XVIII Legislatura

III Commissione

COMITATO PERMANENTE SUI DIRITTI UMANI NEL MONDO

Resoconto stenografico



Seduta n. 52 di Martedì 19 aprile 2022

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Boldrini Laura , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'IMPEGNO DELL'ITALIA NELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE PER LA PROMOZIONE E TUTELA DEI DIRITTI UMANI E CONTRO LE DISCRIMINAZIONI
Boldrini Laura , Presidente ... 3 
Rebai Lilia , componente del Consiglio di amministrazione del ... 4 
Boldrini Laura , Presidente ... 7 
Comencini Vito (LEGA)  ... 8 
Boldrini Laura , Presidente ... 8 
Salhi Ramy , Presidente della Sezione di Tunisi del ... 9 
Boldrini Laura , Presidente ... 13 
Salhi Ramy , Presidente della Sezione di Tunisi del ... 13 
Rebai Lilia , componente del Consiglio di amministrazione del ... 13 
Boldrini Laura , Presidente ... 14 

Audizione di rappresentanti della Asociación Cubanos por la Democracia e di attivisti per i diritti umani a Cuba.
Boldrini Laura , Presidente ... 14 
Payá Rosa María , Presidente della piattaforma ... 16 
Boldrini Laura , Presidente ... 17 
Payá Rosa María , Presidente della piattaforma ... 17 
Boldrini Laura , Presidente ... 18 
Payá Rosa María , Presidente della piattaforma ... 18 
Boldrini Laura , Presidente ... 18 
Rodríguez Pellitero Marco , Presidente della ... 19 
Boldrini Laura , Presidente ... 22 
Rodríguez Pellitero Marco , Presidente della ... 22 
Boldrini Laura , Presidente ... 22 
Formentini Paolo (LEGA)  ... 22 
Boldrini Laura , Presidente ... 23 
Rodríguez Pellitero Julio , Segretario Generale della ... 23 
Boldrini Laura , Presidente ... 25 
Rodríguez Pellitero Julio , Segretario Generale della ... 25 
Boldrini Laura , Presidente ... 25 
Rodríguez Pellitero Marco , Presidente della ... 25 
Boldrini Laura , Presidente ... 26 
Rodríguez Pellitero Julio , Segretario Generale della ... 26 
Boldrini Laura , Presidente ... 26

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Coraggio Italia: CI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Alternativa: Misto-A;
Misto-Azione-+Europa-Radicali Italiani: Misto-A-+E-RI;
Misto-MAIE-PSI-Facciamoeco: Misto-MAIE-PSI-FE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Europa Verde-Verdi Europei: Misto-EV-VE;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Rinascimento ADC: Misto-NcI-USEI-R-AC;
Misto-Manifesta, Potere al Popolo, Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea: Misto-M-PP-RCSE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
LAURA BOLDRINI

  La seduta comincia alle 15.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera.
  L'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto, oltre che delle personalità audite, anche delle deputate e dei deputati, secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento nella riunione del 4 novembre 2020.

Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti del Comité pour le Respect des Libertés et des Droits Humains en Tunisie (CRLDHT).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'impegno dell'Italia nella comunità internazionale per la promozione e tutela dei diritti umani e contro le discriminazioni, l'audizione in videoconferenza dei rappresentanti del Comité pour le Respect des Libertés et des Droits Humains en Tunisie; anche a nome dei componenti del Comitato, saluto e ringrazio per la disponibilità i rappresentanti del Comitato che sono collegati da remoto, cioè la dottoressa Lilia Rebai, componente del Consiglio di amministrazione del Comitato per il rispetto delle libertà e dei diritti umani in Tunisia, e il dottor Ramy Salhi, che è Presidente della Sezione di Tunisi del medesimo Comitato. Saluto e ringrazio anche EuroMed Rights, per aver promosso questa audizione.
  Il Comitato per il rispetto delle libertà e dei diritti umani in Tunisia, istituito nel 1996, svolge attività di monitoraggio sul rispetto dei diritti umani, mobilitando risorse e competenze per sostenere attivisti – tunisini e non – stabiliti in Tunisia o all'estero. Tra l'altro, fa parte della rete EuroMed Rights, che abbiamo audito nella seduta del 1° marzo scorso.
  L'audizione odierna sarà incentrata sulla deriva antidemocratica e sull'emergenza umanitaria che segna oggi la Tunisia, come conseguenza della gravissima crisi economica e sanitaria ma, soprattutto, della svolta illiberale impressa dal Capo dello Stato tunisino, che il 25 luglio del 2021 ha sospeso il Parlamento, che poi è stato sciolto il 30 marzo del 2022, ed ha anche – il Capo dello Stato – revocato il Primo Ministro, invocando poteri di emergenza in forza di una distorta interpretazione dell'articolo 80 della Costituzione tunisina. Da allora, il Presidente ha stravolto l'assetto istituzionale della Tunisia, avocando a sé il potere legislativo ed esercitando un controllo stringente sui media, sulla società civile e sulla magistratura.
  In linea con obiettivi che contraddicono il percorso di riforme compiuto dalla Tunisia dopo la fine del regime di Ben Alì, il 14 dicembre del 2021 il Presidente della Repubblica ha indetto un referendum, fissato per luglio 2022, per approvare una nuova Costituzione, in sostituzione di quella entrata in vigore nel 2014, e nuove elezioni politiche per il prossimo dicembre. Stremata da una politica vaccinale insufficiente contro il COVID e da una perdurante crisi economica e occupazionale – il tasso di disoccupazione, oggi, è del 18,4 per cento –, destinata a diventare presto anche crisi Pag. 4alimentare, considerata la percentuale maggioritaria di importazione di grano proprio dall'Ucraina, la popolazione tunisina soffre, in questa fase, il peso di una gravissima crisi di diritti e di libertà. Se la libertà di espressione e di associazione sono drasticamente compresse, vale la pena segnalare che anche la violenza domestica contro le donne è aumentata, nonché la violenza da parte della Polizia contro gli attivisti LGBTQ.
  A fronte di ripetuti e autorevoli richiami da parte europea a favore del ripristino dello Stato di diritto in Tunisia, di recente, il 13 febbraio, il Presidente Saïed ha riformato il Consiglio superiore della magistratura in modo da assicurare alla Presidenza della Repubblica la nomina di nove dei ventuno giudici.
  Preoccupano le detenzioni arbitrarie, la sparizione e il rapimento di parlamentari, presi di mira per le loro idee ed attività politiche. Nelle carceri tunisine sono detenuti blogger e per le strade di Tunisi si vedono molti carri armati, come non era mai avvenuto. Oltre al Parlamento, anche il Museo nazionale del Bardo è chiuso, ormai da tempo, sia per i cittadini tunisini sia per gli stranieri in visita. Ciononostante, il 20 marzo scorso, sessantaseiesimo anniversario del giorno dell'indipendenza della Tunisia, migliaia di cittadini e cittadine sono scesi nelle strade della capitale Tunisi per protestare contro il presidente Saïed, incontrando la forte repressione delle forze di sicurezza tunisine.
  A fronte di una situazione davvero allarmante, l'audizione di oggi potrà fornire utili elementi di aggiornamento e segnalare eventuali iniziative di indirizzo da assumere sul piano parlamentare. Dunque, adesso darei la parola alla dottoressa Lilia Rebai, membro del Consiglio di amministrazione del Comitato per il rispetto delle libertà e dei diritti umani in Tunisia e poi, a seguire, al dottor Ramy Salhi, che è il Presidente della Sezione di Tunisi del medesimo comitato. Dottoressa prego, a Lei la parola.

