XVIII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta pomeridiana n. 25 di Martedì 22 dicembre 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Fassino Piero , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA POLITICA ESTERA DELL'ITALIA PER LA PACE E LA STABILITÀ NEL MEDITERRANEO

Audizione di Matteo Bressan, docente di relazioni internazionali e studi strategici.
Fassino Piero , Presidente ... 3 
Bressan Matteo , docente di relazioni internazionali e studi strategici ... 3 
Fassino Piero , Presidente ... 11 
Bressan Matteo , docente di relazioni internazionali e studi strategici ... 11 
Fassino Piero , Presidente ... 12 
Formentini Paolo (LEGA)  ... 12 
Cabras Pino (M5S)  ... 13 
Fassino Piero , Presidente ... 13 
Bressan Matteo , docente di relazioni internazionali e studi strategici ... 13 
Fassino Piero , Presidente ... 13 

ALLEGATO: Documentazione depositata da Matteo Bressan, docente di relazioni internazionali e studi strategici ... 15

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Azione-+Europa-Radicali Italiani: Misto-A-+E-RI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Italiani in Europa: Misto-CD-IE;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Popolo Protagonista - Alternativa Popolare (AP) - Partito Socialista Italiano (PSI): Misto-PP-AP-PSI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
PIERO FASSINO

  La seduta comincia alle 9.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv.

Audizione di Matteo Bressan, docente di relazioni internazionali e studi strategici.

  PRESIDENTE. Abbiamo un'ulteriore audizione, con il professor Bressan, docente di relazioni internazionale e studi strategici, a cui io do la parola. Prego.

