XVIII Legislatura

III Commissione

COMITATO PERMANENTE SUI DIRITTI UMANI NEL MONDO

Resoconto stenografico



Seduta n. 36 di Venerdì 10 settembre 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Boldrini Laura , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'IMPEGNO DELL'ITALIA NELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE PER LA PROMOZIONE E TUTELA DEI DIRITTI UMANI E CONTRO LE DISCRIMINAZIONI

Audizione, in videoconferenza, della Rappresentante per l'Italia dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), Chiara Cardoletti, e di rappresentanti della Fondazione Pangea Onlus, con particolare riferimento alla crisi umanitaria in Afghanistan.
Boldrini Laura , Presidente ... 3 
Cardoletti Chiara , Rappresentante per l'Italia dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ... 4 
Boldrini Laura , Presidente ... 6 
Lanzoni Simona , Vicepresidente Fondazione Pangea Onlus ... 7 
Boldrini Laura , Presidente ... 8 
Suriano Simona (Misto)  ... 8 
Ehm Yana Chiara (Misto)  ... 9 
Boldrini Laura , Presidente ... 9 
Ehm Yana Chiara (Misto)  ... 10 
Boldrini Laura , Presidente ... 11 
Ehm Yana Chiara (Misto)  ... 11 
Boldrini Laura , Presidente ... 11 
Cardoletti Chiara , Rappresentante per l'Italia dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ... 11 
Boldrini Laura , Presidente ... 13 
Cardoletti Chiara , Rappresentante per l'Italia dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ... 13 
Boldrini Laura , Presidente ... 13 
Lanzoni Simona , Vicepresidente Fondazione Pangea Onlus ... 13 
Boldrini Laura , Presidente ... 15

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Coraggio Italia: CI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-L'Alternativa c'è: Misto-L'A.C'È;
Misto-MAIE-PSI-Facciamoeco: Misto-MAIE-PSI-FE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Rinascimento ADC: Misto-NcI-USEI-R-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Azione-+Europa-Radicali Italiani: Misto-A-+E-RI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
LAURA BOLDRINI

  La seduta comincia alle 13.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
  L'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto, oltre che delle personalità audite, anche dei deputati delle deputate, secondo le modalità che sono state stabilite dalla Giunta per il Regolamento nella riunione del 4 novembre 2020.

Audizione, in videoconferenza, della Rappresentante per l'Italia dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), Chiara Cardoletti, e di rappresentanti della Fondazione Pangea Onlus, con particolare riferimento alla crisi umanitaria in Afghanistan.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'impegno dell'Italia nella comunità internazionale per la promozione e tutela dei diritti umani e contro le discriminazioni, l'audizione della Rappresentante per l'Italia dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), dottoressa Chiara Cardoletti – che è collegata con noi da remoto – e anche della Vicepresidente della Fondazione Pangea Onlus, dottoressa Simona Lanzoni, entrambe in riferimento all'Afghanistan. La dottoressa Lanzoni è in presenza qui alla mia destra.
  Anche a nome dei componenti del Comitato saluto e ringrazio le nostre ospiti per la disponibilità a contribuire ai nostri lavori su una questione tanto urgente quanto drammatica. Non volevamo aspettare, perché sappiamo che in Afghanistan stanno accadendo cose che ci preoccupano, e preoccupano un po' tutto il mondo.
  Secondo le informazioni che sono fornite proprio dall'UNHCR, l'Afghanistan è sull'orlo di una crisi umanitaria epocale: dall'inizio di quest'anno, quindi del 2021, oltre mezzo milione di persone, in maggioranza donne, sono sfollate all'interno del Paese in conseguenza delle violenze e delle rappresaglie che sono connesse alla rapida ascesa al potere dei talebani. Tale situazione si è aggiunta ai ricorrenti disastri naturali: ricordiamo che c'è una devastante siccità in corso in Afghanistan. Dunque, il numero complessivo degli sfollati interni ammonta oggi a oltre 3 milioni. Vi rendete conto? Tre milioni di persone che sono state costrette a fuggire dalle proprie case e rimaste all'interno del loro Paese.
  Poi abbiamo anche i rifugiati, che sono coloro che sono scappati all'esterno del proprio Paese. Qui dobbiamo dire che il 90 per cento di quei 2,2 milioni si trova in Iran e in Pakistan. L'Iran e il Pakistan da soli ospitano il 90 per cento dei due milioni e 200 mila persone. L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha immediatamente attivato le procedure di emergenza per proteggere i più vulnerabili e assistere anche gli sfollati interni, distribuendo quindi i beni di prima necessità – mi riferisco a cibo, acqua, kit per gli alloggi – sia in Afghanistan sia nei Paesi vicini.
  E poi c'è la pandemia, c'è il COVID-19, che ha avuto un impatto su vasta scala, di Pag. 4vasta portata. Però, purtroppo, meno del 4 per cento della popolazione afgana ha completato il ciclo vaccinale. La prevenzione del COVID rimane una priorità in Afghanistan: per contribuire a ridurre questo rischio, l'UNHCR sta fornendo dei kit di soccorso per le famiglie sfollate. Questo è un lavoro molto importante, specialmente nelle zone più remote, nelle aree in cui si fa fatica ad avere accesso all'acqua pulita e ai beni di prima necessità.
  Anche altre strutture, Agenzie specializzate delle Nazioni Unite, hanno lanciato l'allarme. Mi riferisco all'OCHA, che è l'Ufficio per gli affari umanitari, che ha ammonito che i servizi di base in Afghanistan stanno crollando e che il cibo e gli altri aiuti salvavita stanno per esaurirsi, mentre il Direttore dell'Ufficio per le emergenze della FAO, Rein Paulsen, ha denunciato che «un afgano su tre soffre di grave insicurezza alimentare», rilevando anche che il 70 per cento degli afgani vive in aree rurali e che l'agricoltura fornisce mezzi di sussistenza all'80 per cento della popolazione. Paulsen ha anche evidenziato che senza un sostegno urgente gli agricoltori e i pastori potrebbero perdere i loro mezzi di sussistenza ed essere costretti anche loro a lasciare le aree rurali, aumentando quindi il numero degli sfollati interni e riversandosi sui centri abitati. Quindi, oltre alla siccità c'è anche il problema di reperimento dei beni di prima necessità.
  Poi abbiamo la Fondazione Pangea Onlus, che dal 2002 lavora per favorire lo sviluppo economico e sociale delle donne, delle loro famiglie e delle comunità circostanti. La Fondazione realizza i propri progetti sulla base delle linee di cooperazione allo sviluppo e di welfare indicati dai Paesi in cui opera, dalle Nazioni Unite e anche dall'Unione europea e dal Consiglio d'Europa. In particolare Pangea opera in Afghanistan dal 2003: con il progetto Jamila, nell'area urbana di Kabul – in diversi quartieri di periferia – è stato attivato un circuito di microcredito integrato con altri servizi di tipo educativo e sociale, destinato a donne estremamente povere e in gravi difficoltà. Per la maggioranza sono analfabete, con problemi familiari, vedove, orfane e con disabilità, o famiglie molto numerose.
  Il progetto Jamila ha permesso a donne con seri problemi di salute di usufruire gratuitamente di visite mediche specializzate e, se incinte, di servizi di accompagnamento alla maternità sicura. Complessivamente, grazie a questo progetto, quasi 5 mila donne afgane hanno visto incrementare il reddito a disposizione di tutta la famiglia, nonché migliorato il proprio standard educativo e quello dei loro figli.
  In conseguenza dei drammatici eventi delle ultime settimane, la priorità della Fondazione oggi è mettere in salvo lo staff afgano, le donne che in questi anni hanno lavorato con coraggio per aiutare altre donne e che ora rischiano violenze, stupri e la stessa vita, con l'obiettivo finale, tuttavia, di ricominciare presto anche ad aiutare le donne e i bambini a Kabul.
  Queste erano informazioni che servivano per inquadrare il lavoro delle organizzazioni che oggi ascolteremo. Cominciamo ora dalla dottoressa Cardoletti, che è la Rappresentante dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati in Italia. Prego, dottoressa.

