XVIII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Mercoledì 21 novembre 2018

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Grande Marta , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'AZIONE INTERNAZIONALE DELL'ITALIA PER L'ATTUAZIONE DELL'AGENDA 2030 PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE

Audizione del professor Enrico Giovannini, Portavoce dell'Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS).
Grande Marta , Presidente ... 3 
Giovannini Enrico , Portavoce dell'Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) ... 4 
Grande Marta , Presidente ... 8 
Billi Simone (LEGA)  ... 8 
Cabras Pino (M5S)  ... 9 
Quartapelle Procopio Lia (PD)  ... 9 
Giovannini Enrico , Portavoce dell'Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) ... 9 
Grande Marta , Presidente ... 11 
Romaniello Cristian (M5S)  ... 11 
Giovannini Enrico , Portavoce dell'Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) ... 12 
Formentini Paolo (LEGA)  ... 13 
Giovannini Enrico , Portavoce dell'Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) ... 13 
Ehm Yana Chiara (M5S)  ... 14 
Grande Marta , Presidente ... 14 

ALLEGATO: Documentazione depositata dal professor Enrico Giovannini, Portavoce dell'Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) ... 15

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MARTA GRANDE

  La seduta comincia alle 14.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del professor Enrico Giovannini, Portavoce dell'Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, l'audizione del portavoce dell'Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, il professor Enrico Giovannini, che è accompagnato dalla dottoressa Claudia Caputi, responsabile della comunicazione, e dalla dottoressa Ottavia Ortolani, social media manager, oltre che da Andrea Bonicatti e da Giulia D'Agata.
  Saluto e ringrazio il professor Giovannini per la sua disponibilità a prendere parte ai nostri lavori.
  Ricordo che l'Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile è stata costituita il 3 febbraio del 2016 su iniziativa della Fondazione Unipolis e dell'università di Roma «Tor Vergata» per far crescere nella società italiana, nei soggetti economici e nelle istituzioni la consapevolezza dell'importanza dell'Agenda per lo Sviluppo Sostenibile e per mobilitarla allo scopo di realizzare gli obiettivi di sviluppo sostenibile.
  L'Alleanza riunisce attualmente oltre cento tra le più importanti istituzioni e reti della società civile, quali associazioni imprenditoriali, sindacali e del terzo settore, reti di associazioni della società civile che riguardano specifici obiettivi, associazioni di enti territoriali, università e centri di ricerca pubblici e privati e le relative reti, associazioni di soggetti attivi nei mondi della cultura e dell'informazione, fondazioni e reti di fondazioni, soggetti italiani appartenenti ad associazioni e reti internazionali attive sui temi dello sviluppo sostenibile.
  Le attività dell'Alleanza sono realizzate grazie ai contributi finanziari, strumentali e di lavoro forniti dai suoi membri. L'Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile fa inoltre parte dell'ESDN, European Sustainable Development Network, la rete informale di soggetti istituzionali, associazioni ed esperti che dal 2003 si occupano di politiche e strategie di sviluppo sostenibile.
  Le mission dell'Alleanza sono definite secondo un programma di lavoro che per l'anno in corso si articola sulle seguenti quattro principali direttrici: sensibilizzazione degli operatori pubblici e privati, della pubblica opinione e dei singoli cittadini sull'Agenda per lo sviluppo sostenibile; valutazione delle implicazioni e delle opportunità per l'Italia che derivano dall'adozione dell'Agenda per lo sviluppo sostenibile; educazione allo sviluppo sostenibile, con particolare attenzione alle giovani generazioni e ai decisori pubblici e privati; sviluppo di adeguati strumenti di monitoraggio per il conseguimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile in Italia.
  Il 4 ottobre scorso, è stato presentato qui alla Camera il rapporto ASviS 2018, nel quale si evidenzia che l'Italia rischia di perdere la sfida dello sviluppo sostenibile. Pag. 4
  In particolare, dall'analisi effettuata dall'ASviS risulta che, tra il 2010 e il 2016, l'Italia è peggiorata in cinque aree: povertà; condizione economica e occupazionale; disuguaglianze; condizioni delle città; ecosistema terrestre.
  Segni di miglioramento si registrano, invece, per quanto riguarda i seguenti settori: alimentazione e agricoltura sostenibile; salute; educazione; uguaglianza di genere; innovazione; modelli sostenibili di produzione e di consumo; lotta al cambiamento climatico; cooperazione internazionale.
  Anche in relazione alla seduta di questa mattina sui temi rientranti nel target n. 2), potrebbe essere interessante conoscere i numeri della malnutrizione del nostro Paese, con specifica attenzione all'obesità, fenomeno in un'allarmante crescita a livello globale anche in Europa.
  Se i colleghi relatori dell'Agenda 2030 non intendono svolgere qualche considerazione introduttiva, do la parola al professor Giovannini.