  MATTEO BRESSAN, docente di relazioni internazionali e studi strategici. Grazie, presidente. Buongiorno, vicepresidenti, segretari, commissari. È per me un grande onore poter essere qui a rappresentare il mio personale punto di vista e le mie considerazioni sullo scenario di riferimento dell'area del Mediterraneo nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla politica estera dell'Italia per la pace e la stabilità nel Mediterraneo.
  Io avevo alcune slides. Chiedo gentilmente il supporto, visto che ho cercato anche di schematizzare le sfide all'interno delle quali ci troviamo.
  Sono docente di relazioni internazionali e studi strategici presso la LUMSA. Sono analista presso la NATO Foundation e ricercatore del CEMISS (Centro Militare di Studi Strategici), nonché ufficiale della riserva selezionata della Marina militare italiana. Adesso sono in congedo, ho terminato un paio di settimane fa il mio incarico presso EUNAVFOR MED Irini in qualità di political advisor del comandante dell'operazione.
  Parto dalla slide n. 3, che è il contesto strategico nel quale ci troviamo, una slide che sintetizza graficamente alcuni trend importanti che, purtroppo, ormai abbiamo imparato a conoscere e con i quali dobbiamo necessariamente convivere. L'odierno contesto internazionale è caratterizzato da una progressiva transizione da un modello tendenzialmente unipolare a uno tendenzialmente multipolare. C'è chi utilizza una formula che ritengo corretta – 1+2 – che fotografi abbastanza bene gli attuali rapporti di forza e che ha visto emergere una moltitudine di sfide non convenzionali, che si sono andate a sommare al ritorno delle politiche nazionali nel campo della politica estera.
  Il contesto geopolitico e geostrategico odierno si conferma incerto, caratterizzato da diffusa instabilità e da un elevato grado di complessità e imprevedibilità, nonché gravato da una molteplicità di minacce multidimensionali. Anche i rapporti tra i Paesi abituati a considerarsi alleati risultano segnati da plurime linee di faglia e da una pronunciata spinta verso l'unilateralismo, che rende fragile la tenuta degli assetti multilaterali tradizionali e con essi quelli delle loro singole componenti. Tale quadro risente, inoltre, delle persistenti difficoltà a realizzare una riforma dei meccanismi internazionali che tenga conto dei mutati rapporti di forza tra i vari Paesi.
  Quando si afferma questa difficoltà nel riformare i meccanismi internazionali, non possiamo mai dimenticare che queste organizzazioni internazionali, a partire dall'ONU, Pag. 4 sono nate in una fase storica ben precisa e si sono consolidate su una fotografia dell'equilibrio di potenza che era successiva al secondo conflitto mondiale; da qui deriva molta dell'instabilità odierna da parte di quei Paesi che in quella fase storica non avevano lo stesso peso che hanno oggi. A questo scenario si aggiunge la pandemia del coronavirus, che ha avuto un impatto che è andato oltre la dimensione prettamente sanitaria, cambiando in maniera radicale le nostre abitudini.
  Prego con la slide successiva (slide n. 4): queste sono alcune cause e conseguenze dell'instabilità che vanno oltre la classica dimensione securitaria. Vedete bene: abbiamo la pressione demografica, il cambiamento climatico, le migrazioni, la desertificazione, le crisi alimentari, le catastrofi naturali e le pandemie. I seguenti fattori aumentano la complessità del contesto internazionale, sfruttando le rapide interconnessioni dell'attuale società e impattando le diverse aree del mondo. È probabile quindi un tendenziale aumento delle crisi di natura «civile» legate a questi fenomeni. Questa tipologia di crisi e di emergenze avrà, soprattutto per i Paesi più stabili, un sovraccarico di responsabilità, perché saranno soprattutto i Paesi più stabili a doversi fare carico di queste sfide, mettendo a dura prova gli equilibri sociali nonché la sicurezza interna.
  Il primo trend che impatta necessariamente sul Mediterraneo (slide n. 5) è un trend non nuovo, è un trend non iniziato con l'Amministrazione Trump. È un cambio della postura americana; una postura che si può intravedere da questa slide, che certifica negli ultimi anni il progressivo maggiore interesse, riscontrabile dalla presenza di militari americani, verso l'Asia. Si tratta di uno spostamento di interesse che conferma un trend che vede una minore propensione americana a intervenire militarmente nei teatri di crisi di scarsa rilevanza immediata degli interessi nazionali americani. È probabile che l'affermazione di questo orientamento possa implicare un sensibile allargamento dell'area in cui alleati e amici degli Stati Uniti saranno chiamati ad assumersi maggiori responsabilità o potranno operare le proprie scelte con meno vincoli.
  Questo è un principio sacrosanto dell'equilibrio di potenza. Nel momento in cui un attore – parzialmente, perché non stiamo parlando di un disimpegno – allenta la sua capacità di incidere in un'area, ritorna un principio che nella storia delle relazioni internazionali ha quattro secoli, ovvero l'equilibrio di potenza. Noi dimentichiamo spesso che la Guerra Fredda è stata una parentesi molto breve rispetto a quattro secoli che si sono sviluppati con questo principio, il balance of power, principio ineludibile. La Guerra Fredda è l'anomalia, come è un'anomalia il momento unipolare, rapportato a una visione di lungo periodo della storia.
  La conseguenza di questo relativo disimpegno americano si identifica con la ripresa della competizione internazionale per la ristrutturazione geopolitica delle aree che gli Stati Uniti paiono essere interessati a presidiare con minore intensità, o sulle quali non sembrano più desiderosi di esercitare attivamente la propria leadership. L'intenzione che si può intravedere dalla condotta americana è quella di sostituire, ovunque possibile, un equilibrio di potenza alla presenza diretta delle truppe statunitensi. Il vuoto di potenza relativo creato dalle scelte americane di parziale ripiegamento, insieme alla crisi che ha investito l'area del Mediterraneo a partire dal 2011, ha fatto emergere un nuovo livello di competizione geopolitica che vede coinvolti Turchia, Qatar, Egitto, Arabia Saudita e, guardando un po' più lontano, Israele e Iran, e che si traduce nell'arco di crisi che va dalla Libia, passando per la Siria per poi giungere al Golfo Persico.
  Questo chiaramente non vuol dire che, anche in virtù delle capacità militari statunitensi, gli Stati Uniti non siano ancora oggi l'unica potenza in grado di poter proiettare la propria forza ovunque, cosa che nessun'altra potenza oggi è in grado di fare. Questo è un vantaggio sostanziale.
  Un altro attore che incide necessariamente nel nostro scenario è la Repubblica popolare cinese (slide n. 7). La crescita delle aspirazioni cinesi, con conseguente Pag. 5legittimazione derivante dalla propria forza economica a chiedere di partecipare alla riscrittura delle regole del gioco della politica mondiale, è l'elemento di novità, non certo odierno, che impatta sul Mediterraneo. Con un budget delle spese per la difesa che ha oltrepassato i 200 miliardi di dollari annui, la Cina sta perseguendo una strategia di graduale allargamento della propria possibilità di proiettare potenza a partire dal Mar Cinese Meridionale e di protezione da eventuali aggressioni da parte di altre potenze regionali, vedasi il Giappone o l'India.
  A questa politica, a questo trend, si aggiunge una strategia di penetrazione economico-finanziaria all'estero, visibile non soltanto in Africa e in Europa, ma anche in America Latina. Africa ed Europa, come è ben noto, sono anche i terminali della nuova Via della seta, nota anche con gli acronimi One Belt, One Road, il cui obiettivo probabile a lungo termine è la progressiva saldatura, attraverso una molteplicità di percorsi terrestri e marittimi, di un blocco geoeconomico euroasiatico.
  Questa immagine (slide n. 8) è un indicatore: qui faccio l'analista, sono cinesi e russi. Dal 17 al 21 maggio del 2015 l'esercitazione Joint Sea ha visto nel Mediterraneo la presenza di unità navali cinesi e russe. Il dato che ci interessa è che mai nella storia le unità navali del People's Liberation Navy avevano svolto esercitazioni a una tale distanza dalle proprie acque territoriali. È un indicatore. Per quanto riguarda la Russia non è una novità, ma per la prima volta la Repubblica popolare cinese fa un'esercitazione congiunta nel Mediterraneo. Inoltre, l'installazione militare nel porto di Doraleh a Gibuti consentirà alla Repubblica popolare cinese di svolgere operazioni antipirateria nello stretto di Bab el-Mandeb nonché di proiettare la sua capacità militare. Prego con la prossima slide (slide n. 9): questo è un po' il trend che in ambiente accademico si registra, anche in Cina. Questa è la lettura dello scenario dell'equilibrio di potenza che viene fatta. Come si sviluppa questa lettura? Sostanzialmente si riconosce che tra il 1991 e il 2008 lo scenario internazionale vedeva una superpotenza e diverse grandi potenze; tra il 2009 e il 2019, una superpotenza e due grandi potenze – Cina e Russia –, quello che chiamiamo «1+2»; dal primo ottobre 2019 al 2040, struttura del sistema internazionale quasi bipolare.