  CHIARA CARDOLETTI, Rappresentante per l'Italia dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). La ringrazio, presidente, per avermi dato la parola. Vedo che anche Lei è un'esperta dell'Afghanistan. Volevo anche ringraziare gli onorevoli membri di questo Comitato per questa opportunità di poter fornire informazioni riguardo alla crisi in Afghanistan e al nostro lavoro non solo nel Paese, ma anche nella regione. Come ha detto il nostro Alto Commissario per i Rifugiati, Filippo Grandi, abbiamo visto la fine delle grandi evacuazioni, ma per quanto ci concerne – come diceva la presidente pochi minuti fa – la crisi umanitaria sta solo per cominciare.
  L'Afghanistan ha 39 milioni di persone, e noi consideriamo in questo momento che più della metà ha bisogno di assistenza umanitaria. Una grande crisi che sta per svolgersi e che già si sta svolgendo, ma che con l'arrivo dell'inverno diventerà sempre più critica. Come diceva Lei, presidente, Pag. 5stiamo parlando non di 3, ma di 4 milioni di persone sfollate, e più di 600 mila di queste persone sono sfollate durante l'avanzata talebana negli ultimi mesi. Quindi un Paese già in serie condizioni umanitarie, ma con una parte della popolazione che è ancora più disagiata e che ha ancora più bisogno di aiuto.
  Come abbiamo detto negli ultimi giorni, le Nazioni Unite hanno deciso di restare in Afghanistan. L'UNHCR da anni è presente nel Paese, continuiamo a rimanere presenti su tutto il territorio e abbiamo accesso in questo momento a tutte le province. Questa è una cosa molto importante. Negli ultimi quarant'anni l'UNHCR, a varie portate, ha contribuito al ritorno degli afgani nel loro Paese, creando una presenza sul territorio molto importante che, grazie a Dio, oggi ci permetterà di poter essere presenti in quei luoghi dove l'assistenza umanitaria è sempre più importante. Non solo l'assistenza umanitaria, ma anche la nostra presenza e il nostro sguardo su quello che succede nel Paese, che è ugualmente importante.
  Non siamo solamente presenti nel Paese, ma anche nei Paesi limitrofi. Un'altra cosa estremamente importante è che il lavoro di rimpatrio degli afgani durante gli ultimi vent'anni ha permesso all'UNHCR anche di essere presente in Pakistan, in Iran, in quasi tutte le parti geografiche che hanno una grande concentrazione di afgani; lavoro che ci sta permettendo in questo momento di assicurare il passaggio di convogli umanitari che possono portare beni di prima necessità in tutte le province dell'Afghanistan come pre-posizionamento per l'inverno. È estremamente importante in quanto, se non pre-posizioniamo beni come tende, coperte, cibo e tutto ciò che è necessario per affrontare l'inverno molto duro dell'Afghanistan, avremmo dei risultati estremamente gravi.
  Una cosa importante è che molte persone ci hanno chiesto informazioni riguardo agli afflussi verso l'Europa, verso il Pakistan, verso l'Iran. Noi diciamo che in questo momento è estremamente difficile parlare dei potenziali afflussi ai Paesi limitrofi. Come diceva Lei, presidente, più del 90 per cento delle persone che hanno lasciato negli ultimi anni l'Afghanistan sono rimaste in Pakistan e in Iran, e molto pochi hanno proseguito il loro cammino verso l'Europa.
  In questo momento noi non stiamo vedendo grandi afflussi di persone, né in Pakistan né in Iran, se non altro perché la situazione di sicurezza nel Paese rimane ancora molto tesa. Ci sono pochi movimenti interni nel Paese, e i confini con l'Iran e il Pakistan in questo momento rimangono chiusi. Noi stiamo dialogando sia con il Pakistan sia con l'Iran per assicurarci che si possa accedere a questi confini, ma per il momento il Pakistan sta dando precedenza a casi medici e l'Iran ha permesso l'accesso a migliaia di persone che in questo momento stiamo cercando di verificare. Quello che, sì, stiamo vedendo è una grande pressione che sta aumentando ai confini del Pakistan e dell'Iran e non solo, ma anche verso il Tajikistan, e che quindi nelle prossime settimane potrà anche risultare in movimenti di rifugiati verso questi Paesi.
  Quali sono le nostre riflessioni riguardo a cosa spingerà a degli afflussi più importanti? Sicuramente, se la situazione di sicurezza peggiora, vedremo molta più pressione verso i confini. Il secondo grande fattore importante sono sicuramente i diritti umani: fino a che punto si spingeranno i talebani? Abbiamo visto negli ultimi giorni sicuramente delle notizie non particolarmente favorevoli per quanto riguarda le donne, ma non solo: anche degli annunci politici abbastanza preoccupanti.
  La terza grande cosa importante che porterebbe a flussi più importanti, più massicci, è sicuramente il collasso dell'economia afgana. Lì ci siamo molto vicini. Sappiamo che già ci sono dei problemi sociali ed economici molto più grandi. Con il ritiro delle forze multinazionali, con una situazione politica molto diversa, c'è sicuramente il timore che tutto questo porti al collasso dell'economia. E lì, sì, ci saranno assolutamente grandi afflussi, soprattutto con una situazione economico-monetaria così importante.
  Cosa stiamo chiedendo alla comunità internazionale? Forse questa è la cosa più Pag. 6importante in questo momento: la prima cosa è che ci si concentri sull'Afghanistan come una crisi afgana. Quindi assicurare la stabilizzazione della situazione umanitaria in Afghanistan. Quindi assolutamente l'importanza di continuare a supportare le Nazioni Unite e tutti coloro che operano nel settore umanitario in Afghanistan perché continuino a portare aiuti umanitari e perché la risposta, che oggi è stata finanziata almeno del 39 per cento, possa effettivamente essere aiutata e supportata nei prossimi mesi. Questo è fondamentale se non vogliamo vedere un esodo massiccio dall'Afghanistan.
  La seconda cosa fondamentale, che l'UNHCR in particolare sta chiedendo ai Paesi in questo momento, è che le frontiere si aprano e rimangano aperte, non solo perché possano dare l'opportunità a coloro che cercano protezione internazionale di accedere, ma perché è importante che non siano solo le evacuazioni umanitarie l'unico mezzo per gli afgani per poter accedere alla protezione.
  La terza grande raccomandazione è che non ci siano deportazioni di afgani che hanno chiesto la protezione internazionale, ma che non l'hanno ottenuta. In questo momento l'UNHCR ha pubblicato un avviso a tutti i Paesi, chiedendo loro di fermare le deportazioni di afgani.
  Un quarto grande aspetto importante per noi è che aumentino in maniera significativa i posti e i numeri di accesso al reinsediamento in Europa e nel resto del mondo, quindi che i Paesi si facciano avanti e che si rendano disponibili ad accogliere nei propri Paesi afgani che hanno bisogno di protezione internazionale.
  L'ultima, e forse ugualmente importante, come raccomandazione è il fatto che la narrativa debba rimanere coerente. Cosa voglio dire con questo? Quando si vedevano le evacuazioni dall'aeroporto di Kabul, si parlava di profughi, si parlava di rifugiati, si parlava di persone con bisogno di protezione. Oggi – e l'abbiamo visto nelle ultime settimane in particolare – la narrativa sta cambiando, si sta parlando di migranti, si sta parlando di persone che vengono in Europa a cercare lavoro. Bisogna ricordarsi che se si è rifugiati all'uscita dell'aeroporto di Kabul si rimane rifugiati anche quando si cerca protezione internazionale ai confini di un Paese. La coerenza della narrativa è estremamente importante.
  Ovviamente facciamo queste richieste anche all'Italia – un'Italia che si è fatta avanti per quanto riguarda l'evacuazione delle persone che hanno lavorato con il Governo italiano negli ultimi vent'anni – affinché continui di questo passo ad accettare le richieste di protezione internazionale per coloro che arrivano invece via terra o via mare. Probabilmente nei prossimi mesi, indipendentemente da come si sviluppa la situazione, questa potrebbe essere una situazione molto reale. Si spera che, con l'arrivo di persone afgane e altre nazionalità sul territorio, si mettano a loro disposizione dei sistemi di accoglienza degni di questo nome e che si accelerino gli sforzi nel settore dell'integrazione, in modo tale che afgani in particolare, ma tutti i rifugiati che sono sul territorio, possano giovarsi di un inserimento nel nostro Paese che dia delle effettive speranze e opportunità per il futuro.
  Cosa offriamo come UNHCR? Anche questo è importante. Noi chiediamo tanto, ma cosa possiamo dare ai Paesi per aiutare in questo lavoro che è estremamente complesso? Abbiamo offerto al Governo italiano un supporto concreto nell'aiutare tutti gli afgani che sono arrivati attraverso le evacuazioni, un appoggio nel settore dell'integrazione. Bisogna far sì che vengano fatti parte della nostra rete di integrazione, con le industrie private che cercano dei profili di persone che vogliono accedere al mercato del lavoro: quindi un'integrazione nel nostro progetto Welcome e anche l'integrazione in tutti i nostri progetti che in questo momento sono mirati verso l'integrazione effettiva dei rifugiati nel nostro Paese.
  Mi fermo qua, presidente. Per qualsiasi domanda sono disponibile a rispondere. Grazie mille.

