XVIII Legislatura

IV Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 19 di Venerdì 14 maggio 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Rizzo Gianluca , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA PIANIFICAZIONE DEI SISTEMI DI DIFESA E SULLE PROSPETTIVE DELLA RICERCA TECNOLOGICA, DELLA PRODUZIONE E DEGLI INVESTIMENTI FUNZIONALI ALLE ESIGENZE DEL COMPARTO DIFESA

Audizione, in videoconferenza, del rappresentante permanente d'Italia presso la NATO, Ambasciatore Francesco Maria Talò.
Rizzo Gianluca , Presidente ... 2 
Talò Francesco Maria , Rappresentante permanente d'Italia presso la NATO ... 2 
Rizzo Gianluca , Presidente ... 8 
Occhionero Giuseppina (IV)  ... 8 
Rizzo Gianluca , Presidente ... 9 
Perego Di Cremnago Matteo (FI) , intervento da remoto ... 9 
Rizzo Gianluca , Presidente ... 10 
Pagani Alberto (PD) , intervento da remoto ... 10 
Rizzo Gianluca , Presidente ... 10 
Russo Giovanni (Misto) , intervento da remoto ... 10 
Rizzo Gianluca , Presidente ... 11 
Frusone Luca (M5S) , intervento da remoto ... 11 
Rizzo Gianluca , Presidente ... 12 
Talò Francesco Maria , Rappresentante permanente d'Italia presso la NATO ... 12 
Rizzo Gianluca , Presidente ... 16

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-L'Alternativa c'è: Misto-L'A.C'È;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Cambiamo!-Popolo Protagonista: Misto-C!-PP;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Rinascimento ADC: Misto-NcI-USEI-R-AC;
Misto-Facciamo Eco-Federazione dei Verdi: Misto-FE-FDV;
Misto-Azione-+Europa-Radicali Italiani: Misto-A-+E-RI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-MAIE-PSI: Misto-MAIE-PSI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANLUCA RIZZO

  La seduta comincia alle 10.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare e la diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione, in videoconferenza, del rappresentante permanente d'Italia presso la NATO, Ambasciatore Francesco Maria Talò.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione in videoconferenza del Rappresentante permanente d'Italia presso il Consiglio Atlantico, l'Ambasciatore Francesco Maria Talò nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla pianificazione dei sistemi di difesa e sulle prospettive della ricerca tecnologica, della produzione e degli investimenti funzionali alle esigenze del comparto difesa. Saluto e do il benvenuto all'ambasciatore Talò, che ringrazio per essere intervenuto in collegamento, ai colleghi presenti e a quelli che parteciperanno alla seduta secondo le modalità stabilite dalla seduta della Giunta per il Regolamento del 4 novembre 2020, ai quali rivolgo l'invito a tenere spenti i microfoni per consentire una corretta fruizione dell'audio. Ricordo che dopo l'intervento dell'ambasciatore darò la parola ai colleghi che intendano porre domande o svolgere osservazioni. Successivamente, il nostro ospite potrà rispondere alle domande poste. A tal proposito, chiedo ai colleghi di far pervenire fin da adesso la propria richiesta di iscrizione a parlare al banco della Presidenza.
  A questo punto do la parola all'Ambasciatore Francesco Maria Talò.

  FRANCESCO MARIA TALÒ, Rappresentante permanente d'Italia presso la NATO. Grazie presidente. Ringrazio lei e tutta la Commissione difesa della Camera per questa opportunità che mi offrite di presentare il nostro lavoro quotidiano. Spero che questo lavoro possa essere utile per la vostra indagine conoscitiva e che possa servire a lavorare insieme come una squadra – così come siamo – per rafforzare il sistema Italia, perché in realtà il nostro lavoro è quello di essere una componente di un sistema integrato nel quale la difesa è un aspetto fondamentale, ma si integra con tutte le azioni che possono essere importanti per rafforzare la nostra sicurezza, il nostro sistema economico di ricerca, gli interessi nazionali dell'Italia e degli italiani, anche del mondo del lavoro.
  Proporrei di presentare le nostre attività in un contesto anche attuale e politico nel senso che immagino che voi abbiate avuto e avrete incontri, forse un po' più tecnici, con persone che più di me sapranno spiegare alcuni aspetti della ricerca tecnologica e della capacità produttiva industriale.
  Vorrei, invece, presentarvi dal punto di vista NATO – adesso mi trovo proprio nella sede della NATO a Bruxelles – quali sono gli sviluppi e le direzioni di lavoro.
  Ci troviamo a un mese esatto dal vertice che si terrà a Bruxelles il 14 giugno, che sarà il primo incontro di Biden con gli europei, una sorta di «re-incontro» con gli americani. Infatti, lo slogan che a Washington si porta avanti è «America is back». Il primo e il più importante aspetto di questo incontro è quello determinato dal ritrovato valore dell'alleanza e dello stare insieme, Pag. 3del rapporto transatlantico, quale elemento di forza per tutti, anche per gli Stati Uniti che hanno capito il valore aggiunto dell'avere degli alleati, poiché siamo in un mondo in cui se si è isolati non si riescono a vincere le sfide.
  In questa riunione che avremo il 14 giugno, il vertice dei Capi di Stato e di Governo che si incontreranno tra loro, incluso il Presidente Biden, l'idea è anche quella di rispondere in un certo senso a certe affermazioni provocatorie che sono state proposte nell'autunno del 2019, soprattutto dal Presidente Macron. Ricorderete, probabilmente, la celebre affermazione di Macron in un'intervista al The Economist nella quale si parlava di «morte cerebrale della NATO». Questa era una provocazione voluta per suscitare un dibattito per risvegliare l'interesse e l'impegno per rafforzare la dimensione politica della NATO. Da questa affermazione è venuto fuori un dibattito molto ampio, un impegno nel rilancio del ruolo politico della NATO che ha portato a un esercizio chiamato «NATO2030», ovvero come si proietta l'Alleanza atlantica in una prospettiva di medio-lungo periodo nel prossimo decennio. In questo contesto abbiamo alcune linee di continuità e altre di rinnovato e rafforzato nuovo impegno.
  Nella continuità – qui entriamo sùbito nella concretezza del lavoro di questa indagine – abbiamo la conferma della necessità di investire per la difesa. Il Defence investment pledge, che è stato affermato nel vertice del 2014 nel Galles a Cardiff, propone tre obiettivi tendenziali: si parla delle tre C. Il più noto è quello del 2 per cento del PIL (prodotto interno lordo) per le spese alla difesa, il cosiddetto «cache». Sapete che l'Italia ancora non ci è arrivata, ma siamo in buona compagnia, perché la maggior parte dei Paesi ancora non ha raggiunto questo obiettivo che, peraltro, è definito per il 2024. Possiamo dire che questo è il quanto.
  Il secondo obiettivo – qui arriviamo a un punto per noi più rilevante – è quello degli investimenti nel contesto di tali spese, ovvero il 20 per cento che si chiede di spendere per spese di investimento. Sono le cosiddette «capabilities». Se il primo obiettivo era la quantità, definirei questo secondo obiettivo come la qualità o il come si spende. L'Italia è messa molto bene, perché sono già diversi anni che superiamo tranquillamente la soglia del 20 per cento. Possiamo dire che nonostante l'Italia ancora non spenda tanto quanto ci si proporrebbe per la difesa, la quota per gli investimenti è già elevata.