  Sapete benissimo che il 1° ottobre è la data in cui c'è stata la parata delle forze armate. Lo strumento militare è l'abilitatore per sedersi alla riscrittura delle regole del gioco. È interessante perché questa proiezione che viene fatta – quindi dal 2040, strutture del sistema internazionale bipolare, Stati Uniti e Cina – anche in questo caso è un unicum nella storia. Noi non abbiamo precedenti di ristrutturazione in un sistema bipolare. Noi abbiamo vissuto la nascita di un sistema bipolare alla fine del secondo conflitto mondiale sulla base di due potenze realmente vincitrici – cinque potenze nominalmente vincitrici, ma due vincitrici – che si sono trovate insieme a riconoscersi superpotenze. Essere riconosciuti superpotenza al pari di un'altra è un altro scenario incognito, totalmente nuovo, non c'è mai stato. La storia è fatta di un trend multipolare, in cui nel primo conflitto mondiale e nel secondo conflitto mondiale mediamente le potenze erano sei, sette, otto. Questo è uno scenario interessante, questo è un dibattito al quale io ho partecipato prima della pandemia. È una riflessione che circola in ambienti accademici, però è interessante perché è un punto di vista che viene condiviso anche con accademici occidentali.
  L'altro attore importante nel Mediterraneo è la Russia (slide n. 10), che tenta di frenare il proprio declino nazionale attraverso azioni con caratteristiche tatticamente offensive, come nel caso dell'annessione della Crimea, nello schieramento di un proprio contingente in Siria, con relativo dispiegamento di sistemi di difesa antiaerea S-400, funzionale al rafforzamento dello spazio Anti-access/Area denial esteso dal Baltico al Mar Nero, in chiave anti NATO, e da ultimo dalla presenza dei contractor della Wagner in Libia, a supporto di Haftar.
  Nella definizione degli equilibri globali, l'estensione geografica e il possesso del Pag. 6maggiore arsenale nucleare restano i punti di forza della Russia, insieme a una sostanziale disinvoltura con la quale utilizza il proprio strumento militare. Al tempo stesso il trend che comunque riscontriamo è che la Russia può essere un interlocutore anche per gli Stati Uniti in chiave anti terrorismo e – poi bisognerà un po' capire la Presidenza Biden come si orienterà – anche un interlocutore importante nel contenimento delle ambizioni della Repubblica popolare cinese, seppure si siano sviluppati tra Mosca e Pechino forti interessi soprattutto dopo la crisi ucraina.
  Il perimetro che noi osserviamo (slide n. 11) – sul quale credo che, soprattutto a livello di dibattito pubblico, si debba fare uno sforzo – è un perimetro del Mediterraneo allargato che include Golfo Persico, Mar Nero, Oceano Indiano, costa occidentale africana, che insiste sul Golfo di Guinea; è un'area che schematicamente dividiamo poi tra fianco orientale e fianco sud. Lo facciamo in maniera un po' schematica perché ci è più semplice inquadrare sul fianco orientale una minaccia convenzionale, una minaccia tradizionale. A minaccia tradizionale, minaccia militare; la risposta è semplice: la risposta è militare, o sono sanzioni, o una pressione economica. Un avversario, una risposta. Consentitemi, è molto «semplice» ragionare su quello che c'è sul fianco orientale.
  Più complesso è il fianco sud, che come vedete è un arco di instabilità dove insiste una pluralità di minacce che includono, oltre a quelle tradizionali, possibili azioni poste in essere da attori statuali e non, in grado di combinare capacità convenzionali con tecnologie innovative nell'ambito della cosiddetta «minaccia» o «guerra ibrida». Provando a schematizzare potremmo essere tentati dal relegare la minaccia convenzionale – vedasi Russia – sul fianco orientale e una moltitudine di sfide emergenti nell'area del fianco sud. Concettualmente, sempre schematizzando, a fronte di una minaccia militare presente ad est la risposta non può che essere militare. Più difficile è rapportarsi con quello che avviene al sud, dove molto spesso la minaccia non è militare, ma è un'altra tipologia di sfida.
  Anche la slide n. 12 ci dice qualcosa: un elemento che caratterizza anche geograficamente la nostra percezione di sicurezza va cercato nelle nostre frontiere, quelle terrestri a Nord, protette da una cerniera di Paesi appartenenti sia all'Unione europea sia alla NATO (ad eccezione dell'Austria); liquide e aperte al sud, per quanto riguarda quelle marittime.
  Il Mediterraneo ovviamente non è solo questo lungo elenco di sfide che sto illustrando, ma è anche un importante hub di cavi sottomarini (slide n. 13). Conferma la sua centralità per i cavi sottomarini, che rappresentano un vero e proprio crocevia, come confermato da questa mappa interattiva pubblicata da Submarine Cable Map. Il controllo dei cavi sottomarini è ad oggi una delle maggiori sfide dell'attuale contesto internazionale, tanto da essere considerato il potenziale innesco di un conflitto su scala planetaria.
  I cavi sottomarini in fibra ottica sono a tutti gli effetti il sistema nervoso delle telecomunicazioni globali. Il 99 per cento di tutto il traffico internazionale voce e dati di 7,7 miliardi di persone passa per cavi lunghi migliaia di chilometri, stesi sotto i fondali degli oceani. La proprietà di queste autostrade sottomarine è di chi le posa, mentre la gestione è nelle mani di chi le accende e ne fornisce i flussi di informazione, ossia le compagnie elettriche e telefoniche.
  La loro importanza deriva dal fatto che ricordano tutto ciò che su di essi transita. Interromperli, tagliarli di netto significa mandare in tilt il sistema informatico di interi Paesi, bloccando la fornitura di energia, i sistemi di trasmissione delle informazioni sensibili di ministeri e istituzioni, le transazioni elettroniche e le comunicazioni via internet.
  In questo quadro preoccupa la sostanziale assenza di players europei paragonabile a Google o Huawuei nel settore, il che esporrebbe l'Europa al blackout tecnologico nel caso in cui Stati Uniti, Russia o Cina decidessero di tagliare uno dei cavi sottomarini su cui transitano miliardi di Pag. 7dati, dalla fornitura di energia elettrica alla telefonia, ai servizi privati, pubblici e governativi.
  La successiva slide (slide n. 14) ci dà un'altra visione dell'area in cui siamo: qui entriamo maggiormente anche nel ruolo che il nostro Paese ha e può svolgere. Nonostante non sia un Paese produttore di risorse energetiche, l'Italia è un hub energetico, nonostante il 90 per cento del gas naturale che utilizziamo ha provenienza estera, a fronte di una media del 70 per cento; noi abbiamo un'importazione del 90 per cento. In termini di sicurezza energetica la centralità del Mediterraneo per l'Italia è evidente, poiché provengono dalla regione oltre i due terzi delle nostre importazioni petrolifere e circa la metà dei nostri approvvigionamenti di gas naturale. Il nostro Paese è dunque il più importante hub energetico del Mediterraneo, non fosse altro perché è il Paese maggiormente dipendente dall'estero. Naturalmente, la protezione della rete infrastrutturale energetica è considerabile un interesse vitale del Paese, poiché un'eventuale interruzione delle forniture determinerebbe una crisi energetica e sociale dagli effetti imprevedibili.
  Da questi dati (slide n. 15), che sono dati statistici, su quanto sia centrale il bacino del Mediterraneo, vediamo che in questo specchio di acqua transita il 20 per cento del traffico marittimo mondiale, il 25 per cento dei servizi di linea su container, il 30 per cento dei flussi di petrolio mondiale e il 65 per cento del flusso energetico per i Paesi dell'Unione europea; ma, soprattutto, vi interagiscono attori e nuovi attori che spesso non hanno nessuna prossimità con l'area di riferimento.
  La slide n. 16, con questi cerchi, è una rappresentazione schematica che voglio condividere con voi. Da una parte la competizione geopolitica, dall'altra le sfide emergenti. Come si spiega questo grafico? L'ho detto prima: disimpegno statunitense, ruolo della Cina, ruolo russo in Siria e Libia, necessità di coesione dell'Unione europea – poi vedremo dove e perché –, presenza di nuovi attori, cioè Turchia, Egitto ed altri; dall'altra parte sfide emergenti, sfide non necessariamente tradizionali: flussi migratori, terrorismo, pirateria, minacce cibernetiche, sicurezza energetica. Ho aggiunto, purtroppo – avrei preferito farne a meno –, il triste logo del coronavirus, e in mezzo due temi che invece riguardano le scelte del Paese: protezione e tutela dell'ambiente marittimo sotto il profilo ambientale, e diritti dell'Italia sui mari, zone economiche esclusive e protezione delle linee di comunicazione marittime.
