XVIII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 30 di Giovedì 15 aprile 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Formentini Paolo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'IMPEGNO DELL'ITALIA NELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE PER LA PROMOZIONE E TUTELA DEI DIRITTI UMANI E CONTRO LE DISCRIMINAZIONI
Formentini Paolo , Presidente ... 3 
Grandi Filippo , Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati ... 4 
Formentini Paolo , Presidente ... 9 
Del Re Emanuela Claudia (M5S)  ... 9 
Quartapelle Procopio Lia (PD)  ... 10 
Billi Simone (LEGA)  ... 10 
Migliore Gennaro (IV)  ... 11 
Formentini Paolo , Presidente ... 12 
Valentini Valentino (FI)  ... 12 
Formentini Paolo , Presidente ... 12 
Comencini Vito (LEGA)  ... 12 
Formentini Paolo , Presidente ... 13 
Palazzotto Erasmo (LeU)  ... 13 
Formentini Paolo , Presidente ... 13 
Grandi Filippo , Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati ... 13 
Formentini Paolo , Presidente ... 15

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-L'Alternativa c'è: Misto-L'A.C'È;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Cambiamo!-Popolo Protagonista: Misto-C!-PP;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Rinascimento ADC: Misto-NcI-USEI-R-AC;
Misto-Facciamo Eco-Federazione dei Verdi: Misto-FE-FDV;
Misto-Azione-+Europa-Radicali Italiani: Misto-A-+E-RI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-MAIE-PSI: Misto-MAIE-PSI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
PAOLO FORMENTINI

  La seduta comincia alle 8.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera e la trasmissione diretta sulla web-tv. L'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto dei deputati secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento nella riunione del 4 novembre scorso.

Audizione dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, Filippo Grandi.

  PRESIDENTE. Il primo punto all'ordine del giorno prevede, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'impegno dell'Italia nella comunità internazionale per la promozione e tutela dei diritti umani e contro le discriminazioni, l'audizione dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), Filippo Grandi. Anche a nome dei componenti della Commissione saluto l'Alto Commissario Grandi, accompagnato dalla dottoressa Chiara Cardoletti, dal dottor Riccardo Clerici e dal dottor Andrea De Bonis, e lo ringrazio per la disponibilità a prendere parte ai nostri lavori.
  L'UNHCR nasce il 14 dicembre 1950, all'indomani della seconda guerra mondiale, con il compito di assistere i civili fuggiti dalle proprie case a causa del conflitto. Il 28 luglio 1951 viene adottata la Convenzione delle Nazioni Unite relativa allo status dei rifugiati, base giuridica dell'assistenza ai rifugiati e guida dell'attività dell'UNHCR. Nei programmi iniziali doveva trattarsi di una struttura temporanea, con compiti circoscritti da completare entro tre anni. Settanta anni dopo l'UNHCR continua ad operare ogni giorno accanto ai rifugiati, in un mondo in cui ogni due secondi una persona è costretta ad abbandonare la propria casa a causa di conflitti o persecuzioni.
  Peraltro, nel corso degli anni al mandato originario si sono aggiunti nuovi ambiti di intervento: dal 1972 l'Alto Commissario si occupa anche di assistere i cosiddetti «sfollati interni», un problema che riguarda numerose zone del mondo; nel 1974 gli viene affidata anche l'assistenza agli apolidi, milioni di persone che rischiano di vedere negati i propri diritti fondamentali perché non possiedono la cittadinanza di alcuno Stato. L'incremento delle attività dell'Alto Commissariato è testimoniata anche dalla crescita dimensionale dello staff: nel 1950 l'UNHCR operava con trentaquattro addetti. Oggi può contare su oltre 16 mila persone, dislocate fra il quartier generale di Ginevra e i centotrentaquattro Paesi del mondo in cui si trova ad operare.
  Sul piano delle risorse finanziarie l'UNHCR si avvale di contributi volontari, principalmente dai Governi, ma anche da organizzazioni intergovernative, aziende e dai singoli cittadini. Secondo il report annuale pubblicato a giugno 2020, il contributo del Governo italiano nel 2019 è stato pari ad oltre 47 milioni di euro, cui vanno aggiunti circa 22 milioni di euro erogati da soggetti privati.
  Il dottor Grandi, in carica dal 1° gennaio 2016, è il primo italiano a ricoprire questo ruolo. Prima di questo incarico la Pag. 4sua carriera lo ha visto sempre impegnato al massimo livello nel campo della cooperazione internazionale, in particolare nel settore dell'asilo e dell'assistenza umanitaria. Tra gli altri incarichi, dal 2010 al 2014 è stato a capo dell'Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA).
  Fatta questa premessa, sono lieto di dare la parola al dottor Grandi affinché svolga il Suo intervento.

