XVIII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 10 di Giovedì 12 novembre 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Perantoni Mario , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE C. 2435 GOVERNO, RECANTE DELEGA AL GOVERNO PER L'EFFICIENZA DEL PROCESSO PENALE E DISPOSIZIONI PER LA CELERE DEFINIZIONE DEI PROCEDIMENTI GIUDIZIARI PENDENTI PRESSO LE CORTI D'APPELLO

Seguito dell'audizione, in videoconferenza, di Francesco Caprioli, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Torino.
Perantoni Mario , Presidente ... 3 
Vitiello Catello (IV)  ... 3 
Perantoni Mario , Presidente ... 4 
Caprioli Francesco , professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Torino ... 4 
Perantoni Mario , Presidente ... 4 
Caprioli Francesco , professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Torino ... 4 
Perantoni Mario , Presidente ... 7 
Caprioli Francesco , professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Torino ... 7 
Perantoni Mario , Presidente ... 8 

Audizione, in videoconferenza, di Giovanni Canzio, primo presidente emerito della Suprema Corte di Cassazione; Ludovico Vaccaro, procuratore capo della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Foggia; Carlo Nordio, già procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Venezia; Luigi Levita, magistrato coordinatore dell'Ufficio GIP-GUP del Tribunale di Nocera Inferiore, professore di ordinamento giudiziario:
Perantoni Mario , Presidente ... 8 
Canzio Giovanni , primo presidente emerito della Suprema Corte di Cassazione ... 8 
Perantoni Mario , Presidente ... 12 
Vaccaro Ludovico , procuratore capo della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Foggia ... 12 
Perantoni Mario , Presidente ... 15 
Vaccaro Ludovico , procuratore capo della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Foggia ... 15 
Perantoni Mario , Presidente ... 16 
Nordio Carlo , già procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Venezia ... 16 
Perantoni Mario , Presidente ... 16 
Nordio Carlo , già procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Venezia ... 17 
Perantoni Mario , Presidente ... 19 
Levita Luigi , magistrato coordinatore dell'Ufficio GIP-GUP del Tribunale di Nocera Inferiore, professore di ordinamento giudiziario ... 19 
Perantoni Mario , Presidente ... 21 
Bazoli Alfredo (PD)  ... 21 
Perantoni Mario , Presidente ... 22 
Paolini Luca Rodolfo (LEGA)  ... 22 
Perantoni Mario , Presidente ... 22 
Vitiello Catello (IV)  ... 22 
Perantoni Mario , Presidente ... 24 
Giuliano Carla (M5S)  ... 24 
Perantoni Mario , Presidente ... 25 
Canzio Giovanni , primo presidente emerito della Suprema Corte di Cassazione ... 25 
Perantoni Mario , Presidente ... 27 
Vaccaro Ludovico , procuratore capo della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Foggia ... 27 
Perantoni Mario , Presidente ... 29 
Nordio Carlo , già procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Venezia ... 29 
Perantoni Mario , Presidente ... 29 
Nordio Carlo , già procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Venezia ... 29 
Perantoni Mario , Presidente ... 29 
Nordio Carlo , già procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Venezia ... 29 
Perantoni Mario , Presidente ... 30 
Levita Luigi , magistrato coordinatore dell'Ufficio GIP-GUP del Tribunale di Nocera Inferiore, professore di ordinamento giudiziario ... 30 
Perantoni Mario , Presidente ... 31 

ALLEGATO: Documentazione depositata da Giovanni Canzio, primo presidente emerito della Suprema Corte di Cassazione ... 32

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Popolo Protagonista - Alternativa Popolare (AP) - Partito Socialista Italiano (PSI): Misto-AP-PSI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
MARIO PERANTONI

  La seduta comincia alle 11.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
  L'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto in videoconferenza dei deputati secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento nella seduta del 4 novembre scorso. A tal proposito ricordo che per i deputati partecipanti da remoto è necessario che essi risultino visibili alla Presidenza soprattutto nel momento in cui essi svolgeranno il loro eventuale intervento, il quale dovrà ovviamente essere udibile.

Seguito dell'audizione, in videoconferenza, di Francesco Caprioli, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Torino.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'audizione, in videoconferenza, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame del disegno di legge C. 2435 Governo, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello, di Francesco Caprioli, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Torino.
  Il professor Caprioli era stato precedentemente audito e aveva dato la sua disponibilità, per la quale lo ringrazio ancora una volta, a proseguire in altra seduta l'audizione per sentire le osservazioni, le richieste, le istanze, i suggerimenti dei colleghi ai quali eventualmente dare risposta. Siamo in questa fase e conseguentemente pregherei i colleghi che intendano sottoporre al professor Caprioli delle domande di prenotarsi per intervenire. Intanto che altri deputati si prenotano, do la parola al collega Vitiello. Buongiorno, onorevole Vitiello. Prego.

  CATELLO VITIELLO (intervento da remoto). Buongiorno, presidente. Grazie. Grazie anche al professore Caprioli per essere tornato almeno virtualmente da noi per rispondere alle domande che abbiamo da porre. Professore, lei ha fatto una lunga disamina sulla riforma della regola di giudizio dell'udienza preliminare, naturalmente facendo i giusti riferimenti anche alla regola che presiede l'archiviazione, quindi all'articolo 125 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale e via dicendo.
  Il suo intervento odierno capita al momento giusto perché ieri abbiamo ascoltato un suo collega avanzare la possibilità in astratto di cancellare l'udienza preliminare, facendo riferimento anche a studi di parte della dottrina volti a sviluppare un'ipotesi in cui l'udienza preliminare non esista. Questa è una piccola premessa per farle poi le domande che mi ero appuntato la volta scorsa.
  Quanto alla prima domanda, ritiene che questa modifica, cioè quella dell'introduzione della regola di giudizio della ragionevole condanna, integri un'ipotesi di giudizio di merito e quindi introduca un ulteriore Pag. 4 grado di giudizio all'interno del processo penale?
  Passando alla seconda domanda, quale sarà il peso, già oggi abbastanza importante, del giudicato cautelare in ordine alla nuova regola di giudizio e quindi al dibattimento successivo? Mi riferisco al caso in cui la regola modificata si sviluppi nell'alveo di un giudicato cautelare che ha già predisposto l'obiettivo dell'accusa, seppur prognostico, rispetto a un dibattimento che riceve un'ipotesi di ragionevole condanna.
  Quanto alla terza domanda che mi ero appuntato la volta scorsa, non ritiene, qualora ci dovesse essere questa modifica, di cambiare anche la regola che presiede al divieto di motivazione del decreto che dispone il giudizio? Mi spiego meglio. Una volta che si profila un quarto grado di giudizio, vale a dire che il giudice dell'udienza preliminare, entrando nel merito della vicenda, andrà a giudicare sulla colpevolezza – perché la ragionevole condanna sembra più una diagnosi che non una prognosi –, mi chiedo se non si sia giusto prevedere un'ordinanza che dispone il giudizio, in modo tale che io da giudice del dibattimento capisco qual è il profilo motivazionale e posso anche contraddirlo qualora gli elementi istruttori me lo consentano.
  L'ultima domanda è relativa alla premessa che ho fatto. Professore, lei ritiene che l'abolizione tout court dell'udienza preliminare sia compatibile con un modello accusatorio? Effettivamente ci sono studi in tal senso che presuppongono questa possibilità? Grazie, professore. Grazie mille.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Vitiello. Non essendoci altri colleghi che intendono intervenire, do la parola al professore Caprioli.

  FRANCESCO CAPRIOLI, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Torino. Vorrei ricordare che per la verità già la scorsa volta mi erano state rivolte un paio di domande e si era rinviato il seguito dell'audizione anche perché io rispondessi. Se non ricordo male le domande erano state formulate dall'onorevole Sarti, ma potrei sbagliare.

  PRESIDENTE Sì, certo. Ha ragione professore Caprioli. Prego.

  FRANCESCO CAPRIOLI, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Torino. Estenderei allora il mio intervento anche a quelle altre domande. Partirei da quelle magari, se l'onorevole Vitiello me lo consente. Sarò rapido perché immagino di avere comunque tempi molto limitati. Mi era stato chiesto, innanzitutto, un parere sulla modifica dell'articolo 190-bis del codice di procedura penale, più precisamente sull'articolo 5, comma 1, lettera e), del disegno di legge delega, e cioè sul fatto di prevedere che la regola di cui all'articolo 190-bis, comma 1, si applichi anche nell'ipotesi di mutamento del collegio in corso di dibattimento.
  Al riguardo posso dire che di per sé sarebbe una modifica normativa certamente razionalizzatrice dopo l'intervento sul tema delle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza «Bajrami» e la successiva pronuncia della Corte costituzionale. Dopo la sentenza delle Sezioni Unite, anzi, l'impressione è che l'articolo 190-bis, così come scritto, non avesse più molto senso, perché in sostanza limitava ai procedimenti per i reati di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale quella regola che la sentenza «Bajrami» aveva sostanzialmente esteso a tutti i procedimenti.
  Io ho sempre inteso l'articolo 190-bis nel senso che si riferisse già all'ipotesi del testimone che rendesse più volte dichiarazione nel medesimo dibattimento perché era mutato il collegio. Quella regola, però, si applicava soltanto ai procedimenti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, mentre le Sezioni Unite l'hanno estesa a tutti. Da questo punto di vista mi pare corretto che il legislatore intervenga sulla disposizione codicistica per normativizzare gli approdi della sentenza delle Sezioni Unite. Dopodiché, quella sentenza delle Sezioni Unite muove da una totale svalutazione del principio di immediatezza che io non condivido, ma non credo che questa sia la sede per poter aprire un dibattito sul valore e sul residuo valore ormai del principio di immediatezza. Pag. 5
  Faccio solo due rapidissime considerazioni. Trovo un po' contraddittorio che da un lato si segua questo percorso giurisprudenziale, e adesso anche normativo, che tende a una svalutazione del principio di immediatezza, mentre dall'altro lato sappiamo tutti cosa è successo nel giudizio di appello. Seguendo le indicazioni della Corte europea dei diritti dell'uomo si è infatti fortemente ribadito il valore di quel principio, con l'obbligo di rinnovazione del dibattimento nell'ipotesi dell'impugnazione delle sentenze di proscioglimento. Mi sembra un andamento un po' contraddittorio della politica legislativa in materia processuale.
  Ricordo poi un'altra cosa, e cioè che la sentenza costituzionale n. 132 del 2019 ci ha detto che l'immediatezza è sì un valore, ma che ormai sappiamo tutti che non lo è più, anche perché i principi del processo accusatorio – oralità, immediatezza e concentrazione – stanno e cadono tutti insieme. Noi sappiamo che il principio di concentrazione ormai non è più rispettato, perché le udienze si succedono a grande distanza l'una dall'altra. Quindi, l'impressione che il giudice ha ricevuto dal contatto diretto con il testimone, che è ciò che sostanzia proprio il principio di immediatezza, ormai sarà svanita nel momento in cui decide. Però quella sentenza della Corte costituzionale diceva di cercare comunque di rafforzare il principio di concentrazione, che è l'unica strada per rivalutare anche l'immediatezza.
  Su questo, io noto che nella lettera a) del comma 1 dell'articolo 5 si parla della calendarizzazione delle udienze che il presidente è tenuto a fare. Io forse integrerei questa direttiva con un espresso riferimento alla necessità che la calendarizzazione venga fatta nel tendenziale, nel possibile massimo rispetto del principio di concentrazione. Così com'è formulata la direttiva, sembra che il presidente possa calendarizzare così il processo: «Facciamo oggi un'udienza, la prossima fra due mesi, la successiva tra tre mesi, l'altra ancora tra un anno». Anche questa è una calendarizzazione. Deve essere invece una calendarizzazione rispettosa del principio di concentrazione, perché così si eviteranno quegli attentati al principio di immediatezza che derivano anche dal rischio del mutamento del collegio.
  E ancora – poi su questo argomento concludo – bisognerebbe cercare di evitare l'insorgere del mutamento del collegio. Io vi ricordo che quella sentenza della Corte costituzionale muove da un procedimento nel quale c'erano stati otto mutamenti del collegio in corso di dibattimento. Forse, magari ragionando con qualche esperto di ordinamento giudiziario, si potrebbe pensare a introdurre una regola per cui, almeno tendenzialmente, il giudice che viene trasferito o che va in pensione deve concludere i processi in corso – qualcosa del genere – per evitare che si determini il mutamento del collegio e quindi la violazione del principio di immediatezza. Queste sono le mie riflessioni sull'articolo 5, comma 1, lettera e).
  Mi era stata chiesta anche un'opinione sulla disciplina delle notificazioni prevista all'articolo 2 del disegno di legge. Quello che posso dire è che ho qualche perplessità sull'idea che le notifiche successive alla prima si possano fare anche al difensore d'ufficio e non soltanto più a quello di fiducia, senza deroghe di alcun tipo, se la prima notificazione è stata eseguita nelle mani dell'interessato o di un convivente, e quindi vi sia la prova dell'effettiva conoscenza del procedimento.
  Mi pare un po' singolare imporre questioni informative al difensore d'ufficio quando le Sezioni Unite hanno appena detto, nell'agosto di questo anno, che l'elezione di domicilio presso un difensore d'ufficio non è neppure prova dell'effettiva conoscenza del procedimento, proprio perché si sa che la nomina d'ufficio non è sempre seguita dall'instaurazione di un effettivo rapporto di assistenza difensiva. Mi pare contraddittorio imporre quegli oneri informativi in un sistema che dal 2017 prevede che il difensore d'ufficio possa negare l'assenso all'elezione di domicilio presso di lui. Parlo dell'articolo 162, comma 4-bis, del codice di procedura penale, che non mi è chiaro se il delegante intenda abrogare. Non so se è questo il senso della lettera o)Pag. 6del comma 1 dell'articolo 2, che è abbastanza nebuloso.
  Mi pare poi che il senso complessivo della manovra sulle notificazioni sia quello di scaricare gran parte della responsabilità della conoscenza del processo – non del procedimento – sull'imputato stesso, ancora più che sui difensori, con l'onere di indicare tempestivamente il recapito e di comunicare ogni mutamento dello stesso. È come dire: «Noi ti avvertiamo una volta sola all'inizio delle indagini; poi sta a te preoccuparti di mantenere vivo il canale comunicativo con il tuo difensore». Non sono sicuro che la Corte europea dei diritti dell'uomo accetterebbe questo trasferimento di responsabilità sull'imputato.
  Qui comunque ha ragione il dottor Salvi – ho letto il suo intervento – quando dice che bisognerebbe quantomeno avvertire l'imputato delle gravissime conseguenze del mancato colpevole adempimento di quell'onere, e cioè del fatto che, se lui colpevolmente non indicherà il recapito al difensore, si pronuncerà sentenza a suo carico, anche se non ha mai avuto effettiva conoscenza del processo che poi si è instaurato, e non potrà neppure chiedere la rescissione del giudicato di condanna perché si tratta di una mancata conoscenza colpevole.
  Tra l'altro, mi pare che con l'imposizione di questi oneri aumenteranno i casi di mancata conoscenza colpevole e quindi diminuiranno le rescissioni. Mi pare dunque che nella direttiva contenuta nell'articolo 7, comma 1, lettera a), si giustifichi poco il necessario mandato al difensore per impugnare le sentenze, perché non credo che sarebbero così tanti i processi d'appello e in Cassazione contro l'imputato inconsapevole dell'esistenza del processo a suo carico che si chiuderebbero con una rescissione. Allora direi di lasciare almeno che il difensore possa fare il suo mestiere e possa cercare di evitare una condanna ingiusta, che comunque verrebbe eseguita se poi il condannato ricompare. Queste sono le mie considerazioni sull'articolo 2 del disegno di legge. Spero di essere stato esauriente rispetto alle richieste dell'onorevole Sarti.
  Venendo alle domande dell'onorevole Vitiello, certamente irrigidendo in questo modo la regola di giudizio, cioè conformandola alla prognosi di condanna, il successivo dibattimento ne risulterebbe molto pregiudicato; cioè l'imputato arriverebbe al dibattimento con un'ipoteca molto più seria di quella che oggi gli deriva dal fatto che un giudice all'udienza preliminare ha ritenuto sostenibile l'accusa in giudizio. Questo ovviamente avrebbe ricadute sul terreno del rapporto tra giudizio cautelare e giudizio principale, se non altro nel senso che non potrebbe essere riconfermata quella giurisprudenza che ritiene oggi non assorbita dal rinvio a giudizio la valutazione di sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Oggi si dice, semplificando «tu puoi essere rinviato a giudizio, ma non sussistono i gravi indizi di colpevolezza», perché si può essere rinviato a giudizio anche in una situazione dubbia, in una situazione che deve essere ancora chiarita e che quindi non raggiunge la soglia dei gravi indizi di colpevolezza. È chiaro che, se cambiasse la regola, non sarebbe più così, perché mi pare che la prognosi di condanna sia una regola di giudizio che alza l'asticella sopra quella dei gravi indizi e non più sotto. Quanto all'ipotesi che il giudice dell'udienza preliminare debba motivare il giudizio, la volta scorsa dicevamo un po' maliziosamente che questa riforma probabilmente farebbe funzionare di più l'udienza preliminare come udienza filtro: oggi infatti il giudice dell'udienza preliminare sa che deve lavorare molto di più se proscioglie rispetto all'ipotesi in cui invece rinvia a giudizio. Se proscioglie, deve motivare la sentenza di non luogo a procedere; se rinvia a giudizio, non deve motivare il decreto che dispone il giudizio. Sarebbe una riforma che potrebbe servire in questa prospettiva; però certamente, in questo modo, l'ipoteca di cui parlavo, che poi grava sull'imputato nel dibattimento, sarebbe ancora più grave.
  L'onorevole Vitiello ha parlato di un'ordinanza di rinvio a giudizio, ma allora torneremmo veramente alla logica del vecchio codice, quando il giudice istruttore chiudeva l'istruzione con un'ordinanza di Pag. 7rinvio a giudizio che era motivata. Alla fine, con la configurazione che avevano assunto le vecchie istruttorie, che erano dei veri e propri processi di primo grado, quell'ordinanza di rinvio a giudizio finiva per essere una sentenza di primo grado. In vigore il vecchio codice, la sensazione era che il dibattimento diventasse un giudizio di impugnazione rispetto a un'ordinanza di rinvio a giudizio che era la vera sentenza di primo grado. Si tratta di un ulteriore grado di giudizio, come ha detto l'onorevole Vitiello.
  Il rischio è che si vada in questa prospettiva, vale a dire che il decreto che dispone il giudizio – che sia motivato e che sia motivato sulla base di quella regola di giudizio – diventi una prima sentenza di condanna. Questa mi pare una deriva assolutamente da evitare.
  Io ho svolto la professione per pochi anni nel vigore del vecchio codice. Mi ricordo ordinanze di rinvio a giudizio che addirittura si chiudevano con la proposta delle circostanze attenuanti da concedere all'imputato, se all'esito di istruttoria risultava meritevole di tale riconoscimento. Era diventata una sentenza di primo grado. Sinceramente penso che questo andrebbe evitato.
  All'opposto, l'onorevole Vitiello mi chiede se sarebbe compatibile con il processo accusatorio un modello privo di udienza preliminare. Certamente sì. Se vogliamo trovare il modulo processuale più conforme ai canoni del processo accusatorio, si tratta del giudizio direttissimo, quello che non ha neanche le indagini. Non credo che mantenere o non mantenere l'udienza preliminare sia un problema di fedeltà o meno al modello accusatorio. Certo, l'udienza preliminare ha mostrato deficit funzionali gravi, nel senso che il numero dei proscioglimenti è molto limitato. Mi pare tuttavia che abbia ancora una funzione di incontro delle volontà delle parti per addivenire a soluzioni alternative del processo. In questo senso credo che possa avere un suo significato. Del resto, vedo che addirittura il delegante vorrebbe estendere questo tipo di modello al procedimento davanti al giudice monocratico.
  Io, quindi, non sono favorevole all'eliminazione dell'udienza preliminare, perché ritengo che almeno quell'altra funzione possa essere preziosa. Qui il discorso si farebbe veramente molto più complicato. Io credo che si dovrebbe immaginare una nuova configurazione. Forse l'onorevole Vitiello sa a cosa mi riferisco perché in una chiacchierata di qualche tempo fa si parlava della Commissione Riccio e delle soluzioni che avevamo individuato in quella sede. Io avrei in mente – ma ripeto, è una soluzione molto più radicale – una fase di indagini preliminari in cui l'atto di esercizio dell'azione penale venga nuovamente fatto retrocedere alle battute iniziali dell'inchiesta, come avveniva nei vecchi sistemi processuali. Quindi, si tratterebbe non più di un'azione penale esercitata al termine delle indagini ma di un'azione penale esercitata all'inizio, con una formulazione dell'imputazione che viene trasportata alle battute iniziali, con un unico snodo giurisdizionale conclusivo dell'indagine, che si potrebbe chiamare «udienza di conclusione delle indagini» e che dovrebbe assorbire le attuali funzioni dell'udienza di archiviazione e dell'udienza preliminare.