  L'arco di instabilità che ci interessa è spiegato in questa mappa (slide n. 17) che, non a caso, è anche il cosiddetto «fianco sud della NATO». Schematicamente, come abbiamo detto prima, abbiamo il fianco sud, il fianco orientale e in mezzo una cerniera importante rispetto alla quale farò un accenno molto breve: è quella dei Balcani, cerniera tra fianco orientale e fianco sud, che spesso nel dibattito pubblico viene un po' dimenticata e che invece ha una sua valenza importante, sia per la nostra presenza in termini di investimenti, sia per la nostra presenza militare e sia per la presenza della nostra cooperazione.
  La prima crisi che brevemente mi preme condividere e analizzare con voi è la crisi libica (slide n. 18). Senza ripercorrere la storia, che è nota certamente, qual è il punto che a me interessa evidenziare? A fronte di un collasso delle autorità libiche nel 2011, a fronte di minacce nuove come anche la presenza che c'è stata del cosiddetto «Stato islamico», a fronte di un conflitto interno che si è poi trasformato in un conflitto per procura, con sponsor internazionali dell'una e dell'altra parte, a fronte anche dell'intervento diretto importante della Turchia a fianco del GNA (Governo di accordo nazionale), a supporto militare e delimitazione di una zona economica esclusiva molto contestata – ma questo è avvenuto e ci dà un po' la fotografia dei rapporti di forza – c'è stata un'azione da parte dell'Unione europea.
  Chiaramente la slide n. 20 l'ho inserita per far vedere come le dinamiche energetiche dell'EastMed vadano di pari passo con la crisi libica e si traducano in una necessità da parte della Turchia di raggiungere una sua indipendenza energetica, ovviamente andando ad avere non pochi motivi Pag. 8di frizioni con Grecia e Cipro e andando anche a ricercare possibili alternative nel Mar Nero, tant'è vero che – è proprio notizia di agosto – sono stati scoperti nuovi giacimenti che potrebbero garantire quell'autonomia energetica che è un po' alla base di questa politica assertiva della Turchia.
  Questa (slide n. 21) è un po' la fotografia del Paese aggiornata al cessate il fuoco, ma rispetto al 23 ottobre poco è cambiato.
  Qual è stata la l'azione europea? L'azione europea, con la Conferenza di Berlino, ha dato un nuovo impulso alla gestione del dossier libico. È evidente che quella coesione europea, raggiunta anche con non poche difficoltà tra diverse sensibilità tra i vari Paesi europei, ha poi partorito l'operazione EUNAVFOR MED Irini, che è una dimostrazione concreta – come ricordava l'Alto Rappresentante Borrell – dell'impegno dell'Unione europea per una de-escalation del conflitto libico. Certamente non è la soluzione al conflitto libico, ma è parte per raggiungere la soluzione, o certamente è uno strumento che consente agli europei di incidere su questa crisi.
  Rispetto all'operazione SOPHIA, EUNAVFOR MED Irini (slide n. 22), lanciata lo scorso 31 marzo con la decisione del Consiglio dell'Unione europea n. 472 del 2020, nasce con il compito principale di implementare l'embargo delle Nazioni Unite nei confronti della Libia, sulla base delle pertinenti risoluzioni. Il mandato include, inoltre, tre compiti secondari: il monitoraggio dei traffici illeciti di petrolio e dei suoi derivati, l'addestramento e monitoraggio della Guardia costiera e della Marina libica, il contributo allo smantellamento del business dei trafficanti di esseri umani. Quest'ultimo compito viene svolto con mezzi aerei.
  Per effetto anche della pandemia, l'operazione ha potuto iniziare le sue attività in mare solo all'inizio di maggio, con l'arrivo della prima unità navale e, nonostante la perdurante limitazione in termini di assetti disponibili, Irini ha ottenuto risultati significativi in termini di ispezioni, condotte, raccolta di informazioni ed effetto deterrente, che è difficilmente misurabile. Se voi guardate i numeri (slide n. 24), vedete 1.547 investigazioni mercantili, 62 visite consensuali sui mercantili e 6 abbordaggi su navi sospettate di contravvenire all'embargo delle Nazioni Unite. Ci sono state difficoltà nell'operare in questa fase della pandemia: pensate che basta avere un paio di positivi a bordo di un'unità navale per far sì che tutta la nave vada in quarantena, diventi inutilizzabile e occorra sbarcare tutti. Rendetevi conto anche delle difficoltà di avere assetti in mare in questo momento, con l'emergenza del COVID-19. A questi compiti si aggiunge anche un altro compito importante: quello di monitorare i porti, gli aeroporti e i flussi aerei attraverso assetti aerei e l'uso dei satelliti.
  Queste sono le caratteristiche (slide n. 25): l'operazione non è né contro qualcuno o contro qualche Paese – deve fare rispettare l'embargo sulle armi –, è bilanciata e può svolgere un ruolo attivo anche nel cessate-il-fuoco libico. Sono tuttavia necessari una forte coesione europea e maggiori assetti per consentire a EUNAVFOR MED Irini di svolgere questo effetto di deterrenza e soprattutto svolgerlo sempre di più alla luce di tutti gli attori coinvolti.
  Un altro elemento che ci riguarda da vicino e che è emerso da una serie di dichiarazioni di autorità del GNA è che si rende necessario fornire alle autorità del GNA adeguati assetti navali per i compiti di search and rescue, che potrebbero non essere garantiti a partire dalla prossima primavera, in concomitanza con la ripresa di imponenti flussi migratori.
  Qual è l'elemento emerso dalle dichiarazioni sia del Ministro della Difesa Namrush sia di altre autorità? È emerso che, nella fase in cui loro erano sotto assedio da parte di Haftar, hanno avuto sostegno da parte della Turchia e lo hanno anche nella formazione della loro Guardia costiera. Questo è un campanello di allarme, perché le loro critiche nei confronti dell'Unione europea sono: dov'era l'Unione europea quando noi eravamo sotto assedio? Questo è un elemento che va analizzato e attenzionato.
  Un altro elemento che è un po' passato sotto silenzio è questo accordo tra GNA, Pag. 9Turchia e Malta dell'agosto del 2020 (slide n. 26): a maggio Malta si ritira da EUNAVFOR MED Irini; il GNA, la Turchia e Malta si impegnano a rafforzare la cooperazione per combattere l'immigrazione illegale e la tratta di esseri umani; i tre Paesi esprimono forti riserve e critiche nei confronti dell'operazione, il che da parte della Turchia e da parte del GNA non era una novità; è un po' anomalo che venga fatto da Malta, un Paese dell'Unione europea.
  C'è poi un altro elemento che credo debba essere condiviso. Questo accordo ha la sua centralità nel controllare i flussi migratori verso l'Unione europea e anche verso l'Italia. Bisognerà vedere se effettivamente da questo accordo non dovessero poi derivare flussi anomali, magari utilizzati come strumento di pressione, come già abbiamo visto nei Balcani occidentali quando è stata aperta la rotta dalla Turchia fin dentro l'Europa. Quindi attenzione, perché il comportamento di Malta rispetto a un'iniziativa dell'Unione europea è stato a dir poco anomalo.
  L'area cerniera (slide n. 27) è un'area che va assolutamente monitorata. Non sono i Balcani degli anni Novanta, non sono i Balcani dove c'erano gli Stati Uniti, c'eravamo noi europei e c'era anche un ruolo importante della Turchia, anche se ben diversa dalla Turchia di oggi. Sono passati più di vent'anni; sono entrati i nuovi attori che hanno agende differenti. Io parlo di questa esperienza essendo stato anche in Kosovo come ricercatore presso la missione KFOR. È sorta una marea di moschee e sono giunti in queste aree finanziamenti «opachi», usiamo questa espressione. È una cerniera e, soprattutto, lasciare questi Paesi nel limbo – non si sa se li vogliamo con noi in Europa, o se non li vogliamo – è pericoloso, perché non è più il contesto della fine degli anni Novanta.
  Resta aperta la questione del Kosovo (slide n. 28): c'è un Inviato Speciale dell'Unione europea impegnato in questo. Ho percepito – questa è la mia sensazione – che nell'ultima fase dell'Amministrazione Trump ci sia stata anche una sorta di competizione tra l'Inviato americano e l'Inviato dell'Unione europea, che non credo abbia fatto bene. L'ipotesi di uno scambio di territori poteva essere un precedente pericoloso. Certamente non è semplice trovare una soluzione che consenta, da una parte, alla Serbia di non perdere la faccia – questo è evidente, lo possiamo dire con molta franchezza –, dall'altra, però, di riconoscere al Kosovo la sua indipendenza e la sua piena effettività.
