto ancora più complessa e ostica la materia, la principale esigenza resta quella della semplicità. Non uso il termine «semplificazione», perché porta sfortuna. In questo momento noi abbiamo bisogno di velocità e di semplicità. In questo, la tecnologia può dare una mano e, secondo lei, in che termini?

  GIANNI PITTELLA. Volevo esprimere un sincero apprezzamento per il professor Stevanato. Concordo con il collega Fenu sul tema della semplicità. Insieme al tema della semplicità, vi è l'altro tema che ricorre sempre in questo dibattito che è quello della progressività. A proposito della progressività, si parla molto di progressività sui redditi medio-alti. Mi domando e domando al professore, se si tratta di una soluzione praticabile, considerando che i contribuenti che dichiarano oltre 75.000 euro di redditi lordi pagano già oggi il 30 per cento dell'IRPEF complessiva e che sugli stessi grava un'aliquota marginale superiore al 47 per cento e un cuneo fiscale che riduce il netto in busta paga al 34 per cento del costo sostenuto dal datore di lavoro. Pensa che sia praticabile una progressività su questa fetta di redditi di lavoro?

  DAVIDE ZANICHELLI(intervento da remoto). Grazie, professore. Riguardo ai redditi da capitale, che, come lei ha esposto, sono una componente dell'imposizione sul reddito, lei ha fatto riferimento, ritengo correttamente, a una valutazione dei redditi del capitale secondo una considerazione complessiva e anche con un respiro Pag. 10di uniformità comunitaria, sul quale sono completamente d'accordo. Mi piacerebbe però sentire anche una riflessione riguardo a una valutazione delle rendite da capitale sulla base del comportamento, perché il 26 per cento sulle rendite da capitale è applicato sia a chi ha atteggiamenti maggiormente speculativi e che tendenzialmente investe in capitale per brevissimi lassi di tempo, sia a chi ha atteggiamenti più da risparmiatore, che tipicamente crede in un'azienda, e ha comportamenti e orizzonti temporali totalmente diversi, ma entrambi hanno la medesima imposizione fiscale. Da questo punto di vista, mi piacerebbe sentire se anche su questo ci possano essere esempi all'estero da cui prendere spunto e che possono in questo modo premiare chi ha comportamenti più da risparmiatore, rispetto a chi fa meramente speculazione a breve termine.

  PRESIDENTE. Mi unisco anche io, non per perdere tempo, ma perché la sua audizione, al di là, come diceva qualcuno, delle questioni condivisibili o meno, che sono lo scopo di questa indagine, rispecchia esattamente quello che ci aspettiamo, perlomeno dagli esperti, perché abbiamo avuto finora prevalentemente istituzioni, che ovviamente non hanno un infinito grado di libertà nell'effettuare proposte concrete, ma che ne hanno forse più sull'analisi della situazione. Invece dagli esperti noi ci aspettiamo ovviamente l'analisi delle criticità, che purtroppo ormai è conosciuta praticamente universalmente, e proposte concrete, come lei ha fatto. Lei è stato anche molto chiaro perché ha detto che ci sono due estremi: il modello della comprehensive income tax, quindi tutto dentro all'IRPEF, e la flat tax, con la progressività assicurata dalle deduzioni. Una battuta rispetto a quanto diceva l'onorevole Fragomeli, abbiamo visto ben altri ossimori nel dibattito in passato e più volte ho sentito nominare la flat tax a tre aliquote o la flat tax a due aliquote. La flat tax progressiva di per sé non è un ossimoro, perché, come ci spiegava il professore, la progressività è assicurata dalle deduzioni. Ci ha elencato le difficoltà politiche, che personalmente condivido, di entrambe queste opzioni intermedie e nell'ultima pagina della sua relazione ha sintetizzato un'altra opzione intermedia, cioè che cardini dovrebbe avere una riforma dell'IRPEF. Su questo ho due brevi domande e due altre considerazioni finali.
  Lo diceva bene il senatore Fenu, io ho paura che nel giusto tentativo di cogliere nel mezzo fra opzioni estreme, noi andiamo a sacrificare un po' di esigenza di semplificazione. Per questo, le chiederei di articolare meglio. Ad esempio, la vicenda del reddito lordo e reddito netto, che è giustissima, in applicazione pratica come se la immagina? Mi immagino una circolare dell'Agenzia delle entrate che specifichi quali sono le spese che un lavoratore dipendente può portare in deduzione del proprio reddito lordo, in quanto gli sono servite a produrre reddito. Mi immagino uno spazio per attività elusiva di questa possibilità. Quindi, in concreto come si immagina questa vicenda? Perché sennò ricaschiamo nella complicazione.
  La stessa cosa vale per il minimo esente, che lei spiega bene nella relazione. Ma come funziona? Chiedo al mio datore di lavoro l'applicazione del minimo esente, oppure non la chiedo e poi faccio i conti totali in dichiarazione e, qualora abbia pagato a titolo di acconto o a titolo d'imposta, mi spetta un credito d'imposta l'anno successivo? Mentre con me personalmente sfonda una porta aperta sul minimo esente – sulla personal allowance, come vogliamo chiamarla – mi stavo interrogando però, dal punto di vista dell'applicazione pratica, come se la immagina e come si sentirebbe in dovere di prevenire gli effetti collaterali indesiderati sulla semplicità del sistema.
  Ho altre due considerazioni veloci. Lei parla di un altro problema di cui si parla poco, ovvero la doppia tassazione sui dividendi, in quanto vi è già l'imposta sul reddito delle società – IRES al 24 per cento e poi, una volta distribuiti i dividendi, questi sono tassati al 26 per cento – prima al 43 per cento, o meno, a seconda dello scaglione in cui si era. Quindi la somma delle due imposizioni fa il 43,74 per cento e paradossalmente in questo caso abbiamo l'aliquota più alta di tutto il sistema. Mi Pag. 11convince molto quando parla di annullare la tassazione sostitutiva del 26 per cento, perché c'è già l'IRES al 24 per cento – e qui si apre il problema delle coperture – ma poi lei fa un altro esempio, dicendo che in alternativa si può utilizzare il modello tedesco. Le dico la verità, complice anche la velocità con cui ho fatto la prima lettura della sua relazione, non ho capito bene come funziona in Germania questo punto, quindi le chiederei velocemente di spiegarcelo, per darci un'alternativa per la soluzione del problema.
  Infine, ho un'ultima considerazione. Lei dice che la dual income tax la convince poco. Dico la verità, a me convince di più il sistema duale di tassazione, ma a una condizione: immaginiamoci un sistema con alcune aliquote, non voglio fare numeri, in cui la prima aliquota, la più bassa, è quella che si applica a tutti i regimi sostitutivi, dal capitale alle fattispecie agevolabili. In quel caso noi avremmo sì un sistema duale, ma avremmo preservato una sistematicità del tutto, perché sta tutto in quelle che sono le aliquote già fissate e alla prima aliquota, quella più bassa, sono assoggettate le fattispecie che il policy maker vuole agevolare. La domanda è questa: questa versione del sistema duale vincerebbe la sua resistenza al sistema duale o la manterrebbe lo stesso?
  La ringrazio e le cedo la parola per la replica.

