XVIII Legislatura

III Commissione

COMITATO PERMANENTE SUI DIRITTI UMANI NEL MONDO

Resoconto stenografico



Seduta n. 22 di Mercoledì 4 dicembre 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Di Stasio Iolanda , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'IMPEGNO DELL'ITALIA NELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE PER LA PROMOZIONE E TUTELA DEI DIRITTI UMANI E CONTRO LE DISCRIMINAZIONI
Di Stasio Iolanda , Presidente ... 3 
Blanchard Benjamin , Direttore Generale della ong francese SOS ... 3 
Caputo Sebastiano , presidente della Fondazione SOS ... 6 
Di Stasio Iolanda , Presidente ... 9 
Delmastro Delle Vedove Andrea (FDI)  ... 9 
Formentini Paolo (LEGA)  ... 10 
Comencini Vito (LEGA)  ... 11 
Di Stasio Iolanda , Presidente ... 12 
Blanchard Benjamin , Direttore Generale della ong francese SOS ... 12 
Caputo Sebastiano , presidente della Fondazione SOS ... 14 
Blanchard Benjamin , Direttore Generale della ONG francese SOS ... 14 
Di Stasio Iolanda , Presidente ... 15

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Cambiamo!-10 Volte Meglio: Misto-C10VM;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
IOLANDA DI STASIO

  La seduta comincia alle 8.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Benjamin Blanchard, Direttore Generale della ong francese SOS Chrétiens d'Orient .

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'impegno dell'Italia nella comunità internazionale per la promozione e tutela dei diritti umani e contro le discriminazioni, di Benjamin Blanchard, cofondatore e Direttore Generale della ong francese SOS Chrétiens d'Orient.
  Saluto e ringrazio per la disponibilità a prendere parte ai nostri lavori il Direttore Blanchard, accompagnato dal dottor Caputo, Presidente della Fondazione SOS Chrétiens d'Orient Italia.
  Segnalo che SOS Chrétiens d'Orient è un'associazione non governativa che opera dal 2013 in diversi Paesi del Vicino Oriente, a tutela delle popolazioni cristiane nelle aree più colpite del fondamentalismo islamico. L'obiettivo è aiutare le persone a radicarsi nuovamente nei loro territori o a consolidare la loro presenza laddove i cristiani sono popolazioni autoctone. Oltre all'aiuto d'urgenza per le situazioni di crisi umanitaria, l'ong interviene con misure di sostegno nel settore dell'istruzione e della sanità. In particolare, l'organizzazione – attiva in Siria, Iraq, Giordania, Libano, Egitto e Pakistan – conta su circa 1.700 volontari, grazie ai quali sono state aiutate fino ad oggi più di cinquantamila persone, distribuendo oltre sessanta tonnellate di forniture umanitarie e trenta tonnellate di forniture mediche. Inoltre, i volontari visitano regolarmente ventimila famiglie che vivono in condizioni di estrema povertà.
  Fatta questa doverosa premessa, sono lieta di dare la parola al nostro ospite affinché possa svolgere il suo intervento.