  PRESIDENTE. Grazie, dottoressa Cardoletti, per quanto ci ha voluto esporre. Poi faremo le domande. Io adesso passerei la Pag. 7parola alla dottoressa Lanzoni, che è la Vicepresidente della Fondazione Pangea. Prego.

  SIMONA LANZONI, Vicepresidente Fondazione Pangea Onlus. Grazie, presidente. Grazie a tutte le onorevoli e gli onorevoli della Comitato per questa audizione sull'Afghanistan. Innanzitutto, Fondazione Pangea, come già ben illustrato, lavora dal 2003 in Afghanistan, principalmente a Kabul. Negli ultimi tempi abbiamo coadiuvato i ponti aerei per l'evacuazione degli afgani nel primo momento. Ad inizio settembre abbiamo riaperto l'ufficio a Kabul.
  Solo per dare un po' un quadro, intanto le nostre attività si fondano principalmente nel sostenere molte donne sfollate interne che sono arrivate a Kabul nell'idea di evacuare a livello umanitario, perché sono a rischio. Molte sono vedove, molte sono studentesse, altre sono giornaliste, altre sono attiviste che hanno lavorato per ong – sia di donne, sia ong in generale – straniere e locali. Altre sono donne che hanno fatto parte, per esempio, delle forze dell'ordine afgane, sono state soldatesse, poliziotte, sono state all'interno dei Ministeri, hanno lavorato come insegnanti. Loro si ritengono in pericolo. Molte di loro hanno avuto il marito ucciso semplicemente perché ha provato a resistere ai talebani. Altre donne hanno avuto il marito ucciso alla frontiera.
  Prima si parlava di frontiere: io ho avuto notizia – non tutti i giorni, chiaramente – anche che si è aperto fuoco alle frontiere, dal lato Pakistan, verso gli afgani che tentavano di entrare. È molto difficile ottenere visti per poter andare o in Pakistan o in Iran. In particolare, in Pakistan è molto difficile perché ci sono agenzie corrotte che chiedono sempre più soldi per ottenere il visto. Sono molto difficili anche da individuare perché, nella paura stessa degli afgani di non ottenere il visto, loro stessi poi non denunciano, però ne parlano.
  Il nostro lavoro si focalizza sull'empowerment delle donne e sulla possibilità delle donne di fare emergere il loro potenziale, anche nel rispetto dei diritti. Attualmente questo regime talebano non è assolutamente un regime che intende lasciare alle donne lo spazio che si era raggiunto fino a questo momento, in questi venti anni di libertà. Anzi, Le posso dire che proprio ieri, purtroppo, una nostra collega afgana ci ha raccontato che sono entrati in una scuola dove c'era sua nipote che ha dieci anni. Sono entrati in questa scuola locale nella periferia di Kabul e hanno sparato in aria.
  Ultimamente forse avete visto in giro video dove manifestano le donne e loro sparano in aria, anche se poi l'altro giorno a Herat hanno sparato direttamente sulla folla e sono morte due donne. Con le bambine di dieci anni sono entrati, hanno sparato in aria, le hanno picchiate con la canna del fucile e gli hanno urlato, gli hanno puntato il fucile in faccia, gli hanno detto: «Perché siete qui senza burqa?» Come sa, l'usanza, almeno passata, è che i talebani facevano indossare i burqa alle bambine dopo le mestruazioni, quindi non ai dieci anni.
  Questo per dirvi che è un peggioramento ulteriore. Non possiamo credere a questo racconto che alcuni giornalisti purtroppo continuano a fare o la comunità internazionale tende a fare, secondo cui i talebani sarebbero persone con cui si può trattare. Non è così, a meno che perdiamo anche noi il nostro livello di diritti umani, e penso che questo nessuno lo voglia.
  La situazione è molto pesante. Sta nascendo una resistenza incredibile, iniziando dalle donne che – le avete viste – sono donne giovani, sono quelle donne giovani che hanno vissuto questi venti anni di libertà e che attraverso i social riescono a raccontare quello che sta succedendo, ma anche la loro voglia di resistere e di vita; e questo devo dire che è incredibile. Queste donne, senza nessuna etichetta, senza nessuna leadership, scendono in piazza e scendono perché non hanno niente da perdere, perché conoscono i racconti delle loro madri e non vogliono rivivere quello che hanno vissuto le loro madri. Scendono perché altrimenti, come succedeva nella prima epoca dei talebani, si suiciderebbero. Preferiscono lottare, e questo è meraviglioso.
  Poi ci sono le madri e le donne che le sostengono e che scendono in piazza con loro, perché sanno benissimo quello che è stato il regime talebano e quello che è oggi Pag. 8il regime talebano che, dopo venti anni, ha al proprio interno anche tantissimi jihadisti che vengono da tutte le altre guerre, dalla Siria, all'Iraq, allo Yemen, alla Libia, tutto quello che è il Sahel, la Cecenia. Un peggioramento ulteriore, un «talebani 2.0», che sono un incubo, a partire dalle donne, e poi la scesa in piazza degli uomini.