  FILIPPO GRANDI, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati. Buongiorno e grazie, presidente, e buongiorno a tutti coloro che sono presenti e collegati. È un piacere per me ritornare qui in Commissione dopo qualche anno e soprattutto ritornare a Roma per una visita ufficiale alle istituzioni italiane dopo un periodo abbastanza prolungato in cui, anche per i noti motivi, non ho potuto effettuare questo spostamento. La ringrazio, presidente, di avere già fatto una buona introduzione alla mia istituzione, l'UNHCR.
  Aggiungo per completezza alcuni dati che possono essere utili a tutti, anche se probabilmente li conoscete. Signor presidente, Lei ha già menzionato alcune categorie di persone: rifugiati, sfollati, richiedenti asilo, senza contare gli apolidi, per i quali le statistiche sono più complicate. Tutte le altre categorie, che sono quelle che ci impegnano di più dal punto di vista operativo, ammontavano all'ultima statistica ufficiale – noi pubblichiamo le statistiche una volta all'anno, in giugno – a 80 milioni di persone, quindi una popolazione maggiore di quella dell'Italia. Io temo – ve lo anticipo – che alla prossima pubblicazione dei dati statistici questa cifra sarà ancora superiore.
  Ricordo anche che circa il 90 per cento di queste persone non si trova nel cosiddetto «Nord globale» – nei Paesi con più risorse: in Europa, in Nord America, in Australia eccetera –, ma si trova in Paesi con risorse più scarse, cioè in Africa, in Medio Oriente, in America Latina, in Asia eccetera.
  Le cause di questo fenomeno, purtroppo crescente, sono quelle che potete bene immaginare: guerre, conflitti, sia molto antichi come in Afghanistan o in Somalia, sia nuovi conflitti che emergono, e di questi parlerò fra qualche minuto. Naturalmente, ci sono anche cause molto tradizionali che forzano le persone ad abbandonare le proprie case ed i propri Paesi: discriminazioni, violazioni di ogni tipo di diritti umani, violenza anche con articolazioni sempre nuove e sempre più complesse. Tutto questo naturalmente si mescola ed è reso ancora più complesso da altre cause di disagio, di sofferenza e di esilio, cause che vanno dall'impatto dei cambiamenti climatici alla crescente povertà e diseguaglianza – anche tra le diverse regioni del mondo –, fame; il Programma alimentare mondiale, come sapete, denuncia sempre più spesso il rischio di fame in diverse regioni del mondo.
  Questo ha generato e continua a generare flussi di popolazione che sono sempre più complessi e complicati da gestire. Oggi, in più, questo contesto è aggravato ulteriormente dalla pandemia, di cui posso parlare, ma potete immaginare gli ostacoli che la pandemia pone al movimento di popolazione, all'accoglienza e alle operazioni umanitarie che comportano una presenza importante, come Lei ha sottolineato, in diversi Paesi del mondo. Questi flussi – e voi lo sapete bene essendo posti su una di queste rotte – seguono rotte sempre più complesse e pericolose, spesso monopolizzate da trafficanti, da criminali. Tutto questo negli ultimi vent'anni ha reso estremamente complicata la gestione e la risposta a questo tipo di crisi umanitarie.
  L'UNHCR, la mia organizzazione, si occupa di persone che noi definiamo come aventi bisogno, aventi necessità di protezione internazionale, cioè persone che non possono tornare nei propri Paesi. Questa distinzione fra le persone che hanno bisogno di protezione internazionale, quindi i rifugiati, e altre persone che noi definiamo «migranti», «migranti economici», è una distinzione complessa, ma che noi riteniamo ancora essere estremamente rilevante, anche perché i rifugiati godono di un impianto legale di protezione molto importante a cui gli Stati possono fare ricorso e Pag. 5a cui noi invitiamo gli Stati a fare ricorso. Questo è il nostro lavoro principale.
  Naturalmente, siccome i flussi sono più vasti, teniamo conto, ben inteso, che anche altre persone che si muovono con i rifugiati, sebbene sottoposte ad altri regimi legali, hanno diritto a un trattamento dignitoso e godono di specifici diritti umani.
  Io credo che i flussi dei rifugiati siano una prospettiva utile, interessante se non altro, sulle crisi del mondo di oggi, e qui vi parlo proprio come Commissione Esteri e come legislatori che hanno un interesse particolare per queste crisi. Vorrei elaborare su alcune – sarebbe troppo lungo elaborare su tutte – che potrebbero essere di interesse per voi.
  Prima di tutto vorrei parlarvi della situazione in Etiopia, anche per un interesse molto specifico dell'Italia storicamente in quella parte del mondo. Il conflitto nel Tigrai, che conoscete, ha cause estremamente complesse. Ho visitato l'Etiopia l'ultima volta alla fine di gennaio: ho avuto un lunghissimo incontro con il Primo Ministro, Abiy Ahmed, molto interessante, ed è molto interessante la presentazione che il Primo Ministro etiope e la leadership del Governo etiope mi hanno fatto di questo conflitto, presentandolo quasi come una questione esistenziale per il progetto riformatore che il Governo di Abiy Ahmed ha voluto lanciare qualche anno fa in Etiopia, e giustificando quindi l'intervento militare del Governo federale nei confronti del fronte di liberazione del Tigrai come un'estrema ratio per cui non c'era più, a quel punto, un'altra alternativa.
  Vi riferisco quello che mi è stato comunicato, non sto avallando un certo punto di vista, ma è importante comprenderlo anche da quel particolare punto di vista. Su questo intervento militare la mia organizzazione non esprime giudizi politici, però deve sempre fare i conti con le conseguenze di queste decisioni politiche, e queste conseguenze sono molto problematiche.
  Sottolineerei questi elementi: primo, la presenza estremamente problematica, dal punto di vista della sicurezza e dei diritti, di truppe eritree sul territorio del Tigrai; secondo, la dipendenza dell'offensiva militare federale da milizie etniche, e specificamente milizie Amhara, che controllano oggi una larga parte del territorio del Tigrai.
  Come conseguenza di queste due presenze, c'è stata una escalation molto sostanziale delle violazioni dei diritti umani: violazioni brutali, compreso l'uso dello stupro come strumento di controllo, uccisioni, sparizioni eccetera. Quindi una situazione molto complessa.
  Lo spostamento di popolazioni, per venire a un tema molto vicino a quello che noi facciamo: più di 50 mila rifugiati del Tigrai oggi in Sudan – ho anche visitato il Sudan qualche mese fa – e una presenza sempre più massiccia di sfollati all'interno del Tigrai. Si parla di centinaia di migliaia di persone. Io temo – naturalmente tutto questo va investigato – anche fenomeni di pulizia etnica, soprattutto perpetrati dalle milizie.
  Quello che ci preoccupa anche guardando in là, guardando oltre, che dovrebbe preoccupare io credo molto la comunità internazionale, è il rischio che questo conflitto si perpetui. Il fronte di liberazione del Tigrai è una forza considerevole dal punto di vista militare, e io credo che ci sia stato un calcolo un po' troppo ottimista da parte del Governo rispetto al fatto che questa sarebbe stata una breve offensiva militare. Sappiamo che cosa significano conflitti prolungati nel Corno d'Africa.
  Io mi appello a voi come Commissione Esteri, e condividerò questo appello nei miei incontri di oggi sia col Ministro degli Esteri sia col Presidente del Consiglio, perché l'Italia usi il più possibile la propria influenza e la propria rete di relazioni nella regione per cercare di favorire una de-escalation, una riduzione delle tensioni e aiutare l'Etiopia ad uscire, se posso essere molto esplicito, da questo angolo complesso, politico e militare, in cui si trova.
  Bisogna continuare a fare pressione perché le organizzazioni umanitarie abbiano accesso al Tigrai. La situazione è migliorata nelle ultime settimane grazie anche alle pressioni degli Stati Uniti – ho parlato anche recentemente di questo al Segretario di Stato – grazie alle pressioni dell'Europa, Pag. 6dell'Unione Europea. Sono in contatto molto regolarmente con l'Inviato Speciale, il Ministro degli Esteri della Finlandia. È importante che il Governo etiope metta in atto quello che ha dichiarato – cioè che le truppe eritree lasceranno il territorio dell'Etiopia – conduca le investigazioni imparziali sulle violazioni che ha promesso e intraprenda una campagna di riconciliazione nazionale, senza la quale anche il futuro dell'Etiopia come Stato federale – Stato fragile, ma estremamente importante nella regione, in Africa e direi globalmente – resterà instabile.
  Passando al Medio Oriente, altra regione molto importante e significativa per l'Italia, il quadro resta instabile. Non devo sottolinearlo, lo sapete benissimo. Qualche parola sulla Siria, che resta per noi una situazione molto centrale. È un conflitto che è ancora irrisolto, lo ricordo, dieci anni dopo il suo inizio, con sacche di guerra attiva, con un conflitto attivo nella provincia di Idlib, quindi nel Nord-ovest, nel Nord-est, nelle zone curde, e altre sacche nel resto del Paese. Anche se lo si paragona a qualche anno fa – questo è un conflitto di cui mi sono occupato anche nel mio incarico precedente lungo tutto l'arco di questa guerra – è chiaro che la violenza rispetto agli ultimi anni è molto più localizzata.
  Ma ci sono alcuni elementi importanti da considerare. Innanzitutto, la Siria è preda di una crisi economica gravissima, conseguenza di dieci anni di conflitto, isolamento internazionale, sanzioni, distruzioni, aggravata dalla pandemia che ha colpito duramente quella regione – soprattutto questa seconda ondata –, e aggravata particolarmente dal collasso dello Stato libanese, che ha un'influenza diretta sull'economia e sulla stabilità della Siria. Ci sono quasi 6 milioni di rifugiati siriani nei Paesi vicini, soprattutto Turchia, Siria e Giordania.
  Una soluzione politica del conflitto sembra ancora lontana, nonostante gli sforzi delle Nazioni Unite e di altri. In questo stallo è estremamente importante che i Paesi vicini che ospitano la più grande popolazione di rifugiati al mondo – continua a essere quella siriana – ricevano gli aiuti necessari, soprattutto la Giordania e il Libano. Soprattutto attirerei la vostra attenzione sul Libano. Io sono estremamente preoccupato dalla situazione libanese. Ricordo che il Libano ospita più di un milione di rifugiati – in maggioranza siriani, ma anche i palestinesi –, che la soglia di povertà estrema è stata varcata da più dell'85 per cento dei rifugiati siriani, ma che oggi anche il 25 per cento della popolazione libanese è oltre la soglia di povertà. Si tratta di un Paese che ospita rifugiati, ma in condizioni sempre più drammaticamente difficili.