  BENJAMIN BLANCHARD, Direttore Generale della ong francese SOS Chrétiens d'Orient. Grazie, presidente, per averci ricevuto oggi. Vorrei ringraziare anche l'onorevole Delmastro Delle Vedove, presidente del gruppo interparlamentare dei cristiani nel mondo. È per me un onore parlare oggi dinanzi a voi.
  La presidente ha ben presentato l'Associazione, quindi non ripeterò quanto già è stato detto. Vorrei dirvi soltanto che abbiamo creato questa Associazione sei anni fa, senza nulla, giusto qualche euro, e senza nessuna influenza. In sei anni però siamo riusciti a fare delle ottime cose, come ha detto la presidente, e cerchiamo anche di avere un ruolo di informazione. Siamo presenti sul campo in Siria da sei anni con molti volontari – più di 1.700 – che sono testimoni di quello che sta avvenendo, perché purtroppo non ci sono sempre molti rappresentanti dei Paesi dell'Unione europea, in particolare in Siria. So che l'Ambasciata d'Italia a Damasco è stata aperta, ma con una struttura minima. Le porte sono aperte, diversamente dall'Ambasciata di Francia, che invece è ancora completamente chiusa. È quindi importante poter dare un'idea di quello che noi vediamo direttamente sul terreno. Pag. 4
  Prima di parlarvi della situazione in Siria, vorrei precisare che, al di là della ricostruzione, degli aiuti medici, degli aiuti d'emergenza e dello sviluppo economico, siamo presenti con 1.700 volontari, principalmente francesi ma che vengono anche da altri Paesi europei, da Australia e Stati Uniti, e ci sono anche molti italiani che sono partiti con la nostra Associazione sorella Fondazione SOS Cristiani d'Oriente e sono in Egitto, Libano, Siria ed Iraq. Cerchiamo di sviluppare la francofonia, ed ora anche l'italofonia. Sono stato molto sorpreso dal desiderio di imparare l'italiano. In particolare ad Aleppo c'è una scuola di italiano e ci sono addirittura dei mesi di attesa per potersi iscrivere. È una scuola quasi gratuita (sono richiesti due euro per frequentare un semestre) e sono tantissimi coloro che vogliono partecipare a questi corsi di italiano. Penso che anche questo serva a diffondere la lingua e la cultura italiana in questa regione. Vogliamo fare la stessa cosa ad Alessandria d'Egitto, perché c'è un'antica tradizione di presenza e influenza italiana in questi luoghi.
  Il nostro obiettivo è preservare il mosaico comunitario del Vicino Oriente con la presenza di una comunità cristiana e contribuire al mantenimento dell'indipendenza delle persone, quindi non assistendoli ma fornendo loro i mezzi per potersi mantenere, essere autonomi, avere un lavoro. Questo è ancor più importante, in quanto le comunità con cui noi lavoriamo sono numerose, diverse e molteplici. Si parla spesso di divisione tra le Chiese orientali, ma per me non è esatto. È vero, sono numerose, sono molteplici, varie, ma nella situazione attuale ci si rende conto che c'è una buona intesa, una buona unità tra le diverse Chiese cristiane. Da un punto di vista storico le divisioni sono derivate più da questioni politiche che da questioni dogmatiche o teologiche, quindi piuttosto accessorie. Per gli abitanti non è importante se si è cattolici, ortodossi o siriaci: l'importante è essere cristiani. Ci sono anche matrimoni misti, non ci sono settarismi tra le diverse comunità religiose.
  Più in generale, il Vicino Oriente è un mosaico di religioni e di etnie collegate. La tessera centrale di questo mosaico è proprio la cristianità. Spesso i musulmani dicono che, se si togliesse questa tessera centrale, tutto andrebbe in frantumi, anche se si parla di una piccolissima percentuale di cristiani in questa zona. In Libano, ma anche in altri Paesi come la Siria o l'Iraq, ci sono sempre stati villaggi misti di sunniti e cristiani o drusi e cristiani o sciiti e cristiani, ma non esistono villaggi misti di sunniti e sciiti, perché non vanno d'accordo, si massacrerebbero immediatamente. Non riescono a convivere. I cristiani spesso assicurano l'unità del Paese. Gregorio III Laham, patriarca emerito dei greci-melchiti cattolici, con cui abbiamo creato la nostra Associazione sei anni fa, diceva sempre che bisogna camminare su due gambe. Questo è un appello, un'esortazione a tutti: bisogna camminare su due gambe, identità e apertura; bisogna sapere chi siamo per poterci aprire verso gli altri senza temere di perdersi. Questa è la parola d'ordine per le comunità cristiane d'Oriente che sono in numero ridotto.
  Vorrei ora parlarvi della Siria in particolare, ma il discorso è valido anche per l'Iraq. Il conflitto che da alcuni anni ha sconvolto questi due Paesi ha reso difficile la convivenza tra le diverse comunità, ma si può dire – l'ho anche detto ad una emittente di informazione israeliana ad agosto scorso ed erano tutti d'accordo con me – che questo conflitto ha fatto una vittima politica: il nazionalismo arabo, il panarabismo, mito che sembra ormai superato, e ha invece rafforzato le identità nazionali dei Paesi. La coscienza nazionale siriana e irachena si sono rafforzate a seguito di questa crisi, ed è importante perché sono delle nazioni giovani, in costruzione, che hanno saputo resistere a Daesh, al terrorismo, e ne escono rafforzate. Lo dimostrano gli eventi recenti in Iraq, dove sciiti e sunniti sono scesi insieme per strada, ma anche in Siria, dove tutti hanno scelto di combattere contro l'estremismo: alauiti, sunniti, cristiani, drusi, siriaci, curdi.
  Prima della guerra si calcolava che i cristiani rappresentassero circa il 10 per cento della popolazione siriana (due milioni di persone), distribuiti su tutto il territorio, Pag. 5 ad eccezione di alcune parti a nord-est e ad est. Non ci sono roccaforti cristiane in Siria e questo è, al tempo stesso, un vantaggio e una debolezza. Diversamente dai drusi che sono al sud, gli alauiti che sono sulla costa e i curdi nel nord-est, i cristiani sono sparsi su tutto il territorio, perché costituiscono il substrato stesso della nazione siriana. Il numero è diminuito notevolmente, ma la proporzione un po’ meno, perché ci sono anche molti siriani musulmani che hanno lasciato il Paese – sette milioni di persone che sono fuggite dalla Siria –, quindi la percentuale dei cristiani resta più o meno la stessa, dato che è diminuita la popolazione nel complesso.
