XVIII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta antimeridiana n. 23 di Mercoledì 19 febbraio 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Grande Marta , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'IMPEGNO DELL'ITALIA NELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE PER LA PROMOZIONE E TUTELA DEI DIRITTI UMANI E CONTRO LE DISCRIMINAZIONI

Audizione del Portavoce di Amnesty International Italia , Riccardo Noury.
Grande Marta , Presidente ... 2 
Noury Riccardo , Portavoce di ... 3 
Grande Marta , Presidente ... 7 
Palazzotto Erasmo (LeU)  ... 7 
Quartapelle Procopio Lia (PD)  ... 8 
Suriano Simona (M5S)  ... 8 
Comencini Vito (LEGA)  ... 9 
Carelli Emilio (M5S)  ... 9 
Grande Marta , Presidente ... 10 
Noury Riccardo , portavoce ... 10 
Grande Marta , Presidente ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MARTA GRANDE

  La seduta comincia alle 14.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web TV della Camera dei deputati.

Audizione del Portavoce di Amnesty International Italia , Riccardo Noury.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'impegno dell'Italia nella comunità internazionale per la promozione e tutela dei diritti umani e contro le discriminazioni, l'audizione del portavoce di Amnesty International Italia, Riccardo Noury.
  Saluto e ringrazio per la sua disponibilità a prendere parte ai nostri lavori il dottor Noury, che è accompagnato da Giulia Groppi.
  Nell'ambito dell'impegno per la mobilitazione e l'attivismo per i diritti umani, per l'attuazione della Dichiarazione Universale dei diritti umani del 1948 e della Carta dei valori intitolata «Io non discrimino», la sezione italiana di Amnesty International è in questa fase particolarmente concentrata sulla situazione dei diritti umani in Egitto, alla luce del caso che ha coinvolto Patrick Zaki, ricercatore egiziano di ventisette anni, arrestato al Cairo e torturato in carcere per il suo impegno nella dissidenza contro il regime di al-Sisi.
  L'Italia segue con apprensione il caso Zaki, che è cittadino egiziano, ma che è stato assai legato al nostro Paese e in particolare all'Università di Bologna, di cui è studente. Zaki risulta accusato di diffusione di notizie false, incitamento alla protesta, istigazione alla violenza e ai crimini terroristici, allo scopo di sovvertire i principi fondamentali della Costituzione. L'angosciosa vicenda si inserisce nel contesto di un Paese, l'Egitto, nel quale la situazione dei diritti umani appare gravemente compromessa. Come abbiamo avuto modo di apprendere nel corso dell'audizione con rappresentanti della società civile egiziana, svoltasi il 7 novembre scorso, vi si registrano continue violazioni della libertà di espressione, di associazione e di riunione, tutte sancite dalla Costituzione egiziana, oltre che dal diritto internazionale umanitario.
  La vicenda di Patrick Zaki presenta, peraltro, evidenti analogie con le circostanze che hanno portato all'assassinio per tortura di Giulio Regeni, e in generale rinvia all'urgenza di rinnovare l'impegno della comunità internazionale alla tutela dei difensori dei diritti umani e dei giovani studiosi che sono impegnati nei propri Paesi e in tutto il mondo su tematiche sensibili per il diritto internazionale umanitario. Sussiste infatti l'esigenza che la comunità internazionale elabori celermente strumenti innovativi per assicurare, anche attraverso le opportune sinergie con la rete internazionale delle accademie, le condizioni per il pieno esercizio della libertà alla ricerca, assicurando la necessaria protezione agli studenti ricercatori.
  A questo proposito mi fa piacere ricordare che il 12 febbraio il Presidente del Parlamento europeo David Sassoli ha chiesto l'immediata liberazione di Patrick, ricordando Pag. 3 alle autorità egiziane che l'Unione europea condiziona i suoi rapporti con i Paesi terzi al rispetto dei diritti umani e civili, come ribadito da molte risoluzioni approvate dal Parlamento.
  In occasione della imminente Conferenza interparlamentare per il controllo sulla politica estera e di difesa dell'Unione europea, che si celebra a inizio marzo a Zagabria, promuoverò a nome della delegazione italiana l'inserimento nel testo delle conclusioni di un paragrafo dedicato all'urgenza di condizionare le relazioni esterne dell'Unione europea al rispetto dei diritti umani e di rafforzare la tutela di difensori dei diritti umani e di giovani studiosi. Fatta questa premessa do la parola al dottor Noury per il suo intervento e poi passiamo alle domande da parte dei colleghi.

  RICCARDO NOURY, Portavoce di Amnesty International Italia. Grazie, presidente. Buongiorno ai deputati e alle deputate della Commissione. Per iniziare, se Lei è d'accordo, due parole su Patrick, per poi affrontare la situazione complessiva dei diritti umani in Egitto, nella quale si colloca la vicenda dello studente.