  DARIO STEVANATO, professore ordinario di diritto tributario presso l'Università degli studi di Trieste (intervento da remoto). Ho cercato di segnarmi le domande e le osservazioni. Provo a rispondere.
  L'onorevole Gusmeroli giustamente ricorda che la cedolare sugli affitti ha avuto l'obiettivo, raggiunto in buona parte, del recupero dell'evasione. È un'osservazione condivisibile. Più in generale, qual è il problema? Che in molti casi ognuno dei regimi cedolari o di tassazione proporzionale ha le sue spiegazioni, che a volte sono spiegazioni convincenti. Ad esempio, la cedolare man mano è stata alzata. Ricordo che era al 12,5 per cento e poi venne alzata. In origine vi erano due aliquote del 19 per cento e del 27 per cento, poi del 12,5 per cento, del 20 e del 26 per cento. Man mano che viene alzata si potrebbero anche fare ragionamenti diversi, ma la cedolare ha sempre avuto l'intendimento di fronteggiare una sorta di concorrenza fiscale internazionale, perché la mobilità dei capitali, che si è avuta dopo la caduta delle barriere valutarie, evidentemente ha reso vulnerabili i sistemi fiscali a questo tipo di concorrenza.
  Gli stessi regimi degli autonomi, prima il minimo e poi il forfettario, al di là del fatto che pongono sicuramente altri tipi di problemi di equità, hanno anche loro delle esigenze di base che possono stare nella semplificazione o anche nel tentativo di contrasto all'evasione. È difficile prendere una posizione netta a favore o contro regimi di questo tipo. Esiste un trade off tra l'equità da un lato e la semplificazione, il contrasto all'evasione e via discorrendo, dall'altro. La stessa Corte costituzionale non dice che il principio di uguaglianza tributaria va inteso in un senso millimetrico e assoluto, ma ammette anche trattamenti differenziati, se questi trovano una fondamentale giustificazione. Quindi credo che una risposta a questo sia verificare e testare se le aliquote cedolari abbiano una ragion d'essere e, una volta che siano state sperimentate, se abbiano prodotto dei risultati e in base a questo anche valutare o meno il mantenimento delle medesime.
  Sul discorso se la tassazione dei redditi su base singola o familiare possa introdurre degli elementi di complicazione, questo può essere ed è un tema emerso anche in altre domande, ovvero se a un certo punto non si scopre che la ricerca di precisione, come, ad esempio, nella tassazione dei redditi al netto o in altre questioni, come la tassazione dei redditi su base familiare, non si scontri di nuovo contro l'esigenza di semplificazione. Torniamo di nuovo al trade off di prima, ovvero se la certezza e la semplicità applicativa debbano far premio su altre esigenze, però rilevo che in altri ordinamenti, che sembrano funzionare abbastanza bene, ci sono meccanismi di questo tipo. Ho citato il caso francese e quello belga per quanto riguarda i redditi familiari, ma invece qualcun altro, forse il senatore Fenu, aveva osservato il Pag. 12rischio di complicazioni legato, tra le altre, alla tassazione del reddito lordo o netto e lo ha ricordato anche il presidente Marattin. Questi ordinamenti ammettono in deduzione ad esempio le spese di viaggio, le abitazioni secondarie, il child care, le assicurazioni, le spese di aggiornamento professionale. Non mi sembra che siano sistemi che non funzionano. Spesso sono sistemi del Nord Europa o degli stessi Stati Uniti e mi sembra che l'Italia sia in grado, dal punto di vista dell'attrezzatura dell'amministrazione finanziaria, di gestire una situazione di questo tipo, ma, laddove la si ritenga troppo sfidante sul piano della complicazione, si potrebbe eventualmente ripiegare su un sistema di detrazioni forfettarie, che però non vanno confuse con quelle odierne, perché queste non hanno la funzione di consentire le deduzioni di spese di produzione del reddito di lavoro, ma hanno una funzione completamente diversa, ovvero surrogano la mancanza di un minimo esente limitatamente a quella categoria.
  Per quanto riguarda l'osservazione dell'onorevole Fragomeli sulla cosiddetta flat tax progressiva, mi sembra che si riferisca ai sistemi sperimentati da altri Paesi, che sono quelli che, pur non includendo i redditi finanziari nell'ambito della base imponibile assoggettata ad aliquote progressive, prevedono un trattamento differenziato, che a volte dipende dall'ammontare quantitativo di questi redditi, ad esempio un'aliquota del 10, del 15 o del 20 per cento a seconda dell'entità del reddito conseguito, e che a volte, invece, è correlata ai restanti redditi dell'individuo. Quindi, sono redditi tassati in dichiarazione, ma con un sistema di micro progressività a latere, rispetto a quello della progressività generale applicata al resto dei redditi.
  Sulla tassazione per cassa, ho l'impressione che sia un po' tutta da verificare e da sperimentare nella sua fattibilità mese per mese, quindi non so bene come si coordinerebbe con il fatto che l'imposta sul reddito è un'imposta di periodo, che si determina soltanto a fine anno e pretendere di parcellizzare la determinazione del reddito su base mensile, significa snaturare completamente il senso di questa imposta. Non parliamo dell'IVA, che è un'imposta sulle singole operazioni, ma di un'imposta la cui dimensione imponibile si conosce soltanto il 31 dicembre, alla fine dell'anno. Quindi non so, francamente, come potrebbe funzionare se fosse spezzettata in dodici micro tassazioni mensili.
  Per quanto riguarda la tassazione delle società di persone, farei un discorso più generale, che è quello della neutralità dell'imposta, che il Parlamento, chiamato a riformare questo settore dell'imposizione, dovrebbe ben tenere in considerazione. L'imposta deve essere il più possibile neutrale rispetto, in questo caso, alle forme di esercizio delle imprese. Oggi non è così, perché oggi, come ricordava il presidente Marattin, abbiamo di nuovo un'esigenza di semplificazione e di apparente uniformità, che è stata quella di aggregare tutti i redditi finanziari sotto l'unica aliquota del 26 per cento, e questo ha fatto trascurare un dato fondamentale, ovvero che per i dividendi e le plusvalenze azionarie il 26 per cento si aggiunge al 24 per cento dell'IRES, già pagata della società. Non si può trascurare che in fondo i redditi da partecipazione societaria vanno coordinati con la tassazione IRES, altrimenti si arriva al paradosso, purtroppo esistente, di una sommatoria delle due imposte, IRPEF dovuta sui dividendi e sulle plusvalenze più IRES pagata dalla società, che arriva ad essere leggermente più alta della più alta aliquota marginale, con penalizzazione dei soci a basso reddito. Tutto questo rende il sistema italiano sotto questo profilo non particolarmente attrattivo o conveniente rispetto ad altri Paesi. Quale che sia la soluzione che si adotta, per le società di persone, credo che il panorama internazionale ci dice che non va modificata: i soggetti continuano a essere tassati per trasparenza, con redditi imputati direttamente in capo ai soci. Ma non vi è dubbio che qui c'è un problema di come tassare i redditi di impresa e questi dovrebbero essere tassati, se possibile, allo stesso modo, indipendentemente dalla forma di esercizio dell'attività.
  Sulla progressività dei redditi medio-alti, di cui parlava il senatore Pittella, sono Pag. 13d'accordo, non ritengo affatto che vada aumentata l'aliquota, che oggi, peraltro, è già abbastanza alta, perché se aggiungiamo al 43 per cento le addizionali regionali e comunali, si arriva, come minimo, al 46 per cento, che in un confronto internazionale non ci fa stare particolarmente bene. Non credo affatto a chi propugna il ritorno alle aliquote della seconda guerra mondiale o del periodo successivo alla seconda guerra mondiale, ovvero l'aliquota del 70 o dell'80 per cento, richiamando studi sulla tassazione ottimale, secondo i quali aliquote di questo tipo non fungerebbero da disincentivo alla produzione e al lavoro. Non sono affatto di questa opinione. Invece rilevo un'altra cosa importante, ovvero che le nostre aliquote sugli scaglioni più elevati purtroppo, non solo sono già sufficientemente elevate, ma la cosa negativa è che scattano per livelli di reddito abbastanza bassi rispetto ad altri Paesi, che pure hanno aliquote paragonabili alla nostra. Faccio riferimento, ad esempio, alla Germania, che le fa scattare per scaglioni molto più elevati, se non sbaglio, intorno ai 300.000 euro, mentre da noi scattano a 75.000. Il tema non è tanto quello di aumentare le aliquote, ma semmai di diluire gli scaglioni e quindi di far sì che le aliquote, già oggi elevate sugli scaglioni più alti, si applicano su redditi più alti di quelli odierni.
  Sui redditi di capitale, mi sembra che l'osservazione dell'onorevole Zanichelli sia un ottimo spunto, che mi sembrava di aver anche messo nella relazione. L'idea di differenziare la tassazione delle rendite finanziarie anche in funzione dell'orizzonte temporale dell'investimento è una buona idea da coltivare e altri ordinamenti lo fanno, quindi sono assolutamente d'accordo.
  Sulla semplificazione, mi sembra di aver già parlato.
  Sulla gestione del minimo esente, se il minimo esente è applicato in dichiarazione, come normalmente avviene, ovviamente c'è il coacervo dei redditi – la somma algebrica dei redditi stessi – e una parte di questi viene esentata da tassazione. Se ci sono state ritenute a titolo d'imposta e il soggetto passivo non ha altri redditi da cui scomputare la basic allowance, evidentemente si pone o il problema di chiedere all'intermediario che non applichi la ritenuta oppure questa ritenuta verrebbe da prima subita e poi verrebbe però fatta valere in dichiarazione, per cui ci sarebbe la facoltà di includere anche i redditi normalmente assoggettati a imposta sostitutiva definitiva in dichiarazione, al solo fine di godere della personal allowance. È chiaro che questo, come lo immagino io, necessariamente darebbe luogo a un rimborso d'imposta. In altri Paesi, però, i rimborsi arrivano in poche settimane o in un mese. Quindi se anche l'Italia riuscisse ad allinearsi a questo, il problema si ridurrebbe nei suoi effetti distorsivi.
  Infine, per quanto riguarda l'ultima questione sollevata del sistema duale, non c'è dubbio che la politica è l'arte del possibile, quindi se nessuno dei due estremi viene ritenuto percorribile, da un lato la comprehensive income tax e dall'altro una vera e seria flat rate tax, rappresenterebbe un miglioramento un sistema duale con allineamento di tutte le aliquote sulla prima aliquota IRPEF, la quale a sua volta andrebbe allineata all'imposta societaria. Così elimineremo, se non altro, i problemi di arbitraggi, le tante irrazionalità che ci sono nel sistema e avremo comunque raggiunto un primo parziale obiettivo, ovvero una razionalizzazione e un sistema meno lunatico di quello attuale.