  I cristiani siriani sono sempre stati ben integrati nella società, non hanno mai incontrato gravi problemi di ordine legale, neanche oggi. In Siria hanno sempre goduto degli stessi diritti degli altri cittadini. O meglio, quasi gli stessi, perché alcuni diritti politici non sono riconosciuti, come per esempio quello di diventare presidente, che deve essere per forza un uomo musulmano.
  Dalla fine degli anni Duemila c'è uno status personale per i cristiani, che non sono più soggetti alla legge musulmana – sharia – per il diritto di famiglia, tipo l'eredità, e questo permette pertanto l'eguaglianza tra donne e uomini nelle successioni ereditarie, mentre prima non era così, perché tutti erano soggetti alla sharia.
  La situazione è abbastanza invidiabile rispetto ad altri Paesi della regione, in particolare l'Egitto, dove i cristiani invece hanno uno status, di fatto, di cittadini di seconda classe.
  I cristiani in Siria all'inizio della crisi hanno partecipato alle manifestazioni, ma poi rapidamente si sono resi conto che c'erano delle motivazioni religiose dietro a queste manifestazioni, quindi hanno smesso di partecipare e hanno lanciato degli appelli alla calma, rendendosi conto che stava nascendo una vera e propria insurrezione islamista. Dal 2012-2013 è stato evidente che questa insurrezione avrebbe messo a rischio la convivenza tra le comunità e l'unità del Paese. Dal 2013 – ovvero da quando io frequento quella regione – ho visto che c'è stato un cambiamento di opinione, anche nel corso del 2014, con il rifiuto degli abusi che ci sono stati e il Governo ha riguadagnato la fiducia dell'opinione pubblica. Ho notato un cambiamento di atteggiamento anche da parte della popolazione musulmana nei confronti del Governo siriano. Andavo regolarmente ad Aleppo durante la guerra, fino a dicembre 2016, e vedevo che la gente se ne andava dall'est – la zona controllata dagli jihadisti – per andare verso ovest, la zona controllata dal governo, e non viceversa. Abbiamo anche visto la gente fuggire da Ghūţa, la parte est di Damasco. Oggi, anche se ci sono ancora delle sacche nel nord-est, il jihadismo è stato superato ed è quindi arrivato il momento della ricostruzione. Naturalmente ci vorranno anni e anni di risorse del PIL dedicate alla ricostruzione del Paese. Oggi il Paese è strangolato dall'embargo economico che pesa sulla Siria e ostacola la ricostruzione. È un vero e proprio invito all'emigrazione. Con queste sanzioni è molto difficile che la gente riesca a continuare a lavorare e a vivere in Siria; i capitali e le merci non arrivano nel Paese, quindi l'unica soluzione è emigrare. Più manterremo queste sanzioni, più ci saranno emigrazioni, più svuoteremo il Paese. Pertanto, è inutile lamentarsi della conseguente immigrazione in Europa.
  Per quanto riguarda il nord-est, dove siamo ancora presenti, abbiamo distribuito molti aiuti di emergenza ad Al-Raqqa e Al-Hasakah, nella regione in mano ai curdi. Siamo presenti lì dal 2015 e io ho anche conosciuto i momenti in cui era sotto il controllo del Partito dell'Unione Democratica, che è un ramo del PKK, che l'Unione europea – penso anche l'Italia – considera un movimento terrorista, che ha fatto un'epurazione etnica non con le armi, ma più che altro imponendo il curdo come lingua. Di conseguenza, i cristiani e gli arabi non sono rimasti, perché non parlano e non vogliono parlare il curdo, e i curdi hanno quindi privato la regione di una parte dei suoi cittadini, il che non vuol dire che non abbiano combattuto con coraggio contro Daesh. Due anni fa, io e Sebastiano eravamo Pag. 6 a Raqqa e abbiamo visto dei ritratti di Öcalan dovunque, quindi non è vero che c'è una differenza tra le forze democratiche siriane e Öcalan. Quando lo dicono i turchi, per una volta bisogna dar loro ragione: è proprio così, di fatto sono la stessa cosa.
  Noi abbiamo cercato un po’ di risollevare la situazione al nord-est, perché è la zona dove c'è stata la maggiore emigrazione di cristiani: circa l'80 per cento dei cristiani ha abbandonato questa zona a causa dell'isolamento, della situazione economica e anche delle pressioni del partito curdo al potere.
  Per concludere, posso affermare che con la ricostruzione ci sono molti attori economici internazionali che stanno tornando in Siria. Ci sono gli alleati storici della Siria – la Russia e l'Iran – ma abbiamo anche visto arrivare lì altre potenze, tra le quali i Paesi del Golfo. Sono state riaperte molto Ambasciate, per esempio quella degli Emirati Arabi Uniti. L'altro ieri ci sono state delle dichiarazioni dell'Ambasciatore, che ha cambiato posizione rispetto alle autorità siriane. Poi pian piano alcuni europei: soprattutto imprese tedesche e svizzere. C'è anche un gruppo alberghiero francese, che però è una filiale di un gruppo cinese, che ha riacquistato due hotel a Damasco per ristrutturarli. Noi aspettiamo con impazienza una diminuzione delle sanzioni, perché è fondamentale dal punto di vista umanitario, in quanto sono le popolazioni che soffrono per le sanzioni, non certo i ricchi o le persone al potere. Bisogna riprendere le relazioni diplomatiche, perché è penalizzante che non ci sia un'ambasciata francese. È penalizzante per la vita quotidiana, per il funzionamento delle istituzioni culturali bilaterali, quindi è grave questa assenza di relazioni diplomatiche. È indispensabile per il ritorno delle nazioni europee nel gioco diplomatico della regione, perché senza relazioni con la Siria, senza relazioni sul campo, saremo tagliati fuori dai processi di pace.