  LILIA REBAI, componente del Consiglio di amministrazione del Comité pour le Respect des Libertés et des Droits Humains en Tunisie (CRLDHT) (intervento da remoto). Grazie. Prima di iniziare vorrei soltanto rettificare che per facilitare la presentazione, ci siamo messi d'accordo che sarò io a parlare oggi e parlerò, quindi, a nome del Comitato e poi Ramy potrà aggiungersi a noi per rispondere ad eventuali domande.
  Onorevole presidente del Comitato permanente dei diritti dell'uomo nel mondo presso la Commissione Affari esteri del Parlamento italiano, onorevoli deputati, a nome del Comitato per il rispetto delle libertà e diritti umani in Tunisia – di cui sono membro del Consiglio di amministrazione –, a nome del mio collega Ramy Salhi, Presidente della Sezione Tunisia, nonché a nome mio, desidero prima di tutto ringraziarvi per l'invito. Questo invito è estremamente importante, poiché è stato formulato in un momento cruciale della storia della Tunisia. Un momento in cui il lungo, difficile ma al contempo appassionante processo di costruzione democratica, che portiamo avanti pazientemente dal 2011, sta per crollare.
  Intervengo quest'oggi, di fronte al vostro onorevole Comitato, per darvi dei chiarimenti sulla situazione dei diritti umani e della democrazia in Tunisia dopo il 25 luglio 2021. Il 25 luglio 2021, il Presidente tunisino Kais Saïed, appellandosi ad una interpretazione personale e un po' fantasiosa dell'articolo 80 della nostra Costituzione, ha deciso la sospensione dell'Assemblea dei rappresentanti del popolo, la revoca dell'immunità parlamentare e la destituzione del capo del Governo. Un passo supplementare decisivo per sancire la fine della democrazia è stato compiuto il 22 settembre 2021 con la promulgazione di un decreto presidenziale – il decreto 117 –, che ha instaurato un nuovo ordine costituzionale nel quale Kais Saïed si attribuisce un potere esorbitante, molto più esteso rispetto a quello che la Tunisia abbia mai conosciuto nella storia moderna. Questo decreto presidenziale crea una situazione inedita che proietta il Paese su una nuova traiettoria. Mentre ratifica le misure di emergenza, prorogate fino a nuovo ordine, questo decreto sospende parzialmente l'applicazione della costituzione del 2014, conservando soltanto le disposizioni che non Pag. 5sono contrarie al decreto presidenziale, sconvolge l'ordine costituzionale e dà pieni poteri al Presidente. Gli attribuisce la competenza esaustiva ed esclusiva del potere legislativo, che può esercitare sotto forma di decreti-legge che non possono essere oggetto di alcun tipo di ricorso per eccesso di potere.
  Questo decreto concede anche al Presidente della Repubblica l'intero esercizio del potere esecutivo e gli conferisce tutto il potere normativo in generale. Il Capo di Stato si è concesso un ulteriore potere esecutivo e legislativo in ventinove aree, di cui la maggior parte non hanno alcun legame con la crisi presunta, quali il diritto di successione, il diritto di cittadinanza e le libertà, le libertà dei media, il diritto di associazione e molti altri settori. Inoltre, ha incluso nella lista delle sue prerogative la revisione della legge sulle associazioni e la legge sui partiti politici. Diventa, inoltre, l'unico responsabile dell'interpretazione dell'ordine costituzionale, dato che può adottare leggi a suo piacimento e il decreto 117 stabilisce che il Presidente stesso avrà l'ultima parola sulla redazione degli emendamenti che riguardano le riforme politiche. Questo gli conferisce un controllo totale su tutti gli emendamenti proposti, senza alcuna garanzia che abbiano luogo consultazioni o dibattiti previ.
  Il 13 dicembre 2021, sotto la pressione internazionale, il Presidente tunisino ha presentato una sorta di tabella di marcia che stabilisce i suoi obiettivi, nonché le principali scadenze politiche future. Oltre alle promesse di processi di grande rilievo – che hanno inquietato la società civile, che teme che tali processi possano essere strumentalizzati dal punto di vista politico, che non rispondano alle norme di un processo equo e che vengano celebrati dai Tribunali militari, come è stato il caso per molti cittadini, soprattutto personalità politiche – questa tabella di marcia ha fissato per il 1° gennaio 2022 il lancio di una consultazione popolare attraverso piattaforme digitali e per il 20 marzo la fine di tale consultazione. Tale processo di consultazione via internet è risultato completamente oscuro e non ha permesso la partecipazione di tutti i cittadini, perché molti non hanno alcun accesso a internet; non è legittimo in uno stato di emergenza, dato che le questioni trattate vanno al di là del quadro consentito da questo stato.
  Alla chiusura ufficiale di questo processo di consultazione, il 20 marzo, e nonostante soltanto il 6 per cento della popolazione avente diritto di voto ha potuto prendervi parte, sebbene siano stati utilizzati tutti i mezzi dello Stato per la sua riuscita, il Presidente della Repubblica ha annunciato che si è trattato di un grande successo, che gli permette di sottoporre una revisione della Costituzione al referendum annunciato per il prossimo 25 luglio. Infatti, questa tabella di marcia annuncia, oltre alla modifica della legge elettorale, anche lo svolgimento, il 25 luglio, di un referendum per le riforme costituzionali e poi elezioni legislative anticipate, il 17 dicembre 2022. Va notato, a questo proposito, che non è stata comunicata alcuna informazione sulle procedure elettorali previste per questi due scrutini. I quadri giuridici vengono preparati in grande segreto, senza alcun coinvolgimento dei partiti politici, né della società civile.
  Nella continuità del suo processo di distruzione delle conquiste democratiche, che abbiamo iniziato a costruire a partire dal 2011, Kais Saïed il 6 febbraio 2022 ha sciolto il Consiglio superiore della magistratura e dispiegato intorno a tutti gli edifici che lo ospitano un dispositivo di Polizia che impedisce l'accesso ai locali ai membri del Consiglio e al personale amministrativo. In seguito, ha promulgato un decreto presidenziale che scioglie il Consiglio superiore della magistratura e istituisce un organo provvisorio, il cui metodo di nomina conferma che il Presidente ha il controllo sul sistema giudiziario. Questo decreto sottopone, di fatto, i magistrati al Presidente della Repubblica, che ora ha il potere di nominarli, di sanzionarli o di rimuoverli. Il 30 marzo scorso, ventiquattro ore dopo aver affermato nuovamente che la Costituzione non gli permetteva di sciogliere il Parlamento, il Presidente della Repubblica ha annunciato lo scioglimento delle Camere sulla base dell'articolo 72 Pag. 6della Costituzione. Tale decisione dovrebbe portare alla fine dello stato di emergenza, che invece prosegue. Questa decisione, assunta di fronte al Consiglio di sicurezza nazionale, convocato d'urgenza, avviene dopo una sessione plenaria virtuale organizzata dall'Assemblea dei rappresentanti del popolo e nel corso della quale centoventi deputati hanno sfidato la sospensione del Parlamento e hanno votato per l'annullamento delle misure eccezionali decise dal Presidente dopo il 25 luglio.
  Il Presidente ha definito questa riunione come un tentativo di colpo di Stato. All'indomani è stata aperta un'inchiesta giudiziaria contro i deputati che hanno partecipato alla sessione online e una trentina di loro sono stati convocati dalla brigata antiterrorismo. Anche se, ai sensi della Costituzione, il Presidente è chiamato ad organizzare delle elezioni legislative anticipate ottanta giorni dopo lo scioglimento del Parlamento, ha annunciato che, nonostante questo, non vi saranno elezioni.
  C'è una crisi politica in Tunisia e c'è una forte pressione nazionale e internazionale contro questa nuova deriva antidemocratica. Noi facciamo appello ad un dialogo nazionale inclusivo per accordarci su una tabella di marcia che porti il Paese ad uscire dalla crisi in cui si trova, con il coinvolgimento dei partiti politici e delle organizzazioni nazionali e internazionali. Finora, il Presidente rifiuta di dialogare con tutte le parti che non sono d'accordo con il processo che è stato lanciato il 25 luglio scorso e, quindi, rende il dialogo, di fatto, impossibile. Questa concentrazione del potere esecutivo, legislativo e giudiziario ha portato ad una situazione politica che la Tunisia moderna non ha mai vissuto prima d'ora, neanche nel peggiore periodo dalla dittatura prima del 2011. Né il Presidente Bourghiba, con tutta la sua legittimità storica, né il Presidente Ben Alì, con il suo regime di Polizia, hanno osato concentrare su di loro tutti i poteri, compreso quello di sospendere il Parlamento e di interpretare a proprio vantaggio la Costituzione, sulla base della quale è stato eletto Presidente e che lui ha giurato di proteggere e di tutelare.
  Sul piano delle libertà e dei diritti, il periodo post 25 luglio è segnato da tutta una serie di misure liberticide. Prima di tutto, l'interdizione dei viaggi applicata a centinaia di persone, che si tratti di rappresentanti politici o meno, uomini e donne d'affari, ex membri del Governo, eccetera, e questo in nome della procedura S17 per la lotta contro il terrorismo. C'è stato al contempo – e continuano ancora ad esserci – violenze da parte della Polizia contro giornalisti, contro attivisti della società civile e dei movimenti sociali, senza che vengano condotte delle inchieste contro i responsabili. Le manifestazioni vengono represse, gli attivisti vengono malmenati, arrestati e giudicati. Sono stati anche ordinati gli arresti domiciliari, senza alcuna base giudiziaria né motivo, per circa cinquanta persone tra il 25 luglio 2021 e il 13 gennaio 2022.
  Ci sono stati anche processi di civili davanti ai Tribunali militari, in numero sempre crescente: dal 2011 al 2021 – quindi in dieci anni – ci sono stati dieci civili che sono stati portati di fronte al Tribunale militare. Dal 25 luglio al 31 dicembre 2021 questa cifra è giunta a dodici. Il numero di civili portati davanti ai Tribunali militari in soli sei mesi è stato, quindi, più elevato di quello registrato in dieci anni. Ci sono stati anche attentati alla libertà di stampa, alla libertà di espressione, la chiusura di reti televisive, il licenziamento del direttore generale della televisione nazionale, ma anche la moltiplicazione degli attacchi contro i giornalisti. Per quello che riguarda lo spazio politico e associativo, il Presidente prepara, nella totale oscurità, nuovi disegni di legge volti ad abrogare le leggi 87 e 88 del 2011, che sono rispettivamente le leggi che disciplinano i partiti politici e le associazioni.
  Un disegno di legge sulle associazioni, preparato senza alcuna concertazione, è stato recentemente distribuito ai vari Ministri per il parere. Questo progetto di legge, di cui siamo stati informati recentemente, contiene diverse disposizioni allarmanti e, in particolare, l'obbligo di avere un registro dettagliato di tutte le attività e i progetti, l'autorizzazione ufficiale e preventiva per ogni trasferimento finanziario Pag. 7estero, le cui attività dettagliate devono essere precedentemente vistate dalla Direzione Generale delle associazioni istituita presso l'Ufficio del Capo del Governo. C'è anche la possibilità di porre fine alle attività dell'associazione e il divieto per le associazioni di svolgere attività che potrebbero «nuocere all'unità nazionale». Comunque, se queste disposizioni venissero adottate, restringerebbero considerevolmente lo spazio della società civile e rischierebbero di avere conseguenze dirette sulle loro attività e sulla sicurezza dei loro membri.
  Tutti questi elementi hanno creato, in Tunisia, un clima di paura all'indomani del 25 luglio e questo inizia a tradursi con autocensure che già possiamo osservare sui social network e anche negli interventi mediatici. Tuttavia, grazie alla mobilitazione di molteplici militanti e intellettuali e di alcuni partiti politici, ma anche grazie alla pressione esercitata a livello internazionale – ricordo che c'è stato un comunicato del G7, dei comunicati di alcune capitali europee e americane, la visita dell'Alto Rappresentante per la politica estera, Josep Borrell, e una risoluzione del Parlamento europeo, moniti da parte di diversi Paesi europei e degli Stati Uniti – gli attori associativi e politici tunisini hanno continuato a denunciare, hanno capito la gravità del processo e hanno iniziato a mobilitarsi e ad intraprendere delle azioni di resistenza. Sono state organizzate decine di manifestazioni che hanno riunito migliaia di persone, nonostante la repressione di cui sono regolarmente oggetto. Sono stati pubblicati anche decine di comunicati stampa che denunciano la deriva dittatoriale.
  Signore e signori, onorevoli deputati, questo intervento ha l'obiettivo di richiedere il vostro appoggio e il vostro impegno per la Tunisia, siamo l'ultima speranza per i popoli della regione. Molto spesso sentiamo dire che i Paesi arabi non sono in grado di fondare una democrazia, eppure la democrazia aveva iniziato a formarsi nel 2011. È vero, ha conosciuto grandi difficoltà in questo periodo di transizione democratica e deve ancora affrontare grandi sfide politiche, economiche, sociali e sanitarie. È vero, i problemi di governance, di corruzione e di instabilità politica e governativa non sono mancati negli ultimi dieci anni, ne siamo pienamente consapevoli. Come società civile li abbiamo denunciati, ma abbiamo anche contribuito a raccogliere molte sfide e a realizzare numerosi successi in termini di democrazia e diritti umani.
  La Tunisia ha conosciuto tre elezioni libere e democratiche che hanno portato a delle alternanze pacifiche. La Tunisia si è dotata di contropoteri importanti, soprattutto organi indipendenti, tra i quali quelli per le elezioni, contro la tortura o contro la corruzione. Sono state emanate diverse leggi progressiste, tra cui una legge che permette all'avvocato di essere presente a partire dai primi momenti del fermo di polizia, una legge contro la violenza contro le donne, una legge contro la discriminazione razziale, un disegno di legge per l'uguaglianza nell'eredità, che è stata presentata dal Governo all'Assemblea dei rappresentanti del popolo, e numerose altre riforme in diversi settori. Sarebbe illusorio pensare che un popolo governato per oltre sessant'anni da un unico partito politico possa portare a termine una transizione democratica e creare istituzioni perenni e solide nel giro di pochi anni; tuttavia, siamo convinti che solo la via democratica potrà permettere di garantire la prosperità, la stabilità, la dignità e il rispetto dei diritti umani in Tunisia.
  Onorevole presidente, onorevoli deputati, vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie, dottoressa Rebai per questa ampia presentazione che – non lo nego – ci allarma moltissimo, perché quello che ci ha esposto è veramente qualcosa di preoccupante. L'Italia e la Tunisia sono legate da un rapporto di vicinato, legami culturali e, quindi, sapere che invece oggi la Tunisia – su cui, appunto, avevamo tutti puntato molto per il processo democratico – vive questa battuta d'arresto preoccupante, è motivo di sconforto per tutti noi.
  Adesso chiedevo ai colleghi e alle colleghe che sono qui collegati se intendono rivolgere delle domande ai nostri ospiti. Pag. 8Vedo che ci sono colleghi in collegamento, non so se qualcuno già voleva intervenire. Io penso che questa scadenza del referendum metta anche molta ansia perché non sono chiari i termini di questo referendum, come Lei ci ha spiegato e, quindi, mi chiedo anche come sia possibile stabilire una data senza stabilire preventivamente i termini stessi del referendum. Quindi su questo vorrei avere da voi qualche delucidazione, sul perché il Presidente Saïed abbia deciso di indire un referendum in questo modo così poco trasparente, qual è il suo obiettivo; la legge sui partiti, ma che cosa voi immaginate che possa essere il quesito referendario? Quale tipo di interrogativo potrà essere posto all'opinione pubblica?
  Io volevo capire questo, anche sulle leggi sulle associazioni, perché vediamo in questo Comitato che le associazioni spesso vengono prese di mira dai regimi, come degli elementi da mettere fuori gioco perché scomodi. Collegi che non consentono a queste associazioni, poi, di svolgere la loro attività, quindi vorrei sapere se ci sono già, per quanto riguarda la vostra esperienza, delle ipotesi su quali potrebbero essere i quesiti referendari sulle associazioni e sui partiti.
  Adesso vedo che è collegato il collega Comencini che, se ho ben capito, ha chiesto la parola e dunque Le passo volentieri la parola, collega Comencini. Prego.

