XVIII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 7 di Giovedì 29 ottobre 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Fassino Piero , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE DINAMICHE DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE E INTERESSE NAZIONALE

Audizione, in videoconferenza, dell'Amministratore Delegato di ENI,
Claudio Descalzi.

Fassino Piero , Presidente ... 3 
Descalzi Claudio , Amministratore Delegato di ENI ... 4 
Fassino Piero , Presidente ... 4 
Descalzi Claudio , Amministratore Delegato di ENI ... 4 
Fassino Piero , Presidente ... 9 
Descalzi Claudio , Amministratore Delegato di ENI ... 9 
Fassino Piero , Presidente ... 10 
Quartapelle Procopio Lia (PD)  ... 10 
Formentini Paolo (LEGA)  ... 10 
Suriano Simona (M5S)  ... 10 
Ehm Yana Chiara (M5S)  ... 10 
Lupi Maurizio (Misto-NI-USEI-C!-AC)  ... 10 
Valentini Valentino (FI)  ... 11 
Fassino Piero , Presidente ... 11 
Descalzi Claudio , Amministratore Delegato di ENI ... 11 
Fassino Piero , Presidente ... 14 
Descalzi Claudio , Amministratore Delegato di ENI ... 14 
Fassino Piero , Presidente ... 14 

ALLEGATO: Documentazione presentata dall'Amministratore Delegato di Eni Claudio Descalzi ... 15

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Popolo Protagonista - Alternativa Popolare (AP) - Partito Socialista Italiano (PSI): Misto-AP-PSI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
PIERO FASSINO

  La seduta comincia alle 8.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione, in videoconferenza, dell'Amministratore Delegato di ENI,
Claudio Descalzi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle dinamiche del commercio internazionale, l'audizione, in videoconferenza, dell'Amministratore Delegato di ENI dottor Claudio Descalzi. Ringrazio l'Amministratore per la disponibilità a prendere parte ai nostri lavori.
  Ricordo che il 19 febbraio abbiamo avuto modo di audire, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla politica estera energetica dell'Italia, il Direttore per le relazioni internazionali Lapo Pistelli. Già in quella sede emerse il ruolo centrale che l'ENI esercita non solo nelle strategie di approvvigionamento energetico del nostro Paese, ma sulla stessa politica estera italiana. Attualmente ENI opera in oltre sessanta Paesi e si pone come una delle supermajor globali nel settore oil & gas.
  L'audizione odierna ci consentirà di approfondire anche gli effetti della crisi pandemica in atto sull'andamento del commercio internazionale, con particolare riguardo ai mercati delle risorse energetiche. Secondo l'Agenzia internazionale dell'energia il lockdown e la crisi economica in atto rappresentano il più grande shock per il sistema energetico globale degli ultimi dieci anni. La domanda energetica globale si è infatti contratta come non accadeva dalla seconda guerra mondiale e secondo le proiezioni dell'Agenzia nel corso del 2020 potrebbe determinare una riduzione della domanda pari al 6 per cento. In termini assoluti il declino è senza precedenti, pari all'equivalente di perdere l'intera domanda energetica dell'India, il terzo consumatore di energia al mondo. A registrare le flessioni maggiori saranno le economie avanzate, con cali del 9 per cento negli Stati Uniti e dell'11 per cento nell'Unione europea. Tutto naturalmente dipende dalla durata dell'epidemia e dalla severità delle misure assunte. Ogni mese di blocco mondiale ai livelli osservati all'inizio di aprile riduce la domanda globale di energia dell'1,5 per cento, secondo le stime dell'Agenzia internazionale per l'energia. Con riferimento alle varie fonti energetiche, l'Agenzia rileva che la domanda di petrolio potrebbe diminuire del 9 per cento riportando il consumo di petrolio ai livelli del 2012; il consumo di carbone potrebbe scendere dell'8 per cento, anche se un recupero della richiesta di carbone per l'industria e la produzione di elettricità in Cina potrebbe compensare un calo più ampio; la domanda di gas, già caratterizzata da un andamento discendente a partire dal 2019, potrebbe calare ulteriormente nel corso del 2020, con effetti depressivi sulle dinamiche dei prezzi.
  Questo calo della domanda ha avuto e avrà, tuttavia, effetti positivi sulle emissioni, che dovrebbero scendere di quasi l'8 per cento, e sulla produzione di energie Pag. 4rinnovabili, secondo le stime dell'Agenzia le uniche fonti di energia destinate ad aumentare nel 2020. Proprio sul fronte delle energie rinnovabili da tempo è impegnata l'ENI, che negli ultimi anni ha adeguato il proprio modello di business, incentrandolo sui tre pilastri della neutralità carbonica nel lungo termine, dell'eccellenza operativa e della promozione di alleanze per lo sviluppo locale.
  Fatte queste breve considerazioni di premessa, do la parola al dottor Descalzi perché svolga il suo intervento. Prego, dottore.

  CLAUDIO DESCALZI, Amministratore Delegato di ENI. Grazie, presidente. Grazie per l'invito e l'opportunità di parlare di temi che sono assolutamente all'ordine del giorno e che hanno un impatto sull'ambiente, sulle persone, sul commercio internazionale, sull'Italia, sull'Europa in generale e poi a livello mondiale. Ha già ben delineato i temi e ha fatto un'ottima sintesi nella sua introduzione, quindi sarò abbastanza veloce. Farò una panoramica di ENI in Italia e nel mondo e parlerò della trasformazione non solo di ENI, ma anche delle trasformazioni che devono essere fatte a livello delle regole internazionali, e non solo, per recuperare un'efficienza di commercio tra i Paesi.
  Questo recupero di efficienza è mancato anche prima del COVID a causa di accordi unilaterali invece che bilaterali e quindi sempre più regionalizzati, il COVID poi li ha esasperati. Questo commercio multilaterale deve tenere conto, a livello energetico e di scambio, della salvaguardia dell'ambiente, della riduzione delle emissioni e anche della trasformazione dell'assetto delle risorse primarie. Questo sarà il filo conduttore. Spero che voi abbiate le slides...

  PRESIDENTE. Abbiamo il cartaceo delle slides.