  È bene ricordare che il Kosovo nell'ultimo anno ha sviluppato le proprie Forze armate. Non si chiamano così, ma è una struttura che non è più quella protezione civile rinforzata che era due o tre anni fa. Ci pone anche degli interrogativi, se vogliamo, su quello che sarà il futuro della stessa missione della NATO, perché sulla base delle risoluzioni le uniche Forze armate che potevano essere in Kosovo erano le Forze della NATO. Kosovo che comunque sta andando avanti con le sue Forze armate in un'ottica, se vogliamo, anche qui di continua trattativa e confronto o scontro con la Serbia.
  Ultime due aree di crisi congelate (slides n. 29 e 30): dico «congelate» perché non possiamo non essere d'accordo sul fatto che, fin quando non si insedierà la nuova Amministrazione americana e quindi ben oltre il 20 gennaio, sarà tutto molto incerto. Noi abbiamo visto l'ultima fase dell'Amministrazione Trump condurre una forte pressione nei confronti dell'Iran, una pressione molto dura nei confronti dei proxy e delle milizie iraniane, nei confronti degli Hezbollah. L'uccisione del generale Soleimani è stato un momento di grande contrapposizione, alla quale tuttavia l'Iran non ha potuto replicare, nonostante avesse perduto una figura di spicco delle sue Forze speciali.
  Il conflitto siriano è stato congelato tra la sacca di Idlib, l'incognita dei profughi, l'incognita delle milizie curde, lo stesso ruolo degli Hezbollah, che si sono confrontati in questi anni sul Golan contro Israele, perché al di là di quella che è la narrazione del conflitto siriano – conflitto interno, guerra per procura –, c'è stata poi una guerra parallela che si è combattuta con un incremento di raid israeliani in Siria contro Hezbollah iraniani, rispetto ai quali Mosca Pag. 10non ha fatto nulla. Mosca si è impegnata a garantire la tenuta di Bashar al-Assad, ma non è entrata in quello che invece è stato il confronto, neppure troppo sotterraneo, tra Israele e Iran.
  Questa è purtroppo l'implosione (slide n. 30) – sfrutto quest'immagine metaforica, ma che credo traduca molto bene la situazione politica del Libano odierno – del Paese dei cedri. Quanto accaduto il 4 agosto, con quella drammatica esplosione al deposito nei pressi del porto di Beirut, è veramente la metafora di un Paese che non c'è più, un Paese che non ha più una classe politica alternativa a quelle che sono le proteste. Io ho seguito da vicino il Libano. È stato il primo Paese nel quale ho iniziato a fare ricerche e sono anche molto coinvolto in queste vicende libanesi. Devo dire che queste proteste, iniziate tra il 2018 e il 2019, non si sono tradotte in un'alternativa politica. Non si riesce a fare un Governo perché il Parlamento eletto è ancora un Parlamento in cui i «padrini» – chiamiamoli purtroppo con questa brutta espressione – della politica libanese sono gli stessi della guerra civile di più di trent'anni fa.
  Io ho sempre paura che possa riprendere una nuova guerra civile. Si deve trovare un meccanismo pacifico per trasformare quella protesta che c'era due anni fa, che era economica, sociale, contro il sistema confessionale libanese, la protesta di una parte dei libanesi che non erano protetti, perché in Libano purtroppo se non si appartiene a un clan e se non si è tutelati, non si lavora, non si hanno diritti. Questo è il problema del sistema confessionale, che pure ha funzionato. Io non sono tra quelli che dice che questo sistema è sbagliato, perché tra questo sistema e la guerra civile va bene anche il sistema confessionale, ma si dovrà trovare prima o poi un equilibrio per fare in modo che quelle proteste – più pacifiche due anni fa, molto meno pacifiche dopo l'esplosione di agosto – possano produrre qualcosa di diverso, perché altrimenti non c'è un Governo. Viene nominato un Premier che sta lì due settimane e scappa perché non ha nessuna capacità di incidere su quelli che sono gli attuali rapporti di forza parlamentari che, come è noto, vedono nell'asse Michel Aoun, Hezbollah, Amal, il Presidente del Parlamento Nabih Berri, i detentori dell'equilibrio parlamentare.
  Ci vuole un cambio netto, radicale. Poi chiaramente tutto si è fermato. Abbiamo visto che ad agosto il Presidente Macron è andato a Beirut: sembrava che quella visita fosse risolutoria. Parlando con vari libanesi, non tutti cristiani maroniti, non tutti delle vie buone ancora rimaste a Beirut – anche se non è più Beirut di qualche anno fa –, mi rendo conto che questa visita non è piaciuta a tutti. Siamo andati – il Premier, il Ministro alla Difesa, la Viceministra Del Re – abbiamo cercato di parlare con i libanesi, di dare un aiuto sotto il profilo militare con la nostra presenza che ancora è fondamentale – poi ne parlerò – e sotto il profilo della cooperazione. Ma sul fatto di portare soluzioni dall'esterno in Libano, sul fatto di pensare di dire «Hezbollah va disarmata», possiamo anche essere d'accordo, ma poi c'è una domanda: come, senza scatenare una guerra civile? Questo è il secondo problema.
  In attesa della nuova Amministrazione americana certamente Hezbollah non può avere, come Israele accusa, delle installazioni per produrre missili in Libano; questo è impensabile, è una linea rossa che non può essere. Ma anche altri partiti e milizie in Libano mantengono un loro armamento leggero, consentitemi questa espressione. Tutti sono rimasti più o meno armati. È Hezbollah che è fuori scala. Pensare a un disarmo vuol dire entrare in uno scenario diverso. Pensare di rientrare entro la linea rossa è qualcosa che potrebbe essere fattibile, ed è collegato all'ultimo grande tema che affronteremo.
  Il fatto che si sia avviata una discussione tra Israele e Libano sulla delimitazione delle frontiere marittime, che si è fermata ma che comunque è un segnale e rispetto al quale c'è stato un ruolo americano, è un segnale importante. Il fatto che, quando c'è stata quella drammatica esplosione del 4 agosto, l'Ambasciatore israeliano, tramite il nostro comandante della missione UNIFIL, abbia fatto giungere un messaggio al Governo Pag. 11 libanese è un segnale, in primo luogo perché la nostra presenza garantisce tramite i meeting del tripartito un dialogo; ma certamente anche perché questa missione, che ha garantito quattordici anni di stabilità, oggi si trova in un contesto che è totalmente diverso dal 2006.
  Noi di questo dobbiamo tenere conto, perché nel frattempo è crollata la Siria, nel frattempo c'è stato un Accordo con l'Iran sul nucleare che aveva preso una certa piega e poi si è fermato, visto che gli Stati Uniti sono usciti. Non sappiamo se ci saranno le condizioni per un nuovo Accordo. Certamente sappiamo quali sono i punti critici di questo possibile Accordo: missili balistici iraniani e il ruolo dei proxy iraniani nella regione. Anche Trump e lo stesso Pompeo hanno sempre fatto trapelare che i missili balistici e i proxy erano i punti sui quali non c'era concordia con l'Iran, i punti che venivano contestati all'Amministrazione Obama; non l'Accordo in sé.
  Poi bisognerà vedere se l'Accordo funziona, se fare un Accordo garantisce di poter controllare oppure no; ma certamente, anche alla luce degli Accordi di Abramo, siamo in un altro scenario. Questo sarà un dossier molto strategico per poi capire quello che succederà nei due Paesi che prima ho menzionato. È impensabile trovare soluzioni alla crisi libanese dall'interno. È impensabile, lo dico con amarezza, ma purtroppo sappiamo benissimo quanto sia forte l'incidenza degli attori esterni. Allo stesso tempo è impensabile una soluzione in Siria senza gli attori esterni, lì dove effettivamente la comunità internazionale è stata scavalcata dalle azioni di Putin e dagli Accordi di Astana. Quel conflitto ci fa capire come anche in quel caso le organizzazioni internazionali vengano scavalcate nel momento in cui ci sono i veti nel Consiglio di Sicurezza. I veti non c'erano in passato, certo. L'unico caso in cui non ci sono stati è nel 1991, la prima Guerra del Golfo. Era un mondo diverso e lì si andò all'unanimità. Era totalmente diverso. Oggi ci sono due Paesi che bloccano qualsiasi decisione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Se quello strumento non funziona, avviene quello che è successo in Siria, che drammaticamente potrebbe succedere anche in Libia.
  Nell'ultima slide (slide n. 32) faccio alcune considerazioni, per concludere sugli interessi nazionali, sulla necessità del nostro Paese di guardare con attenzione soprattutto all'utilizzo dello spazio marittimo, a fronte di numeri importanti che ci dicono che il 54 per cento del commercio estero dell'Italia avviene via mare, a fronte del 15 che utilizza la modalità stradale.