  VITO COMENCINI(intervento da remoto). Grazie, presidente. Ringrazio per questa audizione, che ritengo assolutamente importante e di grande attualità, visto la vicinanza del nostro Paese, non solo dal punto di vista geografico ma da tanti punti di vista, con la Tunisia. Altrettanto preoccupante e allarmante è quello che abbiamo sentito e quello che vediamo dalle notizie, anche di questi giorni, rispetto a quello che sta succedendo. Questa situazione politica, sociale ed economica di grande sofferenza di questo Paese mi fa porre delle domande e delle riflessioni anche su altri aspetti che, in qualche modo, ci possono coinvolgere o toccare.
  Allora, volevo chiedere se i nostri auditi potevano anche spiegarci un po' la situazione dal punto di vista del traffico di esseri umani, quindi dell'immigrazione. L'immigrazione soprattutto clandestina ma non solo, in generale ho visto che ci sono state delle proteste davanti all'agenzia UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, United Nations High Commissioner for Refugees) nei giorni scorsi proprio per una situazione che sta diventando evidentemente esplosiva nella gestione degli immigrati; quindi volevo chiedere, anche da questo punto di vista che ci riguarda come Italia, quella che è la situazione in Tunisia e quella che, poi, è la situazione, dal punto di vista di altri, di gestione del pericolo che può derivare, da quello che sta succedendo, riguardo al fondamentalismo/terrorismo di matrice islamista. Sappiamo purtroppo la Tunisia come è stata, da una parte, vittima di attentati in passato, di sviluppo di cellule terroristiche e anche di molti foreign fighters che, come sappiamo, sono andati addirittura a combattere in Siria nelle fila di Daesh e quant'altro, quindi capire anche questo, se la situazione da questo punto di vista è in qualche modo sotto controllo o anche questo è un aspetto da attenzionare, allarmante da questo punto di vista.
  Infine, l'ultima domanda, volevo chiedere quello che riguarda i rapporti di influenza di altri Paesi. La Tunisia, come sappiamo, confina, è vicina alla Libia, sappiamo come in Libia, in questi anni, l'influenza di grandi potenze come la Turchia, come la Russia, insomma vari Paesi hanno portato una loro influenza politica, militare e quant'altro in questo Paese, mi interesserebbe molto capire anche la Tunisia, da questo punto di vista, se questo regime, questa situazione politica sta subendo influenze e, eventualmente, noi come Italia, noi come democrazia, come Repubblica italiana possiamo rapportarci nei confronti della Tunisia e dello Stato tunisino, eventualmente essere di aiuto, soprattutto nei confronti della popolazione che, in questo momento, è evidentemente in una situazione di grande sofferenza. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, deputato Comencini. Nel frattempo volevo anche fare un'altra considerazione in merito alla situazione, la guerra in Ucraina, il fatto che a Pag. 9causa di questa guerra ci sarà una diminuzione anche dell'export di grano: volevo capire come la Tunisia poteva risentire della mancata importazione del grano dall'Ucraina e dalla Russia, se questo pensate potrà avere delle ripercussioni anche sulle tensioni sociali e, quindi, sull'assetto politico del Paese, perché noi ci ricordiamo bene come, nel 2011, la scintilla che fece deflagrare la rivolta che, poi, aprì la stagione delle primavere arabe, fu proprio dovuta all'aumento del costo del pane. Quindi volevamo sapere se c'è preoccupazione anche per un'eventuale crisi alimentare dovuta alla guerra in Ucraina.
  D'altra parte, noi siamo un Parlamento di un Paese vicino alla Tunisia. Se pensiamo che Lampedusa è più vicina alla Tunisia che alla terraferma italiana, voi capite che, per noi, quello che succede nel vostro Paese, è di estrema importanza. Quindi questa situazione che, di fatto, ha scardinato tutti i riferimenti dello Stato di diritto, perché c'è una concentrazione – mal contemplabile in uno Stato di diritto – nelle mani del Presidente, ecco, questo come viene avvertito, di fatto, dalla popolazione locale? Cioè, c'è un senso di smarrimento? C'è paura nel Paese? Si teme che possa accadere qualcosa di grave? Voi cosa ritenete? In uno scenario come questo, che cosa potrebbe accadere prossimamente? Quali sono i possibili risvolti di una tale situazione che, insomma, sembra essere veramente fuori dall'ordinario; come si può progredire in un Paese in cui, a questo punto, un Presidente ha scardinato tutte le conquiste democratiche degli ultimi anni? E l'Italia, secondo voi, in quale modo può incidere, contribuire a una soluzione, dare una mano per trovare una via d'uscita da questo assetto che è – potrei dire – veramente alla deriva, dal punto di vista democratico. Non so se adesso il dottor Ramy Salhi vuole iniziare a rispondere a queste nostre domande. Prego, dottor Salhi.

  RAMY SALHI, Presidente della Sezione di Tunisi del Comité pour le Respect des Libertés et des Droits Humains en Tunisie (CRLDHT) (intervento da remoto). Buongiorno, signore e signori. Buongiorno, signora presidente e onorevoli deputati, grazie mille per questa audizione e per le domande che avete appena posto. Cercherò di rispondere al maggior numero di domande e anche la mia collega potrà fornire ulteriori elementi di riflessione. Iniziamo con la prima domanda che è stata formulata dalla signora presidente sul referendum, che dovrebbe aver luogo il prossimo 25 luglio, e a cui dovrebbero seguire, il 17 dicembre 2022, le elezioni legislative. La prima domanda riguarda la consultazione i cui esiti saranno votati durante il referendum. Tale consultazione è stata rifiutata da tutte le organizzazioni della società civile e dai partiti politici. Tutti i partiti politici di tutti gli orientamenti hanno ufficialmente annunciato un boicottaggio di questa consultazione. Poi la UGTT, la Lega dei diritti umani, l'Associazione dei magistrati, l'Ordine dei giornalisti e altre centinaia di organizzazioni su tutto il territorio tunisino hanno annunciato ufficialmente, in modo autonomo, con una dichiarazione o con dei comunicati, che rifiutavano totalmente questa consultazione.
  È necessario dire che tale consultazione – come ha appena ricordato la mia collega – ha coinvolto soltanto il 6 per cento della massa elettorale, quindi su 8 milioni di tunisini soltanto 500 mila persone; nonostante tutta la pressione esercitata dalla Presidenza della Repubblica e nonostante l'utilizzo di tutti i mezzi dello Stato per il successo di questa consultazione, in realtà non c'è stata una grande risposta. Ora, cosa succederà? Il referendum sarà indetto comunque? E che cosa è previsto nel quadro di questo referendum? Oggi il Presidente dell'organo indipendente delle elezioni ha rilasciato un'intervista radiofonica per annunciare che, fino ad ora, non è stato investito ufficialmente dalla Presidenza della Repubblica dell'organizzazione del referendum e delle elezioni, benché il referendum sia abbastanza vicino, essendo il 25 luglio, soprattutto per un organo che non dispone di grandi mezzi finanziari e umani. Ricordiamo che ci sono aspetti giuridici e aspetti tecnici per poter organizzare questo referendum che non sono ancora stati affrontati, tanto più che, dal punto di vista giuridico, non è apparso alcun testo sulla Pag. 10Gazzetta ufficiale tunisina per chiedere ai cittadini di partecipare al referendum e, successivamente, alle elezioni del prossimo dicembre.
  Questo per quanto riguarda gli aspetti giuridici e tecnici. Poi, rispetto al contenuto del quesito referendario, posso dirvi, giusto come aneddoto, che tre giorni dopo il lancio della consultazione – la consultazione è rimasta in piedi per circa quaranta giorni – il Presidente si è rivolto alla popolazione con un discorso, affermando: «Abbiamo lanciato questa consultazione, 20 mila tunisini hanno partecipato ed ecco a voi i risultati» e ha iniziato ad enunciare i risultati. Ha annunciato risultati dicendo che ci sarà una trasformazione verso un sistema presidenziale, che le prossime elezioni non saranno basate sulla lista dei partiti politici, bensì su un sistema uninominale, e che cambierà il metodo di voto, ma è veramente sorprendente che abbia dato dei risultati totalmente parziali soltanto dopo tre giorni. Poi, dopo la fine della consultazione, il 20 marzo, ha confermato i risultati che aveva già annunciato precedentemente e quindi, quello che possiamo prevedere in merito al prossimo referendum è che probabilmente ci sarà la questione della revisione del sistema politico in Tunisia, con il passaggio ad un regime che sia pienamente presidenziale, almeno come lo intende lui, con una ripartizione diversa tra i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, con una supremazia da parte della Presidenza della Repubblica, questa sarebbe la sua idea del nuovo ordine politico.
  Un secondo punto è la revisione della legge elettorale, in quanto il Presidente vuole vietare che gli attori della società civile si presentino alle elezioni e ha minacciato anche alcuni partiti politici che, negli ultimi dieci anni, si erano presentati ma che non erano stati coinvolti nel dialogo nazionale e, inoltre, c'è la questione che riguarda anche la democrazia di base e il voto che riguarda i singoli individui, quindi un voto che non è basato più sulle liste elettorali ma sui singoli individui a livello locale. In proposito, non è chiaro se ci sarà un'estrazione a sorte tra i vincitori per scegliere coloro che saranno chiamati a rappresentare la località in questione, c'è molta vaghezza su questo aspetto.
  Poi c'è la revisione dell'insieme dei poteri, come appena detto, perché il suo obiettivo è fare del potere giudiziario non un potere ma una funzione sottoposta all'Esecutivo e questo è emerso chiaramente con lo scioglimento del Consiglio superiore della magistratura e la cancellazione delle sue vecchie prerogative e la nomina di un nuovo Consiglio da parte del Presidente. Al di là dei nove membri che sono stati citati precedentemente, vediamo che l'ultima parola è sempre quella del Presidente della Repubblica su sanzioni, trasferimenti e promozioni e si capisce chiaramente che ha pieno controllo sull'insieme dei magistrati e non soltanto sul Consiglio superiore della magistratura. Recentemente ha fatto un altro discorso, che potete trovare sulla pagina Facebook della Presidenza della Repubblica, in cui ha richiamato la Ministra della Giustizia e minacciato alcuni magistrati perché ritiene che non abbiano svolto il loro ruolo, non avendo chiamato a rispondere dinanzi alla giustizia i centoventi deputati che hanno partecipato all'incontro. Quindi questi sono i punti principali del referendum: revisione della legge elettorale, revisione del sistema politico e più poteri al Presidente della Repubblica.
  Per quanto riguarda la prima domanda del deputato Comencini sull'aspetto migratorio, bisogna dire che gran parte dei migranti e, in particolare, dei migranti subsahariani, sono in Tunisia soltanto come Paese di transito dove trovare i mezzi finanziari e i trafficanti per poter arrivare in Europa. Il numero di questi migranti può essere constatato in maniera diretta, empirica, sul campo: si tratta di un numero notevole di subsahariani che si possono vedere per le strade non soltanto di Tunisi ma anche di altre città e il soggiorno di questi migranti in Tunisia dura dai tre mesi ai tre anni in media, in attesa di trovare, appunto, i mezzi per poter lasciare il Paese alla volta dell'Europa. In realtà, non disponiamo di statistiche per sapere quanti sono, perché in Tunisia non abbiamo centri di accoglienza come quelli che vediamo in alcuni Paesi europei; a Tunisi abbiamo solo Pag. 11un centro di detenzione e altrimenti ci sono dei centri di raccolta dove vengono forniti alcuni tipi di servizi, poi ci sono delle strutture di natura associativa o regionale che offrono aiuto, pertanto non abbiamo statistiche certe ma si tratta comunque di un numero consistente. Dandovi dei dati potrei cadere in errore, ma posso dirvi, comunque, che si tratta di un numero importante sul terreno e che questi migranti sono di passaggio, pochissimi di loro ha il progetto di costruirsi una vita in Tunisia. Lavorano nei cantieri edilizi e dei lavori pubblici, lavorano nei ristoranti, lavorano a servizio nelle case, lavorano nelle zone rurali, quindi nel campo della pesca e dell'agricoltura, per poter raccogliere le risorse necessarie per poi partire verso i Paesi europei. Tornerò sui legami che abbiamo con l'Italia su questa questione più avanti.
  L'onorevole Comencini ha fatto anche un'altra domanda che riguarda il rischio del terrorismo. Al momento non abbiamo informazioni ufficiali che riguardino gruppi terroristici costituiti con base in Tunisia. La polizia, attualmente, arresta singoli individui che possono essere implicati, in un modo o nell'altro, in attività e possono essere in contatto con le reti terroristiche all'estero, quindi attualmente il rischio è minimo. Chiaramente non possiamo ritenerci a riparo da possibili incidenti, come accade un po' ovunque ma, chiaramente, il rischio del terrorismo può diventare molto più elevato in caso di instabilità politica e securitaria in Tunisia, quindi la situazione rischia di aggravarsi notevolmente nel caso in cui non si arrivi, nei prossimi mesi, ad una soluzione politica. Ovviamente, c'è anche il rischio costituito dalla Libia, che è un Paese limitrofo. Potremmo avere, appunto, ripercussioni anche sulla nostra sicurezza in Tunisia e sullo spostamento di gruppi terroristici tra i due Paesi.
  Per quanto riguarda i rapporti della Tunisia con i Paesi amici e limitrofi, dobbiamo dire che, dopo la rivoluzione, dopo il 2011, ci sono state forze regionali che non sempre hanno mostrato il loro favore rispetto a movimenti che rivendicavano le libertà, la democrazia, lo Stato di diritto o i diritti umani. E mi riferisco a Paesi come l'Arabia Saudita e altri. L'Algeria, probabilmente, non è felicissima di avere proprio accanto a lei un Paese che rispetta completamente i diritti umani e le libertà. Ricordiamo che in Tunisia è stato lanciato un movimento che rivendica per tutta la regione il diritto di vivere come vivete voi in Europa, dove c'è il rispetto dei diritti, dove i cittadini possono godere pienamente della loro cittadinanza. Chiaramente possono esserci problemi economici, problemi politici, però c'è un minimo di dignità, un minimo di cittadinanza e un minimo di riconoscimento e di stabilità dello Stato. È stato fatto di tutto affinché la Tunisia non fosse presentata come un modello da seguire per tutti gli altri Paesi della regione. Io sono abbastanza certo del fatto che la Tunisia non abbia avuto veramente, negli ultimi dieci anni, un vero e proprio sostegno da parte degli altri Paesi e l'appoggio che è stato dato alla Tunisia era un appoggio legato a quelli che erano gli attori al potere. Quando ci sono stati gli islamisti al potere allora avevamo, in parte, l'appoggio di alcuni Paesi come il Qatar e la Turchia; quando ci sono stati al potere dei partiti più di sinistra e liberali l'Arabia saudita ci ha garantito sostegno, ma oggi, paradossalmente, la situazione è completamente diversa e abbiamo l'appoggio dell'Algeria e dell'Egitto anche attraverso dichiarazioni ufficiali.
  Bisogna dire che, per quanto riguarda l'Europa, ci sono state dichiarazioni ufficiali molto interessanti che riteniamo molto importanti, perché c'è stato un appello lanciato alla Tunisia per il rispetto dello Stato di diritto e della democrazia, abbiamo visto il comunicato del G7, la dichiarazione dell'Alto Rappresentante Borrell e anche il comunicato del Dipartimento di Stato americano. Non ci sono state visite ufficiali e quindi aspettiamo, appunto, che ce ne siano, ma una settimana fa è stata fatta una dichiarazione molto forte in questo senso, soprattutto in favore del rispetto della democrazia, dello Stato di diritto e delle libertà e sulla necessità di avere un approccio inclusivo nella transizione.Pag. 12
  Vorrei poi concludere rispondendo a un'altra domanda che è stata posta sempre dal deputato Comencini, seguita dalla riflessione della presidente, che riguarda ciò che può fare l'Italia per la Tunisia e per dare il proprio appoggio al popolo tunisino. Prima di passare a questa domanda, vorrei tornare alla domanda che riguarda la migrazione, che lega Tunisia e Italia perché l'Italia è lo Stato che ha più legami diretti con la Tunisia per questioni economiche, di sicurezza, politiche ma, soprattutto, per questioni che riguardano la migrazione. Tutti sappiamo che il Presidente tunisino ha accettato alcune condizioni che riguardano, in particolare, il ritorno dei migranti in Tunisia, con voli organizzati praticamente ogni settimana. Questo attrae l'attenzione su una strategia che, potenzialmente, può presentare difficoltà per quanto riguarda la gestione dei migranti. Da una parte, c'è stata l'accettazione di un ritorno massiccio di migranti e questo potrebbe rispondere a un'aspettativa dei politici italiani ma, dall'altra, non si inquadra in una strategia ben negoziata e sostenibile volta a consolidare lo sviluppo in Tunisia, a consolidare le opportunità di lavoro e la creazione di un clima propizio affinché i cittadini tunisini possano restare nel loro Paese e trovare lì i mezzi necessari per poter sopravvivere, per poter lavorare. Credo che questa sia soltanto un'ipotesi politica della Tunisia, ma ancora non abbiamo i mezzi per realizzarla. Si tratta soltanto di una decisione parziale perché il Presidente ha bisogno del sostegno dell'Italia, allora è pronto a fare delle concessioni che, secondo me, non hanno un gran senso e sono soltanto occasionali. Se, invece, riuscissimo a creare le condizioni per avere una stabilità politica, questo potrebbe portare a dei risultati migliori, perché l'instabilità potrebbe avere delle conseguenze estremamente negative sulla migrazione.
  Vi ricorderete che nel 2011 nel giro di poche ore c'è stato lo sbarco di circa 50 mila tunisini in Italia. Un aumento di migranti creerebbe problemi di sicurezza e di instabilità, per questo dico che, a volte, alcune decisioni possono sembrare momentaneamente positive, possono far pensare che la Tunisia sia un buon partner per l'Italia, però queste decisioni, secondo me, hanno dei limiti, non sono inquadrate all'interno di una strategia consolidata. Pertanto, io credo che il ruolo dell'Italia sia molto importante e consista nell'esercitare pressioni sul regime tunisino nel quadro dei rapporti bilaterali e, soprattutto, nel quadro dell'Unione europea. È molto importante che l'Italia rafforzi la posizione favorevole a un sostegno condizionato alla Tunisia, un sostegno condizionato al rispetto dello Stato di diritto, della democrazia, ma anche ad un approccio inclusivo, perché fino a questo momento il Presidente della Repubblica non ha coinvolto alcun attore, né politico, né associativo, nelle sue decisioni e non ascolta neanche i suoi partner internazionali. Non sente la pressione esercitata e, quindi, abbiamo bisogno di avere un processo partecipativo, perché al momento non coinvolge nessuno nel dialogo, mette sempre dei limiti nonostante le proteste di molte organizzazioni della società civile, che dicono che nessuno è stato consultato in merito alla cosiddetta tabella di marcia proposta dal Presidente.
  Quello che chiediamo è che ci sia una maggiore partecipazione al processo decisionale. Sul piano economico, la Tunisia è in piena discussione con il Fondo monetario internazionale. Tutti gli attori sono consapevoli del fatto che il Presidente da solo non può essere una garanzia credibile per dei negoziati credibili con il Fondo monetario internazionale. Attualmente non esiste una struttura dello Stato, non c'è un Parlamento, non c'è un'autorità alternativa, abbiamo soltanto il Presidente. Il Governo stesso, in realtà, è come se fosse un segretariato dello Stato, è il Capo della Repubblica che gestisce praticamente tutto, purtroppo il Governo non ha forza. Eravamo molto felici di avere un Primo Ministro donna, la prima donna nel mondo arabo ad essere Primo Ministro, ma siamo stati fortemente delusi dal fatto che si trattasse soltanto di una situazione di facciata, è il Presidente che decide tutto e lei non ha possibilità di replicare.
  Dunque, per questo, riteniamo che sia fondamentale avere una struttura solida Pag. 13nello Stato tunisino per avere un interlocutore credibile che possa impegnarsi veramente sulle questioni della migrazione, ma anche sulle questioni della sicurezza, sulle questioni economiche, perché sappiamo molto bene che ci sono migliaia di aziende italiane che lavorano in Tunisia e che devono operare in un ambiente imprenditoriale stabile e trasparente e questo è difficile date tutte le minacce del Presidente della Repubblica e tutti gli attacchi agli uomini di affari e alle imprese estere. Mi scuso per essere stato un po' prolisso, spero di aver risposto a tutte le domande, volevo presentarvi un quadro della situazione. Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Salhi, è stato molto esaustivo. L'unica cosa su cui non ha risposto è come la guerra che si sta svolgendo in Ucraina può incidere sulla sicurezza alimentare della Tunisia, visto che la Tunisia importa grano dall'Ucraina, ma magari poi Le do subito la parola. Ecco volevo dirLe che noi siamo un Parlamento, quindi quello che noi possiamo fare per raccogliere il Suo appello, la Sua richiesta di sostenere la Tunisia in questo difficile momento è un atto parlamentare.
  Possiamo evidentemente fare una risoluzione in seno alla nostra Commissione, al nostro Comitato diritti umani, per chiedere al Governo che, appunto, faccia tutto il possibile, metta tutta la pressione possibile sul Presidente per riuscire a uscire da questo stallo e per ripristinare i fondamentali dello Stato di diritto, condizionando questo anche al nostro supporto perché, come dice Lei, ci deve essere un sostegno condizionato e la condizione è che ci siano, appunto, gli elementi tali da poter definire la Tunisia uno Stato di diritto.
  Le ridò la parola su quest'ultimo punto e poi La saluteremo. Grazie.