  CLAUDIO DESCALZI, Amministratore Delegato di ENI. Incominciamo a parlare della presenza globale di ENI che, come ha detto Lei, è presente in moltissimi Paesi. Siamo in sessantasei Paesi, abbiamo una presenza più profonda e numericamente più sostenuta in Italia dove fra diretti e indiretti arriveremo a circa cinquantamila o sessantamila persone. Inoltre, abbiamo una presenza nel mondo che ci porta ancora altre ventimila o trentamila persone tra colleghi diretti ENI e le joint venture con le società di Stato. Abbiamo veramente una grossa presenza internazionale, e dopo l'Italia e l'Europa le presenze più importanti sono in Africa, in Medio Oriente e Stati Uniti. Abbiamo una presenza inferiore, ma siamo presenti, in America Latina e nell'Europa del Nord, che fa parte del pacchetto europeo, che è quello più forte e più importante. La distribuzione dell'ENI è su tutta la catena del valore, nel senso che abbiamo una forte presenza nella ricerca della materia prima che sia oil & gas, ma anche biogas, biomasse o energia verde, quindi siamo nella partenza, quello che viene chiamato upstream. Poi siamo in tutto il ciclo di trasformazione e quindi abbiamo tutta la catena di trasformazione della materia prima – dalla raffinazione, alla chimica, ai cicli combinati – per arrivare a dei prodotti che stanno cambiando le loro configurazioni. Piano piano – ma adesso puntiamo a velocizzare il processo – il prodotto avrà una caratteristica diversa da quello precedente perché l'obiettivo è quello di decarbonizzarlo.
  Gli idrocarburi vanno in una misura calante, però devono essere decarbonizzati, perché le infrastrutture non si cambiano in poco tempo; poi ci sono i prodotti verdi e tutta la categoria di prodotti bio che non provengono da idrocarburi, ma che serviranno sia per la mobilità sia per l'utilizzo domestico. Questa possibilità di essere su tutta la catena del valore in diversi Paesi ci fa arrivare fino agli utenti finali perché adesso noi abbiamo, in Europa soprattutto, più di nove milioni di clienti. L'obiettivo è arrivare a venti milioni di clienti, che sono quelli contrattualizzati a cui vendiamo gas ed elettricità, quei prodotti che ovviamente abbiamo l'obiettivo di decarbonizzare completamente in modo tale da impattare sull'obiettivo tre in modo pesante e non dare la preoccupazione ai nostri utenti di utilizzare prodotti ancora con un contenuto, Pag. 5anche se basso, a livello carbonico, ma prodotti che siano completamente decarbonizzati. Questa è la grande massa di utenza contrattualizzata; poi abbiamo un'utenza non contrattualizzata, ma fidelizzata, che è quella del marketing – quindi le stazioni di servizio – che ovviamente ha molti milioni di clienti. Noi abbiamo circa una copertura del 25 per cento della distribuzione italiana, con 4.500 stazioni di servizio. L'obiettivo di raggiungere tutti i clienti in modo decarbonizzato è sicuramente fondamentale, proprio perché riesce a impattare non solo sull'obiettivo uno e due – che sono le emissioni generate dalla produzione dell'energia, ma anche sul prodotto che usa l'utente, che libera ulteriore CO2. Tanto per darvi un'idea, il rapporto fra obiettivo uno e obiettivo due – quindi tra emissioni prodotte durante la fase di produzione ed emissioni prodotte durante la fase di consumo – è molto alto. C'è un rapporto di uno a cinque, uno a sei, anche uno a sette, quindi la parte di obiettivo tre è quella preponderante nella generale emissione. In Italia l'ENI ha un grandissimo patrimonio costruito nel tempo: ha una distribuzione degli asset industriali su tutto il territorio nazionale; abbiamo sette centri di ricerca e negli ultimi sei anni abbiamo aumentato di molto gli investimenti e le espressioni della ricerca scientifica. Nell'ambito della trasformazione, a fine 2014, abbiamo iniziato a investire su progetti che ci permettessero di trasformare la nostra catena di lavorazione e di distribuzione partendo dagli asset esistenti: quindi senza rottamare quello che avevamo e senza ridurre la forza lavoro, ma trasformando quello che avevamo. Questo ci ha permesso – e già i risultati trimestrali di ieri lo hanno mostrato – di essere resilienti. Le bio-raffinerie sono tecnologie nostre e siamo gli unici nel settore oil & gas che hanno trasformato le raffinerie a idrocarburi in raffinerie a biomasse e questo ci ha permesso di migliorare il risultato. Gli investimenti fatti nella ricerca, negli ultimi cinque anni, sono stati di circa quattro miliardi. Ormai c'è una collaborazione con centri di ricerca universitari a livello mondiale che riguardano circa settanta università e centri di ricerca con il 50 per cento in Italia e il cinquanta all'estero. Siamo passati da circa 250 ricercatori a circa 1.500 ricercatori, quindi c'è stato un grandissimo sforzo nella ricerca scientifica. L'hub per la nostra ricerca scientifica, anche se abbiamo degli hub connessi, è proprio in Italia. Abbiamo ovviamente ancora un'attività upstream, anche se ormai estremamente ridotta, che conta ancora la produzione e non più l'esplorazione.
  Da molto tempo non facciamo esplorazione, ma facciamo manutenzione, asset integrity, e diamo continuità operativa ancora per qualche anno – non durerà moltissimo – alle produzioni nazionali. Abbiamo anche il downstream, quindi la raffinazione. Abbiamo quattro raffinerie tradizionali, ne avevamo sei e due le abbiamo trasformate in due bio-raffinerie – a Venezia e Gela – e sono ancora in crescita produttiva tra manutenzione e aggiornamenti tecnologici proprio in quest'anno 2020. Abbiamo otto stabilimenti petrolchimici e due impianti chimici, che riguardano il settore delle rinnovabili.
  C'è un settore che abbiamo sviluppato durante la pandemia per fare bioetilene e quindi bioalcol che è un prodotto che importavano. Eravamo entrati in rottura di stock e velocemente, a febbraio e marzo, in collaborazione con le istituzioni, abbiamo attivato una catena bio, quindi a fermentazione di zuccheri. Questo input tecnico ci ha portato adesso a iniziare la commercializzazione per coprire quelle possibili rotture di stock che ci sono state e ci saranno ancora nel caso di una pandemia, perché l'approvvigionamento e la catena di approvvigionamento diventa estremamente difficile, in quanto ogni Paese cerca di provvedere alle proprie necessità.