  Sono molto preoccupato. Certo, non si parla della stessa scala delle traversate tra Libia e Italia o tra Libia e Malta, ma abbiamo già osservato barche partire dalla costa libanese verso Cipro. Io sono l'ultima persona a essere allarmista su queste situazioni, ma credo che l'Europa debba, se posso essere molto sincero, prestare più attenzione alla risoluzione politica della crisi libanese e aiutare questo Paese chiave per la stabilità del Medio Oriente ad uscire da questa situazione.
  Ci sono altre crisi che continuano altrove. Ve le menziono solamente molto brevemente: l'Afghanistan, con le incertezze relative al processo di pace e al possibile ritiro delle truppe americane in settembre; il Myanmar, dove alla crisi dei rifugiati rohingya, che certo conoscete, della minoranza musulmana molto vessata e in parte rifugiata in Bangladesh, si aggiungono adesso le difficoltà create dal colpo di Stato militare, che sta già creando nuovi flussi di rifugiati interni ed esterni; il Venezuela, dove il collasso dello Stato ha provocato l'esodo di più di 5 milioni di persone in Colombia e in altri Paesi vicini; l'America Centrale, teatro di flussi molto complessi, come ho descritto all'inizio, dove però possiamo beneficiare di un interesse e di un impegno rinnovato degli Stati Uniti.
  Per venire ancora a crisi più vicine all'Italia, resta molto problematico il Sahel centrale, quindi tutta la zona a Sud della Libia e dell'Algeria, nel quale un insieme di fattori desta molta preoccupazione ed è molto pericoloso, fattori che potremmo riassumere in questo modo: una situazione Pag. 7pregressa di sottosviluppo, economico e sociale, molto grave, che si associa a Governi estremamente deboli e fragili, ad un impatto crescente dei cambiamenti climatici che sono preponderanti nella zona del Sahel, al COVID-19, che naturalmente dilaga anche in quella regione. In questo contesto favorevole ad esso si aggiunge la crescita del terrorismo di marca molto radicale e molto fondamentalista, che si traduce in vessazioni terribili sulla popolazione civile. Molto spesso, purtroppo, anche la reazione militare dei Governi causa dei problemi umanitari. Siamo in presenza di un insieme di cause molto preoccupante, che richiede molta attenzione.
  Ci sono più di 3 milioni di persone fra rifugiati e sfollati interni. Questo per darvi il dato rilevante per il nostro lavoro, che è sempre una spia di un disagio crescente. L'ultima volta, prima dei lockdown, sono stato in Burkina Faso: raramente ho potuto osservare situazioni di tale brutalità dal punto di vista della violenza sui civili. Il numero di donne – purtroppo devo ripetere quello che ho detto sul Tigrai – che durante la nostra visita sono venute per raccontarci le violenze che avevano subito, da parte soprattutto di questi gruppi armati – purtroppo, a volte, anche da parte delle forze regolari –, rappresenta un'enorme percentuale. Questa visibilità del problema non l'ho mai vista nei miei lunghi anni di carriera, da nessuna parte. Il pericolo di questa instabilità è la sua prossimità con altre situazioni molto precarie: il Nord della Nigeria, dove Boko Haram continua a imperversare e naturalmente, non devo dirvelo, la Libia.
  Tutto questo a mio avviso necessita di strategie più coerenti e naturalmente di aiuti umanitari per le situazioni più acute. Ci sono stati investimenti, ma non sempre ben coordinati, soprattutto da parte dell'Europa.
  Siccome ho menzionato al Libia, immagino che questo continui a preoccuparvi moltissimo. Lunghi anni di lavoro mi hanno insegnato a non essere mai troppo ottimista, però mi hanno anche insegnato che in geopolitica uno deve sempre sapere guardare alle occasioni che si presentano. Credo che i recenti accordi – fragili, ma pur sempre accordi – che sono stati raggiunti fra i gruppi in Libia, rappresentino quello che definirei uno «spazio di tregua» importante, una finestra che sarà aperta per qualche mese e che richiederà da parte della comunità internazionale – lo sottolineo – una grande coesione, una grande coerenza, una grande unità di interventi, se veramente si vuole arrivare a dicembre a delle elezioni che possano essere il primo passo verso la stabilità del Paese.
  Qualche elemento, ancora una volta dal nostro punto di vista: prima di tutto, è importantissimo mantenere la presenza delle Nazioni Unite sul territorio libico, in particolare quell'aspetto della presenza – parlo dell'UNHCR e dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni – che si occupa dei rifugiati e dei migranti. Ricordo che nessuno sa quanti siano; si parla di centinaia di migliaia. Questa presenza è necessaria, per continuare il lavoro di progressivo smantellamento dei centri di detenzione, di quegli orribili centri di cui abbiamo visto tutti le immagini. Alcuni di voi senz'altro le hanno anche viste personalmente.
  Tramite la nostra presenza – ed è difficile e a volte pericoloso – dobbiamo continuare a incoraggiare le autorità libiche ad operare per limitare l'azione dei gruppi criminali. La nostra presenza serve anche a continuare quei programmi di evacuazione umanitaria, sia di rifugiati e migranti verso Paesi terzi sia l'OIM (Organizzazione internazionale per le migrazioni), di migranti che accettano di ritornare volontariamente nei loro Paesi. Vi ricordo che attraverso questi programmi tra 40 e 50 mila persone sono state evacuate dalla Libia negli ultimi anni.
  Molto importante è anche continuare questi corridoi umanitari: ieri ho avuto un lungo e positivo incontro con la Ministra dell'Interno Lamorgese e mi ha assicurato che i corridoi umanitari, una volta superate le misure restrittive – inevitabili, dovute alla pandemia – potranno ricominciare, ed è molto importante. Ho sottolineato alla Ministra Lamorgese – e so che a breve visiterà la Libia – che purtroppo non si Pag. 8potrà fare uscire tutti i rifugiati e i migranti in modo regolare dalla Libia. Molti dovranno restare in Libia, e per evitare che soccombano alla tentazione di traversare attraverso metodi irregolari il Mediterraneo sarà importante moltiplicare gli interventi per stabilizzare questa popolazione in Libia. Non è facile, non è semplice, anche politicamente nei confronti delle autorità libiche, ma è molto importante.
  Poiché parlo della Libia, devo dire due parole sui salvataggi in mare: so che avete discusso molto spesso di questo importante aspetto della risposta alla crisi libica. Il nostro punto di vista è che restano urgenti e importanti. È molto probabile – lo sapete benissimo – che con l'arrivo dell'estate queste traversate o tentativi di traversate aumenteranno. Ho avuto un incontro ieri con le ong, abbiamo discusso francamente di questi problemi: il nostro punto di vista è che l'operato delle ong resta importante come complemento a quello che fanno o dovrebbero fare i Governi. Noi siamo in favore di interventi da parte delle ong che siano certo regolati e che non siano criminalizzati.
  Questo mi porta a dover menzionare, ancora una volta, l'auspicio che l'Europa si doti di un meccanismo solidale, equo ed efficiente di gestione di chi arriva, soprattutto di chi arriva attraverso gli sbarchi. Ho discusso con la Ministra Lamorgese ieri l'importanza di questa proposta di Patto fatta dalla Commissione europea. Io comprendo perfettamente – ve lo dico come Alto Commissario, ma anche come italiano – le perplessità dell'Italia nei confronti di questa bozza, però vi prego anche di capire l'importanza di avere uno strumento comune per evitare di dover tornare a una situazione o dover continuare ad essere in una situazione in cui ad ogni sbarco, ad ogni arrivo, si crea una crisi, una crisi di recriminazioni, di negoziati, che non è né pratica né giusta nei confronti di persone che in quel contesto rimangono, per così dire, in sospeso.
  Ho offerto alla Ministra Lamorgese i nostri buoni uffici, la nostra esperienza tecnica, per poter superare le differenze di opinione tra i vari Stati membri dell'Unione europea per quanto riguarda le procedure di confine, per quanto riguarda i meccanismi importantissimi di solidarietà fra gli Stati. Siamo naturalmente a disposizione per aiutare ad arrivare ai compromessi che sono necessari. Questo, signor presidente, non è soltanto relativo agli arrivi attraverso il Mediterraneo, è anche importante per quanto riguarda gli arrivi via terra. L'Italia purtroppo oggi è esposta anche a un crescente numero di persone che arrivano dalla rotta balcanica, anche se pur sempre molto inferiore numericamente. Ci sono altre problematiche, anch'esse regionali ed europee, che vanno affrontate, come la capacità di Stati che sono ancor più di frontiera in quel senso – parlo della Slovenia, parlo della Croazia – perché si dotino dei giusti meccanismi per poter affrontare e gestire questi flussi e perché non ricadano su Paesi ulteriori.
  La mia conclusione è che, come avete senz'altro potuto capire e come già sapete, il quadro è complesso. Il COVID-19 lo rende ancora più complesso. Ci sono pochissimi punti positivi, penso ai processi di pace in Sudan e in Sud Sudan. Stiamo lavorando su soluzioni ai problemi dei rifugiati in quei Paesi, diversi milioni di persone che potrebbero avere un futuro se quei processi di pace procedono. Qui è molto importante ricordare che l'Europa deve giocare un ruolo maggiore anche nella risoluzione dei conflitti, in Africa e altrove. Un altro punto positivo è il maggiore impegno di questa nuova Amministrazione americana nell'affrontare le crisi, non soltanto nel suo emisfero, nella zona circostante agli Stati Uniti – l'America centrale in particolare, il Venezuela – ma anche in altri conflitti nel resto del mondo.
  In questo contesto restano critici naturalmente gli aiuti umanitari, compresi l'aiuto e il supporto finanziario fornito all'UNHCR. Colgo l'occasione per ringraziarvi del continuo impegno dell'Italia in questo senso anche dal punto di vista finanziario. Il nostro budget annuale ormai ammonta fra i 7 e gli 8 miliardi di euro annuali, non tutti finanziati. Ricordo che il contributo italiano ha avuto una crescita negli ultimi anni fino al 2018, quando ha Pag. 9raggiunto 44 milioni di euro. È calato nel 2019, è calato poi successivamente, soprattutto a causa della pandemia. L'anno scorso, nel 2020, ha raggiunto i 32 milioni di euro.
  So che è collegata con noi l'onorevole Del Re, che nelle sue funzioni precedenti di Viceministra, è stata di straordinario supporto e aiuto alla mia organizzazione e alle cause umanitarie. Veramente colgo l'occasione per ringraziarla e ne approfitto per dire a tutti voi che spero che questo declino del supporto alla mia organizzazione sia legato alle conseguenze economiche della pandemia, che possa essere fermato e che l'Italia possa continuare a occupare il posto molto dignitoso e importante che occupa fra i principali alleati delle organizzazioni umanitarie e dell'Alto Commissariato. Grazie, signor presidente.