  PRESIDENTE. Il 55 per cento dei 90 miliardi è riferito a chi?

  MATTEO BRESSAN, docente di relazioni internazionali e studi strategici. All'Italia. A fronte di questi numeri, essenziali per la nostra economia, il fatto che il Mediterraneo abbia importanti choke points – Gibilterra, Suez – ci fa capire quanto una strozzatura di questi stretti sia pericolosissima per la nostra economia. Dal mare, dal commercio marittimo, dalla trasformazione di materie prime in manufatti, dalla nostra capacità di esportare prevalentemente via mare deriva la tutela del nostro sistema economico.
  Considerazioni finali (slide n. 34): io credo che, alla luce del quadro delineato, serva fare uno sforzo ulteriore per definire un'agenda di priorità anche dei nostri impegni. Io capisco che i temi esteri, difesa e sicurezza non scaldano molto l'opinione pubblica; però le scelte consapevoli avvengono nel momento in cui si riesce a trovare una serie di priorità e si definisce il livello di ambizione del Paese, si definisce come vogliamo incidere in alcune crisi, a quali crisi sulla base delle nostre alleanze possiamo partecipare e come possiamo partecipare. Non sempre è detto che si possa partecipare a tutto.
  C'è un dibattito – da ricercatore io l'ho affrontato – che ritorna spesso: la necessità di una sorta di «Consiglio di Sicurezza nazionale» per armonizzare i nostri interventi. È un tema che io ho sviluppato come ricercatore presso il Centro alti studi della Difesa, guardando al modello francese, al modello americano. È necessario coordinare meglio difesa, esteri, sviluppo, commercio. Pag. 12 Nel momento in cui abbiamo una presenza con i nostri contingenti, bisogna far sì che questo binomio – e non solo binomio – tuteli meglio il sistema Paese, che emerga meglio la capacità del nostro Paese di entrare. Ci sono altri Paesi che utilizzano altri strumenti, Paesi che hanno un livello di intelligence economica spiccata al massimo, aggressiva. Noi ci confrontiamo con dei vicini che ragionano e si comportano così, che sono alleati certamente, ma non sempre anche amici. Ci confrontiamo con questo scenario.
  In ultimo, io sento parlare da anni di cooperazione tra NATO e Unione europea nella sponda sud. È fondamentale. Va benissimo, dal vertice di Varsavia del 2016, ma è francamente anomalo – faccio un esempio concreto che ho vissuto in questi due mesi e mezzo da ufficiale di Marina – che non ci sia cooperazione tra NATO e Unione europea per l'operazione Irini, cosa che per l'operazione SOPHIA c'era. Io posso anche capire il perché, ma se noi dobbiamo essere presenti in maniera funzionale ad avere un quadro di situazioni informativo, non possiamo farlo senza la NATO, la quale essa stessa ha interessi nell'osservare come si comportano alcuni Paesi esterni all'Alleanza in Libia. Questo è un elemento sul quale credo che si debba riflettere, perché si parla di sfide comuni del fianco sud e non c'è cooperazione, anche a livello tattico; non c'è condivisione di informazioni.
  Io credo che sia anche negli interessi statunitensi poter contare su un'operazione che, grazie ad assetti navali, aerei e satellitari, ha un quadro di situazione di quello che fanno alcuni attori – vedasi anche la Russia – in Libia. Non penso che gli Stati Uniti abbiano piacere di ritrovarsi una situazione simile alla Siria anche in Libia. Questo credo che sia un tema sul quale è necessario uno sforzo. L'Alleanza ha saputo trasformarsi, l'Alleanza si è ristrutturata con nuovi concetti strategici, ha parlato e si è parlato di fianco sud. C'è stato un rafforzamento anche al Joint Force Commande Naples, ma credo che sia giunto il momento di vedere anche risultati concreti di questa cooperazione, perché credo che non si possa affrontare da soli questa tipologia di sfide.
  Ricordo a tutti che se non ci fossero in mare gli assetti dell'Unione europea, ci sarebbero assetti di altri Paesi non europei. Questa è la brutale logica delle relazioni internazionali, ma funziona così da sempre.
  Io vi ringrazio moltissimo per l'invito. Spero di aver fornito qualche spunto anche molto aggiornato, vista la mia recentissima esperienza. Chiaramente sono a disposizione per eventuali domande e chiarimenti. Grazie.