  ENRICO GIOVANNINI, Portavoce dell'Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS). Buongiorno a tutti. È veramente un piacere essere di nuovo qui in questa sala, dove eravamo stati convocati durante l'estate del 2016, a pochi mesi dalla costituzione dell'ASviS, quando ci fu la prima audizione che apriva l'indagine conoscitiva, che poi si è conclusa a dicembre dello scorso anno.
  Sono veramente lieto di poter condividere con il Parlamento, e siamo particolarmente lieti dell'alto numero di parlamentari che oggi hanno voluto dedicare il loro tempo a questo tema, perché come ASviS siamo convinti che gli impegni che sono stati adottati da tutti i Paesi del mondo a settembre 2015 siano gli unici che possono effettivamente consentire al mondo, all'Europa, all'Italia, di conseguire uno sviluppo sostenibile a tutto tondo.
  Il rapporto che abbiamo presentato a ottobre è a vostra disposizione, insieme a una sintesi. Io scorrerò alcune slides per richiamare i punti-chiave, non tanto e non solo di come l'Italia è messa rispetto agli obiettivi, ma soprattutto per proporvi i suggerimenti di policy che l'Alleanza ha sviluppato.
  Correggo soltanto un dato che è stato dato: gli aderenti all'Alleanza sono più di duecentoventi; nella prima pagina del rapporto trovate, con caratteri un po’ piccoli, l'elenco degli aderenti, visto che il numero cresce, ma lo spazio disponibile per questa lista è lo stesso.
  Come è stato ricordato, l'ASviS lavora su diversi fronti, in particolare sull'educazione allo sviluppo sostenibile. Vorrei ricordare che il nostro corso e-learning è stato fruito da 33 mila docenti quest'anno, e l'anno prossimo saranno 28 mila i docenti che attraverso la piattaforma del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca potranno accedere al nostro corso e-learning. È stata costituita dai rettori la Rete delle Università per lo sviluppo sostenibile. Sono 59 università. Abbiamo avviato la prima scuola estiva in sviluppo sostenibile a Siena, per quindici giorni. La Scuola nazionale di amministrazione ha avviato la formazione dei dirigenti pubblici. Noi partecipiamo a una serie di progetti europei.
  Inoltre, facciamo molta sensibilizzazione. Il festival, su cui tornerò tra un attimo, è un momento molto importante, ma abbiamo una serie di altre iniziative orientate ai diversi soggetti.
  Elaboriamo poi, naturalmente, indicatori statistici e modelli.
  Il festival è un evento unico a livello mondiale, e ne siamo molto fieri, sullo sviluppo sostenibile. Si tiene in tutta Italia. Quest'anno, sono stati oltre settecento gli eventi che si sono tenuti in diciassette giorni, dal 22 maggio al 7 giugno, diciassette, tanti quanti sono i goal dell'Agenda 2030. Proprio oggi, viene lanciato il festival per l'anno prossimo, che si terrà dal 21 maggio al 6 giugno.
  Il mondo e l'Agenda 2030. Come forse ricorderete, l’High-level Political Forum, l'organismo dell'ONU creato apposta per quest'Agenda, riceve ogni anno le cosiddette voluntary national reviews, le valutazioni che ogni Paese fa rispetto al proprio stato di attuazione dell'Agenda. L'Italia lo ha fatto l'anno scorso, nel 2017, ma vorrei sottolineare che alcuni Paesi che l'hanno Pag. 5già fatto, si sono nuovamente prenotati per il 2019 per rendere conto dei passi avanti rispetto a quello che è stato fatto in precedenza.
  Inoltre, nel 2019 ci sarà anche la Commissione europea che rendiconterà sullo stato dell'Agenda nei confronti dell'Unione europea.
  Il settore privato si sta impegnando per lo sviluppo sostenibile, in particolare la parte finanziaria, ottima notizia da un certo punto di vista, pessima notizia dall'altro: se anche la finanza si preoccupa della sostenibilità dei propri investimenti, il rischio che il mondo sia non solo non sostenibile, ma che possa fronteggiare momenti molto difficili nel breve termine, è ancora più alto.
  Peccato che non ci siamo. Se il mondo andasse avanti, come ha deciso di fare a settembre, semplicemente proseguendo le tendenze che abbiamo visto negli ultimi tre anni, non ci sarebbe modo di conseguire l'Agenda 2030.
  Il cosiddetto «overshoot day», il giorno in cui il mondo consuma le risorse annuali disponibili, viene anticipato ogni anno, e adesso siamo al 2 agosto di ogni anno. Ci sono forti resistenze alla lotta al cambiamento climatico, mentre disastri naturali sono sotto gli occhi di tutti. È tornato ad aumentare il numero di chi soffre la fame, quando si pensava che ormai il trend discendente fosse destinato a continuare. Il degrado ambientale continua, con forte consumo di suolo. Ci sono circa 40 milioni di schiavi, di cui il 70 per cento sono donne, nel mondo. Le disuguaglianze aumentano ovunque all'interno dei singoli Paesi a favore non solo dei ricchi, ma dei ricchissimi, lo 0,1 per cento della popolazione.
  Voglio ricordare che in Italia negli ultimi sei o sette anni la quota di ricchezza detenuta dalle 5 mila persone più ricche è aumentata dal 2 al 10 per cento, cioè è stata quintuplicata. Ci sono 68,5 milioni di persone che sono rifugiate o sfollate per guerre e così via, e 28 milioni di migranti ambientali. Vorrei ricordare che in queste settimane è in discussione il Migration Compact alle Nazioni Unite, e l'Italia dovrà assumere una posizione chiara rispetto a questo accordo a livello internazionale, potenzialmente molto importante.
  A che punto è l'Unione europea? L'UE ha pubblicato in questi ultimi mesi il secondo rapporto Eurostat sullo stato dell'Unione rispetto agli Obiettivi di sviluppo sostenibile: dei cento indicatori pubblicati, abbiamo fatto delle sintesi goal per goal, e questi indicatori migliorano se la situazione tende a migliorare; diversamente, peggiorano.
  Questa è la situazione, per esempio, dei primi tre goal, che riguardano la povertà, l'alimentazione, la salute, l'educazione. Il goal 5 riguarda le disuguaglianze di genere; per il goal 6, sull'acqua, non è stato possibile neanche costruire un indicatore sintetico a causa della mancanza di dati; il goal 7 è l'energia; il goal 8 è crescita economica e occupazione; il goal 9 è l'innovazione e le infrastrutture; il goal 10 sono le disuguaglianze; il goal 11 riguarda la situazione delle città; il goal 12, l'economia circolare; il goal 13, la lotta al cambiamento climatico; per il goal 14, non siamo riusciti a calcolare i dati per mancanza di indicatori; il goal 15 riguarda la situazione degli ecosistemi terrestri; il goal 16, l'efficienza delle istituzioni; il goal 17 riguarda la partnership con i Paesi in via di sviluppo.
