XVIII Legislatura

III Commissione

COMITATO PERMANENTE SUI DIRITTI UMANI NEL MONDO

Resoconto stenografico



Seduta n. 41 di Giovedì 18 novembre 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Boldrini Laura , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'IMPEGNO DELL'ITALIA NELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE PER LA PROMOZIONE E TUTELA DEI DIRITTI UMANI E CONTRO LE DISCRIMINAZIONI

Audizione di Carine Kanimba, figlia di Paul Rusesabagina, ed ulteriori difensori dei diritti umani in Rwanda.
Boldrini Laura , Presidente ... 3 
Kanimba Carine , figlia di Paul Rusesabagina ... 4 
Boldrini Laura , Presidente ... 6 
Lurquin Vincent , fondatore del ... 6 
Boldrini Laura , Presidente ... 8 
Quartapelle Procopio Lia (PD)  ... 8 
Boldrini Laura , Presidente ... 9 
Formentini Paolo (LEGA)  ... 9 
Boldrini Laura , Presidente ... 9

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Coraggio Italia: CI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Alternativa: Misto-A;
Misto-MAIE-PSI-Facciamoeco: Misto-MAIE-PSI-FE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Rinascimento ADC: Misto-NcI-USEI-R-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Azione-+Europa-Radicali Italiani: Misto-A-+E-RI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
LAURA BOLDRINI

  La seduta comincia alle 9.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
  L'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto delle deputate e dei deputati, secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento nella riunione del 4 novembre 2020.