  Ultimamente ci sono state anche manifestazioni di notte contro il regime talebano. Sono scesi tutti in piazza, in diverse province, non solo a Kabul, non solo a Herat, ma anche in province più remote. Questo vuol dire che c'è una resistenza, che forse la pagherà molto cara o forse riuscirà comunque a continuare a far vedere che c'è un Afghanistan che non è quello che la comunità internazionale vuole confezionare all'interno di un quadro ben definito. Un'Afghanistan che va sicuramente aiutato, non solo contro la crisi umanitaria che si sta preparando – perché è evidente –, ma anche per una propria capacità di pensiero e di libertà che viene richiesta da questa popolazione.
  Noi come Fondazione Pangea stiamo in questo momento cercando di ricostruire la rete con le organizzazioni con cui lavoravamo per capire quanto è possibile ricominciare a fare il nostro lavoro passato. Continuiamo a dare rifugio alle donne: al momento ci sono più di trentacinque persone nella casa che abbiamo in Afghanistan. Stiamo aprendo altre case per dare rifugio a chi lo chiede. È importantissimo, sembra che è notizia di ieri: forse riapriranno i voli internazionali da Kabul e forse verrà data la possibilità, da parte dei talebani, a chi ha il visto di poter volare fuori dall'Afghanistan.
  Il problema grande rimane, perché pochissime persone hanno il passaporto. La maggioranza ha quello che è l'equivalente della nostra carta di identità, comprese le attiviste e donne che si sono esposte in questi venti anni. Dall'Afghan Women's Network in poi tantissime organizzazioni di donne, di giornaliste, di attiviste, mettendoci proprio la faccia, in prima persona hanno ricostruito questo Paese. Quindi sarà molto difficile capire effettivamente poi come poter uscire.
  Sicuramente è importantissimo riuscire a garantire la possibilità di evacuazioni umanitarie, che siano anche con un occhio attento alle donne e ai bambini. Avrete visto tutti le immagini dell'evacuazione dei pontieri, dove c'erano principalmente uomini: sono gli uomini che fanno la guerra e sono gli uomini che scappano. Chi rimane dentro sono le donne, i bambini e gli anziani che non ce la fanno. Però, comunque, bisogna fare attenzione alle donne, come io chiedo che sia fatta attenzione all'accoglienza che viene fatta oggi.
  So che l'Italia ha fatto uno sforzo, perché l'abbiamo visto: uno sforzo incredibile di accoglienza, anche con le persone che noi siamo riusciti ad evacuare. Però l'accoglienza che viene fatta in Italia molto spesso è neutra, e invece ci vorrebbe un'accoglienza con un occhio di genere anche per tutte quelle donne e bambine che sono arrivate. Da un lato bisogna fare attenzione all'esterno, ma guardiamo anche a casa nostra. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie molte per il focus sulle donne. D'altra parte questo Comitato non poteva non fare un focus specifico sulle donne perché, come sempre, ogni fondamentalismo poi si accanisce contro le donne, contro le libertà delle donne, contro il corpo delle donne, e quindi avere un'attenzione speciale sulle donne è assolutamente doveroso per quanto mi riguarda.
  Adesso io chiederei ai colleghi che sono collegati e alle colleghe che sono presenti se vogliono fare delle domande. Onorevole Suriano, prego.

  SIMONA SURIANO. Grazie per la vostra presenza e grazie per il lavoro che avete svolto e continuate a svolgere in questi territori veramente difficili. Per tutta l'estate io ho cercato di documentarmi quanto più possibile su ciò che stesse accadendo in Afghanistan e ovviamente giungono notizie e informazioni di tutti i tipi, anche contrastanti tra loro. Non so se mi potete rispondere, ma io mi chiedo innanzitutto perché c'è stata così poca resistenza da parte dell'esercito afgano, che si è completamente arreso all'avanzata dei talebani. Pag. 9Mi domando se ci sia, in fondo, una parte della popolazione che magari li accetta, li tollera o è ben disposta nei loro confronti.
  Tra l'altro l'Afghanistan è diviso da centinaia di signori della guerra, quindi magari li vedono come persone che possono dare un po' di stabilità. Non so, mi domando perché c'è stata questa resa immediata.
  Poi ho visto recentemente il servizio della giornalista della Rai, dove intervistavano un uomo in piazza che diceva che non si prospettavano tempi favorevoli e che quindi l'unica alternativa era quella di protestare. Mi domando se c'è questa consapevolezza di resistenza, questa voglia di resistenza anche da parte degli uomini. Ce lo possiamo aspettare o è solo un caso di quest'uomo intervistato dalla giornalista? Grazie.