  Il terzo obiettivo, che ha un minore collegamento diretto con l'incontro di oggi, ma che rimane comunque rilevante è quello della C di contribution, dei contributi in termini umani alle missioni e operazioni della NATO. Qui siamo veramente messi molto bene, perché l'Italia dopo gli Stati Uniti è il secondo Paese contributore di truppe alle operazioni della NATO, più o meno alla pari con la Germania, mentre gli Stati Uniti ovviamente sono avanti, ma quella è un'altra dimensione per tutti. Da questo punto di vista si va avanti.
  In questo contesto c'è un processo di pianificazione, che è il cosiddetto «NATO Defence Planning Process»: un processo di pianificazione della NATO che, su base quadriennale, aiuta a indicare la direzione di marcia per l'impegno per le spese. In questo contesto rientrano le nuove tecnologie. Credo che sia fondamentale per noi impegnarsi nel campo delle nuove tecnologie che spesso sono definite EDT, emerging and distruptive technologies, tecnologie emergenti e dirompenti. Qui abbiamo il primo punto importante di collegamento con il processo a cui ho fatto cenno prima, il processo NATO2030. Nell'ambito NATO2030 dobbiamo fare in modo che la NATO continui ad avere la sua propria capacità di adattamento a un mondo che cambia, un mondo che è dominato – lo vediamo tutti – da nuove tecnologie e dobbiamo riuscire a fare in modo che, come è sempre avvenuto nella storia della NATO, l'Occidente abbia il cosiddetto «vantaggio tecnologico» e mantenga questo vantaggio tale da poter superare le sfide e dominare nei nuovi settori della tecnologia.
  Credo che questa sia una cosa che interessi moltissimo l'Italia, nel senso che l'Italia è un Paese con una tradizione tecnologicaPag. 4 e scientifica più che secolare che affonda nel Rinascimento. Il nostro futuro dipende dall'essere nel contesto di questa crescita generale della NATO, anzi di esserne protagonisti e di essere nel gruppo di punta che porta la NATO a mantenere un vantaggio che non è più scontato.
  La grande novità di questi anni è rappresentata dalla Cina, indicando anche un termine di riferimento. Le ambizioni cinesi sono chiare. Non è che vogliamo porci in termini di rivalità, ma l'Unione europea, ad esempio, ha detto chiaramente che la Cina è un competitore, ci si deve competere e da un punto di vista del sistema di valori è un rivale strategico. Sono queste le tre indicazioni che vengono fornite nell'altra istituzione di Bruxelles, l'Unione europea. Come Stato membro dell'Unione Europea abbiamo ben compreso cosa questo voglia dire, quando si parla di competizione. La Cina vuole diventare il Paese numero uno nelle nuove tecnologie.
  Per fare questo dobbiamo investire nelle nuove tecnologie che non sono più a uso esclusivo militare. Un tempo c'era un'equazione abbastanza chiara: il settore militare trainava lo sviluppo tecnologico. Adesso, nella vita di tutti i giorni, vediamo che le grandi compagnie internazionali, i colossi della Borsa non sono più quelli che fanno macchinari pesanti o che appartengono al cosiddetto «apparato militare industriale», quell'establishment che veniva indicato già da un Presidente di origine militare come Eisenhower e che aveva tanta influenza sulla politica di Washington, la quale a sua volta influenzava quest'industria poiché c'era un rapporto simbiotico tra l'industria della difesa, il sistema politico di Washington e, in una certa misura, quello dei grandi Paesi europei. Adesso la capitale dell'innovazione non è più a Washington o nel mondo che la circonda da un punto di vista anche imprenditoriale, ma è soprattutto nella West Coast, nella Silicon Valley e nella California, in cui nascono queste imprese che sono i nuovi colossi in un contesto anche culturale del tutto diverso per via di esigenze diverse: quelle della comunicazione o della logistica come Amazon o del tempo libero e della comunicazione da Facebook a Google. Queste imprese fanno innovazione, ma è un'innovazione che ha impatto anche nel mondo militare. Infatti, basti pensare al ruolo di Google nell'informatica quantistica.
  Questi sono i settori su cui puntare, perché hanno una valenza trasversale, orizzontale, e sono importanti per i nostri cittadini, per i nostri lavoratori e per il nostro sistema industriale. Ne cito alcuni: ci sono sette aree tecnologiche indicate in una visione programmatica sviluppata qui alla NATO su queste tecnologie emergenti, sulle EDT. Queste aree sono in gran parte duali, civili-militari e sono: i grandi dati, l'intelligenza artificiale, l'autonomia – questi tre primi settori sono molto collegati tra loro – lo spazio e l'ipersonica cioè i missili – siamo in un campo anche molto militare con le nuove tecnologie missilistiche –, le tecnologie quantistiche, le biotecnologie con la capacità di rafforzamento umano. Qui entriamo anche in contesti che sono molto delicati da un punto di vista etico, ovvero immaginare l'elemento umano, la specie homo sapiens che viene rafforzata nella propria capacità anche intellettuale oltre che fisica, grazie alle capacità tecnologiche e dell'intelligenza artificiale. Sono questi i settori su cui è importante investire e fare di più.
  Abbiamo delle indicazioni importanti da questo punto di vista, ma ciò naturalmente non esclude contesti più tradizionali che riguardano da un punto di vista militare tutte le nostre Forze armate.
  Ad esempio, nel contesto della Marina – parlo non solo di ricerca, ma di in capacità industriali che sono già sviluppate, anzi sono già realizzate – ricordo le fregate della classe FREMM per fare degli esempi dove l'Italia è molto ben posizionata, che sono già attive anche in un contesto di impegni NATO, ad esempio con l'operazione Sea Guardian e che dal punto di vista delle esportazioni del mercato, che ovviamente è importante anche per la nostra industria e per i nostri lavoratori, hanno delle prospettive importanti negli Stati Uniti.
  In campo aeronautico abbiamo, invece, i velivoli di quinta generazione, gli F35. Anche in questo caso l'Italia è all'avanguardia,Pag. 5 perché ricordo che ormai un anno e mezzo fa siamo stati il primo Paese a schierare degli F35 in un'operazione NATO, cioè nell'Air Policing che abbiamo fatto in Islanda. In questo periodo sono schierati gli F35 in Estonia, nell'Air Policing che facciamo nei Paesi baltici, cioè in regioni che, non avendo proprie capacità aeree nazionali, fanno affidamento sulla solidarietà e sul sostegno di altri alleati della NATO. Vorrei fare un altro riferimento sugli F35 e sulla capacità recentemente acquisita di operare con gli F35 sulla nostra portaerei Cavour. Questo ci porta a essere il terzo Paese della NATO ad avere questa capacità doppia di portaerei e F35. Solo tre Paesi della NATO – gli Stati Uniti, il Regno Unito e adesso l'Italia – hanno questa capacità e in ambito dell'Unione europea siamo i soli, perché qualcuno ha solo la portaerei e qualcun altro ha solo l'F35, mentre noi abbiamo le due cose che danno una capacità di proiezione enormemente superiore. Questo è qualcosa che rende le Forze armate italiane particolarmente capaci dal punto di vista anche della seconda C, ovvero quella degli investimenti. Sempre nella dimensione aeronautica vorrei ricordare il programma di sorveglianza AGS, Alliance Ground Surveillance, dove l'Italia ha un ruolo fondamentale, perché si tratta di quel sistema di ricognizione e di acquisizione delle informazioni effettuato tramite grandi droni che ha la propria base a Sigonella. Recentemente si è completata la flotta di questi aerei senza persone a bordo che danno alla NATO una grande capacità di controllo del territorio circostante. Anche questo è molto importante e anche lì ci sono delle capacità italiane coinvolte.