  Se avete scorso anche rapidamente questi indicatori, è chiaro che i trend sono o piatti o in leggero aumento, il che vuol dire che, benché l'Europa sia il luogo più sostenibile in tutto il mondo, il più avanzato da tutti i punti di vista rispetto alle altre aree geopolitiche, i trend attuali non sono minimamente in linea con gli obiettivi assunti a settembre del 2015. L'Europa non è su un sentiero di sviluppo sostenibile.
  Ci sono stati importanti passi avanti. Pensiamo al pilastro europeo dei diritti sociali, al miglioramento della situazione economica e sociale, al pacchetto sull'economia circolare, alla lotta alla plastica e così via, ma non ci siamo.
  Il fatto che nel discorso sullo stato dell'Unione di Jean-Claude Juncker a settembre l'Agenda 2030 non sia neanche citata è stato significativo. A gennaio del 2019, in ritardo rispetto a dicembre, così come richiesto dal Parlamento europeo e dal Consiglio Pag. 6 europeo, la Commissione pubblicherà un reflection paper per capire come introdurre l'Agenda 2030 in tutte le politiche europee. Questo significa, di fatto, che le grosse decisioni verranno rinviate alla prossima Commissione europea e al prossimo Parlamento europeo, quindi avremo perso ancora un anno per rendere, come dovrebbe essere, l'Agenda 2030 il paradigma, l'architrave delle politiche europee per i prossimi dieci anni.
  Sapete che la Strategia 2020, dovrà essere rimpiazzata da una strategia 2030, e qui bisognerà decidere se, come dice già il Trattato, l'Agenda 2030 dovrebbe essere appunto il paradigma comune per tutte le politiche.
  L'Italia non è su un sentiero di sviluppo sostenibile né sul piano economico, né sul piano sociale, né sul piano ambientale. L'Agenda 2030 supera l'idea che la sostenibilità sia una problematica ambientale, ma pone sullo stesso piano le dimensioni economica, sociale e ambientale.
  Questi sono gli indicatori per l'Italia. Il goal 1 riguarda la povertà; il goal 2 riguarda l'alimentazione; il goal 3, la salute; il goal 4, l'educazione.
  È interessante il caso dell'educazione. Come vedete, stiamo facendo dei passi avanti, e adesso l'Italia è dove l'Europa mediamente era dieci anni fa.
  Lo dico perché quello che conta non è tanto il trend passato, ma quello che manca agli obiettivi di sviluppo sostenibile e ai 169 target.
  Il goal 5 è la condizione dell'uguaglianza di genere; il goal 6, l'acqua; il goal 7, l'energia. È interessante il caso dell'energia. Avevamo effettivamente avuto un miglioramento, in particolare nella lotta al cambiamento climatico, ma non appena l'economia ha ripreso a crescere, le emissioni sono aumentate più di quanto è aumentato il PIL, il che vuol dire che abbiamo enormi passi avanti ancora da fare.
  Il goal 9 riguarda le infrastrutture; il goal 10 riguarda le disuguaglianze; il goal 11, le città; il goal 12, l'economia circolare.
  Siamo particolarmente sorpresi che l'espressione «economia circolare» non compaia in nessuna riga della legge di bilancio. Avrebbe potuto essere destinata a quest'obiettivo anche una serie importanti di incentivi. Non ce n'è traccia. Soprattutto, questa non è una risposta adeguata al settore privato, che ha capito che l'economia circolare è veramente un motore di crescita, è un motore di sviluppo. Tra l'altro, le tecnologie consentono enormi avanzamenti. Faccio solo un esempio.
  Il comune di Berlino ritira i pannolini usati dei bambini e per ogni pannolino usato restituisce un pannolino nuovo. Visto che sono nonno di tre bambini, di cui la più grande ha diciannove mesi, il tema è abbastanza sentito in casa.
  Perché succede questo? Perché c'è un nuovo tipo di pannolino, il quale viene innescato da quello che i bambini immettono nel pannolino e diventa un fertilizzante, che viene usato dal comune per far crescere gli alberi.
  Cosa produce oggi il produttore di pannolini? Non produce più un pannolino. Produce un fertilizzante. E l'innesco è soltanto un momento del processo produttivo. Capite come l'economia circolare cambi radicalmente la questione. Ci tornerò quando parlerò del goal 13 e della lotta al cambiamento climatico.
  Vorrei ricordare che in Europa abbiamo mezzo milione di persone che muoiono ogni anno a causa di malattia legate all'inquinamento, di cui 60 mila in Italia. Per loro, lo sviluppo sostenibile è già finito, e questo avviene ogni anno. Naturalmente, il tema non è soltanto quello delle automobili. È evidente che per mezzo milione di persone europee all'anno non siamo su un sentiero di sviluppo sostenibile.
  Ultimo indicatore è quello sul partenariato, fondamentalmente dato dalla quota di aiuti pubblici allo sviluppo rispetto al reddito nazionale lordo. Siamo circa allo 0,30 per cento. Tanti anni fa, l'Italia si era impegnata, come gli altri Paesi del mondo, ad avere lo 0,7 per cento. Quell'aumento significativo che vedete illustrato nelle slides è dovuto non ai trasferimenti ai Paesi in via di sviluppo, ma al fatto che, secondo gli standard internazionali, in questi dati rientrano i contributi per la gestione dei migranti sul territorio nazionale. È quello Pag. 7che sta facendo crescere la curva, non gli aiuti allo sviluppo in senso stretto.
  In conclusione, l'Italia non è proprio sul sentiero di sviluppo sostenibile. La strategia nazionale è stata approvata a dicembre dell'anno scorso, ma è generica e senza obiettivi quantitativi. La direttiva, firmata a marzo del 2016, che sposta a Palazzo Chigi il coordinamento delle politiche per lo sviluppo sostenibile non è attuata. Lo abbiamo detto anche al Presidente del Consiglio il 7 ottobre di quest'anno.
  Prima delle elezioni, abbiamo proposto alle forze politiche un decalogo, che vedremo tra un attimo. È stato sottoscritto da tutte le forze politiche, eccetto Lega e Fratelli d'Italia, ma non vediamo traccia di impegni in questa direzione. C'è una grande, crescente mobilitazione della società civile, ma una forte disattenzione da parte della politica e dei media. C'è un miglioramento della base statistica attraverso cui è possibile vedere indicatori.
  Altri Paesi in questi tre anni hanno avviato processi trasformativi. Sembra che noi abbiamo firmato questi accordi e ce ne siamo dimenticati. In realtà, abbiamo dovuto come ASviS addirittura tradurre in italiano gli impegni presi dal Governo italiano dell'epoca, perché non erano stati neanche tradotti.