  YANA CHIARA EHM. Grazie, presidente. Ringrazio anch'io sia UNHCR sia Pangea per essere qui con noi oggi. Credo sia un momento importante e credo sia anche importante mostrare la propria presenza per continuare a tenere alta l'attenzione. Infatti, una delle preoccupazioni più grosse è che ho visto un'altissima attenzione in queste settimane, e ovviamente era non solo importante, ma anche necessario. Quello che mi preoccupa sono i prossimi tempi, che probabilmente vedranno piano piano scemare: si è visto in altri conflitti – se penso allo Yemen, alla Siria –, dove a un certo punto i riflettori si spegnevano e poi succedevano delle altre cose.
  Mi viene anche in mente – lo premetto, poi vengo alle domande – che a una ragazza che protestava nelle strade di Kabul il talebano risponde: «Avete ancora venti giorni, cioè fino alla fine di agosto, poi quando tutti se ne saranno andati allora sì che inizierà la vera intenzione.» E questa è un po' la mia preoccupazione d'istinto.
  Ringrazio per la testimonianza e per il lavoro che fate: io personalmente, da giovane donna rappresentante del mio Paese, mi sento profondamente toccata e vicina alle donne che scendono in piazza per lottare per i propri diritti, e quindi sicuramente ci vuole essere anche un impegno personale affinché vi possa essere comunque un'attenzione, ma anche un'azione concreta.
  Vengo alle domande. In primis, parliamo tanto e vediamo – grazie a giornalisti che tuttora sono sulla scena – le proteste che sono a Herat, a Kabul, nelle più grandi città. La domanda che mi pongo riguarda le zone più remote. L'Afghanistan è composto in gran parte da zone più remote. Com'è la condizione lì in questo momento, con speciale attenzione alle donne? Qual è la posizione delle donne nelle zone più remote? Vi è una presa di coscienza oppure vi è invece una situazione ben diversa da quella delle città? Molto spesso si vede, nelle città dove la scolarizzazione è più alta eccetera, che c'è magari anche più coscienza, mentre invece nelle zone rurali no. Sarebbe molto interessante per me sapere questo.
  L'altra domanda riguarda le donne – non tante – che sono arrivate qua in Italia. Quale prospetto si può avere affinché vi possa essere un maggior supporto delle donne rifugiate qua in Italia e affinché vi possa essere una maggiore attenzione possibile? Mi viene in mente l'esempio eclatante, seppur molto calzante, dell'ex Ministro della comunicazione, Sayed Saadat, che è un rifugiato in Germania, che si è trovato da essere Ministro in Afghanistan ad essere un rider in Germania. Nonostante sia molto felice, è comunque un cambio di vita sicuramente eclatante. La domanda è: cosa l'Italia può fare praticamente per accogliere realmente e fattivamente le persone?
  Ringrazio anche la collega Suriano, e ribadisco anche la domanda: si vede molta attenzione ed enfasi – e sono contenta – sulle donne. Mi chiedo anche quale sia la partecipazione o meno per quanto riguarda la compagine maschile. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Ehm. Mi chiedo se da remoto ci sia qualche collega che intende intervenire. Vedo che ce ne sono collegati alcuni. Non mi pare che vogliano intervenire, o perlomeno non si stanno palesando, dunque io mi permetto di aggiungere le mie domande alle vostre, perché mi sento un po' parte in causa, avendo lavorato in Afghanistan in molte Pag. 10occasioni, compresa l'era buia dei talebani alla fine degli anni Novanta.
  Io ringrazio le nostre ospiti per come hanno illustrato il tema. Avrei alcune domande un po' più puntuali, forse, in merito al lavoro umanitario. Intanto vorrei capire la situazione alla frontiera: la frontiera è determinante per riuscire a far entrare aiuti di prima necessità, perché altrimenti rimane solo il ponte aereo, e sappiamo bene che il ponte aereo ha bisogno di un aeroporto attrezzato e comunque costa molto rispetto alla «via della gomma». Quindi la situazione alla frontiera significa anche potersi mettere in salvo per le persone, raggiungere la frontiera e, se quella è aperta, accedere alla sicurezza. Vorrei capire se c'è un Paese, tra quelli confinanti, che ha mantenuto ad oggi la frontiera aperta e se sono in corso negoziati con quei Paesi che invece l'hanno chiusa o la stanno chiudendo.
  Seconda domanda: personale locale. Avendo lavorato in questi contesti so i rischi, anche quando gli organismi sono autorizzati a lavorare. E qui chiedo a tutte e due le nostre ospiti: riprendere le attività e rafforzarle – immagino principalmente con lo staff locale – non implica anche esporre queste persone a dei rischi? Tra parentesi, io ho ricevuto delle chiamate da miei ex colleghi locali afgani con cui lavoravo quando ero all'ufficio stampa lì, che chiedevano se c'era la possibilità di ricevere un aiuto. Vorrei capire il livello di sicurezza. Il personale locale si sente ancora sicuro di poter lavorare con UNHCR, con Pangea e con le altre organizzazioni? A quale prezzo noi li stiamo esponendo, li stiamo usando?
  I talebani: qui chiedo a UNHCR; mi ricordo com'era prima: bisognava negoziare qualsiasi spostamento, qualsiasi iniziativa. Mi chiedo se adesso i talebani hanno già posto delle condizioni e stabilito nuove regole per lavorare nelle parti più remote e in quelle più rurali.
  Volevo sottolineare altri due fatti. Due Paesi si fanno carico di ospitare più di due milioni di persone. In Europa la reazione è veramente disarmante, perché non si pensa neanche a dare seguito all'impegno dei corridoi umanitari, ma già si sta ragionando solo in termini di aiuto ai Paesi confinanti. Inoltre, in tutta Europa stanno riproducendosi muri ovunque, come il muro tra la Bielorussia e la Polonia. Lì ci sono da settimane trenta rifugiati afgani bloccati. Da una parte ci sono i mitra dei bielorussi e dall'altra parte ci sono i mitra dei polacchi.
  Io ho ricevuto delle segnalazioni su questa situazione e ho scritto alla Presidente von der Leyen, al Presidente Sassoli, perché queste persone sono bloccate lì in una sorta di limbo, da settimane, e sono in gran parte afgani. Ma poi ci sono altri muri: quelli della Grecia, un altro muro spaventoso sul fiume Evros. Stanno facendo altri muri in Austria, in Slovenia, con la Croazia. Allora vorrei chiedere alla dottoressa Cardoletti come l'UNHCR sta reagendo a questa situazione, quali problematiche questa situazione sta presentando, perché alla fine il Pakistan forse la frontiera la riapre, ma i muri europei, le barriere e i fili spinati credo che sarà molto più difficile toglierli.
  Una volta in Italia, poi, per quanto riguarda queste persone che sono arrivate con l'evacuazione, mi chiedevo se c'erano interlocuzioni con il Governo in merito alla forma di protezione, dottoressa Cardoletti. Voi raccomandate una forma di protezione, come mandare le persone nella procedura d'asilo facendo l'eleggibilità, oppure una protezione temporanea che consenta subito a queste persone di poter fruire della possibilità di fare corsi di aggiornamento o perfezionamento professionali, che altrimenti col permesso per i richiedenti asilo non potrebbero fare, con conseguente allungamento dei tempi di integrazione nel tessuto italiano?
  C'era ancora l'onorevole Ehm che voleva aggiungere qualcosa. Prego.