  Infine, dal punto di vista delle capacità terrestri ricordo gli assetti blindati nazionali, i VBM 8x8 Freccia che sono operativi all'interno del dispositivo di sicurezza Enhance Forward Presence in Lettonia nei Paesi baltici. Vediamo come ci sono anche dei collegamenti tra le operazioni menzionate, quella in Lettonia, l'Air Policing in Islanda e in Estonia e il dispiegamento di capacità avanzate.
  Poi c'è lo spazio. Proprio pochi giorni fa abbiamo avuto una grande prova di capacità da parte delle Forze armate italiane con l'operazione definita «disorbiting», ovvero la messa in un contesto sicuro di un satellite che non è più necessario. Anche lì abbiamo dimostrato una grande capacità. Parlando di spazio, vorrei ricordare come questo sia l'ultima delle cinque dimensioni operative che sono inserite nell'ambito delle attività militari della NATO. Noi siamo partiti dalle tradizionali dimensioni, prima la terra e poi il mare, dove da qualche migliaio di anni gli uomini si combattono, e solo un centinaio di anni fa si è aggiunta la dimensione aerea. In una rapida successione questo dà l'idea della capacità dirompente dello sviluppo tecnologico, perché mentre le prime tre dimensioni hanno impiegato migliaia di anni per diventare una realtà – terra, mare e cielo –, ora in nel giro di pochissimi anni si è aggiunta la parte cyber che dal 2016 è diventata un dominio operativo e nel 2019 si è aggiunta la parte spazio. Questo dà un'idea dell'accelerazione e della necessità di stare dietro a questo sviluppo.
  Ci sono poi altre caratteristiche delle dimensioni spazio e cyber: quelle di non avere una chiara corrispondenza con una definizione territoriale. Non si può dire che un satellite, a meno che non sia già stazionario, stia sopra l'Europa o gli Stati Uniti, perché gira e quindi è difficile dire dove insiste la capacità spaziale. Lo stesso vale per il cyber, rispetto al quale, per esempio, è molto difficile fare delle attribuzioni. È importantissimo agire in questi domini che rappresentano il futuro della nostra economia sotto tanti aspetti e che rappresentano delle minacce continue quotidiane – quelle che vengono dal cyber, le conosciamo – ed è importantissimo stare avanti e avere questa capacità del vantaggio tecnologico che è quella che contraddistingue l'Occidente da almeno 500 anni, dal Rinascimento, da quando la cultura e di conseguenza la politica occidentale hanno dominato la sfera della storia mondiale. Da questo dipende il nostro essere parte di un mondo che determina il futuro delle nostre Pag. 6popolazioni. Per fare questo bisogna lavorare insieme.
  Qui vorrei proporre l'esempio di quanto è accaduto dalla fine degli anni Cinquanta all'inizio degli anni Sessanta, il cosiddetto «Sputnik moment», ovvero quando gli americani ebbero lo shock di vedersi superati dall'Unione Sovietica nella corsa verso lo spazio con lo Sputnik. Lì ci fu la reazione di Kennedy che disse: «Dobbiamo essere noi i primi ad arrivare sulla Luna». Ci riuscirono nel giro di pochi anni, ma soprattutto, per la mia osservazione ci riuscirono da soli. L'America di allora aveva una tale capacità da non aver bisogno di alleati e di partner per sviluppare la tecnologia e la capacità di vincere la sfida.
  Oggi nessun Paese né gli Stati Uniti, né gli europei, se si dovessero unire, possono vincere la sfida da soli. Questo cosa vuol dire? Dobbiamo essere insieme, sia con la NATO, ma anche insieme con l'Unione europea, che è l'altra dimensione importante del nostro lavoro e del nostro impegno. Non possiamo immaginare l'Unione Europea come alternativa alla NATO o come una terza forza tra Stati Uniti e Cina. L'Unione Europea deve certamente rafforzarsi molto anche sotto il profilo della sicurezza, deve unirsi, ma deve farlo in modo coerente con il nostro impegno transatlantico, cioè con un'alleanza che ha la propria ragione d'essere, la propria specialità e la propria esperienza nel settore della difesa, rispetto al quale, invece, l'Unione Europea sta muovendo da poco i primi passi.
  Da questo punto di vista vorrei fornire alcuni dati. Gli Stati membri dell'Unione Europea e quelli della NATO in grande parte si sovrappongono: 21 dei 30 Paesi alleati della NATO sono anche membri dell'Unione Europea. Questo è importante, perché vuol dire che dobbiamo lavorare insieme. L'Italia fa parte sia della NATO che dell'UE, la testa è unica e dobbiamo essere coerenti con noi stessi. Tuttavia, ci sono delle differenze interessati: mentre, da un lato, il 90 per cento dei cittadini della UE sono anche cittadini di Paesi NATO, solo metà dei cittadini della NATO sono anche cittadini della UE. La NATO sostanzialmente ha il doppio degli abitanti della UE, ha circa un miliardo di abitanti, e questo la dice lunga. Ancora più significativo è il dato riguardante le spese per la difesa. Infatti, nel contesto delle spese per la difesa degli Stati alleati della NATO l'80 per cento viene da Paesi che non sono UE: i 21 Paesi UE rappresentano il 20 per cento, mentre i 9 non UE l'80 per cento. Il motivo è abbastanza evidente, perché tra i 9 non UE ci sono gli Stati Uniti con il loro peso preponderante, ma adesso si sono aggiunti anche il Regno Unito che è un altro alleato di peso notevole, più altri di cui tener conto come, ad esempio, la Turchia.
  Questo ci impone la collaborazione; non è una scelta, ma è una collaborazione non facile. Sappiamo, ad esempio, le questioni che esistono tra la Turchia e l'Unione Europea, ci sono interessi anche economici, ma dobbiamo cercare di fare sempre di più nell'ambito dei programmi come la PESCO (Permanent Structured Cooperation) e nell'utilizzo dei fondi europei. Ad esempio, abbiamo delle possibilità e degli interessi a lavorare insieme sulla mobilità militare, che è un programma dell'Unione Europea interessante per le Forze armate di tutti i Paesi alleati. Proprio recentemente la Norvegia, il Canada e gli Stati Uniti sono stati coinvolti da questo punto di vista.
  Questo mi porta a menzionare un altro settore imprenditoriale ed economico importante, anche se non sempre considerato tra quelli tecnologicamente di punta. Mi riferisco alle infrastrutture. Anche le nostre grandi imprese, che hanno una grande tradizione nel settore infrastrutturale, possono vedere delle interessanti prospettive nelle attività collegate al mondo della difesa e, quindi, anche al mondo NATO. Tutto questo in un contesto di collaborazione NATO e UE, dove c'è una differenziazione tra le due: la NATO è più ampia, includendo anche gli Stati Uniti, quindi l'altro lato dell'Oceano Atlantico e ha questa dimensione maggiore da un punto di vista della difesa; l'UE è più profonda e ha una capacità normativa che manca alla NATO, che invece è un'organizzazione puramente intergovernativa. Insieme si può fare di più.Pag. 7
  In questo contesto qual è il ruolo dell'Italia? Come ho detto prima, l'Italia è il secondo Paese della NATO tra quelli che contribuiscono alle operazioni. Questo va seguendo il PIL come contributore al bilancio, ma siamo protagonisti e vogliamo esserlo anche negli interessi dell'Italia dal punto di vista del coinvolgimento delle nostre industrie.