  SEBASTIANO CAPUTO, presidente della Fondazione SOS Chrétiens d'Orient. Grazie per l'invito, soprattutto all'onorevole Andrea Delmastro Delle Vedove, con il quale abbiamo intrapreso un percorso con il gruppo interparlamentare per i cristiani del mondo, è un'occasione molto importante quest'oggi. Grazie all'onorevole Di Stasio per averci introdotto in questa sessione.
  Io di formazione sono un giornalista, quindi ho avuto l'opportunità di lavorare come freelance in zone di crisi, di frontiera e chiaramente per motivi giornalistici – di agenda giornalistica – la Siria e l'Iraq sono i Paesi che ho coperto principalmente in questi ultimi quattro, cinque anni. Mi sono ritrovato anch'io in Siria nel momento più caldo del conflitto, nel settembre del 2015. Pensate che i russi interverranno soltanto a novembre 2015, quindi un momento estremamente conflittuale e caldo della guerra; in quell'occasione, da giornalista, che parte con molti pregiudizi, legati a un'informativa occidentale che ti ha raccontato come stavano andando le cose, ti ritrovi sul posto e ti rendi conto di una realtà completamente diversa da quella veicolata dai media. In quella primissima occasione in cui andai a Damasco, ebbi la fortuna e fu un caso – ma forse nemmeno tanto – quello di incontrare il capo missione di SOS Cristiani d'Oriente, Alexander Goodarzy, che partecipava a questa conferenza a Damasco: è nata una amicizia e poi è nata anche un'attività e un legame professionale. In realtà ciò che mi ha spinto personalmente un anno fa ad accettare l'incarico che mi hanno proposto in quanto rappresentante della Fondazione SOS Cristiani d'Oriente, che è la filiale italiana di SOS Chrétiens d'Orient, è stato un motivo molto semplice: quello che ho visto in Siria mi ha portato a non fare del giornalismo una forma di voyeurismo, quindi non tanto raccontare soltanto per denunciare, ma raccontare anche per provare a costruire qualcosa di più importante. E vedendo lavorare loro sul campo, mi sono reso conto che poteva essere l'occasione giusta, da cogliere al volo.
  In questo anno abbiamo fatto delle cose abbastanza importanti in Italia. Penso alle relazioni istituzionali pubbliche, ma anche al lavoro svolto sul campo. Abbiamo fatto più di trenta conferenze in Italia, dove abbiamo raccontato il lavoro che si fa in Pag. 7Medio Oriente, nei cinque Paesi dove SOS Cristiani d'Oriente è presente (Egitto, Giordania, Libano, Iraq, Siria). Abbiamo mandato più di venti volontari italiani sul posto, tutte le Ambasciate italiane sono state avvertite un anno fa che noi avremmo mandato dei volontari sul posto. Di questi volontari che hanno coperto tutti i Paesi, e sono stati per periodi di missioni da uno a cinque mesi, cinque sono andati in Siria, in un Paese con cui non abbiamo rapporti diplomatici ufficiali. Cinque volontari sono andati lì, hanno svolto un lavoro molto importante, chi a Maaloula, chi nel sud, a Khabab. Il mio collega Benjamin Blanchard ricordava l'attività dei corsi di lingua italiana che abbiamo organizzato ad Aleppo: per sette mesi abbiamo dato corsi di italiano ad Aleppo, siamo stati gli unici, il collega ricordava la grande partecipazione e il grande entusiasmo dei siriani nell'imparare la lingua italiana. Penso che questo sia abbastanza emblematico della necessità anche di tornare a essere italiani in Siria. Ricordiamoci che l'Italia era il primo partner economico-commerciale della Siria prima del 2011, poi, quando è iniziata la guerra, sono saltati un po’ tutti gli accordi, dato che anche noi abbiamo chiuso l'Ambasciata.
  Tra le attività, molto importanti, svolte ne vanno citate due, legate al vostro lavoro: la creazione del gruppo interparlamentare per i cristiani nel mondo, con l'onorevole Andrea Delmastro Delle Vedove, che è molto importante, perché ci consente di sensibilizzare l'opinione pubblica e anche l'attività parlamentare; inoltre, l'impegno dell'onorevole Formentini per l'istituzione del fondo a beneficio delle comunità cristiane nel mondo, in particolare in Siria e in Iraq. Da persona che lavora anche nell'ambito umanitario, posso confermare che la prima tranche è stata già stanziata tramite l'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, e ci sono già delle ong italiane che stanno partecipando al bando. Per cui, se c'è volontà politica, si possono fare delle cose concrete molto importanti. Questa è sicuramente un'ottima strada da perseguire.
  Piccolo appunto. Il 22 dicembre a Roma, alla chiesa di Santa Maria in Cosmedin – quindi chiesa greco-melchita – a Piazza bocca della verità organizzeremo una messa e una giornata per le comunità cristiane d'Oriente. Quindi siete tutti quanti invitati, a partire dalle 10.30. Si riuniranno tutti i volontari che sono partiti con noi in missione, volontari che hanno portato sul campo attività di cooperazione e sviluppo; hanno fatto un lavoro concreto che va dall'assistenza alle famiglie, ai corsi di lingua, alle attività ricreative e culturali, quindi cose concrete fatte in prima persona. La specificità molto bella di questa associazione umanitaria, secondo me, è che i progetti di cooperazione e sviluppo sono portati direttamente avanti dai volontari con i partner locali. Quindi c'è un lavoro che viene fatto in presa diretta, senza intermediari. I fondi che vengono raccolti sappiamo perfettamente dove vengono spesi e ne sono i testimoni gli stessi volontari che stanno sul campo.
  Una cosa importante – che secondo me è bene ricordare – è che quando si lavora con le comunità cristiane d'Oriente chiaramente si lavora con tutta la popolazione civile; quando si fornisce un generatore elettrico in un ospedale dove manca l'elettricità, perché salta la corrente, è chiaro che questo servizio viene usufruito da tutta la popolazione, perché non si chiede il certificato di battesimo a nessuno. È chiaro che le comunità cristiane sono un punto di approdo, è una priorità anche per noi occidentali, perché c'è anche un discorso comunque «civilizzazionale»: il cristianesimo nasce ad Oriente e non a Occidente ed è nostro dovere fare in modo che lì rimanga e continui ad esistere. È un lavoro in cui si cerca di fermare un'emorragia: la fuga dei cristiani. In Siria e Iraq più del 50 per cento di cristiani ha lasciato il Paese, a partire dal 2011; in Iraq parliamo di circa il 90 per cento a partire dal 2003. Quindi si tratta di una vera e propria emorragia, che nel nostro piccolissimo cerchiamo di fermare.
  Si difende il diritto a non emigrare. Si parla sempre del diritto ad emigrare, noi invece proviamo a difendere anche il diritto Pag. 8 a non emigrare, che è un diritto sacrosanto e non negoziabile, perché bisogna vedere l'immigrazione e l'emigrazione non come un viaggio Erasmus o come un viaggio in prima classe, ma come una ferita profonda all'interno delle società mediorientali. Anche perché spesso chi parte sono i giovani, che sono le forze vive di una nazione, sono quelli che devono costruire il Paese e devono emanciparlo. Siccome questo è importante, cerchiamo di lavorare in una logica inversa a quella dei corridoi umanitari, anche perché questi sono riservati a pochi privilegiati che ottengono il pass, quindi si cerca di invertire il flusso di aiuto umanitario.
  Quando lavoriamo con i cristiani in Medio Oriente, cerchiamo innanzitutto di non ghettizzarli. I cristiani non devono essere una riserva indiana in Medio Oriente, devono essere persone che vivono tra le persone, così come è stato per millenni. Anche perché ghettizzare i cristiani in Medio Oriente – che sono minoranze all'interno di maggioranze di altre confessioni religiose, che siano sunnite o sciite – significa metterli in pericolo, perché rischiano di diventare dei bersagli che vengono percepiti male dal resto della popolazione.
  Per entrare nel concreto, visto che siamo in una sede istituzionale, a voi spetta la possibilità di compiere determinate scelte importanti e coraggiose: intanto – come ha fatto il mio collega Blanchard – la narrazione mediatica e umanitaria sulla Siria – tra i Paesi in cui operiamo è quello che necessita di maggiore aiuto, perché esiste un embargo –, che sta cambiando. Quindi i media occidentali stanno piano piano cambiando narrazione. La stessa Al Jazeera, emittente televisiva del Qatar, che è stata il grande sponsor e portavoce delle «primavere arabe», che poi abbiamo capito essere l'ascesa dei Fratelli musulmani in tutta la regione, si sta paradossalmente riposizionando sulla Siria. Ricordavamo la riapertura prossima delle Ambasciate degli Emirati Arabi Uniti a Damasco. La narrazione sta cambiando dal punto di vista mediatico, ma anche dal vita dal punto di vista umanitario, perché molte ong stanno tornando in Siria, come pure molte aziende. La priorità deve essere la fine delle sanzioni, perché con quelle è difficile andare avanti. Però noi come italiani stiamo un passo avanti, perché so bene che in Senato questo argomento è entrato nelle discussioni politiche, e questa è una cosa molto positiva.
  La riapertura dell'Ambasciata italiana a Damasco deve essere un passo importante. In questo momento le Ambasciate aperte a Damasco sono quelle di Repubblica Ceca, Bulgaria e Romania, perché fanno un servizio consolare a molti cittadini con la doppia cittadinanza. L'Ungheria e la Spagna non hanno riaperto, ma stanno lavorando molto velocemente per riaprire le rispettive Ambasciate. In questo momento l'Ambasciata dell'Italia è sospesa, non è chiusa, quindi è aperta, ci si può entrare, si fa un piccolo servizio consolare con dei dipendenti locali siriani. Il nostro incaricato d'affari, che si trova a Beirut, se deve andare a Damasco, deve ancora chiedere il permesso e non può fare incontri istituzionali, perché non ha ancora l'incarico. Sarebbe molto importante lavorare in questo senso.
  Dal punto di vista della sicurezza Damasco ormai è una città al 100 per cento sicura, da quando è finita l'occupazione di gruppi legati a Jabhat al-Nuşra nella Ghouta, quindi nell’enclave nord-orientale di Damasco; enclave che è stata raccontata come uno spazio di libertà, in realtà era un santuario di terroristi che tenevano imprigionati quasi sette milioni di abitanti a Damasco, visto che le bombe arrivavano anche nel centro della città. Quella battaglia è finita nel marzo del 2018, oggi Damasco è un luogo sicuro, quindi sarebbe il tempo, dal mio punto di vista, per organizzare eventualmente una visita di una delegazione parlamentare, a cui tutti gli schieramenti politici possono aderire in modo tale che sia una cosa ufficiale e non ufficiosa. Dal punto di vista della sicurezza ci sarebbe, secondo me, la possibilità, e sarebbe un primo passo per voi per capire in prima persona che cosa si può fare realmente.
  Queste sono le cose che andavano dette. Se avete delle domande, delle richieste che volete sottoporci, siamo a disposizione.