Audizione di Carine Kanimba, figlia di Paul Rusesabagina, ed ulteriori difensori dei diritti umani in Rwanda.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'impegno dell'Italia nella comunità internazionale per la promozione e tutela dei diritti umani e contro le discriminazioni, l'audizione di Carine Kanimba, figlia di Paul Rusesabagina, e di ulteriori difensori dei diritti umani in Rwanda.
  Anche a nome dei componenti del Comitato, saluto e ringrazio per la disponibilità a prendere parte ai nostri lavori la dottoressa Carine Kanimba, che è qui alla mia destra, e l'avvocato a Vincent Lurquin, rappresentante legale delle vittime del genocidio di fronte al Tribunale penale internazionale per il Rwanda nonché fondatore del Citizen Network, organizzazione che mira a rafforzare lo Stato di diritto in Paesi come Rwanda, Haiti e Repubblica Democratica del Congo.
  Per inquadrare il contesto dell'audizione odierna, segnalo che Paul Rusesabagina, leader in esilio del Movimento ruandese per il cambiamento democratico, divenuto celebre per aver salvato centinaia di persone dal genocidio in Rwanda e aver ispirato il protagonista del film Hotel Rwanda e premiato, tra l'altro, con la medaglia presidenziale della libertà degli Stati Uniti nel 2005, è stato arrestato a Kigali dal regime del presidente Kagame il 31 agosto 2020, con l'accusa di essere fondatore, leader e sponsor di diversi gruppi terroristici attivi in Rwanda e all'estero, in particolare in quanto responsabile delle attività attribuite al Movimento ruandese per il cambiamento democratico/Fronte di liberazione nazionale, che sarebbe una coalizione di partiti politici dell'opposizione e la sua ala militare.
  Il 29 settembre 2021 Rusesabagina è stato dichiarato colpevole e condannato a venticinque anni di reclusione dalla sezione per i crimini internazionali e transfrontalieri della Corte suprema del Rwanda.
  Occorre evidenziare che l'arresto di Rusesabagina è stato arbitrario ed eseguito con l'inganno e ha comportato la sparizione forzata e la detenzione in isolamento senza che fosse emesso alcun mandato per il suo arresto, conformemente ai requisiti richiesti dal codice di procedura penale ruandese del 2019.
  Tra le altre cose, Paul Rusesabagina – che non ha potuto scegliere il gruppo di avvocati che inizialmente lo rappresentava, mentre agli avvocati di sua scelta è stato impedito di incontrarlo –, presenta condizioni di salute estremamente preoccupanti, in quanto è sopravvissuto al tumore e soffre di un disturbo cardiovascolare.Pag. 4
  La sua drammatica vicenda personale si inserisce in un quadro complessivo di inquietanti violazioni delle libertà fondamentali e dei più basilari princìpi dello Stato di diritto, incluso l'utilizzo indiscriminato da parte delle autorità ruandesi dello spyware Pegasus per prendere di mira potenzialmente più di 3.500 attivisti, giornalisti e politici, tra cui anche la nostra ospite Carine Kanimba, figlia di Paul Rusesabagina.
  Sulla base di queste premesse il Parlamento europeo si è espresso con due risoluzioni approvate, rispettivamente, l'11 febbraio e il 7 ottobre 2021. In particolare, nell'ultima – approvata a larghissima maggioranza con 660 voti favorevoli – si rammenta al Governo ruandese l'obbligo di garantire i diritti fondamentali, incluso l'accesso alla giustizia, e il diritto ad un equo processo e si condanna fermamente, peraltro, l'arresto, la detenzione e la condanna illegali di Paul Rusesabagina, in palese violazione del diritto internazionale e del diritto ruandese, dal momento che non è stato garantito un processo equo, in linea con la prassi internazionale in materia di rappresentanza, diritto di essere ascoltati e presunzione di innocenza.
  Sulla scorta di queste considerazioni, si chiede il rilascio immediato di Paul Rusesabagina per motivi umanitari e il suo rimpatrio, senza pregiudizio della sua colpevolezza o innocenza.
  In via più generale, nella risoluzione il Parlamento europeo deplora la situazione generale dei diritti umani in Rwanda e in particolare la persecuzione mirata delle voci dissenzienti. Condanna, inoltre, la natura politica dei provvedimenti giudiziari a carico degli oppositori politici, esortando le autorità ruandesi a garantire la separazione dei poteri, in particolare l'indipendenza della magistratura.
  Ricordo altresì che il 26 ottobre scorso, in esito alla riunione ministeriale Unione europea-Unione africana, che si è svolta proprio in Rwanda, a Kigali, i Ministri hanno rinnovato il loro impegno per una politica volta a rafforzare la democrazia e il buon governo, che promuova lo Stato di diritto e i diritti umani, comprese le libertà fondamentali, l'uguaglianza di genere e il diritto allo sviluppo.
  Sarebbe opportuno che anche in sede europea ci si adoperasse per evitare che tali impegni rimangano vuote enunciazioni di princìpi e si traducano invece in azioni di pressione volte a garantire una adeguata compliance dei partner africani agli standard internazionali in materia di diritti umani.
  Forniti questi elementi di contesto, sono lieta di dare la parola alla dottoressa Carine Kanimba, affinché svolga il Suo intervento. Prego, dottoressa.