  PRESIDENTE. Grazie davvero per la panoramica. Noi, come Commissione Esteri, stiamo lavorando sulle tante tematiche delle crisi citate, dal Myanmar all'Etiopia, con risoluzioni. Alcune le abbiamo già approvate, anche sul Venezuela, mentre altre, come nel caso dell'Etiopia, sono in corso di discussione. Quanto ci ha detto sarà utilissimo per integrare i testi.
  Ci sono dieci o undici colleghi che adesso sono collegati e quindi chiedo chi voglia intervenire. Per il primo intervento si è prenotata la già Viceministra Emanuela Claudia Del Re.

  EMANUELA CLAUDIA DEL RE (intervento da remoto). Grazie, onorevole Formentini. Vorrei rivolgere a Filippo Grandi un ringraziamento particolare non soltanto da parte dell'Italia come Paese, ma da parte di tutta la popolazione dei rifugiati che possono contare su un sostegno che non è soltanto organizzativo, ma che è anche un sostegno di grandissima valenza politica, perché in questi anni l'operato di Filippo Grandi ha portato alla luce tutta una serie di problematiche che nella gerarchia degli interessi geopolitici e di politica estera non sempre si trovano al primo posto. Rendere prioritari questi elementi fa in modo che l'opera di un Paese come l'Italia possa prendere in considerazione quanto l'azione umanitaria e il riconoscimento del problema – chiamiamolo così – causato da rifugiati e sfollati in termini organizzativi, ma anche di prospettive per il futuro e di sviluppo che potremmo anche azzardare come concetto relativo a queste tematiche, siano davvero legati ad uno statement politico. Io ritengo che l'azione umanitaria di un Paese definisca il Paese nella sua postura sul piano globale.
  Questo non è un fatto secondario, perché con Filippo in questi anni abbiamo visto che prendere posizione sull'aiuto umanitario in generale, in casi di emergenza, ed in particolare per quanto riguarda i rifugiati e sfollati sicuramente costituisce innanzitutto un leverage politico fondamentale per i Paesi che si trovano ad affrontare l'emergenza, ma anche la capacità del Paese che aderisce al programma di aiuti e si pone come partner in un percorso di recupero e di intervento, permette a questo Paese di collocarsi sicuramente in un percorso che porta anche valori molto importanti, che in genere vengono sottovalutati quando si tratta di queste emergenze.
  Credo che proprio questo intervento di Filippo Grandi ci abbia dato una fotografia del presente che ci deve sempre riportare alla concretezza dell'attualità, perché non possiamo dimenticare quanto ci siano questioni pressanti. Io stessa mi occupo di rifugiati da circa trenta anni, ho lavorato nei campi di rifugiati della Siria e di tantissimi altri luoghi e posso dire che effettivamente uno dei problemi più importanti è l'uso ideologico di queste tematiche.
  I discorsi che oggi vengono fatti e soprattutto la proposta interpretativa di Filippo Grandi ci devono portare a un nuovo concetto, ad una riflessione che probabilmente va costruita insieme, perché la rete è sicuramente fondamentale per il futuro, e ci deve portare anche ad avere il coraggio umanitario di metterli tra le priorità e forse al primo posto in moltissime analisi politiche, perché dobbiamo uscire dall'uso ideologico di queste tematiche e cercare, invece, di renderle un elemento strutturale. Ritengo che nessuna analisi politica, per esempio, possa escludere dal numero di dati che vengono presentati l'elemento umanitario Pag. 10 o l'elemento relativo alle emergenze, in particolare quelle di rifugiati e sfollati.
  Non voglio parlare troppo a lungo, ma posso dire che questi elementi, come i corridoi umanitari, per i quali io mi sono molto battuta – voglio anche ricordare che l'Italia dovrebbe andare orgogliosa di essere stato l'unico Paese a fare evacuazioni, per esempio, dai campi di detenzione della Libia, una cosa che diciamo troppo poco e con troppa timidezza – l'evacuazione dalla Libia, la capacità di intervenire immediatamente e di fare in modo che il Paese possa reagire prontamente all'appello – perché vengono fatti appelli e si reagisce – permettono al Paese che sta affrontando l'emergenza, come ad esempio il Sudan a causa del conflitto in Etiopia, di poter usare anche questo elemento proprio come veicolo di idee politiche, di interpretazioni e di negoziati che altrimenti sarebbero veramente svuotati di significato, perché non avrebbero poi elementi fondanti e assolutamente concreti su cui poggiarsi.
  Grazie, Filippo Grandi, grazie per la tua opera straordinaria e grazie a tutte le persone che lavorano con te. Auspico che ci sia maggiore coraggio in Italia, che si tolga tutta la sovrastruttura ideologica, che l'umanitario e in particolare questo settore dei diritti umani dei rifugiati e degli sfollati si trasformi in un elemento assolutamente trasversale e imprescindibile in qualsiasi analisi politica. Ti ringrazio per l'opera che fai, sarò sempre al tuo fianco, perché ci credo profondamente e continuerò a farlo nel ruolo politico attuale e se in qualche modo tutte le forze politiche potessero convergere su questa tematica e rendersi conto di quanto questo avrà una valenza straordinaria anche nel futuro per la postura nel nostro Paese nel mondo, penso che questo sarebbe un grande successo. Voglio essere ottimista anche io e penso che tutto sommato stiamo cominciando a ragionare in questi termini. L'aiuto umanitario è uno statement politico collegato ai diritti umani e collegato a sviluppo. Credo che questa equazione debba diventare l'equazione di tutti i giorni e ringrazio Filippo per essere veramente un punto di riferimento assoluto in questo percorso. Grazie.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO (intervento da remoto). Ringrazio e saluto anche io con grande stima e do un grande benvenuto a Filippo Grandi, che è molto tempo che non vedevamo in Commissione, in Italia. C'è sempre bisogno dell'Alto Commissariato e dell'Alto Commissario.
  Nella sua relazione l'Alto Commissario ha dato davvero l'idea dell'impatto che la geopolitica può avere sui flussi di rifugiati e di quanto l'interesse nazionale stia anche nella soluzione dei conflitti e nella gestione delle crisi globali in varie parti del mondo. Inoltre, ha davvero dato molto materiale per il lavoro della nostra Commissione, dall'Etiopia al Venezuela, al Libano e alla Libia, richiamandoci anche a tanti punti della politica estera e delle conseguenze di mancati interventi o atti di Governo in queste crisi.
  Io ho una domanda molto diretta sul tema della Libia: la posizione italiana è sempre stata quella di dire che i campi in Libia vanno chiusi al più presto e che la gestione dei migranti presenti in Libia vada sempre di più spostata dentro campi gestiti dalle agenzie dell'ONU, in primis l'Alto Commissariato. La domanda riguarda che cosa oggi l'Alto Commissariato sarebbe disponibile a fare in più – dato anche il quadro mutato a livello politico che Lei ha ben descritto – e che tipo di aiuto l'Italia può dare in questo senso. Ho finito. Grazie.