  È di pochi giorni fa la designazione di una persona, il cosiddetto NATEX, l'esperto nazionale nell'ambito della NATO che si dedicherà ai rapporti con l'industria anche grazie a collegamenti con il nostro sistema industriale come, ad esempio, l'AIAD (Federazione aziende italiane per l'aerospazio, la difesa e la sicurezza).
  Presto avremo poi un importante appuntamento dove l'Italia sarà protagonista, su cui vorrei attirare la vostra attenzione. Si tratta del NATO Industry Forum: il 17 e il 18 novembre prossimi si svolgerà a Roma quella che è la più grande iniziativa della NATO di incontro tra i protagonisti del mondo industriale globale. Sulla base delle precedenti esperienze ci saranno i leader delle grandi imprese mondiali del settore dell'industria che verranno a Roma. Il nostro impegno è lavorare insieme alla NATO per fare che questo sia un successo, perché attirerà l'attenzione di grandi imprese internazionali, di possibili investitori e interlocutori per il nostro sistema industriale. L'evento è organizzato da Roma. Naturalmente c'è il Segretariato Generale della difesa e gli altri interlocutori principali sono il Segretariato della NATO e il Comando alleato per la trasformazione, che ha sede a Norfolk negli Stati Uniti. Inoltre, prevediamo anche una visita del Segretario Generale Stoltenberg. Quindi, questa può essere certamente un'occasione interessante.
  Infine – spero di non essere stato troppo lungo –, vorrei menzionare un settore che mi sta molto a cuore, perché credo che rappresenti una grande opportunità per noi tutti, che è quello del rapporto tra la sicurezza, la difesa e il cambiamento climatico in generale e le questioni ambientali. Qui siamo di fronte a una duplice sfida. Da un lato, vi è la sfida delle minacce che il cambiamento climatico porta alla nostra sicurezza. Si dice che il cambiamento climatico sia un moltiplicatore di conflitti, basti pensare a quello che succede al Sud con le sfide come la desertificazione che portano a instabilità e a minacce alla sicurezza ai nostri confini nel Mediterraneo e alle sfide dal Nord come lo scioglimento dei ghiacci e della calotta polare che possono portare, da un lato, all'innalzamento delle acque ad esempio sulle panchine dei Porti e, dall'altro, alla percorribilità di nuove rotte nell'Oceano polare e, quindi, a nuove direttrici di attacco o nuove opportunità economiche per Paesi diversi dall'Italia che ha il proprio centro di interesse nel Mediterraneo. Questo vuol dire attrezzarsi, investire in nuove capacità per le nostre Forze armate e anche fare in modo che le nostre Forze armate abbiano un minore impatto ambientale. Vi è un dovere morale, globale e anche di interesse economico di fare in modo che come tutti i settori delle attività umane anche quello militare abbia un minore impatto ambientale. Proprio un paio di giorni fa ho letto un rapporto del Ministero della difesa britannico nel quale si calcola che nel Regno Unito – immagino che negli altri Paesi i dati non siano molto diversi – il settore della difesa ha un impatto sull'ambiente che è calcolato nella misura del 50 per cento di tutto l'impatto del Governo britannico. Questo dato dà un'idea di quanto la difesa sia impattante, però può dare anche un'idea di quanto la difesa possa contribuire con degli investimenti. Naturalmente la priorità rimane sempre quella di assicurare la nostra sicurezza, ma gradualmente possiamo fare in modo che questo avvenga con un minore impatto ambientale. In questo modo il cambiamento è ineludibile, è chiaro che dobbiamo attuare la transizione ecologica e non dobbiamo subirla, bensì guidarla in modo che questa sfida diventi un'opportunità per il nostro sistema imprenditoriale.
  Vediamo come anche qualcosa che fino ad adesso e in passato non era particolarmente nel radar di chi si occupa di queste questioni diventi rilevante per chi vuole parlare di difesa sia da un punto di vista Pag. 8geopolitico, cioè delle sfide che ci arrivano, sia da un punto di vista industriale, cioè delle capacità che dobbiamo sviluppare per avere dei sistemi di mobilità militare che abbiano un minor impatto e che tengano conto della transizione energetica.
  Ad esempio, anche alla NATO e in altri contesti parliamo di passare nel mix energetico non solo dal carbone verso il petrolio e verso un elemento di transizione come il gas, ma anche verso le rinnovabili e l'idrogeno, in particolare l'idrogeno verde. Abbiamo avuto incontri con i responsabili dell'Agenzia internazionale per l'energia e con l'Unione Europea. Del resto credo che tutto questo rientri nella grande sfida nazionale e nella grande opportunità nazionale rappresentata dal Piano nazionale di ripresa e resilienza.
  Mi fermo qui, anzi mi scuso se sono stato un po' lungo, ma questi sono temi che mi appassionano e che, come vedete, toccano tanti contesti dell'attività nazionale e non soltanto della NATO. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, Ambasciatore. Associandomi alla sua considerazione in riferimento alla necessità di rafforzare il nostro sistema Paese, la ringrazio per l'importante contributo che ha dato ai lavori della nostra Commissione e all'indagine conoscitiva.
  Adesso do la parola ai colleghi che ne hanno fatto richiesta, iniziando dall'onorevole Occhionero. Prego, collega.

  GIUSEPPINA OCCHIONERO. Grazie, presidente. Grazie, Ambasciatore anche per la passione con cui ci ha intrattenuti per questa mezz'ora, che in realtà è sembrata passare piuttosto celere, data l'importanza dei temi da lei trattati e le riflessioni che ha lanciato sul tavolo che richiederebbero molto più tempo anche da parte nostra – almeno da parte mia – per essere approfondite. Proverò a rivolgerle alcune domande in maniera sintetica, attraverso anche delle considerazioni che nascono dall'ascolto attento della sua relazione.
  Parto dalla fine. Mi fa piacere aver sentito parlare di «sfida complessa» a cui l'Italia sarà certamente pronta per fare in modo che attraverso la nostra cooperazione possiamo vincere la sfida che vede la difesa, l'industria e l'ambiente non come categorie antitetiche, ma come categorie che lavorano in sinergia e nell'ottica di garantire la sicurezza attraverso politiche di transizione ecologica che devono essere guidate e non subite. Accolgo con favore, con piacere e con entusiasmo questo lancio di ottimismo rispetto alla possibilità dell'Italia di essere al passo con questa sfida complessa.
  Allo stesso modo ho accolto con grande piacere e favore la riflessione che faceva, rispetto alla quale i programmi NATO in tema di equipaggiamenti e di acquisizione di sistema si interfacciano con quelli sviluppati dall'Unione Europea all'interno del Fondo europeo di difesa che vedono coinvolte anche le industrie italiane. Accolgo anche questo con favore, perché rappresenta per noi la possibilità di uno slancio vitale che, soprattutto in questo momento, serve assolutamente all'Italia. Mi ha fatto piacere apprendere che ci sarà questo NATO-Industry Forum che potrebbe essere una buona occasione anche per noi per essere presenti, lanciando questa idea al presidente della Commissione.