  PRESIDENTE. Mi scusi se mi permetto, professore. Per le 11:45 è fissato l'inizio delle altre audizioni. Sono le 11:41, per cui la pregherei cortesemente di avviarsi a conclusione in un paio di minuti. Grazie. Mi scusi.

  FRANCESCO CAPRIOLI, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Torino. Prego. Dicevo che questa è una prospettiva molto più radicale, tutta da ripensare perché comporterebbe modifiche profonde, proprio dell'impalcatura sistematica del codice.
  Per rispondere alla domanda dell'onorevole Vitiello, io ritengo che un'udienza conclusiva della fase delle indagini, che si possa chiudere con una sentenza che precede il dibattimento, sia ancora indispensabile. Secondo me, per ragioni di semplificazione e anche per maggiore coerenza complessiva del sistema, bisognerebbe riportare l'azione penale alle battute iniziali Pag. 8e immaginare uno sbocco giurisdizionale conclusivo delle indagini, in cui il pubblico ministero chiede il proscioglimento oppure il rinvio a giudizio.
  L'archiviazione potrà essere fatta nelle battute iniziali e dovrebbe tornare a essere quella che era una volta: l'archiviazione per manifesta infondatezza di notizia di reato. Oggi la realtà è questa, e concludo: abbiamo un provvedimento di archiviazione che si chiama «provvedimento di archiviazione», ma che è a tutti gli effetti una sentenza, perché ha tutte le caratteristiche che da sempre si riconoscono alle sentenze, vale a dire l'efficacia preclusiva, l'impugnabilità, la gerarchia delle formule, la corrispondenza tra chiesto e pronunciato, il contraddittorio, la motivazione. È una sentenza. Secondo me bisognerebbe uscire un po' da questa ipocrisia, da questa piccola truffa delle etichette che è diventata la fase delle indagini, chiamando le cose con il loro nome e prevedendo al termine delle indagini o il rinvio a giudizio o una sentenza.

  PRESIDENTE Grazie, professore Caprioli. Credo che il suo contributo sia stato importantissimo per il prosieguo dei nostri lavori. Dichiaro conclusa l'audizione. Preannunzio ai colleghi che proseguiremo la seduta dando corso alle altre audizioni. Professore, la saluto e la ringrazio di nuovo. Arrivederci.

Audizione, in videoconferenza, di: Giovanni Canzio, Primo Presidente emerito della Suprema Corte di Cassazione, Ludovico Vaccaro, procuratore capo della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Foggia; Carlo Nordio, già procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Venezia; Luigi Levita, magistrato coordinatore dell'Ufficio GIP-GUP del Tribunale di Nocera Inferiore, professore di ordinamento giudiziario.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
  L'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto in videoconferenza dei deputati secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento nella seduta del 4 novembre scorso. A tal proposito ricordo che per i deputati partecipanti da remoto è necessario che essi risultino visibili alla Presidenza soprattutto nel momento in cui essi svolgeranno il loro eventuale intervento, il quale dovrà ovviamente essere udibile.
  L'ordine del giorno reca l'audizione, in videoconferenza, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame del disegno di legge C. 2435 Governo, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello, di: Giovanni Canzio, Primo Presidente emerito della Suprema Corte di Cassazione; Ludovico Vaccaro, procuratore capo della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Foggia; Carlo Nordio, già procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Venezia e Luigi Levita, magistrato coordinatore dell'Ufficio GIP-GUP del Tribunale di Nocera Inferiore e professore di ordinamento giudiziario.
  Saluto tutti gli auditi e li ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione. Chiedo cortesemente loro di contenere ciascun intervento in circa quindici minuti, in modo tale da dare spazio ai quesiti che verranno successivamente rivolti dai Commissari, ai quali seguirà la loro replica. Gli auditi potranno inviare, qualora non l'avessero già fatto, alla segreteria della Commissione un documento scritto. Ringrazio chi ha già provveduto in merito. Tale documentazione, in assenza di obiezioni, sarà pubblicata sul sito Internet della Camera dei deputati e resa disponibile ai medesimi attraverso l'applicazione GeoCamera.
  A questo punto do la parola a Giovanni Canzio, Primo Presidente emerito della Suprema Corte di Cassazione. Buongiorno, dottor Canzio. Grazie, a lei la parola.

