XVIII Legislatura

Commissioni Riunite (VI Camera e 6a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Lunedì 11 gennaio 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Marattin Luigi , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA RIFORMA DELL'IMPOSTA SUL REDDITO DELLE PERSONE FISICHE E ALTRI ASPETTI DEL SISTEMA TRIBUTARIO

Audizione in videoconferenza di rappresentanti
della Banca d'Italia
.
Marattin Luigi , Presidente ... 3 
Ricotti Giacomo , capo del Servizio assistenza e consulenza fiscale della Banca d'Italia (intervento da remoto) ... 3 
Marattin Luigi , Presidente ... 12 
Pittella Gianni  ... 12 
De Bertoldi Andrea  ... 13 
Fragomeli Gian Mario (PD)  ... 13 
Fenu Emiliano  ... 14 
Gusmeroli Alberto Luigi (LEGA)  ... 14 
Zanichelli Davide (M5S)  ... 15 
Trano Raffaele (Misto)  ... 15 
Bagnai Alberto  ... 16 
D'Alfonso Luciano , presidente della 6a Commissione del Senato della Repubblica ... 16 
Marattin Luigi , Presidente ... 17 
Ricotti Giacomo , capo del Servizio assistenza e consulenza fiscale della Banca d'Italia (intervento da remoto) ... 18 
Marattin Luigi , Presidente ... 20 
Ricotti Giacomo , capo del Servizio assistenza e consulenza fiscale della Banca d'Italia (intervento da remoto) ... 21 
Marattin Luigi , Presidente ... 21 

(La seduta, sospesa alle 16, riprende alle 16.05) ... 21 

Audizione in videoconferenza del direttore dell'Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini:
Marattin Luigi , Presidente ... 21 
Ruffini Ernesto Maria , direttore dell'Agenzia delle entrate (intervento da remoto) ... 21 
Marattin Luigi , Presidente ... 29 
Di Nicola Primo  ... 29 
Fragomeli Gian Mario (PD)  ... 30 
Marattin Luigi , Presidente ... 30 
Fenu Emiliano  ... 30 
Gusmeroli Alberto Luigi (LEGA)  ... 31 
D'Alfonso Luciano , presidente della 6a Commissione del Senato della Repubblica ... 31 
De Bertoldi Andrea  ... 32 
Trano Raffaele (Misto)  ... 32 
Marattin Luigi , Presidente ... 33 
Ruffini Ernesto Maria , direttore dell'Agenzia delle entrate (intervento da remoto) ... 33 
Marattin Luigi , Presidente ... 37 

Allegato 1: Documentazione depositata dal dottor Ricotti ... 38 

Allegato 2: Documentazione depositata dall'avvocato Ruffini ... 89

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Azione-+Europa-Radicali Italiani: Misto-A-+E-RI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Italiani in Europa: Misto-CD-IE;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Popolo Protagonista - Alternativa Popolare (AP) - Partito Socialista Italiano (PSI): Misto-PP-AP-PSI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA VI COMMISSIONE
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
LUIGI MARATTIN

  La seduta comincia alle 14.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione in videoconferenza di rappresentanti
della Banca d'Italia
.

  PRESIDENTE. Con l'audizione odierna avviamo la nostra indagine conoscitiva congiunta con la 6a Commissione Finanze e Tesoro del Senato presieduta dal senatore e presidente D'Alfonso, che saluto. È un'indagine deliberata nelle scorse settimane all'unanimità dagli Uffici di Presidenza delle predette Commissioni, che dovrebbe concludersi entro la fine di giugno. Come i colleghi sanno, è un'attività alla quale teniamo molto per dimostrare che anche gli episodi propedeutici a un'attività di riforma incisiva, seria e metodica possono vedere il coinvolgimento del Parlamento e magari, in alcuni casi, anche beneficiare di esso.
  Rivolgo un ringraziamento preventivo, oltre che ai colleghi e a tutti gli auditi, alle strutture e ai funzionari delle due Commissioni, in capo ai quali ci sarà un lavoro non indifferente, come in capo a tutti noi, perché si tratta di un'attività sulla quale puntiamo particolarmente.
  L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti della Banca d'Italia, con la quale, come già evidenziato, avviamo l'indagine conoscitiva sulla riforma dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e altri aspetti del sistema tributario.
  Ricordo che l'audizione si svolgerà in videoconferenza innanzi alle Commissioni riunite VI (Finanze) della Camera dei deputati e 6a (Finanze e Tesoro) del Senato della Repubblica, con la partecipazione da remoto dei deputati, dei senatori e dell'audito, conformemente alle disposizioni dettate dalla Giunta per il Regolamento della Camera dei deputati nelle riunioni del 31 marzo e del 4 novembre 2020 e dalla Giunta per il Regolamento del Senato della Repubblica nelle riunioni del 9 giugno e del 10 novembre 2020.
  Rivolgo quindi un saluto, anche a nome del presidente della 6a Commissione Finanze e Tesoro del Senato, Luciano D'Alfonso, al dottor Giacomo Ricotti, capo del Servizio assistenza e consulenza fiscale della Banca d'Italia, al quale do il benvenuto e che ringrazio sentitamente per la partecipazione.
  Darei quindi la parola al dottor Ricotti, al quale chiederei di limitare se possibile il proprio intervento a una trentina di minuti al massimo, al fine di lasciare poi adeguato spazio al successivo dibattito.