  Patrick Zaki è una minoranza nella minoranza. Appartiene alla minoranza cristiana copta, spesso perseguitata in Egitto, ma fa parte di quel piccolo gruppo di quella comunità che non è stato esattamente entusiasta della salita al potere del presidente Abdel Fattah al-Sisi nel luglio del 2013. Ha svolto attività di ricerca e documentazione sulla situazione delle minoranze, sulla discriminazione di genere e sulla discriminazione delle persone LGBT all'interno di un'organizzazione tra le più prestigiose tra le ong egiziane, che è la Iniziativa egiziana per i diritti delle persone. Questi suoi centri di interesse lo hanno spinto dopo la laurea a candidarsi per un master a Bologna, superando una selezione rigorosissima che lo ha visto alla fine dell'agosto scorso partire dall'Egitto per Bologna per prendere parte a questo master. In altre parole, Patrick non è, come viene dipinto dai media egiziani, un ricercato che ha evaso la giustizia riparando in Italia quasi di nascosto, come un fuggiasco. È un attivista per i diritti umani, come tanti, tantissimi in Egitto, che ha deciso di proseguire e perfezionare i suoi studi e i suoi interessi in un ateneo tra i più prestigiosi d'Europa. Questo corso, questo master che ha frequentato per sei anni, gli ha valso riconoscimenti sul piano umano e anche dal punto di vista degli studi. Ha superato con esito brillante un esame, per poi pensare di festeggiare anche questo buon esito all'inizio del mese scendendo in Egitto per andare a trovare, dopo lo scalo al Cairo, la sua famiglia nella città di Mansura, che è nel Delta del Nilo. Da lì, come sapete, è successo qualcosa che gli ha impedito di raggiungere il suo obiettivo e che per la sequenza di fatti rende la vicenda di Patrick simile a tante altre vicende di attiviste e attivisti per i diritti umani in Egitto. Un arresto all'aeroporto del Cairo; un periodo di sparizione, presumibilmente all'interno dello stesso aeroporto del Cairo o comunque in città; una ricomparsa dopo ventiquattro-ventisette ore, durante le quali egli ha denunciato di essere stato torturato; l'arrivo, sabato 8 febbraio, in una stazione di polizia di Mansura e un'ordinanza di detenzione preventiva emessa la sera stessa dell'8; un'udienza di fronte al Tribunale del riesame sabato 15 che ha visto rigettato l'appello contro la detenzione e, la data più importante successiva, quella di sabato 22. Poi vorremmo illustrarvi le ragioni per cui questa data è così importante.
  È importante adesso vedere in che modo la vicenda di Patrick Zaki si colloca all'interno del sistema di violazioni dei diritti umani in Egitto. Amnesty International, per definire questa situazione, usa degli ossimori come «emergenza normalizzata» oppure «stato di eccezione permanente». In altre parole è quella situazione abbastanza tipica nella realtà internazionale per cui intorno a una norma eccezionale qual è lo stato d'emergenza – che è stato rinnovato nell'aprile 2017 – si mettono intorno tutta una serie di norme ordinarie che fanno sì che di fatto l'emergenza venga codificata all'interno del codice ordinario. E queste norme sono numerose.
  Naturalmente c'è la legge antiterrorismo del 2015, che è un po’ l'architrave del sistema repressivo della presidenza al-Sisi. Pag. 4È una legge che contiene una definizione di terrorismo assolutamente ampia e generica, che rischia di criminalizzare e di fatto ha criminalizzato anche attività del tutto legittime, non violente, pacifiche ed estranee alla militanza nei gruppi armati islamisti.
  C'è la legge sulle ong del 2017, che prevede il diniego di registrazione, restrizioni alle attività e al finanziamento, a cui si è aggiunta una legge sempre sulle ong del 2019, che ora stabilisce il divieto di ricerche, sondaggi e altro senza l'autorizzazione del Governo. Addirittura c'è stato un emendamento recente all'articolo 78 del Codice penale che prevede l'ergastolo per coloro che all'interno delle associazioni, delle ong, ricevono finanziamenti dall'estero.
  Ci sono poi le leggi che hanno progressivamente – come diciamo noi – «sisificato» il mondo dell'informazione, creando un sistema di megafoni delle posizioni del Governo, costringendo alla chiusura numerosi organi di informazione. Un mese fa la redazione del portale Mada Masr, che è il più coraggioso tra i pochi media indipendenti rimasti in funzione, è stata assaltata durante una riunione di redazione. La direttrice Lina Attallah è stata fermata per alcune ore insieme ad altri colleghi, compresi quelli della stampa straniera.
  C'è la legge sulle proteste del 2013, che rafforza il dispositivo di una legge sulle manifestazioni che risale addirittura al 1914. Di fatto, manifestare in forma pacifica, come garantito dalla Costituzione egiziana e dal diritto internazionale, oggi in Egitto non è possibile. Infatti uno dei capi d'accusa che sono contenuti regolarmente nei mandati di cattura nei confronti delle persone come Patrick è proprio l'incitamento a manifestazione illegale.
  Ci sono altre norme. C'è la legge sui sindacati indipendenti, che di fatto sottomette la loro indipendenza al controllo della Federazione sindacale egiziana, che è governativa. C'è la legge sull'impunità degli alti funzionari delle Forze armate, che ha stabilito che non vi saranno procedimenti giudiziari per tutti i dirigenti delle Forze armate implicati in quelle che noi definiamo violazioni dei diritti umani dal 2013 al 2016. Tra queste voglio ricordare quella che è passata per noi addetti ai lavori e alla storia come la «Tienanmen del Cairo»: almeno novecento civili furono uccisi intorno a ferragosto del 2013, nel primo atto repressivo della presidenza al-Sisi, durante due tendopoli organizzate dalla Fratellanza Musulmana, movimento fuorilegge, per protestare contro la deposizione dell'ex Presidente Mohamed Morsi e il colpo di Stato dell'allora Generale e poi Presidente Abdel Fattah al-Sisi.