  CARINE KANIMBA, figlia di Paul Rusesabagina. Grazie mille, presidente. Grazie al Parlamento e agli onorevoli deputati per averci accolto qui oggi. Il mio nome è Carine Kanimba e sono una delle figlie di Paul Rusesabagina.
  Mio padre è un eroe, non solo per me che sono sua figlia, ma anche per milioni di persone in tutto il mondo. Durante il genocidio ha salvato le vite di oltre 1.200 persone, tenendole al sicuro nell'hotel, ha rischiato ogni giorno la sua vita durante il genocidio per tenere tutti al sicuro. Intanto in Rwanda molte persone venivano uccise a causa della loro etnia, ma mio padre non vedeva differenze nelle persone che proteggeva: dava rifugio a innocenti Tutsi ma anche Hutu. Nessun rifugiato dell'hotel è stato ucciso e il suo coraggio è stato poi dipinto nel film Hotel Rwanda. Lui è noto come lo «Schindler africano».
  Sono una delle sue figlie, ma non sono sua figlia biologica: sono stata adottata. Ha adottato me e mia sorella, perché entrambi i nostri genitori biologici sono stati uccisi durante il genocidio. Ci ha cercate dopo il genocidio perché aveva saputo che eravamo ancora in vita. Ci ha cercate ovunque e poi ci ha trovato, ci ha accolto e ci ha allevato come se fossimo sue figlie. Ci ha dato l'amore paterno che ogni bambino sogna.
  Il film Hotel Rwanda è uscito nel 2004 e Don Cheadle interpretava il ruolo di mio padre. Questo ha dato a mio padre una risonanza internazionale, una piattaforma che lui ha utilizzato per richiamare l'attenzione sulle lezioni del genocidio, affinchéPag. 5 non accada mai più in nessun luogo del mondo; ma mio padre ha usato questa attenzione anche per far luce sugli abusi dei diritti umani commessi dai governi ruandesi.
  Molte persone sono messe a tacere oggi in Rwanda, persone innocenti e giornalisti vanno in prigione soltanto per aver parlato. Persone scompaiono e vengono uccise proprio perché si oppongono alle ingiustizie. Queste sono le vittime che adesso non hanno più voce. Mio padre è diventato la loro voce e ha chiesto al mondo di non chiudere gli occhi di fronte alla loro sofferenza; ha viaggiato in tutto il mondo, ha parlato in conferenze, università, ma anche presso Governi, Parlamenti e organizzazioni su questi problemi.
  Comunque, essere un difensore dei diritti umani e opporsi a una dittatura ha un costo. Il Governo ruandese non ha apprezzato questa attenzione negativa sul Ruanda. Per questo lo hanno ricercato ovunque, hanno tentato più volte di ucciderlo, hanno fatto irruzione nella nostra casa in Belgio diverse volte, lo hanno seguito durante le conferenze per intimidirlo e molestarlo. Mio padre aveva paura per noi e per questo ci ha mandato negli Stati Uniti, in modo che potessimo essere al sicuro.
  Lui sapeva che stava svolgendo un lavoro molto importante e per questo ha continuato coraggiosamente a parlare. Continuando a parlare, il Governo ruandese continuava a cercare di colpirlo e ha iniziato una campagna di diffamazione, cercando di riscrivere la storia e di diffondere notizie false sul suo ruolo durante il genocidio, che era già stato riconosciuto da milioni di persone al mondo. Volevano metterlo a tacere, volevano fargli perdere credibilità e fargli perdere questa piattaforma internazionale che gli consentiva di difendere le vittime senza voce della dittatura.