  GIOVANNI CANZIO, primo presidente emerito della Suprema Corte di Cassazione. Buongiorno. Sono io che la ringrazio per Pag. 9l'invito. Spero che sia pervenuta una mia breve nota di commento sulle varie parti dell'articolato (vedi allegato 1). Dovendo restringere l'intervento in quindici minuti, sintetizzerò la prima parte delle mie note di commento.
  In queste brevi note di commento ho fatto una premessa su quelle che secondo me sono le ragioni della crisi di effettività e di autorevolezza della giurisdizione penale oggi. Non voglio richiamare tali ragioni, se non per breve sintesi, perché ho trasmesso la nota scritta.
  Secondo me diversi sono i nodi problematici fondamentali che rendono meno autorevole e meno effettivo il processo penale oggi in Italia, a differenza degli altri Paesi europei. Il primo è quella che ho chiamato la «ipertrofia dell'inchiesta»: le indagini preliminari sono divenute, contrariamente alle attese e alle aspettative dei riformatori del codice del 1988 – 1989, il baricentro del processo penale. Il baricentro non è più rappresentato dal dibattimento, bensì dalle indagini preliminari, con tutte le conseguenze che ho provato a descrivere nella mia nota, ma soprattutto con il rischio di una caduta della cultura della giurisdizione in quella fase e da parte dei magistrati di quella fase. Di qui l'importanza, secondo me, di una coraggiosa apertura alle finestre di giurisdizione, come avviene in tutti i Paesi europei, vale a dire ad un controllo pregnante del giudice nei momenti topici più importanti e più delicati delle indagini preliminari.
  Sempre procedendo per sintesi, il secondo nodo problematico che ci differenzia dagli altri Paesi europei è la durata irragionevole del processo penale. Non si può non convenire con la scelta del legislatore di paralizzare l'effetto estintivo della prescrizione dopo la sentenza di condanna; ma questa riforma, entrata in vigore il 1° gennaio 2020, per non essere considerata asistematica ed estemporanea, pretende che siano assicurati termini celeri e certi per le successive fasi impugnatorie e che la violazione di questi termini non rimanga priva di conseguenze.
  Il compasso temporale dei termini, in linea generale disegnato dalla legge Pinto, è di massimo sei anni; però quello che conta è che alla violazione di questi termini l'ordinamento reagisca seriamente, con misure compensative adeguate, che possono consistere in una congrua riduzione di pena se l'imputato è condannato con una durata irragionevole del processo o per il prosciolto in un giusto indennizzo; nella rifusione delle spese legali e così via, o nei casi più gravi, estremi, addirittura nell'improseguibilità dell'azione penale, ma non certo in una sanzione meramente disciplinare che, oltre a essere altamente improbabile per le condizioni che richiede la sua applicazione, è eccentrica rispetto al diritto che è stato violato, che è un diritto costituzionalmente protetto, un diritto fondamentale, vale a dire quello alla ragionevole durata del processo.
  L'altro aspetto critico che ho segnalato è quello dell'assenza di seri filtri alle impugnazioni, in particolare in appello. L'appello ha un unico filtro oggi, che è la genericità nei motivi di gravame, a differenza dell'appello civile in cui per l'inammissibilità conta anche l'assenza di qualsiasi ragionevole probabilità di accoglimento. Ciò che ha consentito alla Corte di Cassazione di sopravvivere in tutti questi anni, con ben 50 mila ricorsi ogni anno, è l'esistenza di un serio filtro al ricorso per Cassazione, che è l'inammissibilità per manifesta infondatezza. Se si vuole conservare una giurisdizione articolata in ben tre livelli (primo, secondo e terzo grado), anche l'appello penale deve beneficiare di un regime di inammissibilità per manifesta infondatezza dei motivi di gravame.
  Dopo questa breve e sintetica esposizione di quelli che sarebbero i nodi problematici, passo a una valutazione d'assieme del disegno di legge in discussione. In realtà a me sembra che il disegno di legge intuisca e prefiguri in alcuni passaggi questi nodi problematici, ma che sia privo di ciò che io chiamo il «coraggio riformatore», l'«audacia riformatrice» perché – lo spiegherò subito dopo con alcune note sia di apprezzamento che di critica – a me sembra che senza l'audacia necessaria si rischi di rimanere al palo e di non risolvere i suddetti nodi. Pag. 10
  Passo a un'analisi più dettagliata, ma molto sintetica, di quelli che ritengo i punti essenziali della riforma che state esaminando. (Audio assente). In questo caso si prefigura un efficace controllo del giudice con una vera e propria sanzione, che è l'inutilizzabilità di quegli elementi di indagine in caso di violazione della prescrizione di tempestività dell'iscrizione. Questa è una norma che è calibrata correttamente in relazione alla mia breve premessa.
  Ma poi tutto questo si smentisce allorquando si passa ai termini di durata delle indagini e al meccanismo abbastanza complicato di discovery degli atti, sempre nell'articolo 3, comma 1, lettere e), f) e g). Qui manca la finestra di giurisdizione, manca il controllo del giudice. L'unica reazione dell'ordinamento a una violazione che, lo ripeto, tocca il diritto fondamentale alla durata ragionevole del processo – parliamo della fase del procedimento costituita dalle indagini preliminari – è una, anche qui, molto improbabile e lontanissima violazione di tipo disciplinare, che soprattutto è eccentrica rispetto al bene protetto dalle norme.
  Apprezzo la regola di giudizio per l'archiviazione e per la sentenza di non luogo a procedere. L'apprezzo perché si alza la soglia della prognosi di successo dell'azione penale. Si giunge fino alla soglia della probabilità di condanna, come avviene per l'applicazione delle misure cautelari. Faccio soltanto un'osservazione. È assolutamente necessario che, per l'applicazione di questo criterio di tipo probabilistico, i giudici e i magistrati affinino il loro sapere epistemologico e logico, perché si alza notevolmente la soglia di probabilità della prognosi di successo dell'azione penale.
  Sui criteri di priorità, il mio rilievo è profondamente critico. Lo dico per una ragione di tipo costituzionale. Il principio in questione è quello dell'obbligatorietà dell'azione penale. È un principio costituzionale. Non si può rinviare la selezione dei criteri di priorità legati a un principio costituzionale a una frammentata geometria variabile dei vari uffici, delle procure e così via. Come è stato già detto, ci sposteremmo su un terreno di federalismo giudiziario, di geometria variabile.
  Questo principio, che ha un rilievo costituzionale, pretende l'intervento del Parlamento con norme primarie, anche flessibili nel tempo. Io penso, ad esempio, a un comitato ristretto composto da componenti della Commissione Giustizia della Camera e del Senato che ogni anno, sentiti il Consiglio superiore della magistratura e il Ministro, individui i criteri di priorità confermandoli o modificandoli, ma non apprezzo il federalismo giudiziario.
  Per i procedimenti speciali, ho poche osservazioni da fare, perché il patteggiamento super allargato è destinato all'insuccesso. Se mancano le reali misure premiali, non si accede al patteggiamento; in quei casi si preferisce ricorrere al giudizio abbreviato. Poi c'è un ventaglio eccessivo di preclusioni oggettive. Si continua a porre preclusioni oggettive che rendono difficile l'accesso al patteggiamento.
  Anche per il giudizio abbreviato, la modifica mi sembra lessicale, formale, perché il riferimento al tertium comparationis, che è il dibattimento, quanto all'economia del processo, è già nella pratica applicativa, è già nelle sentenze della Corte costituzionale. Sarebbe molto più utile, invece, ai fini deflattivi ripristinare il giudizio abbreviato per i delitti puniti con l'ergastolo, perché è lì che effettivamente si è creata una procedura inflattiva, piuttosto che deflattiva, con la riforma dell'anno scorso.
  Avrà successo, invece, il giudizio per decreto, in cui mi sembra che la misura premiale sia significativa anche all'esito del ragguaglio tra pene pecuniarie e detentive.
  Vorrei soffermarmi su un tema molto delicato, quello della rinnovazione della prova dichiarativa per il mutamento del giudice. A me sembra che il principio di immediatezza, nella lettura della Corte costituzionale – con la sentenza più recente, la n. 132 del 2019 – e della stessa Corte europea dei diritti dell'uomo, può consentire una modulazione flessibile del processo penale. E però tutte le sentenze pongono in evidenza la necessità che l'ordinamento preveda misure compensative per il diritto di difesa, che nel caso di mutamento Pag. 11del giudice vede leso il principio di immediatezza. Queste misure compensative non sono previste nell'attuale formulazione normativa, perché il richiamo all'articolo 190-bis del codice di procedura penale trasforma una norma derogatoria eccezionale in una regola generale, senza le misure compensative, che la Corte europea dei diritti dell'uomo individua nella rinnovazione di quelle prove che definisce importanti, particolarmente rilevanti, determinanti, ovviamente con l'onere della specificazione della richiesta da parte del difensore.
  Il secondo rischio è che non vedo preclusi i mutamenti successivi a catena, di giudice in giudice. Infine, non comprendo l'esclusione della Corte di assise. Non capisco perché soltanto per i processi di Corte di assise non è consentito il mutamento del giudice senza rinnovazione.
  Infine, vorrei sottolineare – questo è frutto della mia lunga esperienza di magistrato – che occorrerebbe prevedere l'onere del previo esperimento di tutte le misure ordinamentali idonee a evitare il mutamento del collegio. Lo dico perché nell'esperienza pratica – Corte d'appello di Milano, Corte di appello de L'Aquila e altrove – il meccanismo dell'applicazione endodistrettuale o extradistrettuale del magistrato trasferito ha consentito di celebrare i processi senza porre problemi di mutamento del giudice e di rinnovazione della prova. In funzione di uno specifico processo, e fino alla sua definizione, una parziale applicazione endodistrettuale o extradistrettuale del magistrato dovrebbe essere prevista come misura ordinamentale previa, rispetto al mutamento del giudice.
  Quanto ai reati di competenza dei tribunali in composizione monocratica, a me sembra che l'udienza filtro, di cui all'articolo 6, comma 1, lettera a), non semplifichi, ma complichi ancora di più la procedura, perché il rischio è che accentui le cause di incompatibilità fra i giudici, soprattutto nei tribunali piccoli e medi, allunghi i termini di durata del processo e diventi una mera udienza di smistamento destinata all'insuccesso, quale è purtroppo l'odierna udienza preliminare.
  Passo alle norme sull'appello. Se mi consente altri cinque minuti, presidente, concludo. Ho apprezzato il mandato specifico ad impugnare. Lo apprezzo molto, perché in base alla lunga esperienza di giudizi di impugnazione – sia in appello che in Corte di Cassazione – a me sembra che questa sia la disposizione più virtuosa e più efficace dell'intero pacchetto del disegno di legge. Devo dire che i due terzi del successo del disegno di legge si giocano su questa norma, perché essa è di straordinaria portata non solo deflattiva, per il risparmio di risorse e di costi per lo Stato, ma anche moralizzatrice. Noi celebriamo ogni anno inutilmente decine e decine di migliaia di processi di impugnazione nei confronti di soggetti ignari, irreperibili, disinteressati, veri e propri fantasmi senza una sicura identità. Se il soggetto è incolpevole – perché se è colpevole non credo che sia un problema – ha a sua disposizione la rescissione del giudicato prevista dall'articolo 629-bis del codice di procedura penale. Non si capisce perché non debba attivarla subito, piuttosto che celebrare ben tre gradi di giudizio e poi passare, in caso di incolpevolezza in assenza, alla rescissione.
  Altro rilievo critico, invece, riguarda la composizione monocratica. Io vi dico qual è il carico esigibile di un consigliere d'appello. La media nazionale è di circa 180, 190, 200 sentenze. Un consigliere d'appello, cioè, scrive una sentenza in media ogni due giorni, oltre a studiare i processi, fare le udienze e così via; e lo fa essendo un giudice collegiale. Voi pensate che diventando giudice monocratico possa scrivere più di 180, 190, 200 sentenze? Qual è la proiezione che è stata fatta per definire questa modifica verso la composizione monocratica come fruttuosa di un numero più alto di provvedimenti?
  Inoltre, il giudice monocratico impegnerà altre aule, altri cancellieri. Non mi sembra ci sia questa grande disponibilità di risorse. (Audio assente). La collegialità è un valore. È molto grave per la giustizia penale, perché l'appello è il luogo della critica, è il luogo del ragionamento probatorio, è il luogo in cui si insinuano i dubbi e Pag. 12si esercita, nel dialogo fra i giudici, l'arte della confutazione. Perdere la collegialità non ci farebbe guadagnare alcunché, mentre ci farebbe perdere una parte della nostra anima.
  La stessa cosa vale per le misure straordinarie per la definizione dell'arretrato penale in appello. È senz'altro apprezzabile passare a 850 giudici ausiliari, di cui almeno la metà si occupa di penale. Le corti di Roma e Napoli hanno circa 50 mila ricorsi pendenti, forse anche di più. Ma sembra utile questa distribuzione a pioggia di giudici, senza che le corti abbiano provveduto preventivamente ad aprire gli armadi, a spogliare i fascicoli, a verificarne la reale consistenza e il valore ponderale per le formazioni dei ruoli di udienza? La Corte di cassazione riceve ogni anno 50 mila ricorsi; tutti vengono spogliati, selezionati e destinati all'itinerario migliore per la loro soluzione. Lo smaltimento dell'arretrato richiede una previa opera di raccolta precisa dei dati, un cronoprogramma, un'allocazione puntuale delle risorse. Occorre cioè misurare il fenomeno. Questo è quello che io chiederei prima di adottare una misura straordinaria del genere.
  Sui filtri dell'impugnazione ho già detto. Parlo dei termini di durata ragionevole del processo. Sulle linee generali ho già detto qualcosa prima. Però, qual è il rilievo critico? Non vedo un termine di durata per i più gravi delitti di maggiore allarme sociale. Non è detto che il reato di grave allarme sociale sia un reato che richieda un procedimento senza termini di durata. I termini di durata ragionevole devono essere previsti per tutti i procedimenti. Si dovrà tenere conto dell'effettiva complessità, che però è concreta e non è in astratto. Ugualmente non vedo termini di durata per i procedimenti di Corte di assise e per quelli del giudice di pace.
  Su questo il mio giudizio è molto radicale: il federalismo giudiziario e la previsione a geometria variabile non fanno bene. Non si può parlare di differenti condizioni organizzative territoriali, perché su quelle differenti condizioni territoriali si interviene, per migliorarle e per porle alla pari degli altri uffici. Ma non si possono prendere quelle gravi condizioni organizzative territoriali come una sorta di lasciapassare per evitare che siano previsti i termini ragionevoli di durata. L'esigenza è quella di uniformità, di coerenza, di fonti primarie.
  Poi, ancora una volta, l'illecito disciplinare non serve a nulla, a parte l'improbabilità di una sua applicazione. Stiamo parlando di un diritto fondamentale, costituzionale dei cittadini. (Audio assente). Occorre invece prevedere misure compensative adeguate alla portata e all'entità della violazione.
  Con questo ho concluso. Vi ringrazio molto per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, dottor Canzio. Darei ora la parola al procuratore capo della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Foggia, dottore Ludovico Vaccaro. Prego, dottore. Buongiorno. A lei la parola.