  PRESIDENTE. Bene, molto interessante, grazie. Ci sono adesso commissari che vogliono prendere la parola? È stato ampiamente esaustivo. Vediamo, ci sono questioni? C'è Paolo Formentini.

  PAOLO FORMENTINI. Grazie, presidente. Mi unisco anch'io ai complimenti, perché ci ha fornito un quadro molto preciso ed esaustivo. In questo quadro esaustivo però Le chiedo se può fornire qualche spunto in più alla nostra Commissione sul ruolo che potrebbe giocare il nostro Paese, l'Italia, con riferimento a due ambiti: il primo è l'ambito NATO, vorrei sapere in che direzione a suo avviso, di fronte a tutte le sfide provenienti dal fianco sud che ha ben analizzato, l'Italia può, sia all'interno, nelle istituzioni democratiche dei Paesi membri – io faccio parte dell'Assemblea parlamentare della NATO – ma anche a livello governativo, spingere ancor più affinché non sia più solo una coesistenza tra fronte est e fronte sud, ma davvero si capisca da parte degli altri membri europei dell'Alleanza atlantica e di tutta la NATO il fatto che sia essenziale in questa fase storica il Mediterraneo.
  Giusto, giustissimo lo schieramento degli Stati Uniti in Asia. Io auspico – e qui passo a un altro argomento – che in Asia si possa costituire un soggetto simile all'Alleanza atlantica. Però secondo me – questo più che un auspicio addirittura è un sogno – sarebbe essenziale veder nascere qualcosa di simile alla NATO anche in Medio Oriente. Sogno nel sogno, magari a guida Pag. 13israeliana, in seguito agli Accordi di Abramo. Lancio questa suggestione. Grazie.