  RAMY SALHI, Presidente della Sezione di Tunisi del Comité pour le Respect des Libertés et des Droits Humains en Tunisie (CRLDHT). Probabilmente risponderà la mia collega.

  LILIA REBAI, componente del Consiglio di amministrazione del Comité pour le Respect des Libertés et des Droits Humains en Tunisie (CRLDHT). Grazie, signora presidente. Vorrei cercare di fare qualche commento e rispondere alla domanda che è rimasta in sospeso. Per quanto riguarda la Costituzione, ci ha chiesto quale potrebbe il quesito referendario del 25 luglio. Il mio collega, Ramy, ha già risposto parzialmente a questa domanda. Io vorrei soltanto aggiungere che, effettivamente, credo che si tratterà di una nuova Costituzione che verrà sottoposta al referendum, ma attualmente non sappiamo bene, non abbiamo un comunicato ufficiale, sappiamo solo che c'è una commissione che è composta da costituzionalisti scelti dal Presidente della Repubblica che stanno lavorando su un nuovo testo costituzionale.
  Come è stato detto, questo testo si baserà sui risultati di quella che è stata definita una «consultazione» e proporrà un regime più presidenziale, quindi meno poteri ai vari organi, purtroppo, e il referendum sarà su questa nuova Costituzione e si dovrà votare sì o no. Lo stesso vale per la legge elettorale, è stato annunciato, almeno oralmente, che si pensa ad una nuova legge elettorale con uno scrutinio uninominale a due turni e questo almeno è il progetto attuale. In realtà non si capisce il perché di questa decisione, in teoria è per evitare che ci sia una eccessiva frammentazione in Parlamento. Sappiamo però che questa modalità di scrutinio non risolverà il problema, ma ci sarà anche un altro effetto che viene denunciato dalla società civile e cioè la scomparsa delle donne o comunque una riduzione del numero delle donne rappresentate perché con la legge attuale abbiamo optato, grazie alla società civile, per una parità verticale e orizzontale nelle municipalità per permettere così di aumentare sostanzialmente il numero di donne parlamentari.
  Dal punto di vista dell'economia, effettivamente ci troviamo a far fronte anche al problema che riguarda l'Ucraina. L'economia tunisina, come è stato sottolineato dal mio collega, è praticamente in una situazione di fallimento e quindi ci sono stati grossi problemi nel pagamento degli stipendi dei dipendenti pubblici, già due volte. Pag. 14Non è un segreto che la posizione tunisina è estremamente precaria e ci sono negoziati molto difficili con il Fondo monetario internazionale. La Tunisia dipende fortemente dalle importazioni di cereali – il 70 per cento di importazioni per il soddisfacimento dei nostri bisogni alimentari – e circa il 55 per cento di queste importazioni proviene proprio dall'Ucraina e dalla Russia. Pertanto, effettivamente, al momento viviamo una situazione estremamente difficile. Abbiamo già osservato l'assenza o la scomparsa di alcune derrate come, per esempio, la farina, la semola, abbiamo difficoltà di approvvigionamento di molti di questi beni. Sappiamo che lo Stato cerca di mobilitare tutte le nostre riserve. Ricordiamo che questo è il mese di Ramadan, quindi c'è anche il timore di non riuscire ad arrivare ad avere il pane, che è un bene essenziale per i tunisini. Dunque ci saranno sicuramente delle difficoltà, che andranno al di là di questo mese, di approvvigionamento alimentare. La crisi in Ucraina ha delle implicazioni economiche dirette. Abbiamo un aumento non soltanto a livello del prezzo del petrolio ma di tutti i derivati, perché gran parte dell'industria per poter garantire la propria produzione dipende, per il proprio approvvigionamento energetico, da queste aree. Ciò vale per il settore immobiliare e per tutte le attività economiche che dipendono dalle importazioni di cereali, ma anche dalle importazioni energetiche, tutti ambiti toccati dalla guerra in Ucraina.
  Sappiamo bene che, a causa della guerra in Ucraina, ci sono anche ripercussioni sulle economie europee e che, anch'esse, dipendono da queste risorse. Inoltre ci sono dei timori da parte della società civile. Abbiamo visto che ci sono stati dei negoziati tra Algeria e Italia, ma anche con l'Unione Europea affinché questo Paese e altri aumentino la loro produzione e c'è, da parte della società civile tunisina, la paura che si lascino da parte quelli che sono i diritti fondamentali, che si trascuri la democrazia, per privilegiare le questioni migratorie ed economiche. Noi, dunque, pensiamo che, a lungo termine, sia nostro interesse comune, della Tunisia e dell'Italia, ricordare quelli che sono i nostri ideali comuni e credo che la stabilità della nostra regione passi per una vera democrazia, quella che noi abbiamo iniziato a costruire. Quindi dobbiamo avere uno Stato veramente democratico, uno Stato che venga aiutato anche dal punto di vista economico, sempre nel contesto della democrazia, per garantire la crescita economica. Questa è l'unica strada che permetterebbe di avere dei rapporti di vicinato ideali per i tunisini e che consentirebbero al popolo tunisino di vivere in condizioni di dignità e anche di porre fine ai flussi migratori, soprattutto irregolari, che partono dalla Tunisia.