  LUDOVICO VACCARO, procuratore capo della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Foggia. Buongiorno a tutti. Inizio il mio intervento con due brevi premesse. La prima è che condivido pienamente la necessità di una riforma del processo penale. Credo che il processo penale abbia necessità di uno svecchiamento, di un ringiovanimento; poi spiegherò nel corso del mio intervento che intendo dire. In questa ottica vi ringrazio di darmi la possibilità di portare il mio contributo, che molto umilmente è il contributo di chi sta in un ufficio di periferia, in un ufficio sicuramente con grandi complessità abbastanza note. Porto quindi l'esperienza concreta delle aule giudiziarie. Questo è il senso del mio intervento.
  L'altra premessa è che, dato il tempo di cui dispongo, toccherò alcuni punti del progetto di riforma del disegno di legge, rimandando per il resto, da un lato, alle eventuali domande che i deputati riterranno di pormi e, dall'altro, ad un contributo scritto, che non ho ancora inviato, ma che potrò inviare nei prossimi giorni.
  Detto questo, la prima osservazione riguarda le finalità indicate nell'articolo 1. Si Pag. 13pone l'accento sull'esigenza di una maggiore efficienza e di una maggiore celerità del processo. Io inserirei un accenno ad un aspetto che a mio avviso è importante e caratterizzante per un processo penale moderno e proiettato al futuro: quello del rafforzamento della tutela delle persone offese, nell'ottica di una giustizia che sia sempre più riparativa, che ponga al centro non soltanto l'indagato e l'imputato ma anche la parte offesa, i suoi diritti e le sue facoltà. È un valore anche culturale quello di inserire ciò tra le finalità di una riforma.
  Poi concretamente bisognerebbe riconoscere alla persona offesa alcuni diritti, alcune facoltà, che a mio avviso gli competono nell'ottica di una maggiore centralità della vittima del reato, perché il processo penale deve essere visto non più soltanto in funzione punitiva, ma anche in funzione riparatoria, restitutoria: e in questo la centralità della persona offesa è determinante. Che intendo dire? Per esempio, bisogna riconoscere il diritto all'avviso della conclusione delle indagini preliminari alle persone offese in generale, e non soltanto a quelle vittime di reati di cui agli articoli 572 e 612-bis del codice penale.
  Non basta soltanto questo, perché oggi quel diritto viene solitamente interpretato nel senso di mero diritto all'avviso e non alla facoltà di prendere visione degli atti, estrarre copia ed esercitare le facoltà difensive di cui al comma 3 dell'articolo 415-bis del codice di procedura penale. Io credo che un processo penale moderno debba necessariamente valorizzare di più il ruolo della persona offesa, che non deve essere vista come qualcosa di estraneo, che addirittura intralcia l'iter o che dà fastidio perché porta le sue istanze nel processo penale. Io ritengo fondamentale ciò.
  Gli aspetti che voglio trattare riguardano il processo penale telematico, l'indagine preliminare e l'udienza preliminare, e poi brevemente l'udienza filtro, cercando di rispettare i tempi che mi sono stati dati.
  Ovviamente il mio giudizio è favorevole per tutto ciò che prevede la possibilità del deposito telematico di comunicazioni e notificazioni. In realtà credo che sul punto vada richiamato ciò che ha detto il presidente Canzio: ci vuole un maggiore coraggio riformatore, una maggiore audacia riformatrice. Anche a causa dell'epidemia si è avuta sicuramente un'accelerazione nel settore della telematica del processo. Allora, credo che un progetto di riforma che guarda al futuro debba avere il coraggio di fare ulteriori passi come quello del processo penale telematico.
  Innanzitutto, il deposito telematico deve essere non una facoltà, ma la regola, con le eccezioni previste nel caso di impossibilità e di malfunzionamento dei servizi. Avanzo un altro suggerimento: io estenderei l'ottima idea dell'elezione di un domicilio informatico, prevista per il querelante, almeno come possibilità, a ogni parte del processo, al di là che siano querelanti o indagati. Estenderei dunque la possibilità di elezione di domicilio informatico.
  Ma è l'intero processo che deve essere informatico. Oggi noi ci troviamo, tra l'altro con grandi difficoltà pratiche, ad avere una modalità telematica di trasmissione degli atti e un procedimento – prima ancora che un processo – cartaceo, con la conseguenza che tutto ciò che ci arriva telematicamente lo dobbiamo ricevere, scaricare, stampare e rendere cartaceo. Che cosa succede? Succede che questa mole di carte viaggia da un ufficio all'altro attraverso fotocopie. Mi scuso se può sembrare che io faccia riferimento ad aspetti banali, ma si tratta degli aspetti della vita quotidiana degli uffici giudiziari.
  Quando c'è una richiesta di misura cautelare e il fascicolo deve andare al giudice per le indagini preliminari (GIP), si comincia a preparare il malloppo di fotocopie perché il processo vada al GIP. Poi, se il GIP emette una misura cautelare personale e reale, come spesso accade, c'è il riesame che è circondariale: quindi, nuove fotocopie da trasmettere cartaceamente al Tribunale di Foggia. Poi abbiamo l'impugnazione della misura personale, che è di competenza del Tribunale distrettuale, e quindi nuovo malloppo di carte da mandare a Bari con un'autovettura che viaggia continuamente da Foggia a Bari.
  Io credo che dobbiamo avere il coraggio, l'audacia riformatrice di cui parlava il presidente Pag. 14 Canzio, di passare al processo penale telematico, in cui gli atti sono documenti redatti, sottoscritti, trasmessi e ricevuti con le modalità informatiche. Credo dunque che, in una riforma proiettata verso il futuro, dobbiamo assolutamente prevedere il passaggio al processo penale informatizzato, nel senso che i relativi documenti nascono direttamente in forma digitale.
  Questo passaggio va operato anche con riferimento alla documentazione degli atti di indagine e degli atti del processo, avendo peraltro a mio avviso importanti riflessi su altri problemi quali la partecipazione a distanza o il mutamento del giudice. Che cosa intendo dire? Intendo dire che bisogna prevedere che la documentazione degli atti di indagine non sia più quella solita, tradizionale, cartacea. La documentazione in un processo giovane, in un processo moderno, deve essere digitale.
  Quando io faccio l'interrogatorio di un indagato, lo devo videoregistrare; quando faccio l'interrogatorio di un testimone, lo devo quanto meno registrare. Questi file audio o video devono confluire nel processo telematico, perché ciò consente, nella fase processuale, una maggiore immediatezza e oralità, anche rispetto – anticipo un tema che so essere molto caldo – al mutamento del giudice.
  Nel momento in cui pensiamo a un'istruttoria dibattimentale documentata visivamente, credo che anche il problema del mutamento dei giudici, e di conseguenza dell'immediatezza rispetto all'istruttoria, assuma connotazioni diverse. Io parto da questa idea, su cui riflettevo in questi giorni vedendo i collegamenti in TV che sono sempre più a distanza, telematici. Rispetto a un precedente talk show in presenza, oggi vediamo che in uno studio televisivo c'è chi conduce la trasmissione mentre i partecipanti sono collegati a distanza. Francamente io non riesco a percepire la differenza di un ascolto in presenza rispetto a quello a distanza, quando il mezzo ci consente l'immediatezza.
  Credo – e mi collego all'altro aspetto – che se noi operiamo il passaggio anche dal punto di vista della documentazione degli atti procedimentali e processuali, probabilmente potremo cominciare a considerare la possibilità di un processo penale a distanza nella fase istruttoria. Non mi riferisco alle fasi della discussione o della decisione, che secondo me devono avvenire in presenza.
  Ma io voglio portare esempi concreti tratti dalle lamentele ascoltate nelle aule di giustizia. Qualche tempo fa, in occasione di un'udienza, un testimone mi si avvicinò e disse: «Io sono veramente sconcertato e costernato dalla giustizia italiana». La persona aveva subito un furto di documenti, dopodiché erano state commesse una serie di truffe in varie parti d'Italia. Quel poverino girava tutti i tribunali. Da Trento veniva a Foggia, andava in Sicilia, si spostava a Napoli e a Milano per dire sempre la stessa cosa. Avanzava una richiesta semplicissima: «Ma perché non mi possono ascoltare da lontano?».
  Io stesso qualche giorno fa sono andato a Lecce per testimoniare in un processo in cui sono parte offesa. Ho dovuto fare tre ore di strada per andare e tre ore di strada per tornare, sperando che il processo per una qualche ragione non fosse rinviato, perché altrimenti avrei dovuto rifare il medesimo viaggio, ritornare un'altra volta; non solo, se oggi io avessi un interesse a seguire quel processo, dovrei andare ogni volta a Lecce. Torno quindi al discorso della centralità della persona offesa. Perché non consentire la facoltà della partecipazione a distanza di una persona offesa che vive a Trento e che ha subito un reato a Foggia perché è venuto in vacanza sul Gargano e gli è stato rubato il borsello? Noi dobbiamo avvicinare il processo alle persone, in particolare alle persone offese.
  Noi abbiamo oggi la cultura epistemologica – consentitemi – per apprendere la conoscenza attraverso immagini a distanza. Oggi ci siamo abituati culturalmente a fare riunioni come questa. Signori, se non ci fosse stato il Covid saremmo venuti tutti in presenza; però alla fine che differenza c'è? Una volta che documentiamo la riunione, forse anche il problema del mutamento del giudice cambia. Pag. 15
  Per chiudere su questo punto, credo che noi dobbiamo pensare a un processo penale moderno, informatizzato, con documentazione digitale degli atti istruttori, con documentazione digitale degli atti del processo, con possibilità di compimento dell'atto a distanza. Resta salva, secondo me, l'esigenza di una discussione del processo e di una decisione in camera di consiglio in presenza. Francamente, rispetto a camere di consiglio svolte a distanza, nutro forti perplessità.
  Però questo è il messaggio che volevo trasmettere: è necessario un cambiamento di concezione del processo che tenga conto del fatto che oggi la telematica è entrata prepotentemente nella vita di ognuno di noi, nella cultura di ognuno di noi. Non sappiamo per quanto tempo ancora dovremo fare i conti con questo virus o con successive epidemie, per cui io credo che dobbiamo affermare, in un progetto di riforma forte, l'esigenza di un processo che si serva a piene mani della telematica.
  Vengo al secondo problema. Naturalmente se sforo i tempi vi prego di dirmelo e concludo. Si tratta del problema dei termini delle indagini preliminari. Come potete immaginare, il tema tocca da vicino chi fa il mio mestiere. Dico per flash quali sono le maggiori perplessità. È ovvio che una previsione di termini per le indagini calibrata anche in relazione alla gravità è astrattamente e assolutamente condivisibile, però faccio alcune osservazioni. La possibilità di una sola proroga diventa, a mio avviso, troppo stringente per le indagini preliminari su reati per i quali è previsto il termine di sei mesi, nel senso che si finirebbe per concedere un unico anno. Poi torno sul punto. Lo spatium deliberandi è troppo breve.
  A questo proposito voglio segnalare quella che secondo me è proprio una sbavatura. Si prevedono tre mesi in generale, sei mesi per i reati di cui all'articolo 407, comma 2, lettera b), del codice di procedura penale, e dodici mesi per i reati di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a), numeri 1), 3) e 4) del medesimo codice. Si dimenticano alcuni reati, per esempio quelli di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a), numero 2), come l'estorsione, o di cui ad altri numeri del medesimo articolo, che finirebbero per avere uno spatium deliberandi, cioè un tempo di definizione, dopo la chiusura delle indagini preliminari, di soli tre mesi.
  Secondo me il termine di sei mesi previsto per l'articolo 407, comma 2, lettera b) va esteso a tutti i reati di cui all'articolo 407, salvo quelli per i quali sono previsti i dodici mesi, cioè quelli relativi all'articolo 407, comma 2, lettera a), numeri 1), 3) e 4). Non so se sono stato chiaro facendo questi riferimenti. Però c'è un nucleo di reati relativi all'articolo 407 che sfugge ai sei e ai dodici mesi e rientra nei tre mesi, con conseguenze quali la discovery obbligatoria e la definizione del processo entro il termine di trenta giorni.
  Francamente vi dico che, a chi vive in una realtà in cui la criminalità organizzata è particolarmente forte e presente, questa eventualità spaventa. Mi spaventa perché costringe il pubblico ministero a una discovery che significherebbe impedire non soltanto ulteriore attività di indagini con riferimento a quei reati, ma anche la scoperta di reati a volte gravi che possono riguardare anche la criminalità organizzata. Pensiamo a un'estorsione. Un'estorsione aggravata oggi, con lo spatium deliberandi di soli tre mesi per quello che ho detto prima, costringerebbe il pubblico ministero a una discovery. E immaginate come ciò potrebbe avere riflessi anche molto importanti su altre indagini di criminalità organizzata.

  PRESIDENTE Mi scusi, dottore. La pregherei di cercare di avviarsi a conclusione. La ringrazio. Mi scusi, sia comprensivo, ma purtroppo devo gestire la tempistica. Grazie.

  LUDOVICO VACCARO, procuratore capo della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Foggia. Non c'è dubbio. Mi avvio a conclusione dicendo che a mio avviso questo sistema basato sulla discovery obbligatoria e sul successivo esercizio dell'azione penale non è sostenibile. Tra l'altro l'esercizio dell'azione penale nei trenta giorni dalla richiesta è praticamente impossibile, Pag. 16a meno che non si ritenga di non dovere fare più l'avviso di conclusione delle indagini. Se noi ritenessimo necessario l'avviso di conclusione delle indagini nonostante la precedente discovery, non ci sarebbero tempi sufficienti. La discovery obbligatoria e il termine di trenta giorni per l'esercizio dell'azione penale, o comunque per la richiesta dell'archiviazione, a mio avviso comportano un grande rischio, che è quello di affrettare le indagini. Affrettare le indagini significa scaricare sul dibattimento le necessità di ulteriori approfondimenti istruttori, e ciò avrebbe anche un effetto negativo sui riti alternativi. L'esperienza ci insegna che più le indagini sono ben fatte, maggiore è il ricorso ai patteggiamenti e ai giudizi abbreviati, e mancano le opposizioni al decreto penale.
  Per quanto riguarda l'udienza filtro mi limito a dire soltanto che condivido quello che è stato detto in precedenza, e cioè che il rischio è quello di creare un ulteriore step con un giudice differente che filtrerebbe molto poco. Rischia di diventare un male peggiore del rimedio; vale a dire che l'accelerazione imposta rischia di aggravare ulteriormente la fase.
  Concludo dicendo che, alla luce di quello che ho detto, rispetto al mutamento del giudice il recupero degli atti, una volta che questi atti siano documentati in un certo modo, a mio avviso può essere risolto. Diventa possibile perché noi riusciamo a garantire una concezione diversa, moderna, telematica del processo, garantendo immediatezza e oralità anche se cambia il giudice. Sono a disposizione per eventuali domande. Grazie.

  PRESIDENTE Grazie a lei, dottor Vaccaro. Do ora la parola al dottor Carlo Nordio, già procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Venezia. Grazie.

  CARLO NORDIO, già procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Venezia. Buongiorno e grazie a voi per l'onore che mi è stato fatto. Spero che si senta bene. Io sono un a-tecnologico, ed è già un miracolo se sono riuscito a comunicare. Nonostante sia un a-tecnologico, sono perfettamente d'accordo almeno su una cosa, cioè sull'ampio uso della telematica, non tanto nel momento dibattimentale, perché secondo me rischierebbe di ridurre l'oralità del contraddittorio, ma certamente per le notifiche. Ritengo sostanzialmente positiva tutta la prima parte di questa riforma, quella che riguarda le notifiche telematiche, che è anche ispirata al principio di responsabilizzazione o di responsabilità dell'imputato o dell'indagato che deve essere diligente una volta che è stato informato dell'esistenza di un'indagine a suo carico.
  Detto questo, non si possono che rilevare gli spunti di criticità evidenziati benissimo dal presidente Canzio e dal collega Vaccaro. Probabilmente di elementi di criticità ce ne saranno altri, ce ne saranno anche di più incisivi. (Audio assente). È sufficiente aprire un codice di procedura penale per vedere che sotto ogni articolo le modifiche, integrazioni, sostituzioni e tutto quello che è scritto in corsivo prevalgono di gran lunga su quello che è scritto in italico. Questo significa che da trenta anni si cerca di porre riparo a una Ferrari con un motore della 500. E infatti la Ferrari si è inceppata. Si è inceppata perché il sistema accusatorio che noi abbiamo voluto introdurre nel 1989, sbagliato o giusto che fosse nella scelta politica, ubbidisce a criteri che sono quelli tipici degli ordinamenti dove questo sistema è nato.
  Vorrei dire anche qualcosa di più specifico, ma mi terrò sicuramente entro e forse anche al di sotto dei quindici minuti concessimi, anche per recuperare un po' di tempo. Che cosa comporta un processo accusatorio vero, che funzioni, come funziona nei sistemi anglosassoni? Lasciamo stare anche la separazione delle carriere – ma c'è la differenza tra il giudice del fatto e il giudice del diritto – e la pragmaticità nei patteggiamenti e nei riti alternativi (Audio assente).

  PRESIDENTE. Mi scusi, dottor Nordio. Purtroppo la qualità della connessione non è ottimale. In considerazione di ciò, poiché spesso perdiamo qualche parola del suo intervento, dovrebbe provare a intervenire escludendo la telecamera, perché così Pag. 17avremo probabilmente una qualità audio migliore.