  PINO CABRAS. Mi unisco ai complimenti per l'audizione molto ricca, perché dà un'idea molto chiara della complessità del contesto nel quale siamo inseriti. Noto una cosa e chiedo al dottor Bressan se può approfondire questo profilo: tutto sommato quello europeo appare un ruolo da ectoplasma in questo quadro. L'unico veicolo di un certo peso è la NATO e non è poco, però sfugge completamente un ruolo e una visione d'insieme dei temi mediterranei nell'ambito geopolitico. C'è qualcosa che giustifichi i comportamenti dell'Europa in questo periodo?

  PRESIDENTE. Altri? Do la parola al professor Bressan per la replica.

  MATTEO BRESSAN, docente di relazioni internazionali e studi strategici. Grazie. Per quanto riguarda lo sforzo che diceva l'onorevole Formentini, è vero che si sta pensando a una NATO in Asia, in Medio Oriente, ma il tema è – questo non riguarda solamente noi, è una sfida che riguarda l'Italia, la Spagna, la Francia, la Grecia, anche la Turchia – far capire che questo blocco di Paesi che si trova di fronte quel tipo di sfide non può essere derubricato ad altro, perché siamo tutti contributori dell'Alleanza atlantica. Noi come Italia, anzi, abbiamo presenza e responsabilità di comando in varie operazioni internazionali: abbiamo l'Afghanistan, abbiamo il Kosovo dal 2013. È un nostro «diritto» legittimo chiedere maggiore attenzione a quest'area.
  Non vorrei che nelle discussioni che ho seguito in questi giorni sulla NATO 2030 si perdesse un po' di vista quest'area, però c'è anche un perché: ci sono agende nazionali differenti, la criticità è questa. Mi collego anche al quesito dell'onorevole Cabras. Faccio l'esempio che conosco un po' più da vicino: noi, avendo oscillato purtroppo dal 2011 con agende differenti in Libia, ci siamo trovati con Turchia e Russia. Questo è il problema. Naturalmente questi altri attori hanno più facilità a intervenire, a mandare un contingente, a mandare i contractors come è stato nel caso della Wagner, a mandare dei voli con combattenti un po' strani che partivano dalla Siria.
  Nella slide c'era un pallino: coesione europea. La risposta alla crisi libica – uno strumento, non la soluzione – è stata la partenza di questa operazione, tra tantissime difficoltà. Non sono molte le operazioni dell'Unione europea in grado di provare ad incidere. Se i primi a non credere sono gli europei, è difficile. Purtroppo la fotografia della terza slide era la competizione tra Stati Uniti, Cina e Russia – c'erano le tre bandiere, tre soggetti geopolitici –, dall'altro c'è un gigante economico, l'Unione europea, ma che non è un attore geopolitico. Questo è risaputo. Questa capacità di potenza economica non si traduce in un attore in grado di esercitare un'azione, ma sappiamo i motivi, sappiamo le agende differenti.
  Questo sarebbe un discorso ahimè molto lungo, ma noi oscilliamo purtroppo tra tentativi e soluzioni, come nel caso della famosa visita a Beirut, che sembrava potesse risolvere improvvisamente l'assenza di un Governo, rispetto ad altri che agiscono con metodi differenti e che, ci piaccia o no, rischiano poi di incidere e decidere sulle nostre sorti.
  Io credo che avere una presenza europea anche nella famosa attività di training della Guardia costiera libica, magari con capacità europee, sia più di garanzia rispetto al training fornito da un altro Paese, anche in termini di rispetto dei diritti umani. Un conto è farlo fare da forze dell'Unione europea, un conto è che questa attività la vadano a fare altri; però bisogna dare risposte in tempi rapidi, e questa è una sfida che hanno tutti i Paesi europei e abbiamo anche noi.

  PRESIDENTE. Bene, La ringrazio molto. Le saremmo grati se Lei ci potesse far pervenire sia la sua relazione sia le slides, che saranno pubblicate in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato). Infatti, le indagini conoscitive si dovrebbero concludere con un rapporto, ed è molto utile disporre di una documentazione che sostenga poi una serie di analisi, Pag. 14di valutazioni e di indicazioni che nel rapporto noi indicheremo.
  Grazie molte. È stato davvero di grandissimo interesse. Questa mattina abbiamo avuto due audizioni molto interessanti. Credo che le indagini conoscitive, da questo punto di vista, si rivelino uno strumento per la Commissione molto utile e prezioso. Speriamo di avvalerci ancora della sua collaborazione. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 10.30.

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