  PRESIDENTE. La ringrazio sentitamente per la sua audizione e per l'esaustiva replica a nome anche di tutti i commissari. La saluto cordialmente.
  Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal professor Stevanato (vedi allegato 1) e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta, sospesa alle 15.25, riprende alle 15.30.

Audizione in videoconferenza del professor Vincenzo Visco.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla Pag. 14riforma dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e altri aspetti del sistema tributario, l'audizione del professor Vincenzo Visco, presidente dell'Associazione Nuova Economia Nuova Società – NENS, professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università degli studi La Sapienza di Roma ed ex Ministro delle finanze ed ex Ministro del tesoro.
  Ricordo che l'audizione si svolgerà in videoconferenza dinnanzi alle Commissioni riunite VI (Finanze) della Camera dei deputati e 6a (Finanze e Tesoro) del Senato della Repubblica, con la partecipazione da remoto dei deputati, dei senatori e dell'audito, conformemente alle disposizioni dettate dalla Giunta per il Regolamento della Camera dei deputati nelle riunioni del 31 marzo e del 4 novembre 2020 e dalla Giunta per il Regolamento del Senato della Repubblica nelle riunioni del 9 giugno e del 10 novembre 2020.
  Rivolgo quindi un saluto, anche a nome del Presidente della 6a Commissione Finanze e Tesoro del Senato, Luciano D'Alfonso, al professor Vincenzo Visco, al quale do il benvenuto e che ringrazio per la partecipazione.
  Darei quindi la parola al professor Visco, al quale chiederei di limitare se possibile il proprio intervento ad una ventina di minuti al massimo, al fine di lasciare poi adeguato spazio al successivo dibattito.

  La seduta, sospesa alle 15.35, riprende alle 15.45.