  CARLO NORDIO, già procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Venezia. D'accordo presidente. Dicevo che il tentativo di adattare una Ferrari, qual è il processo accusatorio, con pezzi di ricambio di una 500 non può che essere destinato al fallimento, perché questo processo funziona secondo certi principi: separazione delle carriere, o meglio, unità assoluta delle carriere – perché negli ordinamenti anglosassoni l'avvocato può diventare giudice –; discrezionalità dell'azione penale; retroattività dell'azione penale; differenza tra il giudice del fatto, vale a dire la giuria che emette il verdetto, e il giudice del diritto, vale a dire il giudice che emette la sentenza; pragmaticità nei patteggiamenti. Si tratta di principi che da noi non esistono per varie ragioni, a cominciare dall'obbligatorietà dell'azione penale, che negli ordinamenti anglosassoni non è prevista, ma che da noi è sancita nella Costituzione. Questo perché il difetto del codice del 1989 è quello di essere stato introdotto senza un'adeguata e contemporanea riforma costituzionale.
  Detto questo, come mi sono permesso di scrivere nelle poche note che ho inviato – tra l'altro molto succinte, anche perché purtroppo ho potuto vedere il testo in ritardo –, il meglio è nemico del buono. Questa mia critica sembra corrosiva, ma è indispensabile per capire la ragione per la quale non usciremo mai dall'impasse finché non faremo un codice di procedura penale nuovo, organico o realmente accusatorio, oppure – sarebbe una scelta politica anche questa – non ritorneremo al vecchio sistema Rocco. Passo a illustrare qualche spunto critico sui singoli problemi.
  Ho già detto che dal punto di vista delle notifiche telematiche sono perfettamente d'accordo, come anche sull'attuazione del principio di responsabilizzazione dell'imputato indagato. Sono invece in disaccordo, e su questo mi pare di avere anche la conferma del presidente Canzio, sulla discrezionalità federalista o cripto-federalista da parte dei singoli uffici giudiziari nel dare la prevalenza o la prelazione alla trattazione di singole indagini.
  Vent'anni fa nella Commissione bicamerale presieduta dall'onorevole D'Alema era stato trovato, invece, secondo me, un buon compromesso, che mi pare sia quello ricordato prima dal presidente Canzio, vale a dire quello di attribuire al Parlamento un atto di indirizzo – chiamiamolo un editto pretorio, come faceva il magistrato romano duemila anni fa – che dia un orientamento nazionale, globale, omogeneo circa le priorità da trattare, anche secondo un criterio di responsabilità politica.
  Ricordiamo – questo è un altro difetto del nostro sistema – che il nostro pubblico ministero ha le garanzie di un magistrato, secondo me giustamente, ma ha i poteri del capo della Polizia giudiziaria senza rispondere ad alcuno. Anche questa è una grave anomalia rispetto ai sistemi anglosassoni, dove il public prosecutor o il district attorney americano viene nominato dai cittadini, e ha una responsabilità politica perché risponde all'elettorato, mentre da noi il magistrato ha questo immenso potere ma non risponde a nessuno perché gode delle garanzie della giurisdizione, un po' come il pubblico ministero inglese, che è l'avvocato dell'accusa, ma che però non ha il potere di dirigere la Polizia giudiziaria perché, come tutti sanno, le indagini le fa Scotland Yard.
  Queste sono tutte criticità che emergono, a mano a mano che ne parliamo, proprio perché il nostro è un sistema accusatorio-inquisitorio, ibrido, misto, io direi imbastardito, che non può continuare a funzionare così. Detto questo, se proprio vogliamo mitigare l'obbligatorietà dell'azione penale dando una discrezionalità vincolata a qualcuno, questo qualcuno non può che essere il Parlamento.
  Per quanto riguarda i riti alternativi, anche qui io sono favorevole. E mi rallegro che vengano ampliate le possibilità del patteggiamento. (Audio assente). Anche qui però dobbiamo essere pragmatici. Il plea bargain nel sistema americano funziona perché, se un soggetto non patteggia e viene condannato, viene condannato due volte: in primo luogo, perché è colpevole – chiaramente nei casi in cui venga riconosciuto colpevole Pag. 18– e in secondo luogo, perché non si è avvalso della possibilità di patteggiare e ha fatto perdere tempo e denaro alle amministrazioni.
  (Audio assente). Tutto questo non ha una funzione deflattiva, e non la ha nemmeno nel giudizio abbreviato. Anche qui io ho accolto lo sforzo – e me ne rallegro – per rendere il diritto abbreviato meno imbastardito di quanto lo sia adesso. Ricordiamo, però, che in origine il giudizio abbreviato nel codice Vassalli era molto più razionale di quanto non lo sia ora, essendo stato trasformato in una sorta di pre-giudizio, nel senso di un semi-giudizio semi-abbreviato.
  Per quanto riguarda le sanzioni disciplinari, sono perfettamente d'accordo con il presidente Canzio e penso anche con tutti gli altri colleghi. I procedimenti nelle indagini preliminari sono lenti. Io non ho l'esperienza dei miei colleghi più autorevoli perché sono alla Procura della Repubblica praticamente da quaranta anni, però conosco bene il sistema delle indagini preliminari. A parte che la discrezionalità dell'azione penale è «andata a farsi benedire» perché si è trasformata in assoluto arbitrio da parte dei pubblici ministeri che prendono i fascicoli quando e come vogliono, molto spesso anche alla fine dell'anno, per fare quadrare la cosiddetta «statistica». Ma questo è un aspetto deteriore che forse è meglio non ricordare.
  Tuttavia, la lentezza del processo e la prescrizione che molto spesso matura in questa fase è dovuta a una ragione molto semplice, alla sproporzione tra i mezzi e i fini, vale a dire tra il mezzo che abbiamo (risorse umane, risorse finanziarie, risorse di collaboratori e via dicendo) e i fini che ci proponiamo, che sono quelli di attuare l'obbligatorietà dell'azione penale. È impossibile gestire tutti i fascicoli, e non saranno certo i termini di sei mesi, di un anno o di due anni, imposti dal legislatore a fare accelerare (Audio assente). La soluzione – perché parliamo anche di soluzioni oltre che di problematiche – è unica: o aumentiamo i mezzi o diminuiamo i fini; quindi o aumentiamo le risorse (mi pare difficile in questo momento, ma sarebbe sicuramente la cosa migliore) o diminuiamo i fini. Vuol dire che, se non introduciamo la discrezionalità vincolata dell'azione penale – qui osta la Costituzione – occorre una fortissima depenalizzazione (Audio assente). La depenalizzazione, peraltro, è invocata da tutti – magistrati, avvocati, giornalisti –, però quando si arriva al dunque non soltanto non si individuano i reati da depenalizzare, ma addirittura il legislatore ha un delirio proliferativo per cui ogni giorno inventa reati nuovi, non solo bagatellari.
  Mi avvio alla conclusione. Sono d'accordo con tutto quello che ha detto il presidente Canzio prima – non vedo perché dovrei ripeterlo, tra l'altro, in modo meno brillante – nonché con una serie di critiche che sono state enunciate nelle osservazioni del procuratore generale della Cassazione che avete allegato. In questo caso mi sono permesso di fare alcuni interventi un po' adesivi e critici, che peraltro ho già inviato.
  Ripeto che lo sforzo è apprezzabile; si capisce la buona fede del legislatore nel cercare di abbreviare i tempi dei processi. Purtroppo rimane il mio giudizio critico sulla prescrizione, perché non si può accollare all'imputato, condannato o assolto che sia, quella che è una deficienza della giustizia, soprattutto una volta che è stato inserito il principio costituzionale della ragionevole durata del processo.
  Lo stesso vale – mi sia permessa un'altra osservazione – per l'assurdità delle nostre impugnazioni. Come è possibile ammettere che il pubblico ministero impugni una sentenza di assoluzione quando questa è stata pronunciata da un giudice che quindi ha già dubitato della colpevolezza dell'imputato? La nostra Costituzione dice che si può condannare soltanto al di là di ogni ragionevole dubbio. Se un giudice ha già dubitato o questo giudice era matto, e quindi andrebbe rimosso, oppure il giudizio di secondo grado non ha alcun senso. Faccio presente che nei sistemi anglosassoni tutto questo non esiste. Vi è, tuttavia, un interessante paragrafo incidentale, mi pare proprio del procuratore generale, che fa un giusto riferimento al giudizio rescindente e al giudizio rescissorio. È assurdo che da noi Pag. 19si possa condannare in appello, soprattutto se adesso ammettiamo l'appello con un giudice monocratico, e su una base puramente cartolare un imputato che sia stato assolto dopo mesi e mesi di processo dibattimentale orale, senza che siano intervenuti fatti nuovi.
  Ripeto, sono tutte criticità che emergono perché il nostro attuale sistema, con tutti gli sforzi che noi gli riconosciamo, è assolutamente incompatibile sia con il sistema accusatorio anglosassone, che avremmo voluto introdurre nel 1989, sia con quello che avevamo prima. Quindi, secondo me, con i migliori auguri, neanche questa riforma sortirà gli effetti che si prefigge. Grazie comunque per l'onore che mi è stato fatto e buon lavoro.

  PRESIDENTE. La ringrazio, dottor Nordio. Ciascuno dei nostri auditi, se vorrà, potrà comunque far pervenire contributi anche successivamente, perché il lavoro della Commissione certamente non finirà nei prossimi giorni, ma avremo davanti diverse settimane di lavoro. Ora darei molto volentieri la parola al dottore Luigi Levita. Buongiorno.

  LUIGI LEVITA, magistrato coordinatore dell'Ufficio GIP-GUP del Tribunale di Nocera Inferiore, professore di ordinamento giudiziario. La ringrazio, presidente. Ringrazio la Commissione per l'onore che stamattina mi concede nel potere esporre qualche breve considerazione sul disegno di legge C. 2345. Conterrò il mio intervento nei tempi che mi sono stati assegnati, anche perché rinvierò al deposito, di qui a qualche giorno, per iscritto, della mia breve traccia con le note esplicative che potranno tenere conto eventualmente anche dei suggerimenti che vengono dagli ulteriori auditi nonché dalle richieste degli onorevoli deputati.
  Farò tre brevissime considerazioni relative a una valutazione ad ampio spettro in merito al disegno di legge, per poi cimentarmi per qualche minuto su un aspetto che ritengo non sia assolutamente marginale con riguardo al testo.
  Diceva il presidente Canzio – e condivido assolutamente quello che lui rappresentava relativamente all'impianto generale della riforma – che c'è una tendenza del legislatore verso una chiara deflazione del sistema mediante l'ampliamento delle possibilità di utilizzo della composizione monocratica anche in appello. Effettivamente condivido le perplessità che lui acutamente manifestava poc'anzi; anzi direi che il valore della collegialità è irrinunciabile. Se fosse possibile e compatibile nell'ottica di ricostruzione del nostro martoriato codice di procedura penale, addirittura immaginerei una riserva di collegialità anche nella fase del giudizio del giudice per le indagini preliminari. Oggi ci troviamo di fronte a un sistema processuale che, a torto o a ragione, sopravvaluta il momento cautelare, avendo sottratto quella centralità al dibattimento che invece conoscevamo dai nostri istituti, e quindi rende necessario, a mio sommesso avviso, che proprio in questa fase tanto delicata, dove si incide non soltanto sulla libertà personale ma anche sul patrimonio, con le tematiche dell'aggressione patrimoniale sempre più vive e attive, si rifletta sulla collegialità.
  Sorvolo sull'intento del legislatore di scaricare sul magistrato il decorso infruttuoso dei termini per l'esercizio delle facoltà e dei doveri processuali con lo spettro del provvedimento disciplinare, perché dobbiamo intenderci su cosa vogliamo, vale a dire se vogliamo giudizi o pre-giudizi. Il giudizio è ponderazione, il giudizio è meditazione, il giudizio è ascolto delle rispettive posizioni delle parti. Se vogliamo giudizi frettolosi, allora vogliamo pre-giudizi. E credo che questo non giovi alla comunità e al popolo italiano per il quale noi amministriamo giustizia.
  Quanto, infine, all'ultima sollecitazione di ampio spettro, che prende le mosse anche da quello che diceva poc'anzi il procuratore Vaccaro, è vero che il momento emergenziale ci consegna la grande opportunità di implementare davvero il processo penale telematico, e naturalmente saremmo troppo tradizionalisti se non sfruttassimo l'occasione. Però io sarei molto attento nello stabilire cosa davvero consegnare alla telematica e quali attività mantenere in presenza. Non dimentichiamo l'habeas corpus, Pag. 20non dimentichiamo il dovere – senza contare la grande utilità – del giudice del dibattimento di ascoltare in viva voce, in presenza, piuttosto che con la mediazione di uno schermo, cosa gli riferisce il testimone.
  Il caso citato dal procuratore Vaccaro del povero denunciante che deve fare il giro dei vari uffici giudiziari per raccontare fatti pregressi su aspetti bagatellari è certamente un esempio. Ma io potrei fornire tanti altri esempi, come quello della persona offesa, vittima di violenza sessuale. Immagino le difficoltà di raccogliere quella deposizione mediata da uno schermo piuttosto che con il contatto diretto, da parte del giudice che può tenere conto del contegno del testimone, certamente accompagnandolo con la verbalizzazione e con la riproduzione audiovisiva.
  Esistono momenti come quello della formazione della prova, come quello dell'ascolto dell'indagato in caso di misura cautelare, che a mio parere sono irrinunciabilmente legati al mantenimento del sistema tradizionale. Per tutta una serie di atti e attività processuali – fase delle indagini, opposizione all'archiviazione e tanti altri momenti – naturalmente ben venga l'implementazione del sistema telematico, ma ciò non deve essere l'altare sul quale dobbiamo sacrificare millenni di garanzie. Dobbiamo sfruttare l'occasione, senza dimenticare i principi fondamentali.
  Venendo sinteticamente a uno dei tanti aspetti della riforma proposta dal disegno di legge C. 2435, mi soffermerò davvero per pochissimi minuti su uno strumento negletto, del quale nessuno degli illustri auditi odierni, e tantomeno degli auditi che hanno consegnato il loro contributo in Commissione Giustizia, ha parlato. Mi riferisco in particolare allo strumento del decreto penale di condanna, al quale il progetto di riforma dedica la lettera d) del comma 1 dell'articolo 4, immaginando una serie di accorgimenti per rivisitare l'istituto. Sottolineo come già la mera lettura del dossier di accompagnamento al disegno di legge consegni sull'argomento un quadro a tinte fosche. Mi sia concesso di scomodare il verso di quella canzone «Uno su mille ce la fa». Basta leggere il dossier per verificare che, su cento decreti penali di condanna emessi, ben novanta vengono opposti, e di quei dieci che non vengono opposti soltanto un 10 per cento viene avviato concretamente al recupero delle spese.
  Se moltiplichiamo la messe di questi decreti penali di condanna per tutti i tribunali di tutti i circondari di Italia raggiungiamo numeri spaventosi dal punto di vista dell'impegno personale richiesto dalla gestione di questo strumento, con risultati che evidentemente non sono correlati all'efficienza. Se partiamo da una riforma che nel suo titolo ha come incipit «la delega al Governo per l'efficienza del processo penale», ebbene dobbiamo renderci conto che non esistono totem.
  Anche questo piccolo istituto a mio parere funge da cartina di tornasole della volontà del legislatore di dare un nuovo slancio al sistema: ho immaginato, ad esempio, quali potrebbero essere piccoli e, si spera, grandi correttivi, perché l'utilizzo del decreto penale di condanna – chi frequenta le aule di giustizia e gli uffici giudiziari dall'interno lo sa bene – consenta al pubblico ministero, anche da un punto di vista eminentemente statistico, di definire immediatamente un fascicolo per il quale ritenga che non sia necessario raccogliere prove, considerata ragionevolmente provata la colpevolezza dell'indagato che diviene immediatamente imputato.
  Una volta però movimentato in questo senso, il fascicolo inizia una navetta tra gli uffici di cancelleria del giudice per le indagini preliminari per poi passare al giudizio dibattimentale, interessato in una prima fase, per consegnare, purtroppo ancora materialmente – perché il processo penale telematico non è una realtà in tutti i distretti – la data di celebrazione conseguente alla successiva opposizione dell'imputato.
  Nel frattempo, signori, si è perso, rispetto al momento iniziale di richiesta del decreto penale di condanna, se tutto va bene, un arco temporale fra gli otto, i dieci e i dodici mesi rispetto alla data di commissione del fatto. Quindi, la prospettiva di esercitare concretamente l'azione penale Pag. 21anche per i fatti che il legislatore non ritiene di particolare allarme sociale è annacquata.
  Molto più proficuo sarebbe, invece, citare immediatamente l'indagato che diviene poi imputato a giudizio davanti al tribunale. Questo consentirebbe di sgravare una cospicua fetta di risorse degli uffici del giudice delle indagini preliminari e degli uffici di cancelleria, segnatamente, e consentirebbe di converso una maggiore attenzione, che è assolutamente indubitabile, per tutti gli altri compiti che, è notorio, sono molto gravosi per queste tipologie di uffici e sui quali naturalmente non mi soffermo. Ancora e conclusivamente, se davvero vogliamo lasciare questo istituto vivo, possiamo ad esempio immaginare forme di raccordo tra il decreto penale di condanna e la particolare tenuità del fatto, oppure possiamo escludere che questo istituto abbia conseguenze penali premiali laddove si acceda alla messa alla prova.
  Spero che la connessione sia stata efficiente. Chiedo cortesemente al presidente di darmi un cenno di conferma.

  PRESIDENTE. Assolutamente sì, dottore Levita. Abbiamo potuto seguire il suo intervento senza interruzioni. La ringrazio per il suo contributo. A questo punto chiederei ai colleghi presenti, sia in aula che da remoto, se vogliono intervenire e se intendono porre domande ai nostri auditi. Possiamo iniziare con i colleghi Bazoli e Paolini che sono presenti in aula. Prego, onorevole Bazoli.