  La nostra famiglia è composta da Hutu e da Tutsi e il coraggio di mio padre durante il genocidio ha mostrato che non ci sono differenze etniche. Lui è il simbolo dell'unificazione del Rwanda, un simbolo di speranza, è un modello ed è un modello anche per me.
  Purtroppo questo lo ha portato ad essere rapito dal Governo ruandese nell'agosto del 2020. Infatti, è stato trascinato al di là del confine internazionale ed è stato portato in Rwanda in violazione del diritto internazionale. Poi è stato torturato, è stato tenuto bendato per giorni con la bocca e il naso coperti, è stato legato mani e piedi ed è stato tenuto in isolamento per 260 giorni, in violazione delle «regole Nelson Mandela» delle Nazioni Unite, tutte pratiche che si configurano come tortura psicologica.
  Poi il Governo ruandese ha imbastito un falso processo: hanno formulato delle accuse false e lo hanno condannato a venticinque anni di prigione. Mio padre è stato rapito, torturato, condannato e non ha mai potuto incontrare i suoi avvocati, non ha mai potuto neanche avere un pezzo di carta e una penna nella sua cella. Mio padre adesso è un prigioniero di coscienza.
  Molte persone in tutto il mondo hanno parlato in suo favore: il Governo belga, il Congresso americano, il Parlamento europeo, il Parlamento delle isole Baleari, l'Ordine degli avvocati di Barcellona, la Fondazione per la giustizia di George e Amal Clooney, la Fondazione Kennedy, l'Ordine internazionale degli avvocati, Human Rights Watch e Amnesty International. La lista potrebbe andare avanti, perché molti altri stanno chiedendo la liberazione di mio padre affinché possa tornare a casa.
  In questo mese di luglio Amnesty International ha condotto delle analisi forensi sul mio telefono e hanno scoperto che era stato infettato con il software spia Pegasus da gennaio. Questo vuol dire che il Governo ruandese mi ha seguito, ha ascoltato le mie conversazioni, ha letto le mie e-mail, i miei messaggi e tutti gli scambi con il team legale internazionale di mio padre mentre io chiedevo alla comunità internazionale di aiutarmi a salvare mio padre. Ora ho paura che quello che sta succedendo a lui possa accadere anche a me, se il Governo del Rwanda non viene chiamato a rispondere di tutto questo.
  Sto parlando anche per un uomo a cui è stata tolta la voce. Mio padre ha problemi cardiaci, è malato e non viene curato adeguatamentePag. 6 in Rwanda. C'è una seria emergenza.
  Vi chiedo oggi di aiutarmi a salvare la vita di mio padre, adottando anche una risoluzione, come quelle che sono state adottate in altri Parlamenti di tutto il mondo. Vogliamo incoraggiare un messaggio unificato che possa chiedere e fare appello per la liberazione di mio padre.
  Ho perso i miei genitori biologici durante il genocidio. Per favore, aiutateci in modo che io non perda un altro genitore.