  VINCENZO VISCO, presidente dell'Associazione Nuova Economia Nuova Società – NENS (intervento da remoto). Signori presidenti, onorevoli parlamentari, non c'è dubbio che il sistema fiscale italiano versi in condizioni molto serie e necessiterebbe di una revisione complessiva. Del resto, sono passati più di 20 anni dall'ultima riforma organica, quella del 1996-2000, che a sua volta interveniva, dopo oltre 20 anni dalla riforma del 1973, con lo scopo di riportare a coerenza un sistema che era stato progressivamente snaturato da molteplici interventi privi di logica e sistematicità.
  Oggi la situazione è molto simile: negli ultimi 20 anni sono state introdotte norme e interventi settoriali, episodici, privi di coerenza e razionalità, con la previsione di bonus, incentivi, detassazioni, aumenti e riduzioni di aliquote, soprattutto per quanto riguarda i redditi di capitale e di impresa, esenzioni e regimi sostitutivi. Non di rado le norme introdotte appaiono arbitrarie tanto da dare l'impressione che il sistema si sia trasformato nel luogo della discrezionalità, quasi un pretesto per l'introduzione di deroghe, trattamenti speciali e favori estemporanei.
  In realtà un sistema fiscale dovrebbe essere un insieme coerente di istituti, prescrizioni e procedure, basato su principi economici chiari e costruito al fine di ottenere il gettito desiderato nella maniera più efficiente possibile, cercando di minimizzare i costi amministrativi e le distorsioni economiche, con un assetto il più possibile semplice e trasparente, ed evitando ogni discriminazione ingiustificata tra contribuenti.
  Oggi così non è e l'IRPEF è l'esempio più evidente delle difficoltà in cui il sistema si trova attualmente.
  L'imposta personale sul reddito rappresenta da molto tempo il tributo principale dei sistemi fiscali dei Paesi sviluppati. Essa fu introdotta nel XIX secolo in Inghilterra e in altri Paesi europei accompagnando la nascita e lo sviluppo delle economie industriali. Negli Stati Uniti venne introdotta nel 1913, con aliquote molto basse, comprese tra l'1 e il 7 per cento, ma progressivamente la sua incidenza aumentò rapidamente diventando un'imposta di massa, la principale del sistema. Durante la seconda guerra mondiale essa forniva un terzo delle entrate complessive del bilancio, con aliquote comprese tra il 23 e il 94 per cento, con 24 scaglioni. Dopo la guerra e fino alla riforma Reagan degli anni Ottanta la sua struttura rimase sostanzialmente la stessa, salvo l'aliquota più bassa, ridotta al 14 per cento e quella più elevata ridotta al 70 per cento. La stessa struttura dell'imposta si riscontrava peraltro in tutti i principali Paesi industriali.
  L'idea di fondo era quella di un prelievo sul reddito complessivo di ogni individuo o famiglia, da qualsiasi fonte provenisse, da Pag. 15assoggettare ad aliquote progressive, crescenti per brevi intervalli di reddito, con poche deduzioni o detrazioni personali. L'obiettivo era quello di garantire al bilancio pubblico una quota rilevante del reddito nazionale prodotto ogni anno, in modo diretto e per quanto possibile semplice.
  In Italia l'IRPEF fu introdotta solo nel 1973, in seguito ad un dibattito iniziato subito dopo la conclusione della guerra, e culminato nella pubblicazione nel 1964 della relazione «Sullo stato dei lavori della Commissione per lo studio della riforma tributaria» diretta dal professor Cesare Cosciani: l'imposta si ispirava al modello prevalente allora in vigore in tutti i principali Paesi, che includeva nella base imponibile tutti i redditi, quelli da lavoro, ma anche quelli dei terreni e dei fabbricati, i profitti e gli interessi, redditi che dovevano essere tassati pienamente, ai valori di mercato, e con aliquote progressive. All'IRPEF così strutturata, doveva aggiungersi un'imposta sul patrimonio. Questo modello venne poi abbandonato a causa di un «mutamento di indirizzo» all'interno della Commissione che portò alle dimissioni di Cosciani, il cui ruolo fu preso da Bruno Visentini. In conseguenza la logica della proposta venne radicalmente mutata: i redditi dei terreni e dei fabbricati continuarono ad essere determinati in base a valori catastali che poco corrispondevano all'effettiva situazione economica del bene, ed erano molto inferiori a quelli reali, mentre per i redditi di capitale si optò per una serie di imposte sostitutive differenziate a seconda dell'emittente, e, per la prima volta nella storia tributaria del Paese, si stabilì l'esenzione degli interessi delle obbligazioni pubbliche non solo dall'IRPEF, ma anche dall'ILOR e dall'IRPEG, introducendo un incentivo all'indebitamento pubblico che permane ancora oggi.
  La conseguenza fu non solo una forte erosione della base imponibile della nuova imposta, ma anche l'introduzione di forti disparità sul piano distributivo, dal momento che, a parità di reddito complessivo, il carico fiscale poteva differire in misura anche sostanziale tra un contribuente e un altro. In altre parole la nuova imposta nasceva in modo incoerente e distorto rispetto alla logica di un'imposta generale, personale sul reddito complessivo, tanto più che la struttura delle aliquote si articolava su 32 scaglioni di reddito, con un'aliquota minima del 10 per cento e una massima del 72 per cento.
  Queste caratteristiche originarie permangono ancora oggi. L'IRPEF italiana non è mai stata un'imposta generale progressiva sul reddito, ma solo un'imposta speciale progressiva su alcuni redditi percepiti dalle persone fisiche.
  Va detto, però, che negli ultimi decenni, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, la struttura delle imposte sul reddito è fortemente cambiata in tutti i Paesi, soprattutto in relazione a due elementi caratterizzanti: l'onnicomprensività del prelievo e la struttura della progressività dell'imposta. In particolare i redditi da capitale sono stati progressivamente esclusi dalla base imponibile e le aliquote più elevate sono state considerevolmente ridotte, così come il numero degli scaglioni.
  Ciò è dipeso da due fattori principali: il primo è stato la liberalizzazione dei movimenti di capitale che, insieme alla globalizzazione finanziaria, ha creato un contesto di concorrenza fiscale tra Paesi, rendendo problematica la tassazione progressiva di redditi con elevata mobilità, come sono quelli di capitale, che quindi sono stati progressivamente esclusi dalla base dell'imposta progressiva e tassati con aliquote proporzionali ridotte; il secondo fu la forte inflazione che attraverso il fiscal drag determinava un incremento automatico dell'imposta grazie allo spostamento dei redditi nominali negli scaglioni più elevati, con relativo aumento di gettito e riduzione del reddito reale del contribuente, senza che ciò fosse deciso da un intervento parlamentare. In tale situazione pochi scaglioni di ampia dimensione erano in grado di ridurre l'entità del fenomeno.
  Oggi ambedue queste motivazioni sono venute meno, data l'assenza di inflazione, da un lato, e la ben maggiore collaborazione fiscale nello scambio di informazioni tra Paesi, dall'altro, che ha ridotto le possibilità di elusione, Quindi si può cominciare Pag. 16 a riflettere senza farci condizionare da vecchi meccanismi di ragionamento.
  La nuova situazione che si era creata negli anni Ottanta in relazione all'imposta sul reddito, è stata razionalizzata a livello scientifico in un nuovo modello di riferimento, quello della cosiddetta dual income tax – DIT: questa soluzione supera l'onnicomprensività della base imponibile e prevede la distinzione tra redditi di lavoro e redditi di capitale: i primi continuerebbero ad essere sottoposti ad aliquote progressive, mentre i secondi a un'unica aliquota proporzionale, pari a quella iniziale della scala prevista per la parte progressiva dell'imposta, in modo da garantire la neutralità dell'imposizione sui redditi di capitale, limitare i rischi di concorrenza fiscale ed evitare distorsioni e arbitraggi fiscali: un'unica imposta, ma due diversi meccanismi di calcolo e di prelievo.
  Alla soluzione dual income tax si ispirò la riforma italiana del 1996-2000. Le molteplici aliquote e trattamenti diversi in vigore per i redditi da capitale furono accorpate su due soli livelli: 12,5 per cento per gli interessi sui titoli di Stato, sulle obbligazioni e sui dividendi e 27 per cento per gli interessi sui depositi. Venne introdotta una razionale imposizione delle plusvalenze maturate, prevedendo un equalizzatore per quelle per cui il pagamento era previsto al momento del realizzo. Per le società di capitale, sempre seguendo il modello DIT, si introdusse un'aliquota ridotta del 19 per cento sul rendimento figurativo degli incrementi di capitale proprio, a fronte di un'aliquota ordinaria del 37 per cento. Il passo finale doveva essere l'unificazione di tutte le aliquote al 19 per cento che era allora l'aliquota iniziale dell'IRPEF.
  Il processo di riforma rimase incompiuto, a causa del cambio di Governo nel 2001. Ma dopo oltre 20 anni, vista la proliferazione di nuove aliquote e trattamenti per queste tipologie di reddito, si può essere scettici circa la possibilità di introdurre nel nostro Paese un sistema coerente di dual income tax, che appare vulnerabile alle pressioni degli interessi coinvolti che premono per agevolazioni settoriali, mentre a livello decisionale si è poco consapevoli del fatto che i trattamenti preferenziali introdotti, oltre a creare disparità di trattamento non giustificate, creano ampie possibilità di elusione, distorsioni allocative e soprattutto tendono a beneficiare gli intermediari – le banche – piuttosto che l'oggetto dell'agevolazione introdotta.
  La necessità di rendere omogenea la tassazione dei redditi da capitale rimane quindi uno dei problemi principali della nostra tassazione dei redditi personali, su cui sarebbe necessario e urgente intervenire in sede di riforma. La tassazione ordinaria va estesa anche agli interessi dei titoli di Stato partendo da quelli di nuova emissione, eliminando un incentivo anacronistico e poco giustificato all'indebitamento pubblico.
  Misura necessaria, ma anche agevole, se si considera che il possesso diretto di questi titoli da parte delle famiglie, è oggi molto ridotto.
  Oltre ai redditi da capitale, l'esclusione di componenti reddituali dalla base imponibile appare comunque molto consistente. Per una valutazione grossolana, ma efficace, dell'entità del fenomeno – e di quello, collegato, dell'evasione – basta considerare che la base imponibile dichiarata ai fini IRPEF risulta compresa tra gli 800 e i 900 miliardi, mentre il reddito nazionale netto, che può essere preso come base di riferimento, si colloca tra i 1.500 e i 1.600 miliardi.
  Il fenomeno dello svuotamento della base imponibile dell'imposta è continuato, accelerandosi, negli ultimi anni, fino a ridurre l'imposta a un simulacro di quella che in teoria dovrebbe essere.
  Gli esempi più evidenti, in una elencazione non esaustiva, sono l'esclusione nel 2000 del reddito imputato della casa di abitazione, mentre veniva mantenuta la deduzione degli interessi passivi sui mutui ipotecari; l'introduzione nel 2008 di detrazioni per i canoni di locazione per i bassi redditi, e nel 2011 di una aliquota sostitutiva del 21 per cento per i fitti percepiti, riducibile al 10 per cento per i fitti concordati, poi estesa nel 2019 anche ai fitti di alcuni immobili ad uso commerciale; la detassazione, dal 2008, al 10 per cento, dei Pag. 17premi derivanti dalla contrattazione aziendale; l'esclusione nel 2018 dei dividendi e plusvalenze derivanti da partecipazioni qualificate; la tassazione agevolata prevista per il cosiddetto rientro dei cervelli che pare sia servita soprattutto a ridurre il costo dell'acquisto di calciatori di qualità; nel 2017 l'esclusione dall'IRPEF, fino al 2021, e la tassazione catastale a partire dal 2022, dei terreni e dei relativi redditi, esclusi anche dall'IRAP e dall'IMU, sicché attualmente gli operatori del settore agricolo ricevono i servizi pubblici come tutti gli altri cittadini, ma pagano per essi esclusivamente le imposte indirette, situazione unica e inquietante. In questo contesto si colloca la robusta detassazione (2019) delle cosiddette partite IVA fino a 65.000 euro di fatturato, che coinvolge il 60 per cento dei lavoratori autonomi e piccoli imprenditori senza l'applicazione dell'IVA e delle addizionali IRPEF regionali e comunali e prevedendo un regime forfettario e un'aliquota del 15 per cento, creando così una grave discriminazione con i lavoratori dipendenti con lo stesso reddito, fornendo incentivi alla mancata o falsa fatturazione e alla trasformazione di lavoro dipendente in lavoro autonomo, introducendo forti distorsioni nella concorrenza tra operatori, e favorendo il nanismo imprenditoriale e la polverizzazione delle attività.
  Voglio ricordare che chi vi parla è stato il primo ad introdurre, nel 2007, per le attività minori un sistema di tassazione forfettario che peraltro non ha funzionato particolarmente bene. Oggi ritengo che il forfait andrebbe abolito, e sostituito con un meccanismo che, analogamente a quanto avviene per l'IVA dell'agricoltura, preveda un'aliquota di compensazione per i primi 10.000-15.000 euro di fatturato in modo che agli operatori minori venga assicurato un sussidio che abbatte il carico fiscale complessivo e un incentivo a fatturare correttamente. A parità di costo per l'erario, vi sarebbero trasparenza e fiscalità tollerabile anche per gli operatori più piccoli.
  Queste sono solo alcune delle misure che vengono classificate nelle cosiddette spese fiscali che in buona parte si concentrano proprio sull'IRPEF, e cioè quell'insieme di esenzioni, esclusioni dall'imponibile, deduzioni, aliquote agevolate, regimi sostitutivi, detrazioni e crediti di imposta che riducono l'imposizione rispetto a quella che dovrebbe essere in assenza di trattamenti preferenziali. Si tratta di un fenomeno che andrebbe contenuto e limitato.
  Anzi, in proposito personalmente ritengo che andrebbe valutata seriamente l'ipotesi di integrare l'articolo 53 della Costituzione prevedendo che il sistema tributario sia informato non solo a «criteri di progressività» (l'equità verticale), ma anche «di generalità e uniformità del prelievo per contribuenti con la stessa capacità contributiva» – equità orizzontale. In modo da rendere chiaro che eventuali abbattimenti, detrazioni, ecc. si giustificano se servono ad integrare la progressività o a promuovere la parità di trattamento dei contribuenti, e che gli incentivi fiscali si possono utilizzare solo per finalità ben definite, meritevoli, e possibilmente temporanee. Del resto la recente esperienza dell'erogazione dei cosiddetti ristori per gli effetti della pandemia, dimostra che esistono altri strumenti e modalità altrettanto efficaci e ben più trasparenti per perseguire interventi di sostegno per obiettivi specifici.
  Va ancora osservato che la maggior parte di queste spese fiscali va a beneficio di contribuenti con redditi medi o elevati, e che spesso riguardano pochi contribuenti e perdite di gettito ridotte, per cui la loro eliminazione sarebbe indolore. Inoltre va sottolineato che una parte consistente di queste misure riguarda il settore immobiliare, già di per sé sotto tassato nel nostro ordinamento, e soprattutto l'abitazione principale, il che determina un aumento artificiale del valore degli immobili e un indebito arricchimento dei proprietari, e una distorsione degli investimenti delle famiglie che penalizza gli investimenti in altri settori. Si tratta anche di misure distorsive nel senso che vanno a beneficio degli anziani e non dei cittadini più giovani. Infine, non si giustifica la permanenza dell'incentivo per interventi di recupero del patrimonio edilizio in presenza del nuovo incentivo del Pag. 18110 per cento, che peraltro valuto positivamente.
  Infine non va sottovalutato il fatto che di fronte a evidenti disparità di trattamento e/o favori fiscali elargiti più o meno casualmente, anche i percettori di redditi di lavoro dipendente cominceranno a chiedere forfettizzazioni del prelievo che li riguarda. Ciò è già avvenuto con i premi di produzione e per il cosiddetto welfare aziendale, misure che in realtà tendono a beneficiare soprattutto le imprese oltre a penalizzare il sistema previdenziale.
  Una possibile soluzione del problema, oltre alla razionalizzazione dell'intero comparto, potrebbe essere quella di stabilire un limite massimo per l'utilizzazione delle detrazioni al 19 per cento, lasciando al contribuente la scelta di quali privilegiare e garantendo un consistente recupero di gettito per l'erario.
  Le vie di uscita razionali dalla situazione che si è creata sono diverse. Tutte dovrebbero avere però l'obiettivo di riportare tutti i redditi ad una tassazione ragionevole e ad una sostanziale parità di trattamento.
  La prima soluzione sarebbe ovviamente quella di ritornare ad un'imposta personale sul reddito onnicomprensiva. Dubito però che ciò sia praticamente e politicamente possibile. La storia degli ultimi decenni è andata in altra direzione.
  La seconda possibilità sarebbe quella di applicare compiutamente il modello dual income tax. Tutti i redditi di lavoro, incluso il contributo lavorativo dei titolari di impresa individuale, dovrebbero essere assoggettati ad un prelievo progressivo, mentre a tutti gli altri redditi, compresi i fitti e i redditi imputati dei fabbricati valutati in base a un catasto riformato, oltre ai redditi da capitale, profitti e plusvalenze inclusi, andrebbe applicata un'aliquota sostitutiva pari a quella base dell'IRPEF progressiva, più un prelievo patrimoniale del 2 per mille o poco più che dovrebbe andare agli enti locali.
  Infine, la soluzione che preferisco implica un prelievo progressivo sui soli redditi di lavoro, con un'aliquota massima non superiore al 50 per cento, affiancata da un'altra imposta personale progressiva sul rendimento figurativo del patrimonio reale e finanziario posseduto. Si tratta della soluzione applicata in Olanda per la tassazione dei redditi di capitale che avrebbe il vantaggio rispetto alla DIT di poter escludere, grazie ad un minimo imponibile modesto, i contribuenti minori che possiedono solo una casa di proprietà di ridotto valore e depositi bancari, che sarebbero invece colpiti dalla DIT, e di inserire nel sistema un meccanismo incentivante in quanto i rendimenti più elevati, che riflettono anche l'assunzione di maggiori rischi, sarebbero agevolati, e quelli inferiori al rendimento ordinario penalizzati. Anche in questo caso una quota del gettito dell'imposta andrebbe devoluta agli enti locali.
  Oltre alla base imponibile, l'altro elemento costitutivo di una imposta sul reddito è la struttura delle aliquote. Nella tradizione culturale ed etica dell'umanità, a partire almeno dall'Antico Testamento, il principio che l'imposizione debba gravare in misura proporzionalmente maggiore sui più ricchi è profondamente radicato. Nella teoria economica gli utilitaristi inglesi hanno sottolineato come i redditi più elevati mostrano una capacità contributiva maggiore. L'articolo 53 della Costituzione stabilisce formalmente che l'intero sistema tributario dovrebbe essere orientato in senso progressivo. In realtà così non è. Gli studi disponibili relativi all'intero sistema mostrano che le tasse in Italia – ma non solo – risultano, nel loro complesso, progressive per i redditi più bassi, proporzionali per gran parte dei contribuenti, e regressive per i redditi più elevati.
  Tra le nostre imposte l'IRPEF è l'unica chiaramente ed esplicitamente progressiva. Essa, oltre a produrre il 40 per cento del gettito tributario, fornisce un contributo rilevante alla redistribuzione del reddito riducendo l'indice di concentrazione dei redditi netti – indice di Gini – di oltre un quarto. Tuttavia se si osserva l'andamento della curva, è facile verificare che tale progressività è concentrata essenzialmente sui redditi bassi per i quali l'andamento appare quasi verticale, e molto meno per i redditi elevati. Ciò è dovuto all'appiattimento Pag. 19 delle aliquote che si è verificato negli ultimi decenni, passando dai 32 scaglioni del 1973 ai 5 attuali. Inoltre l'andamento appare erratico, con intervalli in cui le aliquote marginali effettive si riducono anziché crescere. Ciò è dovuto al meccanismo delle detrazioni decrescenti, introdotto per conciliare le esigenze di gettito con la riduzione della imposizione sui redditi più bassi, che crea aliquote implicite che si sommano a quelle formali, e più recentemente al bonus degli 80 e poi 100 euro che ha lo stesso effetto. Ciò ha prodotto delle conseguenze di qualche rilevanza: per esempio, fino al 2013, l'IRPEF reale per un lavoratore dipendente senza carichi di famiglia, oltre ad una aliquota iniziale pari a 0 fino a 8.000 euro, presentava in sostanza due sole aliquote effettive: 30-31 per cento e 41 per cento, più l'ultima del 43 per cento, pressoché irrilevante in pratica. Nel 2014, alle due aliquote prevalenti se ne era aggiunta una terza del 27,51 per cento tra 8.417 e 15.000 euro. L'andamento più erratico si verifica nel 2015 con un'aliquota massima del 79,5 per cento tra i 24.000 e i 26.000 euro e discesa e risalita successive. Oggi le aliquote marginali effettive sono 8 e risultano crescenti fino ad un massimo del 60,82 per cento tra i 35.000 e i 40.000 euro, per poi ridursi intorno al 41 per cento, si veda l'Appendice alla mia relazione, e con salti tra uno scaglione e l'altro di 14-15 punti. Si tratta di un assetto del tutto stravagante che deve essere corretto.
  Ciò significa che una buona riforma della struttura delle aliquote dell'IRPEF dovrebbe essere in grado di riassorbire al suo interno il bonus 100 euro e che le detrazioni dovrebbero tornare ad essere fisse, costanti per tutti i livelli di reddito.
  Il grado e la forma della progressività di una imposta sul reddito sono scelte prevalentemente politiche. Ciò che va chiarito comunque è che nel passaggio da un sistema con molti scaglioni e aliquote marginali, a un sistema con pochi scaglioni e aliquote, o addirittura a un sistema con una sola aliquota che affida la progressività alle sole detrazioni/deduzioni, ciò che avviene è una redistribuzione, a parità di gettito, del prelievo dell'imposta a carico dei ceti medi e a favore dei più ricchi. Ciò è evidente nel caso italiano se si confronta l'andamento della curva del 1973 con quella attuale. Quest'ultima presenta un eccesso di tassazione, una «gobba» in corrispondenza dei redditi compresi tra i 20-25.000 euro e i 50.000 euro che risultano relativamente e sostanzialmente penalizzati dalla struttura attuale; è bene ricordare che in quell'intervallo si colloca circa la metà dei contribuenti IRPEF, e che i contribuenti con redditi imponibili superiori a 50.000 euro sono solo il 5 per cento circa del totale. La penalizzazione dei ceti medi è accentuata dall'andamento decrescente delle detrazioni, oltre che dalla struttura di aliquote e scaglioni. Questa è quindi la scelta politica da compiere nel confronto tra i due modelli.
  «Raddrizzare» la curva dell'IRPEF, tagliare la «gobba», non implica necessariamente un aumento rilevante delle aliquote più alte. Tutto dipende dall'ammontare di gettito a cui è possibile rinunciare. Il costo dell'operazione ammonterebbe a un punto, un punto e mezzo di PIL, che è poi il gettito in più che l'IRPEF italiana assicura all'erario rispetto a quella degli altri Paesi europei. In un contesto di riforma, la possibilità di una ricomposizione del prelievo tra imposte diverse non va certo esclusa.
  Si discute anche sulla opportunità di sostituire gli scaglioni di reddito con una funzione matematica continua in grado di indicare l'aliquota media da applicare al reddito imponibile. Questa soluzione è già stata adottata in Italia con l'imposta complementare, ed è da sempre in funzione in Germania. Personalmente suggerisco questa soluzione da molto tempo. Rispetto alla imposta a scaglioni, che evidenzia le aliquote marginali, mentre quelle medie vanno calcolate, la funzione continua evidenzia le aliquote medie, mentre quelle marginali andrebbero calcolate. Nella situazione attuale dell'IRPEF italiana è difficile sia conoscere le aliquote marginali che calcolare quelle medie. La funzione continua implicherebbe una crescita graduale e omogenea dell'incidenza dell'imposta e impedirebbe per il futuro interventi poco razionali di Pag. 20manipolazione degli scaglioni e delle detrazioni.
  Scarsa attenzione viene invece dedicata a un problema piuttosto serio, e cioè la possibilità concessa a comuni e regioni di introdurre addizionali locali all'IRPEF. Ciò determina distorsioni erratiche della progressività il cui grado dovrebbe essere una scelta politica di fondo, omogenea per tutti i contribuenti, da decidere in sede parlamentare, e un ulteriore aggravamento del prelievo sui ceti medi. In conseguenza sarebbe opportuno trasformare le addizionali in sovraimposte.
  Quanto alle detrazioni, condivido l'ipotesi di un assegno universale che assorba le detrazioni – anche quella per il coniuge – e gli assegni familiari. In sede di attuazione bisognerà valutare attentamente il coordinamento con l'IRPEF e il reddito di cittadinanza per evitare situazioni di trappola della povertà. Le altre detrazioni dovrebbero essere costanti e non decrescenti per evitare incrementi impliciti delle aliquote formali e la conseguente erraticità dell'incidenza dell'imposta. Oggi le detrazioni sono diverse per i lavoratori dipendenti, cui è concessa, giustamente, una detrazione forfettaria per le spese di produzione del reddito, per i pensionati e per i lavoratori autonomi. In verità per i pensionati potrebbe essere giustificata una speciale detrazione per l'età avanzata, mentre per i lavoratori autonomi non sarebbe insensata la previsione di una specifica detrazione a fronte del maggior rischio implicito nell'attività autonoma. Ne deriva che non sarebbe ingiustificato articolare queste detrazioni in modo da ottenere un ammontare eguale per tutti i contribuenti.
  Prima di concludere vorrei aggiungere due ulteriori osservazioni. L'evasione fiscale di massa è il problema principale del sistema fiscale italiano che condiziona la composizione del prelievo e determina l'incidenza eccessiva sui redditi di lavoro dipendente e pensione. Quando l'emergenza COVID sarà terminata, la situazione della finanza pubblica italiana sarà caratterizzata da un aumento strutturale di spesa corrente a causa degli interventi necessari nei settori della sanità, istruzione, assistenza, trasporti. Al tempo stesso il bilancio pubblico dovrà essere riportato sotto controllo. Ciò significa non solo che non sarà facile ridurre la pressione fiscale complessiva, ma anche che saranno probabilmente necessarie nuove risorse. Sembra quindi essenziale predisporre una vera e propria terapia d'urto contro l'evasione che sia efficace e risolutiva. Le proposte esistono; vanno applicate con determinazione.
  Infine vorrei sollecitare l'attenzione su una trasformazione di fondo intervenuta negli ultimi decenni nelle economie dei Paesi sviluppati e che ha forti conseguenze sulla funzionalità e l'equità dei sistemi fiscali: la caduta dei redditi di lavoro rispetto al prodotto complessivo. Poiché una caratteristica comune dei sistemi fiscali del dopoguerra è stata quella di fare affidamento su basi imponibili in cui i redditi di lavoro, e in particolare quelli di lavoro dipendente, giocavano un ruolo molto importante (imposte sul reddito e contributi sociali), la progressiva contrazione di queste fonti di prelievo ha contribuito fortemente alle difficoltà di finanziamento dei bilanci pubblici. In sintesi, mentre fino agli anni Ottanta del secolo scorso, i redditi di lavoro rappresentavano percentuali del reddito complessivo pari al 60-65 per cento, oggi tale quota, comprensiva anche dei redditi di lavoro indipendente, risulta in Italia inferiore al 50 per cento (47 per cento), al contrario, i prelievi, fiscali e contributivi, direttamente commisurati ai redditi di lavoro, rappresentano il 18 per cento del PIL e quelli commisurati agli altri redditi solo il 6 per cento. In altre parole, il 47 per cento del reddito prodotto paga oggi il 75 per cento del gettito fiscale complessivo e il 53 per cento solo il 25 per cento. Si tratta di uno squilibrio eccessivo, alla lunga insostenibile, che penalizza l'impiego di lavoro – cuneo fiscale – e indica la necessità di traferire una parte del prelievo sui redditi di capitale riducendo l'IRPEF e fiscalizzando i contributi sociali.