  PRESIDENTE. Dottoressa Rebai, penso che dobbiamo chiudere la nostra audizione perché purtroppo i tempi stringono e adesso ne abbiamo un'altra. Io La ringrazio molto per quanto ci avete esposto, quindi da parte nostra mi impegno, poi vi terremo informati e discuteremo anche dell'esito di questo lavoro. Faremo una risoluzione, nell'ottica di riuscire a sostenere questo vostro sforzo di società civile che va nella stessa direzione, chiaramente, del nostro intento, cioè quello di dare alla Tunisia di nuovo una cornice democratica sulla quale, poi, poter sviluppare un assetto più completo.
  Quindi vi ringrazio e presto ci riaggiorneremo. Grazie Dottor Salhi, grazie dottoressa Rebai, arrivederci. Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti della Asociación Cubanos por la Democracia e di attivisti per i diritti umani a Cuba.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'impegno dell'Italia nella comunità internazionale per la promozione e tutela dei diritti umani e contro le discriminazioni, l'audizione – in parte in videoconferenza e in parte in presenza – di rappresentanti della Asociación Cubanos por la Democracia e di attivisti per i diritti umani a Cuba.
  Anche a nome dei componenti del Comitato, saluto e ringrazio per la disponibilità a prendere parte ai nostri lavori il dottor Marco Rodriguez Pellitero, che è Pag. 15Presidente dell'Associazione cubani per la democrazia; l'avvocato e Segretario Generale dell'Associazione, Julio Pellitero, e – da remoto – abbiamo la dottoressa Rosa Maria Payá, che è attivista dei diritti umani a Cuba e Presidente della piattaforma Cuba Decide. Saluto anche la delegazione – numerosa – che accompagna i nostri auditi, che sono Yulami Esquivel Fernández, Alessandro Cárdenas Mesa e Yeison Soler Carpe.
  Segnalo che le associazioni Cuba Decide e Cubanos por la Democracia si adoperano entrambe per denunciare gli abusi e le violazioni dei diritti umani e, contestualmente, per promuovere la democrazia e lo Stato di diritto a Cuba attraverso la mobilitazione pacifica dei cubani e della comunità internazionale. Nelle scorse settimane l'Asociación Cubanos por la Democracia ha presentato una petizione al Parlamento europeo – la n. 1.395 del 2021 –, con la quale denuncia una presunta violazione del diritto dell'Unione perché la Commissione, nel contesto del regime di condizionalità, non intenderebbe porre rimedio all'inosservanza di talune norme dell'Accordo di dialogo politico e cooperazione tra l'UE e Cuba. Inoltre, sollecita la nomina di un Rappresentante Speciale dell'UE incaricato di monitorare il rispetto dei diritti umani sull'isola, in analogia con quanto avviene in altri contesti geografici.
  In questo quadro suscita grave preoccupazione la decisione delle autorità giudiziarie di L'Avana di infliggere pesanti condanne alle persone coinvolte nelle proteste spontanee dell'11 e 12 luglio 2021. Tali manifestazioni, che rispecchiavano legittime rimostranze della popolazione, sono state oggetto di una violenta repressione, con oltre 1.400 persone arrestate e 790 incriminate. Dopo una serie di dure condanne già annunciate, il 16 marzo di quest'anno la Corte Suprema cubana ha reso pubbliche altre 128 condanne, con pene fino a trent'anni nei confronti dei manifestanti, alcuni dei quali avevano meno di diciotto anni di età al momento dell'arresto. Da quelle date Amnesty International attesta di aver ricevuto segnalazioni di allarme su blocchi di connessione di internet, arresti arbitrari e uso eccessivo della forza, compresa l'apertura del fuoco della Polizia sui manifestanti, nonché su un gran numero di persone scomparse e di detenzioni arbitrarie.
  Analogamente a quanto abbiamo visto in altri Paesi delle Americhe negli ultimi tempi, le proteste a Cuba potrebbero essere state innescate, in parte, dall'attuale situazione economica del Paese, che ha anche un impatto sulla fruizione dei diritti economici, sociali e culturali degli abitanti di Cuba. Sebbene il diritto di manifestare sia garantito dalla Costituzione cubana, questo ricorso ai procedimenti giudiziari e queste sentenze negano di fatto ai cittadini cubani il diritto di esprimere il proprio dissenso in modo pacifico e di chiedere cambiamenti, violando palesemente le norme internazionali in materia di trasparenza e anche di giusto processo, quali il diritto dell'imputato di essere rappresentato da un consulente legale indipendente e di sua scelta.
  In una dichiarazione a nome dell'UE del 30 marzo scorso, l'Alto Rappresentante Borell ha esortato le autorità cubane a rispettare i diritti civili e politici della popolazione cubana, chiedendo l'immediato rilascio di tutti i prigionieri politici e delle persone detenute soltanto per aver esercitato la propria libertà di riunione pacifica e di espressione. Inoltre, ha sollecitato il Governo cubano ad avviare un dialogo significativo e inclusivo con la società civile, ribadendo l'impegno a sostenere tutti gli sforzi intesi a tutelare, promuovere e realizzare i diritti umani e le libertà di tutti i cubani, nel quadro dell'Accordo di dialogo politico e di cooperazione.
  In conclusione, segnalo ai nostri ospiti che il 4 agosto 2021, proprio a seguito della repressione delle manifestazioni di protesta avvenute a luglio, la nostra Commissione ha approvato, a larghissima maggioranza, una risoluzione nella quale, tra le altre cose, impegna il Governo: 1) a esortare in tutti i consessi internazionali o bilaterali il Governo cubano al pieno rispetto dei diritti fondamentali di tutti i suoi cittadini, allineando la propria politica in materia dei diritti umani al diritto internazionale, al fine di consentire la partecipazione attiva alla vita politica e sociale da Pag. 16parte della società civile e dei soggetti politici dell'opposizione; 2) ad esortare le autorità cubane ad esprimersi e ad aprirsi ad un dialogo nazionale, con tutte le componenti politiche, sociali e religiose del Paese; 3) a sollecitare il Governo cubano al rispetto delle disposizioni dell'Accordo di dialogo politico e cooperazione tra l'Unione europea e Cuba, in materia di garanzia e protezione dei diritti umani, inclusa la libertà di manifestare pacificamente il proprio pensiero, e poi a continuare ad operarsi, nelle competenti sedi – sia dell'Unione europea sia multilaterali, e più specificamente in ambito ONU – per il superamento dell'embargo nei confronti di Cuba, al fine di favorire l'apertura della società cubana ai valori di libertà e di democrazia.
  Fornito questo quadro, do la parola alla dottoressa Rosa Maria Payá, che è Presidente della piattaforma Cuba Decide, affinché svolga il Suo intervento da remoto. Prego, dottoressa.

  ROSA MARÍA PAYÁ, Presidente della piattaforma Cuba Decide (intervento da remoto). Grazie, signora Presidente e buon pomeriggio a tutti. È un onore rivolgermi a questo Comitato di diritti umani del Parlamento italiano. Grazie infinite per l'attenzione e grazie anche per questa risoluzione, approvata in segno di solidarietà verso il popolo cubano.
  Cuba è in crisi. Da sessantatré anni, Cuba è ostaggio di una dittatura che nega legalmente e nella pratica i diritti umani di base del suo stesso popolo. Oltre sessant'anni senza elezioni libere, eque e multipartitiche. L'indice di povertà (Misery Index) del 2021, pubblicato dalla National Review, ha dichiarato che Cuba è il Paese più povero del mondo, a causa di un'inflazione galoppante e della carenza di beni di prima necessità nel 2020-21. Decine di migliaia di persone sono fuggite dal Paese negli ultimi sei mesi. Voi in Italia, forse, avrete sentito dire che Cuba è un paradiso turistico, ma la realtà è che il mio Paese è una prigione per i cubani. Probabilmente avrete sentito dire anche che la società cubana è, in qualche modo, un'icona di giustizia sociale, che garantisce uguaglianza a tutti, ma la realtà è che da decenni quelli che sono al vertice del partito comunista e del conglomerato militare cubano ingrassano, mentre tutti gli altri muoiono di fame.
  Forse avete anche sentito dire che Cuba è una potenza medica, ma in realtà il nostro popolo ha patito uno dei peggiori indici di contagio della pandemia del COVID-19 a causa della negligenza, a causa dell'incuria del regime cubano che non ha accettato l'aiuto dei vaccini confermati dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, che mandava medici all'estero mentre all'interno dell'isola i cubani dovevano cercare di cavarsela senza la sufficiente assistenza sanitaria, senza prodotti igienici e senza medicinali.
  Tuttavia, il popolo cubano è stato molto chiaro, ha chiesto a gran voce libertà. Il popolo cubano è determinato ad essere libero, lo abbiamo visto la scorsa estate, quando centinaia di migliaia di cubani sono scesi in strada per protestare pacificamente a livello nazionale in oltre cinquanta villaggi e città, in tutte le città importanti del Paese, gridando: «Libertà», gridando: «Abbasso la dittatura», gridando: «Vogliamo un cambiamento di sistema», gridando: «Patria e vita, patria e vita» in contrapposizione al motto che il regime tante volte proclama: «Patria o morte». La posizione della società civile cubana è chiara. Il popolo cubano chiede l'apertura democratica e noi cubani abbiamo capito che questo è l'unico modo di difendere i diritti umani e lo Stato di diritto e anche l'unico modo per avere la possibilità di uscire dalla povertà e prosperare con il proprio lavoro. Il regime cubano ha risposto con la repressione, ha risposto applicando il terrorismo di Stato, e utilizzo la parola terrorismo assumendomi la piena responsabilità.
  Si tratta di violenza esercitata su un gruppo di persone con l'obiettivo di infondere panico, terrore nel resto della popolazione e questo è ciò che ha fatto il regime cubano per decenni ma, in particolare, dopo l'11 luglio. La risposta del regime cubano ha incluso un appello alla lotta da parte del Presidente Miguel Díaz-Canel, che alla televisione nazionale ha chiamato alla Pag. 17lotta contro i manifestanti pacifici. Sappiamo che ci sono stati arresti brutali, torture, processi farsa dove si escogitano pretesti per mandare in prigione manifestanti pacifici, fino a trent'anni di detenzione. Di fatto, attualmente, il regime detiene più di mille prigionieri politici e la maggior parte di loro sono manifestanti pacifici. Come Lei ha detto, alcuni di loro hanno meno di diciotto anni, ragazzini di sedici, diciassette anni condannati fino a diciotto anni di carcere perché stavano manifestando in strada gridando: «Libertà». Io vorrei che voi poteste ascoltare, proprio dalla voce di alcuni dei familiari di questi prigionieri politici, qual è la situazione che si vive attualmente a Cuba. Spero che possiate mandare il video.

[proiezione di un video]

  PRESIDENTE. Dottoressa Payá, abbiamo visto questo video. Se Lei vuole concludere, perché poi continuiamo così con gli altri interventi.