  I dieci punti su cui abbiamo chiesto un impegno da parte delle forze politiche sono questi: il primo è l'introduzione in Costituzione del principio dello sviluppo sostenibile, perché tale principio ha a che fare con la giustizia tra generazioni. Questo principio non c'è nella Costituzione italiana, come non c'è in quasi tutte le Costituzioni scritte nel secondo dopoguerra. Alla Camera c'è già un progetto di legge di riforma costituzionale che introduce questo principio. L'hanno fatto la Francia, la Svizzera, il Belgio, la Norvegia. Non si vede perché l'Italia non potrebbe essere tra questi Paesi, perché così facendo darebbe una svolta da qui in avanti al modo con cui si fanno le leggi.
  Gli altri punti segnalati dall'ASviS: dare attuazione all'efficace strategia nazionale; promuovere la costituzione all'interno del futuro Parlamento di un intergruppo per lo sviluppo sostenibile, che è stato costituito qui alla Camera, e quindi invito tutti i rappresentanti dei diversi partiti, delle forze politiche interessate a questo tema, a sostenere questo intergruppo, perché appunto è qualcosa di multipartisan; rispettare gli Accordi di Parigi per la lotta ai cambiamenti climatici. Entro un mese, il Governo deve produrre la strategia integrata energia/clima, da cui dipenderà la politica europea, e quindi la ripartizione degli oneri per soddisfare gli Accordi di Parigi. Al momento, non abbiamo sentito una frase da parte delle forze politiche su che cosa conterrà questa strategia che entro dicembre va inviata alla Commissione europea.
  Tra gli altri punti, segnalo: trasformare il Comitato interministeriale per la programmazione economica in Comitato interministeriale per lo sviluppo sostenibile, così da orientare tutti gli investimenti pubblici.
  Uno degli emendamenti presentati alla legge di bilancio, dichiarati ammissibili, è in discussione in questi giorni presso la Camera dei deputati. Invito, dunque, tutti i rappresentanti, in particolare i soggetti che hanno firmato questi impegni, a sostenere quest'emendamento.
  L'Italia ha una strategia nazionale per le aree interne. È incredibile che non ci sia una strategia nazionale per le città, come se i singoli sindaci potessero affrontare efficacemente le enormi trasformazioni che avverranno. Questo è possibile attraverso un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che potrebbe ricostituire il Comitato interministeriale per le politiche urbane.
  Proponiamo di istituire un organismo permanente per la concertazione con la società civile delle politiche a favore della parità di genere, come fatto in Francia; di coinvolgere la Conferenza unificata; di potenziare il nostro investimento per l'aiuto pubblico allo sviluppo, che dovrebbe essere pari allo 0,7 per cento; di operare perché l'Unione europea metta l'impegno per attuare l'Agenda 2030 al centro della strategia. Questa è la proposta che i nostri costituzionalisti hanno elaborato per modificare Pag. 8 i princìpi generali della Costituzione in senso di sviluppo sostenibile.
  Quello che è importante – faccio vedere solo questo grafico contenuto nel rapporto dell'anno scorso: è una simulazione che mostra come la simultaneità delle politiche può fare la differenza radicale nel modo con cui le politiche impattano sui diversi aspetti – è che, se si stimola il PIL ma non si fa la transizione ecologica, aumentano le emissioni e aumentano i morti per mancanza di aree pulite. Questo è solo un esempio per dire che, se si fa una serie di politiche insieme, si possono cambiare i trade-off, appunto le alternative.
  Arrivo alla conclusione. Abbiamo invitato il Governo e inviterei anche il Parlamento a dotarsi di strumenti avanzati – l'esempio che vi ho fatto prima di quel modello è a disposizione – per valutare ex ante le politiche rispetto ai diversi obiettivi di sviluppo sostenibile. Sarebbe facile introdurre in tutti gli atti parlamentari un codice relativo ai target dell'Agenda 2030, così che ogni atto possa essere valutato rispetto ai diversi target.
  La direttiva del Presidente del Consiglio prevede, appunto, una serie di azioni che dovrebbero mobilitare tutta l'amministrazione pubblica in questa direzione. Come ho detto, purtroppo questa direttiva non è stata finora attuata. Speriamo che il Presidente del Consiglio rispetti l'impegno che ha preso con noi il 7 ottobre per procedere rapidamente all'avvio. In ogni caso, a febbraio del 2019 il Governo dovrà produrre un rapporto sullo stato di attuazione dell'Agenda 2030, e così dovrà fare ogni anno.
  Ricordo, e mi avvio appunto alla conclusione, che ventidue dei centosessantanove target riguardano il 2020, non il 2030. Non è un errore di stampa. Questi sono solo alcuni dei target che l'Italia si è impegnata a rispettare entro il 2020. Non sono cose che si fanno dalla sera alla mattina. Al momento, non vediamo traccia di interventi esplicitamente orientati, e sottolineo esplicitamente, in modo da essere anche accountable, rendicontabili, rispetto a questi obiettivi.
  Delle imprese e della finanza sostenibile ho detto rapidamente. La buona notizia è che in Italia si stanno muovendo sia il settore privato non finanziario sia quello finanziario.
  Questo è uno schema complessivo che fa capire come i 17 goal non sono semplicemente una lista di buoni propositi, ma sono di fatto un piano per affrontare i diversi aspetti del modello di sviluppo, e quindi come funziona la produzione, come funziona il welfare, come funzionano gli aspetti sociali e così via.
  Salto, a questo punto, le slides dove sono sintetizzate le nostre proposte. Ricordo che l'ultimo capitolo del Rapporto contiene proposte politiche, che appunto indirizziamo ai vari gruppi parlamentari, per realizzare il cambiamento necessario, lungo sette assi: energia e cambiamento climatico, disuguaglianze, economia circolare, innovazione, lavoro, capitale umano, salute, educazione e qualità dell'ambiente.
  Queste sono fondamentalmente delle proposte che seguono quello schema: città, infrastrutture e capitale sociale.
  Ancora, la cooperazione internazionale. Lascio per un secondo questa slide, che è direttamente di vostra competenza, in cui ci sono una serie di raccomandazioni, in particolare per ciò che riguarda l'accesso all'acqua come priorità per le azioni della cooperazione italiana.
  Mi fermo qui, presidente, ringraziando ancora per l'attenzione che avete voluto prestare. Sono naturalmente a vostra disposizione per rispondere ai vostri quesiti.