  Abbiamo poi i siti di bonifica. Come sapete noi abbiamo una società che si chiama ENI Rewind per fare bonifiche, e questa società fa bonifiche su più di ottanta siti italiani e abbiamo quarantadue impianti di trattamento delle acque. Dal 2018 – e adesso andremo a salire – abbiamo costruito i primi impianti in Sicilia di trattamento di rifiuti usando una nostra tecnologia che è quello che si chiama waste to Pag. 6fuel. Vengono presi i rifiuti urbani organici – ma lo facciamo anche con quelli inorganici e le plastiche complesse – che vengono raccolti in modo differenziato e la raccolta differenziata deve funzionare bene. Si tratta di un processo molto semplice, di tipo meccanico-fisico, ma non chimico, che si basa su pressione e temperatura, per cui c'è una liquefazione di questi rifiuti organici che vengono trasformati in oli bio decarbonizzati che possono essere usati direttamente per il trasporto navale, quindi senza zolfo e a specifica completa. Viene prodotta acqua demineralizzata e anche della benzina bio che può essere mischiata a quella normale per ridurne il componente carbonico.
  Questa tipologia di trattamento rifiuti è estremamente efficace ed efficiente e ha il doppio vantaggio di eliminare i rifiuti e quindi non portarli a essere inceneriti oppure a essere messi in discarica – anche perché adesso non si può più – oppure con grandi costi portarli alla termogenerazione e anche questo è molto difficile. Abbiamo iniziato la ricerca su questo aspetto particolare perché anche noi come Rewind dobbiamo smaltire nei processi di bonifica molti rifiuti e i costi sono sempre più alti. Il compostaggio arriva a sessanta o settanta euro a tonnellata; se dobbiamo aggiungere il trasporto, il trattamento per mandarlo al Nord Italia dove ci sono termogeneratori oppure al di fuori dell'Italia nei Paesi del Nord come Germania e così via, i costi possono arrivare a quattrocento o cinquecento euro a tonnellata. Abbiamo pagato anche di più per tonnellata. Abbiamo studiato questa tecnologia per potere trattare rifiuti e avere il vantaggio di produrre del materiale utile a livello energetico e a livello di prodotti.
  Abbiamo un piano di investimento importante per fare circa quattro unità da 150 mila tonnellate. Questa quantità di rifiuti all'anno corrisponde a circa un milione o un milione e mezzo di persone, quindi copriremo circa sei milioni di persone. Stiamo presentando questo tipo di attività anche all'estero perché può trovare una vasta applicazione soprattutto in alcuni Paesi dove operiamo – in Africa e in Asia – dove ci sono grandi agglomerati e una grande quantità di rifiuti organici, non c'è acqua e manca anche, qualche volta, del combustibile a basso livello carbonico che può essere subito utilizzato. Nei vari viaggi ho già presentato queste tecnologie che hanno riscosso molto interesse e sono tecnologie di proprietà dell'ENI.
  Mi soffermo ancora sulla parte di ENI Rewind perché nel processo di transizione e di trasformazione c'è il trattamento delle plastiche, i polimeri complessi che meccanicamente non possono essere ridotti a monomeri, quindi a una componente primaria che meccanicamente trattata può rientrare nel circolo del polimero. I polimeri complessi plasmix sono dannosi anche se vengono portati a termovalorizzazione. Abbiamo due tipologie di processo, ma quello che stiamo attuando – e abbiamo già fatto l'ingegneria – è quello di ossigenazione di queste plastiche per separarne la componente carbonica, che viene catturata per produrre dell'idrogeno; in questo caso è un idrogeno che ha lasciato la sua componente carbonica nel prodotto e la plastica; oppure, invece dell'idrogeno si può ricavare del biocarburante, delle benzine leggere con una componente carbonica che è già stata catturata a monte. Queste attività di Rewind sono molto innovative perché non c'è solo il trattamento acqua, ma è un trattamento di rifiuto circolare che permette di rigenerare i rifiuti dandogli un valore economico. Per chiudere con Rewind – che lavora sul territorio italiano e stiamo usando anche all'estero, visto che ha ormai acquisito delle competenze molto avanzate – voglio ricordare che l'85 per cento delle bonifiche che fa ENI non riguardano processi o stabilimenti industriali di ENI. Si tratta di bonifiche relative agli anni ottanta e novanta, quando ad ENI era stata attribuita la bonifica di stabilimenti che non erano nostri, come quelli di produzione del DDT e altri. Questo è un impegno finanziario importante, perché vale tra i trecento e i trecentocinquanta milioni di euro all'anno: dobbiamo investire tra i cinque e i sette miliardi nei prossimi dieci anni, quindi è un impegno Pag. 7importante, ma che dà anche l'opportunità di costruire delle competenze rilevanti.
  Ho fatto questa carrellata a macchia di leopardo per riferirvi un po' di novità e alcuni fatti interessanti. Ve ne ho dette solo alcune perché ci sono molti altri progetti di ricerca scientifica che ormai sono maturi e sono in fase applicativa prototipale.
  Ora parliamo dell'altro argomento, degli andamenti e del ruolo dell'oil & gas e del mercato europeo, internazionale e mondiale dell'oil & gas e di come si sta muovendo nel periodo pre-pandemia e durante la pandemia. Non c'è ancora un post-pandemia, ma vediamo come questo settore durante la pandemia si muove a livello mondiale, anche in considerazione dei target della XXI edizione della Conferenza delle Parti (COP21) e della preparazione della COP2.
  Oggi il petrolio e il gas naturale coprono circa la metà del fabbisogno mondiale. Ovviamente, con la distribuzione geografica molto diversificata copre il 55 per cento circa del fabbisogno mondiale. Diverse agenzie dicono che fra vent'anni questo si ridurrà dal 55, al 53, al 45 per cento, in funzione degli scenari, con il petrolio che scende e con il gas che sale, soprattutto nella parte mediorientale e in Estremo Oriente. I vari obiettivi e i vari scenari sono in funzione del grado di decarbonizzazione e quindi delle regole che vengono scelte; però ricordiamo che questi sono scenari top down: nel senso che la COP21 e quelle successive hanno fatto fine tuning sugli obiettivi, ma sono top down perché devono essere calati nei Paesi che hanno firmato un accordo non vincolante e che si autodeterminano senza un controllo, e sono 196 Paesi. Gli strumenti, le modalità, il percorso, la tracciabilità del percorso, gli obiettivi e le aspirazioni si fondono senza un controllo completo da parte di un regolatore che non c'è da un punto di vista ambientale. Ognuno definisce le proprie regole, e questo ovviamente è il punto più critico. Dopo la COP21 noi avevamo una produzione per il settore energetico, perché ovviamente la produzione di emissioni di CO2 equivalenti è molto più alta, è tra i cinquantaquattro e i cinquantotto miliardi di tonnellate all'anno, e quindi ci sono dentro le emissioni dell'agricoltura e di altre componenti. La parte energetica in generale, quindi tutta l'industria – che vuol dire elettricità, ma anche energia e materiali che si producono – produceva trentadue miliardi di tonnellate all'anno; dopo la COP21 e dopo che questi tutti questi Stati hanno aderito a questa traiettoria, il livello è salito a trentatré o trentatré e mezzo tonnellate.