  ALFREDO BAZOLI. Grazie, presidente. Intervengo molto rapidamente, intanto per ringraziare gli auditi per le loro relazioni molto esaustive, complete e interessanti. Ho solo un paio di domande che vorrei rivolgere a tutti, ovviamente.
  La prima riguarda un tema che è stato toccato in particolare dal presidente Canzio, relativo alla modifica della regola di giudizio per il pubblico ministero nel momento della scelta tra l'archiviazione e il rinvio a giudizio, che sarebbe tesa a stringere le maglie, e quindi a evitare l'esercizio dell'azione penale quando questa non è strettamente necessaria. Tale intervento si accompagnerebbe ad un'analoga modifica della regola di giudizio anche per il giudice dell'udienza preliminare.
  Molti procuratori ci hanno detto che la modifica della regola di giudizio sarebbe utile perché li aiuterebbe a evitare di esercitare l'azione penale in alcuni casi in cui oggi nel dubbio procedono. Sarebbe utile a stringere un po' le maglie dell'azione penale. Però ci è stato detto che questa regola sul versante del GUP correrebbe il rischio di trasformare l'udienza preliminare in una sorta di pre-giudizio di merito che, in qualche modo, assegnerebbe ai procedimenti che vanno a dibattimento una sorta di marchio, per cui il soggetto interessato avrebbe già una sorta di pre-condanna sulle spalle. Questo, soprattutto per gli avvocati, sarebbe un grande problema perché costituirebbe una violazione del principio di non colpevolezza, o comunque un ulteriore grado di giudizio.
  Qualcuno ha suggerito, in particolare nelle audizioni di ieri, una possibile soluzione per cercare di corrispondere all'esigenza di ridurre in parte le azioni esercitate dai pubblici ministeri senza confliggere con il citato problema dell'udienza preliminare: si tratterebbe di introdurre una modifica della regola di giudizio che valga soltanto per i pubblici ministeri. In pratica, la modifica della regola di giudizio, che dovrebbe stringere un po' le maglie dell'azione penale, andrebbe applicata ai soli pubblici ministeri e non all'udienza preliminare. Chiederei quale sia l'opinione degli auditi. Potrebbe essere una soluzione interessante?
  L'altro aspetto che mi interessa è il tema della depenalizzazione. Si tratta di una vexata quaestio. Si dice che per risolvere il problema della giustizia penale in Italia, bisognerebbe depenalizzare, ma che non ci si riesce, e via dicendo. Qualcuno ci ha suggerito una soluzione che a me pare interessante, vale a dire quella di fare non una depenalizzazione di diritto ma una depenalizzazione di fatto, attraverso l'estensione calibrata ma significativa di un istituto come quello dell'archiviazione condizionata: in sostanza, si tratta di un'archiviazione Pag. 22 alla quale si accede quando la persona indagata adempia ad alcune prescrizioni da parte degli agenti accertatori dell'illecito. Ciò può consentire l'archiviazione del fatto. Avremmo quindi giustizia riparativa da un lato, ma anche deflazione del processo penale dall'altro.
  In Germania pare che questo sistema funzioni molto bene. Se si allargassero le maglie dell'archiviazione condizionata anche in Italia, questo consentirebbe una sorta di depenalizzazione di fatto, garantita tuttavia da alcuni adempimenti da parte di chi ha commesso l'illecito, e quindi una deflazione in concreto del carico dei nostri uffici. A me pare una soluzione interessante. Vorrei capire se gli auditi hanno qualche opinione in merito.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Bazoli. Onorevole Paolini, prego. A lei la parola.

  LUCA RODOLFO PAOLINI. Grazie, presidente. Più che altro vorrei manifestare la mia quasi totale conformità di pensiero sia con il procuratore Vaccaro sia con il procuratore Nordio. A proposito dell'esempio portato dal dottore Vaccaro, tante volte mi sono chiesto che senso abbia che una persona venga chiamata a ripetere cinquanta volte, in cinquanta parti d'Italia, fatti già noti e già verbalizzati. Si tratta di un esempio che sicuramente testimonia la bontà delle proposte de iure condendo in materia di documentazione degli atti, che tra l'altro a mio avviso supererebbero in modo quasi totalitario i dubbi sull'eventuale mutatio iudicis perché effettivamente, nel 90 per cento dei casi, la visione della registrazione video consente di riacquisire l'atto con la medesima originalità e autenticità di percezione di chi lo ha visto estrinsecarsi dal vivo.
  Non meno valida è l'eccezione presentata dal dottore Levita, relativa al fatto che in certi casi, come quello della donna violentata, evidentemente la percezione che la giuria e le parti del processo ricavano dalla testimonianza diretta non può certamente venire resa in altro modo. Chiedo se ad avviso degli auditi – che, a seconda di cosa preferiscono, possono rispondere in questa sede o successivamente – la soluzione potrebbe essere quella di creare, visto che siamo in tema di riforme, binari differenziati rimessi anche qui – credo sia la strada giusta – all'autorità del Parlamento, non potendo decidere il singolo procuratore per quanto animato dai migliori intenti.
  Mi chiedo se, ad avviso degli auditi, la soluzione sia quella di creare canali differenziati. Faccio l'esempio della mutatio iudicis in un caso bagatellare, in cui l'acquisizione del video o dell'audio può tranquillamente essere considerata sufficiente, mentre invece in taluni casi, sempre identificati dal legislatore, resterebbe ferma la facoltà del giudice o del pubblico ministero di richiedere la ripetizione della prova, evitando il ricorso alla sola trascrizione virtuale. Quindi, vi chiedo se siete favorevoli o contrari a canali differenziati in questa e in altre questioni, al fine di risolvere concretamente il problema. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, onorevole Paolini. Do ora la parola all'onorevole Vitiello, prego.

  CATELLO VITIELLO (intervento da remoto). Grazie, presidente. Vorrei innanzitutto rivolgere una domanda al presidente Canzio che ringrazio per la sua audizione, per il suo garbo e per tutto ciò che ha detto. Soltanto su uno dei temi che ha approfondito, vorrei chiedergli qualcosa di più.
  Sulla regola di giudizio il presidente Canzio ha affermato che giustamente si vuole alzare la soglia. Io non sono troppo d'accordo con il termine «giustamente», come si potrà immaginare anche dalla domanda che farò. Presidente Canzio, non ritiene che alzare la soglia con la regola di giudizio della ragionevole condanna possa portare a un risultato in controtendenza rispetto all'efficienza che ci si prefigge con questa delega? Mi spiego meglio. Se l'approfondimento deve essere massimo, e quindi si arriva a un giudizio di merito, perché la valutazione della ragionevole condanna presuppone un giudizio nel merito da parte del GUP, mi chiedo: l'approfondimento in udienza preliminare non sarà Pag. 23innegabilmente più coinvolgente per il giudice dell'udienza preliminare che dovrà esprimersi in tal senso? Mi chiedo, inoltre, al netto della definizione che è certamente diversa, in che modo si differenzia questa tipologia di giudizio rispetto all'abbreviato. Ancora, sempre sulla regola di giudizio, noi conosciamo la giurisprudenza che ritiene che il profilo cautelare debba tenersi distinto dalla regola di giudizio attuale, quella della sostenibilità dell'accusa in giudizio, perché la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, riguardando un aspetto più specifico, non può essere ritenuta sovrapponibile alla sostenibilità dell'accusa, che è molto più ampia. In che modo potrà cambiare la giurisprudenza – anche in base all'esperienza del presidente Canzio, che è certamente molto analitica sul punto, perché egli ci potrà spiegare il punto di vista della Cassazione, e quindi del giudice di legittimità – soprattutto nel caso in cui tale rapporto in qualche misura pregiudichi, attraverso il valore che acquisirà il giudicato cautelare, ciò che accadrà in un momento successivo nell'accertamento dibattimentale, qualora quest'ultimo si dovesse verificare in conseguenza del giudizio del GUP? Questa è la domanda per il presidente Canzio.
  Ho poi ascoltato con estremo interesse, sebbene mi trovi su posizioni diametralmente opposte, il procuratore Vaccaro. Chiedo a lui se, quando ha fatto riferimento al rafforzamento delle tutele della persona offesa – posto che ritengo giusta l'osservazione –, si riferisse a una tutela relativa al momento investigativo, vale a dire a quello delle indagini preliminari, o invece alla tutela della parte civile all'interno del processo, così cambiando anche in parte l'idea del modello processuale che invece volge l'attenzione all'imputato, perché è il soggetto che in quel momento sta subendo la prima pena, vale a dire quella rappresentata dal processo penale.
  Rivolgo una seconda domanda, sempre al procuratore Vaccaro. Io non voglio assolutamente entrare in polemica con il procuratore Vaccaro. Ci mancherebbe altro; egli è stato tanto gentile da venire qui in audizione, quindi il mio intervento è fuor di polemica. Gli rivolgo comunque la domanda, sperando che si capisca che non voglio certamente polemizzare sul punto. Procuratore Vaccaro, lei ritiene che il processo penale possa essere valutato alla stregua di un talk show o della riunione odierna, laddove noi siamo certamente attenti nell'ascoltare ciò che viene detto, ma non abbiamo sulla nostra coscienza la spada di Damocle della vita di una persona su cui dovere decidere? Lei ha fatto riferimento al processo telematico, addirittura aggiungendo che sarebbe preferibile videoregistrare tutto. A questo punto la dico tutta: sopprimiamo il dibattimento di merito e si va direttamente alla camera di consiglio che il procuratore ritiene si debba fare in presenza. Non riesco a capire perché a quel punto la camera di consiglio dovrebbe essere svolta in presenza. Meglio mettersi d'accordo tutti insieme via computer. Basterebbe una telefonata. Mi dispiace se viene fuori un minimo di polemica; non voglio certamente suscitare ilarità. Vorrei soltanto approfittare di questo momento di confronto per approfondire un tema che secondo me è molto importante perché ne va della centralità del dibattimento: dobbiamo sempre ricordare che si tratta del momento nel quale l'epistemologia dovrebbe condurre ad una conoscenza certa oltre ogni ragionevole dubbio.
  Procuratore Vaccaro, proprio su questo ultimo profilo, non ritiene che una videoregistrazione possa in qualche misura minare il libero convincimento del giudice, che non sarà più libero come l'articolo 192 del codice di procedura penale richiede? Su questo aspetto sono abbastanza perplesso.
  Tornando all'udienza preliminare, vorrei infine chiedere a tutti – perché potrebbe essere un profilo di studio per questa Commissione proprio nella prospettiva della riforma – se, invece che modificare la regola di giudizio, si possa intervenire sull'articolo 417 del codice di procedura penale laddove, alla lettera b) del comma 1, ritiene che l'enunciazione in forma chiara e precisa del fatto sia il modo ideale, tanto da essere addirittura sanzionabile il caso contrario, per inquadrare la sussunzione Pag. 24dell'accusa da parte del pubblico ministero. Ritenete che si possa invece modificare la lettera c) del comma 1 del medesimo articolo 417, cercando di elevare l'attenzione del pubblico ministero che propone l'ipotesi accusatoria, attraverso l'indicazione specifica delle fonti di prova con la precisazione degli elementi costitutivi del reato ai quali tali fonti di prova fanno riferimento? Ciò potrebbe in qualche misura aiutare il GUP a giudicare e a capire qual è effettivamente il tipo di cernita che dovrà operare con riguardo alla sostenibilità dell'accusa a giudizio? Non ho altre domande. Grazie mille.

  PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Vitiello. Do ora la parola all'onorevole Giuliano, dopo il cui intervento non ne sono previsti altri. Pregherei la collega di essere sintetica nel porre le domande. So che lo farà. Chiedo sin d'ora ai nostri auditi altrettanta sinteticità nelle risposte, nonostante che le domande e gli interventi siano meritevoli di ben più ampio approfondimento. Onorevole Giuliano, a lei la parola.

  CARLA GIULIANO (intervento da remoto). Grazie, presidente. Ringrazio tutti gli auditi per la loro presenza, la loro disponibilità e per i contributi pregiati e pregevoli che ci hanno fornito. Cercherò di essere molto sintetica.
  La prima domanda è per il dottore Levita. Dottore Levita, le rivolgo la domanda perché per un salto di connessione ho perso un passaggio del suo intervento. Per quanto riguarda il decreto penale di condanna, a me sembra di avere capito che lei parlasse di sostituire eventualmente le ipotesi che sono previste dall'articolato del progetto normativo, invece che con il decreto penale di condanna, con la citazione diretta a giudizio. Questa è una domanda volta a chiarire se ho inteso correttamente.
  Vorrei rivolgermi al dottor Canzio, per capire bene alcuni aspetti. Quando il dottor Canzio ha parlato del giudizio abbreviato, mi pare di avere rilevato una sua contrarietà, nel senso che la riforma non sarebbe sufficientemente coraggiosa e quindi non incentiverebbe concretamente, così come invece è nel suo spirito, il ricorso ai riti alternativi, e in modo particolare al giudizio abbreviato. Quello che chiedo al dottor Canzio è: alla luce di come è normato il giudizio abbreviato nel disegno di legge, non ritiene che la questione della valutazione del criterio dell'economicità dell'integrazione probatoria ai fini del risparmio del dibattimento possa essere, invece, un'arma importante sia in termini deflattivi, sia in termini agevolatori della propensione verso questo tipo di procedimento?
  Mi rivolgo sempre al dottore Canzio. Anche in questo caso mi è saltata la connessione, quindi mi scuso per queste domande. Dottor Canzio, mi pare di avere colto una sua contrarietà rispetto al fatto che i processi che in primo grado sono di competenza del Tribunale monocratico vengano decisi analogamente, in sede di appello, non più da un collegio ma dal giudice monocratico. Non ritiene invece che, proprio a fronte del carico enorme di processi in sede di appello a livello nazionale, questa misura, pur con un piccolo sacrificio – forse è quello di cui lei parlava – che tuttavia in molte ipotesi è soltanto formale, possa dare maggiore speditezza alle decisioni, e questo con vantaggio sia da parte dell'imputato sia per la efficienza della macchina della giustizia?
  Da ultimo, vorrei porre al dottor Vaccaro due domande che riguardano in particolare l'articolo 12 del progetto di riforma, e quindi la parte che dà ai singoli uffici la possibilità di stabilire misure organizzative adeguate per contemperare il rischio di sanzioni disciplinari per i magistrati che poi non riescono a rispettare i tempi prescritti. Vorrei dal dottor Vaccaro ulteriori riflessioni su come si possa migliorare, dal suo punto di vista, questa norma.
  Da ultimo, dottor Vaccaro, vorrei inoltre ulteriori sollecitazioni, che ritengo opportune dal mio personale punto di vista, sul processo penale telematico e digitale sia per quanto riguarda – come diceva lei – l'intero processo in modo da consentire a chiunque, cioè alle parti interessate e alle parti offese, di seguirne l'intero corso, sia Pag. 25soprattutto per quanto riguarda la regola di giudizio.
  Mi scuso, presidente. Mi è tornata in mente una terza domanda, da rivolgere in comune al dottor Canzio e al dottor Vaccaro. Vorrei avere ulteriori riflessioni da entrambi gli auditi sulla modifica dell'articolo 190-bis del codice di procedura penale e sulla rinnovazione dibattimentale nel caso di modifica di uno dei componenti del collegio. Lei, dottor Vaccaro, ci ha rivolto già alcune sue sollecitazioni. Dal dottor Canzio, invece, vorrei sapere se i correttivi di cui ha parlato vanno nella direzione espressa dal dottor Vaccaro oppure se ne suggerisce di ulteriori. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Giuliano. Per le repliche darei la parola agli auditi secondo l'ordine degli interventi precedenti. Prego, dottor Canzio, a lei la parola.

