XVIII Legislatura

III Commissione

COMITATO PERMANENTE SUI DIRITTI UMANI NEL MONDO

Resoconto stenografico



Seduta n. 50 di Martedì 12 aprile 2022

INDICE

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'IMPEGNO DELL'ITALIA NELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE PER LA PROMOZIONE E TUTELA DEI DIRITTI UMANI E CONTRO LE DISCRIMINAZIONI
Boldrini Laura , Presidente ... 3 
Marinari Annunziata , coordinatrice di campagne per ... 4 
Boldrini Laura , Presidente ... 4 
Shaath Ramy , attivista e difensore dei diritti umani ... 5 
Boldrini Laura , Presidente ... 7 
Lebrun Céline , attivista e difensora dei diritti umani ... 7 
Boldrini Laura , Presidente ... 9 
Palazzotto Erasmo (PD)  ... 9 
Boldrini Laura , Presidente ... 10 
Formentini Paolo (LEGA)  ... 10 
Boldrini Laura , Presidente ... 10 
Shaath Ramy , attivista e difensore dei diritti umani ... 10 
Lebrun Céline , attivista e difensora dei diritti umani ... 11 
Boldrini Laura , Presidente ... 11  ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Coraggio Italia: CI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Alternativa: Misto-A;
Misto-Azione-+Europa-Radicali Italiani: Misto-A-+E-RI;
Misto-MAIE-PSI-Facciamoeco: Misto-MAIE-PSI-FE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Europa Verde-Verdi Europei: Misto-EV-VE;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Rinascimento ADC: Misto-NcI-USEI-R-AC;
Misto-Manifesta, Potere al Popolo, Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea: Misto-M-PP-RCSE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
LAURA BOLDRINI

  La seduta comincia alle 13.40.

Audizione di attivisti e difensori dei diritti umani in Egitto.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno del giorno reca – nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'impegno dell'Italia nella Comunità internazionale per la promozione e tutela dei diritti umani e contro le discriminazioni – l'audizione di attivisti e difensori dei diritti umani in Egitto.
  Anche a nome dei componenti del Comitato, saluto e ringrazio per la disponibilità a prendere parte ai nostri lavori il dottor Ramy Shaath e la dottoressa Céline Lebrun; saluto e ringrazio anche la dottoressa Annunziata Marinari, coordinatrice di campagne per Amnesty International Italia.
  Ricordo che la mattina dell'8 gennaio scorso, il prigioniero di coscienza palestinese-egiziano Ramy Shaath è tornato in libertà, dopo più di novecento giorni di detenzione senza processo. A portare avanti la campagna per la sua scarcerazione è stata soprattutto Céline Lebrun Shaath, difensora dei diritti umani francese e moglie di Ramy, con il sostegno di Amnesty International e di altre ong, di deputati e deputate francesi, e di più di 100 mila cittadini.
  Figlio di Nabil, l'ex ministro degli Esteri palestinese, negoziatore degli accordi di Oslo, Ramy Shaath è uno storico attivista impegnato in favore dei diritti. Già da prima della rivoluzione del 25 gennaio 2011, ha svolto un ruolo determinante nella co-fondazione di diversi movimenti politici laici in Egitto, tra cui il partito della Costituzione, Al Dostour Party, creato nel 2012 da Mohamed El Baradei. Era stato arrestato il 5 luglio 2019 con accuse analoghe a quelle mosse contro Patrick Zaki e numerosissimi altri attivisti e dissidenti egiziani: sostegno a gruppo terrorista, attività volte a destabilizzare la sicurezza dello Stato, e diffusione di false notizie. Come Zaki, anche Ramy Shaath è stato rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Tora, al Cairo, e ha visto il giudice confermare la detenzione cautelare ogni quarantacinque giorni. Ricordo che la legge egiziana fissa un limite massimo di due anni oltre il quale non è più possibile rinnovare il carcere preventivo. Se però Zaki, al momento del rilascio, ancora non aveva raggiunto tale limite – lo studente infatti è uscito al termine di ventidue mesi in cella, essendo stato arrestato nel febbraio del 2020 –, Ramy Shaath ha ampiamente superato quel limite, essendo rimasto detenuto per ulteriori sei mesi, senza un motivo legale reale.
  Di fatto, si è trovato in una sorta di limbo giudiziario, in uno stato di privazione arbitraria della libertà personale. Per due anni è stato tenuto in una cella fatiscente di venticinque metri quadrati, con altri quindici detenuti, senza riscaldamento, senza acqua calda e senza servizi igienici. Durante la reclusione i suoi avvocati non hanno potuto visionare le carte dell'accusa e quindi neanche gli eventuali elementi di prova a carico del loro assistito. Per tutti i 915 giorni in cui Ramy è stato privato della libertà ha avuto un solo interrogatorio di quarantacinque minuti da parte di un giudice, che gli ha chiesto per chi avesse votato dopo la rivoluzione del 2011 e la natura delle sue attività politiche, ma senza fornire alcuna prova contro di Pag. 4lui. In realtà, il Pubblico Ministero ha basato la sua accusa su un fascicolo segreto raccolto dall'Agenzia per la sicurezza nazionale (NSA), che i suoi legali non hanno mai potuto esaminare, nonostante una decisione del 2015 della Corte di cassazione avesse stabilito che le indagini della NSA non costituiscono prove di per sé. Particolarmente difficoltose sono state anche le comunicazioni con la famiglia: solo la figlia e la sorella sono riuscite a vederlo una volta al mese e le sue lettere alla moglie venivano regolarmente censurate in varie parti.
  La vicenda personale di Ramy Shaath è emblematica della situazione dei diritti umani in Egitto, che negli ultimi anni ha continuato ad aggravarsi, dal momento che le autorità hanno intensificato la repressione nei confronti della società civile, dei difensori dei diritti umani, degli operatori sanitari, dei giornalisti, dei sindacalisti, dei membri dell'opposizione, del mondo accademico e degli avvocati, e continuano a reprimere brutalmente e sistematicamente qualsiasi forma di dissenso, compromettendo in tale modo le libertà fondamentali – in particolare, la libertà di espressione, sia online sia offline, di associazione e di riunione –, nonché il pluralismo politico, il diritto alla partecipazione agli affari pubblici e, sicuramente, lo Stato di diritto.
  Il Parlamento europeo, con una risoluzione approvata il 18 dicembre 2020, aveva chiesto la liberazione immediata e incondizionata delle persone – tra cui Ramy Shaath – detenute arbitrariamente e condannate per aver svolto le loro attività legittime e pacifiche a sostegno dei diritti umani, deplorando il continuo ricorso da parte dell'Egitto alla legislazione antiterrorismo, all'inserimento arbitrario dei difensori dei diritti umani negli elenchi dei terroristi egiziani, e alla custodia cautelare per perseguire e criminalizzare il loro lavoro. Una pratica del tutto incompatibile con lo Stato di diritto e con gli obblighi che incombono sull'Egitto ai sensi del diritto internazionale in materia di diritti umani. Nella stessa risoluzione si ricordava alle autorità egiziane che il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali costituisce un elemento essenziale nelle relazioni tra l'Unione europea e l'Egitto, e che lasciare spazio alla società civile è un impegno comune sancito dalle priorità del partenariato UE-Egitto, come previsto, peraltro, dalla stessa Costituzione egiziana. In tal senso, si invitavano le Istituzioni dell'Unione europea a subordinare l'ulteriore cooperazione con l'Egitto al conseguimento di progressi nelle riforme delle istituzioni democratiche, dello Stato di diritto e dei diritti umani.
  Forniti questi elementi di contesto, do ora la parola alla dottoressa Marinari, per poi passare direttamente la parola ai nostri due altri ospiti. Dottoressa, prego.