  Come vedete le dinamiche sono difficilmente controllabili. Abbiamo il carbone che ha ancora un 37 per cento di percentuale nel sistema energetico che è tanto; c'è l'elettrico; abbiamo le rinnovabili, che a livello energetico sono il 2 per cento; a livello elettrico in Europa arrivano al 15 per cento e a livello mondiale arrivano al 7 per cento. Sulla parte rinnovabile si sono investiti 3,5 trilioni di dollari negli ultimi diciotto anni, tre miliardi di subsidies.
  La penetrazione di un settore energetico, se non c'è una grossa determinazione su un altro settore energetico, è sempre molto difficile. Basti pensare che dalla metà dell'Ottocento all'inizio del Novecento il carbone in sessant'anni è arrivato al 50 per cento di penetrazione; il petrolio subito dopo, nei successivi cinquant'anni, è arrivato a una percentuale tra il 38 e il 40 per cento; il gas, che è partito dopo, in altri cinquant'anni è arrivato a meno del 25 per cento di penetrazione. Questi processi hanno una certa vita, che è dovuta agli investimenti importanti in stabilimenti, infrastrutture, vie di comunicazione e quindi a tutto quello che c'è dietro, non solo alla semplice condizione di energia, ma a tutto il mondo che permette di usufruire e portare agli utenti questa energia. I processi di trasformazione che funzionano sono quelli che minimizzano gli investimenti, riescono a decarbonizzare, riescono a portare a una riduzione energetica, minimizzando l'impatto della trasformazione delle infrastrutture. Nell'ultimo secolo e mezzo questa è stata la componente più difficile da abbattere proprio perché bisogna investire.
  Nel settore energetico direi che la situazione, da un punto di vista delle emissioni, nonostante la grossa focalizzazione, non Pag. 8sta avendo lo stesso riscontro in tutti i Paesi, in tutte le società, in tutte le compagnie. Tutte le società petrolifere nell'obiettivo uno e due – e quindi nella produzione di energia – pesano veramente poco, quelle indipendenti pesano il 10 per cento, poi il resto è nelle mani dei produttori nazionali.
  A parte gli americani, le altre società non hanno risorse in Paesi OECD molto importanti. Oltre agli Stati Uniti c'è la Norvegia; il resto dell'Europa è un grosso mercato, ma vuoto dal punto di energetico. Importiamo quasi tutto, quindi la maggior parte delle risorse si sviluppa negli Stati Uniti – che hanno raggiunto un'autosufficienza e anche una produzione da esportatori –, nel Medio Oriente e in Russia. Tutti gli altri Paesi si devono approvvigionare. Non ho parlato dell'Africa che ha una grande capacità potenziale di risorse però ha un bassissimo utilizzo. Pur rappresentando il 17 per cento della popolazione mondiale utilizza il 4 o il 5 per cento delle risorse mondiali. L'Africa ha un basso potenziale di utilizzo e un'emissione mediamente bassa, ha delle concentrazioni di emissioni nelle megalopoli.
  Venendo a parlare dell'intreccio tra energia e decarbonizzazione, il sistema energetico mondiale dove vede il picco oil? Diciamo che mediamente il picco oil, ovvero la massima produzione di petrolio a livello mondiale, per le agenzie e per alcune società ci sarà intorno al 2030. Noi l'abbiamo posto in modo volontario al 2025. Abbiamo stabilito che la produzione massima di ENI sarà al 2025, dopo inizierà una stabilizzazione con una decrescita della produzione del petrolio, dal 2030 molto più marcata, per diventare praticamente dei produttori solo di gas che utilizzeremo per accompagnare la decarbonizzazione.
  Queste sono visioni non globali, come ho detto, perché è una decisione di alcune società.
  È un discorso legato al consumo di petrolio e di gas che è già al plateau, ma si vede in discesa nei prossimi vent'anni in Europa, anche sensibilmente; però è compensato da un aumento in tutti i Paesi in via di sviluppo. Sicuramente l'Asia avrà una grossa crescita, che è fatta di gas soprattutto, ma è ancora fatta di petrolio e di carbone. Ovviamente ogni economia, visto che non ci sono accordi vincolanti, cerca di utilizzare un mix di fonti energetiche che gli facilitino la crescita a livello di sviluppo del Paese. Dobbiamo pensare che in tutto questo grande scacchiere internazionale ci sono Paesi che producono risorse primarie e hanno mercato e Paesi che non hanno risorse primarie.
  Se vediamo qual è la situazione, abbiamo due grosse componenti industriali come Stati Uniti e Russia. L'America si può chiudere su se stessa, nel senso che con l'Europa ha il miglior mercato e ha anche molte risorse primarie di tutti i tipi: dal gas, al carbone, al petrolio, alle rinnovabili. L'Europa ha un grosso sistema di mercato, ancora siamo i primi, però è vuota dal punto di vista energetico. La Russia ha molta energia, ma non ha mercato quindi punta a mercati ormai diversificati, ma principalmente all'Europa e alla Cina. La Cina ha un buon mercato, non ha energia sufficiente per la sua popolazione e quindi cerca energia.
  Ho schematizzato la situazione, però questi cambiamenti di pressione che creano un flusso sono importantissimi perché poi ne definiscono anche il movimento nel campo geopolitico, della diplomazia energetica e nei movimenti e nell'interesse dei vari Stati in altre parti del mondo. Gli Stati Uniti da quindici o sedici anni hanno trovato lo shale oil e lo shale gas che è una nuova e importante risorsa. Prima erano importatori per un 40 per cento delle loro risorse primarie, adesso sono esportatori. Hanno cominciato un movimento per focalizzarsi sempre più negli Stati Uniti e hanno abbandonato o hanno ridotto sostanzialmente la loro presenza – soprattutto le piccole e medie società, ma anche quelle grandi – nel Nord Africa, in Africa e nel Medio Oriente, tornando negli Stati Uniti. Questa ricerca di energia per soddisfare i mercati ha imposto anche molti flussi, e vediamo che accade anche in altri Paesi.
  La Cina ha un bisogno estremo di energia e quindi lavora in Africa per poter, con Pag. 9le infrastrutture, ricavare un'energia dal gas e dal petrolio nel lungo termine, e anche dai minerali.
  Ci sono queste dinamiche che osserviamo che condizionano i prezzi e i rapporti bilaterali, e che si stanno muovendo.