  SIMONE BILLI (intervento da remoto). Ringrazio anche io l'Alto Commissario, il dottor Filippo Grandi. Permettetemi di ricordare che noi della Lega-Salvini Premier proponiamo da tempo l'adozione della legislazione europea per gestire le questioni sui rifugiati, in Italia e in Europa. A noi va bene che l'immigrazione in Italia sia trattata come è trattata in Francia e in Germania, con le stesse regole. Come ha detto benissimo l'Alto Commissario, il dottor Grandi, in Europa va data più attenzione alla crisi libanese, all'Afghanistan – con le truppe americane che, come ha ricordato poco fa il dottore, probabilmente lasceranno Pag. 11 il Paese molto presto –, al Myanmar, al Venezuela con l'esodo di 5 milioni di persone, all'America centrale e al Sahel centrale. Bisogna coinvolgere maggiormente l'Europa in quello che è un problema non solo italiano, e l'Italia per questo ha bisogno di aiuto. Come ha detto il dottor Grandi, occorre che l'Europa si doti di uno strumento comune, di un meccanismo di gestione equo ed efficiente per gestire chi arriva ed i rifugiati, per evitare che ad ogni sbarco si crei una crisi che non è giusta e che non fa gli interessi né degli italiani, né dei migranti e nemmeno degli europei.
  Permettetemi di concludere dicendo che bisogna essere insieme all'Europa, soprattutto adesso, per gestire gli sbarchi e allo stesso tempo per fronteggiare la pandemia di COVID-19 in modo efficace, proteggendo la salute degli italiani, degli europei e dei profughi. Non è facile, però noi ci siamo. Grazie mille.