  PRESIDENTE. Grazie professore. Devo dire che purtroppo abbiamo avuto problemi di audio, però ci ha aiutato avere sotto gli occhi la sua esaustiva e completa relazione. Purtroppo sono problemi tecnologici Pag. 21 che non possiamo controllare. Sono un po' più preoccupato della risposta alle domande, però proviamo. Tenendo conto, purtroppo, di questi inconvenienti tecnici e magari anticipando che, se lei è disponibile, professore, eventualmente le invieremo per iscritto alcune domande, così può risponderci in un secondo momento, e ovviamente le allegheremo agli atti dei lavori delle Commissioni. Con tutti questi caveat, do la parola ai colleghi che volessero svolgere un breve intervento e proviamo a vedere se il dibattito può proseguire.
  Intanto, professore, ho tre questioni. Mi era sfuggito questa mattina quando leggevo la sua relazione, che, se non ho capito male, lei propone di eliminare l'agevolazione concernente la tassazione sui titoli di Stato, che attualmente è al 12,5 per cento, e propone di riportarla al 26 per cento. È una misura piuttosto forte. Mi sembra di capire che lei la argomenti, ovviamente, con la finalità, da me condivisa, di mettere ordine nei trattamenti cedolari differenziati, però la legava al quantitativo ridotto di titoli di Stato direttamente in mano alle famiglie italiane. Mi chiedevo se potesse argomentare su questa sua proposta.
  La seconda cosa che mi ha colpito, e che personalmente condivido in parte, è il tema delle addizionali locali, che è un tema forte su cui dovremo discutere a lungo. Se ho capito bene, lei propone il passaggio da addizionale a sovraimposta. Ricordo a me stesso che la sovraimposta ha la stessa base imponibile dell'IRPEF, mentre l'addizionale ha come base imponibile l'imposta su cui viene aggiunta. Per lei questa è propedeutica all'eliminazione dell'autonomia impositiva degli enti locali oppure no? Lei si immagina che le addizionali attuali vengano riassorbite in sovraimposte determinabili unicamente a livello centrale o la lascerebbe agli enti locali?
  Sull'aliquota tedesca, su cui la mia posizione personale è nota ma cerco di affrontare laicamente il punto, si è già discusso a lungo sul fatto che le aliquote medie siano non facilmente visibili, ma lo sono quelle marginali, perlomeno le marginali legali, che con un sistema di aliquota continua diventano oscure, non solo le aliquote medie, ma anche le marginali. Questo è il motivo principale per cui sono scettico dal punto di vista della semplicità, perché è un grado di semplicità in meno e mi ha sempre lasciato perplesso. Volevo discutere con lei di quello che lei dice in conclusione di quel paragrafo, ovvero che può servire perché almeno si toglie al policy maker la discrezionalità di interventi asistematici. Nel momento in cui io non ho più gli scaglioni e non posso più intervenire sul singolo scaglione, tolgo la possibilità di andare a rimestare, come è stato fatto dal 1974 fino ad oggi, fino ad arrivare a un'IRPEF molto confusa. Però questo io lo vedo in chiave anche opposta. In quel senso il policy maker potrebbe soltanto agire sulla pendenza della curva. Immaginiamoci un Governo che fra cinque anni o fra dieci anni abbia bisogno di fare gettito sull'IRPEF o di cedere gettito sull'IRPEF. In questo modo, l'unico intervento di policy sarebbe variare la pendenza di tutta la curva. Quindi, quello che lei intravede come un pregio, quello di togliere al policy maker la possibilità di far confusione, usando un linguaggio proprio alla sede istituzionale, dentro la struttura delle aliquote, io vedo anche il problema, perché vuol dire che se ho bisogno di un gettito modesto, per farlo devo variare tutta la pendenza della progressività. Quindi, volevo un suo commento su questo.