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  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre questioni o formulare osservazioni.

  ANDREA DELMASTRO DELLE VEDOVE. Grazie presidente. Vi ringrazio per l'audizione, per noi è stata decisamente significativa. Rientra in un ciclo di audizioni all'interno del Comitato permanente sui diritti umani nel mondo; la richiesta è pervenuta da me, ma prontamente appoggiata dai colleghi Formentini e Comencini.
  Noi abbiamo focalizzato l'attenzione sul fatto che, quando si parla di diritti umani nel mondo, probabilmente quello più sanguinariamente violato è la libertà religiosa. Anche se si tratta del primo dei diritti, senza il quale nel mondo non vi è pace. E all'interno della persecuzione religiosa coloro che maggiormente la patiscono nel mondo – e sono dati statistici inoppugnabili – sono i cristiani, e l'area in cui più sanguinariamente vengono repressi è il Medio Oriente. Area – sono contento di averlo sentito dire dai rappresentanti oggi auditi – in cui i cristiani non sono dei coloni, perché erano lì prima non che l'islamismo si diffondesse, ma che Maometto nascesse. Per voi sarà un fatto normale, in Italia non lo è. Quando sentiamo altre ong, i cristiani vengono identificati un po’ come dei coloni, ed è il motivo per cui i cristiani non dovevano essere ascoltati, sebbene avessero ampiamente anticipato ciò che sarebbe accaduto in Siria, cosa si nascondeva dietro le cosiddette «primavere arabe», quale fosse la serpe islamista che animasse, alimentasse le cosiddette «primavere arabe». Quindi lasciatecelo dire – credo di parlare non solo per Fratelli d'Italia ma anche a nome dei colleghi della Lega – che liberazione finalmente sentir raccontare culturalmente dei fatti inoppugnabili, che solo in Italia, per un mainstream inaccettabile, erano stati negati sino ad oggi! E mi riferisco a cosa ci fosse dietro alle «primavere arabe»; al fatto che i cristiani avremmo dovuto ascoltarli, perché primi abitatori di quelle terre, e probabilmente per questo debbono essere sterminati; al fatto che ogni tanto l'Italia, nell'ambito delle relazioni internazionali bilaterali, ma anche l'Europa, dovrebbero porsi il tema del primigenio e più grande diritto che è quello a non emigrare e non a emigrare, con tutti i costi connessi, dalle morti nel Mediterraneo fino all'accidente dello speronamento delle Guardie di finanza. Quindi grazie per questa operazione verità.
  Non vi nascondo che vi ho un po’ strumentalmente usati per creare l'occasione per chiedere – come farò, convinto che la Lega aderirà – una missione della Commissione esteri in Siria. Noi dobbiamo riaprire le relazioni bilaterali con la Siria. Dobbiamo riaprire l'Ambasciata in Siria. Dobbiamo chiederci – e io la risposta ce l'ho già ovviamente – se non sia il caso di superare le sanzioni alla Siria.
  Avrei voluto avvisarvi del glorioso, e mai troppo apprezzato, «fondo Formentini» – a me piace chiamarlo così, tributando al collega tutti gli onori –, ma vedo che lo conoscete già. È un fondo che Fratelli d'Italia, unitamente alla Lega, si propone di alimentare ulteriormente. Per noi era già significativo che finalmente vi fosse un fondo di questo tenore.
  Voglio sperare che, se dovessimo progettare una missione in Siria, si possa lavorare con voi, magari anche per visitare Maaloula o altre città che potrebbero essere oggetto di ricostruzione. Mi piacerebbe che una delle prime pietre fosse il citato fondo, al quale abbiamo aderito anche noi di Fratelli d'Italia per promuovere la riallocazione dei cristiani nelle aree di crisi, da dove sono stati brutalmente cacciati.
  Siamo già riusciti ad audire anche altri rappresentanti che conoscono la vera verità dei cristiani in Medio Oriente. Mi sono appuntato con grande attenzione un concetto culturale, che doveva passare ed è passato in questa Commissione: i cristiani non sono solo i primi abitatori di quelle terre e hanno diritto a rimanere lì, i cristiani hanno il diritto a non immigrare, ma soprattutto i cristiani sono elemento di pacificazione nelle società arabe attraversate dalla «fitna» musulmana, che li condanna al caos senza la presenza pacificatrice dei cristiani. E basterebbe conoscere il Libano per rendersi conto che, solo laddove ci sono i cristiani, ci può essere un ponte di Pag. 10civiltà fra la «fitna» che attraversa sanguinariamente il mondo arabo. Quindi grazie. Il prossimo appuntamento, la prossima volta che ci vedremo spero sia in Siria. Per concludere, sappiate che sino a quando ci saremo noi di Fratelli d'Italia e della Lega in questo Comitato, in cui si parla di diritti umani nel mondo, non si parlerà solo del pur importante problema del machismo e delle ferite inferte, che è giusto, ma anche di un tema, quello della persecuzione dei cristiani, che non si manifesta nella battuta inopportuna al bar di un italiano, che poi probabilmente nella vita concreta si comporta diversamente: si parla di gente che taglia la gola ad altra gente, perché prega il suo Dio. Noi sappiamo collocare nella giusta scala delle priorità questi diritti e per noi non c'è dubbio che quello religioso è il primo.
  Termino con una piccola riflessione che ho fatto e che voglio agganciare alle vostre, che mi hanno arricchito. Abbiamo la consapevolezza che questo Occidente, in virtù del principio di ingerenza umanitaria molto spesso mal mostrato nei Paesi mediorientali, non ha ancora ben metabolizzato un convincimento e un principio che è essenziale: prima del pluralismo politico le società umane incontrano il pluralismo religioso. Senza il pluralismo religioso le società umane non approdano al pluralismo politico. Mai più guerre, mai più ingerenze umanitarie, che in virtù di un agognato, sperato, atteso e mai trovato pluralismo politico, intanto cancellano il pluralismo religioso, che in Siria e in Iraq esisteva e che è stato messo fortemente a rischio da improvvidi schieramenti di campo dell'Europa e dell'Occidente.