  Vorrei aggiungere qualche dato. Le fonti sono Amnesty International, Human Rights Watch e le ong egiziane con cui lavoriamo. Noi abbiamo un totale di 61 mila prigionieri stimati in Egitto ed è un numero molto ampio, ma comprende due categorie diverse di prigionieri.
  Quelli che noi consideriamo prigionieri di coscienza, cioè persone incarcerate unicamente per aver espresso le loro idee, sono nell'ordine delle migliaia, che comunque è un numero non piccolo. Caratteristica comune a queste persone è il fatto di rimanere in detenzione preventiva per tempi lunghissimi, che a volte arrivano fino a cinque anni. C'è un caso che è noto anche in Italia ed è quello di Mahmoud Abu Zeid, un giornalista noto come Shawkan. Fu arrestato proprio durante la Tienanmen dell'agosto 2013, mentre era lì per fare il suo lavoro di fotoreporter. Ha trascorso da allora cinque anni e mezzo di detenzione per venire condannato a cinque anni, che era un periodo di carcere inferiore a quello già scontato in detenzione preventiva, quindi è stato rilasciato con questo paradosso. C'è un altro caso interessante, perché riguarda l'Europa: un cittadino irlandese di nome Ibrahim Halawa è stato fermato a sua volta nell'agosto del 2013 e, nonostante i tentativi del governo di Dublino di farlo rilasciare, è rimasto in prigione per quattro anni. È entrato in prigione da minorenne e ne è uscito da maggiorenne. Centinaia di civili sono stati processati in Corte marziale, 384 soltanto nel 2018. Questa è una prassi contraria al diritto internazionale, che vieta che i civili siano processati dai militari.
  Parliamo di sparizioni. Il picco è stato raggiunto nel 2015 con una media di due o Pag. 5tre al giorno e si è visto confermare negli anni successivi. Le ong egiziane stimano novecento sparizioni avvenute nel 2019. Amnesty International è riuscita a calcolarne 790 con nomi, cognomi e circostanze. È interessante sottolineare come il tema delle sparizioni in un contesto generale di diniego delle violazioni dei diritti umani – apro una parentesi per dire che la Commissione nazionale per i diritti umani, che ha un nome molto suadente, istituita in Egitto, non è altro che il paravento per coprire il Governo da accuse di violazione dei diritti umani – in questo contesto di diniego ufficiale e totale per cui la tortura non c'è, i prigionieri di coscienza non ci sono e le sparizioni non ci sono, è fondamentale sottolineare il ruolo della Procura generale. Possiamo dire che è il braccio giudiziario del regime, nel senso che gli uffici della Procura hanno il ruolo di negare l'esistenza del fenomeno delle sparizioni. In che modo? Certificando che la persona comparsa di fronte a un procuratore è stata arrestata semplicemente ventiquattro ore prima, dunque viene portata di fronte alla Procura nel rispetto della legge. In realtà quelle ventiquattro ore possono essere anche ventiquattro settimane.
  Pena di morte. Noi abbiamo questi due numeri: dal 2013 ci sono state oltre 2.400 condanne a morte e almeno 174 esecuzioni, spesso al termine di processi iniqui. Per fare un raffronto, negli ultimi tre anni di presidenza di Mubarak c'erano state undici condanne a morte e nei sei anni di al-Sisi 2.400, di cui 174 per l'appunto eseguite.
  Prassi, prassi crudeli. Anche quando un tribunale dispone il rilascio di un detenuto, la polizia impiega settimane per eseguire questa sentenza, l'ordinanza di rilascio. Non è infrequente che pochi minuti dopo il rilascio la persona venga raggiunta da un nuovo mandato di cattura e arrestata nuovamente, come per inciso è successo esattamente ieri sera al leader della società civile turca Osman Kavala: dopo due anni e mezzo di carcere è stato assolto e arrestato dopo due ore per un'altra imputazione.
  Un altro dato che voglio sottolineare è riferito alla «super Procura», la Procura antiterrorismo. Da 529 casi trattati nel 2013 siamo passati a 1.739 nel 2018, tre volte tanto. Un'altra misura crudele, usata molto frequentemente, è quella relativa alla libertà condizionata, chiamiamola così: alla fine della pena si stabilisce che la persona debba trascorrere un periodo di tempo variabile – mesi o anche anni – in un regime di semilibertà, che consiste nel fatto che dalle 18 alle 6 di mattina deve stare all'interno di una stazione di polizia. Ci sono evidenti problemi di incolumità, l'impossibilità di rifarsi una vita anche familiare completa e l'impossibilità di tornare a svolgere attività professionali.
  Tortura. La usava Mubarak, la usava Sadat ed era usata nel periodo di regime militare dopo la caduta di Mubarak. L'ha usata il Governo della Fratellanza Musulmana, la usa massicciamente al-Sisi. Metodi classici di tortura sono percosse, scariche elettriche, stupri – anche nei confronti di minorenni –, sospensioni per lungo tempo appesi al soffitto. Ci sono altre due forme di tortura che meritano di essere sottolineate: intanto l'isolamento completo per molti anni. Noi abbiamo i nomi di sessantuno prigionieri che non vedono i propri familiari da cinque anni e si trovano in isolamento all'interno della prigione. Poi c'è il diniego di cure mediche: ci sono state 762 morti in carcere a causa di diniego di cure mediche per malattie sopraggiunte proprio a causa delle condizioni disumane di detenzione. Il caso più noto di morte per diniego di cure mediche è quello dell'ex Presidente Mohamed Morsi.