  PRESIDENTE. Ingegnere, io la devo fermare perché noi abbiamo ancora venti minuti e vorremmo dare la parola anche ai commissari per farle delle domande.

  CLAUDIO DESCALZI, Amministratore Delegato di ENI. Ha, ragione mi scusi. Vado subito alla fine. Potrei andare avanti per due giorni, ma mi sembra che sia troppo.
  Volevo focalizzarmi su alcuni aspetti che sono relativi al cambiamento climatico e al contesto energetico, ovvero quelli riguardanti il carbon pricing. In tutta questa situazione che ho descritto a livello mondiale, l'Europa è quella più virtuosa: nel senso che è l'unica che ha la Union Emissions Trading (ETS) e quindi il carbon pricing, il prezzo dell'emissione. Lo sta applicando, anche se il costo dell'emissione è abbastanza basso, il 50 per cento circa viene dato gratuitamente alle componenti aziendali europee che devono pagare il carbon pricing. Questo viene fatto, per alcuni settori, per poter vincere la competizione che c'è con Paesi al di fuori dell'Europa che non applicano il carbon pricing. L'ETS ha avuto una vita abbastanza altalenante perché siamo arrivati anche a un costo di sei euro a tonnellata per il credito, poi ci sono stati degli interventi per stabilizzarlo: l'acquisto di azioni che vengono tolte per aumentarne il valore e siamo arrivati poi a venti, venticinque e fino a trenta euro. Adesso il COVID ha impattato sulla domanda e sta scendendo; è un meccanismo virtuoso, ma viene applicato sostanzialmente solo nei Paesi europei. Non esiste negli Stati Uniti, non esiste in Cina, non esiste da altre parti. Alcuni Paesi hanno una tassa, come la Norvegia; altri Paesi associano altre forme, ma siamo sempre nell'area europea. Questo è un problema, perché pone l'altro problema del carbon leakage. Se un sistema in modo virtuoso applica un carbon pricing e anche una tassa, se non ci sono delle azioni di contenimento, molte industrie si spostano in quel Paese dove non c'è questa tassa da pagare e producono quello che devono produrre – ovviamente in modo molto più competitivo – oppure chi è al di fuori produce in modo molto più competitivo.
  Questo è un argomento importante da trattare a livello europeo e a livello mondiale, come accordo multilaterale nel WTO, quando riprenderà a funzionare. Se non viene applicato, riguarderà solo una piccola parte delle emissioni che sono quelle europee, che sono l'8 o il 9 per cento: l'Europa si è migliorata molto e produce solo l'8 o il 9 per cento delle emissioni, ma tutti i Paesi OECD compresa la Cina ne producono tra il 70 e il 75 per cento. Questi Paesi devono riuscire ad arrivare ad uno schema come quello europeo di carbon pricing, proprio di scambio. Il carbon pricing funziona così come sapete: c'è un cap di emissioni che si dà a livello del continente europeo; poi vengono individuate le tipologie e i settori che emettono e per ogni settore e ogni industria viene applicato un limite; quell'industria per fare il reset di quello che produce, deve comprare crediti. Questi crediti sono utilizzati, quasi sempre in modo virtuoso per migliorare la situazione, ridurre le emissioni e investire nel campo delle rinnovabili, o almeno questo dovrebbe essere fatto. Questo viene fatto solo in Europa, quindi questo è uno dei punti.
  L'altro punto – che mi sembra sia nell'articolo 6, 6a e 6b – è quello di riuscire a lavorare a livello mondiale sullo schema delle emissioni. Cosa vuol dire? Se un'azienda è virtuosa e riduce le emissioni o produce dei crediti di emissione di CO2 o di gas serra (GHG) in qualche parte del mondo – per esempio tutelando le foreste, ripiantando delle piante o seguendo altri schemi – li può usare non solo a livello volontario, ma con degli scambi bilaterali e multilaterali a livello mondiale. Questo permetterebbe, ovviamente, di migliorare l'ambiente, ma potrebbe permettere anche di estendere il concetto dell'ETS con degli accordi fra i Paesi in modo molto più ampio. Queste sono le due cose che volevo citare proprio dal punto di vista Pag. 10dello schema regolatorio e della necessità di dare un'omogeneità del trattamento delle emissioni e delle tasse sulle emissioni a livello mondiale. Visto che il tempo è molto poco, voi avete comunque la mia presentazione e sono pronto a rispondere alle vostre domande.