  Inoltre, vorrei sviluppare un riferimento specifico al tema degli attacchi cyber, soprattutto per conto degli attori statuali, che sicuramente è un tema attuale ben presente anche nelle strategie della NATO. Di fronte alle nuove minacce cibernetiche che sono in costante evoluzione è anche necessario un sistema robusto di risposta di cyber defence e anche una capacità forte di resilienza che consente non solo di minimizzare i danni, ma anche di ripristinare immediatamente gli eventuali servizi sospesi. Tuttavia, nel quadro geopolitico attuale non sembra sia più sufficiente solamente questa risposta. Infatti, proprio pochi giorni fa il sottosegretario Gabrielli, su un quotidiano, ha affermato che c'è la volontà dell'Italia di rispondere agli attacchi di matrice statuale e addirittura il presidente Sassoli ha aggiunto la necessità di pensare anche a un coordinamento nella reazione.Pag. 9
  Le faccio questa domanda: a che punto è l'attività cyber offensiva in ambito NATO? Poggia già su forze in grado di contrattaccare? Come lo facciamo e come si può fare? Penso anche alla questione giuridica e all'articolo 5: l'attacco cyber è un attacco fisico o deve essere considerato altro? Noi che posizione abbiamo? L'Italia è pronta anche a livello di policy e di assetto giuridico a contribuire a una forza NATO di cyber deterrenza che sappia gestire con modalità offensiva gli attacchi o per disabilitare preventivamente questi strumenti del nemico?
  Come ha detto già lei – lo ribadisco solamente in conclusione –, non vorrei che l'Italia perda l'occasione di essere protagonista su questo campo molto delicato e molto strategico. Mi taccio per dare spazio agli altri e ringrazio ancora una volta l'Ambasciatore per il contributo molto utile, come ha detto il presidente, che ha portato a questa nostra indagine conoscitiva. Grazie.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire l'onorevole Perego di Cremnago, a cui do la parola. Prego, collega.

  MATTEO PEREGO DI CREMNAGO, intervento da remoto. Grazie, presidente. Ambasciatore, è un piacere rivederla dopo il nostro incontro a Herat a riprova di quanto il contributo italiano come sforzo di personale militare nell'ambito delle operazioni NATO sia molto rilevante, però c'è un punto della sua riflessione sul quale vorrei tornare.
  Lei ha parlato dell'importanza di mantenere la supremazia tecnologica rispetto ai nostri principali competitor e ha accennato ovviamente alla Cina, viste le ambizioni e gli investimenti che Pechino sta facendo nell'ampio settore della difesa.
  Secondo me c'è un aspetto che noi commissari dovremmo tenere bene presente, ovvero il fatto che negli ultimi cinque anni si siano aggiunti ai domini tradizionali il dominio cibernetico e, in particolare, il dominio spaziale. Ha citato bene il disorbiting del Sicral, che è stata un grande prova di capacità del nostro sistema. Tuttavia, nella dimensione spaziale sappiamo che la presenza di satelliti delle potenze regionali e di quelle globali da qui ai prossimi dieci anni aumenterà esponenzialmente. Per cui, credo che si convenga nel fare un'azione di moral suasion nei confronti dell'opinione pubblica e del Governo affinché quel target del 2 per cento – che oggi per noi è molto lontano, perché siamo all'1,22 –, si possa raggiungere non solo perché gli investimenti nel settore della difesa abbiano delle ricadute direttamente collegate alla sicurezza intesa come presidio dei domini tradizionali. Mentre un tempo si investiva nella difesa perché c'era un ritorno geopolitico negli investimenti che si facevano, adesso invece sappiamo che queste tecnologie della cyber e dello spazio sono strettamente connesse alla vita di tutti i giorni, alle telecomunicazioni e alle industrie che non nascono come industria della difesa ma che invece, specializzandosi nel digitale, nel cyber e nello spazio, hanno attinenza con l'industria della difesa. Siamo in un'epoca forse veramente rivoluzionaria, perché stiamo allargando significativamente il bacino di interesse dell'industria della difesa e lo facciamo mantenendo un portafoglio che non è più coerente con l'investire contemporaneo, ma è semplicemente un addendum a quanto versavamo in precedenza. Abbiamo visto come la Gran Bretagna abbia allocato da un anno all'altro 40 billion in più nel settore della difesa e adesso si comporta come un attore statuale semi-indipendente rispetto agli interessi europei. Sono contento che l'abbia sottolineato e sarà premura di tutti i commissari – del nostro partito sicuramente – quello di far sì che questi investimenti possano essere incrementati.
  Passando alla domanda che le volevo porre, il concetto degli investimenti di cui abbiamo parlato è un concetto molto chiaro, ma lei ha citato anche il contributo che il nostro Paese offre. Visto il doppio binario rappresentato dalla dottrina di Biden dell'America is back e del lavorare più vicini all'Europa con il contemporaneo disimpegno, una sorta di disengagement nell'area orientale del Medio Oriente come l'Afghanistan, che probabilmente creerà delle infiltrazioniPag. 10 cinesi e aumenterà la presenza turca nel Paese, mi chiedo se questo riposizionarsi in maniera inferiore rispetto al Medio Oriente comporti un maggiore investimento in quel continente che per noi è importante dal punto di vista della pressione demografica, dal punto di vista dei cambiamenti climatici – che aumenteranno la pressione demografica – e dal punto di vista degli interessi specifici del nostro Paese, ovvero quel triangolo dell'Africa delimitato dalla Libia a Nord, dal Golfo di Guinea, Mali e Niger a ovest e dal Corno d'Africa ad est.
  La domanda è molto specifica: al di là dell'Air Policing o del presidio del Mar del Nord e dei futuri ampliamenti delle rotte del Nord e del congelamento del Polo Artico, crede che la NATO abbia un interesse specifico in questa Agenda e di conseguenza aumenterà la nostra capacità nel continente africano?
  Ci sarebbero altre mille domande, ma gliele farò in un'altra occasione. Grazie.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire l'onorevole Pagani. Prego, collega.

  ALBERTO PAGANI, intervento da remoto. Vorrei fare una domanda, alla quale premetto una considerazione molto breve e semplice, coerente con quanto diceva l'Ambasciatore. Condivido perfettamente il fatto che la Cina sia un competitor e che questo competitor si possa affrontare solamente con una massa critica data dall'unione delle forze tra NATO e quella parte di Paesi dell'Unione Europea che non fanno direttamente parte della NATO, con l'Unione Europea tra i due soggetti. Tuttavia, c'è un problema legato al nostro impianto normativo. Faccio un esempio pratico per poi arrivare a quelle che sono le EDT che sono l'elemento di sfida meglio focalizzato dal concetto strategico, ovvero il tema del 5G. Noi ci troviamo ad affrontare con ritardo una discussione sulla tecnologia del 5G e sull'adozione di tecnologie di rete di provenienza cinese o meno, poiché da venti anni la potenza cinese esprime capacità di ricerca e di innovazione nel settore delle tecnologie di rete sostanzialmente frutto del lavoro dell'industria privata (Huawei e ZTE), ma palesemente sostenuta dal pubblico. Infatti, il primo cliente di Huawei è stato la Repubblica popolare cinese garantendo commesse certe per un certo numero di anni. Si tratta sostanzialmente di un'azienda privata che svolge una funzione pubblica strategica.
  Noi abbiamo competitors in quel settore, perché ci sono aziende private che per ragioni squisitamente di mercato, come Ericsson, hanno scelto di uscire dalla mercato dei device e di concentrarsi sulla tecnologia di rete, perché non competitive sul settore dei device, ormai appannaggio di grandi competitors quali Apple e Samsung. Probabilmente le aziende che hanno un più avanzato livello tecnologico in questo settore sono aziende europee private. Queste aziende non competeranno mai alla pari con aziende come Huawei, perché non hanno un sostegno dato da una politica pubblica che investe risorse nella ricerca per recuperare il gap tecnologico, bensì – al contrario – hanno difficoltà poste dalla normativa che tutela la libera concorrenza e che impedisce aiuti di Stato.