  PRESIDENTE. Chiedo ai colleghi se desiderano intervenire per formulare riflessioni e porre domande.

  SIMONE BILLI. Innanzitutto vi ringrazio per la presenza, per la breve presentazione molto chiara e anche per l'impegno e gli obiettivi, che sono veramente ambiziosi.
  Dirò due parole innanzitutto su quello che accennava Lei, presidente, sul Migration Compact. Cosa ne pensate? Qual è la vostra opinione?
  La seconda domanda riguarda gli indicatori che avete sviluppato per definire nel corso del tempo i diciassette goal. Può dire due parole su quanti sono, come li avete Pag. 9identificati e cosa pensate di fare con questi indicatori? Grazie.

  PINO CABRAS. Molte delle analisi contenute in questa relazione somigliano ad analisi che venivano fatte vent'anni fa da uno studioso belga, Gunter Pauli, che ha svolto degli studi pionieristici. Non si chiamava ancora «economia circolare», ma «zero emission research» e «produttività totale del capitale».
  Vorrei sapere se c'è un debito verso quelle ricerche, se ci sono ancora contatti con Pauli, anche in funzione di una possibile audizione di questa figura.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Intendo porre due domande. Lei ha presentato in modo molto efficace il quadro italiano. Le chiedo una piccola comparazione tra il quadro italiano e il quadro di altri Paesi europei. Quali sono i Paesi europei a cui guardare per aiutarci su alcuni dei goal su cui noi siamo più in ritardo? Lo chiedo anche per il tipo di attività legislativa o di attività di indirizzo che possiamo fare rispetto al Governo.
  La seconda è una domanda più sul tema del giorno. Non vuole essere in alcun modo polemica rispetto alle vicende della procedura di infrazione della Commissione europea, ma vuole essere una domanda per aiutare anche la Commissione a ragionare sul tema del debito.
  È evidente che le questioni debito e sostenibilità sono molto collegate. Ieri è uscito uno studio sul Sole 24 Ore in cui si spiega quanta parte delle risorse della finanza pubblica italiana sono state assorbite in questi anni sul tema del servizio al debito. Probabilmente, se il clima politico fosse anche meno teso di quello che è in questo momento, sarebbe opportuno aprire una discussione su come affrontare la questione del debito.
  C'è un appiglio, una riflessione che si può trarre anche dai diciassette Obiettivi di sviluppo sostenibile su questa questione, che io credo sia, in un'ottica su cui Lei ci stimola sempre, molto lungimirante, al di là delle parti? Qualcosa che ci può aiutare a riflettere in prospettiva per indicazioni di politiche più sostenibili per il nostro Paese?