  GIACOMO RICOTTI, capo del Servizio assistenza e consulenza fiscale della Banca d'Italia (intervento da remoto). Signori presidenti, onorevoli senatori e deputati, ringrazio per l'invito rivolto alla Banca d'Italia a fornire un contributo all'indagine conoscitiva sulla riforma dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e di altri aspetti del sistema tributario.
  Come ha rilevato il Governatore, il sistema tributario italiano necessita di una Pag. 4riforma ampia e organica, che tenga conto della complessità delle funzioni che esso svolge e della molteplicità degli obiettivi che gli sono affidati.
  La riforma dovrebbe porsi come finalità principale quella di sostenere la crescita della nostra economia – fortemente provata non solo dalla grave crisi che stiamo vivendo, ma anche da un lungo periodo di ristagno – incentivando l'offerta di lavoro e l'attività d'impresa.
  Qualunque intervento di riforma dovrebbe inoltre evitare di aumentare il livello complessivo del prelievo fiscale, già alto nel confronto internazionale. Quest'ultimo risente in misura significativa dell'incidenza dell'economia sommersa e dell'evasione, che si traduce in una pressione fiscale effettiva troppo elevata per quanti rispettano pienamente le regole. Per favorire la crescita occorrerà, piuttosto, muovere verso una ricomposizione del prelievo fiscale a beneficio dei fattori produttivi. Interventi in questa direzione consentirebbero di minimizzare le distorsioni indotte dalla tassazione e favorire l'impiego efficiente ed efficace delle risorse. La necessità di non pregiudicare la sostenibilità dei conti pubblici richiede che, qualora la ricomposizione delle entrate risultante dalla riforma comportasse una perdita di gettito, questa andrà compensata con opportuni interventi di riduzione delle spese.
  Appare poi fondamentale semplificare e razionalizzare il quadro normativo, per garantire certezza nell'applicazione delle norme e coerenza dell'impianto impositivo, nonché per assicurare che il sistema tributario sia percepito come equo, affidabile e trasparente, sia nel Paese sia all'estero.
  Conformemente all'oggetto principale dell'indagine, nel corso dell'audizione mi soffermerò soprattutto sull'imposta personale sui redditi delle persone fisiche – IRPEF, esaminando alcune criticità dell'attuale sistema. Analizzerò anche alcune questioni che devono essere affrontate per garantire il carattere organico dell'intervento di riforma; esse attengono alle finalità che si desidera attribuire all'IRPEF, al modello di imposizione sui redditi e al conseguente coordinamento con le altre forme di prelievo sui redditi e sulla ricchezza; discuterò anche della possibile ricomposizione delle entrate. Infine, mi occuperò degli interventi necessari per preservare la riforma, riguardanti il processo di produzione e di manutenzione delle norme e il funzionamento della giustizia tributaria. Verranno evidenziate similitudini e differenze tra il sistema italiano e quello di altri Paesi, guardando in particolare ai principali Paesi dell'area dell'euro.
  Per ragioni legate alla durata del mio intervento, non tratterò il tema dei contributi sociali; una riforma dell'IRPEF non può però prescindere dal loro assetto. Per le stesse ragioni non affronterò, se non con qualche occasionale richiamo, argomenti altrettanto importanti per una revisione complessiva del sistema fiscale, ciascuno dei quali richiederebbe un approfondimento a sé stante. Mi riferisco, in particolare, alla tassazione applicata a livello territoriale e al suo rapporto con i prelievi erariali e alla necessità di rivedere il sistema tributario anche in chiave di sostenibilità ambientale.
  L'IRPEF rappresenta l'imposta più rilevante del sistema tributario italiano per gettito, pari a poco meno dell'11 per cento del PIL e al 40 per cento circa delle entrate fiscali. Il tributo assume come unità impositiva l'individuo e ha una struttura progressiva di aliquote per scaglioni di reddito. In 47 anni l'IRPEF è stata oggetto di numerosi interventi, che si sono stratificati nel tempo e hanno reso l'imposta estremamente complessa.
  La struttura attuale dell'IRPEF presenta diverse criticità dal punto di vista dell'efficienza e dell'equità della tassazione. Le principali, esaminate di seguito, riguardano l'evasione dell'imposta, l'erosione della base imponibile, il livello e l'andamento delle aliquote marginali effettive, oltre alla capacità redistributiva dell'imposta.
  L'evasione fiscale sottrae gettito all'erario e aggrava il prelievo sui contribuenti onesti. Genera condizioni di concorrenza sleale tra le imprese, favorendo quelle che evadono o che operano in settori dove è più facile sfuggire al fisco. Distorce scelte occupazionali, investimenti in capitale umano Pag. 5e offerta di lavoro. Può condizionare la crescita dimensionale e il tasso di innovazione delle imprese, con effetti negativi sul potenziale di crescita dell'economia.
  Alle radici di questo problema ci sono svariati fattori, inclusa la struttura frammentata del sistema economico, che rende difficili i controlli. Rilevano però anche il disegno molto articolato delle imposte, un impianto sanzionatorio poco efficace, le difficoltà per l'amministrazione finanziaria di utilizzare appieno i dati disponibili.
  Una stima dell'evasione dell'IRPEF, insieme a quella riguardante le altre imposte, è contenuta nella Relazione sull'economia non osservata e sull'evasione fiscale e contributiva, allegata alla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza.
  Secondo la Relazione, l'evasione relativa all'IRPEF ammontava nel 2018 a circa 38 miliardi (il 41 per cento del totale delle imposte evase); più di quattro quinti erano riconducibili a redditi da lavoro autonomo e d'impresa, il resto al lavoro dipendente irregolare. A titolo di confronto, i maggiori contributi al tax gap sono dovuti a IVA (circa 33 miliardi), IRES (circa 9 miliardi) e IRAP (circa 5 miliardi). In proporzione al gettito teorico, il gap dell'IRPEF sui redditi da lavoro autonomo e d'impresa (intorno al 68 per cento) è molto più alto di quello relativo a IVA, IRES e IRAP (con valori compresi tra il 20 e il 25 per cento).
  Rispetto agli altri Paesi, l'evasione fiscale risulta particolarmente elevata in Italia. Come è noto, la comparazione delle stime dell'evasione è difficoltosa a causa della diversità di dati e metodologie. Allo stato attuale, un confronto attendibile è possibile solo con riferimento all'IVA, una buona proxy della gravità del problema per tutto il sistema fiscale e per la quale l'Italia registra una delle più elevate differenze tra gettito teorico e gettito effettivamente incassato.
  L'aumento della compliance dell'IVA è anche il risultato di diversi interventi varati negli ultimi anni per il contrasto all'evasione, che hanno consentito all'Italia di registrare un miglioramento superiore alla media europea.
  Il contrasto all'evasione dell'IRPEF potrà trarre beneficio dalla riduzione del gap IVA, in particolare di quello dovuto alla sottofatturazione. L'estensione degli obblighi di fatturazione elettronica e l'introduzione della comunicazione telematica dei corrispettivi, che si realizzerà compiutamente solo nel 2021, pur a fronte di inevitabili costi una tantum di implementazione e adeguamento, appaiono suscettibili di incidere significativamente anche sull'evasione dell'IRPEF, riducendo allo stesso tempo il costo della compliance fiscale. In quest'ottica, il sistema di fatturazione elettronica andrebbe generalizzato, applicandolo a tutte le categorie di operatori economici.
  La base imponibile dell'IRPEF ha subito un fenomeno di erosione attraverso tre processi: per cedolarizzazione, ossia con la tassazione separata e proporzionale di alcuni cespiti; per proliferazione delle cosiddette spese fiscali, sotto forma di esenzioni, deduzioni e detrazioni; per obsolescenza dei valori tassati, come nel caso del mancato aggiornamento dei valori catastali.
  La cedolarizzazione era un tratto già presente alla nascita dell'imposta, con la tassazione proporzionale dei redditi di capitale. Negli ultimi due decenni ha interessato anche i redditi minimi d'impresa e di lavoro autonomo, i canoni di abitazioni locate e i premi di risultato dei dipendenti. La crescente estensione dei regimi di tassazione sostitutiva determina un carico diseguale tra le varie fonti di reddito, generando una violazione del principio di equità orizzontale e incidendo negativamente sulla capacità redistributiva dell'imposta. Questi effetti vengono poi amplificati dalla mancata applicazione a tali redditi delle addizionali comunali e regionali. Nel complesso, la cedolarizzazione riduce la base imponibile dell'IRPEF di circa un decimo, effetto in gran parte riconducibile a redditi finanziari e a redditi d'impresa e da lavoro autonomo.
  Nei principali Paesi dell'area dell'euro la scelta di tassare in via proporzionale è frequente per i redditi finanziari, ma non per i redditi da lavoro autonomo e di impresa. Pag. 6
  Anche l'incidenza delle spese fiscali è andata crescendo nel tempo. Nel 2019 quelle relative solo all'IRPEF erano 139, il 26 per cento di quelle riferite a tutte le imposte. Esse determinavano una riduzione di gettito di oltre 42 miliardi di euro.
  Larga parte delle riduzioni di gettito è riconducibile a poche voci, collegate a politiche consolidate in ambito abitativo, sanitario, previdenziale e scolastico. I benefici di alcune tendono a concentrarsi tra i contribuenti nei decili più alti di reddito con una riduzione della progressività dell'IRPEF. Qualora dalla revisione delle tax expenditures si volesse recuperare gettito a copertura di altre parti della riforma sarebbe inevitabile individuare le priorità tra le politiche settoriali.
  Infine, l'erosione è dovuta anche all'obsolescenza delle basi imponibili, fenomeno che riguarda i redditi determinati in modo forfetario o figurativo facendo riferimento ai valori indicati nei catasti immobiliari, che non sono aggiornati da diversi anni. Tali valori influiscono non solo sulla determinazione dell'IRPEF, ma anche di altre imposte, come l'IMU e il registro.
  La combinazione dei vari elementi di definizione della base imponibile e dell'imposta personale, del sistema dei contributi sociali e delle regole di erogazione dei trasferimenti determina il livello e l'andamento delle aliquote marginali effettive. Esse rivestono una particolare importanza poiché influiscono sull'offerta di lavoro, sull'evasione e sul lavoro irregolare.
  L'interazione tra i molteplici ed articolati parametri del sistema tax and benefit italiano – trasferimenti, aliquote, scaglioni, deduzioni, detrazioni e regimi sostitutivi, alcuni di questi con soglie di accesso e disegno decrescente rispetto al reddito – stratificatisi nel tempo in maniera non coerente tra loro, ha fatto sì che le aliquote marginali effettive siano molto diverse per valori di reddito simili, raggiungano un livello generalmente elevato anche per redditi contenuti e assumano un andamento erratico.
  Le caratteristiche dell'IRPEF spiegano una parte rilevante dell'andamento delle aliquote marginali. Un processo di riforma dell'imposta personale dovrà pertanto cercare di contenere le irregolarità nell'andamento delle aliquote marginali, anche per ridurre i disincentivi all'offerta di lavoro. Qualora si decidesse di mantenere l'attuale struttura dell'imposta, sarebbe opportuna una riorganizzazione unitaria del sistema di detrazioni e bonus e un ripensamento del loro disegno anche alla luce dell'interazione con scaglioni e aliquote legali. Al contempo, un processo di riforma dell'IRPEF non potrà prescindere dal riordino degli istituti a essa collegati, che andrà realizzato in maniera organica e coordinata.
  L'IRPEF riveste un ruolo rilevante nella complessiva capacità redistributiva del nostro sistema tax and benefit. Elaborazioni basate sul modello di microsimulazione della Banca d'Italia suggeriscono che siano ascrivibili all'IRPEF circa 4 dei complessivi 15 punti di riduzione dell'indice di disuguaglianza di Gini che si verifica nel passaggio dai redditi di mercato a quelli disponibili familiari equivalenti: al netto dei redditi da pensione, si tratta del contributo maggiore.
  Le principali componenti della struttura attuale dell'imposta giocano un ruolo diverso nel determinare questo risultato. Circa metà della capacità redistributiva dell'IRPEF è spiegata dal sistema di scaglioni e aliquote, poco più del 40 per cento dalle detrazioni e meno del 10 per cento dalla definizione della base imponibile, comprese le deduzioni. L'effetto regressivo dell'esclusione dalla progressività dell'IRPEF dei redditi da attività finanziarie e di quelli d'impresa e da lavoro autonomo inferiori a 65.000 euro risulta pari a circa 6 punti percentuali; esso è più che compensato dall'esclusione dalla base imponibile di altre componenti del reddito lordo.
  Infine, l'assenza di meccanismi di imposta negativa limita le possibilità di redistribuzione dell'IRPEF nei confronti dei soggetti incapienti, che avviene essenzialmente dai redditi più elevati a quelli intermedi.
  Per pervenire ad una riforma dell'IRPEF che abbia caratteristiche di organicità debbono essere affrontate diverse questioni Pag. 7di carattere generale. Tra le più rilevanti rientrano quelle sulle finalità dell'imposta, la definizione della base imponibile e il coordinamento con gli altri prelievi presenti nel sistema tributario.
  Un ripensamento dell'IRPEF all'interno di una più ampia riforma del sistema fiscale non può prescindere da una valutazione approfondita delle finalità che si intendano attribuire all'imposta e della funzione che essa debba svolgere all'interno del sistema di tax and benefit. Oltre a costituire il principale strumento di redistribuzione – e, quindi, di riduzione delle disuguaglianze – dal lato delle imposte, all'IRPEF sono oggi assegnati molteplici obiettivi, anche di natura extratributaria. Volendo perseguire una riforma organica, occorrerebbe riflettere su quali siano gli strumenti del sistema più adatti a perseguire ciascun obiettivo.
  In particolare, è necessario stabilire fin da subito se l'imposta personale debba svolgere un ruolo rilevante anche nelle politiche di contrasto alla povertà e di sostegno alla famiglia, o se invece sia più opportuno demandare tali compiti ad altri strumenti, che comunque andranno adeguatamente raccordati con l'IRPEF.
  Attualmente alcune caratteristiche dell'IRPEF non la rendono adatta a perseguire tali finalità. Innanzitutto, per attribuire determinate prestazioni o integrazioni è preferibile far riferimento ai mezzi posseduti dalla famiglia, piuttosto che dal singolo individuo. Inoltre, ricorrere unicamente al solo reddito dichiarato ai fini IRPEF appare riduttivo, problema ulteriormente aggravato dai fenomeni dell'evasione e dell'erosione della base imponibile. Infine, l'assenza di forme di imposta negativa non consente di intervenire nei casi in cui i soggetti che avrebbero diritto a integrazioni del reddito ricadano all'interno della no tax area.
  Altri strumenti, che tengano conto sia del patrimonio posseduto sia del reddito percepito, sono in grado di individuare più correttamente i destinatari degli aiuti attraverso modalità di means testing su base familiare. In quest'ambito va quindi valutata positivamente l'opera di razionalizzazione dei sussidi alla famiglia, già avviata con l'assegno unico e universale di prossima istituzione.
  Subito dopo le finalità dell'imposta, occorre decidere quale debba essere la sua base imponibile e, in particolare, quanto ampia e quali redditi debba ricomprendere. La scelta andrà collocata tra i due poli della comprehensive income taxation e del sistema cedolare.
  Nei sistemi di tassazione adottati in quasi tutti i Paesi convivono elementi riconducibili ai due modelli impositivi. In particolare, i cosiddetti sistemi di tipo duale limitano la progressività ai soli redditi da lavoro e applicano ai redditi da capitale un'aliquota proporzionale pari a quella del primo scaglione dell'imposta sul reddito.
  Il sistema italiano, seppur ispirato al modello della comprehensive income taxation nelle proposte iniziali della Commissione Cosciani, ha assunto sin dall'origine i connotati di un sistema duale, per l'esclusione dalla base imponibile dei redditi finanziari.
  Sempre nell'ambito della definizione della base imponibile rientra la scelta dell'unità impositiva, che può essere l'individuo, come nell'IRPEF attuale, o la famiglia. Questa decisione ha importanti conseguenze per l'equità e l'efficienza. La tassazione su base familiare, che sul piano dell'equità consentirebbe di tenere conto delle economie nel consumo realizzabili tra conviventi, sul piano dell'efficienza accentuerebbe il problema – molto grave nel nostro Paese – della bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro, alzando l'aliquota marginale effettiva del secondo percettore di reddito della famiglia. Sarebbe forse preferibile confermare la scelta dell'individuo come unità impositiva; gli effetti indesiderati sull'equità di tale opzione sono di fatto mitigati dal recente potenziamento degli strumenti di lotta alla povertà, che si basano su una misura familiare di capacità reddituali e patrimoniali, e dal previsto avvio dell'assegno unico e universale per i figli.
  Il disegno di un sistema di tassazione del reddito personale richiede un coordinamento con altre forme di prelievo. I casi in cui questa necessità è più evidente riguardano Pag. 8 la tassazione sulle imprese, quella sui redditi finanziari e quella sul patrimonio.
  Il reddito d'impresa, in funzione delle scelte organizzative adottate dall'imprenditore, può essere assoggettato a imposta personale o a imposta societaria. Motivazioni basate su costi di adempimento e complessità organizzative inducono a prospettare differenti trattamenti tributari tra soggetti che svolgono attività d'impresa: la variabile dimensionale può essere utilizzata come indicatore della diversa gradazione degli adempimenti richiesti. Allo stesso tempo, per i soggetti di maggiori dimensioni il coordinamento tra i due prelievi risulta necessario proprio per evitare che differenti trattamenti fiscali distorcano le scelte organizzative, con una inefficiente allocazione delle risorse.
  Nel sistema attuale rientrano nell'ambito della tassazione personale i redditi degli imprenditori individuali e dei soci delle società di persone. Sono previsti tre regimi fiscali, con adempimenti di complessità crescente: si passa da adempimenti minimi, per gli imprenditori individuali, a regimi di contabilità semplificata e contabilità ordinaria, con determinazione analitica del reddito e inclusione dello stesso nella base imponibile dell'IRPEF.
  Le differenze tra i regimi di contabilità semplificata e ordinaria riflettono differenze organizzative che dovrebbero connotare le imprese per le diverse dimensioni, a prescindere dai vincoli fiscali. Maggiori e più incisive sull'entità del prelievo fiscale sono le differenze tra i contribuenti soggetti al regime forfetario e gli altri: esse possono incentivare l'evasione o condurre a scelte organizzative subottimali per evitare il forte aggravio fiscale derivante dall'uscita dal regime più favorevole.
  Sono apprezzabili le semplificazioni previste dal regime forfetario per i soggetti di minori dimensioni, anche per evitare che oneri di compliance elevati rappresentino barriere all'entrata sul mercato. Sotto il profilo del prelievo, l'esperienza di altri Paesi europei indica come il reddito di questi soggetti, anche se determinato forfetariamente, possa essere incluso nella base imponibile dell'imposta progressiva personale, evitando gli effetti di erosione propri del sistema italiano.
  La tassazione del reddito d'impresa in IRPEF dei soggetti di maggiori dimensioni dovrebbe poi essere coordinata con quanto previsto dall'imposta sulle società. Andrebbero superate le attuali differenziazioni basate unicamente sulla forma giuridica assunta dall'impresa, in modo da equiparare il trattamento fiscale tra soggetti similari sotto il profilo dimensionale e reddituale, sempre per evitare che scelte organizzative non efficienti siano dettate essenzialmente da motivi fiscali. Andrebbero uniformate sia le regole di determinazione della base imponibile, sia le modalità e le misure del prelievo.
  Per quanto riguarda i redditi finanziari, nell'ottica della riforma dell'IRPEF occorre innanzitutto scegliere fra l'attuale sistema di tassazione sostitutiva e l'inclusione nella base imponibile soggetta a tassazione progressiva.
  La tassazione progressiva consentirebbe di accrescere la capacità redistributiva del sistema tributario. Tuttavia essa presenta una serie di problemi di non facile soluzione.
  In primo luogo, comporterebbe un aumento del costo del capitale per le imprese e maggiori incentivi al trasferimento all'estero dei capitali, sebbene oggi attenuati dai progressi compiuti nello scambio di informazioni. In secondo luogo, renderebbe ancora più rilevanti la questione della doppia imposizione economica dei redditi partecipativi, dovuta al prelievo a livello societario e in capo ai soci, e quella del trattamento da riservare alle plusvalenze, che possono maturare in un arco temporale pluriennale. In assenza di correttivi, assoggettare queste componenti di reddito a tassazione progressiva potrebbe essere molto penalizzante e accentuare l'effetto di tax deferral, ossia, il differimento delle vendite per massimizzare il beneficio finanziario derivante dal rinvio della tassazione. Infine, invertire il paradigma adottato fin dall'introduzione dell'IRPEF comporterebbe una revisione completa del sistema di amministrazione di questi prelievi, Pag. 9 con costi significativi sia per l'Amministrazione finanziaria sia per gli intermediari e, di riflesso, per gli stessi risparmiatori.
  Per tenere conto di tali problemi, razionalizzando l'attuale sistema, si potrebbe considerare la possibilità di realizzare compiutamente il modello di tassazione duale, assoggettando i redditi da investimenti finanziari a un'unica aliquota, allineata a quella prevista per i redditi d'impresa.
  Nel panorama internazionale, la tassazione dei redditi finanziari è attualmente informata prevalentemente a modelli che si avvicinano a quello duale, essendo basati su una tassazione proporzionale dei proventi; a differenza dell'Italia, negli altri Paesi sono previste disposizioni per ridurre il prelievo sui contribuenti con redditi più bassi.
  Una realizzazione compiuta del modello duale comporterebbe l'applicazione generalizzata della tassazione proporzionale anche ai redditi derivanti da altri impieghi del capitale, già oggi possibile per alcuni redditi da investimenti in immobili.
  Oltre al sistema di tassazione, omnicomprensivo o duale, la riforma dovrà affrontare con attenzione anche altre questioni dell'imposizione sui redditi finanziari, relative alla determinazione della base imponibile, al timing del prelievo e alla doppia tassazione economica dei redditi partecipativi.
  Un tema rilevante che è opportuno discutere nell'ambito di una riforma organica della tassazione riguarda l'imposizione sui patrimoni e la sua interazione con l'imposizione personale sui redditi. La tassazione sui patrimoni è uno strumento che può affiancare l'imposta sui redditi per conseguire i livelli desiderati di progressività del prelievo complessivo, particolarmente nei modelli di tipo duale, e correggere le carenze degli altri prelievi sulla ricchezza, tenendo però conto degli effetti avversi sulla crescita. Si tratta, in ogni caso, di un tema alquanto dibattuto nella letteratura economica, sul quale sono stati avanzati diversi argomenti a favore e contro, che sono riportati nel documento depositato.
  Le imposte patrimoniali possono avere natura personale o reale. Sebbene condividano in larga parte vantaggi e svantaggi indicati dalla letteratura, esistono differenze legate all'ambito soggettivo e oggettivo di applicazione. Le prime sono solitamente applicate alla ricchezza netta complessiva della famiglia, con aliquote progressive e fasce di esenzione; le patrimoniali reali colpiscono determinate categorie di beni posseduti dai singoli, con aliquote proporzionali. Le prime, pur preferibili da un punto di vista teorico, incontrano rilevanti difficoltà applicative, legate soprattutto alle possibilità di elusione. Queste difficoltà non si incontrano invece con le patrimoniali reali; queste ultime, pur non tenendo conto della situazione soggettiva degli individui e delle famiglie, presentano il pregio di una relativa semplicità amministrativa. Inoltre, con le patrimoniali reali è possibile anche graduare diversamente il prelievo in funzione della natura del bene tassato, tenendo in considerazione le caratteristiche di mobilità e i rischi di elusione e/o evasione che contraddistinguono le diverse attività e l'eventuale assoggettamento ad altre imposte.
  Attualmente in Italia, pur in assenza di un'imposizione di tipo personale sulla ricchezza, esistono diverse forme di prelievo sul patrimonio, non prive di criticità.
  Per l'imposta di bollo, l'applicazione in somma fissa per alcune attività e proporzionale per altre può comportare distorsioni nelle scelte di investimento.
  Nel caso dell'IMU, la principale criticità risiede nel mancato aggiornamento dei valori catastali, che determinano l'imposta effettiva, ai valori di mercato. In assenza di una revisione delle rendite, l'IMU comporta un trattamento relativamente più favorevole per i proprietari di immobili più vetusti, siti spesso in zone più centrali, con rendite solitamente meno aggiornate, e una penalizzazione per i proprietari di immobili di più recente costruzione, tipicamente siti in zone più periferiche. Infine, l'imposta sugli immobili è caratterizzata in Italia da una anomalia rispetto agli altri Paesi in quanto non si applica alle abitazioni principali. Pag. 10
  Attenzione va prestata agli effetti della coesistenza di diverse tipologie di prelievo. Nel sistema italiano l'interazione di imposte patrimoniali e reddituali può determinare un carico tributario complessivo prossimo, se non superiore, a quello che si avrebbe se gli stessi redditi fossero soggetti all'aliquota marginale massima dell'IRPEF. L'applicazione del bollo sulle attività finanziarie implica un prelievo fiscale complessivo sul reddito che aumenta al diminuire dei rendimenti: ai tassi attuali, anche senza considerare l'inflazione, può arrivare a livelli superiori all'aliquota marginale dell'IRPEF del 43 per cento. Livelli elevati di prelievo si hanno anche nel caso degli immobili locati, dato che l'IMU si somma all'imposizione sostitutiva mediante cedolare secca o a quella progressiva sui redditi.
  I prelievi di carattere reale sono presenti in tutti i maggiori Paesi europei per gli immobili e di norma riguardano anche l'abitazione principale; viceversa, a differenza dell'Italia nessun Paese applica imposte patrimoniali di tipo reale sulla ricchezza finanziaria, anche se il Belgio ne ha annunciato l'introduzione lo scorso mese di novembre.
  Le difficoltà amministrative e un'ampia possibilità di evasione ed elusione hanno nel tempo portato all'abrogazione dell'imposta patrimoniale personale in molti Paesi europei soprattutto a fronte di un gettito molto contenuto. I Paesi che l'hanno mantenuta hanno tenuto conto di considerazioni più generali sul tax mix ritenuto più adatto al proprio contesto economico. Attualmente solo Norvegia, Spagna e Svizzera applicano imposte patrimoniali personali.
  Nell'analisi condotta finora ho evidenziato i principali aspetti da considerare per una riforma organica dell'IRPEF: la struttura del tributo, agendo sugli elementi che determinano aliquote marginali erratiche e sulle criticità dovute all'erosione; la ripartizione delle finalità tra l'IRPEF e gli altri strumenti presenti nel sistema di tax and benefit. Infine, qualunque sia il modello di tassazione prescelto, occorre tenere conto dell'interazione tra l'imposta personale e altri prelievi su reddito d'impresa, redditi finanziari e patrimonio, considerando gli effetti sul costo del capitale e sulla progressività complessiva del sistema, nonché gli impatti delle scelte sugli oneri di compliance.
  Una revisione del sistema fiscale deve contribuire alla ripresa dell'economia italiana. Come la Banca d'Italia ha più volte sostenuto, in linea con le raccomandazioni della Commissione europea e di altri organismi internazionali, è necessario ridurre il carico fiscale sui fattori produttivi per incentivare l'offerta di lavoro e gli investimenti, favorendo così la crescita. A tal fine, va valutata una diversa ripartizione del prelievo tra le basi imponibili, senza aumentare la pressione fiscale complessiva.
  Anche se negli ultimi anni diversi interventi hanno concorso a diminuire il livello dell'imposizione, l'Italia, nel confronto internazionale, si caratterizza ancora per l'alta incidenza del carico fiscale sul capitale e soprattutto sul lavoro.
  Dati i vincoli di bilancio, a parità di spesa pubblica, ulteriori riduzioni del prelievo sul lavoro potrebbero essere finanziate attraverso un maggiore carico fiscale sui consumi e sulla ricchezza, considerato meno dannoso per la crescita.
  Il confronto internazionale mostra come il livello di prelievo effettivo sui consumi in Italia sia tra i più bassi in Europa, anche per il limitato apporto dell'IVA.
  Su di esso influisce l'elevato compliance gap dell'IVA, ma anche l'erosione dell'imposta, il cosiddetto policy gap, dovuta ad una struttura del tributo caratterizzata da esenzioni, regimi speciali e aliquote ridotte. Entrambe le componenti risultano per l'Italia superiori alla media dell'area dell'euro.
  Una ricomposizione del prelievo dai redditi da lavoro ai consumi potrebbe essere ottenuta, oltre che con un rafforzamento degli strumenti di contrasto all'evasione dell'IVA, riducendo l'erosione dell'imposta. Un intervento sul policy gap, a fronte di possibili vantaggi sul piano dell'efficienza, può comportare effetti distributivi avversi, visto il profilo regressivo dell'IVA rispetto al reddito. Questi effetti potrebbero essere contenuti rivedendo appropriatamente la struttura delle aliquote e l'allocazione di Pag. 11beni e servizi tra le stesse. Nel valutare la portata di tali effetti, va comunque considerato anche il potenziamento del sistema dei trasferimenti sociali a favore delle famiglie appartenenti ai decili di reddito più bassi, avviato in anni recenti prima con il Reddito di inclusione e poi con il Reddito di cittadinanza.
  Ad ogni modo, qualsivoglia ipotesi di riforma dell'IVA dovrà tenere conto dei vincoli comunitari, per non incorrere in procedure di infrazione e generare incertezza per gli operatori economici.
  Oltre che con il maggiore prelievo sui consumi o in combinazione con esso, una riduzione del carico fiscale sul lavoro potrebbe essere attuata con un aumento dell'imposizione sulla ricchezza. In tale ambito, si potrebbero rivedere le attuali imposte reali sulla ricchezza immobiliare e finanziaria. Qualunque intervento in questa direzione dovrebbe tenere conto del diverso impatto di queste forme di tassazione sulla crescita.
  La letteratura economica riconosce nella tassazione dei patrimoni immobiliari una forma di prelievo poco distorsiva. Sebbene in linea con la media europea, il livello della tassazione sugli immobili in Italia è inferiore a quello di Paesi comparabili per dimensioni e struttura economica.
  Dati i vincoli del nostro bilancio pubblico, un maggiore prelievo sul possesso di immobili per finanziare un minor carico sui fattori produttivi potrebbe rappresentare un'opzione di riforma favorevole alla crescita. Alcune recenti simulazioni mostrano come sia possibile disegnare interventi congiunti di riduzione delle imposte sul lavoro e di revisione della tassazione immobiliare, che nel loro insieme consentano di ottenere contestualmente un impatto economico positivo ed effetti redistributivi non avversi.
  Più marcate potrebbero essere le distorsioni, in termini di rischi di evasione e di effetti sulla crescita, di un aumento della tassazione sulla ricchezza finanziaria, soprattutto per i possibili riflessi negativi sul costo del capitale delle imprese.
  Come ricordato in apertura dell'audizione, una riforma organica dell'IRPEF e di altre imposte dovrebbe avere, tra i suoi obiettivi, la semplificazione e razionalizzazione del quadro normativo; inoltre, una volta realizzata, la riforma andrebbe preservata dal rischio di nuove destrutturazioni. Affinché ciò avvenga, la riforma dovrebbe essere accompagnata da interventi su altri aspetti del sistema fiscale, che lo rendano più trasparente, più stabile e certo e quindi più prevedibile e semplice per il contribuente.
  Fra gli interventi possibili, tre sembrano prioritari: uno «a monte» delle norme, con una disciplina più stringente sulla produzione legislativa; e due «a valle» delle stesse, ossia il riordino delle disposizioni esistenti in testi unici e una riforma della giustizia tributaria.
  Già nel 1950 Cesare Cosciani lamentava l'impossibilità di razionalizzare il sistema, sottolineando come la continua ed estemporanea produzione di norme tra loro poco o nulla coordinate conducesse a un sistema di difficile comprensione anche per esperti della materia. Il rilievo sembra ancora di attualità: con l'eccezione dei decreti legislativi redatti in base a leggi delega, il resto della produzione normativa è ormai da tempo affidata a decreti-legge emanati durante tutto l'anno e alla sessione di bilancio di fine anno. Si tratta di strumenti legislativi caratterizzati da tempi di approvazione e discussione ristretti e quindi inevitabilmente insufficienti per la formulazione di testi completi e chiari. Il risultato di queste modalità di legiferare è la stratificazione di circa un migliaio di fonti primarie e secondarie, a cui si aggiungono circolari e istruzioni applicative.
  La nostra Costituzione contiene un limite alla legislazione tributaria ed è l'esclusione da referendum delle questioni tributarie. A livello di norme ordinarie vi è poi l'articolo 4 dello Statuto del contribuente, che vieta di usare il decreto-legge per istituire nuovi tributi o per estendere tributi esistenti ad altri soggetti passivi. Tale divieto potrebbe essere esteso a tutti i casi in cui risulti opportuna e necessaria una più approfondita elaborazione e discussione delle proposte di modifica del sistema. Il tutto avendo sempre presente Pag. 12l'opportunità – da tempo e da molti affermata – di elevare alcuni principi generali dello Statuto al rango di normativa costituzionale.
  La qualità della legislazione tributaria presenta profili di criticità non solo in relazione alla produzione delle norme, ma anche per il loro stato attuale.
  Il consolidamento, vale a dire il mero riordino in testi unici compilativi delle norme esistenti, senza modifiche sostanziali, avrebbe un effetto positivo in termini di certezza e chiarezza; esso potrebbe fornire anche indicazioni per la riforma del sistema, mettendo in evidenza incoerenze e duplicazioni di regole e istituti e ponendo le basi per una razionalizzazione delle disposizioni esistenti. La codificazione permetterebbe la revisione sostanziale delle norme e la creazione di un sistema come quello ipotizzato in sede costituente.
  L'assetto attuale della giustizia tributaria risale alla riforma del 1992. Tale riforma ha, tra l'altro, confermato la scelta di affidare la giurisdizione sulle liti fiscali ad organi specializzati – le Commissioni tributarie provinciali e regionali – e definito l'articolazione del processo tributario in tre gradi di giudizio.
  I giudici tributari sono nominati sulla base di una selezione che avviene per titoli e non per pubblico concorso; sono previsti anche giudici non togati, che provengono dai ruoli degli enti pubblici o sono appartenenti in prevalenza alle professioni giuridico-economiche.
  Obiettivo della disciplina in materia di giustizia tributaria è anche filtrare le liti prima che arrivino dinanzi alle Corti. I Paesi di civil law affidano tale funzione a istituti deflattivi. Gli interventi normativi degli ultimi anni hanno potenziato questa capacità di filtro, con percorsi di risoluzione cooperativa delle controversie: in quest'ambito, l'innovazione di maggiore impatto è stata l'introduzione del reclamo-mediazione obbligatorio.
  Anche grazie al contributo degli strumenti deflattivi, nell'ultimo decennio il numero dei giudizi pendenti dinanzi le Commissioni tributarie provinciali e regionali è progressivamente diminuito (da circa 700.000 nel 2010 a 335.000 nel 2019). Nello stesso periodo, il numero delle pendenze dinanzi la Cassazione è invece aumentato, come anche la durata media dei giudizi, attestatasi nel 2019 a circa 4 anni, che vanno ad aggiungersi ai 4 anni circa di durata media complessiva dei giudizi di merito nei gradi precedenti.
  Il modello esistente non sembra del tutto adeguato all'importanza che la giustizia tributaria ha per il funzionamento del sistema economico, oltre che fiscale, e all'evoluzione dell'ordinamento tributario verso regole di compliance sempre più imperniate sulla collaborazione e sulla parità tra fisco e contribuente. Esso può generare incertezza sull'applicazione delle regole fiscali, riducendo la propensione agli investimenti delle imprese e condizionandone le scelte di localizzazione in Italia. Nel quadro di una possibile riforma della giustizia tributaria italiana, alcuni tratti del modello attuale non presentano criticità, come ad esempio, la giurisdizione delle Commissioni tributarie, quali organi dedicati, per la natura di «massa» e l'elevata specializzazione tecnica del contenzioso tributario; altri aspetti dovrebbero invece essere oggetto di riflessione: tra questi, l'organico e i processi di selezione dei giudici.