  PRESIDENTE. Grazie, Dottor Descalzi. Onorevole Quartapelle, prego.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Grazie mille. Ringrazio molto l'ingegner Descalzi e vado rapidamente perché poi alle 9.30 abbiamo il Presidente del Consiglio in Aula.
  Che cosa cambierà, rispetto agli scenari che ci ha delineato, una possibile vittoria alle elezioni americane di Joe Biden o una possibile vittoria di Donald Trump? Joe Biden con il rientro auspicato dentro gli Accordi di Parigi; Donald Trump, invece, probabilmente con un maggiore approfondimento delle contrapposizioni con la Cina anche sulle questioni climatiche.

  PAOLO FORMENTINI. Grazie all'Amministratore Delegato di ENI. Sarò velocissimo, cerco di sintetizzare al massimo. Non si è trattato a fondo il tema della difesa di ENI come asset strategico nazionale. Noi tutti sappiamo quanto sia drammatico questo momento della pandemia, ci vorrebbe il sostegno da parte di tutti i gruppi politici rappresentati in Parlamento, anche del Movimento 5 Stelle. La difesa di ENI è la difesa di un pezzo fondamentale di quel poco di sistema Paese che noi oggi abbiamo, che va salvaguardato e protetto, e la grande lezione della pandemia non va sottovalutata. Tutti hanno capito che bisogna produrre le mascherine in Italia; sarebbe però il caso che qualcuno in più capisse che anche produrre gas naturale in Italia è una risorsa strategica. Grazie.

  SIMONA SURIANO. Brevemente, poiché l'ENI ha un ruolo importante di mediatore anche in Paesi che non brillano in termini di democrazia, mi chiedo quali siano gli strumenti messi a disposizione dall'ENI per tutelare i propri lavoratori in Paesi altamente conflittuali o comunque difficili. In particolar modo, mi chiedevo come l'ENI riesca comunque a dialogare con questi Paesi, faccio l'esempio dell'Egitto, con cui l'Italia non ha brillanti relazioni in questo momento. Grazie.

  YANA CHIARA EHM. Sarò breve anch'io, semmai faccio diverse domande e poi riservo all'ingegner De Scalzi di rispondere, in caso, anche in forma scritta. Rispetto alla slide sei mi sono rimasti impressi i numeri riguardanti la parte sulle rinnovabili e la bioenergia e la parte nucleare. La mia domanda è se, vista la volontà di andare nella direzione dell'Accordo di Parigi, questi numeri, e specialmente l'aumento dell'energia nucleare, non siano conflittuali in confronto alle energie rinnovabili; in collegamento a ciò c'è anche un'altra domanda: visto l'ingente investimento che si fa nella ricerca – che sicuramente è un dato positivo – se non ci sia anche il rischio – sulle rinnovabili specialmente, perché è un mondo che corre molto velocemente – di stare sempre dietro a rincorrere la ricerca di rinnovabili e non essere poi di impatto quanto vorremmo proprio in questo ambito.
  Seconda domanda, velocemente. Mi preme chiedere a livello politico due punti: il primo riguarda quello che ha accennato poc'anzi la collega Suriano; a livello politico l'ENI ha sicuramente un impatto o dei rapporti significativi con i Paesi nei quali lavora. Faccio l'esempio anch'io dell'Egitto dove l'Italia a livello politico ha sicuramente delle questioni divergenti: pensiamo al caso Regeni prima, pensiamo ora al caso Zaki. Potrebbe ENI giocare un ruolo determinante, in un certo senso, anche come partner per una risoluzione delle diatribe, in questo caso a livello politico.
  Magari anche brevemente c'è anche il punto sulla questione del processo OPL 245 che sicuramente ha un impatto importante sull'opinione pubblica e che magari è fondamentale anche per l'immagine di ENI stessa. Grazie.

  MAURIZIO LUPI. Sì, una domanda che non vedo trattata nella sua relazione. Lo scopo di questa indagine sul commercio Pag. 11internazionale è l'interesse nazionale. L'ENI da sempre svolge un ruolo fondamentale per il Paese anche nella nostra politica estera e nell'interesse nazionale; storica è l'intervista di Mattei, che Lei conosce molto bene. Qual è il ruolo che ENI sta svolgendo in questo momento, anche in questo scenario internazionale? In particolare penso in tutto il Nord Africa, penso a settori strategici come quelli dove l'Italia opera in Egitto o in Libia. Io credo che l'ENI non possa venir meno a questo ruolo e mi piacerebbe, se non adesso in un'altra occasione, che Lei ci aiutasse a comprendere se e come ENI continua a svolgere, in raccordo ovviamente con le istituzioni, questo ruolo.

  VALENTINO VALENTINI. Ingegnere, brevemente. La dinamica dei prezzi che vediamo – che Lei ci ha indicato e che è indicata dai mercati – e l'uscita da determinati tipi di energie, che impatto avranno nello sviluppo del Mediterraneo Orientale, l'unica parte dell'Europa che può diventare produttrice? Lo chiedo vedendo la concorrenza che c'è tra i vari progetti di gasdotti, che richiedono ingentissimi investimenti. A fronte di una riduzione dei bilanci da parte delle società energetiche, l'impatto dei prezzi potrà avere a sua volta un impatto sulla concorrenza che esiste tra i vari progetti in quest'area? Ci può spiegare, a suo avviso, qual è la partita che sta giocando in questo momento la Turchia e qual è la posizione che dovrebbe assumere l'Italia in questo senso? Grazie.

  PRESIDENTE. Prego, ingegnere.