  GIOVANNI CANZIO, primo presidente emerito della Suprema Corte di Cassazione. Grazie, presidente. Provo a rispondere sinteticamente, anche se le domande sono moltissime. Provo a mettere insieme quelle di argomento analogo.
  Gli onorevoli Bazoli e Vitiello chiedono la mia opinione sulla regola di giudizio per archiviazione e per sentenza di non luogo a procedere. Il nostro codice è orientato in termini di sistema accusatorio. Qualunque sistema accusatorio, sia pure misto qual è il nostro, ha bisogno che non si celebrino a dibattimento giudizi inutili e superflui. La complessità sta proprio nel decidere qual è la regola di giudizio che può evitare il dibattimento inutile e superfluo. Ha funzionato la regola dell'articolo 125 delle disposizioni di attuazione e dell'articolo 425 del codice di procedura penale sull'idoneità degli elementi a sostenere l'accusa in giudizio? Non credo che abbia funzionato, per due ragioni: perché è un filtro a maglie troppo larghe e perché il giudice delle indagini preliminari è un giudice debole, è un giudice fragile, non è un giudice forte. Le cose devono camminare insieme.
  A me sembra che la proposta riformatrice vada in questa direzione, perché nel distribuire la regola di giudizio nel modo detto, rende più forte il giudice, sia quello delle indagini preliminari che quello dell'udienza preliminare. Non capisco perché anche in questo caso occorrerebbe riservare al pubblico ministero, come si sta facendo negli ultimi anni, soluzioni privilegiate rispetto alla forza che occorre invece attribuire al controllo del giudice. Cosa si obietta? (Audio assente).
  Nei sistemi accusatori nessuno ha mai posto questo problema: ci si muove per prognosi, per probabilità, fino ad arrivare a quel giudizio dibattimentale che è il giudizio della diagnosi. I giudici si muovono attraverso plurime prognosi. Allora io chiedo: una misura coercitiva, che pretende di creare indizi di colpevolezza e che secondo la Corte costituzionale significa qualificata probabilità di condanna dell'indagato, è meno pregiudizievole, se si tiene conto del successo di tutto questo nel riesame in Corte di cassazione del giudicato cautelare?
  Siamo sullo stesso terreno. Nessun giudice del dibattimento si è mai sentito pregiudicato dal fatto che ci fosse un giudicato cautelare su una misura coercitiva fondata su gravi indizi di colpevolezza. Ecco perché ho posto un problema di natura culturale. Il problema culturale riguarda la formazione professionale dei magistrati sul terreno epistemologico. Lavorare con le prognosi significa lavorare con le probabilità; lavorare con le probabilità significa avere nozioni epistemologiche e logiche. Ma questo è un problema di formazione, di cultura. Credo che sia sistematicamente coerente individuare una regola di giudizio, un criterio di giudizio, che eviti il dibattimento inutile e superfluo. Il giudizio abbreviato è un'altra cosa: è un giudizio non dibattimentale ma abbreviato appunto, che si risolve in una diagnosi, anche attraverso escussioni probatorie se è necessario.
  Rispondo sempre molto sinteticamente, chiedendo scusa se non posso approfondire ulteriormente il tema. Mi ricollego alle domande dell'onorevole Giuliano. Io non ho detto che la norma sul giudizio abbreviato condizionato sia una norma non legittima o priva di fondamento; anzi è una norma Pag. 26fondatissima. Ho detto che è una riforma di tipo puramente lessicale, perché l'economia processuale, che è il tertium comparationis dato dalla durata del dibattimento, è già nella cultura del giudizio abbreviato. La Corte costituzionale l'ha già detto in numerose sentenze. Il giudice deve tenere conto per l'abbreviato condizionato e per l'integrazione probatoria di questo dato. Ho soltanto detto che è una modifica lessicale che non sposterà di un millimetro il numero dei giudizi abbreviati che si fanno, perché si tratta di una regola già implicita.
  Sull'appello monocratico vorrei insistere. Ricordo che alcuni anni fa venne in mente a qualcuno in Parlamento di elaborare una riforma che riduceva i collegi della Corte di cassazione da cinque a tre. Il meccanismo era lo stesso. In quella occasione riuscimmo a fermare la riforma che sarebbe stata sciagurata per la Corte, dimostrando che un consigliere della Corte di cassazione che, a differenza del giudice d'appello, scrive 400 sentenze l'anno, facendo parte di un collegio di cinque membri, non ne scriverà una in più – forse qualcuna in meno – nel momento in cui dovesse far parte di un collegio di tre giudici, tanto più considerato che non ci sono le aule e non ci sono i cancellieri, per moltiplicare le udienze e i processi.
  La stessa cosa vale per l'appello. Voi pensate alle aule e ai cancellieri necessari per i singoli giudici monocratici. E credete che quel consigliere monocratico, che sta già al limite scrivendo una sentenza ogni due giorni, possa emettere un'ulteriore sentenza e fare un processo in più rispetto ai 180-200 che fa un ogni anno? È un'illusione ottica. L'idea di per sé non è astrusa; però è un'illusione ottica pensare che, rendendo monocratici i giudici di appello, i processi – sicuramente quelli di minore portata – improvvisamente esiteranno in un numero di sentenze più alto.
  Poi – lo ribadisco ancora una volta – l'appello è controllo, è critica, ha bisogno di collegialità. La collegialità è un valore. Riduciamo gli appelli, attraverso tante soluzioni di cui ho parlato e che sono anche nel progetto di riforma. Riduciamo gli appelli ma manteniamo la collegialità.
  Sull'articolo 190-bis del codice di procedura penale, rispondo contemporaneamente all'onorevole Giuliano e all'onorevole Paolini. Vado anche in questo caso molto velocemente. Il principio di immediatezza ha una valenza costituzionale e anche una valenza convenzionale con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Per quanto riguarda il famoso doppio binario, la Corte costituzionale, con la sentenza del 2019 che ho citato, e la Corte europea dei diritti dell'uomo hanno già dichiarato che per i processi di particolare complessità e gravità per l'allarme sociale dei reati sottostanti – e lo sappiamo –, laddove ci sono vittime vulnerabili, l'articolo 190-bis è una regola accettata. Non si discute. Laddove, invece, siamo fuori dall'ambito dell'allarme sociale e della vulnerabilità, occorrono serie misure compensative per la difesa. La difesa deve, cioè, poter chiedere e ottenere la ripetizione della prova dichiarativa ogni qualvolta quella prova sia – dice la Corte europea diritti dell'uomo – talmente importante da essere determinante per la decisione. Questo è il punto: individuare misure compensative che consentano tutto questo. In caso contrario la questione sarebbe portata alla Corte costituzionale.
  Se ho ben capito, c'era un'ultima domanda dell'onorevole Bazoli. Onorevole, le dico sinceramente che da quando sono entrato in magistratura – e sono passati cinquanta anni – sento parlare di depenalizzazione; ma si procede come il gambero, un passo avanti e due passi indietro. Non ci credo più. Credo molto di più ai criteri di priorità e semmai all'archiviazione condizionata. Certo, il futuro in gran parte si gioca sul terreno della giustizia riparativa, vale a dire sull'osservanza di prescrizioni date per chiudere il processo penale. Però questo richiede un'organizzazione forte, serrata, rigorosa nell'applicazione e nel controllo delle prescrizioni.
  Infine, se non ho dimenticato altre domande, l'onorevole Vitiello mi chiedeva dell'articolo 417 del codice di procedura penale. Sull'articolo 417, in merito alla enunciazione chiara e precisa nell'addebito, è intervenuta la sentenza Battistella delle Sezioni Pag. 27 Unite della Cassazione penale del 2008, che ha creato la prima finestra di giurisdizione proprio su questo aspetto e ha dato al giudice il potere di interloquire con il pubblico ministero e di costringerlo a rendere chiara e precisa la sua imputazione. Si è trattato di un primo caso in cui al giudice è stato riconosciuto il potere di controllare, dentro la giurisdizione, la scarsa chiarezza e univocità dell'imputazione.
  Per la richiesta di rinvio a giudizio, di fronte alla nuova regola dell'articolo 125 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale e dell'articolo 425 del codice di procedura penale, certamente il pubblico ministero avrà l'onere di enunciare analiticamente gli elementi di prova. Io credo che la direzione sia giusta. Molto dipenderà dalle capacità applicative, dalla cultura e dalle prassi che adotteranno i giudici nel rispetto dei principi costituzionali. Naturalmente occorrono aggiustamenti seri per evitare che la riforma sia soltanto una mera enunciazione. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, dottor Canzio. Dottor Vaccaro, prego.

  LUDOVICO VACCARO, procuratore capo della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Foggia. Grazie. Cerco di rispondere velocemente, per flash, alle varie domande. Vorrei fare una breve premessa. Io ringrazio l'onorevole Vitiello e preciso che non c'è affatto il rischio della polemica, per tante ragioni: un po' perché sono abituato per mestiere a confrontarmi con chi la pensa diversamente, e poi perché su questo terreno mi muovo davvero con grande prudenza, anche nell'esprimermi. Svolgo considerazioni che derivano dall'esperienza. Credo che il confronto avvenga in un'ottica costruttiva; non ho alcuna pretesa, neanche soggettiva, di essere nella verità. Quindi assolutamente non c'è il rischio della polemica; anzi ringrazio l'onorevole Vitiello per avermi consentito di precisare meglio il mio pensiero.
  Detto questo, partirei proprio dalle domande dell'onorevole Vitiello. Per quanto riguarda la tutela della persona offesa, come ho cercato di dire già nel primo intervento, credo che si debba sempre più perseguire il concetto della giustizia riparativa, il che significa porre maggiormente attenzione alle vittime del reato e concepire il momento del processo anche come l'occasione di una riparazione. In un'ottica di giustizia riparativa bisogna dare alla parte offesa una maggiore centralità, ma ovviamente mi riferisco alla fase delle indagini preliminari. Nella fase del dibattimento, per la parte civile, si tratta di una situazione diversa, volta a consentire a chi è vittima dei reati una maggiore possibilità di essere parte di un processo che mira all'accertamento di quei reati.
  Sempre nella stessa ottica – e così rispondo anche alla domanda dell'onorevole Bazoli –, la mia posizione è favorevole alle archiviazioni condizionate e all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato. Il processo ha e deve avere questa funzione riparatoria. Poi ovviamente bisognerà valutare attentamente la tipologia dei reati e gli interessi offesi. Per esempio, nel progetto di riforma figura l'idea di estendere il meccanismo di giustizia riparatoria, sperimentato per le contravvenzioni in materia di ambiente o di prevenzione degli infortuni, a tutte le contravvenzioni che abbiano la possibilità di eliminazione o di elisione delle conseguenze pericolose e dannose del reato. Qualsiasi iniziativa in questo senso, che valorizzi la condotta riparatoria, restitutoria, ripristinatoria dell'indagato, è da me ben vista e costituisce, a mio avviso, un importante strumento di deflazione.
  Vengo alla questione principale. Onorevole Vitiello, colgo la sua frase giustamente provocatoria quando diceva che il processo non è un talk show. Lo so, la penso così anch'io. Se ho dato questa impressione, forse ciò è dovuto al paragone che ho utilizzato. Provo ad esprimermi diversamente. Io credo che oggi siamo abituati, anche grazie ai talk show, a un metodo di conoscenza che annulla le distanze. È un problema epistemologico, in qualche modo. Mi consentite un paragone? Leggevo che oggi è importante non più sapere, ma saper cercare, perché in fondo in un telefono cellulare abbiamo tutto il sapere possibile e Pag. 28immaginabile. È un po' la stessa cosa. Noi siamo abituati – perché nasciamo così – ad apprendere attraverso le immagini in maniera, a mio avviso, poco dissimile, se non in certi casi assolutamente non dissimile, rispetto all'esperienza in presenza.
  La didattica a distanza, lo smart working e comunque, in generale, la possibilità di interloquire a distanza come stiamo facendo oggi, mi rendono propenso a un'apertura, ovviamente graduale e prudente, a un'istruttoria a distanza, con alcune salvaguardie, prevedendo tale possibilità, salvo che il difensore di ciascuna delle parti o il giudice di sua iniziativa non ritenga di dovere comunque disporre l'istruttoria in presenza. In questo modo potremmo davvero avvicinarci alle esigenze delle persone che per testimoniare devono fare migliaia di chilometri a loro spese: perché quel famoso testimone che veniva da Trento e doveva andare a Foggia, in Sicilia, e poi a Napoli, viaggiava a proprie spese.
  A me pare che se vogliamo creare un processo nuovo e moderno, che non sacrifichi le esigenze difensive, ma che sia più rispondente alle attuali modalità di gestione delle relazioni anche attraverso gli strumenti informatici, possiamo aprirci a un'istruttoria a distanza, con la prudenza che sempre occorre, soprattutto quando si intraprende una strada nuova.
  Se così è, lo stesso principio per cui le immagini in qualche modo, senza trasformare il processo in talk show, possono sostituire l'interrogatorio diretto mi porta a dire che, nel caso di mutamento del giudice, sarebbe positiva una regola generale di salvaguardia dell'attività istruttoria svolta, purché sia stata documentata in maniera assolutamente completa, tale da far percepire al nuovo giudice, attraverso una videoregistrazione, anche la mimica, i volti, la gestualità, e tutto ciò che rientra in un concetto ampio di espressione. Anche in questo caso sarebbe garantita alle parti la possibilità, peraltro già prevista, di rappresentare al giudice l'esigenza motivata di una ripetizione, in tutto o anche soltanto in parte, dell'attività istruttoria già svolta.
  L'esperienza ci insegna, onorevole Vitiello e onorevoli componenti della Commissione, che molte volte la reiterazione dell'attività istruttoria, oltre che limitarsi all'acquisizione del consenso delle parti a rinunciare all'ascolto, si traduce in un rito quasi inutile o spesso inutile. Allora, apriamo la strada con coraggio alla possibilità del recupero di un'attività istruttoria verbalizzata in maniera precisa – ora vengo all'ultima domanda sulla videoregistrazione –, salva la possibilità per i difensori delle parti di chiedere al giudice una reiterazione totale o parziale.
  Io aprirei a queste due possibilità, istruttoria a distanza e recupero dell'attività istruttoria svolta. Sono aspetti connessi che si fondano entrambi sulla valorizzazione della comunicazione telematica come fonte di conoscenza, salva in entrambi i casi la possibilità di una deroga in base alle esigenze.
  Mi riallaccio al caso che è stato giustamente portato dal collega Levita a proposito della ragazza testimone di una violenza sessuale. Pensiamo anche all'imprenditore che deve testimoniare davanti all'autore dell'estorsione ai suoi danni, in certi contesti di criminalità. Lì probabilmente la distanza addirittura assicurerebbe una maggiore libertà e una maggiore genuinità della deposizione. Si può pensarla diversamente. Tuttavia, in base alla mia esperienza, sono convinto che l'apertura verso forme di istruttoria a distanza e il recupero dell'attività istruttoria ben verbalizzata nel caso di mutamento del giudice vadano sperimentate, con le clausole di salvaguardia che ho citato.
  Quanto alla videoregistrazione, onorevole Vitiello, lei dice che minerebbe il libero convincimento del giudice. Io dico che, più che minarlo o vincolarlo, lo lega ai risultati probatori. Sa cosa chiedo ai miei sostituti, laddove è possibile? Chiedo di registrare le assunzioni di informazioni e di videoregistrare gli interrogatori, proprio perché non ci sia possibilità nella verbalizzazione di mistificare, sia pure in perfetta buona fede, la realtà dell'acquisizione probatoria. Quindi dico di registrare l'incontro, dal momento in cui la persona informata sui fatti entra fino al momento in cui esce. Chiedo di videoregistrare l'interrogatorio dell'indagato, Pag. 29 affinché non vi sia spazio per i sospetti in relazione a quanto avvenuto. Credo che la videoregistrazione ancori il giudice alle risultanze probatorie per la forza che di per sé hanno immagini e voci registrate. Se poi il giudice riterrà di discostarsi dal risultato probatorio, dovendone dare conto, avrà un onere di motivazione ancora più forte. Credo che questo sia un valore, vale a dire responsabilizzare il giudice di fronte all'evidenza di una documentazione che cristallizzi in maniera inconfutabile quello che è il risultato probatorio. Io credo fortemente nelle potenzialità di un processo moderno che cristallizzi le prove.
  Per quanto riguarda la regola di giudizio - e concludo -, sono perfettamente d'accordo con il presidente Canzio. Da sempre l'udienza preliminare come un pendolo si muove fra questi due binari: essere un'udienza filtro e non pregiudicare il dibattimento. È ovvio che più filtro, più getto un pre-giudizio sul dibattimento. In realtà l'esperienza ci dice che non filtra niente e che così non ha senso. L'unico senso dell'udienza preliminare oggi si ha quando ci sono i riti alternativi. Allora io sono d'accordo, abituiamoci a giudizi prognostici che non sono il giudizio di merito definitivo sull'accertamento del fatto e della responsabilità.
  Concludo dicendo che sono favorevole alla modifica della regola di giudizio perché comunque resta una mera prognosi che nulla toglie alla libertà e alla genuinità di quello che sarà il giudizio probatorio di merito dibattimentale. In sintesi, credo di avere risposto a tutte le domande, però francamente dico che dovremmo sperimentare la fase di un processo moderno informatizzato e con documentazione digitale di tutta l'attività. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, dottor Vaccaro. Dottor Nordio, a lei la parola.