  PRESIDENTE. Grazie dottor Ricotti per la relazione che, come lei ricordava, contiene anche altri approfondimenti, appendici e informazioni quantitative che sono sempre preziose, soprattutto quando svolte dalla Banca d'Italia. Come forse ricordavo, la relazione è sin da stamattina disponibile ai colleghi nell'applicazione GeoCamera.
  Invito i colleghi che intendono formulare quesiti od osservazioni a prenotarsi e a contenere, se possibile, il loro intervento in qualche minuto, in modo da consentire non solo a tutti i colleghi di poter effettuare affermazioni, domande, suggerimenti e commenti, ma anche al dottor Ricotti poi di poter intervenire in replica.

  GIANNI PITTELLA. Grazie per la relazione che abbiamo ascoltato con grande interesse. Ho tre domande, ma sarò telegrafico. Prima: ritiene che alla riforma dell'IRPEF Pag. 13 debba accompagnarsi anche lo spostamento di una parte di tassazione dalle imposte dirette a quelle indirette? Seconda domanda: riterrebbe utile un sistema di detrazioni più ampio per incentivare la fedeltà fiscale? Infine: come valuta o come valuterebbe la ripartizione del carico fiscale su base familiare e non su base delle singole persone fisiche?

  ANDREA DE BERTOLDI. Ringrazio anch'io il dottor Ricotti per la sua collaborazione, che ci riserviamo sicuramente di approfondire nelle prossime ore. In questa fase mi limiterei a due considerazioni sull'impianto e sull'analisi complessiva del sistema fiscale. Quello che voglio chiedere al capo Servizio è se non ritiene che, al di là del meccanismo di tassazione e della modifica delle aliquote, la semplificazione sia forse uno dei temi principali del sistema fiscale italiano e quindi uno degli obiettivi da perseguire.
  Io parlo da commercialista, anche con riferimento ai problemi che i colleghi della Consulta dei parlamentari commercialisti hanno più volte sottolineato. Tutti noi ci troviamo quotidianamente di fronte al problema dell'interpretazione delle norme fiscali. Io direi che, per quanto mi riguarda, uno dei primi aspetti che dovremmo porci sia quello della semplificazione, che vuol dire anche certezza del diritto, non solo per i professionisti come noi, ma soprattutto per gli imprenditori che, magari anche dall'estero, vogliono investire nel nostro Paese e che oggi si trovano a cozzare contro un coacervo di norme spesso non determinabili con certezza.
  Le rivolgo un'altra domanda che comunque è collegata alla precedente: non ritiene, dottor Ricotti, che forse si debba andare nella direzione di un rinnovato protagonismo del Dipartimento del Ministero dell'economia e delle finanze dedicato alla materia fiscale? In questi ultimi quindici o venti anni l'Agenzia delle entrate, secondo me, ha esorbitato dal proprio ruolo e spesso è diventata la vera fonte interpretativa delle norme tributarie, mentre questo compito dovrebbe essere a mio giudizio ricollocato nell'ambito del dedicato Dipartimento del Ministero dell'economia e delle finanze.
  Per concludere, il terzo aspetto. Nell'ambito della tassazione patrimoniale, che lei ha toccato, io penso ad esempio a un tema che mi è caro da tempo, quello del superbollo. Le domando: non ritiene che questa tassazione in realtà poi si rifletta in modo negativo sulle casse dello Stato? Perché ovviamente quanto più si vanno a tassare i patrimoni tanto più si disincentivano gli investimenti delle ricchezze. È un aspetto sul quale mi piacerebbe sentire anche il suo parere.

  GIAN MARIO FRAGOMELI(intervento da remoto). Grazie al dottor Ricotti. Tre questioni velocissime. La prima. Lei giustamente ha sollevato la problematica relativa al gap IRPEF sul lavoro autonomo e in qualche modo ha evidenziato la problematicità della tassazione sostitutiva e della riduzione della relativa base imponibile.
  Su questo vorrei capire quale sviluppo secondo lei, all'interno di una riforma organica dell'IRPEF, potrebbe essere centrato e perseguito per evitare quell'effetto, che lei ci ha ribadito, delle scelte subdimensionali da parte dei lavoratori autonomi, arrivando a un superamento delle attuali forme di flat tax, che creano questo problema, ma che comunque contenga un'agevolazione rispetto a determinate categorie di lavoratori autonomi.
  L'altra questione molto interessante che lei ci poneva era quella delle tax expenditures. Lei ha sorvolato, non è entrato nel merito di una riforma organica; ha individuato alcuni sconti fiscali prioritari. Però vorrei che anche qui facesse un ulteriore approfondimento e ci dicesse, all'interno di una riforma degli sconti fiscali, quale dovrebbe essere un indirizzo maggiormente perseguibile rispetto ad altri.
  In ultimo, sulla tassazione dei redditi finanziari, lei ha parlato di esperienze straniere legate a una tassazione più bassa nei confronti dei redditi più bassi. Volevo capire come perseguire – mi sembra un poco complicata anche questa fattispecie – una riforma della tassazione dei redditi finanziari, che lei ci ha detto essere particolarmente critica. Mi fermo qui, anche se sarebbe interessante sviluppare il tema dell'imposizione patrimoniale, ma credo che Pag. 14da questo punto di vista dovremmo avere qualche elemento in più.

  EMILIANO FENU(intervento da remoto). Io avrei soltanto una domanda su un passaggio della relazione relativo all'effetto regressivo – quindi sull'esclusione della progressività IRPEF – del regime forfettario, quello che conosciamo e che si applica al di sotto dei 65.000 euro.
  In un passaggio lei dice che la differenza, rispetto a un regime ordinario, sarebbe pari a circa sei punti percentuali. Questo corrisponderebbe in qualche modo all'erosione della base imponibile in caso di assoggettamento al regime forfettario; però nel passaggio immediatamente successivo è scritto: «Esso è più che compensato dall'esclusione dalla base imponibile di altre componenti del reddito lordo». Tutti pensiamo alla deducibilità, ad esempio, dei contributi obbligatori per i lavoratori autonomi, ma le chiedo conferma. A me in realtà sembra che in questo passaggio si dica l'esatto contrario di quello che dovrebbe essere il significato del paragrafo precedente. Si parla di erosione della base imponibile IRPEF, però in questo caso si dice che in realtà l'erosione del regime forfettario è più che compensata dall'esclusione di alcuni oneri deducibili. Quindi, di fatto, non c'è più erosione.
  Io faccio il commercialista di professione, oltre a essere parlamentare, e la sensazione era che in realtà il regime forfettario non era sempre economicamente conveniente, ma comunque lo si sceglieva perché si preferiva magari pagare anche un po' di più ma avere maggiore semplificazione. Non crede che in questo caso il regime forfettario vada escluso dalle considerazioni relative ai regimi che causano l'erosione della base imponibile e un regime di questo tipo sia da privilegiare per i contribuenti e i lavoratori autonomi con un basso fatturato? Questo proprio perché non c'è nessuna erosione ma si semplifica la vita, perché comunque la burocrazia fiscale è il problema principale per questo tipo di contribuenti.

  ALBERTO LUIGI GUSMEROLI(intervento da remoto). La ringrazio per il suo intervento. Io credo che la soluzione alla grande evasione ed elusione d'imposta sia da ricercare in due direzioni.
  La prima è la semplificazione fiscale e contabile – direi anche burocratica – e poi la diminuzione delle imposte. Il regime di flat tax da 65.000 euro ha sostanzialmente inciso sull'emersione del sommerso, perché quando è stato avviato nel 2018 – anche se era un'estensione di un regime già esistente e che addirittura risale ai tempi di quella che viene chiamata la Visentini-ter, quindi nel 1985 – il Ministero dell'economia e delle finanze, la Ragioneria generale dello Stato e tutti gli studiosi dicevano che bisognasse coprire il mancato gettito, perché si introduceva una riduzione di imposte, soprattutto per quelli che iniziano l'attività, posto che i redditi dei primi cinque anni sono tassati al 5 per cento. In realtà si è visto che c'è stata un'enorme adesione a questo regime, c'è stata un'enorme emersione del sommerso e non solo perché l'aliquota è inferiore – come lei ha evidenziato: i sei punti, eccetera – ma perché c'è una forte semplificazione. Sostanzialmente non è neanche necessario il commercialista – e io faccio il commercialista – si fa solo la dichiarazione dei redditi, una volta l'anno, non ci sono problemi di IVA, eccetera.
  Ciò è assolutamente in linea con un concetto, che per me è chiarissimo – facendo anche il commercialista da una trentina d'anni – e cioè che in primo luogo la riforma IRPEF deve semplificare se vuol far emergere la materia imponibile e dall'altro lato deve diminuire l'imposta. Ma siccome il bilancio dello Stato è quello che è, siccome sappiamo che i soldi del Recovery Fund non sono utilizzabili per la diminuzione delle imposte, è chiaro che la semplificazione è la prima via maestra. Questo non si sposa con quello che lei ha detto, e anche il collega ha evidenziato una contraddizione nella vostra relazione. Io sono convinto che invece bisogna andare verso una fortissima semplificazione e anche una fortissima forfettizzazione.
  Per ciò che riguarda invece gli aspetti tra imposte reddituali e patrimoniali, io ritengo sinceramente che 20 miliardi di euro di imposta patrimoniale sulla casa Pag. 15siano non solo sufficienti, ma eccessivi. Le devo dire con sincerità che su quel tipo di imposta, l'IMU, o la nuova IMU – fusione di IMU e TASI – bisogna incidere fortemente, perché ci sono delle situazioni che sono assolutamente ingiuste. Io penso per esempio ai fabbricati occupati su cui si paga l'IMU, ai fabbricati inagibili o ai fabbricati sfitti temporaneamente che dovrebbero in qualche modo essere agevolati, soprattutto in una situazione come quella attuale nella quale le possibilità di incremento dei fabbricati sfitti sono altissime. La mia domanda è sostanzialmente: abbiamo chiaro qual è il livello di tassazione patrimoniale già esistente in Italia? Noi della Lega avevamo nel nostro progetto di fusione IMU-TASI anche la riduzione dell'IMU in generale e in particolare su quei tre casi che ho segnalato: immobili occupati – essendo assolutamente ingiusto pagare l'IMU su un fabbricato che è occupato da terze persone e su cui non si ha la possibilità di intervenire – immobili inagibili, perché non sono utilizzabili, e immobili sfitti.

  DAVIDE ZANICHELLI(intervento da remoto). Semplicemente una questione. Mi sta particolarmente a cuore un fenomeno che nel 2020 è cresciuto, vale a dire l'incremento del risparmio privato, derivante per lo più da redditi da lavoro, che si è accumulato sui conti correnti. Da questo punto di vista ci potrebbe anche essere una possibilità di incremento delle forme di investimento e di previdenza complementare. In questo caso, dal suo punto di vista, sono forme che possono essere incentivate o sono sostanzialmente adeguate, nella situazione attuale, alla domanda e anche agli eventuali interventi che ci possono essere riguardo all'imposizione e quindi anche a una promozione fiscale che potrebbe riguardare questo settore?

  RAFFAELE TRANO(intervento da remoto). Ho letto la documentazione depositata dalla Banca d'Italia e innanzitutto vi ringrazio per questa audizione, perché abbiamo aperto veramente bene l'indagine conoscitiva. Dopodiché, uno dei problemi annosi, riguardanti proprio il sistema tributario nella sua generalità, è ovviamente l'evasione, che ha delle cifre da capogiro. Nella documentazione leggo che uno dei problemi è proprio quello dell'impianto sanzionatorio poco efficace. Io su questo vorrei dissentire, perché in realtà l'impianto sanzionatorio funziona bene. Il problema sta a valle, nel senso che poi quando si irrogano le sanzioni, queste non si riescono a incassare; si veda la voce «magazzino dei crediti fiscali», che è arrivato a una cifra abnorme. Questo è il primo punto.
  Per quanto riguarda l'erosione della base imponibile, arriviamo alla rivisitazione delle tax expenditures. Negli anni ce ne sono state di ogni ordine e tipo. È vero che queste vanno a erodere la base imponibile, ma è anche vero che ci consentono di fare politica fiscale. Ammesso che non abbiamo più la politica monetaria sotto controllo, almeno questa negli anni è stata incentivata e ovviamente va riassettata e riordinata, perché ormai c'è una giungla di tax expenditures che devono essere, a mio avviso, rivisitate.
  Un altro dei problemi annosi e forse, a mio avviso, il più grave di tutti riguarda le modifiche che si sono avute negli anni a tre strumenti normativi importanti, come il Testo unico delle imposte sui redditi – TUIR, come il decreto del Presidente della Repubblica sull'IVA e quello sull'accertamento, che, a 50 anni esatti dalla riforma del 1971, avranno subìto, credo, un migliaio di variazioni e di modifiche. Questa giungla così complessa che si è creata in questi cinquant'anni ha prodotto uno smarrimento non soltanto per il contribuente, ma anche per i commercialisti e i ragionieri, che hanno dovuto barcamenarsi all'interno di tutte queste norme, per poi arrivare a uno strumento semplice, quale quello della flat tax, che – indipendentemente dal fatto che si realizzi o meno una giustizia fiscale – comunque è uno strumento che ha avuto un notevole successo proprio per la semplificazione, rispetto all'astrusità che permea tutto l'ordinamento tributario. Pertanto io credo che, anche alla luce delle vostre considerazioni, ci debba essere un lavoro proficuo anche per il Pag. 16riordino di tutte le normative che ci sono oggi nel nostro ordinamento.
  Arriverei al quesito, su cui vorrei conoscere la posizione di Banca d'Italia. Noi abbiamo incardinato in Commissione Finanze una proposta di legge sui certificati di credito fiscale, che sostanzialmente è un utilizzo dei crediti come circolante, una quasi moneta fiscale. Vorrei sapere che tipo di posizione avete voi della Banca d'Italia, se lo ritenete uno strumento opportuno e idoneo oppure se sia completamente da cassare.