  ENRICO GIOVANNINI, Portavoce dell'Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS). Grazie mille. Rispondo, nell'ordine, all'onorevole Billi. Noi utilizziamo tutti indicatori di fonte sistema statistico nazionale, quindi sono indicatori prodotti dall'ISTAT o altri enti secondo gli standard del Sistema statistico nazionale. A luglio, l'ISTAT ha pubblicato un nuovo rapporto, che è un grosso passo avanti rispetto ai precedenti, che contiene appunto circa centocinquanta indicatori.
  Qual è il punto? Navigare intorno a centocinquanta indicatori – lo dice un ex presidente dell'ISTAT – è piuttosto complicato, nessuno ci riuscirebbe. Per questo, questi indicatori compositi, che usano una metodologia tra le più avanzate disponibili a livello internazionale, cercano di semplificare, ma non troppo. Avere un unico indicatore sintetico che mette tutto insieme non avrebbe senso. La letteratura internazionale è molto chiara. Su questo, dunque, i diciassette goal sono una quantità sufficiente – pensiamo – per capire che cosa sta accadendo senza essere annegati di indicatori.
  Il rapporto contiene per la prima volta analoghi indicatori a livello regionale, sempre di fonte ISTAT. Perché questo è molto importante? Secondo la strategia nazionale di sviluppo sostenibile, ogni regione deve attuare una sua strategia regionale e deve prepararla entro maggio del 2019. Per questo, il Ministero dell'ambiente ha messo a disposizione quattro milioni di euro per le regioni perché disegnino le loro strategie di sviluppo sostenibile. Noi stiamo aiutando alcune di queste regioni a farlo.
  Gli indicatori che trova nel terzo capitolo del rapporto, regione per regione, le dicono quindi come ogni regione è messa rispetto all'Italia sia nel tempo sia nello spazio. Ripeto che l'ISTAT ha messo a disposizione moltissimi dati, e questo è un grosso passo avanti. Direi che sono abbastanza solidi.
  Quanto alla confrontabilità internazionale, altri Paesi non sono così avanti, per cui gli indicatori europei sono basati su un Pag. 10numero ridotto di indicatori rispetto a quelli nazionali. Un esempio per tutti: l'indicatore sulla povertà assoluta, ce l'ha l'Italia, ma non ce l'hanno tutti i Paesi europei. Gli altri Paesi guardano all'indicatore cosiddetto di rischio di povertà e di esclusione sociale, che è una cosa diversa.
  Per ciò che riguarda il Migration Compact, devo dire che non mi sento di esprimere, come portavoce dell'ASviS, una posizione a nome dell'Alleanza. Quello che, però, posso dire è che è evidente come questi problemi richiedano una risposta multilaterale e non bilaterale.
  Siamo estremamente preoccupati del fatto che lo spirito con cui non solo è stata approvata l'Agenda 2030, ma anche poi gli Accordi di Parigi, con approccio fortemente multilaterale, sia stato poi «sotto attacco» dalla presa di posizione di alcuni Paesi, che spingono verso il bilateralismo. Questi non sono problemi trattabili con accordi bilaterali, anche perché nel bilateralismo vince sempre il più forte per definizione; poiché il più forte cerca di avere, giustamente, accordi a sé più favorevoli, la partita non va da nessuna parte.
  Vengo all'osservazione dell'onorevole Cabras. Gunter Pauli non solo è un amico, ma ho il piacere di sedere con lui nel Comitato direttivo del Club di Roma. Il Club di Roma è l'associazione di scienziati messa insieme nel 1968 da Aurelio Peccei, che nel 1972 pubblicò I limiti dello sviluppo e che ha recentemente (a ottobre) celebrato a Roma il cinquantesimo anniversario della sua costituzione. In questa occasione è stato presentato, tra gli altri, un nuovo studio che mostra in prospettiva – quindi non rispetto al passato – aggiornamenti rispetto agli scenari dell'epoca, che restano disastrosi.
  Vorrei ricordare che confrontando le previsioni di allora, del 1972, e le realizzazioni degli ultimi quarant'anni, per molte variabili è difficile distinguere. Allora prevedevano nel 2030 l'arrivo a otto miliardi di persone, il collasso del sistema e il ritorno a sei miliardi per la fine del secolo. Questo è quello di cui parliamo. Parliamo cioè del fatto che i segnali che stiamo vedendo intorno a noi sono – ahimè – fortemente coerenti con un collasso globale del sistema. Il collasso non è che accade il 31 dicembre del 2029 per fare uno scherzo, ma i segnali di conflitto per le risorse limitate, le difficoltà della governance, che quindi impattano enormemente sulle politiche internazionali di ogni Paese, sono sotto gli occhi di tutti: la lotta per l'acqua, la lotta per nuove risorse, per le vecchie risorse, il tema delle migrazioni sono tutti temi integrati e integrabili nell'ottica – ahimè – di un rischio di collasso del sistema.
  Se foste interessati a un'audizione da parte del Club di Roma possono tranquillamente favorire il contatto, non tanto con Gunter ma eventualmente con le due co-presidenti (per la prima volta ci sono due donne a co-presiedere il Club di Roma), che abbiamo nominato qualche settimana fa.
  Rispondo alla domanda dell'onorevole Quartapelle. La comparazione con i Paesi europei può insegnare molto. Il primo capitolo del Rapporto illustra le buone pratiche internazionali che vengono presentate ogni anno a luglio presso l’High-level Political Forum. Non ho traccia, da parte delle autorità politiche italiane, di un'analisi sistematica di questo tipo di buone pratiche, che dovrebbero essere esattamente il compito di quella Commissione presso Palazzo Chigi che dovrebbe coordinare tutte le politiche sullo sviluppo sostenibile.
  Vorrei anche segnalare il fatto che molte delle politiche che riguardano lo sviluppo sostenibile sono di competenza europea. Non tutte, naturalmente. Penso alle questioni energetiche, penso al cambiamento climatico, eccetera. Questo, a mio parere, è un qualcosa su cui l'Italia deve essere non solo più attiva a livello internazionale ma anche più attenta a quello che avviene, spingendo l'Europa ad avere un approccio comune.
  Nei prossimi mesi, immagino, si discuterà dell'organizzazione del semestre europeo che, vorrei ricordare, originariamente era stato immaginato come supporto alla strategia Europa 2020, quindi strategia coerente tra economia, società e ambiente, procedura che è stata invece poi trasferita soprattutto in ambito macroeconomico e Pag. 11finanziario. Sarebbe importante che non accada la stessa cosa sul 2030.
  Sul debito, l'ultima risposta. Cito il target 17.4 su cui l'Italia si è impegnata a settembre del 2015: aiutare i Paesi in via di sviluppo a raggiungere la sostenibilità del debito a lungo termine, supponendo naturalmente che i Paesi sviluppati abbiano questa sostenibilità. Il piano di trasformazione del Paese, del continente, per renderlo sostenibile richiede un ammontare di risorse non solo per migliorare, ma anche soltanto per manutenere le infrastrutture costruite nel secondo dopoguerra.
  Quando ero all'OCSE, nel 2009, pubblicammo un rapporto sulla quantità di risorse che nei Paesi sviluppati sarebbero state allocate soltanto alla manutenzione delle infrastrutture costruite nel secondo dopoguerra. Il caso del ponte Morandi è solo uno degli «n» esempi che questo Paese, e non solo questo Paese, si troverà a gestire nei prossimi sei, sette, dieci anni. L'ammontare di risorse è enorme: o si riescono a trovare risorse per questo tipo di investimenti o sarà difficilissimo trasformare il nostro sistema verso lo sviluppo sostenibile.
  Vi rubo ancora un minuto per parlare di un altro tipo di investimento. Io faccio parte della Commissione globale sul futuro del lavoro. All'Organizzazione mondiale del lavoro abbiamo passato venerdì e sabato scorsi per finalizzare il rapporto che pubblicheremo il 22 gennaio, in occasione dell'apertura delle celebrazioni dei cento anni dell'Organizzazione mondiale del lavoro. Ebbene, secondo stime direi conservative dell'OCSE, non sarà il 40 per cento dei lavori esistenti oggi a essere spazzato via dall'automazione, ma solo il 10 per cento. Il 40 per cento verrà, però, trasformato radicalmente. O troviamo le risorse per avere una continua formazione durante tutto il ciclo di vita delle persone o avremo milioni di persone o centinaia di milioni di persone nel mondo che verranno buttate fuori dai processi produttivi senza nessuna possibilità di rientro.
  Io sono molto lieto che, quand'ero Ministro del lavoro nel Governo Letta, istituii il fondo per le politiche attive del lavoro, che prima non esisteva. Non si tratta, però, solo delle politiche attive del lavoro. È qualcosa che riguarda tutti, a tutte le età.
  Una delle proposte che faremo è di cambiare il modo con cui le spese di formazione sono contabilizzate nei conti delle imprese e nella contabilità pubblica. Oggi, nonostante tutto il parlare che si fa di capitale umano e di persone come patrimonio delle imprese, le spese di formazione sono un costo per le imprese. Se, dunque, le imprese fanno formazione, riducono i profitti e vengono penalizzate sui mercati.
  Sapete perché questo accade? Perché c'è uno standard internazionale che dice che le persone non sono parte del patrimonio delle imprese, in quanto non sono totalmente sotto il controllo dell'impresa.
  C'è stato un tempo in cui le persone erano considerate patrimonio dell'impresa, quando erano schiavi. Per marcare la differenza culturale tra la schiavitù e il capitalismo moderno, oggi le consideriamo un costo. Pensate che con queste regole riusciremo a sviluppare effettivamente l'ammontare di formazione di cui avremo bisogno nei prossimi venti, trent'anni? Chiaramente, no.
  Questo vi dà un'idea del cambiamento radicale che addirittura i sistemi contabili delle imprese, oltre che degli Stati, devono affrontare per gestire le enormi difficoltà che avremo in futuro. Certamente, un Paese che ha un alto debito, e che dunque ha un servizio del debito molto alto, come l'Italia, a parità di altre condizioni, non troverà le risorse per fare altro, soprattutto viste le previsioni a medio termine che l'OCSE e le altre organizzazioni fanno di un tasso di crescita del PIL, bene che vada, dell'1,75 per cento all'anno nei prossimi vent'anni. È chiaro che una previsione di questo tipo, già più bassa rispetto a quella di qualche anno fa, non consentirebbe di ottenere le risorse necessarie per fare alcunché.