  La domanda è questa: su tutte quelle tecnologie EDT che sono dual use che hanno una dimensione civile e una dimensione militare, possiamo pensare di bypassare questo problema utilizzando le logiche e le modalità di acquisizione del procurement militare per dare respiro a chi deve fare ricerca, investire e dare anche mercati di sbocco più o meno certi ai prodotti frutto di quella ricerca? Perché se non riusciamo a trovare questa chiave, competeremo sempre zoppi, con una mancanza di capacità di investimento necessarie per poter essere all'altezza della sfida tecnologica.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire l'onorevole Giovanni Russo. Prego, collega.

  GIOVANNI RUSSO, intervento da remoto. Grazie, signor presidente. Ringrazio soprattutto l'Ambasciatore Talò per la sua analisi veramente molto interessante e ricca di spunti, come quello relativo al NATO-Industry Forum che sarà veramente un momento di grandissima riflessione su tutto Pag. 11quello che è il comparto industria e difesa. Soprattutto ho preso spunto da quanto lei ha detto e mi sono venute due domande.
  Abbiamo visto che all'interno dei Paesi NATO, nell'ultimo anno e mezzo circa, ci sono stati degli episodi di attriti tra Stati. Mi riferisco soprattutto all'area del Mediterraneo orientale, dove qualche Stato particolarmente effervescente ha iniziato a compiere delle esercitazioni, molte volte sfiorando anche il limite delle acque territoriali e creando dei momenti di grande imbarazzo all'interno della compagine NATO, soprattutto perché l'acquisizione dei sistemi d'arma di ambito non NATO ha creato dei problemi.
  Ad esempio, lei prima citava il nostro primato all'interno dell'Unione Europea, ma anche all'interno del Mediterraneo di avere una piattaforma navale con gli F35 che insieme sono un fortissimo moltiplicatore di forze. Noi conserviamo questo primato perché qualche altro Stato che poteva averlo adesso non ce l'ha più semplicemente perché gli F35 non gli sono stati più venduti. Mi riferisco, evidentemente alla Turchia. Tutto questo ha diminuito e ha fortemente compromesso all'interno dello scacchiere mediterraneo quelle che erano alcune capabilities della NATO, perché sicuramente due portaerei con gli F35 hanno una capacità di gestione di determinati criticità diversa da una sola portaerei con il suo corredo di F35. Mi domandavo quali sono le iniziative intraprese all'interno della NATO, se ce ne sono state, per gestire queste criticità.
  Passando alla seconda domanda, lei prima parlava della corsa allo spazio e dello Sputnik che ha creato un momento di shock all'interno del settore spaziale americano. Il nome stesso Sputnik mi rimanda a un altro Sputnik, quello dei vaccini. Abbiamo visto come la Russia e la Cina con i loro vaccini abbiano giocato una partita geopolitica fortemente penetrativa in molti Paesi che fino a ieri consideravamo quasi di nostro unico appannaggio, intendendo con «nostro» la NATO. La penetrazione della Russia e della Cina è stata veramente molto pesante, se pensiamo che un Paese, un enclave come San Marino ha utilizzato anche il vaccino Sputnik e stiamo parlando di un'area geografica fortemente italiana.
  Poiché la produzione dei vaccini, soprattutto in un momento come quello della crisi pandemica che abbiamo vissuto tutti in maniera drammatica, è una delle capability che un'organizzazione importante come la NATO deve assolutamente fornire, mi domandavo se anche su questo argomento si era aperto un dibattito importante su come dotare i Paesi NATO della capacità di risposta a future crisi pandemiche come quella che abbiamo vissuto in questo periodo, perché ritengo che anche in questo caso una gestione unitaria svolta in maniera militare possa dare degli apporti di velocità, di efficacia e soprattutto di efficienza anche nelle allocazioni di risorse e di organizzazione strutturale che non è possibile lasciare all'iniziativa dei singoli Paesi con le loro differenti capacità produttive e di ricerca scientifica e tecnologica. Grazie.

  PRESIDENTE. Ho un'ultima richiesta di intervento da parte del collega Frusone, a cui do la parola. Prego, onorevole.

  LUCA FRUSONE, intervento da remoto. Grazie, presidente. Ringrazio anche all'ambasciatore Talò per come ha sintetizzato gli argomenti che sono effettivamente difficili. Cerco di andare subito al punto della mia domanda in modo di darle la possibilità di rispondere.
  Prima di tutto già la collega Occhionero ha parlato di cyber e chi meglio di lei, viste anche le sue esperienze precedenti, può parlarci di questo aspetto della cyber. Non le voglio mettere sulle spalle il peso di definire il grosso problema dell'attribution quando si parla di attacchi informatici, perché sappiamo che è una questione aperta e di difficilissima soluzione. Tuttavia, poter aggiornare anche i miei colleghi su quello che la NATO sta facendo in questo campo, anche con il Centro di eccellenza, è un'opportunità unica per noi, quindi approfitto della sua presenza per avere aggiornamenti.
  Vado al punto secondo me più interessante che ha caratterizzato il suo intervento,Pag. 12 che si è distinto tra gli altri che abbiamo ascoltato in precedenza, che erano molto più tecnici. Lei ci ha dato uno spunto sulla transizione ecologica estremamente interessante, che è sempre stata presente anche nelle audizioni precedenti, però vista da questo punto di vista, ci aiuta molto a inquadrare il problema. Inoltre, nemmeno a farlo a posta, in questi giorni il Ministro degli Esteri è impegnato con degli appuntamenti con Kerry proprio per sottolineare sia il nuovo rafforzato legame transatlantico sia le questioni legate alla transizione ecologica. In un certo senso abbiamo chiuso il cerchio.
  Tuttavia, una delle perplessità che può nascere – lo dico come legislatore – è che la politica debba dare degli obiettivi, ma questo obiettivo della transizione ecologica mi sembra chiarissimo. Come al tempo qualcuno aveva detto «Whatever it takes» per altre cose, oggi si può dire la stessa cosa per la transizione ecologica su tutti gli ambiti di uno Stato e, quindi, anche della difesa. Credo che il compito della politica, oltre a dare questi indirizzi, sia anche quello di controllare. Concordo con i miei colleghi quando parlano di nuove minacce e di nuove sfide e, quindi, c'è bisogno anche di un ripensamento di quelli che sono gli sforzi economici, ma allo stesso tempo questo ci porta a una posizione di responsabilità. Infatti, proprio perché sono stati definiti i nuovi obiettivi, dobbiamo avere il coraggio di fermare quelle azioni che non vanno verso quegli obiettivi. Quindi, la politica alcune volte deve armarsi di coraggio e dire «No», quando alcune azioni e alcuni progetti non vanno in quella direzione che ci siamo dati, perché altrimenti rischieremmo di dilapidare delle risorse che oggi ci sono. Infatti, abbiamo parlato tanto del PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) e di quanti soldi ci sono dentro, ma non sono infiniti e, quindi, bisogna sempre fare attenzione a come viene speso anche l'ultimo euro.
  Questo è un monito che vorrei lasciare non per lei, ma proprio per la politica in generale, perché bisogna stare attenti ed agire sempre con cautela.
  Concludo qui e la ringrazio ancora per le informazioni estremamente interessanti che ci ha dato come quella del Forum che ci sarà a novembre. Quando sarà, spero di vederla qui a Roma. Grazie mille.

  PRESIDENTE. Do adesso la parola all'Ambasciatore per la replica. Prego.