  ALBERTO BAGNAI(intervento da remoto). Ringrazio anch'io il dottor Ricotti per l'interessantissima ed esauriente relazione, che ha anche un po' esondato rispetto all'obiettivo specifico che ci eravamo dati. In questo momento però mi sentirei di fare una sottolineatura, politica naturalmente, data la sede e anche data la natura, non solo tecnica, della relazione, che conteneva anche indicazioni di policy. Io devo dire che ritengo che dietro la costante sottolineatura dello spostamento del carico fiscale dal lavoro al capitale, che è una cosa che detta così può suonare bene anche alle orecchie di sinistra, si nasconda in realtà qualcos'altro, cioè un'aggressione a dei principi che sono tutelati anche dalla nostra Costituzione, come quello della piccola proprietà e in particolare della piccola proprietà immobiliare, che in Italia è molto penalizzata.
  Vorrei aggiungere a questo proposito che la proprietà immobiliare, il fatto di avere – perdonatemi se banalizzo – un tetto sopra la testa e anche il fatto di avere una famiglia – ma qui ci allargheremo alle competenze di altre Commissioni – ha dimostrato di essere, secondo me, un fattore importante di resilienza, come oggi si suol dire, della nostra società di fronte a shock per esempio come quello che tutt'ora stiamo vivendo, per tanti motivi. Esiste anche un'importante letteratura scientifica sulle relazioni tra lo housing e il livello di welfare. Questa era la sottolineatura che mi sentivo di fare. Quindi attenzione a non trasformare questo spostamento in una penalizzazione della proprietà privata e in una penalizzazione della proprietà immobiliare, la quale ha dimostrato nei fatti e nella letteratura scientifica di essere un importante fattore di resilienza sociale.

  LUCIANO D'ALFONSO, presidente della 6a Commissione del Senato della Repubblica. Anch'io voglio ringraziare l'autorevole esponente di Banca d'Italia, il dottor Ricotti, perché la relazione che ci ha sottoposto, che ci ha fatto anche ascoltare – se fossimo in ambiente medico, direi che è una relazione ad alto tasso di consapevolezza clinica – non ha esaminato soltanto il segmento, ma ha tenuto la visione d'insieme. È per questo che lo ringrazio con una rafforzata motivazione.
  Io voglio fare una domanda che si presenta duale, dottore. Noi abbiamo nei fatti concordato, avviando questa indagine ambiziosa, che dobbiamo riformare questo istituto, l'istituto dell'IRPEF, che ha festeggiato numerosi compleanni. Siamo quasi a 50 anni di vita. Noi sappiamo anche che ogni riforma ha dei costi, ormai siamo diventati adulti e sappiamo che nove volte su dieci le riforme costano; non esistono quelle che non costano.
  Per quanto riguarda il costo, noi abbiamo visto tratteggiato, nella sua relazione – che abbiamo potuto leggere ed ascoltare – che lei propone nei fatti di operare sul fronte del riordino delle cosiddette spese fiscali. Sulle spese fiscali esiste un gruppo di lavoro a densità tecnica che sta cercando di fare ordine, la Commissione per le spese fiscali. Dal suo punto di vista, ci direbbe quali sono le spese fiscali che possono risultare funzionali a questo lancio della riforma dell'IRPEF? Io per esempio teorizzo che un limite della grande massa di spese fiscali che abbiamo ereditato è che sono senza tempo. Invece una spesa fiscale intelligente, corretta, quasi capace di rieducare, è la spesa fiscale concepita per il riordino del nostro patrimonio abitativo con funzionalità di risparmio energetico e di resistenza sismica a tempo, misure a tempo, anche per dare luogo a un impatto davvero capace di creare.
  Riguardo alla seconda questione che le voglio sottoporre, io concordo con un nostro collega autorevolissimo, che purtroppo non si vede sempre, il collega senatore Pag. 17Renzo Piano, quando lui immagina l'Europa come una sola città. Prima o poi accadrà che l'Europa diventerà una sola città, adesso vedremo se con l'idea dei confinisti europeisti o con l'idea dei non confinisti. Io penso che quando accadrà che l'Europa davvero sarà una sola città, dovremo ragionare sullo spazio fiscale unico europeo. Lei come la vede? Adesso tolgo l'ironia dell'immediatezza di una città unica europea, ma lei come la vedrebbe, su questo fronte delle riforme di cui ha bisogno il nostro Stato membro, se si accelerasse sul fronte dello spazio unico fiscale europeo?
  C'è un'ultima questione che davvero mi interessa, perché non dimentico di essere stato un decisore locale territoriale per tanto tempo: l'interoperatività dei dati tra i sistemi locali fiscali e il sistema centrale.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altre richieste di intervento rivolgo anch'io alcune brevissime domande al dottor Ricotti prima di cedergli la parola per la replica.
  La prima questione: sono disponibili delle stime da parte di Banca d'Italia dei diversi moltiplicatori associati ai diversi strumenti fiscali? Più volte nel suo intervento sono ripetute le diverse opzioni fra strumento di tassazione sul lavoro, sul capitale, a sua volta distinto anche sul capitale immobiliare o sul consumo, eccetera. Mi chiedevo se ci possa fornire, eventualmente anche in un secondo momento, delle stime aggiornate, anche col vostro modello di microsimulazione, sui moltiplicatori associati a ciascuno strumento fiscale, o meglio, a ciascun tipo di tassazione sui fattori produttivi, sul consumo o sulla ricchezza immobiliare, ovviamente per valutare l'impatto sul PIL delle azioni su ciascuno strumento.
  La seconda questione è legata alla terza. Mi interessava una sua valutazione. Lei ha accennato prima ad alcuni di questi aspetti, ma mi interessava sapere qualcosa di più sull'imposta negativa, ad esempio. Lei l'ha accennata, ma solo quando stava prefigurando un sistema in cui l'assistenza alla povertà sta fuori dal sistema IRPEF e sta nel sistema dei trasferimenti diretti. Lei diceva, se non ricordo male: «in assenza di imposta negativa». A me invece interessava sapere che valutazione date di un sistema in cui invece all'interno della struttura dell'IRPEF, tramite appunto lo strumento dell'imposta negativa, ci si possa occupare anche della questione della povertà.
  Legata a questa questione vi è una mia curiosità relativa al possibile passaggio dall'attuale sistema di no tax area – in cui con un euro sopra la soglia, che se non ricordo male è una soglia implicita determinata dalle deduzioni e sta intorno agli 8.143 euro, l'intero reddito viene sottoposto a tassazione, che è il sistema che abbiamo adesso – a un sistema di minimo esente o di personal allowance, come vige nel sistema inglese.
  Il penultimo punto riguarda l'IVA. Io ho letto qualche settimana fa – non vorrei sbagliare, non ricordo se fosse un autore di Banca d'Italia o meno, forse era del Fondo monetario internazionale – una stima econometrica piuttosto robusta riguardante l'attenuazione degli effetti regressivi dell'IVA derivante da un passaggio a un sistema a due aliquote. Più in generale la mia domanda è: quanto potente è l'idea che la riduzione delle aliquote IVA – al limite anche a una singola aliquota, ma ripeto, quel paper, che non trovo più, invece si riferiva a una riduzione dalle attuali quattro aliquote, al 4, 5, 10 e 22 per cento, a un sistema a due aliquote – abbia effetti anche in termini di maggior funzionalità del sistema e addirittura di attenuazione dell'impatto regressivo.
  Infine l'ultima domanda – non voglio ovviamente trascinarla nel dibattito politico. Negli ultimi mesi abbiamo sentito da più parti la tensione verso l'utilizzo del cosiddetto sistema ad aliquota continua, sistema vigente in Germania, inteso, nelle intenzioni di qualcuno, come unico strumento per arrivare a un sistema fiscale realmente progressivo. A me interessava capire la sua valutazione sugli effetti di un sistema del genere, anche dal punto di vista della trasparenza e della linearità del sistema tributario, e comunque se sia necessariamente lo strumento più adatto e/o migliore per raggiungere l'obiettivo di progressività. Pag. 18
  Io la ringrazio e le cedo la parola per la replica.

  GIACOMO RICOTTI, capo del Servizio assistenza e consulenza fiscale della Banca d'Italia (intervento da remoto). Io vorrei ringraziare tutti per l'interesse dimostrato, senatori e deputati. Dato il poco tempo ormai rimasto a disposizione e le molte domande che mi sono state rivolte, provo a dare delle risposte trasversali, riservandomi, su alcuni aspetti più puntuali, di inviare anche ulteriori approfondimenti, come richiesto anche dal presidente Marattin.
  Partirei proprio dall'ultima domanda. Mi si chiedeva se è preferibile un sistema a scaglioni o un sistema a progressività continua, cosiddetto alla tedesca. È ovviamente un problema politico, come diceva lei. Da un punto di vista tecnico, secondo me, quello che va mantenuto sempre come primo obiettivo è la necessità di evitare che qualunque sia il sistema adottato ci siano delle aliquote marginali erratiche come accade attualmente, ciò può essere ottenuto in entrambi i sistemi. Ovviamente nel caso di un sistema a scaglioni bisogna rivedere gli istituti esistenti, quelli relativi alle detrazioni, soprattutto per quanto riguarda le detrazioni decrescenti, e ai trasferimenti. Nel sistema alla tedesca c'è una progressività continua, quindi non ci sono salti nelle aliquote marginali, come in un sistema a scaglioni, ma va sempre coordinato con tutto il sistema di trasferimenti ed eventualmente, se esistono, con le detrazioni.
  È un problema. Un'analisi può essere fatta sotto il profilo della trasparenza dei due. Non è detto che uno sia necessariamente più trasparente dell'altro. Di certo un sistema a scaglioni ha dei riferimenti più semplici e più immediati riferiti appunto alle aliquote marginali di ogni scaglione. Alla fine però quello che vorrei sottolineare è che molto dipende da come nella pratica viene implementato ogni sistema. Dire ex ante se uno sia meglio dell'altro è abbastanza proditorio. Bisognerebbe vedere prima come viene effettivamente applicato.
  Provo a dare una risposta trasversale a uno degli elementi che è stato forse più sollevato: la semplificazione. Nella relazione ho cercato di sottolineare più volte che il problema della semplificazione è uno dei problemi principali da affrontare. Non è tanto un problema, quanto deve essere proprio un obiettivo della riforma. È fondamentale semplificare e razionalizzare tutto il sistema normativo. Nell'ultima parte della relazione ho cercato di sottolineare anche come questo si possa fare attraverso interventi sull'insieme delle norme, con una codificazione e con un riordino di tutto l'apparato, e come soprattutto si debba evitare che l'effetto positivo di un processo di semplificazione, che venga attuato sperabilmente con la riforma, poi sia rapidamente ridotto da interventi successivi. Quindi bisognerebbe intervenire anche sulla procedura di approvazione delle norme.
  Da questo punto di vista la semplificazione in generale deve essere appunto uno degli obiettivi della riforma. Nel particolare la semplificazione per i piccoli – e qui parlo soprattutto delle imprese di piccole dimensioni e dei lavoratori autonomi – è un tratto assolutamente da perseguire, perché una mancanza di semplificazione può comportare una barriera all'entrata nel mercato di questi soggetti; quindi una semplificazione – che può essere dal lato degli adempimenti contabili, dal lato degli adempimenti nella determinazione del reddito e dal lato soprattutto dell'IVA – è da perseguire.
  Ricordo che nel confronto internazionale, nei Paesi maggiori – quelli con cui ha più significato effettuare una comparazione con l'Italia – queste forme di semplificazione dal lato IVA e dal lato contabile sono diffuse, anche a livelli di reddito piuttosto alti. Da questo punto di vista direi che è una cosa assolutamente condivisibile.
  Ritorno alle singole domande. Il sistema di detrazioni. Per quanto riguarda le tax expenditures i dati che noi abbiamo citato vengono proprio dalla relazione che ogni anno fa la Commissione per le spese fiscali a cui si riferiva il presidente D'Alfonso, che è quella che poi è allegata alla legge di bilancio. Quello che ci premeva individuare e sottolineare è che il grosso delle tax expenditures in termini quantitativi, quindi Pag. 19di spesa che comporta l'applicazione di queste agevolazioni, è concentrato in poche voci, che sono voci che fanno riferimento a politiche consolidate di incentivo. Ovviamente la scelta se aumentarle – in tal caso poi andranno trovati i mezzi per compensare i maggiori costi – oppure ridurle è una scelta prettamente politica, perché indica quali dei diversi incentivi la politica in un certo momento storico preferisce rispetto a tutto il contesto del sistema tributario. Va posta attenzione a eventuali effetti regressivi o redistributivi che queste potrebbero avere, concentrandosi in alcuni decili di reddito piuttosto che in altri.
  Per quanto riguarda le prime domande che erano state formulate, mi era stato chiesto se c'è la possibilità, nella riforma IRPEF, di spostare la tassazione dalle imposte dirette a quelle indirette. Sì, è una delle possibilità che abbiamo indicato. Quello che volevo sottolineare in questo senso è che quello che può aiutare la crescita è passare da imposte che, secondo quello che la letteratura indica, sono più nocive – detrimental in inglese – per la crescita a quelle meno nocive, quindi cercare di ridurre il prelievo sul capitale del lavoro spostandolo su altre forme di prelievo, che possono essere il consumo o la ricchezza.
  Ovviamente da questo punto di vista non c'è nessun indirizzo verso particolari tipologie di tassazione. Anche qui la scelta deve essere politica. Da un punto di vista tecnico, con particolare riferimento alla ricchezza immobiliare, il problema che noi vediamo e solleviamo è quello della riforma del catasto. Andrebbero rivisti i valori del catasto anche per evitare effetti iniqui da un punto di vista distributivo che ha la tassazione attuale, a seconda dell'età e della posizione, e quindi di quando sono stati attribuiti questi valori.
  Per quanto riguarda l'individuazione dell'unità impositiva a livello individuale o familiare, nella relazione facevo riferimento a un problema essenziale del sistema dell'unità impositiva familiare. Da un punto di vista della tassazione dei redditi, passare all'unità impositiva familiare potrebbe comportare problemi per quanto riguarda i disincentivi all'offerta di lavoro del cosiddetto second income earner, cioè di chi ha il reddito inferiore nella coppia. Da un altro punto di vista, per i trasferimenti, per il contrasto della povertà e in primis per gli aiuti alla famiglia, è preferibile utilizzare altri strumenti, proprio perché tengono conto di alcuni aspetti di cui l'IRPEF, per come è strutturata, non può tener conto, ad esempio l'evasione per quanto riguarda i redditi e il fatto che l'IRPEF agisce su base individuale e non familiare. Su questo mi sembra ci fosse una domanda del presidente Marattin. L'imposta negativa è uno degli elementi che è assente nel sistema dell'IRPEF italiano. Ovviamente questo impedisce all'IRPEF di affrontare il problema dei soggetti incapienti, quindi di redistribuire nei confronti dei soggetti incapienti, cioè quelli appartenenti ai decili più bassi nella scala dei redditi. È anche vero che un'imposta negativa in Italia potrebbe avere dei problemi, da un punto di vista applicativo, legati anche alla presenza dell'evasione. Andrebbe disegnata in modo da evitare anche aspetti drawback dalla sua implementazione.
  Per quanto riguarda la tassazione dei patrimoni, quello che noi abbiamo sottolineato è cercare di coordinare anche la tassazione patrimoniale con quella dei redditi. Questo proprio per evitare gli effetti negativi di cui parlava il senatore De Bertoldi. Da questo punto di vista bisogna sempre stare attenti a come si coordinano all'interno del sistema e considerare, nel momento in cui si interviene sull'IRPEF, gli effetti che hanno un'interazione con altre imposte.
  Una precisazione tecnica sull'effetto regressivo del regime forfettario. Quello che si voleva sottolineare nella relazione è che, se si vanno a vedere gli effetti redistributivi dell'imposta – l'effetto redistributivo è uno dei tratti caratteristici dell'IRPEF, è la capacità di ridurre l'indice di disuguaglianza di Gini – ciò che consente all'IRPEF di avere capacità redistributiva è spiegato, per più della metà, dagli scaglioni e dalle aliquote, per il 40 per cento dalle detrazioni e per meno del 10 per cento dalla definizione della base imponibile. Nell'effetto redistributivo, la parte che è spiegata dal Pag. 20fatto che sono esclusi dalla progressività dell'IRPEF i redditi finanziari e i redditi dei lavoratori autonomi è abbastanza bassa. Stiamo parlando di sei punti percentuali sui cento punti percentuali di redistribuzione. Se la redistribuzione è di circa quattro punti di riduzione dell'indice di disuguaglianza di Gini, stiamo dicendo che è il 6 per cento di questi quattro punti, quindi è uno 0,24. La parte che compensa l'effetto regressivo dovuto all'erosione della base non sono tanto i contributi sociali, a cui si riferiva il senatore Fenu, ma è piuttosto l'effetto dell'esclusione dei trasferimenti assistenziali dalla base imponibile. È quello che determina una compensazione, perché ovviamente ha segno opposto andando a incrementare il reddito disponibile dei soggetti più poveri, quindi dei decili più bassi.
  Sui certificati di credito fiscale, di cui ha parlato l'onorevole Trano, mi riservo di fornire una risposta scritta, ma credo che una risposta sia già sul sito della Banca d'Italia. Comunque le faremo avere dei riferimenti appositi su questo punto.
  In merito alle modalità di tassazione del lavoro autonomo e delle piccole imprese credo di aver già risposto nell'ottica della semplificazione.
  Uno dei punti sottolineati dall'onorevole Fragomeli è la possibilità che l'IRPEF possa, a volte, per come è disegnata, condurre a scelte subdimensionali. In questo senso secondo noi è necessario che siano coordinate le diverse forme di tassazione, che sono oggi presenti per i redditi d'impresa e da lavoro autonomo, per evitare che ci siano scelte subottimali, soprattutto nei punti di confine tra i vari sistemi, quindi nella scelta del passaggio da un sistema forfettario a un sistema di contabilità semplificata, da contabilità semplifica a contabilità ordinaria e soprattutto nella scelta tra un sistema IRPEF di contabilità ordinaria e un sistema IRES.
  Sulla tassazione dei redditi finanziari e su come intervenire, richiesta sempre dell'onorevole Fragomeli, in una delle appendici di approfondimento della documentazione depositata cerchiamo di indicare anche quelli che sono i principali problemi dell'attuale sistema di tassazione dei redditi finanziari. Ricordo velocemente, ad esempio, il fatto che esistono due differenti categorie reddituali – insisto sempre sugli strumenti finanziari – cioè redditi di capitale e redditi diversi, con delle differenziazioni che ormai non sono più in linea con l'evoluzione dei mercati e che possono comportare soprattutto forme di elusione, ma anche le differenziazioni ancora esistenti tra tassazione al realizzo e tassazione al maturato, a seconda del sistema di gestione del risparmio che si segue. Infine c'è anche un problema relativo alle modalità di tassazione dei redditi partecipativi, che andrebbero coordinate per evitare un eccessivo prelievo sui redditi di impresa. Ricordo che quando parlo di eccessivo prelievo sia sul patrimonio sia sul reddito d'impresa mi riferisco agli effetti che questo può avere sul costo del capitale e indirettamente quindi sul tasso di risparmio, sugli investimenti e da ultimo sulla crescita.
  Sul problema sollevato dal presidente D'Alfonso, relativo al coordinamento tra i sistemi di tassazione a livello locale e a livello centrale, rilevo che questo tema da solo meriterebbe un approfondimento a sé. Ne ho accennato limitatamente durante il mio intervento e con riferimento ad alcune modalità di prelievo che, per come sono costruite, determinano la non applicabilità delle addizionali, ad esempio comunali e regionali, su alcuni redditi, come il reddito finanziario e il reddito da lavoro autonomo che sono in regime forfettario. Questo è tutto un altro tema che nell'ambito della riforma dell'IRPEF andrebbe ovviamente affrontato, che merita una discussione a sé stante e che purtroppo non ho avuto la possibilità di affrontare in questa occasione.
  L'ultimo punto riguarda la disponibilità o meno di stime sui moltiplicatori associati a diversi strumenti fiscali: anche su questo mi riservo di farvi avere ulteriori approfondimenti.