  YANA CHIARA EHM. Presidente, ne approfitterei per fare altre due veloci domande, se posso. La prima è una domanda più per UNHCR per la parte di rifugiati che sono al confine europeo. L'attenzione riguarda molto i rifugiati in Afghanistan, ma è ben conosciuto che c'è anche il problema o fenomeno di afgani che sono alle frontiere europee, bloccate tra l'altro da diversi Pag. 11anni, a cui deve essere data una risposta sicuramente italiana.

  PRESIDENTE. Collega, si riferisce alla rotta balcanica?

  YANA CHIARA EHM. Assolutamente sì. Questo sicuramente deve avere comunque un'attenzione o anche una risoluzione al riguardo.
  La seconda domanda è sulla questione delle minoranze. Quella più conosciuta riguarda sicuramente il Panjshir. Qual è attualmente la situazione anche a tal riguardo? Effettivamente, giustamente si sente dai media parlare di alcune notizie e di alcuni aggiornamenti quando comunque poi la situazione – almeno a mia personale conoscenza – è ben più complessa di quella che viene raccontata oppure proclamata, di vittoria o meno. La sezione minoranze come viene affrontata in questo momento? Chiedo se può essere dato un riscontro anche a tal riguardo. Grazie.

  PRESIDENTE. Dottoressa Cardoletti, Le darei la parola. Prego.

  CHIARA CARDOLETTI, Rappresentante per l'Italia dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). Grazie mille. Comincerei dalla Sua domanda riguardante la situazione alle frontiere, la questione dell'eleggibilità per la protezione internazionale e riguardante anche come ci stiamo comportando in Afghanistan verso il nostro personale locale.
  Come dicevo prima, le frontiere verso il Pakistan o l'Iran in questo momento non sono frontiere che hanno permesso l'accesso aperto a tutti gli afgani che cercano protezione internazionale. Sappiamo di migliaia di persone che sono riuscite a entrare in Iran; le stiamo verificando in questo momento. E sappiamo anche che l'Iran è in dialogo con noi per stabilire un piano di contingenza che prevedrebbe la creazione di spazi, di campi, verso la frontiera.
  Noi stiamo spingendo perché gli afgani vengano accolti, come sempre è stato negli ultimi quarant'anni, nei centri urbani. Chiaramente non c'è una chiusura da parte dell'Iran, non c'è mai stata in quaranta anni, e speriamo che non ci sia neanche oggi. Per quanto riguarda il Pakistan, invece, in questo momento la situazione è molto più complicata. C'è sempre un grande afflusso di persone tra il Pakistan e l'Afghanistan. Ci sono più o meno 20 mila persone che attraversano quella frontiera ogni giorno, però è anche vero che questo è un flusso normale, un flusso economico, un flusso di persone che vanno avanti e indietro anche per ragioni di studio e ragioni economiche. In questo momento hanno prioritizzato persone con problemi medici. Non escludiamo che permetteranno ad altre persone di avere accesso al Pakistan, però in questo momento siamo in dialogo. Ripeto, non abbiamo avuto ancora delle risposte chiare.
  Per quanto riguarda la possibilità di utilizzare il Pakistan come territorio da dove possono passare dei convogli umanitari per il pre-posizionamento di beni di prima necessità in Afghanistan, questo è già successo e continuerà a succedere. Il che è positivo perché, come dicevo prima, la stabilizzazione delle persone in Afghanistan è estremamente importante.
  Per quanto riguarda il personale locale, tanto per cominciare in questo momento i talebani hanno permesso il ritorno al lavoro delle donne. Le nostre donne e le ragazze che lavorano nei nostri uffici in questo momento sono ritornate al lavoro. Ovviamente per noi è una notizia positiva, con tutta una serie di complicazioni che, come diceva Lei, presidente, riguardano la loro sicurezza.
  Abbiamo permesso allo staff nazionale locale di essere evacuato. Sono pochi quelli che sono stati evacuati, coloro che hanno espresso dei timori nel Paese; chiaramente in questa situazione così caotica ci vorrà del tempo prima che tutti coloro che hanno espresso la necessità di essere evacuati potranno beneficiarne.
  Siccome ho fatto cinque anni di lavoro in Afghanistan con l'UNHCR, so che molti miei colleghi hanno anche espresso, immediatamente dopo l'arrivo dei talebani, molte preoccupazioni. Molti di loro sono ancora nel Paese e stiamo monitorando la situazione Pag. 12 per vedere meglio come aiutarli. C'è una grande attenzione su questo punto.
  L'eleggibilità: in questo momento abbiamo raccomandato al Governo italiano di seguire delle procedure accelerate e semplificate per tutti gli afgani che sono arrivati in Italia attraverso l'evacuazione. Non vediamo perché non possiamo considerare queste persone – che sarebbero sicuramente a rischio al ritorno in Afghanistan – come persone che debbano avere accesso allo status di rifugiato. E chiaramente lo status di rifugiato in Italia, come diceva Lei, presidente, permette l'accesso a tutta una serie di benefici e di possibilità che devono avere queste persone che sono arrivate in Italia e che hanno lavorato per l'Italia per vent'anni in questo Paese. Sicuramente procedure accelerate e semplificate per questo gruppo.
  Per quanto riguarda gli afgani che arriveranno in Italia o coloro a cui è stata negata la protezione internazionale, abbiamo raccomandato alle Commissioni territoriali – che hanno accettato questa nostra raccomandazione – di rivedere tutte le richieste negate, in modo tale da considerare i nuovi elementi. Abbiamo raccomandato a tutti i Paesi europei o di sospendere le interviste per i casi afgani oppure di guardarle nel modo più generoso possibile. O le sospendono mentre si aspetta di avere delle informazioni chiare sulla situazione in Afghanistan oppure danno a queste richieste la risposta più generica possibile.
  Per quanto riguarda le donne – le donne nei villaggi, nei centri urbani –, è stato chiesto qual è la loro posizione: devo dire che è estremamente complicato parlare di donne in generale in Afghanistan. Ci sono donne che mantengono delle posizioni estremamente conservative. Ci sono delle donne che invece hanno lavorato per la comunità internazionale da ormai vent'anni, che hanno potuto beneficiare di training, di supporto, di aiuti, di case sicure e che oggi hanno anche delle richieste molto importanti.
  È un Paese molto grande, con grandi differenze di punti di vista, anche da parte delle donne stesse. Però sicuramente come comunità internazionale abbiamo una grande responsabilità: abbiamo dato loro una visione diversa del mondo e della vita negli ultimi vent'anni e credo che oggi sia anche una nostra responsabilità assicurare o che possano esercitare i loro diritti o che possano farlo altrove. Questo secondo me è estremamente importante. Però è anche vero – e ricordo questo dai miei anni in Afghanistan – che c'è anche tutta una popolazione afgana di donne che invece mantengono delle posizioni molto conservatrici. Bisogna anche vedere un po' di chi si parla.
  L'avanzata talebana non è stata una sorpresa per nessuno: i talebani erano già in Afghanistan nel 2008, prima che io me ne andassi. Sono avanzati anche perché c'era una grande frustrazione da parte del popolo afgano riguardo a come il Paese era gestito, alla grande corruzione che aveva preso in mano il Paese e quindi forse anche la volontà di un cambio – forse non quello talebano – che portasse sicurezza e sviluppo effettivo a tutto il Paese. C'era sicuramente una grande frustrazione nel Paese. Che avessero accolto a braccia aperte i talebani non ne sono così sicura, però c'è da dire che sicuramente al Sud del Paese i talebani erano presenti, anche molto presenti, già da tantissimi anni. Sicuramente il passaggio dalla presenza all'influenza, al potere, non è poi stato così complicato.
  Questo è quello che posso dire. Devo dire che da parte mia, avendo lavorato per cinque anni con le donne afgane, vedere quello che sta succedendo oggi è estremamente preoccupante. Spero che molte di loro e coloro che vogliono cercare protezione nel nostro Paese la possono trovare; non solo la protezione, ma anche una vita degna dei loro sforzi e del loro coraggio. E anche coloro che oggi in Afghanistan stanno lottando per poter mantenere i loro diritti nel loro Paese.
  Ricordiamoci che non tutte le afgane vogliono lasciare il proprio Paese; anzi, vogliono rimanere. E lì c'è l'importanza di poter rimanere, anche se bisogna dialogare con i talebani e cercare di dare il nostro supporto a queste persone che con grande coraggio stanno lottando per il proprio Pag. 13Paese. Penso che questo sia molto importante. Grazie, presidente.