  GIAN MARIO FRAGOMELI(intervento da remoto). Grazie, professor Visco. Mi scuso, perché non sono riuscito a leggere la relazione e oggettivamente ascoltarla oggi è stato complicatissimo. Quindi, anche io mi riservo di approfondire poi la relazione e inviarle delle domande. Volevo porle anche io due questioni. La prima si collega a quello che diceva poc'anzi il presidente. Presumo che alcune imposte a carattere locale e regionale vengano sostituite dalla compartecipazione alle imposte erariali, non facendo venir meno chiaramente la possibilità del mantenimento di determinate entrate non derivate da parte degli enti locali e delle regioni. L'altra questione che mi affascina e che prima il professor Stevanato ha evidenziato giustamente nelle sue criticità, riguarda la tassazione per cassa Pag. 22rispetto ai liberi professionisti e alle partite IVA con le problematicità che ha rispetto alla sua definizione dell'arco temporale e via dicendo. Vorrei capire quale sia il suo pensiero e secondo lei quanto questa ipotesi sia potenzialmente applicabile nel nostro sistema.
  In ultimo, rispetto al tema della flat tax e tutto ciò che in qualche modo riduce la base imponibile con l'applicazione di un regime differenziato, credo che sia un sistema da rivedere, però vorrei capire se secondo lei sia giusto mantenere delle forme di flat tax a tempo e quindi in alcune fattispecie e in alcuni settori, non solo legate all'aspetto generazionale e all'inizio dell'attività professionale, ma magari anche in risposta a crisi settoriali e a crisi che possono avvenire in determinati luoghi geografici della Penisola. Dico questo perché chiaramente potrebbe essere anche uno strumento di contrasto all'evasione fiscale in alcuni contesti e in altri magari è un modo anche per incentivare la ripresa delle attività in un contesto segnato da una crisi. Volevo quindi sapere se questo sistema della flat tax possa essere una risposta molto più confinata e limitata e non invece generalizzata, come oggi, rispetto ad un determinato reddito.