  PRESIDENTE. La ringrazio molto, dottor Ricotti, sia per la sua puntualissima relazione sia per la replica e anche per la disponibilità a inviare alle Commissioni nei prossimi giorni ulteriori approfondimenti. È stata la prima audizione di questo lungo Pag. 21percorso e devo dire che abbiamo iniziato molto bene, quindi la ringrazio ancora una volta e la saluto.

  GIACOMO RICOTTI, capo del Servizio assistenza e consulenza fiscale della Banca d'Italia (intervento da remoto). Grazie a tutti voi.

  PRESIDENTE. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal dottor Ricotti (vedi allegato 1) e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta, sospesa alle 16, riprende alle 16.05.

Audizione in videoconferenza del direttore dell'Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla riforma dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e altri aspetti del sistema tributario, l'audizione del direttore dell'Agenzia delle entrate, avvocato Ernesto Maria Ruffini.
  Ricordo che l'audizione si svolgerà in videoconferenza d'innanzi alle Commissioni riunite VI (Finanze) della Camera dei deputati e 6a (Finanze e Tesoro) del Senato della Repubblica, con la partecipazione da remoto dei deputati, dei senatori e dell'audito, conformemente alle disposizioni dettate dalla Giunta per il Regolamento della Camera dei deputati nelle riunioni del 31 marzo e del 4 novembre 2020 e dalla Giunta per il Regolamento del Senato della Repubblica nelle riunioni del 9 giugno e del 10 novembre 2020.
  Rivolgo quindi un saluto, anche a nome del presidente della 6a Commissione Finanze e Tesoro del Senato, Luciano D'Alfonso, al direttore dell'Agenzia delle entrate Ruffini, al quale do il benvenuto e che ringrazio per la partecipazione.
  Do quindi la parola all'avvocato Ruffini, al quale chiederei di limitare se possibile il proprio intervento ad una ventina di minuti al massimo, al fine di lasciare poi adeguato spazio al successivo dibattito.