  CLAUDIO DESCALZI, Amministratore Delegato di ENI. Inizierei dalla prima domanda: rispetto alle elezioni americane, come potrebbero cambiare gli scenari a livello di impatto sull'ambiente. Ovviamente non sta a me giudicare, ma per quello che è stato detto in campagna elettorale, se dovesse vincere Biden, da quello che dichiara ci sarà un'apertura a un nuovo rientro all'interno della COP, e quindi dell'aggregazione internazionale per la riduzione dell'impatto sul clima. Questo sicuramente ci sarà però abbiamo sentito Biden dire che lui non è assolutamente contro e anzi, ha urlato che è a favore e quindi non ci saranno leggi contro lo shale gas, che come sappiamo è una delle attività più aggressive dal punto di vista dell'ambiente. Non è stato detto nulla sul carbone. Io penso che le dinamiche di mercato legate all'occupazione e il COVID, che ha ridotto la capacità di ripresa, difficilmente faranno cambiare la politica energetica sostanzialmente. Formalmente cambierà qualcosa, perché l'America magari giocherà un ruolo di nuovo proattivo; però ricordiamoci che dalla COP21 del 2015 in poi solo l'Europa ha preso degli impegni sempre migliorativi: dal Piano 20/20/20, fino a un 60 per cento totale di riduzione. Tutti gli altri hanno detto che erano d'accordo: quindi da una parte c'è chi prende impegni quantitativi, e dall'altra parte c'è chi dice che è d'accordo. Non sono un politico e neanche un politologo esperto di politica, soprattutto americana. Voglio solo far notare che, in termini di forma e di sostanza, ci sono tante parole, ma poi i fatti vengono fatti dai più piccoli in termini di emissioni, che siamo noi europei, e quindi vedremo. Questo è qualcosa che difficilmente si può predire.
  La seconda domanda è su che cosa avviene nel sistema internazionale e sulle risorse strategiche. Non sta a me a dire chi, al di fuori di ENI, può difendere... Io posso dire che la collaborazione con il Governo è intensa e proficua. Lo è con tutti i Governi, ma anche recentemente è intensa e proficua e ci sono scambi che vanno ovviamente sul versante del Ministero degli Esteri oppure del Presidente del Consiglio, ma anche del Ministro dello Sviluppo economico. Il nostro ruolo, in termini di posizionamento, in sessantaquattro Paesi ci dà una capacità dal punto di vista non solo del posizionamento, ma anche dell'attività che facciamo, che è un'attività industriale primaria, fatta anche di accordi internazionali. Questo ci dà la possibilità di dare uno spettro e un'informativa molto generalizzata per aiutarci a vicenda. Direi che la situazione funziona, nel limite delle proprie responsabilità e delle proprie competenze. Noi siamo un'azienda quotata, abbiamo tanti Pag. 12shareholders. Dobbiamo utilizzare degli strumenti per proteggerci, che sono soprattutto l'informazione sulla sicurezza e così via. Rispettando quei limiti io penso che l'Italia nelle varie funzioni – magari non in tutte, ma perché non tutte sono coinvolte – riguardo alle nostre attività stia funzionando bene.
  Passo subito alla domanda successiva, a come si tutelano i propri lavoratori. Noi abbiamo un'esperienza internazionale di più di settanta anni di lavoro all'estero. Io inizio il mio quarantunesimo anno in ENI, e ho lavorato per la maggior parte della mia carriera all'estero.
  Questo ci ha permesso di sviluppare procedure, attenzione, cultura e proprio un DNA della protezione dei nostri lavoratori. Alla fine degli anni Sessanta e negli anni Settanta abbiamo avuto degli incidenti, soprattutto in Paesi dove c'era anche una situazione di guerre civili, anch'io sono passato attraverso guerre civili. Però direi che la tutela del nostro personale riguardo a salute e sicurezza è al primo posto. Adesso noi abbiamo un numero limitatissimo di casi COVID, di infezioni dovute alla pandemia. Abbiamo applicato, forti dell'esperienza internazionale, tutte quelle procedure, quei processi e quella cultura che ogni persona deve attuare perché le procedure danno delle linee guida. Abbiamo i capi della che controllano, ma ogni persona deve proteggersi facendo le cose giuste. L'impatto del COVID è stato veramente poco importante proprio per questa protezione a livello individuale e a livello societario che ha permesso – a scartamento ridotto per proteggere le persone – di dare continuità a tutti i nostri asset operativi.
  C'era una coda in questa domanda sui rapporti con i Paesi e questo è un discorso geopolitico, perché noi operiamo in tanti Paesi difficili. Tutte le società petrolifere operano nei Paesi difficili, perché le risorse energetiche sono in questi Paesi. La migliore tutela ovviamente sono le coperture contrattuali, le due diligence, la compliance, il sistema di controllo dell'azienda che viene sempre migliorato e modificato, la trasparenza. Ovviamente quando si è in una situazione di partenariato, oltre al fatto di poter lavorare bene in un Paese – grazie alla trasparenza, al controllo dei sistemi interni in una situazione di governance che permette il controllo – ci deve essere anche una distribuzione delle risorse che vada al di là della distribuzione tradizionale di royalties e tasse. Bisogna integrarsi nel Paese per dare un aiuto reale, una diversificazione. Non abbiamo avuto tempo di parlare di tutti i nostri progetti di sviluppo sostenibile che prendono il nome da uno degli SDGs dell'ONU che danno un impatto reale. Questo non viene mai citato, viene citata ENI come se fosse un predatore. Noi siamo la prima società in termini di investimenti nello sviluppo sostenibile quindi in educazione, sanità, sviluppo di attività diversificate rispetto all'energia, scambi con le università, agricoltura, creazione di centri di ricerca. Abbiamo svolto queste attività in tutta la parte africana e non solo, proprio per sviluppare le risorse locali e soprattutto l'accesso all'energia. Siamo la prima e unica società che ha deciso, invece di esportare il gas, di sviluppare una struttura, un network interno per dare accesso all'energia. Adesso noi diamo accesso all'energia a 18 milioni, ma arriveremo a 24 milioni di persone, che prima usavano biomasse: tagliavano gli alberi e li bruciavano per scaldarsi e mangiare, e adesso hanno una rete. Abbiamo fatto centrali elettriche che adesso arrivano a un gigawatt, e dovremmo arrivare a 1.3. Abbiamo fatto tutta l'alta tensione, la media e la distribuzione. Ovviamente, quando si investe in un Paese per noi qual è la differenza? L'export è assicurato dal punto di vista del ritorno, l'export ti fa riprendere gli investimenti quando vai in un Paese che deve pagarti. Non sempre i Paesi in via di sviluppo possono pagarti e quindi c'è tutta una rischiosità che però permette di investire per il Paese. Queste sono azioni di aiuto per il Paese, ma anche di protezione per la società. Quando prendi rischi reali come questi e invece di mettere i soldi fuori li metti dentro, fai sviluppo sostenibile. Se prendi i rischi, diventi credibile per quelle persone, diventi parte di quella comunità.