  Per stringere su Patrick vorrei dirvi che dal 2013 al 2016, all'interno del mondo studentesco universitario, sono stati arrestati 1.100 studenti, altri mille sono stati espulsi o sottoposti a misure disciplinari, sessantacinque sono stati condannati dopo processi in Corte marziale e ci sono ventuno vittime di esecuzioni extragiudiziali.
  C'è una questione da non nascondere ed è bene evidenziarla. È il tema della sicurezza, il tema del conflitto armato interno che c'è in Egitto, soprattutto nel Sinai settentrionale, dove operano gruppi armati islamisti e l'informazione è completamente oscurata, nel senso che si possono riportare Pag. 6solo le informazioni fornite dall'esercito. Però noi sappiamo che dal gennaio 2014 al giugno 2018 ci sono stati oltre 4 mila morti, 3.076 tra militanti dei gruppi armati islamisti e civili e 1.266 tra polizia ed esercito. Ci sono stati 12 mila arresti, 100 mila persone sgomberate e solo nella prima parte del 2018 oltre 3.600 abitazioni ed esercizi commerciali demoliti. Il punto è che questa situazione di conflitto armato, e quindi il tema della sicurezza, viene utilizzato dalle autorità egiziane per giustificare il completo giro di vite nei confronti di ogni forma di espressione pacifica delle opinioni, tanto offline attraverso il divieto di manifestare, quanto online attraverso l'oscuramento di portali, il controllo delle app, il controllo attraverso software di cyberspionaggio dei profili di utenti considerati sensibili. Quindi, in altri termini, la retorica della sicurezza della lotta al terrorismo non può essere considerata attendibile quando in nome di essa si giustificano arresti di massa di blogger, giornalisti, studenti, ricercatori, avvocati – il tutto declinato anche al femminile –, difensori dei diritti umani.
  Voi sapete bene che molti tra i difensori dei diritti umani che in questi anni hanno cercato di collaborare e contribuire alla ricerca della verità per Giulio Regeni hanno pagato o hanno rischiato di pagare un prezzo molto duro. Diversi di loro sono finiti in carcere e vi hanno trascorso settimane, se non mesi. Alcuni di loro sono ancora in carcere, come Ibrahim Metwaly, che è stato arrestato nel settembre 2017 mentre si stava recando a Ginevra per partecipare a una conferenza sulle sparizioni forzate indetta dalle Nazioni Unite. Questo avvocato, Metwaly, è uno dei legali più insigni del Paese. È il presidente dell'Associazione genitori delle persone scomparse ed è scomparso a sua volta tra il 10 e il 12 settembre del 2017, per poi riapparire e iniziare la litania dei quindici giorni, quindici giorni, quindici giorni.
  Qui viene il punto – e concludo – che riguarda Patrick Zaki e la data del 22 febbraio. Quella data è cruciale. Possono succedere due cose, non ce n'è una terza: Patrick può essere messo in libertà su cauzione, pur restando a disposizione degli inquirenti, quindi – ipotizzo – con un divieto di espatrio e forse anche di lasciare la città di Mansura e quindi forse qualche forma di arresto domiciliare; ma insomma questa è libertà su cauzione, in qualche modo; oppure può accadere che la detenzione venga rinnovata per quindici giorni. Se questo dovesse accadere, Patrick entrerebbe in quella lista lunghissima di donne e uomini, esponenti della società civile in Egitto, che stanno dentro questo frullatore dei quindici giorni, che diventa un rituale. Si dice: «Rinnoviamo per quindici giorni perché c'è da fare un supplemento di indagini». Ma siccome le indagini si basano sul nulla, non c'è alcun supplemento da fare e si langue in carcere. Lo scopo è far dimenticare a chi segue quelle vicende il destino delle persone, con l'obiettivo di fiaccarle tenendole anche per anni in carcere, per poi magari prosciogliere con la misura cautelare del soggiorno notturno nella stazione di polizia o arrivare a un processo irregolare basato su prove prefabbricate e a una condanna. Questo è lo scenario peggiore che potrebbe accadere riguardo a Zaki. Le cinque accuse indimostrabili che sono contenute nel mandato di cattura possono comportare una condanna all'ergastolo, che in Egitto è automaticamente commutato in venticinque anni di carcere. Però vorrei farvi notare che quelle cinque cose che stanno scritte lì – danno alla sicurezza nazionale, incitamento a manifestazioni illegali, sovversione, diffusione di notizie false e promozione del terrorismo – sono il set di accuse che colpiscono esattamente quel tipo di persone che potremmo definire il meglio della società civile egiziana e che per un triste paradosso sono considerate, anziché delle eccellenze, delle minacce, dei pericoli, dei nemici.
  Mahienour al-Masri, una delle più brillanti avvocate egiziane, che ha ricevuto premi internazionali, è entrata nel frullatore dei quindici giorni dal 23 settembre. Il suo caso per alcune settimane è stato tenuto d'occhio dai mezzi d'informazione e ora continuiamo a occuparci di lei, ma senza che questo nome dica più nulla. Mahienour sta scontando in automatico Pag. 7ormai quindici giorni di detenzione. Noi non vorremmo mai che Patrick si trovasse un giorno nelle condizioni di Mahienour, dimenticato in un carcere egiziano. Questo mi porta a dirvi due cose, per concludere veramente. Una è che fino al 22 febbraio, per poter ottenere un esito positivo all'udienza, è necessaria la massima mobilitazione, che sia di piazza, che sia d'informazione, che sia delle istituzioni. La seconda cosa è che se il 22 dovesse arrivare un esito sfavorevole, noi di Amnesty International facciamo queste cose e siamo pronti ad affrontare una campagna di medio o lungo periodo, quanto sarà necessario, però vorremmo non trovarci soli, e quindi l'auspicio è che nel caso in cui le cose vadano male, ci sia – da parte della Commissione in primo luogo visto che siamo qui, e mi rivolgo anzitutto a lei, presidente, e alla Commissione – un'attenzione, se necessario anche di lungo periodo, per non lasciare solo Patrick. Grazie.