  ANNUNZIATA MARINARI, coordinatrice di campagne per Amnesty International Italia. Grazie, rubo solo un minuto per ringraziare per essere qui, oggi. Io sono particolarmente onorata di essere in questa Commissione, di essere qui con Ramy Shaath e Céline Lebrun, in modo che possano testimoniare personalmente che cosa vuol dire essere un prigioniero di coscienza in Egitto, che cosa vuol dire lottare per la libertà. Noi solo due settimane fa abbiamo diffuso il rapporto annuale di Amnesty International che fotografa la situazione dei diritti umani in Egitto. Quello che esce dalla nostra fotografia è un Paese in cui le parole «diritti umani» non hanno significato. Un Paese in cui le forze di polizia fanno ricorso sistematico alle torture, ai maltrattamenti, alle sparizioni forzate, e dove la parola accountability – assunzione di responsabilità di una violazione, di un reato – non ha alcun significato.
  Non vorrei dilungarmi oggi perché credo che sia importante dare spazio a chi queste violazioni dei diritti umani le vive in prima persona e può raccontare quanto sia stato duro affrontare novecento giorni di detenzione, sia per chi è rimasto rinchiuso in un carcere, sia per chi era in Francia a chiedere libertà. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie dottoressa, do la parola al dottor Ramy Shaath. Prego, dottor Shaath.