  GENNARO MIGLIORE (intervento da remoto). Saluto davvero con grande piacere l'Alto Commissario Filippo Grandi. Anche in alcune esperienze precedenti ho avuto il piacere di incrociarne il lavoro con i Suoi straordinari collaboratori e anche direttamente nelle mie funzioni di Governo.
  Vorrei sottolineare che la lettura complessiva data dall'Alto Commissario è stata certamente una lettura che consente di mettere insieme – lo diceva anche la collega Del Re – la postura internazionale, l'attività e l'interesse nazionale del nostro Paese, dell'Unione europea e anche degli Stati Uniti con quelli che sono i fenomeni e le responsabilità a livello globale che la comunità internazionale si deve assumere, ovvero che la dimensione nazionale non è assolutamente adeguata ad affrontare questo tipo di crisi e che l'interdipendenza tra le crisi – che peraltro hanno come effetti anche quello della creazione di veri e propri oceani di profughi – debba essere al centro della nostra iniziativa, sia dal punto di vista delle relazioni diplomatiche sia dal punto di vista dell'intervento umanitario che, per quanto mi riguarda – anche in questa Commissione la questione dei diritti umani è diventata centrale come chiave di lettura dei processi internazionali – deve essere sempre di più non un corollario, ma un fondamento dell'iniziativa politica internazionale.
  Abbiamo visto che in tante situazioni – in alcune ovviamente non abbiamo avuto il tempo di approfondire – ci sono interessi di attori internazionali che palesemente ignorano i termini della tutela dei diritti umani, sia internamente sia sul piano globale dei flussi dei profughi.
  Volevo fare specificamente alcune considerazioni e domande. Rispetto agli scenari complessi e all'attività sul campo – che anche io auspico possa essere ulteriormente rafforzata, anche dal punto di vista economico, da parte dell'Italia –, nei Paesi dove è maggiore la presenza di profughi – si è parlato del Sahel, dell'Etiopia e ovviamente della Libia e dei Paesi vicini e confinanti con la Siria – qual è mediamente il rapporto dei Governi nazionali nei confronti dell'attività dell'UNHCR? Ci sono elementi di collaborazione? Le chiedo, quindi, se ci sono dei profili che in qualche modo cercano di rallentare l'attività che, peraltro, spesso ha anche una funzione di svelare determinati comportamenti inaccettabili come, per esempio, le vicende libiche in relazione alla possibilità, che è stata determinata solo recentemente, di accesso delle organizzazioni umanitarie su quel territorio, visto che non era firmataria della Convenzione di Ginevra. Da parte dell'entità statuale ci sono dei fenomeni che in qualche modo ostacolano esplicitamente o rallentano e rendono più difficile l'attività dell'Alto Commissariato?
  La seconda considerazione e domanda è relativa all'emergenza COVID-19. Il programma COVAX (COVID-19 Vaccines Global Access) deve essere ancora implementato, perché evidentemente i vaccini mancano anche nel nostro Paese e in Europa. Questo programma è sostenuto ed ha la possibilità di essere realizzato con efficacia anche nei campi gestiti direttamente dall'UNHCR, o comunque nelle interazioni che l'UNHCR ha con i flussi di persone rifugiate, affinché possano essere vaccinate?
  La terza e ultima considerazione riguarda il fenomeno crescente del terrorismo, Pag. 12 in particolare nel Sahel. Le chiedo se in questa regione la presenza di organizzazioni terroristiche che si stanno radicalizzando e stanno diventando sempre più fondamentaliste, oltre che rivolgersi contro la popolazione e contro le entità statuali, pur debolissime, che ci sono in quella parte del mondo, si rivolga anche esplicitamente con eventuali azioni di attacco o di minaccia nei confronti dell'Alto Commissariato nel momento in cui svolge le sue funzioni di protezione umanitaria. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie mille. Abbiamo ancora tre colleghi iscritti a parlare, ma resta poco tempo, perché poi l'Alto Commissario ha un impegno successivo. Per questo motivo invito a essere il più possibile concisi. La parola all'onorevole Valentini di Forza Italia.

  VALENTINO VALENTINI (intervento da remoto). Grazie. Sarò telegrafico. Ho due domande: la prima riguarda la rotta terrestre di cui aveva parlato l'Alto Commissario, che ringrazio per la Sua presentazione molto interessante e rilevante. L'Alto Commissario ha parlato di un contributo e di un aiuto che poteva essere fornito per dotare questi Paesi dei giusti meccanismi. Le chiedo, quindi, di chiarire un poco sia qual è la situazione sia quali sono le esigenze principali.
  L'altra domanda riguarda lo scenario afgano, a cui anche Lei ha fatto un cenno: in uno scenario più pessimistico, o forse realistico, il ritiro statunitense prelude al fatto che vi possano essere nuovi flussi di rifugiati o di coloro che avevano collaborato con gli Stati Uniti. Infatti, dal Vietnam in poi o dall'Iraq sappiamo qual è la situazione di coloro che avevano collaborato una volta che il Paese era piombato in altre situazioni. In generale quali sono le previsioni e gli scenari che si stanno facendo, anche di tipo negativo, in caso di un deteriorarsi della situazione? Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie per la brevità. Adesso la parola all'onorevole Comencini della Lega.