  PRESIDENTE Grazie. Sì, diciamo che la nostra Commissione ha degli strumenti per poter seguire tranquillamente la vicenda. Abbiamo un Comitato e c'è un'indagine conoscitiva sui diritti umani, quindi sicuramente il tema verrà seguito da questa Commissione.
  Passiamo ora agli interventi da parte dei colleghi. Il primo iscritto a parlare è il collega Palazzotto, prego.

  ERASMO PALAZZOTTO. Grazie, presidente e grazie ai nostri ospiti e ad Amnesty International per il lavoro straordinario che fa, in questa vicenda come in altre, nella documentazione e nella denuncia di tutte le violazioni dei diritti umani in tutto il mondo. Su questo magari nelle repliche chiederei, anche perché rimanga agli atti di questa Commissione, di spiegare bene anche qual è il metodo con cui Amnesty raccoglie le testimonianze e quindi come vengono fondate le denunce che Amnesty fa e poi mette nei suoi rapporti, anche in occasioni come questa.
  Il quadro che voi ci avete descritto è un quadro drammatico, che in qualche modo ci carica di una grande responsabilità. Lo fa in primo luogo come cittadini e lo fa anche come Paese. Il nostro Paese ha dei doveri di antica amicizia nei confronti del popolo egiziano. I rapporti tra l'Italia e l'Egitto, al netto di quello tra gli Stati, sono rapporti di società che si sono sempre interscambiate nel Mediterraneo. È molto grande la comunità di egiziani che vive nel nostro Paese, c'è un rapporto storico anche con la piccola comunità di italiani che vive in Egitto e che ha sempre costruito quel tessuto, quella rete di relazioni e di scambio, anche culturale, straordinario. Io credo che questo ci carichi di una responsabilità, come cittadinanza e come Paese tutto, appunto nel dovere imposto dall'amicizia di difendere la vita e i diritti del popolo egiziano. Nello specifico, il caso di Patrick Zaki ci carica anche di un'altra responsabilità come Paese, perché Patrick Zaki era uno studente italiano, studiava in una delle nostre università.
  Purtroppo questa vicenda richiama alla memoria un'altra vicenda ancora aperta nei rapporti tra noi e l'Egitto, che è quella di Giulio Regeni, pur nella sua diversità. I due vengono accomunati intanto da una condizione che qui da voi è stata richiamata anche rispetto ai numeri drammatici che ci avete dato sugli arresti e le espulsioni di studenti. Questo ci dice quanto in qualche modo la cultura e il sapere siano visti da un Governo come quello egiziano come una minaccia in quanto tale. Io penso che noi proprio per questo abbiamo bisogno – nella costruzione della nostra politica estera nei confronti dell'Egitto ma penso più largamente nei confronti degli altri Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente con cui abbiamo rapporti di partnership anche molto solide – di tenere alte le bandiere dei valori che sono costituenti delle nostre società. Questo vale come lavoro che l'Italia deve fare nella costruzione dei rapporti internazionali e diplomatici e vale secondo me anche nei confronti dell'attività politica e diplomatica che il nostro Paese deve fare con gli altri partner europei. Purtroppo, uno degli elementi che noi oggi riscontriamo è che il tema della difesa dei diritti umani, della libertà e della democrazia in Paesi che oggi sono partner strategici per i Pag. 8Paesi membri dell'Unione europea, vengono sempre sacrificati per una competizione nei rapporti con questi Paesi da parte interna agli Stati europei.
  Io credo che da questo punto di vista noi dovremmo, anche per queste vicende che oggi responsabilizzano di più il nostro Paese, elevare il livello di attenzione e porre la questione della transizione democratica di Paesi come l'Egitto al centro della nostra attività diplomatica e politica nel Mediterraneo. Questo credo che oggi noi ci portiamo a casa ascoltando queste parole, sapendo che è difficile immaginare che alla luce di questo quadro anche i lavori di questa Commissione possano non tener conto nel futuro di questo tema, quando si affronteranno questioni che hanno a che fare con i rapporti tra l'Italia e l'Egitto. Questo non solo alla luce di una vicenda drammatica che già ci riguarda direttamente come l'omicidio di Giulio Regeni, ma anche più complessivamente rispetto a quello che sta accadendo. Credo sia un tema che riguarderà anche il futuro del Mediterraneo, perché è evidente che tutto questo sistema, tutto quello che si sta generando, avrà ripercussioni. Se noi rinunciamo a quella che è una battaglia per l'egemonia culturale nel Mediterraneo, il Mediterraneo diventerà sempre di più un luogo in cui democrazia, libertà e diritti umani verranno calpestati e prima o poi tutto questo riguarderà anche le nostre società. Questa è la responsabilità che io mi sento addosso, anche dopo la vostra audizione. Vi ringrazio per il lavoro che avete fatto.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Ringrazio anch'io moltissimo Riccardo Noury per tutto il lavoro che viene fatto da Amnesty. In particolare Amnesty sta facendo un lavoro che in Italia è molto utile. La vicenda di Giulio Regeni per noi rende impossibile ignorare le condizioni di violazione dei diritti umani che ci sono in Egitto, come invece purtroppo viene fatto in tanti altri Paesi europei, che dimenticano questa parte dell'Egitto. Però il lavoro puntuale di Amnesty dà voce, forma e corpo, in modo molto scientifico e preciso, a quello che vogliono dire queste violazioni dei diritti umani. Io credo che il vostro lavoro sia estremamente prezioso, perché l'Egitto che non vogliamo vedere voi invece ce lo fate vedere con grande chiarezza.