Pag. 5

  RAMY SHAATH, attivista e difensore dei diritti umani. Signore e signori, onorevoli membri di questo Comitato del Parlamento italiano, grazie per avermi invitato qui, sono onorato di essere qui oggi. Sono stato arrestato il 5 luglio 2019 con decine di soldati armati che hanno perquisito la mia casa, distrutto la mia proprietà, mi hanno confiscato libri, documenti, dispositivi, niente di ciò è stato registrato e niente mi è stato restituito. Questa è una procedura normale da parte delle forze di sicurezza egiziane, per cui arrivano, confiscano le vostre cose senza una base giuridica, non mostrano mai un distintivo, un tesserino, non fanno mai riferimento ad un mandato di arresto legale. Nel frattempo, hanno preso anche mia moglie Céline, che è cittadina francese, illegalmente l'hanno deportata, e lo stesso giorno mi hanno bendato, mi hanno ammanettato e mi hanno costretto ad andare in un luogo per le sparizioni forzate, un luogo di cui non sanno nulla né gli avvocati né i familiari.
  Sono stato quindi ammanettato e bendato e sono rimasto lì, in arresto, per alcuni giorni. Dopo mi hanno portato davanti al Procuratore, come ha detto la Presidente, davanti al quale mi hanno chiesto delle mie opinioni politiche, e quando mi sono arrabbiato perché non facevano riferimento ad alcuna procedura giuridica, mi hanno detto: «Sì, invece. Noi La stiamo accusando di far parte di un'organizzazione terroristica». «E qual è?». E loro hanno detto: «No, non possiamo dire il nome di questa organizzazione. In secondo luogo, ti stiamo accusando di diffondere voci, menzogne sullo Stato attraverso le piattaforme dei social media». Io ho detto: «Io sono attivista da più di vent'anni e le persone sorridono di me, perché di fatto non faccio uso dei social media e non ho neanche un account su Facebook,». Allora mi hanno detto: «Puoi dire no», io ho detto: «No», e da allora durante la mia detenzione non sono mai stato interrogato, non sono mai stato ascoltato da un Giudice, se non per una volta per quarantacinque minuti. Dopo allora, sono stato riportato nel mio primo luogo per le sparizioni forzate, dove mi hanno chiesto: «Qual è il tuo nome? Qual è il tuo numero?». Io ho detto: «No, nessuno me l'ha dato». Mi hanno detto: «No, lo devi avere perché se già qui da un po'». Ho detto: «Non ho un numero». Dopo questo scambio allora mi è stato detto: «Allora tu sei quello senza numero».
  Quando sono andato in prigione mi sono reso conto del fatto che i detenuti ricevono dei numeri e quando vanno nel luogo delle sparizioni forzate vengono ammanettati, bendati, gettati a terra, attaccati al muro per giorni, settimane, mesi, alcuni per anni. Ciascuno di loro ha un numero, questo numero è l'unico elemento di identificazione, quindi vengono disumanizzati. Lì, ogni notte, dalle nove della sera alle cinque del mattino, vengono torturati: vengono sottoposti a elettroshock, vengono umiliati in ogni modo, vengono sottoposti ad abusi sessuali. Gli interrogatori iniziano con la comunicazione del nome, viene richiesto di fornire nomi di amici su Facebook, amici in concreto, così li si può arrestare. Le torture proseguono perché gli ufficiali sono contenti, si divertono perché quello è il modo per distruggerti, ed è il modo che loro usano per trattare gli egiziani. Oggi ci sono 60 mila detenuti politici. La cifra non è verificata, non c'è un numero esatto di persone scomparse forzatamente, secondo dei parametri autorevoli. Per due anni e mezzo sono stato in una cella di 23 metri quadri, sporca, piena di insetti, con diciotto persone, che a volte erano trentadue, quindi era davvero impossibile anche solo dormire, alcuni rimanevano in piedi, gli uni accanto agli altri, e si dormiva a turno. Il bagno era di 1,75 metri quadrati, con un buco sul pavimento e lì a turno si andava.
  Potrei continuare dicendo della mancanza di assistenza sanitaria, sette persone sono morte di COVID, perché non ci hanno mai fatto un test, non ci hanno mai vaccinati, non abbiamo mai avuto mascherine. È illegale per il COVID, e gli ufficiali quando ci lamentavamo dicevano: «No, non è vero, state mentendo». Ma noi dicevamo: «No, nessuno ci testa quindi si muore di COVID». Vi potrei parlare delle migliaia di Pag. 6persone che ho visto, che sono state arrestate, attivisti, membri di partito, giornalisti, avvocati, anche ordinari cittadini egiziani, che non avevano fatto nulla. Centinaia di persone gettate in prigione, torturate perché semplicemente erano state fermate da un ufficiale per strada, era stato requisito loro il telefonino, era stato controllato l'account di Facebook, dove magari c'era un commento o una vignetta, o una storia, o una barzelletta che veniva considerata un capo d'accusa.
  C'è una lunga lista di persone incluse nella lista dei terroristi, con un mix di accuse, avvocati, attivisti, Patrick Zaki, tante altre persone. Una settimana fa abbiamo sentito di un nostro amico, Ayman Hadhoud, membro di un partito politico, ricercatore, economista, arrestato due mesi fa. Tutti noi siamo stati costretti a restare in silenzio perché ci è stato detto: «State in silenzio, così le autorità lo rilasciano», ma non è stato così.