  Tornando al discorso precedente, ci si chiedeva come si può difendere ENI. Bisogna Pag. 13 conoscerla meglio, non ci devono essere di posizione senza conoscere la realtà, senza andare a visitare i Paesi, prendendo spunti solo da alcune parti, che ovviamente sono legate anche a politiche più interne che sfuggono a noi, figuriamoci a chi non è nel Paese.
  Il ruolo dell'Egitto, il ruolo del Mediterraneo, che cosa si può fare. Noi abbiamo scoperto il più grosso giacimento del Mediterraneo e dopo cinque minuti dalla nostra scoperta c'è stato il caso Regeni. Siamo riusciti a far passare l'Egitto dalla dipendenza all'indipendenza energetica ed è chiaro che in questi anni io personalmente ho parlato costantemente con le autorità egiziane. Non sono andato a sbandierarlo, ma le nostre autorità lo sapevano e sono andato direttamente da un Presidente per arrivare a una situazione di trasparenza e di chiarezza. Probabilmente non sono riuscito nell'intento, anche perché le mie leve non sono certo fortissime. Magari pensate che io possa ottenere qualcosa intimando di fare in un certo modo altrimenti chiudo i pozzi. No, i pozzi non sono miei. Io ho fatto la scoperta delle risorse e vengo pagato per svilupparle. Se non lo faccio, mi cacciano via, cacciano via l'ENI da quel Paese e viene qualcun altro, che è sicuramente un competitor. Il gioco è molto chiaro, non siamo soli al mondo. Se sei in un Paese che hai conquistato da settant'anni, devi cercare di rimanere lì per migliorare la situazione. Se te ne vai, viene qualcun altro. Bisogna insistere e fare: la nostra credibilità è alta e cerchiamo di passare i messaggi nei quali crediamo e nei quali credono le nostre istituzioni, che sono di trasparenza, di giustizia, a favore dei diritti umani. Facciamo questo con forza in tutti i posti dove operiamo.
  C'è il discorso sulla 245: c'è un processo che sta finendo e il sottoscritto affronta un processo mediatico da sette anni, un processo che è già finito sui giornali, ma purtroppo non è ancora finito perché solo due anni fa è iniziato il dibattimento, che ora è concluso. Non so quando, forse a gennaio, febbraio o marzo ci saranno risultati e quindi aspettiamo.
  Riguardo all'impatto a livello internazionale posso dire che in questi anni io ho sviluppato e trasformato ENI, sono andato in giro in tutto il mondo. I fatti sulla 245 sono stati riconosciuti negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Olanda e non è stato trovato nulla, quindi non ha avuto un impatto né personale né come reputazione della società. Questo deve essere assolutamente chiaro, altrimenti non avrei potuto trasformare l'ENI, nel 2018 fare i migliori risultati degli ultimi dodici anni e chiudere molti contratti in Norvegia, nel Regno Unito, sedici solo nel Medio Oriente. Siamo entrati in Medio Oriente dopo sessant'anni, quando ENI non era mai riuscita a entrare. Siamo stati i primi in Messico negli ultimi quattro anni, con sette permessi e sette pozzi, e un inizio di produzione in due anni. Io sono assolutamente tranquillo, aspetto quello che succederà.
  Venendo alla prima domanda su come aiutare ENI e su come tutelarla, penso che un modo per tutelarla sia non fare processi quattro o cinque anni prima che il processo inizi, senza magari conoscere tutte le cose e sentendo solo una parte. Sono assolutamente tranquillo su questo: siamo in democrazia e può succedere, ma non è una cosa piacevolissima.
  Il contesto internazionale, Eastmed, pipeline e risorse. L'Eastmed ha avuto una dinamica abbastanza chiara. Ci sono state grosse scoperte in Israele che non sono riuscite ad avere un grosso sviluppo; c'è stata una grossissima scoperta in Egitto che ha avuto uno sviluppo perché invece di svilupparla in sette anni l'abbiamo sviluppata in due anni e mezzo a tempo di record. A quel punto c'è stato il blocco, a quel punto l'Eastmed si è bloccato. L'Eastmed è importante perché ha tante valenze: prima di tutto, questi investimenti sono miliardari – senza contare la Libia che ne ha fatti altrettanti –, possono promuovere uno sviluppo economico positivo per questi Paesi, che ne hanno un assoluto bisogno.
  Poi c'è l'Europa, che è una scatola vuota dal punto di vista energetico. Noi non parliamo mai di energia perché pensiamo che l'energia sia forever, sia infinita e che possiamo averne quanta ne vogliamo. Siamo stati abituati così, ma purtroppo non è così. L'Europa in questi anni si è svuotata di Pag. 14petrolio e si è svuotata anche di gas. L'Italia ormai importa la totalità del petrolio e del gas, a parte la produzione di Tempa Rossa e di Val d'Agri che però non copre più del 6 o del 7 per cento del totale delle necessità. Avere l'East Hub che ha risorse a costi accettabili che sono vicine all'Europa e connesse da energie esistenti e pipe esistenti...
  L'Eastmed che avete citato non c'è ancora e non so quando ci sarà. La fase dell'Eastmed, del pipe che passi attraverso Israele, Cipro, Turchia, Grecia e arrivi al sud dell'Italia penso che sia un sogno. Posso arrivare a dire che è un bel sogno, ma chiaramente ci vogliono tantissime risorse per poter fare quegli investimenti. Ha un senso politico di connessione fra regioni, ma abbiamo visto che quando le infrastrutture sono molto costose, i progetti non si fanno. Usare il gas naturale liquefatto (LNG) in Egitto, usare i pipes della Libia, fare due LNG come vuole fare il Cipro sono dei passi più piccoli che permettono di fare degli investimenti che hanno una redditività.

  PRESIDENTE. Ingegnere, devo fermarla perché il Presidente del Consiglio ha cominciato il suo intervento in Aula. La ringraziamo moltissimo, Lei ha già dato delle risposte. Qualora, rispetto alle domande che sono state poste, lei ha ritenga di dover fornirci ulteriori risposte, i suoi uffici possono inoltrarci un testo scritto.

  CLAUDIO DESCALZI, Amministratore Delegato di ENI. Va bene, vi ringrazio molto.

  PRESIDENTE. Grazie a Lei per il tempo che ci ha dedicato, nonché per la documentazione, che sarà pubblicata in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato). Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.35.

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