  VITO COMENCINI (intervento da remoto). Grazie. Ringrazio anche io l'Alto Commissario. Volevo chiedere alcune precisazioni su alcuni fronti. Per quanto riguarda la questione libica, quello che ha detto è molto interessante e vorrei capire meglio secondo le Nazioni Unite e secondo Lei – Lei parla chiaramente di stabilizzazione e di uno scenario in evoluzione in senso anche positivo, probabilmente grazie all'intervento del nostro Premier – quanto le potenze internazionali che incidono, in particolar modo Turchia e Russia, da questo punto di vista incidono anche sull'eventuale stabilizzazione o meno della Libia?
  Un'altra domanda invece riguarda la questione degli sbarchi, o meglio dell'immigrazione, perché Lei ha parlato – e su questo condivido – che la stabilizzazione comporterà chiaramente anche una migliore gestione dei flussi dei veri rifugiati, di coloro che realmente scappano dalla guerra e permetterà, invece, di evitare che vengano immigrati clandestini che non scappano dalla guerra, ma che sono solo clandestini. Da questo punto di vista devo anche permettermi di dire che non condivido molto quello che ha detto sulla questione degli sbarchi, nel senso che gli sbarchi purtroppo si sono dimostrati uno strumento per portare in Europa anche eventuali terroristi e che, come ben sappiamo, è stato utilizzato anche come traffico di esseri umani e di persone che vengono poi portate in Europa per essere sfruttate nell'illegalità. Da questo punto di vista, per quanto riguarda le ong, forse va fatta una distinzione tra chi opera in maniera realmente di soccorso e chi invece semplicemente favorisce l'immigrazione clandestina. Quindi, chiedo una considerazione in questo senso.
  Mi sono collegato un po' tardi e non so se è stato affrontato il seguente tema: volevo chiedere se può dirci qualcosa riguardo alla situazione di tensione che c'è vicino sempre all'Europa, anzi in Europa, ovvero la situazione nell'est dell'Ucraina, nel Donbass. Infatti, sappiamo come si è alzata la tensione. Vorrei capire come vedono questa situazione le Nazioni Unite e se c'è qualche speranza che si possa riprendere un percorso di pace attraverso il Pag. 13rispetto degli accordi di Minsk o se questa escalation è sempre più inarrestabile.
  Infine, vi è un'ultima questione che magari può sembrare un po' più distante, ma in realtà è molto vicina a noi, all'Europa e alle nostre politiche, che è fondamentale, ovvero la questione della Cina. Non so se questo tema sia già stato affrontato – e se lo è stato mi scuso per la domanda – però credo che sia importante: in Parlamento stiamo discutendo in particolar modo della questione del genocidio o comunque della persecuzione degli uiguri, ma c'è anche la questione dei cristiani perseguitati in Cina, la questione dei laogai, dell'esportazione forzata di organi nei confronti dei detenuti dei laogai e tanti altre crimini che vengono commessi in maniera abbastanza evidente nel regime cinese, della Cina comunista. Da questo punto di vista vorrei sapere la posizione delle Nazioni Unite, se vi è qualcosa in particolare da poter rilevare o se vi è anche consiglio per noi come Commissione Esteri nell'affrontare questi temi. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie mille. Adesso per l'ultimo intervento si è prenotato l'onorevole Palazzotto. Chiedo la massima brevità, perché restano quindici minuti per la risposta.

  ERASMO PALAZZOTTO (intervento da remoto). Grazie, presidente. Mi unisco velocemente ai ringraziamenti al dottor Grandi per questa audizione e per il lavoro che svolge. Faccio una domanda secca: anche alla luce delle cose che Lei ci ha detto, del quadro complessivo dei diritti umani in Libia e in particolar modo nei campi di detenzione, Lei come valuta il supporto alla Guardia costiera libica fornito dall'Italia e dai Governi europei? Grazie. Sono stato brevissimo.

  PRESIDENTE. Grazie mille, davvero. Do la parola al dottor Grandi per la replica. Le chiedo molto brevemente se può dare un accenno anche sul Nagorno-Karabakh e sul tema accennato dall'onorevole Comencini, che riguarda tante forze politiche presenti in questa Commissione, ovvero la persecuzione dei cristiani. Grazie.