  Poi ci sono le torture, penso anche a Giulio Regeni. Sono fortunato perché dopo due anni e mezzo di abusi sono sopravvissuto e sono riuscito a uscire, ma altri non ce l'hanno fatta. Questo ci lega direttamente al caso Regeni, un caso molto importante per porre fine all'impunità degli ufficiali egiziani, del sistema di sicurezza, che continua a torturare e uccidere le persone sistematicamente. Il caso di Giulio Regeni; non possiamo aderire allo slogan «Verità e giustizia» se il Governo italiano riapre l'Ambasciata in Egitto, e continua a vendere armi, continua a sostenere un regime che tortura e uccide le persone in modo disumano. Non possiamo continuare a formare e ad addestrare gli ufficiali delle forze di sicurezza egiziane. Quelli sono gli stessi uccisori che torturano e uccidono ovunque. Non possiamo dare legittimità a questo regime e poi stendere un tappeto rosso, e continuare a fargli fare questo, se vogliamo consegnare alla giustizia quegli ufficiali e risolvere il caso Regeni. Bisogna agire contro lo Stato egiziano attraverso un Tribunale internazionale, non attraverso un sistema nazionale come quello italiano.
  Con il vostro sostegno, con il vostro aiuto Patrick Zaki è stato rilasciato, ma da quando è stato rilasciato tutti hanno smesso di parlare di Patrick, per cui è ostaggio in Egitto. Oggi quel caso viene utilizzato per cercare di esercitare pressione su di voi e chiudere il caso Regeni. Quindi utilizzano le persone come pedine, come ostaggi per avere favori dai governi e dai parlamenti. Dobbiamo porre fine a tutto questo, non possiamo consentire loro di beneficiare, di consentire ancora gli arresti arbitrari. Dobbiamo riavere indietro Zaki, ma Zaki non è l'unico, è uno di 60 mila detenuti politici egiziani.
  Onorevoli parlamentari, ci sono state dette bugie, è stato detto che quello che c'è in Egitto è stabilità, ma non c'è stabilità in Egitto. Non c'è stabilità, economia, con corruzione e dittatura, non c'è stabilità dove si violano i diritti umani e si commettono torture. Questo è sbagliato, è un'illusione, le cose vanno male in Egitto, e c'è mancanza di sicurezza quindi anche per l'Europa. Aumentano i flussi migratori verso l'Italia; aumenta l'estremismo. Io l'ho visto crescere nelle celle a causa dell'ingiustizia e ciò porta all'aumento del terrorismo. Solo ieri l'Europa ha annunciato la co-presidenza insieme all'Egitto di una vuota piattaforma globale antiterrorismo. Le 60 mila persone che sono annoverate nella lista dei terroristi, che sono avversari politici e attivisti, giornalisti, avvocati, sono i terroristi che il Governo sta combattendo. E quel Governo con cui voi continuate ad operare è un Governo che continua a commettere crimini contro quelle persone.
  Dobbiamo porre fine a tutto questo. Signore e signori, vi chiedo di non restare in silenzio, l'unico modo per agire con l'Egitto è farsi sentire. Io sono stato rilasciato solo per la campagna pubblica lanciata da mia moglie, che ha radunato persone contro la continuazione delle detenzioni illegali, e lo stesso è accaduto con Patrick Zaki. Ma non possiamo continuare a fare tutto questo, dobbiamo rompere questa volontà. Tra pochi mesi il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite si riunirà di nuovo, dobbiamo garantire che ci sia un sistema di monitoraggioPag. 7 dell'Egitto. Ma non possiamo consentire che solo una volta all'anno si parli di quello che accade in Egitto con una risoluzione. I vostri Governi hanno potere, avete la possibilità di rilasciare dichiarazioni, comunicati. Potete agire, questo è il modo per porre fine alla situazione in Egitto. Il prossimo novembre ci sarà la COP 27 (Conference of Parties), mi chiedo come tutti possano partecipare alla COP 27 in Egitto? Consentiremo a migliaia di europei di andare a manifestare in Egitto? Consentiremo a migliaia di europei di andare lì e rischiare di essere arrestati e torturati? Oppure vogliamo dire all'Egitto di non arrestare gli europei né gli egiziani quando manifestano? Come possiamo accettare di partecipare alla COP 27?
  Quindi vi chiedo, tenete vivo e aperto il caso Regeni. Questo è il modo che abbiamo per porre fine all'impunità, per poter tirare fuori dalle prigioni le persone, per poter dare sicurezza alle persone che ogni giorno subiscono abusi. Sentiamo sempre più notizie della prosecuzione degli abusi nelle celle, c'è un reiterarsi della situazione. Oggi, nella stessa cella da trentadue persone, ce ne sono settanta, altrove ce ne sono cinquanta. In ogni cella si commettono assassinii, torture, abusi. Siamo in Medio Oriente, dove vediamo la dualità della dittatura in un Paese arabo e dell'occupazione di Israele. Non possiamo più attuare questo dualismo, questa dualità. Noi non possiamo essere complici dei dittatori. Pensiamo a quello che succede oggi in Ucraina ad opera della Russia, non possiamo far continuare l'attività di un dittatore con l'avallo dell'Italia, dell'Europa. Dobbiamo porre fine a tutto questo adesso, per la nostra sicurezza a lungo termine ed evitare che le dittature vadano anche in altri Paesi. Non possiamo continuare felicemente a vendere armi, trascurando la situazione oggettiva, quella dell'abuso dei diritti umani, della sicurezza a lungo termine.
  Signore e signori, il regime tortura l'Egitto di oggi ma sta uccidendo il futuro dell'Egitto. Bisogna investire nel futuro dell'Egitto, nella sicurezza dell'Egitto e del Mediterraneo. Questo ci darà stabilità a lungo termine, grazie.