  PRESIDENTE. La ringrazio dottoressa Kanimba per questo suo appello, che poi sarà oggetto di discussione anche con gli altri commissari. Adesso do la parola all'avvocato Vincent Lurquin. Prego, avvocato.

  VINCENT LURQUIN, fondatore del Citizen Network. Grazie, presidente. Il messaggio di Carine Rusesabagina, figlia di Paul Rusesabagina, è anche il grido di un uomo che chiede libertà, che vi ricorda la sua innocenza, e vi dice che adesso nella sua cella di Nyarugenge lo aspetta la morte e lui è solo. Quel grido proveniva da oltre il sentiero, oltre la collina e oltre i muri di quella cella. Era il grido di Paul Rusesabagina. Ero a pochi metri da lui, eppure non l'ho visto, non ho potuto stringergli la mano e dirgli che non era più solo, che questa prima visita del suo avvocato da più d'un anno ne preannunciava tante altre, come quelle della sua famiglia, delle migliaia di persone che reclamano la sua liberazione e di questa giustizia che sembra talmente estranea a quella che pure è la sua terra.
  Invece non l'ho incontrato. Io, il suo avvocato, sono stato arrestato, interrogato ed espulso dal regime, dal Direttore Generale dell'ufficio immigrazione e dai militari che mi trattenevano, ma soprattutto dalla nostra indifferenza. Hanno osato perché sapevano che il mondo avrebbe distolto lo sguardo per non vedere.
  Vi ringrazio per questo invito, per aver ascoltato questo grido e per aver capito la sofferenza e le angosce della famiglia e di coloro che si riconoscono nella battaglia di Paul Rusesabagina e si sono alzati contro il genocidio, ma di cui il regime vuole cancellare finanche l'esistenza, così come vuole cancellare la vita di Paul Rusesabagina.
  Questa vita – e ciò è importante per capire cosa succede oggi – è profondamente radicata in uno dei capitoli più oscuri della storia della nostra umanità: il genocidio ruandese.
  La presidente ha detto che è stata in Ruanda e che conosce bene il problema del genocidio ruandese. La prima volta che mi sono recato in Rwanda, nell'agosto del 1994, un mese dopo la fine del genocidio, è stata la prima volta che ho sentito pronunciare il nome di Paul Rusesabagina, il nome di un uomo che aveva salvato centinaia di persone da morte certa all'Hotel des Mille Collines. È stato un messaggio incredibile di speranza: un uomo che mettendo a repentaglio la sua vita e quella della sua famiglia aveva osato tenere testa al regime e – scommessa folle – era riuscito a salvare 1.268 vite. Era Paul Rusesabagina, diventato così il simbolo della lotta contro il genocidio, ma anche del dovere di memoria e di questa richiesta di giustizia e questo tentativo di riconciliazione. Proprio perché non poteva accettare le violazioni quotidiane dei diritti umani a cui assisteva ha dovuto lasciare il Rwanda. Le autorità belghe gli hanno riconosciuto lo status di rifugiato, ritenendo che temesse a ragione di essere perseguitato qualora fosse tornato in patria, secondo i termini della Convenzione di Ginevra, e gli hanno poi accordato la nazionalità belga.
  Oggi è prigioniero in Rwanda. Ha preso la decisione, densa di significato, di non partecipare a un processo che non è tale, perché nessuna delle regole fondamentali di uno Stato di diritto vi è stata rispettata. Il 20 settembre è stata pronunciata la sentenza: venticinque anni di reclusione, uno schiaffo ai diritti umani.
  E non siamo più gli unici a dirlo. Il giorno di questa sentenza la Ministra belga degli Affari esteri, a nome del suo Governo, ha denunciato questo processo come ingiustificabile, ingiusto e iniquo: ira delle autorità ruandesi, minacce di crisi diplomatica, incontri negati, i toni si accendono ma Pag. 7il Belgio mantiene la sua posizione, perché è giusta ed equa, perché cerca di riconciliare l'etica e la politica.