  PAOLO FORMENTINI. Sono stato più volte citato e ringrazio sia il collega Delmastro Delle Vedove sia Sebastiano Caputo.
  Da questo gruppo è partito l'impegno al sostegno del fondo, qui ci sono – non a caso – anche tre rappresentanti dell'intergruppo per i cristiani perseguitati. Da noi avrete tutto il sostegno possibile alla vostra azione, ne siamo intimamente convinti. Davvero sappiamo che i cristiani sono stati i primi abitanti di quelle terre, da cui oggi vengono brutalmente sradicati. Mi unisco anch'io ai complimenti per le parole pronunciate, che sono parole davvero coraggiose, perché il diritto a non emigrare non viene riconosciuto dalle istituzioni, non viene tutelato e non si interviene con fondi come quello per i cristiani perseguitati, per far sì che le persone non siano costrette a emigrare, anche a causa di una situazione, dal punto di vista della sicurezza, che sta peggiorando enormemente.
  Non possiamo non citare a questo proposito il conflitto che interessa tutta l'area mediorientale tra Iran e Paesi del Golfo, che è una nuova dinamica che ha preso il posto di quello che nell'immaginario comune era il conflitto tra Israele e Palestina. C'è un cambiamento geopolitico, un'instabilità di tutta l'area e chi ne fa le spese sono i più antichi abitanti, quelli che da millenni professano la fede cristiana. Noi li sosterremo sempre, perché siamo convinti che davvero – come detto – l'emigrazione non sia un Erasmus, ma sia una ferita profonda per quelle comunità, e – lo diciamo senza paura – anche un problema da gestire per chi poi riceve questi flussi.
  I cristiani – dicevate – non devono essere ghettizzati. Questo è un problema che ci siamo posti un po’ tutti, e ritorno sul fondo per capire bene e avere suggerimenti da voi – questa è la domanda: come fare a portare risorse senza, al contempo, ghettizzare i cristiani. Già avete accennato che voi distribuite aiuti a tutta la popolazione, questa può essere una soluzione, però al contempo anche un problema perché così si diluiscono le risorse a disposizione, che già immagino siano ridotte.
  Io sono appena tornato dalla Giordania, sono stato al campo profughi di Zaatari, dove 76 mila siriani risiedono da anni: ovviamente è un'immagine drammatica di quello a cui porta la guerra; anche lì però non ho trovato attenzione al dramma dei cristiani perseguitati, perché alla mia domanda su quale fosse la componente cristiana tra questi profughi, e su cosa fa l'ONU per sostenere queste antiche comunità, le risposte non sono arrivate. Quindi c'è poca consapevolezza e un grandissimo lavoro da fare, perché – ne siamo consapevoli anche noi – i cristiani sono sempre Pag. 11stati un punto di equilibrio tra le diverse confessioni dell'Islam, tra le diverse religioni presenti in quell'area, una ricchezza culturale e – mi si consenta – anche portatori di civiltà.

  VITO COMENCINI. Io vorrei ringraziare i nostri ospiti per quello che fanno. Un ringraziamento in primis da cristiano e da cattolico, perché vedere che ci sono delle persone che con grande determinazione e coraggio decidono di rischiare la vita, andando in determinati posti, in determinate situazioni – come è stato detto – addirittura ancora prima che intervenissero delle potenze internazionali, poi decisive, è sicuramente molto rischioso. Quindi un ringraziamento per quello che fate per i nostri fratelli cristiani. Un ringraziamento per quello che oggi siete venuti a spiegare.
  Ovviamente è nostro dovere essere qua e sostenervi, cercare di aiutarvi concretamente, economicamente, attraverso il sostegno per la riapertura dell'Ambasciata e tutto ciò che è necessario per riavviare questi rapporti fondamentali, che devono essere chiaramente economici e non solo a parole, per cercare di andare a vedere fino in fondo la situazione e come possiamo essere di aiuto. Già da un po’ di tempo stiamo parlando di questa missione, so che già dei colleghi del Parlamento europeo sono stati in missione recentemente, quindi la volontà di riaprire i rapporti in questo senso è sicuramente forte.
  Quello che vorrei chiedere – c'è stato un passaggio molto interessante, anche se solo accennato, perché immagino che ci vorrebbe molto più tempo – riguarda ciò che è stato raccontato dai media occidentali e quella che è la realtà, in particolar modo rispetto agli attori internazionali che sono intervenuti. Ad esempio è stato molto interessante il passaggio che avete fatto sul discorso del Kurdistan e della Turchia, sulla posizione politica e militare molto forte di questi curdi rispetto sia alla Turchia sia a Daesh nella dura battaglia che hanno ingaggiato – e gli va dato atto – ma anche nei confronti delle altre minoranze, rispetto alle quali è evidente che non c'è questo approccio di apertura e collaborazione. Interessante questo, però vorrei capire rispetto agli attori internazionali adesso – superata o comunque quasi conclusa la questione della guerra – com'è la presenza delle diverse potenze straniere. Avete parlato della Russia e dell'Iran: un conto è dire che si interviene per una guerra, un altro è vedere infrastrutture, investimenti, presenza e vicinanza con altre realtà, quindi eventuali altre tensioni che si possono creare; inoltre, occorre capire l'effetto creato nella regione dal ritiro degli Stati Uniti dal Kurdistan. Sarebbe interessante capire da voi, che queste cose le avete viste da vicino, come queste potenze internazionali effettivamente influenzeranno la situazione in Siria e in Iraq.
  Giustamente avete riferito di come i Paesi del Golfo si stanno riavvicinando alla Siria e al suo Governo; da un po’ di tempo si parla anche del ritorno della Siria nella Lega araba, vorrei capire se avete una percezione di questa cosa, se questo riavvicinamento degli Emirati Arabi Uniti può portare al ritorno in una importante organizzazione internazionale, dove la Siria possa ritornare come protagonista rilevante.
  Ovviamente è importante per noi portare avanti queste battaglie, perché sono battaglie di attualità per i cristiani, ma sono battaglie che purtroppo si sono spesso portate avanti nella storia. Come ha detto il collega Delmastro Delle Vedove, la civiltà cristiana è stata spesso fondamentale per la pace, perché Gesù Cristo ha portato avanti un messaggio di pace e forse proprio per questo è stata ed è così perseguitata. È una battaglia attuale, anche perché purtroppo al di fuori del Medio Oriente non riguarda solo il problema dell'islamizzazione, ma anche altre ideologie che perseguitano i cristiani. Uno dei Paesi dove i cristiani sono più perseguitati, ad esempio, è la Corea del Nord, ma anche in Cina e in altri Paesi dove ci sono ideologie, per non parlare del passato, come è stato visto qualche settimana fa in occasione dell'anniversario della caduta del muro: io ho visto di persona i luoghi dell'ex Unione Sovietica dove le chiese erano state distrutte e adesso sono state ricostruite. Ci sono anche delle ideologie che perseguitano i cristiani. Spesso, forse, Pag. 12l'islamizzazione è addirittura un'ideologia che coinvolge anche territori vicini all'Europa, vedasi le enclave serbe in Kosovo, dove purtroppo i cristiani vivono una situazione di grave pericolo.

  PRESIDENTE. La parola ora torna ai nostri ospiti per le repliche.