  EMILIANO FENU(intervento da remoto). Anche io ringrazio il professor Visco. Purtroppo abbiamo avuto difficoltà nell'ascoltare l'audizione, però tutti quanti abbiamo la sua relazione e la leggeremo con maggiore attenzione. Nella parte finale della relazione lei fa emergere il fatto che attualmente circa il 47 per cento del reddito prodotto, si riferisce al lavoro dipendente, paga oggi il 75 per cento del gettito fiscale complessivo. Immagino che in questo reddito prodotto non sia incluso il reddito non intercettato, cioè quel reddito prodotto, ad esempio, dai colossi più famosi che conosciamo del web attraverso il trattamento dei dati personali dei cittadini e poi la loro vendita e il loro utilizzo per poter trarre profitto in qualche modo. Siccome penso, ma non ho elementi o dati che mi confortino in questo senso, che questa fetta di reddito e di ricchezza sia molto elevata e possa ridurre ancora di più questo 47 per cento di reddito prodotto, se consideriamo la ricchezza e il reddito complessivamente prodotto, quindi il mio timore è sempre che, anche parlando di riforma dell'IRPEF – che sicuramente è importantissima – stiamo focalizzando la nostra attenzione su un'imposta e su una produzione di reddito che sta diventando non dico sempre più marginale, ma sicuramente sta diventando sempre di più quella meno importante in termini numerici.
  La mia domanda è: poiché è noto che queste società estere utilizzano i nostri dati personali come fosse materia prima per rivenderli o farne altri trattamenti produttivi di reddito, è possibile pensare a una forma di ristoro, di prelievo, di qualcosa che non sia una semplice web tax, ma che sia una sorta di risarcimento per i singoli cittadini per l'utilizzo di quello che di fatto è un bene pubblico? Stando alle stime che sono emerse, e di cui si è parlato tanto nei quotidiani, i dati personali dei cittadini europei ceduti in un anno, ad esempio, a Facebook pare valgano circa 7.000 miliardi. Non so se la cifra può essere realistica, ma in ogni caso è alta. Si può pensare a un modo nuovo di concepire il fisco anche attraverso forme di ristori diretti o indiretti, magari mediati dallo Stato, a favore dei cittadini?