  Paul Rusesabagina però è ancora in prigione. Come siamo arrivati a questo punto? Abbiamo la prova che è stato rapito il 27 agosto 2020 a Dubai, che è stato torturato, che è stato gettato in prigione a Kigali. Nel rapimento intervengono tre attori essenziali. Il primo è colui che l'ha accompagnato sull'aereo preso a nolo per portarlo non a Bujumbura ma a Kigali. Questo pastore evangelico è stato interrogato. Abbiamo le udienze cui ha partecipato – una del 28 agosto, la stessa data del rapimento e dell'arresto –, ma abbiamo anche un'udienza di settembre: già qualche mese prima, cioè, le autorità ruandesi avevano pianificato il rapimento. Il secondo attore è il Ministro della Giustizia ruandese, che in un'intervista a Al-Jazeera ha confermato l'implicazione dello Stato ruandese nel rapimento, anche se sembra assurda, poiché ha violato tutte le regole di diritto internazionale, eppure egli ha confermato ai giornalisti che è stato il Governo ruandese a pagare il jet privato necessario per questo rapimento.
  Il terzo attore è costituito dall'insieme delle organizzazioni dei diritti umani. Lewis Mudge, Direttore per l'Africa centrale di Human Rights Watch, il giorno dopo il rapimento ha scritto: «il fatto che il Rwanda non abbia arrestato Paul Rusesabagina utilizzando procedure legali di estradizione fa pensare che le autorità non ritengano che le prove in loro possesso o le garanzie di un processo equo resisterebbero all'esame di un tribunale indipendente, il che le ha indotte a scegliere di eludere lo Stato di diritto e rapire Paul Rusesabagina.»
  Paul Rusesabagina è stato rapito e ne abbiamo la prova. Inoltre è stato torturato. Sappiamo che una volta arrivato in aeroporto è stato ammanettato, legato e ha passato tre giorni in una cella in una località ancora sconosciuta. Ha descritto le grida e i pianti di coloro che erano accanto a lui, ma che non poteva vedere, come ha descritto la visita notturna del Procuratore Generale di Kigali nel luogo dov'era incarcerato, accompagnato dal Direttore dei servizi di sicurezza. Lo hanno interrogato e sono ripartiti, in spregio al loro giuramento, lasciandolo in ceppi alla mercé dei suoi torturatori. Non potremo dire che non lo sapevamo, così come sappiamo che i diritti elementari e basilari alla difesa e alla libera scelta di un avvocato sono stati calpestati per l'intera durata del processo.
  Nel luglio 2019, su richiesta delle autorità ruandesi, un'inchiesta era stata avviata da parte di un giudice istruttore belga. È stata condotta da inquirenti belgi, da un procuratore belga, e riguardava un imputato in possesso della sola nazionalità belga. Come mai, allora, il suo avvocato belga non può, nell'ambito di questo procedimento, incontrare Paul nella sua cella ruandese? Nell'ottobre 2020 ciò mi è stato negato, e nell'agosto 2021 io sono stato arrestato, interrogato ed espulso.
  Oggi quello che chiediamo non è l'impunità per Paul Rusesabagina, che vuole essere giudicato per poter provare la sua innocenza e dimostrare l'infondatezza delle accuse formulate contro di lui, ma questo in un Paese che rispetti i diritti elementari della giustizia. Il rapimento di cui è stato vittima toglie qualunque credibilità a tutta la parodia di processo che è stata portata avanti a Kigali, ma se il vostro ruolo è così importante oggi è perché Paul Rusesabagina è ancora rinchiuso nella sua cella di Nyarugenge, non ha ancora accesso alla sua difesa, ha sessantasette anni ed è condannato a venticinque anni di detenzione.
  Oggi vorrei ringraziarvi per il vostro invito, perché significa che alcuni sono ancora così pazzi da credere che la giustizia sia qualcosa in più di un'istituzione e che sia qualcosa di universale e che se restano ancora chiuse delle porte, tocca a noi forzarle e aprirle.
  Da un anno e mezzo noi chiediamo il trasferimento di Paul Rusesabagina in Belgio. Esiste la giurisprudenza, il Governo e le autorità giudiziarie si dicono pronte, ma ancora non si muove niente. Tuttavia, è urgente liberare Paul Rusesabagina per restituirgli i suoi diritti, per restituirgli la parola e per restituirgli la giustizia. Vi ringrazio.