  La mia domanda rispecchia un po’ anche quello che diceva il collega Palazzotto. Amnesty è una grande organizzazione internazionale. La pressione che si può fare sull'Egitto da parte di un Paese è un certo tipo di pressione; la pressione che si può fare quantomeno come Unione europea è un altro tipo di pressione. Che tipo di lavoro fa Amnesty, che tipo di riscontro sta trovando Amnesty International negli altri Paesi europei? Che tipo di suggerimenti ci possono venire da Amnesty su come rendere la nostra pressione in generale sui diritti umani in Egitto il più efficace possibile? Io credo che, al netto della vicenda di Giulio Regeni – una vicenda precisa che interroga in particolare la qualità delle nostre relazioni con l'Egitto –, l'Italia abbia un dovere, che è quello di darsi da fare perché i diritti umani siano rispettati in Egitto. Però l'Italia non può farlo da sola, perché altrimenti la cosa diventa velleitaria, controproducente e non particolarmente utile. Io credo che sia una cosa molto positiva, per esempio, il coinvolgimento che la Farnesina è riuscita a ottenere subito dell'Unione europea e di altri partner dell'Occidente come Canada e Stati Uniti nella vicenda Zaki. È un modo di procedere corretto e molto più utile che andare avanti da soli. Che tipo di lavoro, che tipo di consigli e di suggestioni arrivano dal lavoro internazionale di Amnesty? Inoltre, non so se è previsto, però credo che sarebbe utile per questa Commissione lasciare agli atti i numeri che Lei ha citato. Ci sarà il resoconto, però se ci fossero anche degli altri materiali, credo che sarebbero molto utili come materiali di background. Grazie.

  SIMONA SURIANO. Ringrazio Amnesty International per la vostra esposizione e per i dati che ci avete fornito. Per quanto riguarda la vicenda Zaki, in questi giorni si susseguono una serie di notizie, a volte discordanti. C'è chi dice che Zaki abbia sofferto sicuramente delle pressioni psicologiche, ma non altro, e c'è chi invece dice Pag. 9che abbia subito delle torture. Io vorrei capire se voi avete delle informazioni dirette e tangibili, delle prove per poter fare un po’ di chiarezza su quanto sta vivendo Patrick. Inoltre, vorrei chiedervi se, alla luce delle vostre esperienze sul campo, dei vostri dati e delle vostre informazioni, secondo voi l'Egitto può essere considerato un Paese sicuro o meno. Grazie.

  VITO COMENCINI. Buongiorno. Grazie ai nostri ospiti di Amnesty International per questa relazione molto interessante. Io volevo sottoporre una domanda riguardante il passaggio che è stato fatto sui cristiani copti, perché si diceva che questa minoranza non avrebbe accettato, non accetterebbe bene il regime di al-Sisi: volevo chiedere maggiori spiegazioni in merito a questa cosa. Mi risulta che sia stato espresso da più parti, invece, il favore riguardo alla difesa dei cristiani copti in Egitto rispetto a quando i Fratelli Musulmani governavano o anche durante i regimi precedenti, quando i cristiani continuavano a subire attacchi da parte del terrorismo islamista. Continuano purtroppo a subire attacchi, ma sembra che il Governo stia mettendo un maggiore impegno per garantire la sicurezza dei nostri fratelli cristiani.
  Per questo chiederei qual è la situazione dal punto di vista del fondamentalismo islamico. Sappiamo bene che spesso le cosiddette «primavere arabe» si sono trasformate: a volte, partendo dalle buone intenzioni – almeno in apparenza – hanno favorito il fondamentalismo islamico. I Fratelli Musulmani ne sono una dimostrazione e per questo c'è stato questo colpo di Stato. Per questo vorrei capire come la lotta al terrorismo islamico, ma in generale al fondamentalismo islamico, entra all'interno di questa questione del rispetto dei diritti umani.
  In particolar modo voi avete parlato di 61 mila prigionieri per motivi politici o per avere espresso le proprie idee. Vorrei capire se tra questi sono compresi anche coloro che propagandano ad esempio la jihad o comunque che portano avanti il fondamentalismo islamico, la guerra islamica e l'odio verso chi non appartiene alla religione islamica. Vorrei capire quanto è sviluppato questo aspetto, questo problema, ricordando che tra l'altro il terrorismo islamico non colpisce solo i cristiani copti, ma colpisce anche altri musulmani e civili stranieri. Nel 2015 è stato abbattuto un aereo russo con 224 civili: sono morti per colpa del terrorismo islamico, anche quelli sono vittime di questo fondamentalismo.