  FRANCESCO MARIA TALÒ, Rappresentante permanente d'Italia presso la NATO. Ringrazio gli intervenuti per le domande interessanti e spero di essere in grado di rispondere adeguatamente. Sono stati affrontati vari temi e alcuni si toccano tra loro. In particolare sull'ambiente si è parlato del cambiamento climatico, ricordando anche che proprio questa mattina l'inviato speciale del presidente Biden, John Kerry, è a Roma, rappresentando anche un segnale dell'importanza che viene attribuita all'Italia in questo contesto.
  Ricordo che l'Italia, insieme al Regno Unito, è alla presidenza della COP26 (Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite) nel contesto delle Nazioni Unite che è il foro principale per trattare il cambiamento climatico.
  A questo riguardo vorrei fare un'osservazione. Poche settimane fa Biden ha convocato un vertice su questo tema in occasione della Giornata della Terra. Secondo me c'è stato un elemento di novità importante: a parte la novità fondamentale del ritorno degli Stati Uniti su questi temi, la novità è stata anche quella della presenza di responsabili nel settore della difesa, perché insieme ai principali Capi di Stato e di Governo e agli esperti del settore ambientale sono intervenuti anche il Segretario alla difesa Austin e la Direttrice dell'intelligence americana Haines. Ecco come la questione del cambiamento climatico è una questione di sicurezza e, viceversa, la sicurezza è una questione per il cambiamento climatico.
  Impegnarsi fa parte dei nostri obiettivi nazionali anche in questo contesto, al di là di quello che sarà la difesa. Dato questo elemento, le scelte sono politiche e, quindi, poi starà a noi attuare quello che voi deciderete. In questo contesto credo che anchePag. 13 il NATO-Industry Forum sarà diverso dai precedenti – l'ultimo è stato due anni fa a Washington –, perché sarà un elemento in più e anche molto interessante.
  Tutto questo si collega anche agli aspetti tecnologici, incluso il cyber. Basti pensare a quello che può fare un attacco cyber a infrastrutture come quelle energetiche che poi hanno un impatto sull'ambiente. Aggiungendo anche l'elemento della pandemia, tutto questo si collega a un concetto che è la grande tendenza – qui non parliamo certamente di mode – di questi ultimi anni, cioè la parola «resilienza», un altro tema che penso sarà tra i principali in occasione del vertice della NATO tra un mese.
  La transizione tecnologica, la transizione ecologica e la resilienza si intrecciano. La resilienza, come gli altre due aspetti, vuol dire qualcosa che allo stesso tempo è interno ed esterno, vuol dire qualcosa che si collega a un concetto di sicurezza che non è più solo la difesa dei confini e la sicurezza, la difesa dall'esterno, quindi la difesa intesa in senso tradizionale, ma qualcosa che concerne tutti i settori della nostra attività amministrativa e, in generale, tutti i settori della nostra società.
  In questo senso noi italiani abbiamo anche delle capacità straordinarie eccellenti. Penso ai nostri carabinieri che hanno questa loro presenza capillare che dà resilienza alla nostra società, o a quanto il nostro Servizio sanitario nazionale sia importante per la resilienza della società o alle industrie come quella farmaceutica e alla ricerca in campo biomedico, che ho menzionato anche prima. Infatti, il campo biomedico è uno dei settori di punta, sui quali si suggerisce di investire e di essere aperti. Tutti questi sono settori rispetto ai quali dobbiamo assicurare e il primato e la difesa dei nostri interessi.
  Entro in campi che non sono direttamente quelli che seguiamo noi, ma vengono menzionati spesso: la difesa da investimenti stranieri ostili, l'impegno a preservare la capacità autonoma non solo nazionale, ma dell'insieme dell'Europa, dell'Unione Europea e dell'Occidente. Adesso abbiamo degli strumenti normativi importanti che possono ancora svilupparsi, ma abbiamo il perimetro nazionale di sicurezza cibernetica, la cosiddetta «golden share» per quanto riguarda gli assetti proprietari delle nostre imprese. Tutto questo viene discusso anche dalla NATO a livello di consultazioni, perché poi le capacità normative decisionali nel contesto della resilienza sono nazionali e sono dell'Unione Europea, che ha anche delle capacità normative diversamente dalla NATO.
  Tuttavia, la NATO è un contesto in cui è importante parlare e capire quali sono gli obiettivi che dobbiamo cercare di fissarci. Ci sono dei requisiti base di resilienza che vengono indicati anche nel contesto della NATO per dare forza alle nostre società, al fronte interno, anche perché tutti insieme dipendiamo dalla forza dell'anello più debole. È importante che per tutti noi le società di tutti i Paesi della NATO siano nel complesso resilienti.
  In tutto ciò la pandemia è stata un'esperienza straordinaria, che ha confermato – non è la prima volta – il ruolo che la NATO può avere in situazioni di emergenza con le sue Forze armate e con la sua capacità di coordinamento di fornire degli assetti strategici.
  Ad esempio in campo di trasporto, la capacità della NATO è stata notevole nella prima fase dell'emergenza della primavera scorsa, quando abbiamo visto una quantità di trasporti aerei favoriti proprio dalla NATO. La NATO non si occupa direttamente di fare i vaccini o di promuovere l'industria farmaceutica – forse l'Unione Europea può farlo meglio –, però la NATO può avere delle capacità anche logistiche nell'affrontare l'emergenza, nel coordinare e nel fornire aiuto a chi in un certo momento ha difficoltà maggiori.
  A Taranto c'è un centro logistico con un deposito, un magazzino che è stato creato e sviluppato l'anno scorso anche su nostra volontà. Proprio da Taranto sono partiti degli aiuti importanti per alcuni Paesi che nell'autunno scorso e nei mesi scorsi hanno avuto delle difficoltà, ma che hanno trovato gli equipaggiamenti, i ventilatori e i macchinari già pronti in territorio alleato. Non Pag. 14c'è stato bisogno della corsa all'acquisto della competizione interna. Da questo punto di vista possiamo fare parecchio.
  Per quanto riguarda la cybersicurezza, che è il dominio inserito tra quelli della NATO nel 2016 con il vertice di Varsavia, c'è stato un grande progresso da allora, perché ogni Paese ha migliorato le proprie capacità e ci sono consultazioni continue tra noi per coordinarci e comprendere meglio quale sarà l'assetto prossimo, che poi è sempre un divenire a livello nazionale e a livello NATO. Intanto occorre che ciascuno protegga le proprie strutture, questo a partire dalla NATO stessa che deve proteggere se stessa, e poi occorre affrontare le minacce esterne. Ho parlato prima di perimetro nazionale, di sicurezza cibernetica e di golden power che certamente ha a che vedere con il 5G, ma ancora di più con tante altre tecnologie.
  C'è il tema dell'intelligenza artificiale che secondo me è ancora più importante e che richiede investimenti enormi e una capacità di compensare con la nostra capacità di ricerca e di investimenti i limiti che giustamente ci siamo imposti nell'Unione Europea per la protezione dei dati individuali. Noi abbiamo dei regolamenti stringenti come il GDPR (general data protection Regulation) che per fortuna proteggono i cittadini, diversamente da quello che accade in altri sistemi più autoritari, però questo vuol dire mettere dei limiti anche alla capacità di sviluppo di algoritmi e per questo occorre compensare con degli investimenti.