  PRESIDENTE. Grazie, dottoressa Cardoletti. Non so se vuole aggiungere qualcosa sulla domanda riguardo alla risposta che sembra mancare da parte dell'Europa e anche riguardo a questa policy dei muri, a come state affrontando il lavoro anche a livello di Bruxelles, perché credo che questo che sia fonte per tutti voi di grande preoccupazione.

  CHIARA CARDOLETTI, Rappresentante per l'Italia dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). Certo. Come ha detto il nostro Alto Commissario, siamo un po' sorpresi. Per quello parlavo dell'importanza della narrativa, dell'importanza della coerenza, di vedere come l'Europa sia così estremamente preoccupata di evacuare migliaia di persone e poi non particolarmente attenta ad avere delle posizioni comuni che permettano l'accesso agli afgani in Europa, non solo attraverso l'arrivo spontaneo di queste persone sul nostro territorio, ma anche attraverso l'insediamento. Vedere che c'è stato così poco entusiasmo riguardo all'insediamento sicuramente ci rende molto preoccupati, e l'appello che il nostro Alto Commissario sta facendo in questo momento a tutti i Governi europei è quello di rendere disponibili canali legali e sicuri per gli afgani che vogliono arrivare in Italia.
  Chiaramente le nostre raccomandazioni e la nostra posizione rimangono le stesse: l'Alto Commissario in questo momento sta dialogando non solo con l'Unione europea, ma con i singoli Stati, per assicurare questo accesso alla protezione e ai territori, che non può che essere il modo più normale per le persone di arrivare nel territorio europeo. Non possiamo pensare che i corridoi umanitari siano l'unico modo con cui gli afgani arriveranno in Italia. Lo sappiamo tutti che questo non sarà il metodo. Anzi, sarà forse il modo più sicuro, ma sicuramente con i numeri più piccoli, e di conseguenza dobbiamo essere pronti ad accettare che gli afgani che arrivano via mare o via terra vengano accolti in maniera dignitosa e nel rispetto dei loro diritti.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Adesso chiederei alla nostra altra ospite di poter rispondere alle domande che sono state fatte. Prego, dottoressa Lanzoni.