  Non va dimenticato che non si può guardare la situazione dal nostro punto di vista come una dittatura che è calata dal nulla in un Paese dove c'era magari un'assoluta libertà o c'era comunque uno sviluppo effettivo della democrazia, come qualcuno ha detto. Secondo noi non c'era assolutamente questo sviluppo, perché l'idea dei Fratelli Musulmani non era quella di portare avanti una democrazia di tipo occidentale, ma eventualmente di affermare una teocrazia o una Repubblica islamista a tutti gli effetti, quindi vorrei capire da questo punto di vista la situazione. Grazie.

  EMILIO CARELLI. Grazie ad Amnesty International per questa ricostruzione così ben documentata, che ci ha permesso di conoscere e di capire l'entità della repressione del dissenso in Egitto e anche i dettagli del caso Patrick Zaki. Il quadro che emerge è sicuramente un quadro drammatico sul fronte dei diritti umani e quindi condivido la proposta della presidente Marta Grande di un'attenzione di lungo periodo. Però mi domando anche che cosa possiamo fare noi come Commissione Affari esteri, cosa dobbiamo fare al di là di questo. Sicuramente dobbiamo mantenere alta l'attenzione e sicuramente, come ha detto l'onorevole Quartapelle Procopio, dobbiamo coinvolgere anche l'Europa. Dobbiamo mettere agli atti questi dati che abbiamo ricevuto oggi, che documentano la gravità della situazione, ma a mio parere dovremmo cercare di fare ancora qualcosa in più. Per questo la mia proposta è di arrivare a una risoluzione da parte della nostra Commissione, una vera e propria risoluzione che impegni l'Italia ad affrontare attraverso tutti i mezzi e gli strumenti possibili, diplomatici ma anche di pressione sull'opinione pubblica, la situazione della mancanza di rispetto dei diritti umani in Egitto. Pag. 10
  Il caso Regeni ci fa un po’ da lezione per il futuro, quindi individuiamo, magari insieme, qualche strumento concreto per attenuare e per contrastare questa mancanza di rispetto dei diritti umani. Qui magari Lei ci può anche dare dei suggerimenti da questo punto di vista, anche concreti. Grazie.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altri interventi da parte dei colleghi, do la parola al dottor Noury per la replica. Prego.

  RICCARDO NOURY, portavoce di Amnesty International Italia. Provo a rispondere, ma non in ordine cronologico perché alcune le risposte sono più semplici di altre.
  Zaki ha denunciato, attraverso il suo avvocato, di essere stato sottoposto a pestaggi e scariche elettriche nelle ore in cui era fermo all'aeroporto del Cairo. Amnesty International non l'ha visto, ma – ahimè – la tortura in Egitto è la prassi e non l'eccezione, quindi è verosimile che abbia subito quel tipo di trattamento. Le affermazioni di fonte egiziana per cui non mostrava segni fisici di tortura lasciano il tempo che trovano, nel senso che non tutte le torture lasciano segni fisici. È stato anche un tema di cui si è parlato a lungo in Parlamento quando si discuteva della legge sul reato di tortura, e non è una rassicurazione per noi che non avesse segni fisici.
  Naturalmente le condizioni di detenzione in cui si trova possono preoccupare dal punto di vista della sua incolumità fisica. È un segnale positivo che non sia in isolamento, che abbia accesso più o meno regolare a visite dall'esterno e che la stazione di polizia in cui è detenuto sia abbastanza vicina alla sua abitazione, ma resta da capire, dopo il 22 febbraio, dove potrebbe essere trasferito.
  Devo essermi spiegato male. La comunità copta a larghissima maggioranza ha accolto con entusiasmo il colpo di Stato di al-Sisi, per comprensibilissime ragioni, per il timore che l'esperienza del Governo della Fratellanza Musulmana potesse acuire la discriminazione e la violenza nei loro confronti. Quello che dico di Patrick è che lui è uno di quelli che non è saltato sul carro e ha continuato a fare il suo lavoro di ricercatore indipendente sui diritti umani; ma è evidente che la comunità copta si senta più tutelata da al-Sisi piuttosto che dal Governo della Fratellanza Musulmana. Ribadisco che c'è un tema di terrorismo di matrice islamista nel nord del Sinai che però a volte provoca anche attentati nelle città principali, così come ribadisco che l'insieme di strumenti repressivi che è stato messo in piedi per contrastare il terrorismo ha un impatto che è cento volte maggiore su soggetti che col terrorismo non c'entrano nulla.
  Nel numero di 61 mila ci sono sicuramente anche esponenti della Fratellanza Musulmana. Possiamo discutere se essere militanti, membri o ex parlamentari della Fratellanza Musulmana sia equiparabile al reato di terrorismo. Dal mio punto di vista no, perché il terrorismo è l'azione di un soggetto con le armi che semina terrore e non do affatto questa equiparazione per scontata, ma quella cifra comprende anche un cospicuo numero di appartenenti alla Fratellanza Musulmana. Per questo quando parlo di detenzioni in Egitto faccio sempre riferimento al numero totale, ma specifico che quelli che Amnesty International considera prigionieri di coscienza, cioè persone messe in carcere per aver promosso la tutela dei diritti, non sono tutto quel numero. Sono una parte, forse anche una piccola parte, forse un migliaio, forse due migliaia. Tenete conto che gli arresti effettuati nel settembre 2019 durante l'ondata di protesta sono stati 4 mila. Circa 2 mila di queste persone sono ancora in detenzione preventiva e andranno probabilmente al processo nel 2020 o nel 2021.