  MASSIMO UNGARO(intervento da remoto). Ringrazio anche io il professor Visco per la relazione e per gli spunti molto utili. Mi scuso, perché ho avuto accesso alla relazione soltanto durante la sua audizione e avevo difficoltà con l'audio. Volevo fare due domande e mi scuso veramente se ha già toccato questi punti. La ringrazio perché ha dato degli strumenti utili per pensare come razionalizzare il tema delle spese fiscali. Lei ha parlato di mettere un tetto alle detrazioni al 19 per cento per esempio o a eliminare le spese fiscali che vanno a beneficio dei redditi medio-alti o anche a compiere una razionalizzazione delle spese fiscali nel settore immobiliare. Le volevo chiedere se ci sono altri elementi che forse non ha avuto il tempo di elaborare o di presentare e come lei penserebbe a razionalizzare il tema delle tax expenditures, le spese fiscali, che rappresentano un grande Pag. 23tema di cui tutti parlano ma rispetto al quale poche persone in Italia stanno fornendo consigli utili su come procedere. Volevo chiederle, quindi, se ci sono altri elementi su questo fronte.
  Un'altra domanda che volevo fare è invece come valuta l'introduzione nel nostro Paese di una no tax area più universale, sulla base della quale si potrebbe anche introdurre un'imposta negativa a beneficio della progressività, soprattutto per quella parte di redditi meno elevati.

  PRESIDENTE. Professore io le cedo la parola per la replica, sperando che il collegamento funzioni, però – come assicurazione, vediamo ora come va l'audio – le chiedo se lei è disponibile a rispondere in forma scritta a queste domande, in modo che abbiamo un backup nel caso in cui non funzioni la comunicazione, o comunque abbiamo in forma scritta le sue risposte, che sono sempre preziose. Intanto le cedo la parola, sperando che vada tutto liscio.

  VINCENZO VISCO, presidente dell'Associazione Nuova Economia Nuova Società – NENS (intervento da remoto). Naturalmente sono pronto a rispondervi per iscritto. La prima questione è la tassazione per i titoli di Stato. Per me il problema è teorico, ideologico. Dal punto di vista scientifico, se differenzio la tassazione tra diversi prodotti finanziari, creo possibilità di arbitraggio e questo non va bene. Non voglio incentivare l'allocazione delle risorse tra un prodotto finanziario e un altro. Inoltre, la maggior parte del vantaggio va all'intermediario. Quindi, sono assolutamente contrario. Ci sono motivi anche economici. Il fatto che gli italiani che possiedono direttamente o indirettamente questi titoli siano solo il 10 o il 12 per cento facilita l'operazione dal punto di vista politico. Negli anni Ottanta erano il 60, il 70, l'80 per cento dei titoli e quindi era impossibile. Questa sarebbe una pulizia che andrebbe fatta sulle nuove emissioni, gradualmente, e secondo me non avrebbe nessun impatto.
  Quanto al problema delle addizionali o delle sovraimposte, la cosa è molto semplice. Io sono favorevolissimo a mantenerle ai comuni e alle regioni. Il problema è se la calcolo costruendomi un'altra struttura con scaglioni e aliquote, come oggi avviene, e pure con le detrazioni, oppure semplicemente calcolando una percentuale dell'IRPEF statale, che andrebbe al comune o alla regione. In questo secondo modo la progressività complessiva dell'imposta rimane quella che è e non viene alterata. Tenete presente che oggi le addizionali vanno tutte a picchiare sul ceto medio, perché ogni comune e ogni regione non avrà particolare motivo di tassare di più i redditi alti e quindi si va a finire sulla stessa platea.
  Sulla curva continua o non continua, in natura matematica ci può essere uno shift parametrico, per cui la tendenza e la progressività non cambia, oppure ci possono essere correzioni in un senso o in un altro della progressività. Questo dipenderà dalle maggioranze politiche e dalle esigenze di gettito. È uno strumento estremamente flessibile. Le aliquote sarebbero ricavabili da tabelle o da una qualsiasi applicazione Internet, come succede oggi con l'IRPEF. Su questo non vedo problemi.
  Naturalmente, la questione di fondo è se noi vogliamo avere un'imposta che tassa in modo equilibrato tutti i livelli di reddito, fermo restando che quelli più poveri vanno esclusi, oppure avere una gobba che va essenzialmente sul ceto medio e sul lavoro dipendente, ma non solo, perché riguarda tutta quella fascia di redditi di cui parlavamo prima.

  PRESIDENTE. La ringrazio molto, ma si sente veramente male. Passerei direttamente alla versione scritta, quando ha tempo ovviamente, sperando sia a breve. Chiedo ai colleghi che hanno fatto domande o anche agli altri di inviare le domande alla segreteria della Commissione Finanze della Camera, ed entro questa sera provvederemo a inviarle al professor Visco e lei, professore, ce le rimanderà quando è pronto. Tutto verrà allegato agli atti dell'indagine e diffuso. Io comunque la ringrazio molto e mi dispiace per questo problema. Il suo contributo comunque è intatto sia nella relazione sia nelle domande e, anzi, avrà ancora più forza perché anche le risposte saranno cristallizzate in forma scritta. Pag. 24
  Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna dell'appendice alla relazione del professor Visco (vedi allegato 2) e del testo dei quesiti formulati dai commissari con le risposte del professor Visco (vedi allegato 3). Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.25.

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ALLEGATO 3

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