  SIMONA LANZONI, Vicepresidente Fondazione Pangea Onlus. Grazie. Innanzitutto grazie per le domande. All'onorevole Suriano, rispetto alla poca resistenza dell'esercito afgano, bisogna fare un discorso: è vero, i talebani ci sono sempre stati; io sono stata in Afghanistan nel 2003, nel 2004, nel 2005, e già c'erano, non erano scomparsi. Però c'è un'altra questione: Pangea ancora non era nata, nacque proprio sull'Afghanistan, le persone che oggi la compongono si incontrarono nel 1999 perché facevamo proprio la spola con il Parlamento italiano. Portavamo delle parlamentari in Pakistan a vedere con le «Donne in Nero» – che era un movimento di donne pacifista – quello che succedeva nei campi profughi in Pakistan. Facevamo vedere anche la resistenza che già allora c'era, perché tante donne e tanti uomini erano in contatto, tra Pakistan e Afghanistan, per provare a ricostruire un minimo di normalità, che è quello che si prova sempre a fare nei posti di guerra.
  C'è sempre stato un movimento di insorgenza talebano, e non solo, in tutto l'Afghanistan, ma ci sono stati colloqui che tentavano di far riconoscere il Governo talebano. Questo non solo nel 1999, ma anche adesso. E gli afgani mica sono stupidi; seguono la loro politica estera ed interna. Quindi sapevano benissimo che si stavano già facendo degli accordi affinché i talebani entrassero in maniera ufficiale nelle proprie terre, dove loro venivano formati come militari. Quindi, in realtà, penso che ci sia stata semplicemente una riconsegna delle armi – o un lasciare le armi così – e provare a fuggire. A me sono arrivati – prima di tutto quello che è successo negli ultimi giorni – tantissimi video di persone – tutti uomini – che scappavano già da giugno, perché in qualche modo percepiscono che il loro Paese è stato già venduto. Quindi perché devo difendere qualcosa che non esiste? Lo stesso Presidente, purtroppo, se n'è andato Pag. 14 velocemente. Non è una questione di resistenza, è questione di capire se devo semplicemente andare al massacro così o devo resistere veramente. Questa è una parte della risposta.
  Quanti li tollerano? Secondo me pochissimi. È vero che ci sono sacche di persone conservatrici, ma anche nelle zone rurali non credo proprio che ci siano tante persone che amano vivere come stanno imponendo i talebani o come imposero all'epoca. La vera capacità di tolleranza è molto bassa. Io a volte ho parlato con delle afgane proprio per chiedere quanto è il sostegno. Dicono: «Massimo un 10 per cento di popolazione»; ma come possiamo dirlo veramente? Gli uomini ci sono, le donne è chiaro che fanno molto più scalpore perché rischiano tantissimo. Ma gli uomini ci sono. Anche le famiglie che lasciano le figlie e le mogli andare a manifestare; le lasciano andare, e casomai le seguono, le accompagnano, poi a un certo punto le lasciano.
  Poi io ho tantissimi video, perché poi non è solo la questione dei giornali e dei giornalisti che ci fanno arrivare le informazioni; ormai con i social media è la popolazione che manda le cose, quindi bisogna seguire quello che fanno loro. Io ho visto tantissime manifestazioni di notte di soli uomini, perché la notte solo gli uomini escono; ma era incredibile, mi sono emozionata, ho pianto vedendo quelle cose. È incredibile, ci sono anche gli uomini. Non c'è un'adesione a questo regime talebano come forse qualcuno narra.
  E poi c'è la questione delle zone remote. Immaginate l'Italia: ci sono anche qui le zone remote, però non è che se arrivano i talebani le zone remote sono felici che arrivino i talebani. È sicuramente più duro vivere nelle zone remote, perché è chiaro che è più difficile reperire cibo, avere l'ospedale, avere un sistema idrico, un sistema elettrico e via dicendo, ma questo non vuol dire che per questo sono i più retrogradi dei retrogradi. Hanno bisogno anche loro di quella libertà per potersi muovere e andare a reperire quello di cui hanno bisogno. Lo sanno benissimo che è importante avere la libertà di mobilità e di accesso a tutto quello che sono i bisogni primari.
  Dopodiché, rispetto all'accompagnamento sulla questione rifugiate e rifugiati qui in Italia, intanto devo dire che lo Stato italiano sta facendo tantissimo. Il Ministero dell'Interno sta facendo tantissimo con le regioni. Forse io non conosco abbastanza bene il sistema e mi sono veramente stupita e sono felicissima che questo avvenga, ma soprattutto ho visto un enorme movimento delle persone qualunque che vogliono dare una mano, un movimento di solidarietà eccezionale.
  Noi come con Fondazione Pangea abbiamo ricevuto centinaia di offerte per poter aiutare le donne e i bambini. È chiaro che forse quello che è difficile capire è che molto spesso sono venuti in famiglie. Per fortuna siamo riusciti a fare evacuare delle intere famiglie. Sono numerosi, non sempre parlano inglese perfettamente, non sempre conoscono tutto quello che è la nostra cultura. Va fatto un percorso, che sicuramente parte dal riconoscimento dell'asilo che, se ho ben capito, è facilitato. Questo proprio perché vengono da ponti aerei, e quindi il presupposto della pericolosità e del rischio che vivono è già dato per scontato, per fortuna.
  Però sicuramente noi come Fondazione Pangea, per tutte le persone che siamo riusciti a far entrare – che sono oltre trecento – faremo un percorso di accompagnamento, accanto a quello che sta facendo già lo Stato, con le persone che si sono offerte di fare delle cose.
  A volte può essere anche semplicemente accompagnarli a fare una visita medica, a fare la spesa, perché ci sarà anche bisogno di questo, cioè di capire e di spiegargli semplicemente come funzionano le cose qui. Sicuramente questo è un compito di cui ci facciamo carico, e assolutamente ci sarà tutto un gruppo di persone che vorrà anche ricongiungersi ai familiari che sono all'estero, proprio perché la diaspora afgana è immensa e non è solo da oggi, ma esiste da oltre quarant'anni. Quasi tutte le persone afgane hanno qualcuno all'estero, e sicuramente Pag. 15per noi sarà anche importante farli ricongiungere. Per chi invece vorrà rimanere qui bisognerà costruire un percorso per poterli far integrare veramente dal punto di vista socioeconomico, lavorativo, tutto quello di cui ci sarà bisogno noi ci faremo carico nel momento in cui le cose andranno avanti.
  Per la questione lavoro o non lavoro: il lavoro umanitario è questo. Il lavoro umanitario è vivere e continuare a vivere malgrado l'emergenza. Chiunque fa il lavoro umanitario sa quello che può essere il rischio che si prende in carico, e io devo dire che ho avuto addirittura difficoltà con alcune nostre colleghe. Quando erano all'aeroporto ed erano entrate, alcune di loro volevano ritornare indietro perché volevano continuare a lavorare per il loro Paese. Non pensate che tutte le persone che oggi sono evacuate non torneranno in Afghanistan domani. L'Afghanistan ha bisogno di essere rafforzato, ha bisogno di far studiare le proprie donne e i propri uomini per poi poter tornare e ricominciare a ricostruire, perché il regime talebano forse c'è adesso, ma non ci sarà per sempre.

  PRESIDENTE. Grazie, dottoressa Lanzoni. Io mi riferivo ai rischi che il personale afgano può incontrare oggi in questa situazione, per cui chi lavora con gli stranieri è considerato traditore o traditrice, non chi da fuori lo fa per mestiere, o comunque lo fa per mestiere anche dentro, ma è di un'altra nazionalità.
  Nel frattempo, è arrivata questa notizia: «Afghanistan, talebani: “Le donne non possono fare i Ministri, devono fare figli.” “Una donna non può fare il Ministro. È come se le mettessi al collo un peso che non può portare. Non è necessario che le donne facciano parte del Governo, devono fare figli.”» Questa è stata l'affermazione a TOLO News del portavoce talebano Sayed Zekrullah Hashim. «Le quattro donne che protestano – continua –, quelle che vanno nelle strade, non rappresentano le donne dell'Afghanistan. Le donne dell'Afghanistan sono quelle che danno figli al nostro popolo e che li educano secondo i valori dell'Islam.».
  In chiusura di queste due audizioni mi pare che questa affermazione tolga ogni dubbio sulle intenzioni di questo regime oscurantista e fatto da elementi noti già in quanto facenti parte del precedente Governo, noti all'Interpol di tutto il mondo, quindi esponenti del terrorismo internazionale. Non penso che, purtroppo, ci sorprenderà con buone iniziative, al di là della propaganda che vanno facendo.
  Io ringrazio le nostri ospiti e spero di incontrarle presto. Noi terremo un occhio aperto sull'Afghanistan e quindi avremo ulteriori occasioni di aggiornarci.
  Dichiaro chiusa questa audizione.

  La seduta termina alle 14.35.