  PRESIDENTE. C'è un'ultima domanda da parte del collega Romaniello.

  CRISTIAN ROMANIELLO. Buongiorno a tutti. Grazie, professore. È la seconda Pag. 12volta che ho l'occasione di apprezzare un suo intervento. Una decina di giorni fa ero a Voghera, ho partecipato all'assemblea generale di Confindustria a Pavia e ho avuto modo di ascoltare il suo intervento, che ho apprezzato.
  Una delle emergenze che sta emergendo – scusate la ridondanza – in questo periodo è quella del fosforo. Il fosforo è un elemento che in natura si sta esaurendo, così come il petrolio, ma a differenza del petrolio, il fosforo non si ricreerà.
  Sempre nelle scorse settimane, c'è stato un forte dibattito che ha riguardato il tema dei fanghi all'interno della discussione sul decreto emergenze. L'articolo 41 parlava proprio dei criteri attraverso i quali recuperare i fanghi, ovviamente nelle more di una riforma organica della normativa di settore, perché abbiamo recepito i criteri dell'Ispra, ma non siamo soddisfatti e stiamo andando verso una riforma organica, che sicuramente ci piacerà molto di più.
  Ascoltavo il punto del suo intervento in cui ha menzionato Berlino e il fatto che a Berlino un pannolino nuovo viene dato a una famiglia in cambio di un pannolino sporco, proprio perché lo sporco, la deiezione del bambino, è una risorsa per il terreno e diventa un fertilizzante proprio perché nelle deiezioni vi è un alto contenuto di fosforo.
  Sempre nelle scorse settimane, a Ecomondo a Rimini c'è stata la presentazione della piattaforma sperimentale del fosforo. È una piattaforma che sostanzialmente dai fanghi riesce a estrarre il fosforo e a impiegarlo per l'utilizzo in agricoltura.
  Vorrei chiederle se come proposta, visto che la vostra è un'Alleanza che spesso fa proposte, non sarebbe necessario fare un ragionamento anche in questo senso, cioè caldeggiare molto la piattaforma del fosforo e qualsiasi forma di recupero di elementi che possono essere molto utili all'agricoltura. In questo caso, si parla proprio di un elemento che non sarà ricreato dalla natura. Grazie.

  ENRICO GIOVANNINI, Portavoce dell'Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS). La ringrazio. Credo che quest'esempio che lei faceva sul fosforo rientri complessivamente nel tema dell'economia circolare e quello che le nuove tecnologie ci consentirebbero di fare.
  Da questo punto di vista, è evidente che, di nuovo, il modo con cui per esempio calcoliamo gli indicatori di competitività, tutti basati sul solo costo del lavoro, distorce radicalmente il dibattito anche internazionale. Oggi, con le nuove tecnologie è possibile abbattere il 70 per cento dei costi, che sono quelli delle materie prime, invece di accanirsi sul 30 per cento dei costi, che talvolta rappresenta appunto il costo del lavoro.
  La mancanza di una strategia italiana per l'economia circolare, così come di una strategia italiana per l'adattamento ai cambiamenti climatici, sono due dei punti di debolezza maggiori del nostro Paese.
  Nel corso della precedente legislatura, dei documenti erano stati preparati, che però non sono arrivati a compimento. Credo che il Governo, anche in vista di quel piano integrato clima/energia di cui parlavo prima, dovrebbe affrontare queste tematiche subito. Peraltro, al di là delle questioni legate allo spread, se foste degli investitori, investireste in un Paese che non ha una strategia energetica nazionale, che non ha una strategia di adattamento ai cambiamenti climatici e che non ha una strategia di economia circolare? Questo è il nostro Paese, ma di questo non si parla mai.
  Qui vorrei arrivare a una proposta che facciamo come Alleanza. Il Parlamento potrebbe promuovere la formazione di una legge annuale sullo sviluppo sostenibile, così come esistono la legge annuale sulla concorrenza e la legge annuale europea. Quello sarebbe il luogo in cui assumere decisioni di tipo normativo. L'esempio che lei faceva dei fanghi è apparso evidente all'opinione pubblica solo perché era un articolo apparentemente eccentrico rispetto a un decreto per Genova. La gente si è chiesta cosa c'entrasse. C'era un'urgenza, lo so benissimo, ma il modo in cui la discussione è partita è stato sbagliato, proprio perché è apparso come un classico tentativo di infilare in un altro provvedimento qualcosa che non c'entrava. Pag. 13
  L'assenza di una legge annuale che si occupi esattamente di questi temi, che non abbia necessariamente delle implicazioni finanziarie, ma che sul piano normativo crei quegli incentivi e quei disincentivi necessari per orientare le produzioni verso lo sviluppo sostenibile, riteniamo che potrebbe essere proprio colmata dall'attività di questo nuovo intergruppo che è nato. Questo aiuterebbe ad affrontare queste tematiche in modo più strutturato e più di medio-lungo termine, valutando i trade-off, le sinergie e anche le contraddizioni.
  Vorrei ricordare, a proposito di contraddizioni, e poi mi taccio, che secondo il rapporto del Ministero dell'ambiente e del Ministero dell'economia e delle finanze ogni anno lo Stato eroga sedici miliardi di contributi dannosi per l'ambiente e quindici miliardi di contributi a favore dell'ambiente. Sono complessivamente trentuno miliardi di sussidi alle famiglie e alle imprese che hanno quest'apparente contraddizione. Quello potrebbe anche essere un modo, non necessariamente la legge di bilancio, dove sembra che invece il problema sia trovare le risorse, per affrontare anche quella tematica in modo sistematico.