  Nella NATO ci sono centri di ricerca che danno un aiuto nella ricerca, ma possono sostenere anche le nostre imprese. Ci sono progetti e fondi comuni che non saranno tanti, ma sono un aiuto e poi si possono sviluppare iniziative con fondi nazionali di vari Paesi a livello nazionale e soprattutto europeo. C'è un tema importante in questo contesto che è quello del venture capital, perché si è accennato prima alle start up e a come proteggere e aiutare la ricerca. Credo che questo sarà un tema che nel prossimo futuro avrà un rilievo crescente.
  Inoltre, vi è la questione dello strumento cibernetico come strumento di attacco. Da questo punto di vista lo strumento cibernetico è paragonabile agli altri, nel senso che può determinare una minaccia ex articolo 5 e, quindi, suscitare una reazione da parte degli alleati che non necessariamente deve essere simmetrica, perché non è detto che si debba rispondere nello stesso modo. Naturalmente qui ci sono le sfide dell'attribuzione, ma è un tema sul quale siamo impegnati a lavorare. C'è una politica cibernetica che stiamo studiando e aggiornando nel contesto della NATO.
  Ricordo anche le dichiarazioni di solidarietà che vengono regolarmente effettuate quando uno dei nostri Paesi è o è stato sotto attacco, come nei confronti degli Stati Uniti che da ultimo hanno subito attacchi cibernetici in occasione delle competizioni elettorali. Inoltre, la NATO ha un proprio centro di eccellenza per la difesa cibernetica – l'onorevole Frusone ne ha fatto cenno – che ha sede a Tallinn in Estonia. Tra i Paesi della NATO l'Estonia è forse uno dei più avanzati in questo settore. Anche questa capacità di proporre soluzioni e di coordinamento in quest'aria tecnologica è molto importante anche dal punto di vista tecnologico e normativo del diritto internazionale, dove i Paesi occidentali si coordinano nell'ambito delle Nazioni Unite e dell'OSCE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) e in altre sedi.
  L'Italia ha comunque un'industria importante, credo che poi avrete degli incontri – ne avete già avuti – con l'industria che ha queste capacità. Anche le Forze armate italiane hanno delle capacità importanti in crescita, perché c'è il Centro per le operazioni in rete (COR) e anche un poligono, un cyber range che si sta sviluppando a Chiavari, che rappresentano delle strutture e delle strumentazioni importanti. Ogni anno la nostra industria ospita degli eventi come Cybertech Europe, che la prossima volta sarà alla fine di settembre a Roma. Naturalmente qui parliamo del civile, ma abbiamo visto hanno come civile e difesa hanno pochi confini.
  Per quanto riguarda altri temi sollevati di natura politica che riguardano le operazioni, ho incontrato l'onorevole Perego di Pag. 15Cremnago sul campo a Herat, dove ci siamo incrociati in quella che forse è stata l'ultima visita di un rappresentante permanente della NATO in Afghanistan nel contesto dell'operazione Resolute Support, dove è importante rendere omaggio al ruolo straordinario delle nostre Forze armate nel corso di tanti anni. Il lavoro importante fatto dall'Italia in Afghanistan è qualcosa che va sottolineato. Il rapporto con l'Afghanistan cambia, ma non si esaurisce. Si deve aprire un altro capitolo. Ci vuole continuità in un rapporto che è assolutamente importante da un punto di vista strategico, mentre dall'altra parte si affiancano nuovi scenari importanti che in realtà sono già consolidati e che esistono da tempo.
  È stato ricordato che il tema dell'Africa è tra questi, è vicino, è importante ed è anche collegato alla sfida climatica, basti pensare alla pressione che viene dal Sahel anche a causa del progressivo deterioramento del clima in quella regione.
  La NATO è presente nel Mediterraneo – c'è un'operazione navale, la Sea Guardian –, ha dei rapporti soprattutto politici con i Paesi del Nord Africa attraverso il cosiddetto «dialogo mediterraneo» che tocca quasi tutti i Paesi del Mediterraneo meridionale, incluso Israele. Noi teniamo molto a coltivare e a rafforzare questo rapporto e questo dialogo con Paesi che hanno delle sfide comuni, prima tra tutte quella del terrorismo. Inoltre, la NATO inizia a sviluppare dei rapporti soprattutto informali con l'Unione africana, ha un proprio centro proprio snodo, l'hub per il Sud a Napoli, infatti l'attenzione per il Sud è sicuramente cresciuta molto.
  Per adesso un impegno di tipo operativo è limitato, anche perché c'è un ruolo preponderante della Francia, però abbiamo un impegno, un lavoro comune che facciamo per il Medio Oriente il Nord Africa. A tale riguardo è stato approvato un documento nella riunione dei ministri degli esteri dello scorso dicembre sia per il Nord Africa, sia per il Medio Oriente che per il Sahel. Ovviamente si parla molto di Libia, dove per adesso forse un ruolo più rilevante può essere affidato all'Unione europea, dove c'è già la missione Irini in atto.
  A tale riguardo mi collego all'altra domanda dell'onorevole Giovanni Russo riguardante le difficoltà nel Mediterraneo orientale, che sono difficoltà che poi si ripercuotono nel rapporto sul rapporto tra la NATO e l'Ue. L'ideale sarebbe che la missione Irini possa dialogare bene con la NATO, poiché è qualcosa che non si è ancora riusciti a fare e sapete quali sono le difficoltà. Tuttavia, che esistano delle difficoltà tra Paesi alleati, non è una novità e nel passato è successo più volte. Direi che il fatto che queste difficoltà siano tra Paesi che poi sono alleati e che condividono degli interessi e dei valori aiuta a renderle meno conflittuali. La NATO fa proprio questa operazione di «deconflitting». Ci sono stati dei dialoghi e dei contatti a livello militare tra le gerarchie turche e greche che hanno contribuito a evitare che la situazione potesse degenerare, ma ci sono anche dei contatti a livello politico che vengono favoriti in altri modi. Ad esempio, c'è un ruolo anche della Germania da questo punto di vista. È certamente tutto molto complesso, ma se non ci fosse la NATO tutto sarebbe molto peggio, quindi questo è un contesto che ci aiuta.
  Spero di aver risposto a tutto. Vorrei semplicemente concludere dicendo che ci avviamo – questo è interessante da un punto di vista di rapporti tra la NATO e l'UE – a una stagione di riflessione strategica che procede in parallelo e che è importante che sia coordinata e collegata soprattutto da parte di Paesi come l'Italia che credono profondamente nella propria identità europea e allo stesso tempo hanno una vocazione atlantica.
  Uno dei possibili risultati del vertice della NATO sarà l'apertura di un bel lavoro per redigere un nuovo concetto strategico, che è un documento importante perché ha un carattere e una profondità di medio-lungo periodo. Infatti, l'ultimo documento risale al 2010 e, quindi, in media se ne ha uno ogni decennio anche un po' di più. Parallelamente in ambito dell'Unione europea c'è il lavoro sulla bussola strategica. Quindi, questo impegno parallelo delle due organizzazioni è molto interessante.Pag. 16
  L'Italia ha tutte le capacità per poter essere protagonista. Noi, come delegazione, speriamo di poter dare il nostro contributo molto importante e di avere la vostra guida. Per questo io vi ringrazio, perché ricordo sempre che noi qui rappresentiamo tutta la Repubblica. L'indirizzo, la linea che viene dalla Parlamento per noi è fondamentale. Noi siamo al servizio degli italiani e dei parlamentari che rappresentano l'Italia. Grazie molto per questa possibilità che mi avete concesso.

  PRESIDENTE. Grazie, Ambasciatore. Rinnovo i ringraziamenti per il suo contributo e per la sua disponibilità. Saluto e ringrazio tutti gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 17.