  BENJAMIN BLANCHARD, Direttore Generale della ong francese SOS Chrétiens d'Orient. Grazie, presidente. Ho preso nota di alcuni punti. Per il Kosovo colgo l'occasione per salutare un'associazione amica che ci ha ispirati, Solidarité Kosovo, che da più di dieci anni aiuta i serbi nel Kosovo che vivono nelle enclave. Li ho visti lavorare, sono soprattutto francesi, e fanno un lavoro davvero lodevole.
  Mi ha interessato quello che è stato detto sul posto dei cristiani nella società mediorientale, soprattutto in Siria e in Iraq. Riprendo quanto detto da Sebastiano Caputo: è molto importante che i cristiani non siano nei ghetti, non siano emarginati nelle società, che siano il 10 o l'1 per cento, come in Iraq. Se siete messi da parte, non vi rimane che una soluzione: partire. Non si può più vivere per sempre nel proprio paesino, si deve prima o poi andare all'università, cercare lavoro, e questo non può avvenire nel proprio villaggio. Si deve andare in città e ci si deve confrontare con il mondo esterno.
  Detto questo, è chiaro che c'è un problema particolare di emigrazione dei cristiani. Certo, tutti hanno patito la guerra, ma i cristiani – è vero – partono molto più degli altri. Questo fenomeno si può spiegare. Ci sono persecuzioni, soprattutto da parte dei gruppi terroristici (Daesh e altri gruppi, come al-Nuşra e altri, tantissimi). Ma non solo, perché anche prima delle persecuzioni terroristiche c'era una forte emigrazione, che vuol dire che c'è anche un problema morale.
  I cristiani hanno l'impressione di non avere più un futuro, di non avere più un posto in quelle società. C'è il fatto che più volte hanno subito persecuzioni nell'ultimo secolo. Quando la Turchia ha commesso il genocidio un secolo fa, quello è stato all'inizio delle sciagure per i cristiani della regione. Questo non vuol dire che tutto andasse bene sotto l'Impero ottomano, in quanto c'erano stragi, ma quello fu il grande massacro seguito dalla forte instabilità per i cristiani. È per questo che abbiamo deciso di puntare sull'aiuto ai cristiani, a prescindere dal nostro dovere morale come cristiani, ma proprio perché hanno un problema specifico: a problema specifico risposta specifica.
  Quanto agli aiuti che forniamo, in gran parte vanno ai cristiani. Ma dipende da che tipo di aiuto. Se si tratta di aprire un ospedale o una scuola, come diceva Sebastiano, è per tutti. Gli ospedali e le scuole sono aperti come le chiese, è chiaro. Una scuola, come una chiesa, come in Italia e in Francia, accoglie tutti, e non saremo noi a cambiare questo. Ed è giusto così. La stessa cosa vale per gli ospedali. La Chiesa non può costruire un ospedale dicendo che è solo per i cristiani. Poi c'è un aiuto specifico. I cristiani ricchi pagano come tutti, ma per i cristiani poveri sono gratuiti sia la scuola sia l'ospedale. Anche se sono cose che vanno a beneficio di tutti, aiutano più specificatamente i cristiani.
  Per quanto riguarda la ricostruzione di abitazioni, il 90 per cento è per i cristiani, ma si include sempre una parte a beneficio dei musulmani, perché è importante far vedere che il problema tocca principalmente i cristiani, ma che si aiutano anche le altre comunità. Il nome dell'associazione mostra chi siamo, ma aiutiamo tutti. E al di là dell'aiuto materiale per i cristiani, questa strategia porta una buona reputazione. Questo è importante, perché uno dei grandi problemi dei cristiani è stato il termine infelice del presidente Bush, che ha parlato di «crociata contro l'asse del male»: di quel motto loro hanno preso la parola «crociata» e non «asse del male». Quindi i cristiani sono visti come gli alleati degli americani, benché in Iraq e in Siria siano stati tra i più patriottici. Si tratta di una falsa accusa che è rimasta nella memoria e bisogna fare di tutto per sradicarla.
  So che legalmente si può parlare di genocidio, perché il genocidio non sono solo le stragi, ma anche l'intenzione di Pag. 13scacciare la gente, ed è vero che i cristiani vengono scacciati soprattutto in Iraq, ma è meglio non insistere altrimenti si rischia di dividere ancor di più queste società, che non hanno bisogno di esserlo, perché già sono abbastanza divise da grossi fattori di esplosione. Quindi aiuto specifico sì, insistiamo sull'aiuto e lo dichiariamo, ma bisogna andarci cauti, perché non bisogna peggiorare i problemi agendo brutalmente, come a volte possono fare – senza fare nomi – gli americani.
  Avete parlato dei campi profughi in Giordania. Che siano in Giordania, in Libano o anche in Turchia, in generale i cristiani non si trovano nei campi, perché a loro non piace: preferiscono ammucchiarsi in dieci, dodici, quindici in un appartamentino di una stanza o due piuttosto che stare nei campi. Per un semplice motivo: i cristiani sono abituati a vivere in villaggi o in città, non sono dei beduini. Quindi la cosa peggiore per loro, peggio ancora che emigrare, è stare nei campi. Per alcuni musulmani, invece, che a volte ancora vivono come beduini, è più naturale.
  In Siria si viveva nelle tende, si continua a vivere nelle tende in Giordania, non è sprezzante quello che dico: è una realtà che abbiamo constatato. Ci sono dei cristiani che hanno preferito perdere tutti i loro risparmi per vivere sotto un tetto piuttosto che stare nei campi. Ne vedrete pochissimi quindi. La conseguenza è che ricevono pochi aiuti, perché, quando siete dispersi negli appartamenti, non è facile per l'ONU o per le grandi associazioni venirvi ad aiutare, perché siete sparpagliati. Quindi noi facciamo questo lavoro, soprattutto in Giordania abbiamo un’équipe che da cinque anni lavora con i profughi cristiani iracheni, che sono dispersi in piccoli appartamenti o in chiese, che non ricevono aiuti perché è impossibile che l'ONU possa raggiungerli. Sono troppo sparpagliati, è troppo complicato. Noi come piccola associazione facciamo questo.
  Sul piano della sicurezza, grazie per l'omaggio. Corriamo dei rischi, ma abbiamo sempre cercato di padroneggiare il rischio. Su 1.700-1.800 volontari abbiamo avuto zero problemi gravi. Siamo stati fortunati, forse abbiamo dei buoni angeli custodi, forse lavoriamo con i migliori professionisti della sicurezza per evitare il minimo problema, sia sul piano della prevenzione sia su quello, semmai ci fosse, assicurativo.
  Per quanto riguarda le questioni più politiche: la Turchia. Io sono andato in missione nel sud-est turco, nel Tur Abdin, regione storicamente cristiana-siriaca e ciò che ho visto là non l'ho visto in nessun altro Paese dove operiamo (Egitto, Siria, Iraq). È incredibile. E non è legato solo a Erdoğan. Ci sono persecuzioni sotto il regime di Erdoğan, ma prima era anche peggio, sotto il regime kemalista. Queste persone sono davvero perseguitate. Nel villaggio dove eravamo ho visto una madre cristiana assassinata da miliziani paragovernativi. Il nostro autista ha passato tre settimane in prigione solo perché, per una settimana, ci aveva portato in giro in Turchia per farci visitare i villaggi cristiani. Cosa mai vista né in Iraq né in Egitto, neanche in Pakistan. Eppure la Turchia è un Paese membro della NATO e candidato a entrare nell'Unione europea. È qualcosa di incomprensibile per chiunque in qualsiasi Paese della regione, nessuno riesce a capire come mai si sia così tolleranti verso la Turchia, che poi occupa metà di un Paese membro dell'Unione europea e nega ancora uno dei peggiori genocidi della storia moderna. Questo è motivo di stupore. Ciò nonostante ascolto gli argomenti turchi nei confronti del PKK, il Partito dei lavoratori curdi, che sono peraltro fondati.
  Chiedevate se la Siria rientrerà nella Lega araba. Non ho informazioni a riguardo, ma pare che l'anno scorso ci siano stati dei progressi in questo senso. Poi gli americani sono intervenuti presso i loro alleati nella regione per bloccare la cosa.
  Gli effetti del ritiro americano dal nord-est siriano. L'effetto è duplice: da una parte negativo, ci sono stati sfollati, soprattutto curdi o arabi che sono scappati dal nord-est e sono andati a Raqqa. Abbiamo fatto una distribuzione massiccia presso tremila famiglie tre settimane fa, ma ci sono stati molti meno sfollati del previsto. L'ONU ne stimava due/trecentomila, abbiamo avuto Pag. 14all'incirca trentamila persone, un decimo del previsto. Comunque sono trentamila di troppo, quindi è grave. Poi c'è un ulteriore effetto negativo: l'occupazione di una parte del nord-est della Siria, una violazione dell'integrità territoriale siriana. Non è la prima volta. Sono otto anni che tutti violano il territorio siriano, ma è una volta di più. L'effetto positivo è che ciò ha consentito uno sblocco politico perché, in seguito a questo ritiro, gli americani hanno lasciato discutere i curdi con il Governo siriano. A poco a poco, dunque, la legalità siriana sta tornando nel nord-est del Paese e questo è buon segno per tutte le componenti della società, perché i governi locali, i consigli locali dei partiti curdi avevano una visione piuttosto settaria delle cose e favorivano i curdi, che pure rappresentano una minoranza, solo il 30 per cento della popolazione. Quindi il ritiro americano ha avuto effetti negativi e positivi.
  Sebastiano ci potrà parlare della ricostruzione.