  Io sono d'accordo sul fatto che in questa fase ogni iniziativa che serve a tenere alta l'attenzione è fondamentale, anche facendo rumore dal punto di vista della piazza, dal punto di vista dell'attenzione mediatica e dal punto di vista dei lavori e degli interventi delle istituzioni. Onorevole Carelli, per questo apprezzo la proposta fatta così come tutte le proposte o le idee che possano emergere riguardo al lavoro futuro Pag. 11del Parlamento in generale e della Commissione in particolare.
  Certo, onorevole Quartapelle Procopio, il tema del rimanere soli c'è, lo sappiamo. Lo abbiamo visto quando nell'aprile del 2016 è stato ritirato un Ambasciatore anziché ventotto. Sappiamo anche che la proposta di ritirare o richiamare – io sottolineerei la parola «richiamare» e aggiungerei l'avverbio «temporalmente» – l'Ambasciatore italiano probabilmente non sarebbe seguita da quella di altri ventisei, a questo punto, Stati dell'Unione europea. Non di meno ci sono delle cose che l'Italia può continuare a sollecitare a livello di Unione europea, come il meccanismo di monitoraggio sui processi, per esempio. Credo sia iniziato con il processo nei confronti di uno dei responsabili della Commissione egiziana per i diritti e le libertà, Ahmed Abdallah, che credo sia noto ad alcuni di voi. Forse è venuto anche alla Commissione Regeni, probabilmente l'onorevole Quartapelle Procopio lo conosce. In quel momento abbiamo visto diplomatici svedesi, norvegesi, francesi, italiani e tedeschi monitorare i processi. È una questione molto importante, quindi io caldeggerei sempre l'attivazione di questo meccanismo. Dopodiché io credo che sia necessario che a un certo punto, se il 22 febbraio le cose vanno male, arrivi dall'Italia, e dall'Italia sola per ragioni che sono evidenti, un segnale di insoddisfazione. Un segnale che possa tradursi anche in forme di inimicizia diplomatica, così si definiscono. È necessario che arrivino delle decisioni anche sul piano dei rapporti bilaterali che possano veramente essere l'esempio di questa insoddisfazione. C'è il tema dei rapporti commerciali evidentemente, ma c'è anche il tema delle forniture militari, c'è il tema della formazione alle forze di polizia e all'apparato giudiziario, c'è il tema dei rimpatri. Sono tutte cose che hanno a che fare con i diritti umani, ad esempio molto più del turismo, e che dovrebbero essere forse oggetto di una valutazione seria per dire che sul tema dei diritti umani il comportamento delle autorità egiziane non ci sta bene.
  Negli altri Paesi europei l'attenzione è stata scarsa. Giulio Regeni è stato sempre considerato un cittadino italiano di cui doveva occuparsi d'Italia. Devo dire con piacere che per Patrick – non so se per lezioni apprese o per altro – è stato un bel segnale vedere che a Berlino e Bruxelles ci sono state manifestazioni, ci saranno anche oggi, di cittadine e cittadini di quei Paesi di fronte all'ambasciata egiziana. Quindi forse insieme a un'attività – io credo – meritoria di un gruppo di giornalisti e attivisti che si chiama EuropaNow!, che accompagna le nostre iniziative sull'Egitto, l'idea di questo gruppo EuropaNow!, guidato dal corrispondente di Libération Eric Jozsef, è quella di far sì, ad esempio, che ogni volta in cui al-Sisi viene a fare un incontro in un Paese dell'Unione europea, la stampa di quel Paese ponga il tema dei diritti umani e la società di quel Paese ponga il tema dei diritti umani alle autorità che incontreranno le controparti egiziane.
  Come lavoriamo, sull'Egitto così come su altri Paesi? Lavoriamo attraverso l'analisi di fonti ufficiali: atti giudiziari, leggi, proposte di legge. C'è una proposta di legge di inasprire la legge antiterrorismo, che stiamo esaminando. Soprattutto, se voi potete ascoltare un rappresentante di Amnesty International Italia che racconta anche con dei dati e delle storie come sia la situazione dei diritti umani in Egitto, il merito è in gran parte delle ong egiziane per i diritti umani, degli avvocati, dei ricercatori. È merito di quel mondo vivacissimo e coraggioso di persone che rischiano molto pur di informare su cosa accade nel loro Paese. Questo lavoro di collegamento tra Amnesty International e ong – non tutte naturalmente, noi lavoriamo con le ong che hanno una specchiata fama di indipendenza – ci consente di avere una mappa, insieme al lavoro giornalistico – penso a Mada Masr, che fa un lavoro incredibile, e alla sua direttrice Lina Attallah, che ha studiato alla scuola di Giulio a Trieste: con questo gruppo di persone riusciamo ad avere un quadro veramente esauriente ed esaustivo di quella che è la realtà delle violazioni dei diritti umani in Egitto. Ci sono alcuni portali molto coraggiosi che Pag. 12pubblicano giorno per giorno gli esiti del lavoro delle Procure ed è impressionante vedere come ogni giorno ci sia un aggiornamento della detenzione, una condanna, un rinvio a giudizio, un nuovo arresto. Più o meno questo è il sistema di lavoro di Amnesty International riguardo alle fonti. Mi sembra di aver risposto a tutte le osservazioni e le domande.

  PRESIDENTE. Perfetto, mi sembra di sì. Non so se i colleghi vogliono intervenire prima di chiudere, altrimenti terminiamo la nostra audizione ringraziando nuovamente Amnesty International Italia e il dottor Noury. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.05.