  PRESIDENTE. Grazie molte, dottor Shaath, per quello che ci ha detto, per la forza con cui ce lo ha detto, per la denuncia che ha voluto fare in questo Comitato diritti umani. Prendiamo atto della sua richiesta, poi avremo modo di aprire il dibattito. Adesso io darei la parola alla dottoressa Céline Lebrun.

  CÉLINE LEBRUN, attivista e difensora dei diritti umani. Buongiorno onorevoli membri del Parlamento italiano. Per prima cosa, voglio dire quanto sono felice di essere qui oggi con mio marito seduto vicino a me, dopo aver combattuto per oltre due anni e mezzo da sola. Circa sei mesi fa ero in un'audizione di fronte al Senato italiano e Ramy era ancora in prigione, quindi è una grandissima gioia essere qui oggi con lui, anche se le parole di Ramy ci ricordano quanto resta ancora da fare. Io voglio dedicare un pensiero a Ayman Hadhoud e a tutti coloro che ancora sono in Egitto, sono tenuti ostaggi o sono morti.
  La liberazione di Ramy ha comportato un prezzo molto elevato. Per due anni e mezzo ho dovuto impegnarmi ogni giorno, dal momento del risveglio fino a tarda notte. Ogni giorno mi chiedevo: «Oggi cosa posso fare per far tornare a casa Ramy?». In questa lotta non sono stata sola, ho avuto la fortuna di incontrare delle straordinarie ong, Amnesty International, la Federazione internazionale per i diritti umani e molte altre ong, che hanno sostenuto la mia lotta. Ho bussato a tante porte, ho iniziato da tutti i parlamentari francesi che ho potuto incontrare, ma non mi sono fermata lì. Sono stata al Congresso americano, al Parlamento europeo, questo forse è l'insegnamento fondamentale che vorrei condividere con questo Comitato, perché so quanto questo Comitato si sia impegnato per Zaki, per Regeni, per i prigionieri politici in Egitto.
  È importante sicuramente essere promotori di iniziative, ma anche sostenere iniziative avviate in altri Paesi, quindi avere iniziative parlamentari congiunte in Paesi Pag. 8alleati è fondamentale. Ad esempio, nel novembre del 2020 abbiamo avuto oltre trecento parlamentari francesi, europei, italiani e anche americani che hanno inviato una lettera comune, a firma congiunta, ad Al-Sisi. Quindi mobilitare i parlamentari è stato fondamentale per poter esercitare anche pressioni sul Governo francese, non soltanto sul Governo egiziano, ma per indurre il Governo francese a sollevare e a porre la questione ai livelli più elevati, perché le autorità egiziane in realtà contano sul fatto che ci si stanchi. Non dobbiamo mai stancarci, dobbiamo continuare a combattere, ma non soltanto continuare, ma fare sempre più risonanza, più rumore, affinché ogni nuova azione, ogni nuova iniziativa abbia più risonanza di quella precedente e affinché le autorità egiziane si rendano conto che quanto più attendono, tanto peggio per loro.
  Hanno danneggiato i rapporti con la Francia e i rapporti con l'Europa. Dobbiamo continuare. Ramy è stato liberato, questo non significa che noi dobbiamo porre fine ai nostri sforzi, perché Ramy è uscito dal carcere, ma dire che è veramente libero non lo possiamo affermare. Dobbiamo quindi continuare a parlare con una voce forte ed essere anche un pochino più incisivi, perché sì, ho visto l'impegno diplomatico, ma un impegno diplomatico senza denti, una diplomazia priva di denti con l'Egitto non serve a molto. Gli egiziani magari alzano la voce, si rivelano brutali, si mostrano esasperati, non bisogna cedere a questo tipo di comportamenti. Dobbiamo continuare a difendere la nostra causa. Il Presidente francese Macron, purtroppo, ha ricevuto Al-Sisi in una visita di Stato senza aver ottenuto la liberazione di mio marito, e addirittura c'è stata una conferenza stampa in cui ha citato il nome di Ramy. Ha citato anche tutti i prigionieri politici, ma al tempo stesso ha detto – nella stessa frase – che il rapporto strategico tra Francia ed Egitto non sarebbe stato subordinato ai diritti umani. Quindi da un lato fai vedere i denti, però al tempo stesso fai capire che non mordiamo. Dobbiamo essere coerenti e la condizionalità deve essere un orientamento strategico fondamentale nell'interagire con un regime di questo tipo.
  Abbiamo combattuto, abbiamo lottato anche nell'aprile del 2021, l'ambasciata egiziana mi ha detto: «Aspetta qualche settimana e faremo uscire Ramy, aspetta qualche settimana. Sii paziente, ci stiamo lavorando». Io ho detto all'ambasciatore egiziano che io non avevo una settimana da aspettare. Mia madre stava morendo e purtroppo è morta senza aver potuto rincontrare Ramy. Abbiamo dovuto aspettare oltre nove mesi prima della liberazione di Ramy e abbiamo dovuto continuare a combattere. Qualche mese dopo abbiamo raccolto 100 mila firme in tutto il mondo, organizzato manifestazioni contemporanee in diverse capitali nel giugno del 2021, e alla fine sono state queste manifestazioni, tutte queste iniziative a spingere le autorità egiziane finalmente a negoziare seriamente, e liberare Ramy. Abbiamo dovuto combattere fino all'ultimo momento, ci sono alcune cose che non posso raccontare in questa sede, ma abbiamo dovuto veramente lottare fino all'ultimo minuto.
  Quindi rimanere fermi e continuare a spingere sempre senza abbassare la guardia. Gli egiziani cercano sempre di prendere tempo, noi dobbiamo invece utilizzare quel tempo a nostro favore, facendo crescere la mobilitazione. Dobbiamo porre fine all'impunità affinché non ci siano più altri Regeni in Egitto, altri Hadhoud, altre persone prese in ostaggio come Patrick. Ci sono tante persone che vengono prese come ostaggi e dobbiamo parlare a voce alta per i 60 mila prigionieri. La città di Olbia ha 60 mila abitanti, tutti in prigione. Non è un numero astratto, dobbiamo combattere per i valori ma anche per gli interessi, come ha detto Ramy, perché se noi riteniamo che sostenere l'attuale regime egiziano sia sostenere la stabilità, questa è una visione molto miope per gli interessi europei nel Mediterraneo. Ramy ha parlato anche di quello che avviene in Ucraina. Ogni volta che diamo spazio a un dittatore, addestrando la sua polizia, dandogli delle armi o dandogli Pag. 9anche la gratificazione di ospitare la COP 27, significa firmare un assegno in bianco, non soltanto a quel dittatore specifico, ma a tutti i dittatori in tutto il mondo. La nostra arma più forte sono i diritti umani e il diritto internazionale, di fronte ai prepotenti ci sono queste tre «C». C'è un difensore dei diritti umani che è in esilio negli Stati Uniti il cui padre è tenuto in ostaggio dalle autorità egiziane, prima cinque cugini erano tenuti in ostaggio. Le tre «C» sono: coraggio, coerenza e consequenzialità. Io vi chiedo di avere il coraggio politico, il coraggio morale di fare quello che è necessario di fronte alla prepotenza e all'arroganza, di spingere il vostro Governo a far pagare conseguenze al regime, di essere coerenti. Grazie.