  SEBASTIANO CAPUTO, presidente della Fondazione SOS Chrétiens d'Orient. Aggiungo un piccolo punto. È stato detto tutto quanto, ma per quanto riguarda il fondo per i cristiani è interessante, perché noi come Fondazione italiana, essendo nati da poco più di un anno, non abbiamo potuto partecipare, perché ci vuole una registrazione nel registro dell'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (AICS) e ci vogliono tre anni di esistenza; tuttavia, abbiamo letto i bandi e devo dire che loro sono più che professionali. Quindi diciamo che gli aiuti alle comunità cristiane d'Oriente o alle comunità cristiane nel mondo sono sempre in funzione della convivialità con le altre confessioni nel luogo in cui operano. Chiedono dei punti specifici affinché non ci sia una marginalizzazione, una ghettizzazione dei cristiani Si cerca di aiutare queste comunità perseguendo la loro integrazione e il radicamento che hanno nei luoghi specifici.
  In conclusione, la parte finale dell'intervento dell'onorevole Delmastro Delle Vedove è importante. Le comunità cristiane in Siria e in Iraq, in particolare, non sono state abbandonate dall'Occidente, sono state letteralmente tradite. Noi abbiamo sbagliato posizionamento geopolitico e strategico: abbiamo appoggiato direttamente o indirettamente chi ha massacrato i cristiani. Questa è la verità.
  Come ricordava bene Benjamin Blanchard, molti cristiani siriani o cristiani iracheni erano i primi patrioti sia in Siria che in Iraq, per cui anche lì bisogna stare molto attenti quando si persegue l'interesse delle comunità cristiane: bisogna sempre pensare che, prima di essere cristiani, sono figli della loro terra, quindi sono siriani prima che cristiani, sono iracheni prima che cristiani, per cui bisogna anche rispettare quello che è il loro interesse nazionale e l'interesse della loro comunità, perché sono una comunità politica prima di essere una comunità religiosa. Importante difendere il diritto dei cristiani, tutelarlo, però facciamo sempre attenzione alla strumentalizzazione, altrimenti non li andiamo ad aiutare, ma li andiamo a «targettizzare» e ad accelerare l'emorragia. Quindi occorre operare sempre in punta di piedi, senza imporre nessun modello occidentale, nel rispetto delle tradizioni e della cultura di queste popolazioni, che, oltre a essere cristiane, sono prima di tutto orientali. Anche questo bisogna sottolinearlo. Come in Oriente la chiesa è al centro del villaggio, anche la moschea è al centro del villaggio, e le comunità musulmane nel 90 per cento dei casi sono perfettamente inclusive con le comunità cristiane. Quando ci sono questi fenomeni terroristici cambia la percezione delle comunità cristiane, quindi cerchiamo sempre di lavorare in punta di piedi, con intelligenza, con lucidità anche di analisi per quello che accadde in quelle zone del mondo.

  BENJAMIN BLANCHARD, Direttore Generale della ONG francese SOS Chrétiens d'Orient. Ho dimenticato di dirvi che noi saremmo molto lieti di farvi visitare le nostre attività in Iraq e in Siria: in passato abbiamo ricevuto delegazioni dell'Assemblea nazionale e del Senato francesi, del Parlamento europeo e, più recentemente, del Bundestag tedesco – mi pare ci fossero due o tre parlamentari federali tedeschi in Siria – e abbiamo presentato loro il nostro Pag. 15lavoro. Ci fa sempre molto piacere farlo. I siriani accolgono sempre molto bene le delegazioni. Attualmente, il Presidente del Parlamento siriano è cristiano, il suo predecessore era musulmano ed era una donna: è singolare, nella regione, che il Presidente del Parlamento sia stato prima una donna e poi un cristiano. Quindi ci sono cose che stanno cambiando nella giusta direzione.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli ospiti e i deputati per aver preso parte all'audizione di quest'oggi, e la dichiaro conclusa.

  La seduta termina alle 9.45.

  Gli interventi in lingua straniera sono tradotti a cura degli interpreti della Camera dei deputati.