Pag. 8

  PRESIDENTE. Molte grazie, avvocato, per averci anche dato il quadro giuridico e procedurale. Vorrei anche ringraziare l'avvocato Francesco Caia che è coordinatore della Commissione diritti umani del Consiglio nazionale forense (CNF) e l'avvocato Roberto Giovene di Girasole, che è componente della Commissione diritti umani del medesimo Consiglio nazionale forense, per aver partecipato e aver promosso questa audizione, poiché trovo che sia molto importante proprio in un contesto come il nostro, in cui ci occupiamo di diritti umani.
  Adesso chiederei ai colleghi e alle colleghe se vogliono intervenire. La collega Quartapelle, prego.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Grazie mille. Anche io mi associo ai ringraziamenti della presidente rispetto alla Commissione diritti umani del CNF, che è sempre una realtà che in Italia tiene alta l'attenzione su casi come questi.
  Credo che sia importante chiarire – lo ha già fatto la presidente in apertura – il ruolo del Comitato diritti umani e, più in generale, il ruolo del Parlamento. Il Parlamento italiano è un luogo dove è importante che casi come questi vengano portati all'attenzione dei rappresentanti eletti e, attraverso di noi, dei cittadini italiani. È importante che noi continuiamo a mantenere alta l'attenzione su qualsiasi caso di violazione dei diritti umani in varie parti del mondo.
  Su Paul Rusesabagina poco dopo il suo arresto abbiamo fatto anche un'interrogazione al Governo, proprio per chiedere quali erano state le reazioni del nostro Governo rispetto a quella che sembra essere una cosiddetta «extraordinary rendition», cioè un rapimento forzato di un oppositore politico. È importante farlo, anche perché Paul Rusesabagina è un cittadino europeo, un cittadino belga, e quindi c'è anche un elemento di diritto internazionale che ci riguarda più direttamente.
  Credo che la vostra presenza, qui, questa mattina abbia questo elemento, di tenere alta l'attenzione su questo caso specifico di violazione dei diritti umani, che si iscrive in un quadro più generale di varie violazioni e di oppressione del dissenso politico in Rwanda.
  Inoltre, credo anche che la vostra presenza qui ci racconti di un Paese che è ancora fortemente oppresso da quanto accaduto nel 1994. Ricostruire una memoria collettiva rispetto a un evento così traumatico è estremamente difficile, così come ricucire le ferite di un dramma mondiale – come è stato il genocidio ruandese – è estremamente complicato. La vostra presenza qui a me fa riflettere rispetto alla difficoltà che il Rwanda intraprenda questo tipo di percorso. Il Governo ruandese tiene alta la memoria del genocidio, ma le vicende politiche di quel Paese ci ricordano e ci dicono di come sia estremamente complicato non solo ricordare, ma anche costruire una memoria collettiva e condivisa.
  Noi come europei sappiamo bene quanto questo sia un percorso complesso, pieno di difficoltà e che non sempre va a buon fine. La storia del nostro Paese è anche la storia di un Paese che si è macchiato di crimini orrendi e crimini di matrice razziale. Il nostro Paese ha avuto delle leggi razziali e la stessa storia dell'Italia è una storia di un Paese che non sempre è riuscito a superare collettivamente e a fare tesoro di quello che abbiamo imparato in quegli anni.
  Credo che una riflessione più ampia da parte nostra – non è una domanda, ma è un più un commento – sul tema della riconciliazione, del perdono e del guardare avanti debba essere fatta come percorso nazionale e globale, perché poi quello che è successo nel 1994 in Rwanda non è solo una questione ruandese, ma c'è una responsabilità internazionale grande su quanto non si è intervenuto, su come si è intervenuto – ovvero male, peggiorando le cose – e su come ancora oggi si sono utilizzati degli strumenti di diritto internazionale in modo parziale, perché non tutti i colpevoli sono stati portati davanti a un tribunale, perché la giustizia non ha fatto completamente il proprio corso, perché le conseguenze di quel genocidio sono state conseguenze in tutta la regione e in tutta l'Africa e non sempre siamo stati in grado di guardare lì.Pag. 9
  Vi ringrazio per la vostra presenza, perché la vostra presenza è la denuncia di un caso singolo che però porta con sé tutta una serie di domande, di considerazioni più di ordine politico e sociale e credo che queste considerazioni non debbano essere messe di lato.
  Noi ci auguriamo che questo caso, così come tutti i casi che vengono portati davanti al Comitato, possa essere seguito, perché le violazioni delle regole internazionali devono essere eventualmente perseguite o sistemate.
  Credo che la richiesta che fa l'avvocato, ovvero il trasferimento in Belgio di un cittadino belga, abbia un senso anche rispetto agli strumenti di diritto esistenti e anche agli accordi esistenti tra Rwanda e Unione europea e credo che sia una richiesta che forse aiuterebbe anche il percorso più politico che si deve fare, perché poi la vicenda di Paul Rusesabagina – come raccontava sua figlia – è una vicenda che racconta di una storia, ma racconta anche di un Paese e di tutte le difficoltà che quel Paese ha avuto nel 1994 e continua ad avere oggi. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Quartapelle. Chiedo se ci siano altri che vogliono intervenire. Onorevole Formentini, Lei voleva intervenire?