  PAOLO FORMENTINI. Immagino sia una vexata quaestio: come contemperare lo sviluppo sostenibile con la competitività delle nostre imprese in un mercato globale, dove tanti Paesi invadono i nostri mercati non rispettando proprio questi criteri?

  ENRICO GIOVANNINI, Portavoce dell'Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS). È un'ottima domanda, ed è la ragione per cui solo una risposta multilaterale può essere la risposta giusta. Non è la risposta del mettere dazi, perché il commercio internazionale è una insieme di vasi comunicanti, per cui è relativamente facile aggirare magari alcuni dazi bilaterali attraverso il commercio multilaterale. Questa è esattamente una delle ragioni, come nella migrazione di cui parlavo prima, per cui serve un approccio multilaterale.
  L'Italia deve giustamente far sentire la sua voce in Europa, perché è l'Europa che ha la responsabilità delle negoziazioni internazionali, usando l'articolo 3 del Trattato istitutivo dell'Unione europea, dove si dice che lo sviluppo sostenibile è il principio con cui l'Unione stabilisce i rapporti commerciali con gli altri Paesi del mondo; deve, quindi, esigere ancor di più, anche se l'Europa rispetto ad altri Paesi è già molto più avanti, il rispetto delle regole di convivenza, ma anche di sostenibilità ambientale e sociale, anche dai Paesi che sono cresciuti sul fronte internazionale.
  Attenzione però, questo mi porta alla considerazione sulla competitività. Nel dicembre del 2016, il Governo pro tempore ha commesso a nostro parere un gravissimo errore. Ha cioè recepito, ultimo Paese in Europa, la direttiva europea che obbliga le imprese alla rendicontazione cosiddetta integrata, cioè la rendicontazione non solo finanziaria, ma anche quella non finanziaria. L'errore è stato nel fatto di mettere una soglia per le sole imprese con più di cinquecento addetti, e neanche tutte, obbligandole a questa rendicontazione.
  Il 2018 è stato il primo anno in cui la rendicontazione è diventata efficace e le analisi svolte da KPMG, Deloitte, dall'Osservatorio Bocconi, mostrano come solo una parte limitata delle grandissime imprese sia in grado di fare una rendicontazione a tutto campo, integrata con i sustainable development goals, perché gli standard internazionali di rendicontazione integrata vincolano a dire: come tu pensi di impattare sui centosessantanove target?
  La nostra proposta – e c'è un emendamento alla legge di bilancio dichiarato – è di abbassare quella soglia a duecentocinquanta addetti, magari utilizzando una rendicontazione semplificata.
  Qualcuno potrebbe dire che questo è un peso eccessivo per le imprese. Bene, questo era stato l'argomento da parte di chi, facendosi voce del mondo delle imprese, nel dicembre 2016 aveva sostenuto la necessità di limitarsi alle grandi imprese. Dopo due anni, anche quelle persone si sono rese conto di aver commesso un errore grave, perché le imprese che non rendicontano in quel modo, non si avvicinano neanche lontanamente alla cosiddetta finanza responsabile Pag. 14 e sostenibile, che vale decine di miliardi di dollari o di euro nel mondo.
  Questo vuol dire condannare le nostre imprese di media dimensione a non avvicinarsi neanche al segmento più dinamico. Voi avete letto che il capo di Black Rock ha dichiarato che loro non fanno più prestiti di nessun tipo a chi non rendiconta in questo modo. I grandi fondi internazionali fanno lo stesso.
  Aver fatto una scelta miope, preoccupati del carico amministrativo sulle imprese, fa sì che oggi le nostre imprese siano meno competitive. Anche nella discussione sulla competitività, soprattutto laddove si chiede agli interlocutori stranieri di rendicontare e di rispettare, anche noi dobbiamo fare altrettanto.

  YANA CHIARA EHM. Grazie, professore. Intervengo solo per un piccolissimo accenno alla questione della cooperazione internazionale, soprattutto perché, almeno per noi, è una prerogativa assoluta investire e contribuire alla cooperazione internazionale, anche in collegamento con lo sviluppo sostenibile. Mi permetto di offrire un piccolissimo esempio personale.
  Pochi giorni fa sono stata in Giordania a vedere i nostri progetti di cooperazione internazionale all'interno del campo profughi di Zaatari, e sono stata sorpresa dal vedere dei progetti estremamente innovativi, estremamente interessanti sui rifiuti, sul riciclo, sul riutilizzo dei tessuti. Mi sono anche permessa di riportare indietro questi esempi di cooperazione, di avere questi esempi anche qui da noi per poterli riutilizzare sul nostro territorio, nel nostro Paese.
  Assolutamente, quindi, da noi viene un sostegno, una prerogativa della cooperazione internazionale. Anche i fondi, in questo caso, sono stati aumentati nel bilancio proprio per aumentare il nostro impegno in questo campo. Grazie ancora, quindi, per tutto il contributo, ma volevo accennare a quest'aspetto.

  PRESIDENTE. Ringrazio per quest'interessantissima audizione e autorizzo la pubblicazione al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione depositata (vedi allegato). Noi continueremo a lavorare su questi temi senza ombra di dubbio, perché ritornano sotto vari aspetti, oltre ad avere un'indagine e un comitato apposito sull'Agenda 2030. Vi ringrazio di nuovo.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.40.

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