  ERNESTO MARIA RUFFINI, direttore dell'Agenzia delle entrate (intervento da remoto). Signori presidenti e onorevoli commissari, grazie a entrambe queste Commissioni per l'opportunità che viene concessa all'Agenzia delle entrate di fornire il proprio contributo all'individuazione di possibili interventi di riforma dell'intero sistema fiscale, in particolare, così come ci è stato detto, dell'imposta sul reddito delle persone fisiche – IRPEF.
  Vorrei sottolineare preliminarmente due aspetti di questa indagine. In primo luogo la scelta di svolgerla ha il pregio già di per sé di ribadire il ruolo centrale del Parlamento nell'elaborazione della politica tributaria, cioè il principale raccordo tra cittadini e Stato. Proprio in merito a tale aspetto, vorrei ricordare Ezio Vanoni, il Ministro delle finanze, quando volle che la riforma che da lui prese nome fosse approvata con i tempi e con i modi della legge ordinaria in modo da consentire un ampio dibattito non solo parlamentare, ma anche pubblico, quindi che fosse recepita dai cittadini che sono gli ultimi destinatari delle riforme fiscali.
  Allo stesso tempo la natura conoscitiva dell'indagine ci rammenta anche che la funzione del Parlamento è per così dire, come ben sapete, di decantazione delle proposte, di sintesi tra le legittime istanze dei cittadini e gli ineludibili vincoli di sistema e tecnici che la materia tributaria impone. In altri termini in tutta questa visione complessiva occorre anche tenere sempre presente un rigoroso e coerente tax design. Questo significa che la riforma dell'IRPEF, così come auspicata, deve inquadrarsi all'interno dell'intero sistema tributario complessivo e, più in generale, attese anche le funzioni che l'IRPEF può svolgere, del sistema di welfare.
  Il disegno della nuova IRPEF dipenderà da alcune scelte preliminari su tali funzioni, le funzioni che appunto svolge l'IRPEF. Il tema della redistribuzione è cruciale per decidere il profilo di progressività, l'ampiezza della base imponibile e l'interazione con le altre imposte. Un possibile uso Pag. 22come strumento di sostegno del reddito deve confrontarsi con le altre misure già esistenti, come il reddito di cittadinanza o, in via di adozione, come l'assegno unico per i figli, per definire correttamente alcune possibili caratteristiche proprie dell'IRPEF – come minimi esenti, oneri deducibili o un'imposta negativa, ma vedremo più avanti. La sua natura di incentivo o disincentivo allo stesso lavoro e agli investimenti poi è rilevante non solo per aliquote e basi imponibili, ma anche per definire il trattamento fiscale a livello di nucleo familiare, le agevolazioni e gli adempimenti e questi ultimi ci ricordano il generale imperativo della semplicità e comprensibilità dell'intero sistema tributario, se si vuole che esso svolga efficacemente la sua funzione di interfaccia tra lo Stato e i cittadini, fra esigenze collettive e diritti individuali.
  Ovviamente il primo vincolo è rappresentato dalle scelte già fatte in tema di bilancio per il triennio 2021-2023 e l'obiettivo che il legislatore intende perseguire è l'attuazione di una profonda e organica revisione del sistema fiscale che migliori equità, efficienza e trasparenza del sistema tributario, riducendo anche il carico fiscale sui redditi medi e bassi. Si avverte l'esigenza di limitare le disparità tra i cittadini e rendere più efficiente il sistema tributario attraverso la riduzione del cuneo fiscale sul lavoro, la revisione complessiva della tassazione verso una maggiore equità ed efficienza e la lotta all'evasione fiscale. La riforma nel suo complesso è, come ben sapete, parte integrante del Piano nazionale di ripresa e resilienza – PNRR.
  Ricordiamo che l'IRPEF, per come l'abbiamo imparata a conoscere, occupa un ruolo centrale in tutti i sistemi tributari delle economie avanzate, sia per la quota di gettito sul totale delle entrate tributarie e sia per il suo impatto sulla redistribuzione del reddito. Nasce e si sviluppa nel XIX secolo, nella seconda metà di quel secolo, nei più importanti Paesi europei, e affianca, e gradualmente sostituisce, i sistemi di imposizione che colpivano separatamente i vari cespiti. In Italia è stata introdotta in sostituzione delle imposte reali e personali con l'obiettivo di realizzare un'equa distribuzione della ricchezza, dapprima con il decreto del Presidente della Repubblica n. 597 del 1973 e poi confluita nel testo unico del 1986. Originariamente – è bene ricordare questo punto – la struttura dell'imposta, che nasceva come individuale e progressiva, prevedeva ben 32 scaglioni di reddito e altrettante aliquote, la più bassa delle quali era pari al 10 per cento e la più alta all'82 per cento. Quindi di strada se ne è fatta dalla sua introduzione. Negli ultimi anni la struttura dell'IRPEF è rimasta invariata, con qualche aggiustamento, con gli attuali cinque scaglioni e con le diverse aliquote che vanno dal 23 al 43 per cento. Al fine di dare attuazione agli interventi in materia di riforma fiscale, la legge di bilancio per l'anno 2021 ha disposto l'istituzione di un Fondo la cui dotazione è destinata alla riforma fiscale e all'assegno universale e ai servizi alla famiglia.
  Attualmente il quadro complessivo dell'IRPEF, per come viene distribuita sulla platea dei contribuenti, rappresenta diverse criticità che devono essere corrette, ormai ad avviso di tutti. Criticità che hanno allontanato quest'imposta dai canoni costituzionali di equità e, sotto il profilo del tax design, da un modello obiettivamente riconoscibile da parte dei cittadini. Queste criticità hanno generato numerosi problemi di trasparenza, in quanto è previsto un sistema articolato di calcolo dell'imposta, e in particolare di calcolo dell'aliquota media e marginale effettiva, che possa essere conosciuto dal cittadino. Infatti ci sono aliquote marginali diverse: quelle nominali, che sono quelle indicate dalla norma, ovvero dal Testo unico delle imposte sui redditi – TUIR, e quelle effettive, cioè non esplicitamente stabilite, ma generate da meccanismi che prevedono deduzioni e detrazioni, all'esito dei quali poi viene individuata l'aliquota effettiva.
  Vi sono criticità di efficienza perché l'attuale sistema disincentiva di fatto l'offerta di lavoro da parte dei contribuenti a causa di aliquote marginali particolarmente elevate sui redditi bassi e un sistema di detrazioni decrescenti al crescere del Pag. 23reddito che provocano sui redditi medio-bassi il cosiddetto «salto di aliquota», ossia uno scalino dell'aliquota marginale sui redditi aggiuntivi.
  Poi vi sono criticità relative all'equità sia in senso verticale sia in senso orizzontale, in quanto è prevista una progressività molto elevata per i livelli di reddito bassi, cui corrisponde un'imposta più alta da versare, e una progressività invece che si riduce molto per i livelli elevati di reddito.
  Inoltre l'attuale sistema di detrazioni e deduzioni, a cui prima si faceva riferimento, nonché l'introduzione di imposte sostitutive, hanno generato un perverso meccanismo di erosione della base imponibile e quindi hanno minato alla base proprio la stessa imposta sul reddito delle persone fisiche, che dovrebbe ruotare attorno al criterio dell'universalità. L'erosione di base imponibile è stata molto accentuata dall'introduzione di tassazione sostitutiva nel corso degli anni. Attualmente possiamo stimare che il complesso della parte di imponibile dei redditi prodotti nel nostro Paese assoggettata a regimi sostitutivi può essere stimata in circa 80 miliardi di euro, che quindi non sono assoggettati all'IRPEF ordinaria.
  Inoltre nel nostro Paese l'equità complessiva del sistema che ruota attorno all'IRPEF è legata – ma questo un po' tutto il sistema tributario – al tema dell'evasione fiscale, nonostante negli ultimi anni, dagli ultimi dati disponibili, si registri una riduzione del tax gap, specialmente negli anni 2016, 2017 e 2018, che quindi dovrebbe confermare la strada presa dal Parlamento negli ultimi anni circa la compliance a cui vengono indotti i contribuenti.
  La distribuzione dell'IRPEF è un tema sul quale vorrei porre l'accento di queste Commissioni. Sono assoggettati all'IRPEF circa 41 milioni di contribuenti e il reddito complessivo di questa platea di soggetti ammonta a circa 880 miliardi di euro, cui corrispondono circa 194 miliardi di euro di IRPEF, a fronte di un incasso complessivo dello Stato per tutte le entrate di circa 482 miliardi. La distribuzione dell'IRPEF, quindi dell'imposta e del complessivo incasso – che si diceva essere di 194 miliardi di euro – è molto schiacciato verso il basso, con un reddito dichiarato dalla metà dei contribuenti non superiore a 16 o 17 mila euro e con solo lo 0,1 per cento dei contribuenti che dichiara più di 300 mila euro. Per quanto riguarda invece la tipologia di reddito dichiarato, nel complesso dei circa 41 milioni di contribuenti IRPEF, oltre l'84 per cento ha un reddito che deriva prevalentemente da lavoro dipendente e da pensione.
  Ormai, a più di cinquant'anni dai primi dibattiti che hanno condotto all'introduzione dell'IRPEF e a cinquant'anni esatti, era il 1971, dalla legge delega di riforma, si è sempre più frequentemente manifestata l'esigenza di una sua riforma, nel perseguimento di alcuni principali obiettivi condivisi: la semplificazione del quadro normativo di riferimento; la trasparenza nel calcolo dell'imposta effettiva, in modo che il cittadino sia facilmente in grado di conoscere qual è il peso fiscale che grava sul suo reddito; la riduzione delle aliquote medie per i redditi medi e medio-bassi; l'allargamento della base imponibile; l'incentivo agli investimenti e l'introduzione di una riforma che abbia un costo contenuto per il bilancio dello Stato. È ovvio che la scelta finale degli strumenti che possono garantire il raggiungimento di questi obiettivi – o della maggior parte di essi – spetta al legislatore, che potrà ponderare i vari pregi e difetti di ciascuna opzione per realizzare, attraverso il dibattito in sede parlamentare, una riforma che si auspica il più ampia e condivisa possibile.
  Il primo spunto di riflessione che vogliamo offrire come Agenzia delle entrate all'attenzione di queste Commissioni è l'esigenza di una codificazione. Nel corso degli anni nel nostro Paese si è registrata una frammentazione della legislazione tributaria da cui è derivato un sistema fiscale articolato e complesso che rappresenta di fatto un freno per gli investimenti sia interni sia esteri verso l'Italia. Un sistema che, per questa frammentazione, ha reso complicato anche il rapporto tra fisco e cittadini e che ha contribuito a rendere oscuro il mondo tributario per i cittadini, giocando a favore di alcuni contribuenti, Pag. 24ovviamente, e a sfavore di altri, ma specialmente riducendo a pochi specialisti le persone realmente in grado di orientarsi nel sistema tributario. Si è trattato di normative lunghe e di difficile lettura da un punto di vista lessicale, sintattico e tecnico, soggette a continue variazioni nel tempo. Pensiamo al TUIR, che ha subìto, dalla sua introduzione nel 1986, oltre 1.200 modifiche, o al decreto IVA, che ne ha subite oltre mille dal 1972 ad oggi, o al decreto sull'accertamento delle imposte sui redditi del 1973, che ha subìto oltre 500 modifiche.
  È ovvio, riferendosi specificamente all'IRPEF, che il moltiplicarsi di queste disposizioni al di fuori del TUIR del 1986 e la conseguente difficoltà di andare a rinvenire le singole disposizioni per capire come venga disciplinata in un certo soggetto la tassazione del suo reddito, gioca a favore della confusione legislativa che si è andata stratificando nel nostro Paese. È necessario invece, ad avviso degli operatori, ma anche dall'amministrazione finanziaria, poter fruire di un sistema di norme logico e coerente per i cittadini, i professionisti e anche per l'Agenzia delle entrate. In questa prospettiva sarebbe utile avere a disposizione un'opera di raccolta e razionalizzazione della legislazione fiscale, mediante la definizione di un testo unico con i vari codici da poter far confluire in un codice tributario complessivo, che possa anche raccogliere altre materie, anche per dare un valore all'espressione di certezza del diritto, che invece in questa situazione è obiettivamente compromessa.
  È necessario inoltre un riordino delle tax expenditures ed è una costante, un passaggio ineludibile di ogni riforma fiscale. È essenziale che le varie forme di tax expenditures siano razionalizzate per concentrare le risorse su strumenti che siano non soltanto efficaci, ma anche passibili di una valutazione ex post e, come recita il sito del Consiglio europeo, una delle condizioni della Next Generation EU per il versamento degli aiuti è dimostrare il soddisfacente conseguimento dei pertinenti target intermedi e finali, ovvero tutte le tax expenditures di per sé non sono né buone né cattive, ma bisogna anche essere in grado di valutare la loro efficacia ex post. Comunque il tema delle tax expenditures è in qualche modo un tema che rappresenta una criticità del nostro sistema da sempre. Nel 1949 Vanoni, proprio intervenendo alla Camera dei deputati, stigmatizzò l'incessante dilagare delle agevolazioni fiscali rilevando la sensazione, cito, «che un'esenzione in questo nostro beato Paese, non la si rifiuti a nessuno». Su questo fenomeno intervenne anche Cosciani, che definì le agevolazioni fiscali, cito anche qui, «la vera piaga del nostro sistema».
  Oggi il sistema delle tax expenditures, delle spese fiscali, consta, perché ne sono state censite, quasi di 150 misure, alcune delle quali hanno una frequenza molto bassa, importi altrettanto bassi e di conseguenza hanno un impatto numericamente modesto, però molte agevolazioni comportano anche complicati requisiti, che da un lato risultano poco comprensibili al cittadino e dall'altro rendono difficoltoso l'inserimento dei loro relativi dati nella dichiarazione precompilata dei redditi dei cittadini che pagano l'IRPEF. In questa prospettiva si potrebbe ipotizzare una revisione o comunque un riordino delle detrazioni di imposta e delle deduzioni del reddito complessivo, anche per rendere possibile la totale gestione di tali agevolazioni nella dichiarazione precompilata. Si consentirebbe in questo modo al contribuente di avere a disposizione, per ogni anno di imposta, il proprio modello dichiarativo, senza necessità di operare alcuna modifica rispetto a quello fornito dall'Agenzia delle entrate.
  Allo stato attuale nella dichiarazione precompilata sono presenti oneri di maggiore impatto e di maggior diffusione per la platea di contribuenti persone fisiche, ma alcuni di questi prevedono un meccanismo applicativo eccessivamente complesso per essere gestiti in maniera automatica. A questo riguardo noto sempre con diffidenza le istruzioni al nostro modello di dichiarazione e mi rendo conto che le istruzioni al modello della precompilata per dipendenti e pensionati consta ancora di un numero eccessivamente rilevante di pagine, però quelle pagine non sono destinate Pag. 25a tutti i contribuenti, ma sono riepilogative proprio di queste 150 spese fiscali e ciascun contribuente deve andare a verificare quale di esse riguarda la sua posizione e andare a modificare la dichiarazione precompilata proprio per dire: «A me spetta questa particolare agevolazione» ed è un appesantimento, non solo delle istruzioni, ma anche del rapporto di semplificazione tra fisco e contribuenti.
  Veniamo adesso però proprio all'IRPEF in quanto tale, non soltanto alla tecnica legislativa o al riordino delle tax expenditures. Mi soffermo qualche attimo su una possibilità di una base imponibile onnicomprensiva che ha perso invece l'IRPEF e in questa prospettiva anche la possibile introduzione di un minimo esente. Per far fronte infatti alle esigenze di semplificazione e trasparenza nel calcolo dell'IRPEF, in luogo delle detrazioni potrebbe essere riconosciuto a tutte le famiglie un reddito minimo esente, variabile in base alla composizione della famiglia, sul modello dell'IRPEF spagnola. Allo stato tale proposta dovrebbe coordinarsi con la progettata introduzione dell'assegno unico per i figli e dovrebbe essere ragguagliato al reddito minimo di sussistenza, rispondendo così all'esigenza di esentare per tutti i contribuenti quella parte di reddito necessaria a far fronte alle spese basilari. La progressività sarebbe garantita esclusivamente da scaglioni e aliquote d'imposta di cui potrebbe essere conseguentemente necessaria una maggiore articolazione, al duplice scopo di contenere il costo della riforma e compensare almeno in parte il vantaggio riconosciuto anche ai possessori di redditi elevati.
  Questa soluzione del minimo esente e della base imponibile onnicomprensiva potrebbe avere due sviluppi: da un lato il reddito minimo potrebbe essere incrementato dall'importo di alcune spese particolarmente rilevanti sotto forma di deduzione dal reddito imponibile, operata a partire dallo scaglione di imposta più basso, per evitare che la deduzione avvantaggi redditi più alti; dall'altro il reddito minimo esente potrebbe aprire la strada all'introduzione di un'imposta negativa analoga a quella statunitense, perché sarebbe rivolta a soggetti attivi, ma titolari di redditi così modesti e quindi potrebbe essere complementare ad altre forme di sostegno per soggetti privi di reddito. Il funzionamento di tali istituti sarebbe ottimale in presenza di un reddito che sia significativamente rappresentativo della capacità contributiva e, come prima preannunciavo, questo si baserebbe su una base imponibile più possibile onnicomprensiva.
  Un'altra ipotesi è quella della flat tax di cui tanto si è discusso e non si può non osservare che attualmente la sua adozione in forma parziale, come quella avvenuta con il regime forfettario destinato alle persone fisiche esercenti attività di impresa, arti e professioni, possa finire con il segmentare ulteriormente l'IRPEF tra le diverse forme sostitutive di prelievo per tipo di reddito o addirittura per importo. Per converso una flat tax potrebbe essere invece una soluzione di estrema trasparenza e semplicità se abbracciasse però tutti i redditi su una base imponibile il più possibile ampia e riconducesse gran parte delle deduzioni, detrazioni, crediti e bonus a un solo minimo esente, come quello sopra ipotizzato.
  Sulla questione della progressività, che è un po' il tarlo della flat tax, occorre però precisare che ogni flat tax che preveda anche un minimo esente o un sistema di detrazioni può di per sé definirsi progressiva. Ovviamente si devono fare i conti sul costo e sarebbe quindi opportuno che una scelta come la flat tax avesse una copertura altrettanto decisa e certa, ovvero occorrerebbe verificare se vi sono evidenze solide e concordanti che tale tipo di prelievo, così come congegnato con rispetto alla progressività, consenta recuperi di gettito derivanti da una maggiore compliance e da un accentuato tasso di crescita.
  Altro tema è quello invece del sistema ad aliquota continua, che è ispirato al meccanismo applicato in Germania e prevede che l'imposta lorda sia calcolata per ogni livello di reddito in base a una forma sostanzialmente matematica. Si basa quindi, non tanto su diverse aliquote di imposta applicabili a diversi scaglioni di reddito come nell'attuale sistema dell'IRPEF, al quale Pag. 26attualmente siamo tutti quanti assoggettati come persone fisiche, ma su un algoritmo che calcola una serie continua di aliquote che garantiscono la progressività dell'imposta senza scalini o salti di aliquota e che si applica sull'ammontare della base imponibile non suddivisa per scaglioni, e permette di conoscere subito l'aliquota applicabile al caso concreto: ciascuno di noi potrebbe avere quindi questa immediata percezione e quindi la conseguente imposta da versare.
  Questo sistema consente di graduare con estrema finezza e con precisione l'aliquota marginale effettiva di ciascun contribuente, perfezionando la progressività dell'imposizione ed evitando il disincentivo all'offerta di lavoro dovuto al salto d'aliquota per i redditi medio-massimi. Questo sistema ha il pregio di evitare sicuramente il salto d'imposta. È ovvio che questa imposta poi in linea teorica può coabitare con il sistema di detrazioni di spese e oneri a carico familiare oppure no, cioè in alternativa può essere previsto anche un sistema ad aliquota continua accompagnata dall'introduzione di tetti legati ai livelli massimi di detraibilità di talune spese. È chiaro che tutti questi temi sono legati anche al costo dell'intera misura.
  Un ulteriore tema riguarda la tassazione per cassa, quindi quella tassazione del reddito d'impresa a cui sono soggette le persone fisiche titolari sostanzialmente di partita IVA e di attività economiche. In questa prospettiva è necessario rilevare come il legislatore abbia l'onere di individuare esattamente cosa può favorire la crescita economica, specialmente in una fase come questa, e in molti identificano il fattore di maggior crescita negli investimenti, in quanto essi sono quelli più dotati di un effetto moltiplicatore del reddito. Sarebbe opportuno quindi vagliare la possibilità di consentire l'immediata deducibilità di taluni investimenti, in luogo di quella rateizzata mediante il sistema degli ammortamenti. Sarebbe questo il secondo passo verso l'adozione di un sistema di tassazione per cassa, dopo il primo passo che è stato effettuato con la legge di bilancio per il 2017, che ha introdotto, per le imprese minori, un regime misto di cassa e competenza e potrebbe continuare attraverso l'introduzione di un meccanismo che segnali automaticamente il pagamento e l'incasso delle fatture, uno sfruttamento dei dati derivanti da altri adempimenti, come quelli relativi al sostituto d'imposta per il costo del lavoro, o altre banche dati, come per gli interessi bancari passivi – e potrebbe essere ipotizzabile un sistema che consenta di saldare le due basi anche per operatori con strutture più articolate e non soltanto quelli più ridotti. Una tassazione per cassa – che non deve essere, al di là della terminologia, necessariamente ricondotta al modello di cash-flow tax del rapporto Meade – sarebbe, almeno per alcuni soggetti, una scelta più aderente al principio costituzionale di capacità contributiva.
  Mi spiego: la conclusione di questo processo potrebbe essere un sistema che abbini ai pagamenti mensili o trimestrali dell'IVA anche quelli dell'IRPEF, superando il sistema della ritenuta d'acconto per i professionisti e quello di acconti e saldi per le imprese, e consenta di estendere la dichiarazione dei redditi precompilata anche a un certo numero di soggetti a partita IVA. Non dovrebbe costituire un problema insormontabile, quello dell'aliquota IRPEF da applicare a tali versamenti periodici, ma dovrebbe invece costituire un vantaggio per il contribuente la possibilità di ancorare la deduzione di un costo alla sua manifestazione oggettiva e non alla competenza economica, in modo da evitargli di scoprire oggi di aver commesso un errore solo dopo anni per effetto di accertamenti e contenziosi e con l'aggiunta delle sanzioni. Questo è quello che avviene adesso sulla base di un sistema che si basa per lo più su stime.
  Peraltro, con la progressiva acquisizione di altri dati fiscalmente rilevanti, attraverso la fatturazione elettronica e la trasmissione telematica degli scontrini, sarà possibile introdurre anche la dichiarazione precompilata per i soggetti IVA. Ai dati della fatturazione elettronica si aggiungono infatti quelli dei corrispettivi giornalieri delle cessioni di beni e prestazioni di servizi, che vengono trasmessi all'Agenzia delle entrate mediante un registratore telematico o con Pag. 27la procedura web del Documento contabile online. L'Agenzia con le informazioni disponibili nelle proprie banche dati, soprattutto con un sistema di tassazione per cassa, sarebbe in grado di predisporre una bozza di dichiarazione dei redditi precompilata, che attualmente è destinata sostanzialmente soltanto a lavoratori dipendenti o titolari di reddito da pensione, anche per i soggetti titolari di partita IVA, che potrebbero concludere il proprio adempimento dichiarativo annuale con l'eventuale inserimento di quei dati non conoscibili dall'amministrazione finanziaria. La dichiarazione precompilata rimane infatti lo strumento di maggiore efficacia messo a disposizione dei contribuenti e l'intento dell'Agenzia delle entrate è quello di realizzare la progressiva dematerializzazione dei diversi modelli di dichiarazione. A questo riguardo, proprio perché è il 2021 l'anno di riferimento in cui c'è un'ulteriore novità che stiamo attuando, l'Agenzia delle entrate rende disponibile ai soggetti passivi dell'IVA con la liquidazione trimestrale dell'imposta, residenti e stabiliti in Italia, in un'apposita area riservata del sito internet dell'Agenzia, il portale web, le bozze di alcuni documenti che sono: i registri relativi alle fatture emesse e ricevute, la liquidazione periodica dell'IVA e la dichiarazione annuale dell'IVA. Tutto questo grazie alla progressiva digitalizzazione che si sta operando nel nostro sistema.
  Infine consentitemi un accenno alla tematica, che è indirettamente collegata – ma è comunque collegata – all'IRPEF, della riscossione dell'IRPEF, in particolare della riscossione coattiva. L'attuale sistema dovrebbe essere oggetto di una profonda riflessione in merito a diversi punti. Innanzitutto non posso stancarmi di ripetere che nell'attuale consistenza del «magazzino» della riscossione, che contiene cartelle di pagamento riferite a ruoli dal 2000 al 2020, una rilevante parte di questi si riferisce a crediti risalenti nel tempo non più riscuotibili e limita l'azione dell'Agenzia delle entrate-Riscossione nell'azione di recupero dei crediti più recenti e concretamente riscuotibili. Quindi mantenere in questo modo il «magazzino» dal 2000 al 2020 di fatto sta limitando l'azione di riscossione.
  Un'altra criticità riguarda la determinazione dell'aggio, il corrispettivo attualmente pagato dal debitore iscritto al ruolo all'Agenzia delle entrate-Riscossione. In linea con altri Paesi, come Francia, Germania, Regno Unito e in parte anche la Spagna, si potrebbe invece prevedere che il costo della riscossione coattiva sia a carico della fiscalità generale – così come avviene con il costo dell'Agenzia delle entrate, che è posta a carico della fiscalità generale – invece che sul debitore attraverso, come avviene oggi, l'applicazione di un aggio pari al 6 per cento.
  Altre criticità riguardano la determinazione degli interessi dovuti dai cittadini e dalle imprese nel caso di tardività nel pagamento dei debiti verso la pubblica amministrazione, che hanno misura diversa a seconda dei tributi o del momento in cui maturano, e sono disallineati rispetto agli interessi della pubblica amministrazione, ovvero quelli che l'amministrazione corrisponde per i propri debiti verso i cittadini e imprese. Questo necessiterebbe di una evidente e urgente razionalizzazione, perché il tasso degli interessi che lo Stato versa ai cittadini è generalmente inferiore a quello degli interessi che i cittadini versano allo Stato. Da una parte lo Stato, quando è debitore, effettua i propri pagamenti con l'applicazione di tassi di interesse inferiori a quelli che incassa quando a pagare è il cittadino o l'impresa che è debitore verso lo Stato, e questo secondo normativa. Infine, l'attuale disciplina delle forme diverse di rateizzazione deve essere necessariamente riportata a una coerenza sistematica che non ha.
  Infine un ulteriore accenno sull'amministrazione fiscale. Quella che ho voluto sottoporre a queste Commissioni è una breve analisi in cui ho cercato di rilevare come sia necessario anche prestare attenzione agli inevitabili profili di quella che potremmo chiamare «la psicologia fiscale», perché qualunque sia l'intervento di riforma dell'IRPEF, occorrerà prestare attenzione a questi aspetti. L'applicazione di un'imposta non dipende soltanto dalla sua Pag. 28perfezione tecnica, ma anche dalla sua accettazione da parte dei contribuenti. Un'accettazione che è tanto più probabile quanto più il meccanismo di imposte risulti per essi non solo operativamente semplice, ma anche intuitivamente trasparente e comprensibile, seppure in misura approssimata, perché obiettivamente la materia è particolarmente tecnica. Valga qui per la tecnica tributaria l'ammonimento che Luigi Einaudi ha formulato per la giustizia tributaria: occorre cioè non inseguire ad ogni costo la perfezione teorica assoluta, giacché il risultato potrebbe essere un'assoluta imperfezione pratica, che poi viene applicata dall'amministrazione finanziaria e dall'Agenzia delle entrate in primis.
  Nel disegnare la nuova IRPEF si dovrebbe tener conto anche che l'attuazione della pretesa impositiva non si esaurirà con la promulgazione della legge, anche della migliore. Ciò è tanto più vero se si considera che il numero dei contribuenti interessati – cioè i destinatari, che siamo noi peraltro – oltre 40 milioni di soggetti passivi dell'IRPEF, fa esponenzialmente crescere la varietà di situazioni e il numero di problemi che possono insorgere. In questo senso la quotidiana amministrazione dell'imposta potrebbe essere facilitata da uno stile normativo che sia, come da definizione di «norma», caratterizzata da astrattezza e generalità; regole che riducano al minimo indispensabile le eccezioni al principio di imposizione generalizzata non possono che facilitare l'applicazione del tributo da parte dell'Agenzia, ma anche da parte dei cittadini. Perché la pretesa impositiva si materializzi occorre poi anche un'attività integrativa e interpretativa delle norme. Pertanto ordine e chiarezza delle stesse sono un'esigenza non solo per il contribuente, ma anche per l'amministrazione, che può così intervenire più tempestivamente con le proprie istruzioni.
  Poi non si vorrebbe trascurare il costo d'impianto. Ogni riforma strutturale impone e comporta un costo d'impianto per l'amministrazione e per il contribuente, tanto più se potenzialmente complessa, e l'impegno necessario alla sua messa in opera da entrambi i lati. Oltre alla semplificazione, è necessario che le nuove regole dell'IRPEF abbiano una certa stabilità nel tempo, per evitare che gli operatori del settore, quindi cittadini, commercialisti, consulenti, avvocati e amministrazione finanziaria, debbano continuamente adattarsi alle mutate cornici normative. In altri termini, sarebbe utile definire un impianto giuridico stabile, all'interno del quale il legislatore possa utilizzare le leve per l'attuazione delle diverse politiche economiche senza la necessità di stravolgere continuamente le regole fiscali per cittadini e imprese. Sempre in tema di costi d'impianto occorre poi predisporre tutti i servizi necessari per consentire ai contribuenti di rispettare gli adempimenti imposti, riducendo gli oneri della compliance. Su questo profilo l'amministrazione sarebbe avvantaggiata se le norme, fin dalla loro nascita, fossero pensate e redatte in modo da essere facilmente tradotte in programmi informatici il più possibile user friendly e non avvenga una traduzione ex post.
  La fornitura di servizi e le attività di controllo si avvalgono entrambi di banche dati e si deve avere chiaro che queste banche dati non esistono solo per attività di accertamento, ma anche e soprattutto in una visione preventiva del contrasto all'evasione, per predisporre strumenti di ausilio ai contribuenti non da usare, per così dire, contro di essi, ma per essi. Questa è la luce sotto la quale deve essere visto il funzionamento delle banche di dati connesse alla fatturazione elettronica, alla trasmissione telematica dei corrispettivi e alla dichiarazione precompilata, la luce di un'amministrazione che aiuta e non solo controlla. È necessario pertanto, se si vuole un'amministrazione efficiente, un corollario normativo e operativo alla riforma dell'IRPEF che riordini e colleghi le banche dati e fornisca una chiara e definitiva regolamentazione per l'accesso ai dati e l'uso degli stessi da parte dell'amministrazione finanziaria, contemperando il diritto alla riservatezza di ognuno con l'interesse collettivo, sancito dalla Costituzione, che tutti contribuiscano alle spese pubbliche.
  Analoghi i corollari amministrativi della riforma dell'IRPEF dovrebbero essere quelli Pag. 29relativi all'esecuzione della pretesa impositiva. È auspicabile al riguardo una riforma della giustizia tributaria per riorientare l'organizzazione e l'attività non solo alla risoluzione delle numerose liti, ma anche alla prevenzione delle stesse mediante una giurisprudenza qualificata, omogenea e costante, che potrebbe essere favorita anche dalla professionalizzazione dei giudici tributari. Va ancora intensificato lo sforzo, lo dicevamo prima, per una riscossione informata e quindi mirata, che si concentra sui crediti che hanno reale possibilità di riscossione e che possa agire con strumenti rapidi e che forniscano il minor numero possibile di appigli per ricorsi con motivazioni meramente procedurali. Lo dico da avvocato, anzi, da ex avvocato.
  Vi è in ultimo il fondamentale corollario normativo alla riforma dell'IRPEF che riguarda le agenzie fiscali. Un'amministrazione fiscale che voglia continuare a basarsi su tale modello, quindi sul modello delle agenzie, deve riconoscere alle agenzie stesse un certo grado di autonomia nella definizione della propria struttura e dei processi organizzativi e nella selezione e allocazione delle risorse umane ad alta specializzazione e materiali. Autonomia, che sia ben chiaro, non è, non può essere e non deve essere, indipendenza e sottrazione al controllo del Governo e del Parlamento, ma semplicemente un requisito necessario e indispensabile per avere una gestione improntata a criteri non solo di legittimità formale, ma anche di efficienza ed efficacia sostanziale, che riempia lo spazio fra obiettivi predeterminati, a monte, e verifica dei risultati conseguiti, a valle, in un chiaro quadro di responsabilizzazione amministrativa. Grazie per l'attenzione, signori presidenti.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, direttore Ruffini. Apro il dibattito ricordando ai colleghi di contenere il loro intervento entro un massimo di due o tre minuti per consentire a tutti di intervenire e al direttore di poter replicare.