  PAOLO FORMENTINI. Grazie, presidente. Grazie per la testimonianza. Anche io mi voglio unire all'intervento della presidente e dell'onorevole Quartapelle e assicurare il massimo impegno di tutto il Parlamento per tenere alta l'attenzione su questo caso, che non deve essere la continuazione dolorosa di quella frattura profonda nella società del Rwanda che è stata, purtroppo, quel genocidio tremendo e brutale – ricordiamo tutti i machete – nel 1994.
  Il nostro impegno deve continuare, perché allora – come è stato giustamente detto – l'Occidente purtroppo ignorò a lungo quanto stava succedendo. Questo non deve più succedere.
  Dobbiamo essere pronti da subito a riconoscere quando un genocidio viene perpetrato e dobbiamo combattere ogni giorno affinché figure come quella di chi si è speso per salvare tante vite umane siano di esempio e non subiscano ingiuste detenzioni. Grazie.

  PRESIDENTE. Bene. Non so se ci siano colleghi o colleghe collegati che vogliono intervenire. Se non ci sono, dirò qualcosa anch'io. Innanzitutto, penso che stiate facendo una cosa molto utile, non solo per il caso specifico, ma anche per far sì che i diritti umani non vengano considerati come degli optional e che siano all'attenzione anche dei Parlamenti europei, che forse hanno gli strumenti per poter fare pressione sul Governo ruandese.
  Da parte nostra non possiamo rimanere indifferenti a quello che abbiamo ascoltato. La dottoressa Carine Kanimba ci ha esortato a fare una risoluzione, come quelle che hanno fatto altri Parlamenti. Penso che questa sia un'ipotesi su cui noi dovremmo ragionare e non vedo motivi ostativi a questo impegno.
  Allo stesso modo penso che potrei scrivere una lettera come presidente del Comitato diritti umani alle autorità, al Presidente Kagame in persona, per riferire di quanto ascoltato in questa audizione al Parlamento italiano ed esortare lui e il sistema della giustizia del suo Paese a rispettare un processo giusto, perché – per questo è importante la presenza di avvocati – qui siamo in chiara violazione di ogni norma rispetto allo Stato di diritto.
  Penso che noi potremmo fare questo e poi di nuovo fare in modo che le enunciazioni di principio che sono state fatte in sede europea non rimangano tali, ma diventino anche delle forme che si concretizzano poi in azioni concrete rispetto agli accordi anche commerciali. Noi sappiamo che l'Unione europea, quando fa accordi con altri Stati extraeuropei, li deve fare sulla base del rispetto di alcuni criteri, tra cui il rispetto dei diritti umani.
  Per questo motivo possiamo sollecitare le Istituzioni europee a non disattendere la risoluzione del Parlamento – il Parlamento è stato chiaro su questo – e prendere le dovute azioni che mirano a dare senso all'impegno del Parlamento. Potremmo fare Pag. 10quest'azione rivolta alla Commissione, che poi è quella che decide.
  Io vi esorto a continuare questa battaglia di giustizia. So che è molto difficile farla quando in mezzo ci sono le sorti di persone a cui vogliamo bene, ma questa azione va anche al di là del caso specifico e tocca altre sfere che riguardano la collettività nel suo insieme.
  Il popolo ruandese ha sofferto moltissimo. Come dicevo, ne so qualcosa, perché in quegli anni mi è capitato di lavorare in quel Paese. Penso che sia molto triste che chi ha subìto sulla propria pelle una tale ferocia non riesca ad evitare che meccanismi di oppressione vengano rimessi in atto. Questo è qualcosa di terribile, perché non bisogna mai ripetere gli errori che sono stati fatti e, invece, vediamo che spesso si mettono in moto meccanismi di sopraffazione che cancellano quei princìpi fondamentali su cui si dovrebbe sempre fondare uno Stato di diritto.
  Vi ringrazio e manteniamo i contatti. Facciamo in modo che voi possiate essere informati e cercheremo di tenervi al corrente dei nostri atti parlamentari. Grazie e in bocca al lupo per tutto. Dichiaro conclusa questa audizione.

  La seduta termina alle 9.45.