  ROSA MARÍA PAYÁ, Presidente della piattaforma Cuba Decide. Grazie per averci dedicato del tempo ad ascoltare i familiari dei prigionieri politici cubani. Vorrei anche dirLe di Saylí Navarro che ha la mia età e che ieri, dopo aver sentito respingere il suo appello al Tribunale, è stata incatenata mani e piedi ed è stata portata direttamente dal Tribunale al carcere femminile affinché sua madre potesse salutarla. Il reato commesso da Saylí Navarro è stato andare al Commissariato di Polizia il giorno dopo la manifestazione a chiedere notizie dei giovani scomparsi dopo la manifestazione. La risposta del regime è stata la condanna a otto anni di detenzione. Il regime crede di porre fine, con queste condanne, all'azione liberatrice dell'opposizione e del popolo cubano. Credo che si sbaglino di grosso. Le catene messe ieri alle caviglie di Saylí Navarro sono le catene al collo della dittatura, perché il popolo cubano ha dimostrato di volere la democrazia.
  Però voglio parlarvi non soltanto del terrorismo di Stato, dei reati di lesa umanità commessi dal regime cubano contro il popolo cubano, ma anche delle implicazioni che ha avuto l'aver tollerato questa dittatura per sessant'anni. Dittatura tollerata dal resto delle democrazie. Tutti conosciamo la storia di amicizia criminale tra i fratelli Castro e il regime russo, tutti ricordiamo il ruolo svolto dal regime cubano durante la guerra fredda. Per alcuni decenni il mondo ha pensato che questi legami non avevano più importanza, tuttavia, negli ultimi mesi, abbiamo visto approfondirsi un accordo militare strategico firmato dal regime cubano in Russia. Nello scorso dicembre la Russia ha minacciato di ripetere la crisi missilistica cubana. Il 13 gennaio del 2022 il viceministro degli esteri, Sergej Ryabkov, ha ripetuto nuovamente la minaccia e ha detto alla televisione russa – e cito – che non poteva né confermare né escludere la possibilità di inviare truppe russe a Cuba, ovviamente questo se gli Stati Uniti non avessero soddisfatto le richieste di Cuba. Il 22 febbraio, pochi giorni prima dell'invasione, il Presidente della Duma, che è il Parlamento russo, è venuto a Cuba per ringraziare il Paese per l'appoggio della decisione russa sul Donetsk e il Lugansk, subito dopo il condono per cinque anni, da parte russa, del pagamento del debito di 2,2 miliardi di dollari contratto dal regime cubano con la Russia. Attualmente, proprio mentre stiamo parlando, il regime cubano è il miglior alleato che promuove, tra le nazioni dell'America Latina, il riconoscimento diplomatico delle presunte repubbliche di Donetsk e il Lugansk e diffonde, attraverso le sue agenzie di stampa, il discorso ufficiale russo secondo cui la guerra è giustificata da presunti atti nazisti dell'Ucraina. Infatti, la figlia di Raúl Castro ha definito nazista il Governo ucraino.
  È nota anche l'ingerenza del regime cubano in America Latina, soprattutto in Nicaragua e in Venezuela. Il regime cubano, in questo momento, è l'equivalente del Muro di Berlino del nostro tempo, ma per poterlo abbattere abbiamo bisogno dell'appoggio della comunità internazionale, della vostra solidarietà. Il nostro movimento, Cuba Decide, è un'iniziativa nazionale e mondiale per esercitare pressione Pag. 18sul regime cubano, affinché si sottometta alla volontà sovrana dei cittadini. Questo però si può ottenere solo attraverso la mobilitazione civica, ma anche attraverso la pressione internazionale. Gli attivisti nell'isola lottano in condizioni di grande difficoltà, pertanto è imperativo che le nazioni del mondo libero e le democrazie del mondo diano il loro appoggio alla lotta del popolo cubano, volta ad avere gli stessi diritti, a conseguire i diritti umani di cui, oggi, godono gli italiani. Il cambiamento democratico a Cuba, che popolo cubano sta promuovendo, è fondamentale per aprire la strada verso la pace, la prosperità e anche la stabilità in tutto l'emisfero.
  Quindi noi, con modestia, desideriamo proporre alcune azioni che possono essere intraprese dal popolo e dal Governo italiano in solidarietà con noi. Voglio dirvi che, attualmente, ci sono una serie di proposte che vi leggerò, compilate con il contributo delle organizzazioni della società civile cubana nell'isola, ma anche di organizzazioni della società civile cubana in Europa che fanno parte della piattaforma Pasos de Cambio. Alla luce di tutto ciò che avete ascoltato vi chiediamo: uno, che il Parlamento italiano voti per denunciare l'accordo di dialogo politico e cooperazione dell'Unione europea con il regime cubano per violazione palese degli elementi fondamentali di tale accordo. Il regime ha violato l'accordo, ha violato sistematicamente i diritti umani dei cubani, di conseguenza chiediamo che si agisca per sospendere l'attuazione, che ormai è illegale, dell'accordo di dialogo politico e cooperazione finché non siano soddisfatte condizioni minime di riconoscimento dei diritti umani e si avvii una transizione democratica, e che l'Unione europea e gli Stati membri possano monitorare il progresso di queste condizioni. Tali passi devono almeno comprendere la liberazione di tutti i prigionieri politici, la fine totale della repressione e la garanzia di libertà di stampa, associazione e manifestazione, nonché l'avvio di riforme politiche che permettano la realizzazione di elezioni libere, giuste e multipartitiche nel mio Paese.
  Chiediamo, inoltre, al Parlamento italiano di considerare la possibilità di intraprendere azioni per frenare l'impunità con cui il regime cubano, attualmente, porta avanti la repressione all'interno dell'isola, promuovere l'attuazione di sanzioni individuali utilizzando, ad esempio, il meccanismo globale di sanzioni dell'Unione europea, oppure direttamente, come è stato fatto con gli oligarchi russi, e cioè imporre sanzioni individuali a carico dei leader del regime, le loro famiglie e tutti coloro che sono coinvolti in gravi abusi dei diritti umani, utilizzare gli strumenti disponibili per far sì che le decisioni che si prendono siano a favore del popolo cubano e vi chiediamo, altresì, di riconoscere la società civile indipendente cubana, sia nell'isola che nella diaspora, come interlocutrice valida in qualunque spazio d'interazione ufficiale, formale o informale, a Cuba. Vi chiediamo, inoltre, di utilizzare l'esperienza sudafricana per esigere, dalle imprese italiane che ancora fanno affari con il regime cubano, che adottino i princìpi globali di Sullivan. In questo modo anche le imprese italiane opereranno per rispettare i diritti umani e non per arricchire i dittatori. Infine, vi chiediamo di considerare l'applicazione energica delle leggi nazionali e internazionali che vietano le pratiche di schiavitù moderna e la tratta di esseri umani da parte del regime cubano, e che si consideri anche l'incentivazione e il potenziamento di tutte le azioni di denuncia e processi legali contro l'apparato del potere a Cuba, accusato di schiavitù moderna del suo personale sanitario, come ad esempio le condanne ricevute dal regime cubano...

  PRESIDENTE. Dottoressa, deve concludere altrimenti nessun altro potrà più intervenire. La prego, vada a concludere, dottoressa Payá.

  ROSA MARÍA PAYÁ, Presidente della piattaforma Cuba Decide. Credo che gli amici di Cubanos por la Democracia potranno dire di più su tutti i punti che ho elencato. Vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. La ringrazio, anche perché così consentiamo anche a chi è venuto Pag. 19qui di persona, in presenza, di poter intervenire. Do ora la parola al dottor Marco Rodríguez Pellitero, che è il Presidente dell'Associazione cubani per la democrazia. Prego.

  MARCO RODRÍGUEZ PELLITERO, Presidente della Asociación Cubanos por la Democracia. Illustre Presidente Boldrini, illustri onorevoli membri del Comitato, molte grazie di averci permesso di stare qui, oggi, a denunciare quello che sta accadendo a Cuba. Diciannove anni fa, nell'aprile del 2003, tre giovani cubani neri Enrique Copello Castillo, Bárbaro Sevilla García e Jorge L. Martínez Isaac, ritenuti i principali responsabili del sequestro di un traghetto cubano nell'intento di giungere alla Florida – Stati Uniti – sono stati fucilati da un plotone di esecuzione dopo essere sottoposti a un processo sommario. A nessuno dei tre è stato concesso un giusto processo, una garanzia procedurale o il diritto di avanzare una giusta difesa. Giorni prima della tragica decisione, decine di dissidenti e oppositori del regime di Fidel Castro sono stati processati, in base alla legge 88, nota anche come «legge bavaglio». La causa del '75 è stata conosciuta in tutto il mondo come la «primavera nera» del 2003.
  In Italia, nella seduta del 29 aprile del 2003, numero 301 della Camera dei deputati – diciannove anni fa – l'oggi Vicepresidente del Senato, l'onorevole Ignazio La Russa, chiese di sospendere i programmi di aiuto pubblico a Cuba ed invitava il Governo ad attivarsi, d'intesa con gli altri Paesi dell'Unione europea, affinché l'attuazione degli accordi economici, commerciali e sociali sia subordinata all'effettivo rispetto dei diritti umani. Allora il Governo e l'Unione europea, Papa Giovanni Paolo II, organizzazioni per i diritti umani come Human Rights Watch, Reporter Senza Frontiere o Amnesty International, così come intellettuali e artisti, hanno condannato gli arresti, ma la repressione contro i dissidenti politici continuò, anzi aumentò, rendendo vane le promesse fatte dal regime all'Unione europea di apertura democratica e di cambiamenti politici.
  A tutti gli effetti, oggi a Cuba c'è in corso un'altra «primavera nera», che vede dal 1° aprile 2021 al 31 marzo 2022 un totale di 1.200 prigionieri politici che sono stati in carcere a Cuba. Tutti loro sono stati sottoposti a delle torture, come dimostra lo studio scientifico dettagliato basato su più di cento casi e quindici tipi di tortura presentato dal Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura. Di fronte a questa evidenza non ci resta che chiedersi il perché l'Unione europea non ha applicato sanzioni come fece allora, nel 2003, contro il regime cubano. Oggi, la repressione non è più soltanto rivolta contro i gruppi di dissidenti, che pur subendo violazioni di ogni genere, continuano ad alzare la voce contro il regime. Dopo le manifestazioni pacifiche dell'11 luglio 2021, la repressione si è estesa in modo particolarmente violento contro i giovani, molto di loro disoccupati, contro i cubani, specialmente quelli di razza nera provenienti dagli strati sociali più poveri, contro le donne e specie contro i familiari degli arrestati.
  La maggior parte di loro non fanno parte di nessun gruppo di attivisti politici, ma hanno agito spontaneamente, cogliendo il momento per esprimere il clamore della libertà che gli viene negata ogni giorno. Hanno detto basta. Purtroppo l'evidenza così pesante di questo clamore di libertà manifesto nelle proteste pacifiche di migliaia di persone di tutte le età, generi e condizioni sociali in molte città cubane non è bastato al regime. Loro, seguendo il mandato diretto del Presidente Mario Diaz-Canel, hanno chiamato e – cito parole testuali – «l'ordine di combattere è dato, i rivoluzionari si prendano le strade. Siamo pronti a tutto, saremo nelle strade a combattere. Ordino a tutti i rivoluzionari del Paese, a tutti i comunisti, di uscire nelle strade, in tutti i luoghi in cui queste provocazioni avranno luogo, oggi, d'ora in poi, e in tutti questi giorni, e affrontarle con decisione, con fermezza, con coraggio». Loro hanno ordinato il confronto violento, la repressione, gli abusi, anche l'assassinio di un manifestante, Diubis Laurencio Tejeda, trentasei anni, che è stato vigliaccamente abbattuto da uno sparo alla schiena dal poliziotto Yoennis Pelegrín Hernández, che ha sparato almeno ad altre cinque persone Pag. 20tra cui un ragazzo di sedici anni. La madre di Diubis, in seguito alla morte di suo figlio, in un atto di disperazione, si è tragicamente tolta la vita.
  Nessuna analisi seria della questione può ignorare il fatto che questa risposta violenta del regime non è casuale, frutto della improvvisazione o della scelta individuale del Presidente eletto, Diaz-Canel. L'ordine di combattere il proprio popolo è stato messo direttamente dalla gerarchia militare, che controlla il Paese con un pugno di ferro e che ha convenientemente modellato un sistema-Paese pensato per rimanere al potere a lungo e per sopraffare qualsiasi rivolta dei cittadini attraverso l'applicazione di tre elementi: l'implementazione del sistema giuridico, che toglie ai cubani la possibilità di difendersi dalle violazioni dei diritti fondamentali da parte dello Stato; un completo controllo della comunicazione e dell'informazione per diffondere un'unica ideologia su cui costruiscono il consenso, o impongono il consenso; feroci apparati repressivi al servizio dell'ideologia, con la conseguente istituzionalizzazione della violenza. In poche parole, un regime totalitario.
  Ma come fa un regime totalitario, nel ventunesimo secolo, a nascondere la sua vera natura per sessantatré anni e non essere ripudiato, alla stregua degli orrori perpetrati da altri scempi totalitari, che non è necessario menzionare perché tutti abbiamo presente? Come fa a ricavare, nella comunità di nazioni, il supporto necessario per sopravvivere e, talvolta, essere considerato addirittura come un modello da esportare? La risposta la troviamo nella Bibbia: tutti conosciamo la storia del pastorello Davide che, armato di una semplice fionda, uccide Golia, il temibile gigante dei Filistei in guerra con il popolo d'Israele. È uno degli episodi più famosi della Bibbia, tutti sappiamo cosa simboleggia. Allora il regime comunista, ateo e menzognero, se ne appropriò e si presentò come un Davide che affronta un gigante, gli Stati Uniti d'America, con l'approvazione e il sostegno di molti Paesi della comunità internazionale.
  Per fare questo, il regime si costruì delle alleanze, utili sempre nel confronto con gli Stati Uniti. Prima i Paesi del blocco socialista, i Paesi non allineati e, dopo la fine del mondo bipolare, si assicurò la presenza nelle principali organizzazioni e fori internazionali. Si presentò per ottenere il consenso interno ed internazionale come modello alternativo ai sistemi democratici e spacciando come conquiste che l'educazione e la salute sono gratuite e al livello dei Paesi più avanzati, utilizzando questo argomento come giustificazione del proprio sistema politico e delle sue violazioni dei diritti umani. Punto terzo, utilizza l'embargo degli Stati Uniti come scusa principale del proprio fallimento economico, dovuto esclusivamente alla disastrosa politica economica e alle proprie limitazioni inerenti al sistema economico socialista. Se un tempo si poteva credere a tale fallacie, arrivando certi esponenti della politica italiana a definire il regime cubano – devo dire ipocritamente – come una «democrazia con il partito unico», oggi non possiamo distogliere lo sguardo, né tanto meno stendere un velo pietoso.
  Oggi, signore e signori, lo Stato cubano è uno Stato fallito. Il Paese importa l'80 per cento del cibo che consuma, il costo del paniere alimentare di base a Cuba supera il salario minimo del 43 per cento, l'inflazione è del 77,3 per cento nel mercato al dettaglio e del 6.900 nel mercato informale. Come ha detto la dottoressa Payá nel suo intervento, secondo gli indici annuali della miseria Cuba occupa il primo posto. Il 71,5 per cento delle famiglie cubane vive con meno di 117 dollari al mese, il che significa che le famiglie di tre o più persone sono al di sotto della soglia di 1,9 dollari al giorno per persona, quindi sono almeno 8 milioni di cubani che vivono in povertà. Questi dati collocano Cuba come il Paese con la più alta percentuale di poveri della regione, superando Haiti, dove il 60 per cento delle persone vive con meno di 1,9 dollari al giorno.
  Lo Stato cubano favorisce la tratta di esseri umani. Nessuna analisi seria della questione può ignorare il fatto che il Governo cubano ha usato la migrazione come Pag. 21arma politica contro gli Stati Uniti o altri regimi politici considerati ostili. Lo Stato cubano incoraggia il traffico di esseri umani con due obiettivi: da un lato, perché ha bisogno di attenuare la pressione sociale esistente all'interno del Paese, dall'altro perché i cubani che emigrano sono una fonte di guadagno per lo Stato perché inviano rimesse, ma anche di destabilizzazione dei Paesi ricettori, quali gli Stati Uniti, nel quale possono influenzare la politica e le elezioni. Lo Stato cubano ha fatto ricorso al traffico di esseri umani in modo sistematico e calcolato diverse volte, lungo i sessantatré anni di dittatura. L'ha fatto nel 1980, l'ha fatto nel 1994 con oltre 35 mila cubani esiliati; ebbene, lo sta facendo di nuovo oggi: negli ultimi cinque mesi sono arrivati negli Stati Uniti più di 46 mila cubani, molti di più che durante la cosiddetta crisi des los balseros. Lo Stato cubano favorisce il traffico di esseri umani in modo concreto attraverso delle alleanze con Paesi come il Nicaragua, dove anche la democrazia è fortemente a rischio. Questo Paese, su richiesta del regime cubano, non chiede il visto ai cubani che viaggiano verso questo Paese. Il Nicaragua diventa di fatto un punto di partenza o una tappa intermedia per molti migranti cubani.
  Perché oggi i cubani fuggono? Fuggono dalla povertà, dalla fame causata da una disastrosa economia ma, soprattutto, fuggono dalle violazioni dei diritti fondamentali e dall'impossibilità di realizzare i propri sogni in un Paese che ha rubato il futuro ai nostri giovani. Molti di loro, per partire, si sono lasciati alle spalle familiari e amici, si stanno avventurando, in questo istante in cui sto parlando, in un lungo e pericoloso viaggio attraverso la giungla di Darién, al confine tra Panama e Colombia, fino ad arrivare al Rio Bravo, andando incontro alle organizzazioni criminali che controllano il traffico di esseri umani. Molti di loro non ce la fanno, tra le vittime ci sono anche molte donne e molti bambini.
  Un'ulteriore evidenza della politica di disprezzo che il regime cubano ha nei confronti dei suoi cittadini, è che non accetta più la deportazione dei cittadini cubani dagli Stati Uniti dallo scorso ottobre 2001. Come ha detto con la sua proverbiale lucidità José Martí: «Quando il popolo emigra significa che i governanti hanno fallito». Lo Stato cubano si trova alle porte di una prossima rivolta. La prossima rivolta sociale potrebbe avvenire da un momento all'altro e potrebbe essere repressa in modo più brutale e violento. L'Osservatorio cubano dei conflitti ha documentato 232 proteste pacifiche a Cuba contro la repressione, con 134 proteste per questo motivo che rappresentano il 57 per cento del totale, vale a dire che più della metà sono motivati dalla repressione e dagli abusi della polizia e il 70 per cento di loro sono stati motivati dall'arbitrarietà giudiziaria e dalle condanne dei manifestanti pacifici dell'11 luglio.
  Rispetto a marzo del 2021, c'è stato un aumento del 26 per cento delle proteste, questo vuol dire che, in media, ci sono sette proteste di cubani al giorno. Lo Stato cubano legittima l'uso della violenza nella legislazione cubana. L'ordinamento giuridico dello Stato cubano, nella riforma della Costituzione del 2019, ha dotato la società di un corpo legale e di un sistema giuridico che non garantisce la uguaglianza giuridica di tutti davanti alla legge. Nell'articolo 3 stabilisce che il sistema socialista, sancito dalla Costituzione, è irrevocabile. I cittadini, cito testualmente: «Hanno il diritto di combattere con tutti i mezzi, compresa la lotta armata, contro chiunque tenti di rovesciare l'ordine politico, sociale ed economico stabilito da questa Costituzione». Nell'articolo 5 sanziona che il Partito comunista e la più alta forza politica del Governo e lo colloca, di fatto, al di sopra della Costituzione. Considerando che per democrazia si intende la possibilità di alternanza al potere – il che esclude l'articolo 5 della Costituzione cubana, secondo cui il partito comunista è la forza politica suprema – non esiste, inoltre, indipendenza e imparzialità degli organi giuridici. I corpi di repressione, polizia, militari, si avvalgono dell'applicazione diretta della legge e non ci sono meccanismi di controllo indipendente delle loro azioni. Per fare un paragone con l'Italia, che magari potrebbe essere interessante, il divieto di discriminazione politica Pag. 22o in base alle opinioni politiche è un principio fondamentale dell'ordinamento democratico, costituendo parte del nucleo essenziale dell'uguaglianza davanti alla legge e della garanzia di effettiva partecipazione di tutti all'organizzazione politica del Paese, sancito dall'articolo 3 della Costituzione italiana, primo e secondo comma. La forza che applica lo Stato, perciò, è illegittima in quanto le leggi di cui si è dotato sono viziate e non riconosce né tantomeno garantisce la protezione dovuta a tutti i cittadini che non sono di fatto, come ho detto prima, uguali davanti alla legge. Di conseguenza, lo Stato cubano penalizza fortemente la libertà di espressione, il dissenso e qualsiasi forma di protesta.