  FILIPPO GRANDI, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati. Grazie, presidente. Siccome il tempo è poco e le domande tantissime, dovrò essere molto telegrafico nelle mie risposte. Innanzitutto, ringrazio tutti coloro che sono intervenuti e la Commissione in generale per questo interesse che sento forte e che apprezzo, ma anche per le parole di appoggio. Sono contento – ve lo dico anche come italiano – di vedere che questo appoggio attraversa tutto lo schieramento politico. Quindi, grazie per questo e credo che sia importante che sia e che resti così, facendo eco alle parole dell'onorevole Del Re, che condivido completamente. Il lavoro umanitario si innesta sul lavoro politico: infatti, sono strettamente connessi anche se chiaramente separati per ragioni che tutti comprendiamo; ma deve anche diventare parte dell'analisi politica – cito quello che Emanuela ha detto poco fa –, perché è uno strumento di analisi, è una chiave di lettura delle crisi estremamente importante in termini di allerta per future crisi, in termini di analisi delle cause delle crisi stesse e in termini di come si possono delineare delle soluzioni a queste crisi. È sempre una buona chiave di lettura. Quindi, sono contento che lo interpretiate anche da questo punto di vista.
  Faccio una carrellata rapidissima, senza un ordine particolare, delle varie situazioni a cui avete fatto accenno. Faccio semplicemente riferimento alle situazioni. Per quanto riguarda l'Afghanistan, chiaramente il ritiro americano, ma soprattutto i negoziati tra i talebani e la cosiddetta «Repubblica», cioè il Governo legittimo afgano, sono in una fase critica; se procederanno nel modo giusto, credo che potremmo assistere a una fase più stabile della situazione afgana, ma non lo è in questo momento, dal punto di vista della sicurezza, dell'economia e dal punto di vista umanitario. Se, invece, questi negoziati dovessero andare per il verso sbagliato e non dovessero preservare, anche in un inevitabile compromesso politico con i talebani, alcuni importanti progressi fatti negli ultimi anni dal punto di vista dei diritti delle donne, delle minoranze e così via, io prevedo un aggravamento della situazione che, purtroppo, – ve lo dico molto Pag. 14sinceramente – avrà un impatto anche sull'Europa, perché i movimenti di popolazione verranno di nuovo da questa parte attraverso l'Iran, la Turchia, la rotta balcanica e così via. È importantissimo che l'Europa resti coinvolta, impegnata e partecipe dello sforzo che si sta svolgendo in questo momento sotto la leadership americana.
  Passando all'Ucraina, io non sono molto ottimista: purtroppo le tensioni degli ultimi giorni e delle ultime settimane sono molto preoccupanti. Dal nostro punto di vista noi lavoriamo nel Donbass e nella zona che non so se chiamare «secessionista», ma comunque è la zona orientale del Paese che è controllata da gruppi più legati alla Russia. Il processo politico non avanza. Abbiamo fatto qualche progresso dal punto di vista umanitario, come la possibilità per la popolazione di muoversi attraverso la linea di contatto eccetera, però questa crescita di tensioni ci preoccupa molto. Ricordo che è un conflitto in corso da molto tempo, che ha fatto moltissime vittime – anche se non se ne parla –, che ha causato sofferenze indicibili alla popolazione civile ucraina e che, quindi, richiede attenzione da parte dell'Europa.
  Siamo anche impegnati – non so se «impegnati» sia la parola giusta – da decenni in Armenia e in Azerbaijan a causa della crisi irrisolta nel Nagorno-Karabakh. Recentemente, l'accordo di cessate-il-fuoco fra i due Paesi ha una clausola specifica che prevede l'intervento dell'Alto Commissariato per aiutare le popolazioni che si sono spostate a causa di questo conflitto a ritornare ai propri luoghi d'origine. Sono personalmente impegnato in un dialogo complesso con le due leadership e credo che qualche piccolo progresso si faccia, ma anche questo è un conflitto non risolto. Bisogna dire che la Russia svolge un lavoro molto importante di mediazione che credo vada appoggiato e incoraggiato.
  Ci sono state domande importanti dell'onorevole Comencini – se non sbaglio – sulla Cina: non voglio rifuggire da nessuna domanda, ma tengo a precisare che sono l'Alto Commissario per i rifugiati e non l'Alto Commissario per i diritti umani. Nonostante le violazioni dei diritti umani ci riguardino profondamente, soprattutto quando sono causa di esilio e di fuga e quindi noi ci occupiamo di quelle persone che a causa di quelle violazioni a cui Lei ha fatto riferimento escono dalla Cina e sono rifugiate – e ce ne sono –, la situazione, il dialogo e la conversazione con la Cina sui diritti umani non ci vede impegnati in prima persona, vede altre istanze delle Nazioni Unite – il Segretario Generale, l'Alto Commissario dei diritti umani Bachelet – e quindi è a loro che questo tipo di domande va rivolto, ma comprendo molto bene che sono questioni estremamente importanti nella geopolitica presente.
  Per quanto riguarda i Balcani, quello che va fatto – noi lo diciamo da molto tempo – è rafforzare la capacità di tutti gli Stati di transito su quella rotta – parlo specialmente della Bosnia, ma anche di Stati dell'Unione europea, come la Croazia e la Slovenia – di poter gestire questi flussi, perché la gestione non stabilizza completamente i flussi, ma la buona gestione li può ridurre molto. Inoltre, le gestione dei flussi rende anche più legittimo dal punto di vista legale e anche più accettabile il fatto che, ad esempio, l'Italia dica: «Io non voglio trattare questi casi, che possono essere trattati da Stati a monte sulla rotta, Stati dell'Unione come la Slovenia e la Croazia.». Purtroppo la gestione di questi flussi in quei Paesi è piuttosto fragile. Abbiamo visto respingimenti violenti alla frontiera croata, su cui noi dobbiamo assolutamente continuare a mantenere un atteggiamento molto vigilante, ma la soluzione di queste crisi passa attraverso il dialogo con i Paesi. Noi dialoghiamo con la Croazia, la Commissione europea dialoga con la Croazia e questo dialogo va continuato.
  Anche per rispondere alla domanda dell'onorevole Quartapelle, in Libia la nostra proposta è certo di smantellare questi centri di detenzione – che non sono neppure dei campi, ma sostanzialmente sono delle prigioni –, e non di creare altri campi, che non è la soluzione migliore, ma per coloro che non possono usufruire di corridoi umanitari o di evacuazioni di vario tipo, di creare programmi di assistenza e supporto Pag. 15nelle comunità, perché è lì dove finiranno a trovarsi, com'era in passato prima del conflitto. È su questo che dobbiamo lavorare insieme per convincere le autorità a darci lo spazio per questi programmi che noi chiamiamo «programmi urbani». Abbiamo fatto progressi e io credo che in questo accordo politico ci sia più spazio ma abbiamo bisogno di appoggio. Per noi l'appoggio italiano è sempre stato fondamentale in Libia, ma abbiamo anche bisogno di appoggio di base, come ottenere i visti per il nostro personale o il permesso di muoversi. È molto difficile lavorare in Libia, continua ad esserlo e, quindi, abbiamo bisogno di appoggio.
  L'onorevole Comencini ha parlato delle varie influenze politiche di vari Paesi come la Turchia e altri: purtroppo quello che accade – non solo in Libia, ma anche per esempio in Siria o nello Yemen, che non ho menzionato – è che questi conflitti riflettono il multipolarismo prevalente nella geopolitica internazionale. Il multipolarismo, per organizzazioni come la mia che devono inserirsi nei conflitti, è molto più complicato della vecchia predominanza americana o del bipolarismo della Guerra Fredda. È molto più complicato. Queste sono spie, sintomi di questo multipolarismo, in cui diversi Paesi promuovono le proprie agende nazionali nei conflitti. Non mi riferisco a uno o all'altro, ma mi riferisco a quasi tutti i Paesi che hanno la possibilità di farlo. È per questo che continuo a fare appello, almeno dal punto di vista umanitario, all'unità politica della comunità internazionale, soprattutto quando il risultato di questi interferenze sono crisi umanitarie drammatiche come nello Yemen, in Libia o in Siria.
  Per quanto riguarda il Sahel e il terrorismo, purtroppo abbiamo avuto minacce, rapimenti e anche qualche attacco. Prevalentemente il terrorismo attacca le popolazioni civili o i militari delle forze regolari, però purtroppo molto spesso questo ha avuto un impatto anche su di noi.
  Potete immaginare l'atteggiamento dei Governi nazionali in generale: quando la situazione è relativa alle violazioni di diritti umani nei quali i Governi nazionali hanno una responsabilità, il rapporto diventa difficile, ad esempio in posti come il Myanmar. Purtroppo il dialogo è stato difficile in Etiopia, anche se è costruttivo ed è pur sempre un Paese molto amico per noi, ma è stato difficile. Il dialogo è stato sicuramente difficile in Libia e a volte lo è stato in Siria. Ci sono Paesi che, invece, sono recettori di grandi numeri di rifugiati come la Colombia e la Giordania, con i quali il dialogo è più facile e più costruttivo.
  Direi che il COVID-19 più che avere un impatto sanitario, ha avuto un impatto socio-economico. I Paesi con meno risorse beneficiano del programma COVAX e in tutti questi Paesi noi abbiamo ottenuto che i rifugiati, i migranti e gli sfollati siano inclusi nelle campagne di vaccinazione. Tuttavia, il problema è che questi Paesi hanno ricevuto pochissimi vaccini: infatti, c'è una diseguaglianza nel mondo che è gravissima e penso che sia particolarmente grave dal punto di vista della salute, perché questo virus non conosce confini. Quindi, se c'è una diseguaglianza potrebbe finire per avere delle conseguenze anche per i Paesi che, invece, avanzano dal punto di vista delle vaccinazioni.
  Mi segnalano che devo andare. Ho un appuntamento con il Ministro degli Esteri fra tredici minuti e non vorrei farlo aspettare. Ringrazio tutti moltissimo per questi interventi estremamente importanti. Mi spiace di non far giustizia a tutti gli importanti interventi, ma grazie del vostro appoggio e della vostra solidarietà, su cui senz'altro continuiamo a contare. Arrivederci.

  PRESIDENTE. Grazie davvero. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.45.