  PRIMO DI NICOLA(intervento da remoto). Buonasera a tutti. Grazie, dottor Ruffini, per la relazione. Sarò brevissimo. Noi dobbiamo lavorare intorno alla riforma dell'IRPEF, quindi sostanzialmente ci rivolgiamo a una platea di cittadini che paga già le tasse e sono sicuro che otterremo risultati strabilianti, mentre abbiamo all'incirca, vado con l'accetta, una metà dei potenziali contribuenti che le tasse non le pagano, perché sostanzialmente privi di reddito o perché evadono le tasse. Voglio essere a questo punto molto veloce, semplificando. Non siamo credibili nel fare questa riforma dell'IRPEF se non risolviamo e affrontiamo bene il problema dell'evasione e dell'erosione del gettito. L'erosione del gettito è determinata da due voci sostanzialmente, anche qui semplificando, l'evasione fiscale e le tax expenditures, che sono veramente uno scandalo nello scandalo. Lei lo ha accennato, ma diciamo la verità: sono talmente estese, incontrollate e così scarsamente quantificabili, che valgono più dell'evasione fiscale, queste spese fiscali, sulle quali la politica ha investito, se vogliamo essere onesti, in termini di consenso.
  Vengo al punto. Rispetto all'evasione, vengo a due argomenti che ricadono nelle sue competenze e riguardano la riscossione, che è quel buco nero che noi sappiamo e non è certo una sua responsabilità – anzi io le riconosco in questi anni di aver fatto discorsi molto chiari, tecnici e competenti intorno al tema – però la riscossione non funziona e non funziona neanche il sistema degli accertamenti. Non lo dico io, ma mi rifaccio a un giudizio terzo, che è quello della Corte dei conti: in uno degli ultimi pronunciamenti della Corte si dice che deve rilevarsi come le frequenze dei controlli che l'Agenzia delle entrate riesce a effettuare annualmente non sono sufficienti a esercitare un'adeguata deterrenza. A supporto di questa affermazione della Corte, io potrei citare numerosissimi dati, ma non lo faccio. Lei è un tecnico davvero competente. Affinché la riforma, anzi l'idea della riforma dell'IRPEF, sia credibile, affinché il sistema fiscale sia credibile, intorno al tema della riscossione e soprattutto intorno al tema degli accertamenti che l'Agenzia deve fare, e che secondo Pag. 30 la Corte sono assolutamente insufficiente a dare la pur minima idea di contrasto serio all'evasione, ci dica che cosa lei ha da suggerire a noi legislatori.

  GIAN MARIO FRAGOMELI(intervento da remoto). Grazie, direttore. Ho alcuni quesiti molto veloci. Il primo è che abbiamo appena sentito la Banca d'Italia evidenziarci delle criticità rispetto alla tassazione di ordine familiare in confronto a quella individuale, in particolare per il secondo reddito minore in famiglia e via dicendo. Volevo conoscere la sua opinione sull'introduzione di una tassa, di un correttivo, quindi una tassazione prettamente individuale.
  La seconda questione: io ammetto di credere poco alla possibilità di rispettare il principio di progressività con il solo mantenimento della no tax area, però, prendendo spunto da questo aspetto, abbiamo molto spesso evidenziato dei limiti, dal punto di vista del nostro sistema sanzionatorio, nel riuscire a individuare esattamente in particolare gli evasori totali e molto spesso la divisione tra coloro che sono nella no tax area ed evasori è stata riscontrata solo a seguito della richiesta di prestazioni sociali agevolate o poco altro. Quindi volevo capire l'impianto che lei ci ha illustrato oggi – molto interessante rispetto all'introduzione di un minimo esente, quindi in uno sviluppo così in verticale della no tax area – come si coniuga con gli ulteriori controlli che possano disincentivare, individuare e colpire quelli che sono gli evasori totali, che è un elemento che vorrei capire meglio.
  L'altra veloce questione riguarda gli incroci delle banche dati riguardo la tassazione per cassa. Anche qui vorrei che rientrasse un po' sul punto e ce lo indicasse un po' meglio, rispetto al superamento quindi della tassazione attuale andando per cassa ed evidenziando la facilitazione di questo incrocio delle banche dati.
  In ultimo: siamo in un momento di approvazione del Recovery Plan e volevo capire, anche rispetto al fatto che abbiamo introdotto tra gli obiettivi anche quello della riforma fiscale, in particolare quello dell'infrastruttura fiscale, se lei ha delle idee per rendere ancora più performante il lavoro dell'Agenzia delle entrate con delle risorse che provengano dal Recovery Plan.

  PRESIDENTE. Condivido l'auspicio dell'onorevole Fragomeli, secondo cui saremmo in un momento di approvazione del Recovery Plan.

  EMILIANO FENU(intervento da remoto). Anche io ringrazio il direttore Ruffini, soprattutto per la frase, che secondo me dobbiamo ricordare un po' tutti, cioè che le banche dati non esistono solo per l'attività di accertamento, ma anche e soprattutto in funzione preventiva nel contrasto all'evasione, quindi sono strumenti da usare per i contribuenti e non contro di essi. Questo è un concetto che condivido in pieno e che secondo me tutti dovremmo memorizzare quando parliamo di lotta all'evasione, che, così come è stata concepita finora, tutti sappiamo che non ha mai funzionato.
  La domanda che faccio al direttore Ruffini è questa. Va bene il principio o la finalità che si vuole perseguire con la tassazione per cassa mensile, oppure trimestrale, per i contribuenti lavoratori autonomi, però, per evitare il rischio per i lavoratori autonomi di dover fare, ad esempio, dodici bilanci, quindi dover determinare ogni mese la differenza tra ricavi e costi per poter pagare l'imposta risultante da questa differenza, e visto che abbiamo la fatturazione elettronica, sia sull'acquisto sia sulla vendita, e i corrispettivi telematici, c'è la possibilità di implementare uno strumento che consenta una sorta di prelievo quasi automatico, magari anche alla fonte, proprio per evitare che ci sia questo aggravio di adempimenti per i contribuenti e anche una maggiore semplicità per l'Agenzia delle entrate per la riscossione in tempo reale? Dicendo anche quello che penso: perché l'evasione è così limitata per i lavoratori dipendenti? Per il semplice fatto che i lavoratori dipendenti hanno il prelievo alla fonte, non perché sono più onesti dei lavoratori autonomi. Quindi si può pensare a implementare un sistema per cercare di estendere questo prelievo alla fonte anche ai lavoratori autonomi, utilizzando Pag. 31la tecnologia che ormai abbiamo a disposizione?

  ALBERTO LUIGI GUSMEROLI(intervento da remoto). Ringrazio il direttore Ruffini. Ho due brevi domande. Premessa la decisione politica, dal suo punto di vista, considerando la situazione economica, voi state lavorando a suggerire alla politica degli strumenti, anche a lungo termine, per questi 50 milioni di cartelle? Tipo un'ulteriore rottamazione quater o una pace fiscale, fatta precedentemente dal primo Governo Conte. Questa è la prima domanda.
  Per quanto riguarda la seconda domanda, lei più volte ha proposto la tassazione per cassa. Io faccio il commercialista. Lei prima ha detto che la tassazione per cassa andrebbe verso un maggior rispetto della Costituzione, quindi del principio di capacità contributiva del contribuente, però in realtà la tassazione per cassa in massima parte è una finzione. Perché? Perché il regime di tassazione per cassa attualmente utilizzato in massima parte sostanzialmente finge che la fattura emessa sia incassata il giorno dell'emissione e che la fattura d'acquisto sia pagata il giorno dell'emissione. Quindi è una finzione di cassa, perché se si applica la vera tassazione per cassa, cosa che è possibile, in realtà salta tutto il concetto, perché ai contribuenti, oltre a emettere la fattura elettronica, bisogna far inserire il vero giorno di incasso e il vero giorno di pagamento. Quindi perorare la causa della tassazione per cassa è sostanzialmente dire «Facciamo finta che quello che in realtà non avviene, avviene», perché non è così. Quindi continuare su quel punto sembra, non andare incontro ai contribuenti o ai professionisti, ma sembra un automatismo, la voglia di arrivare a un automatismo finto, perché in realtà non è una tassazione per cassa vera e quindi sostanzialmente il contribuente viene tassato di più, non di meno, viene vessato con degli adempimenti in più, non di meno, e questo è per riferirmi a una pratica, non alla teoria, perché la pratica è che voi fate fingere al contribuente che la data di emissione della fattura sia la data dell'incasso del corrispettivo.
  L'ultima domanda riguarda le sanzioni. Non ritiene che una riforma dell'IRPEF debba riguardare anche il livello sanzionatorio e che il livello della sanzione sia uno dei motivi delle difficoltà di riscossione? In Europa le sanzioni massime arrivano al 15 per cento, noi arriviamo a dei livelli di sanzione eccessivi e quindi il discorso della mancata riscossione dipende dall'entità spropositata della sanzione, che alla fine, nel momento in cui rasenta il valore dell'imposta, diventa talmente iniqua e anche talmente impossibile da pagare, che alla fine la riscossione fallisce.

  LUCIANO D'ALFONSO, presidente della 6a Commissione del Senato della Repubblica. Grazie all'avvocato Ruffini per la pedagogia che ogni volta ci regala quando interviene, non solo in questa sede, ma anche quando fa quotidianamente il suo lavoro.
  Ci dà proprio contezza di competenza e chiarezza, come dovrebbe essere l'ordinamento tributario per funzionare. La chiarezza deve essere una qualità e una qualifica irrinunciabile. Direttore Ruffini, io voglio portare la sua relazione e il riscontro rispetto alle mie domande su un punto. Lo ha tratteggiato anche il bravo collega Fenu e anche altri colleghi della Commissione competente della Camera. I dati. Come strumentalizzare i dati, ma non solo a favore dell'amministrazione finanziaria, anche a favore del contribuente. Io so che non sto parlando a un direttore casuale, casualmente collocato lì. So che sto parlando a un vertice di un'articolazione finanziaria che nella sua vita precedente ha fatto con successo l'avvocato. Fare l'avvocato significa anche farsi carico delle ragioni dei cittadini, in questo caso del contribuente, in altro sito contrattuale sarebbe consumatore per la legislazione europeista. Noi dobbiamo insediare o, come si dice nel linguaggio vaticanense, creare la reciprocità nella lealtà. Il cittadino deve essere leale nei confronti dell'amministrazione tributaria e l'amministrazione tributaria deve essere leale nei confronti del cittadino. Sono convinto che, nonostante la distinzione culturale che c'è tra me e Marattin in quanto alla politica, questo lui lo voglia e lo possa Pag. 32plaudire, cioè quando si maturano i rimborsi riferiti ai crediti non ci deve volere una preghiera ebraica per avere il ristoro, il rimborso. Vent'anni fa, ai tempi di quei ciclopi di venti anni fa – io mi ricordo c'era al Demanio un ciclope che si chiamava Ercole Del Gizzo, se non lo chiamava il Ministro non accadeva nulla, non mi ricordo il nome del suo omologo, caro direttore dell'Agenzia delle entrate – ma dopo venti anni è una questione di interoperabilità dei dati. E perché dico questo? Mi è venuto in mente adesso, mentre parlavate voi, di un'esperienza di successo messa in campo dalla Società Generale d'Informatica – la SOGEI dello spazio pubblico, del nostro bilancio consolidato, dell'allora prefetto Gabrielli – quando dovevano sapere per ragioni di sicurezza chi veniva a Roma e a che ora. Bene, mi ha raccontato l'ingegnere Cannarsa e mi ha raccontato Gabrielli che attraverso il lavoro sui dati riuscirono a prefigurare al 90 per cento tutti quelli che sarebbero arrivati a Roma. Se siamo a questo livello di consistenza e di potenza conoscitiva, questo va usato anche dal punto di vista della reciprocità fiscale.
  Concludo con un'annotazione. Voglio fare un saluto ai leghisti del passato ancora presenti in Parlamento, a quelli che hanno avuto modo di apprendere le lezioni di Gianfranco Miglio. Miglio ha riportato in Italia le lezioni di Konrad Lorenz sull'etologia. Il fisco evoca la presa della preda. Nel rapporto tra cittadino e fisco c'è il rapporto tra la preda e la divisione della preda, ma io non penso che possa essere solo questo il rapporto tra cittadini e fisco. È un patto. Franco Gallo ha detto e scritto, sia alla Corte costituzionale sia nelle università, che deve essere un patto costruito sulla fiducia. Io non credo, caro avvocato Ruffini da me e da tutti noi stimato, come diceva prima, che se noi facciamo l'illuminismo normativo, tutto funziona. A un certo punto noi ci troveremo sempre con il bisogno di insediare un patto funzionante. Cominciamo a valorizzare anche questo dato culturale della reciprocità.

  ANDREA DE BERTOLDI. Proprio brevemente una piccola chiosa. Nel salutare il direttore Ruffini, due punti velocissimi. Cosa ne pensa, direttore, dell'attuale differenziazione di trattamento fiscale, molto evidente e sempre più divaricatosi, tra il lavoro autonomo e il lavoro dipendente? Cosa ne pensa del sistema delle ritenute d'acconto, tanto caro al mio collega Fenu – con quale spesso siamo d'accordo, ma probabilmente su questo argomento un po' meno – che tanto sta penalizzando i professionisti soprattutto i più giovani, soprattutto i professionisti più deboli, soprattutto i professionisti a meno valore aggiunto? Perché ricordiamo che il 20 per cento sul lordo, non devo certo insegnarlo io, rappresenta una percentuale effettiva sull'utile netto davvero molto alta e alle volte superiore al 50 per cento. Ecco, questo sistema che priva di liquidità, peraltro in un contesto di crisi come l'attuale, i professionisti – ribadisco: soprattutto i più deboli, che sono la maggioranza – questo sistema ad alta aliquota di ritenuta, non ritiene che sia un sistema disincentivante, ingiusto e una inopportuna fonte di finanziamento preventiva per le casse dello Stato?

  RAFFAELE TRANO(intervento da remoto). Ringrazio l'esposizione del dottor Ruffini. Mai come questa volta in questa audizione sono molto d'accordo con quanto detto, perché io concordo che i temi principali sono la semplicità e la comprensibilità del sistema tributario, tant'è vero che oggi il contribuente ha grosse difficoltà a calcolare e conseguentemente a conoscere quante saranno le tasse – volgarmente chiamiamole così – da versare, ma questo è dovuto alla deriva che ha avuto il sistema normativo e tributario in questi ultimi cinquanta anni, con migliaia di rivisitazioni dei vari decreti del Presidente della Repubblica e quindi di fatto ciò rappresenta poi realmente un blocco per chi vuole investire e si affaccia sul mercato italiano e trova tutte queste complicazioni.
  Andiamo invece ai quesiti. Con specifico riferimento all'erosione della base imponibile, voi citate tutta una serie di strumenti, quali la cedolare secca sugli affitti, il regime forfettario, premi di produttività e altri, però questi sono anche quelli che, a mio avviso, hanno riscosso maggior successo proprio per la semplificazione di cui Pag. 33voi parlate nel vostro documento e in questa audizione. Mi domando poi un'altra cosa. Con i dati in vostro possesso – ovviamente da questo 2021 avrete completamente tutto il flusso dei dati di corrispettivi telematici, che si affiancano alla fatturazione elettronica – si può pensare anche eventualmente a fare dei ristorni automatici? Siccome l'Agenzia delle entrate ha allargato la propria portata e sta effettuando anche erogazioni a favore delle imprese in crisi, magari il grado di informatizzazione di cui dispone l'Agenzia delle entrate insieme a SOGEI è tale da poter fare anche questo tipo di attività.
  Un'altra domanda importante che è emersa con tutta chiarezza è il famosissimo «magazzino» dei crediti fiscali. Mi chiedo: potete fare un calcolo su quanto ci costa avviare le procedure di recupero in termini di orario, di ore lavorate per mantenere in vita queste pratiche? Sinceramente mi piacerebbe fare una digressione su questo aspetto e magari se ci può mandare questi dati, perché sarebbe importante una preziosa documentazione da annettere a questa indagine conoscitiva per avere un quadro più generale.
  Poi un'ultimissima considerazione sulla cash-flow tax. Io spero soltanto che abbinare i pagamenti IVA ai vari versamenti IRPEF in un momento di grave crisi di liquidità non sia un sistema per fare gettito e poi magari in momenti, si spera, di maggiore tranquillità economica, introdurre invece il sistema degli acconti.

  PRESIDENTE. Do la parola al direttore Ruffini per la sua replica.