  PRESIDENTE. Purtroppo devo richiamarvi ad una sintesi, perché i cinque minuti che avevate a disposizione sono passati.

  MARCO RODRÍGUEZ PELLITERO, Presidente della Asociación Cubanos por la Democracia. Volevo solo aggiungere che il tempismo politico gioca un ruolo importante. In politica, spesso, è una questione di attenta preparazione, di lavorare pazientemente dietro le quinte e poi cogliere l'occasione giusta. Risultati politici concreti sono possibili quando gli interessi di diversi attori si incontrano al momento giusto, tuttavia anche in politica la soluzione non deve sempre richiedere decenni.
  Dovremo tenere certamente conto dell'opinione pubblica o ciò che consideriamo essere l'opinione pubblica e ciò che si riflette nei media. I media riportano lo scandalo, un abuso, un problema e siccome il tema si vende bene se tutti ne parlano, il fattore tempo gioca di nuovo un ruolo importante: infatti, più passa il tempo più il tema scompare dall'agenda pubblica. Tutto questo deve avvenire rapidamente, cioè bisogna battere il ferro finché è ancora caldo. Certamente la politica non deve seguire i dettati dell'opinione pubblica senza fare le sue valutazioni, costruire i consensi, rapportarsi con le proprie dinamiche interne di partito ma, soprattutto, la politica deve ambire, con le sue decisioni, ad affermare l'insieme dei valori che sono al centro delle società democratiche e fungono da linee guida, come la libertà, l'uguaglianza, la giustizia, il rispetto, la tolleranza, il pluralismo e la partecipazione. Oggi c'è un crescente clamore interno a quella che possiamo chiamare la «questione di Cuba», che viene sollevata sempre più spesso in tutto il mondo. Migliaia di cubani, centinaia di migliaia di cubani dentro e fuori Cuba, stanno diventando un'unica voce che grida per la libertà. Noi, da questo palco che ci avete gentilmente offerto, possiamo solo essere il megafono di questo grido. Noi, col cuore in un pugno, vi chiediamo di non rimanere indifferenti a questo appello e di fare tutto il possibile per far sentire la voce ai nostri fratelli italiani. Il tempo e l'urgenza lo richiedono, l'opinione pubblica lo richiede, la giustizia lo richiede, la storia lo richiede. Molte grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Adesso diamo la parola a qualche collega che è collegato, poi la facoltà a Lei, avvocato Pellitero, di intervenire nella risposta, perché con i tempi sono proprio andati fuori. Quindi, adesso vorrei dare la parola al collega Formentini, che l'aveva chiesta da tempo poi, nella risposta, do a Lei la parola.

  PAOLO FORMENTINI. Grazie Presidente e grazie a tutti gli auditi per le testimonianze fortissime che ci hanno portato. Conosciamo bene la situazione di Cuba, la seguiamo sempre con attenzione. Siamo al fianco del popolo cubano, anche noi come Lega, nelle richieste di libertà, democrazia, libere elezioni, quindi un grande abbraccio da tutti noi. Le sofferenze sono infinite, le torture del regime. Una dittatura spietata, fuori dal tempo e dalla storia, che ancora su quell'isola, purtroppo, sopravvive. Però io vorrei porre una questione, nel poco tempo che ho, che credo sia della massima importanza. Avete accennato al ruolo della Russia ma non è stata fatta menzione del ruolo della Cina. Vorrei chiedervi quanto è importante, oggi, per la sopravvivenza del regime e della dittatura cubana, il ruolo della Cina? Si è letto che, nella repressione delle libere manifestazioniPag. 23 dello scorso 11 luglio, il controllo delle telecomunicazioni attraverso compagnie come Huawei e ZTE è stato possibile proprio grazie alla collaborazione con la Cina. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, collega Formentini. Vediamo se Lei, avvocato Rodríguez Pellitero, vuole fare una risposta e magari dare degli elementi del Suo intervento, però La prego di stare nei tempi.