  PRESIDENTE. Molte grazie per averci dato questi elementi di riflessione sull'importanza delle campagne di mobilitazione, su come può funzionare una cordata tra la società civile, le associazioni, i parlamentari e i Governi, per ottenere risultati importanti.
  Io adesso chiederei ai colleghi che sono qui presenti se intendono fare delle domande, in modo da poter avere elementi aggiuntivi rispetto a quanto già avete avuto la possibilità di dirci. Qualcuno intende intervenire? Ecco, il collega Palazzotto, che ha anche presieduto una Commissione d'inchiesta sul caso Regeni, e che su questo caso si è molto speso. La Commissione d'inchiesta ha anche fatto delle conclusioni molto chiare ed eloquenti, ma purtroppo non abbiamo ancora riscontri da parte delle autorità giudiziarie egiziane in merito al caso Regeni, ma lui saprà dirvi meglio. Prego, onorevole Palazzotto.

  ERASMO PALAZZOTTO. Grazie Presidente. Ringrazio per questa occasione ulteriore di ricevere informazioni, report, racconti di casi di sparizioni forzate e torture, violazioni dei diritti umani e crimini commessi dal regime egiziano, che ci riportano in questo momento a delle valutazioni di carattere politico più generale che noi dovremmo approfondire, e che riguardano più in generale il modo in cui – non solo il nostro Paese, ma oggi l'Europa e i Paesi occidentali – costruiscono le relazioni bilaterali con Paesi e autocrazie e dittature di questa natura.
  È un tema che oggi è molto attuale in relazione alla crisi ucraina e che ci pone davanti anche alle responsabilità, agli errori che abbiamo fatto nel sottovalutare la pericolosità di regimi autoritari di questa natura, e nel sottovalutare l'idea che quelle violazioni dei diritti umani e le repressioni delle libertà civili, che avvengono in Paesi a noi vicini, e in Paesi con cui spesso costruiamo delle partnership, non ci riguardino direttamente, cosa che invece oggi si sta dimostrando errata. Quindi il deteriorarsi della condizione dei diritti umani in Egitto – che purtroppo ha colpito duramente questo Paese, come nel caso nella vicenda di Giulio Regeni, che appunto è stato anch'egli vittima di un sistema di repressione randomico, che ha superato anche il limite e il tabù di una violazione dei diritti umani che coinvolgesse direttamente un cittadino occidentale, cosa che fino a quel momento non si era mai verificata in questi termini così brutali in Paesi come l'Egitto – ci pone davanti ad una riflessione che riguarda la sicurezza, non solo dei nostri cittadini, ma la sicurezza intesa complessivamente.
  Siccome le partnership sulla sicurezza con Paesi come Egitto, Arabia Saudita, Turchia sono uno dei temi, dei pilastri su cui si costruisce una realpolitik che è legata al fatto di essere più accondiscendenti, o comunque ad avere giudizi più teneri o ad ignorare il livello di repressione che in quei Paesi arriva, dovremmo porci il tema che la sicurezza si costruisce attraverso i diritti e attraverso la sicurezza di tutti. È impossibile mantenerla solo all'interno dei nostri confini se non ci occupiamo di costruire un mondo dove quei valori e quei principi, che sono fondativi della nostra società, si evolvono e si espandono anche in altri Paesi. Questa è la sfida che abbiamo davanti a noi. Purtroppo, le notizie che sono arrivate ieri dall'udienza per il processo di Giulio Regeni ci confermano che, allo stato attuale, non c'è un'assunzione di consapevolezzaPag. 10 da parte egiziana della necessità di cooperare alla giustizia, non c'è nemmeno un'assunzione di consapevolezza da parte del nostro Governo del cambio di passo che è necessario per ottenere questo risultato, che rappresenterebbe anche sul piano simbolico generale un segnale che il nostro Paese e l'Europa devono dare rispetto a questi temi. Grazie.

  PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Palazzotto. Onorevole Formentini, prego.

  PAOLO FORMENTINI. Buongiorno, innanzitutto. Io purtroppo non sapevo chi avremmo audito, come non lo sapeva nessun membro della Commissione, nemmeno il Presidente, e quindi scusate le mie parole, ma parte delle ragioni del mio intervento sono dovute proprio a questo, che sarà una questione che chiariremo a livello di Ufficio di presidenza, però è giusto stigmatizzarlo fin da ora. Io umanamente capisco il dramma vissuto, la prigione e tutto ciò che ci è stato descritto, un dramma umano. Però, scorrendo velocemente Wikipedia, mentre Lei parlava, leggendo qualche informazione, ho visto che Lei rappresenta in Egitto il movimento BDS (Boycott, Divestment and Sanctions), che io condanno con forza, in quanto è un movimento che ha caratteristiche, spesso evocate, di antisemitismo.
  E quindi Le chiederei, come vede Lei l'esistenza di Israele, visto che tutti noi qui ci battiamo per il diritto di esistere di Israele? E Le chiederei anche una condanna delle violenze di Hamas, nonché cosa pensa degli Accordi di Abramo. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Approfitto per fare delle considerazioni. La denuncia che è stata fatta rispetto alle condizioni di detenzione è molto forte, chiaramente contraria al rispetto dei diritti umani. È vero che dobbiamo tener presente che è una condizione che riguarda 60 mila persone, e dunque non solo casi sporadici, il che significa che c'è un problema sistemico enorme. Un regime che arresta persone solo perché hanno una posizione politica diversa, perché le loro idee vengono considerate una minaccia e quindi vengono etichettate come terroristi. Questo, chiaramente, è contro la libertà di espressione, contro il pluralismo delle idee. Quindi capisco il fatto che voi diciate che ci deve essere da parte dei Paesi europei, dell'Italia, un'azione più incisiva verso il Governo egiziano e anche più coerente, perché altrimenti le proteste che noi possiamo fare non vengono prese seriamente. Se i rapporti commerciali si normalizzano, se non c'è un cambio di rotta del Paese, è chiaro che la nostra azione rimane assolutamente irrilevante dal punto di vista del rispetto di quei diritti che vengono violati.
  Volevo capire, riguardo al silenzio, voi che impressione avete circa questa attitudine che viene spesso evocata? È meglio non far sapere? È meglio tenere confidenziale? È meglio non irritare il Governo per riuscire ad ottenere dei risultati? C'è chi pensa questo, che bisogna avere buoni rapporti con il Governo al fine di ottenere dei risultati che possono andare a vantaggio di alcuni casi in sospeso. Volevo sapere se, secondo voi, il silenzio è una strategia che aiuta o se invece è controproducente rispetto alla condizione di chi si trova in detenzione, e di chi si trova nelle mani del regime.