  ERNESTO MARIA RUFFINI, direttore dell'Agenzia delle entrate (intervento da remoto). Mi scuso fin da subito se ci sono alcune risposte che si sovrappongono e quindi forse sarò ripetitivo o farò dei rimandi. Vado in un ordine cronologico.
  Per quanto riguarda i quesiti posti dal senatore Di Nicola, ho una piccola precisazione, ma può darsi che io abbia capito male, né posso certamente in questa veste fare l'avvocato dei contribuenti, però non corrisponde alla corretta rappresentazione del reale che la metà degli italiani possa essere portatore sano o insano di evasione fiscale. L'evasione fiscale stimata ammonta – c'è un accenno nella documentazione che vi ho trasmesso – nell'ultimo anno stimato a poco meno o poco più di circa 80 miliardi di euro, ma il complesso delle entrate dello Stato ammonta a circa 480 miliardi, quindi il rapporto potrebbe al massimo essere quello. Avremmo dovuto avere un'entrata di circa 560 miliardi e ne abbiamo avuta una di 480 miliardi. È molto grave, ma certamente non può essere addebitata alla metà dei contribuenti, anzi diciamo che la stragrande maggioranza dei contribuenti italiani, comprese le partite IVA, è onesta e paga correttamente le imposte.
  Per quanto riguarda invece l'entità dei controlli, risponde al vero quanto rilevato dalla Corte dei conti ovviamente, e quanto sottolineato dal senatore Di Nicola, però qui il tema è un altro, ma questa scelta ovviamente è del legislatore. Noi assoggettiamo al controllo ovviamente i contribuenti che non sono assoggettati a ritenuta, così come diceva prima il senatore De Bertoldi, non quelli che subiscono una tassazione senza poter fare altro che subirla. A fronte di circa sei milioni di partite IVA – quelle effettivamente operative sono meno, però si parla di milioni di partite IVA operanti – abbiamo un sistema dell'Agenzia delle entrate – quindi i colleghi dell'Agenzia delle entrate che sul territorio possono operare – di poche decine di migliaia di soggetti. Non è ipotizzabile un controllo puntuale di tutte le partite IVA e quindi un aumento sostanziale degli atti di accertamento. È questo il motivo che ha portato il legislatore a introdurre norme che prevedono una maggior induzione alla compliance dei contribuenti, perché è una partita totalmente persa in partenza, quella di poter immaginare un fisco in grado di controllare tutte le partite IVA, al di là della scelta, per cui a fronte di una partita IVA c'è un agente dell'Agenzia delle entrate che controlla il suo comportamento, ma al di là di questo è comunque una partita persa, perché è obiettivamente un rapporto insostenibile. È la ragione che ha indotto il legislatore, e poi l'Agenzia delle entrate in Pag. 34sede attuativa, a introdurre sistemi che prevedono invece una maggiore automaticità delle entrate, le entrate cosiddette «spontanee», e un'automaticità dei controlli che sono quindi finalizzati più all'individuazione di casi che emergono proprio dall'incrocio delle basi dati e quindi la concentrazione soltanto su taluni soggetti. È ancora una partita da chiudere anche perché le basi dati non sono del tutto complete.
  Ricordiamo, questo è cosa ben nota al legislatore, visto che è previsto per norma, che la fatturazione elettronica non è obbligatoria per tutti i soggetti, perché i soggetti che arrivano fino a 65.000 euro di reddito non sono assoggettati alla fatturazione elettronica e quindi sfuggono anche dalle basi dati che le conteggiano. Quindi questo vuol dire che su quei soggetti sono necessari invece accertamenti puntuali, ma sono milioni di soggetti. A riguardo è sempre comunque preferibile stimolare un sistema che prevede invece un'acquisizione maggiore di questi dati e quindi si può anche immaginare, al di là del regime fiscale agevolato che è previsto per i soggetti al di sotto dei 65.000 euro di reddito e sono assoggettati a un regime forfettario – che è un'applicazione agevolata dall'aliquota, che può rimanere – ma assoggettando anch'essi, almeno riducendo il tetto, alla fatturazione elettronica si potrebbe consentire un'acquisizione ulteriore di dati e quindi anche un effetto di compliance netto da parte dei contribuenti e un effetto positivo sulle casse dell'erario. Questo è innegabile, però spetta soltanto al legislatore abbassare il livello di reddito dei soggetti obbligati alla fatturazione elettronica.
  Per quanto riguarda i temi posti dall'onorevole Fragomeli, che poi sono abbastanza comuni anche con altri, che sono quelli delle basi dati, ripeto: le basi dati servono e serve l'incrocio delle basi dati, ma l'utilizzo che se ne sta facendo, anche con l'integrazione di tutte quelle norme e limiti doverosi che sono posti in tema di privacy dei soggetti, sta conducendo a un affinamento progressivo del loro utilizzo, che potrà portare a risultati sempre più migliorativi degli effetti di recupero dell'evasione fiscale, ma più che altro dell'andamento della compliance. Su questo è bene che anche il legislatore sia consapevole del fatto che il vero risultato non è il recupero integrale dell'evasione fiscale, ma il recupero integrale di quell'importo attraverso l'adempimento spontaneo. Faccio sempre un esempio improprio, ma soltanto per rendere l'idea: il vero risultato non è spegnere dieci incendi, ma che i dieci incendi non si siano sviluppati. L'esempio è quello del tutor e dell'autovelox, perché la nostra funzione non è necessariamente quella di elevare contravvenzioni, che è doveroso laddove qualcuno superi i limiti orari per quanto riguarda il sistema ovviamente autostradale, ma è migliorativo del sistema nel suo complesso, quello della riduzione degli incidenti e quindi il sistema tutor che induce il conducente a comportarsi bene. Ecco, il sistema delle banche dati, man a mano che si perfezionano, dovrebbe essere quello del sistema tutor, che induce il contribuente a un adempimento spontaneo.
  Sicuramente poi c'è l'effetto del personale. Dalla fine del mio precedente mandato all'inizio del nuovo mandato l'Agenzia delle entrate aveva 4.000 colleghi in meno per effetto di una serie di pensionamenti o anche soggetti che hanno preferito andare a lavorare nel privato e questo inevitabilmente comporta un effetto anche sulla performance dell'Agenzia delle entrate. A questo si risponde soltanto con lo svolgimento di concorsi ed è quello che stiamo facendo: ne abbiamo concluso uno da funzionari e li abbiamo già messi in servizio, abbiamo assunto nuovi dirigenti tramite il corso-concorso della Scuola Nazionale dell'Amministrazione, stiamo portando a termine un concorso per 175 posizioni e ne bandiremo un altro a breve per altre 160 posizioni, se ricordo bene, e abbiamo già individuato un piano di concorsi per 3 o 4.000 funzionari da attuare nei prossimi tre anni, ma comunque siamo ancora lontani dai numeri che potrebbero garantire un controllo puntuale di accertamento, come quello a cui faceva riferimento il senatore Di Nicola. Dobbiamo invece puntare proprio sulle basi dati. Pag. 35
  Per quanto riguarda il sistema delle sanzioni, a cui credo facesse riferimento l'onorevole Gusmeroli, innanzitutto il sistema delle sanzioni è in vigore dal 1997, quindi sono 24 anni e prevede sanzioni fino al 240 per cento. Era una delle tipologie più frequenti dei ricorsi che facevo come avvocato. Esiste dal 1997 e ci sono state molte occasioni per poterci mettere mano e metterci mano è una scelta del legislatore. È evidente che un sistema sanzionatorio sia necessario, perché altrimenti pagare o non pagare le tasse diventa una scommessa. La misura della sanzione, convengo con lei, può essere anche eccessivamente elevata, può essere ritenuta eccessivamente elevata, ma è in vigore da 24 anni, in cui ci sono state molte occasioni per rivederla. Potrebbe essere anche questa un'occasione per rivederla.
  Per quanto riguarda la tassazione per cassa, finisco con l'onorevole Gusmeroli, visto che l'avevo agganciato sul sistema sanzionatorio, ci sono altri due temi che mi ha posto. L'ultimo lo tratterò alla fine, perché è quello della ripresa dell'attività di riscossione e di accertamento. Invece per quanto riguarda il sistema di tassazione per cassa, convengo con lei. Nella tassazione per cassa, per come è attualmente prevista, l'incasso non è collegato all'emissione della fattura, ne sono ben consapevole, ma quello che si ipotizza è tutto da scrivere. Sta a voi legiferarlo in modo tale che l'effettiva tassazione per cassa sia legata agli effettivi incassi. I sistemi digitali consentono la tassazione nel momento esatto dell'incasso o nell'esatto momento della spesa dell'investimento. Non c'è nessun impedimento tecnico alla possibilità di tassare l'effettiva differenza algebrica tra l'incasso della fattura e la spesa dell'investimento. Non c'è nessuna possibilità di impedimento tecnico. È un problema normativo. Ove il legislatore voglia arrivare a questo, non c'è un problema di disallineamento dell'emessa fattura e l'effettivo incasso. Questo è l'attuale sistema che comunque rimette la possibilità al contribuente, ma dovendo ipoteticamente scrivere, laddove questo sistema venga accolto, lo si può scrivere in maniera tale che la tassazione avvenga sull'effettiva differenza tra entrate e uscite. È soltanto da scrivere. Una delle prime regole che si insegna agli avvocati è che il legislatore può rendere de albo nigrum. Quindi sta a voi disegnarla nel modo migliore.
  Per quanto riguarda invece l'interrogativo relativo alla tassazione per cassa del senatore Fenu, sicuramente bisogna evitare che, laddove questo sistema possa trovare accoglimento nel dibattito parlamentare, il sistema di tassazione per cassa possa diventare un aggravio di adempimenti per i contribuenti. Ci mancherebbe altro. È evidente che attualmente l'Agenzia delle entrate è in grado di conoscere una serie di elementi, non tutti, proprio per quello che dicevo prima con la risposta all'onorevole Fragomeli, perché non tutti i soggetti ad esempio sono tenuti alla fatturazione elettronica obbligatoria e quindi tutti quei soggetti, peraltro la maggior parte di essi sarebbero destinatari dell'eventuale sistema di tassazione per cassa, trasmettono questi dati all'Agenzia delle entrate, non essendoci un sistema di fatturazione elettronica obbligatorio ad essi applicabile. Viceversa, man a mano che questi dati arrivano all'Agenzia delle entrate è essa stessa – l'Agenzia – che, al limite mediante delega del contribuente interessato a questo sistema di tassazione, quindi non obbligatorio, materialmente opera quella differenza tra entrate e uscite a cui prima faceva riferimento l'onorevole Gusmeroli.
  Per quanto riguarda la domanda del senatore De Bertoldi sulla differenza di trattamento fiscale tra lavoratore dipendente e lavoratore autonomo, devo liberarmi interamente da tutti i miei pregiudizi di ex lavoratore autonomo e titolare di partita IVA. È evidente che il titolare di partita IVA si senta in qualche modo differentemente assoggettato a tassazione e lo sia rispetto al lavoratore dipendente, però è anche vero che il sistema della ritenuta è quello che consente anche all'erario di garantire delle entrate. Questo non vuol dire essere in qualche modo taglieggiati dallo Stato, ma è semplicemente una modalità per evitare che ci siano ulteriori privazioni da quella che è la cassa comune, che consente a tutti noi di avere un agire collettivo. Pag. 36Ovviamente anche in questo si possono immaginare eventuali modifiche normative.
  Per quanto riguarda l'onorevole Trano, che mi sembra facesse riferimento al «magazzino» della riscossione, lo trattiamo quasi per ultimo insieme all'altra domanda dell'onorevole Gusmeroli.
  Per quanto riguarda invece la possibilità dell'automaticità del meccanismo dei ristori: i ristori sono stati introdotti nel 2020 sulla base sostanzialmente di un'autodichiarazione e della creazione di una piattaforma digitale e alcuni controlli vengono fatti prima e la maggior parte invece a valle. Perché? Perché molti dei dati su cui si basano i ristori non sono ancora nella disponibilità dell'Agenzia delle entrate. La dichiarazione dei redditi del 2020 verrà presentata entro novembre del 2021 e non tutti i soggetti che sono titolari di partita IVA, non essendo assoggettati a fatturazione obbligatoria, hanno trasmesso i dati all'Agenzia delle entrate, che quindi dovrà aspettare le liquidazioni periodiche, ma ad esempio per quei soggetti che non sono soggetti ad IVA non potrà aspettare neanche questo dato, ma dovrà aspettare la dichiarazione dei redditi, che verrà presentata nel novembre di quest'anno relativamente all'anno precedente, cioè al 2020. Quindi ci sono una serie di dati che ancora non sono disponibili. Per cui se da un lato si è creato un sistema che disallinea, spostando molto in avanti la trasmissione dei dati all'Agenzia delle entrate, dall'altro l'Agenzia delle entrate non è in grado quindi di poter predisporre autonomamente una serie di servizi, quantomeno fino a quando non avrà la disponibilità di queste informazioni.
  Per quanto riguarda quanto accennato come suggestione, ma anche come suggerimento, dal presidente D'Alfonso – ma anche questo spetta al legislatore – ritengo che la reciprocità sia doverosa per principio costituzionale, prima ancora che per l'applicazione dello Statuto dei diritti del contribuente. A questo proposito rilevo che lo Statuto ha soltanto valenza di norma ordinaria e probabilmente anche questa potrebbe essere un'occasione per un dibattito parlamentare, che lascio a voi, sull'opportunità eventualmente di far salire al rango di norma costituzionale taluni princìpi dello Statuto dei diritti del contribuente, semmai anche appesantendoli o arricchendoli ulteriormente, perché forse lo Statuto dei diritti del contribuente non ha valenza di norma costituzionale, ma forse è eccessivamente leggero per poter essere assunto a regola di rango costituzionale. Questo per la reciprocità, che però è doverosa. E ne facevo accenno, se mi permette, presidente D'Alfonso, proprio in relazione al quantomeno illogico e incoerente sistema che prevede l'applicazione di una misura di interessi diversa a seconda che lo Stato sia debitore o creditore, quindi non soltanto in relazione alla tempestività dei rimborsi. Sicuramente quest'ultima è doverosa da parte dell'Agenzia delle entrate, ma su questo apro una parentesi. Da quando ho iniziato a fare l'avvocato – era ancora lo scorso millennio – ad adesso sono stati fatti molti passi in avanti e devo riconoscere al legislatore e ai colleghi dell'Agenzia delle entrate che hanno velocizzato molto l'erogazione dei rimborsi. Detto questo, poi il paradosso è, ad esempio, che questi rimborsi vengono erogati con l'applicazione di interessi inferiori a quelli che vengono applicati quando lo Stato è creditore. C'è questo disallineamento e quindi un mancato rispetto della reciprocità.
  Finisco relativamente al «magazzino» dell'Agenzia delle entrate-Riscossione cui aveva fatto riferimento prima l'onorevole Trano e alla ripresa dell'attività. Per quanto riguarda il «magazzino» pregresso, risalente, non posso far altro che confermare quanto dico e quanto di cui informo il Parlamento in ogni occasione che mi è consentita. L'entità, la vastità e il perimetro temporale di questo «magazzino» fa nascondere tutti noi dietro un dito, che è eccessivamente trasparente ormai nella sua consistenza. Fa sentire a tutti noi che non abbandoniamo nessun credito da riscuotere, perché è doveroso riscuotere fino all'ultimo centesimo, ma in realtà ci ha incastrati in una cattiva gestione dell'amministrazione, perché il dover continuare a cercare di riscuotere somme ormai non Pag. 37riscuotibili rallenta l'efficienza dell'attività di riscossione per i crediti effettivamente riscuotibili. Quindi ci nascondiamo dietro un'entità di «magazzino» che però in realtà non porta nulla di buono perché impedisce l'effettiva riscossione dei crediti riscuotibili.
  Per quanto riguarda la ripresa della riscossione, il Parlamento è ben consapevole della fine del periodo di sospensione al 31 dicembre del 2020. Quindi la scelta, a mio avviso doverosa, del Governo e del Parlamento di sospendere l'attività di accertamento e di invio degli atti da parte dell'Agenzia delle entrate, che sono atti di accertamento, avvisi di liquidazione, lettere di compliance e avvisi bonari, da un lato, e, dall'altro, per quanto riguarda l'Agenzia delle entrate-Riscossione, di cartelle di pagamento, di solleciti di pagamento, di fermi amministrativi di autoveicoli, di pignoramenti di conti correnti, di iscrizioni ipotecarie su beni immobili, non c'è più. Quindi questa attività non è più sospesa. Dal primo gennaio le due Agenzie sono legittimate a riprendere l'attività. Questo cosa comporta? Che tutta l'attività sospesa nel 2020 dovrà essere svolta nel 2021, entro il 31 dicembre 2021, e nel 2021 dovrà essere anche svolta tutta l'attività che è di competenza del 2021, cioè tutti gli atti che devono tempo per tempo essere istruiti, emanati e notificati nel 2021. Questo ha comportato l'accumularsi in prospettiva di circa 50 milioni di atti, 34 milioni dell'Agenzia delle entrate-Riscossione e 16 milioni di atti dell'Agenzia delle entrate che verranno notificati. L'unica cosa che possono fare le due Agenzie è quella di diluirli nel tempo tra gennaio e dicembre, ma in assenza di una specifica norma non può essere fatto altrimenti.
  Per quanto riguarda l'ipotesi cui accennava l'onorevole Gusmeroli di introduzione di norme di rottamazione o di pace fiscale, che dir si voglia, o di definizione, ovviamente questa è una scelta del Parlamento, ma mi preme dire una cosa. Tutte queste disposizioni presuppongono che il cittadino sia a conoscenza del debito, fiscale o previdenziale che sia, che è chiamato ad adempiere. Avendo sospeso l'invio di questi atti nel 2020, anche l'introduzione di una rottamazione o di una rateizzazione straordinaria o che dir si voglia, comunque non risolve il problema di portare a conoscenza del cittadino l'esistenza di questi debiti. Quindi qualunque introduzione non può prescindere dall'invio di questi atti. Possono esserci soluzioni alternative, però chiaramente queste spettano non certo amministrativamente all'Agenzia delle entrate o all'Agenzia delle entrate-Riscossione, ma al Parlamento.

  PRESIDENTE. La ringrazio molto, direttore Ruffini, per questa sua audizione e anche per l'approfondita replica che ha compiuto. Questa audizione conclude la prima giornata di questa nostra indagine conoscitiva sulla riforma dell'IRPEF e altri aspetti del sistema tributario ad opera delle Commissioni Finanze di Camera e Senato. Saluto e ringrazio il presidente D'Alfonso e autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal direttore Ruffini (vedi allegato 2).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 17.35.

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ALLEGATO 1

Documentazione depositata dal dottor Ricotti

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ALLEGATO 2

Documentazione depositata dall'avvocato Ruffini

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