  JULIO RODRÍGUEZ PELLITERO, Segretario Generale della Asociación Cubanos por la Democracia. Illustre Presidente Boldrini, illustri onorevoli membri del Comitato, illustre onorevole Formentini, la Sua è una domanda che ci poniamo da tempo, i cubani, anche chi è interessato al tema di Cuba o chi segue le vicende, spesso tragiche, della realtà cubana. Il mio punto di vista, che è quello che potrei dare qui, mi fa dire che la Cina, comunque, è uno spettatore, non prende e non ha quell'iniziativa di tipo ideologico che potrebbe essere utilizzata dal Governo cubano. La Cina ha forti interessi economici, questo in senso proprio lato, e a Cuba questi interessi non li trova, semplicemente perché lo Stato cubano, come hanno detto i miei colleghi, è uno Stato fallito. Lo Stato cubano, sorretto dal comunismo per sessant'anni, non è proprio in grado di produrre nemmeno cibo per i suoi abitanti, quindi la Cina, veramente, non ha a quell'interesse economico che, magari, ha in altre aree, in altri Paesi. La Cina – un mio criterio personale – non fa ideologia in quest'ambito, invece la Russia è un Paese che è naturalmente e storicamente alleato a Cuba, quindi Cuba deve pagare questo debito che ha.
  Io vorrei aggiungere a quello che hanno detto i miei colleghi che l'11 luglio è stato, infatti, un giorno storico per i cubani. Migliaia di cittadini hanno manifestato spontaneamente e pacificamente nelle città di tutta l'isola, una manifestazione veramente spontanea che nessuno si aspettava. Io mi trovavo a Valencia, che è la città spagnola dove risiedo, e ci siamo subito dati appuntamento alla piazza della cattedrale, insieme a tanti cubani, per aspettare la libertà che, purtroppo, non è arrivata quel giorno. Noi, comunque, siamo convinti che tutti i cubani abbiano il diritto di avere diritti, è una cosa bellissima, una frase bellissima che ha detto il padre di Rosa, Oswaldo Payá, che è stato vilmente ucciso dal regime. Sessant'anni di ideologia unitaria hanno causato un danno antropologico molto, molto grave. Questo è stato denunciato nel lontano 1998 dall'arcivescovo Pedro Meurice, che è quello che ha accolto il Papa Giovanni Paolo II a Santiago de Cuba. Lui ha detto una frase che proprio riassume il tutto: «Santità, vi presento, inoltre, un numero crescente di cubani che hanno confuso la patria con un partito, la nazione con il processo storico che abbiamo vissuto negli ultimi decenni e la cultura con una ideologia».
  Eppure i cubani, sessant'anni dopo, si sono fatti coraggio, vent'anni dopo la visita di Giovanni Paolo II, per gridare libertà, basta bugie e abbasso la dittatura e vorrei dire che le conseguenze evidenti di queste manifestazioni popolari sono state 1.900 anni di carcere per 128 cubani. Millenovecento, sono pene spropositate, che non esistono nemmeno in quel nemico storico di Cuba – secondo loro – che sono gli Stati Uniti. Queste gravi conseguenze non sono né sporadiche né casuali, sono il risultato dell'assenza dello Stato di diritto, di un processo penale viziato, di un potere giudiziario controllato dalla volontà del Governo e di tribunali che non applicano la legge né dispensano giustizia. Pensate un po' – parlo a tanti di voi che siete colleghi avvocati – a Cuba ci sono 2.048 avvocati, gli unici avvocati autorizzati a rappresentare i cittadini: sono un avvocato per 5.500 cubani. Questi avvocati vengono spogliati delle loro facoltà professionali, vedono i loro doveri deontologici verso i clienti sostituiti dalla difesa degli interessi politici dello Stato cubano, sotto minaccia di radiazione professionale e, persino, del ritiro delle lauree.
  Di conseguenza, i cittadini cubani subiscono un sistema di giustizia progettato per negare loro ogni possibile beneficio previsto nella Dichiarazione universale dei diritti umani. Parliamo che, nel lontano 1948, Pag. 24i cubani che avevamo, anche giuristi prestigiosi – uno di loro è stato tra i redattori nel Comitato di redazione di questa Dichiarazione universale dei diritti umani –, quasi un secolo dopo Cuba è un Paese che non la rispetta, la rivoluzione non ci ha creduto mai e non l'ha mai rispettata.
  Io avrei veramente tanto da dire e voglio sintetizzare in altri due minuti, se Lei mi permette. Vorrei dire questo, ci sono tre assi che noi consideriamo che fanno sì che il Governo cubano possa, al giorno d'oggi, esistere e governare Cuba con questo pugno di ferro: 1) le relazioni politiche che fanno sì che Stati democratici come l'Italia e gli Stati membri applichino criteri diversi per la violazione dei diritti umani a Cuba; 2) gli affari con imprese straniere presenti a Cuba; 3) la cancellazione del debito pubblico e le sovvenzioni che Stati, tra cui l'Italia, danno a loro nei programmi di cooperazione. Il primo asse, eminentemente politico, che ho appena commentato, verrebbe da dire che il popolo cubano è vittima di uno dei più lunghi esperimenti sociali della storia, il dirottamento della democrazia e della volontà del popolo per dimostrare che, deprivando i cittadini della loro capacità di scelta, si poteva condurre tutti verso una società più giusta ed egualitaria: questo, sessantatré anni dopo, semplicemente non è successo.
  Lo Stato cubano viola in modo flagrante tutte le convenzioni internazionali sui diritti dell'uomo. La condanna del Parlamento europeo è stata ferma, tre condanne soltanto nell'anno 2021. Ci chiediamo in questo senso, anche con Rosa Maria Payá, perché l'Italia, perché gli altri Stati membri abbiano potuto, possano mantenere in vigore un Accordo di dialogo politico e cooperazione che non giova all'interesse dei cubani, permette soltanto di mantenere al potere e assicurare la fortuna della casta militare e politica cubana.
  Il secondo asse che noi abbiamo identificato, si tratta delle imprese che sono in qualche modo complici dello Stato cubano. Perché il gruppo Melia Hotels International, gruppo Iberostar, hanno entrambi quasi sessanta hotel a Cuba. L'impresa di costruzione Bouygues Bâtiment International francese è partner dal 1999 ed ha costruito ventidue progetti di alberghi di lusso – esclusivamente di lusso – cinque stelle, ovvero il 50 per cento delle camere disponibili a Cuba, nessuna è stata visitata da un cubano, perlomeno nessuna è stata mai visitata da me perché non me lo potevo permettere, ma nemmeno entrare in albergo. Per operare a Cuba, queste aziende hanno aderito alle leggi cubane che affermano che il Partito comunista è la forza motrice della società, che dichiarano quel sistema politico irreversibile e che chiedono ai cittadini di lottare contro chi dissente da questo pensiero, da questa ideologia.
  Il terzo asse – e finisco – riguarda l'indebitamento insanabile dello Stato comunista. Cuba, come diceva il Presidente della nostra associazione, è uno Stato fallito e il Club di Parigi ha perdonato, ha condonato 8,5 miliardi di dollari degli 11 miliardi di cui Cuba era debitrice. L'Italia è il quarto creditore di Cuba, per 500 milioni di dollari americani. Cuba ha riportato un debito estero di 18 miliardi nel 2018. Questo è un debito che è unicamente colpa del sistema politico a Cuba, del comunismo e del Governo. La Russia condonato il 90 per cento di 35 miliardi, 35 miliardi di dollari americani sono stati condonati dalla Russia e Cuba è debitrice ancora per 3 miliardi. Queste sono i regali dell'era sovietica che sono rimasti e che i russi, per gli accordi che ora sono in vigore, per la difesa senza pudore di Cuba nell'ONU, è il prezzo che hanno dovuto pagare. Cuba non è una destinazione sicura per gli investimenti stranieri e non lo diciamo noi, lo dice SACE (Servizi Assicurativi del Commercio Estero) che è la società assicurativa finanziaria italiana specializzata nel sostegno alle imprese e aziende italiane. Danno il punteggio di 92 su 100 a Cuba per mancato pagamento controparte sovrana, mancato pagamento controparte bancaria il 98 per cento, mancato pagamento controparte corporate il 98 per cento. L'Italia è uno dei Paesi che più aiuta Cuba, però noi vogliamo e dobbiamo dire che quelle sovvenzioni vanno agli enti controllati dallo Stato cubano.Pag. 25
  Il dizionario giuridico dell'Unione Europea definisce in modo chiaro e netto che cos'è società civile: società civile sono associazioni non controllate da nessun Governo, che professano un'ideologia libera, di loro propria scelta, e questo non avviene a Cuba. A Cuba e le associazioni che esistono si trovano proprio nel corpus della Costituzione, vengono definite dalle leggi che emanano da quella Costituzione e sono un sistema chiuso di cui nessuno può far parte se non fa parte proprio dell'establishment.
  Per finire, vorrei chiedere se non è, forse, il regime cubano stesso l'unico impedimento al benessere economico, sociale e individuale del popolo cubano. Non è costui che impedisce la democrazia, la pluralità di pensiero e di espressione, di ideologie ai cubani di tutte le razze e strati sociali? Siccome siamo in Italia, vorrei permettermi di parlare di cibo, perché sono un grande amante del cibo italiano, e nel lontano 1940 uno dei nostri più noti sociologi, Fernando Ortiz, definiva la cultura cubana come un cibo tipico cubano, l'ajiaco, che sarebbe una minestra e lui definiva: «I cubani sono un conglomerato eterogeneo di razze e di culture diverse, di molte carni e culture che si mescolano e si disintegrano in un unico ribollire sociale». Come è possibile che un Paese così diverso possa pensare in un unico modo, possa un Governo pretendere di controllare il destino di undici milioni di cubani imponendo un'unica ideologia? Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Grazie avvocato, anch'io vorrei fare una domanda. Sono un po' di anni che non vado a Cuba, mi chiedevo se ancora a Cuba c'è il doppio sistema per l'acquisto dei beni, cioè quello riservato ai turisti, dove si paga in dollari, e quello, invece, riservato ai residenti, dove si paga in un'altra moneta. Se questo ancora esiste, questo doppio binario, e poi vorrei sapere se Cuba importa il grano dalla Russia: visto che importa l'80 per cento dei beni alimentari – mi avete detto – vorrei capire se, appunto, c'è un'importazione di grano dalla Russia e come la guerra – se avete ho avuto modo di valutare – andrà a impattare sulla sicurezza alimentare, anche dei cubani e delle cubane. Prego, avvocato.

  JULIO RODRÍGUEZ PELLITERO, Segretario Generale della Asociación Cubanos por la Democracia. Allora, uno dei grandi colpevoli della crisi attuale di Cuba – si è subito detto magari con qualche intenzione dietro – è stato senz'altro la politica di riordinamento economico del Governo. Il Governo, dopo aver implementato quasi tre decenni di una doppia moneta, ha deciso di toglierla proprio nel momento peggiore, quasi all'inizio della pandemia del COVID. Questo ha fatto sì che – come ha detto mio fratello Marco, il Presidente dell'Associazione – c'è un'inflazione in corso, quella ufficiale è del 70 per cento. Questo è insolito in tutto il mondo, però quella, diciamo, del mercato informale, che è il vero mercato che sostiene le famiglie cubane, è del 6.000 per cento. Questo fa sì che ogni persona, straniera o cubana o che entri a Cuba, debba cambiare ogni sorta di valuta estera che ha. Questo fa sì che hanno un unico raccoglitore di moneta forte e che i cubani, per acquistare i beni ovviamente non prodotti a Cuba, possano accedervi soltanto facendo uso di una moneta virtuale, che gli permette di accedere a certi negozi dove possono trovare, diciamo, la più grande quantità di beni di cui hanno bisogno.
  Per rispondere alla seconda domanda, la Russia senz'altro ha interessi molto, molto forti a Cuba di tipo, soprattutto, anche militare. Credo che, per quanto riguarda la lotta alla fame, soprattutto per le grandi necessità del popolo cubano, i soliti partner di Cuba sono – soprattutto per il grano – il Vietnam, sono altri, se non sbaglio c'è un'altra origine per quei beni.

  PRESIDENTE. Prego, Presidente.

  MARCO RODRÍGUEZ PELLITERO, Presidente della Asociación Cubanos por la Democracia. Vorrei soltanto aggiungere che il principale socio commerciale di Cuba sono gli Stati Uniti. L'esportazione negli ultimi dieci anni sono state sempre in costante crescita. L'importazione di beni alimentari,Pag. 26 soprattutto di generi alimentari di prima necessità come il pollo, ma anche altri prodotti; non ho il dato, però immagino che anche il grano venga dagli Stati Uniti; il riso e tanti altri prodotti vengono dagli Stati Uniti.

  PRESIDENTE. Vi ringrazio per queste esposizioni molto articolate, esaustive e per averci dato questo quadro molto preoccupante. Condivido con voi la preoccupazione e l'angoscia che vivete, anche il senso di rabbia perché, dopo sessant'anni, ancora si continua con un regime che non consente nessun tipo di apertura e di libertà e questo ha un impatto, chiaramente, sulla qualità della vita delle persone.
  È anche preoccupante la repressione che il regime sta mettendo in atto rispetto alle proteste legittime e pacifiche, quindi noi cercheremo di seguire le vicende, di fare il nostro dovere. Ci siamo recentemente espressi già, abbiamo fatto una risoluzione che è stata approvata a larghissima maggioranza, quindi da questo punto di vista non avremmo nuovi elementi per fare un altro atto parlamentare perché non è cambiata molto, purtroppo, la situazione. Ciononostante, però, continueremo a seguire gli sviluppi e a passare anche le vostre raccomandazioni, così come ce l'avete esposte, anche a chi, a livello governativo, poi, deve prendere decisioni nei rapporti bilaterali.

  JULIO RODRÍGUEZ PELLITERO, Segretario Generale della Asociación Cubanos por la Democracia. Grazie, presidente. Vorrei aggiungere perché, veramente, il mio discorso è cambiato un po' dalla previsione iniziale, però sono ovviamente cosciente di questa grande opportunità e del tempo che avete a disposizione. Io parlavo delle sovvenzioni perché, per esempio, avevo un esempio molto, molto netto di un milione e 800 mila euro dall'Agenzia italiana della cooperazione, che sono stati dati per migliorare le condizioni di vita, con enfasi particolare verso la popolazione femminile e giovanile, rafforzare il quadro istituzionale locale, promuovere l'economia circolare. Ebbene, noi che lavoriamo anche assieme a piattaforme che difendono le donne a Cuba, ci dicono che la violenza di genere non è reato in questo momento. Si prevede che il Governo la possa implementare nel 2028. Per il 2028, secondo l'associazione Red Femenina de Cuba, saranno morte quattrocento donne cubane. Piattaforme di ampio spettro ideologico come Yo Sí Te Creo e la rivista Alas Tensas hanno dichiarato che l'8 marzo non c'era nulla da festeggiare in un Paese in cui si sono verificati trentaquattro femminicidi nel 2021 e dove settantasei donne sono in carcere, in questo momento, per difendere, a volte, anche i figli. E c'era stato anche un aumento della violenza, c'era stato anche un aumento della mortalità materna e delle gravidanze precoci.
  Quindi come mai i fondi che l'Italia dedica, con lo sforzo degli italiani, ad impattare la società cubana... dove sono i risultati? Noi ce lo chiediamo, perciò abbiamo anche una proposta da fare, visto che Lei mi chiede come altro potete aiutare. Noi proponiamo un quadro di collaborazione con le autorità italiane in cui si dia voce alla vera società civile cubana, che vuol dire la società che lotta per la democrazia, non la società solo di cubani che siamo fuori, perché molti di noi cubani fuori siamo parte e abbiamo dato il nostro contributo ai cubani che stanno dentro che, per lo più, sono i nostri parenti, io ho due nonni a Cuba.
  Noi chiediamo questo, si può fare addirittura nell'ambito dell'Accordo di cooperazione che c'è in corso, ma non lo si fa. Noi chiediamo che la società civile cubana, loro che sono presenti in Italia, a Roma come società civile cubana, vengano riconosciuti, ci sia un dialogo, venga chiesto a noi dove possono andare quei fondi, dove veramente possono impattare, perché non vadano all'associazione di donne cubane rivoluzionarie che è l'unica che esiste, l'unica permessa e che ha un'ideologia, un'ideologia che fa parte di quella del Governo.

  PRESIDENTE. Grazie, il quadro è chiaro. È tutto molto complicato perché, comunque, la cooperazione è un organo istituzionale che può entrare e intervenire con dei progetti specifici attraverso dei canali che, Pag. 27comunque, esistono. Se non esiste in loco un'associazione altra rispetto alle donne rivoluzionarie, non c'è neanche in loco una destinazione a cui poter dare quei fondi, quindi non è semplice inventarsi il modo di aiutare, indipendentemente dal controllo governativo. Cioè, non è semplice, perché se vogliamo agire lì è lì che dobbiamo trovare il destinatario.
  Comunque, vediamo se si riesce ad avere più garanzie rispetto al modo in cui vengono usati quei soldi. Io devo chiudere adesso, purtroppo, perché siamo andati oltre e quindi vi ringrazio. Comunque non sarà l'ultima volta che ci vediamo.
  Grazie, dichiaro chiusa questa audizione.

  La seduta termina alle 17.25.

  Gli interventi in lingua straniera sono tradotti a cura degli interpreti della Camera dei deputati.