  RAMY SHAATH, attivista e difensore dei diritti umani. Parto dalla domanda che mi è stata rivolta. Sono il fondatore del movimento BDS in Egitto. Io sono anche un sostenitore e un difensore dei diritti umani. Per me parlare chiaramente di crimini contro l'umanità, che siano commessi da un regime dittatoriale come quello dell'Egitto o da un regime di occupazione, che pratica l'apartheid, per me è lo stesso. Io applico resistenza pacifica a qualunque atrocità contro i diritti umani, per me sono la stessa causa, la stessa cosa. Personalmente ho fatto parte dei negoziati con Israele nel 1994, ma poiché Israele non ha voluto una soluzione per la Palestina e quindi non ci sono stati risultati, ho scelto mezzi pacifici, come il sostenere i diritti umani in Palestina. Questo fa parte della tristezza del Medio Pag. 11Oriente. È la dualità tra occupazione e dittatura che deve finire.
  La Sua domanda è molto importante, perché purtroppo tanti politici in Europa credono, e questo a causa della pressione esercitata dalle autorità egiziane, che restare in silenzio sia un modo per porre fine alla situazione. La situazione va avanti da tanti anni e non fa che crescere il numero delle persone detenute in cella, il numero di persone detenute e arrestate arbitrariamente, detenute per motivi politici. Peggiorano le condizioni di vita nelle celle, peggiorano le torture. La scorsa settimana è stato ritrovato il corpo di Ayman Hadhoud. Gli ultimi anni dimostrano che solo azioni accurate possono rendere responsabili le autorità egiziane, che devono essere chiamate a rispondere delle loro azioni. L'Italia fa parte di un certo consesso politico, ma d'altra parte l'Europa, attraverso le Nazioni Unite, fa parte di un consesso più grande. Tutti devono chiamare l'Egitto a rispondere delle sue atrocità. Ho sostenuto la stessa causa con i francesi e hanno risposto: «Dobbiamo coordinarci di più con gli europei». Non credo che siano le ong o i difensori dei diritti umani che possano risolvere la situazione, ma sicuramente si possono unire le forze, si può agire in sede di Nazioni Unite, in sede di Consiglio per i diritti umani.
  Sicuramente, per quanto riguarda il caso di Giulio Regeni e di Patrick Zaki, l'Italia ha chiesto all'Egitto di render conto delle proprie azioni, ma tanto si può fare a livello multilaterale con altri attori. Sicuramente la campagna dichiarata che mia moglie ha organizzato per me, mi ha consentito di avere sicurezza in cella. Sono una delle rare persone che non è stata torturata, sono stato gettato in una cella, ammanettato, bendato ma basta. In un certo senso mi considero un vip per questo, proprio per la campagna forte condotta da mia moglie. Questo ha portato al mio rilascio. Chi resta in silenzio continua a marcire in prigione, dobbiamo farli uscire.

  CÉLINE LEBRUN, attivista e difensora dei diritti umani. Grazie, se posso intervenire. Ho voluto condividere la nostra esperienza perché è una scelta difficile quella che una famiglia deve affrontare quando qualcuno viene preso, non si sa dov'è e dove viene detenuto. La famiglia si chiede: dobbiamo parlare, dobbiamo agire silenziosamente con una diplomazia silente, o dobbiamo farci sentire? E questa è la prima scelta difficile da parte delle famiglie, soprattutto pensando, nel caso di Ramy, a chi era suo padre, un autorevole diplomatico palestinese. Quindi abbiamo cercato la diplomazia privata come primo mezzo. Per sei settimane le autorità egiziane ci dicevano: «La prossima settimana uscirà. Aspettate questa settimana, aspettate ancora qualche giorno». E poi sono passate sei settimane, fino a quando non abbiamo capito che non sarebbe accaduto nulla. Abbiamo avviato, quindi, la nostra campagna, ed è questo che mi ha consentito di far uscire Ramy, non posso che essere d'accordo con quello che Ramy ha appena detto.

  PRESIDENTE. Posso chiederLe se i parlamentari che hanno collaborato a questa campagna erano solo francesi o anche di altri Paesi?

  CÉLINE LEBRUN, attivista e difensora dei diritti umani. Nei due anni e mezzo abbiamo ottenuto e raccolto il sostegno di più di centoventi parlamentari francesi, a livello trasversale. Il sostegno è stato guidato per lo più dal partito di maggioranza presidenziale, ma abbiamo raccolto anche il sostegno del Congresso – Senato e Camera dei rappresentanti – di più di duecento parlamentari del Parlamento europeo, e dei membri di altri Parlamenti europei. Quindi credo che ci sia un forte interesse, si è lavorato molto a livelli diversi, e credo che costruire ponti possa essere un modo per farsi sentire in modo poderoso. Lo scorso anno c'è stata una dichiarazione di trentuno Paesi al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, molti dei quali erano alleati tradizionali dell'Egitto, che hanno condannato la situazione in Egitto. Abbiamo creato un movimento globale, che ha consentito il rilascio di molti attivisti di alto profilo come Ramy, ma ce ne sono stati altri. È importante, quindi, continuare queste azioni.

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  PRESIDENTE. Grazie molte. È veramente molto interessante capire, anche per noi, come questa mobilitazione di membri del Parlamento, società civile e Governo sia riuscita ad avere buoni risultati. Io mi complimento, faccio i migliori auguri. Continuate quest'azione di pressione sui Parlamenti per riuscire a fare in modo che la situazione di 60 mila persone possa veramente cambiare, perché non è accettabile che queste persone vivano detenute solo per avere idee politiche diverse da quelle del regime. Vi ringrazio. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.30.

Gli interventi in lingua straniera sono tradotti a cura degli interpreti della Camera dei deputati.