  CARLO NORDIO, già procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Venezia. Presidente, poiché ho avuto alcune difficoltà di ricezione, mi chiedevo se ci fosse stata una domanda specifica a me rivolta o se vi aspettaste soltanto delle osservazioni finali.

  PRESIDENTE. Non è riuscito a seguire gli interventi dei colleghi?

  CARLO NORDIO, già procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Venezia. Ho sentito tutti gli interventi dei deputati, ma evidentemente mi è sfuggito quello in cui mi si rivolgeva una domanda. Non mi pare che mi siano state rivolte domande specifiche.

  PRESIDENTE. No, si è trattato di richieste di carattere generale, rivolte a tutti gli auditi.

  CARLO NORDIO, già procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Venezia. Allora brevissimamente, ho poco o nulla da aggiungere a quello che è stato detto dai due colleghi che abbiamo sentito adesso, sia per quanto riguarda la regola del giudizio sia per quanto riguarda il giudice monocratico in appello, che non renderebbe i processi più rapidi per le ragioni matematiche che Canzio ha già esposto prima. Sappiamo benissimo che, indipendentemente dalla composizione del giudice, il numero delle sentenze prodotte sarebbe lo stesso. Un aspetto importante, interessantissimo, riguarda, invece, l'atteggiamento culturale che dovrebbe avere il giudice delle indagini preliminari nei confronti del giudizio prognostico dell'indagine che gli viene prospettata. Io ero un pubblico ministero già nel 1989, quando è entrato in vigore il nuovo processo penale. Tutti speravamo che il giudice dell'indagine preliminare o il giudice dell'udienza preliminare fosse realmente un giudice di filtro; in realtà abbiamo assistito a una sorta di passacarte. Per una serie di ragioni anche pratiche, più o meno nobili, dovute al fatto che una sentenza di non luogo a procedere andava motivata mentre una ordinanza di rinvio a giudizio si risolveva in poche righe, la gran parte delle richieste del pubblico ministero venivano accolte e si facevano processi che poi in gran parte si concludevano con proscioglimenti. Addirittura, molte richieste di archiviazione venivano respinte dal giudice delle indagini preliminari. E anche questa, secondo me, è un'anomalia nel processo Pag. 30accusatorio, perché comporta che si va a un dibattimento con un pubblico ministero che non crede nell'accusa per il fatto stesso che ha chiesto il proscioglimento. Il giudice, che dovrebbe essere vergine di ogni cognizione, si trova a giudicare un imputato nei cui confronti lo stesso accusatore chiede, o dovrebbe chiedere, in via preliminare il proscioglimento. Questa è un'altra contraddizione, una delle tante. Ne ho indicate prima molte altre. È un processo accusatorio imperfetto. Concluderei con una frase di Platone, il quale diceva che è molto meglio avere una legge insensata e un giudice di buon senso piuttosto che il contrario. Però questo è un problema culturale, l'ha detto prima benissimo il presidente Canzio. Bisogna che il giudice delle indagini preliminari faccia il suo dovere, si responsabilizzi e non abbia quella sorta di piccola viltà di devolvere all'organismo collegiale o monocratico, quando sarà, l'assunzione di una risoluzione che dovrebbe essere sua. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, dottore Nordio. Do la parola al dottor Levita.

  LUIGI LEVITA, magistrato coordinatore dell'Ufficio GIP-GUP del Tribunale di Nocera Inferiore, professore di ordinamento giudiziario. Presidente, telegraficamente, ringrazio l'onorevole Giuliano perché mi consente di fornire un chiarimento in riferimento ad un momento del mio intervento nel quale, mentre stavo esponendo le mie considerazioni, la connessione andava e veniva. Io non ho detto che bisogna sostituire il modello del decreto penale di condanna con quello della citazione diretta. Dico una cosa forse più radicale: il modello del decreto penale di condanna ha fallito. È un dato di fatto e lo dice lo stesso Governo nella misura in cui, in accompagnamento all'articolato normativo, ci rappresenta che soltanto uno su cento – e quindi in proporzione uno su mille – sono i procedimenti che riescono a essere conclusi con l'apprensione di somme da parte dello Stato. Allora si modifichi lo strumento con alcuni correttivi ai quali ho fatto cenno oppure si sia coraggiosi, si prenda atto del fallimento di questo modello e lo si depenni dal nostro sistema processuale, perché ciò non costituisce alcun vulnus; anzi si tratta di una presa di coscienza del legislatore che prende atto – il Governo stesso lo ammette – degli aspetti che, in base all'esperienza degli ultimi quindici, vent'anni, non sono andati come ci si attendeva, quanto a questo specifico strumento.
  Tra l'altro, mi sia consentita una breve digressione. Spesso un'immagine è più evocativa di mille parole. Proprio stamattina, sulla mia scrivania, insieme al lavoro quotidiano mio e dei colleghi, è capitato – eccolo qua, lo porgo all'attenzione degli auditi e della Commissione – un decreto penale di condanna del 1996, sul quale per varie vicende oggi sono chiamato a esprimere il mio convincimento. Certamente si tratta di un caso limite ma, messo insieme a tutte le considerazioni che ho già speso, l'episodio testimonia che probabilmente il modello va radicalmente rivisto, prevedendo premialità che lo aggancino alla messa alla prova, che lo leghino concretamente all'attività del fatto, che precludano al pubblico ministero di reiterare la richiesta, una volta che ai sensi del comma 5 dell'articolo 460 del codice di procedura penale non si è addivenuti a notificazione all'imputato. Capita anche questo nelle aule di giustizia: capita che il pubblico ministero continui a chiedere l'emissione di un decreto penale di condanna anche se, dopo il primo tentativo, la notifica non è andata a buon fine, perché si crede che quello sia il modo più rapido di consegnare il fascicolo all'attenzione del giudice. Ma così non è.
  Concludo davvero telegraficamente sul problema dell'istruttoria a distanza e del processo in presenza. Certamente le sollecitazioni del processo penale telematico vanno raccolte e incrementate; tuttavia credo – e ribadisco il mio convincimento – che in certi ambiti, quali la formazione della prova e l'ascolto dell'indagato, non si possa prescindere dalla presenza fisica. Si può lavorare, con interventi di «ortopedia normativa», ad esempio, sull'articolo 238 del codice di procedura penale, e quindi immaginare forme di acquisizione delle prove raccolte nei diversi procedimenti, scongiurando il rischio Pag. 31che il povero testimone debba fare la spola tra i vari tribunali italiani.
  Naturalmente questo è un rischio che il legislatore deve attentamente ponderare perché, se esercita in maniera arbitraria o comunque non oculata la sua discrezionalità, c'è la possibilità concreta di creare reati di serie A, per i quali può vigere un modello di acquisizione della prova qualificato, e reati di serie B, per i quali questo modello non è di fatto permesso. Ma naturalmente questo è un tema che affidiamo alla saggia discrezionalità del legislatore.
  Ribadisco che credo sia assolutamente fondamentale il contatto umano della persona presente con il suo giudice. A me personalmente, sulla base della mia esperienza, anche in questo momento difficile di pandemia, risulta estremamente disagevole interrogare a distanza l'indagato sottoposto a misura precautelare, quindi in stato di detenzione. La pandemia purtroppo rende ciò necessario, ma io vorrei sempre vedere dinanzi a me l'indagato. Tutte le soluzioni più o meno tendenti all'efficienza, che sfuggono da questi principi, non mi troveranno mai d'accordo. Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Ringrazio lei, dottore Levita, e gli altri auditi a nome di tutti i commissari, non solo per i contributi di elevato spessore che hanno ritenuto di mettere a disposizione di noi tutti per il prosieguo dei lavori, ma anche per aver acconsentito a trascorrere oltre due ore in nostra compagnia. Vi ringrazio ancora con molta sincerità e vi auguro una buona giornata, un buon lavoro e un arrivederci. Grazie a tutti. Autorizzo infine la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione depositata dal dottor Canzio e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.50.

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ALLEGATO

Il disegno di legge C. 2435 Governo: brevi note di commento.

Giovanni Canzio

  1. Le ragioni della crisi di effettività della giurisdizione penale. L'emergenza sanitaria conseguente al diffondersi della pandemia Covid-19 determina l'insorgere di gravi rischi, ma anche di inedite potenzialità di ricostruzione del sistema della giustizia penale, che resta esposta a un forte stress a causa della rigidità dell'apparato organizzativo e delle procedure.
  Il fenomeno epidemico si colloca all'interno di uno scenario storico-ordinamentale della giurisdizione penale attraversato da una profonda crisi di effettività e autorevolezza, le cui ragioni sono ben note: la smisurata quantità di notizie di reato, sproporzionata rispetto alla capacità di trattazione; l'ipertrofia dell'inchiesta, che, in assenza di pregnanti controlli del giudice, è divenuta il baricentro mediatico del rito e dalla quale sorge il prevalere delle ansie securitarie e il pregiudizio di colpevolezza dell'indagato; la ridotta utilizzabilità dei riti semplificati di tipo premiale che avrebbero dovuto dare respiro al processo accusatorio; l'irrazionale proliferazione dei rimedi impugnatori in difetto di «filtri» efficaci; le cadenze temporali asfittiche e non regolamentate della procedura.
  A me sembra che l'unica risposta idonea a restaurare la cultura della giurisdizione e le linee fisiologiche del «giusto processo», i cui valori sono incisivamente scolpiti nell'art. 111 della Costituzione, consista nell'implementare l'efficacia della giurisdizione penale, attraverso un'opera di ri-costruzione dei momenti topici della verifica dell'ipotesi di accusa e dell'accertamento della verità, nel rispetto delle garanzie individuali, lungo itinerari più semplici, trasparenti, celeri ed efficienti. Occorre coniugare semplificazione, efficienza, qualità e garanzie.

  2. L'ipertrofia dell'inchiesta. L'inchiesta investigativa, in assenza di pregnanti controlli del giudice per le indagini preliminari, è divenuta l'effettivo baricentro del rito. Da essa spesso sorge – anche per il ricorrente intreccio di relazioni fra uffici di Procura e organi di stampa – il prevalere nella collettività del pregiudizio di colpevolezza dell'indagato, inesorabilmente colpito dalla «gogna mediatica». Con il conseguente rischio che prevalgano logiche di chiusura corporativa, opposte alla linea costituzionale dell'attrazione ordinamentale della figura del pubblico ministero nel sistema e nella cultura della giurisdizione. Meriterebbe viceversa attenzione la proposta alternativa di aprire più pregnanti «finestre di giurisdizione», cioè di controllo del giudice in taluni momenti topici delle indagini preliminari (dall'iscrizione nel registro degli indagati alla durata delle indagini, fino alla correttezza delle scelte imputative, laddove esse incidano sulla selezione di differenti binari processuali o sull'utilizzo di strumenti altamente pervasivi delle libertà individuali, come il trojan), oltre ad implementare quelle già disciplinate dalla legge (per la proroga delle indagini, le misure cautelari personali e reali, le intercettazioni, l'esercizio o non dell'azione penale ecc.). Con la sentenza Scurato, n. 26889 del 2016, riguardante Pag. 33 l'utilizzo a fini intercettativi del captatore informatico – trojan – nei procedimenti per i delitti di criminalità organizzata, le sezioni unite della Corte di cassazione sottolineavano «... l'esigenza che, nei rispetto dei canoni di proporzione e ragionevolezza a fronte della forza intrusiva del mezzo usato, la qualificazione, pure provvisoria, del fatto come inquadrabile in un contesto di criminalità organizzata, risulti ancorata a sufficienti, sicuri e obiettivi elementi indiziari che ne sorreggano, per un verso, la corretta formulazione da parte del pubblico ministero e, per altro verso, la successiva, rigorosa, verifica dei presupposti da parte del giudice chiamato ad autorizzare le relative operazioni intercettative; fermo restando il sindacato di legittimità della Corte di cassazione in ordine all'effettiva sussistenza di tali presupposti...».

  3. L'irragionevole durata del processo. Si è più volte osservato che non è sostenibile la disciplina della prescrizione del reato, nella parte in cui estende i suoi effetti sul processo, propiziandone l'inefficacia e disincentivandone i percorsi alternativi. La prescrizione può infatti rivelarsi come un agente patogeno, inducendo premialità di fatto e scoraggiando quelle legali delle procedure semplificate, incentivando strategie dilatorie, implementando il numero delle impugnazioni in vista dell'eventuale esito estintivo, con il conseguente fallimento della funzione cognitiva e di accertamento della verità. Sembra dunque coerente la statuizione del divieto di dichiarare la prescrizione del reato nel corso del processo, se non dopo l'avvenuto esercizio dell'azione penale, almeno dopo la sentenza di condanna di primo grado.
  L'attuale legislatore (art. 1, comma 1, lett. e)-f), legge 9 gennaio 2019, n. 3), mostrando di condividere tale riflessione, ha stabilito infatti, con la sostituzione del comma 2 dell'art. 159 c.p., che «Il corso della prescrizione rimane altresì sospeso dalla pronunzia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell'irrevocabilità del decreto di condanna», abrogando di conseguenza i commi 3 e 4 dell'art. 159 e il comma 1 dell'art. 160.
  E però, una siffatta riforma (entrata in vigore il 1° gennaio 2020: art. 1, comma 2, l. cit.), per non essere considerata estemporanea e asistematica, pretende, oltre gli opportuni interventi di tipo ordinamentale e di allocazione delle risorse, che siano assicurati termini celeri e certi per le eventuali fasi delle impugnazioni, la cui ingiustificata violazione non resti priva di conseguenze.
  Il compasso temporale dei termini, nei limiti di durata ragionevole del processo fissati dalla legge Pinto ai fini dell'equa riparazione (tre anni per il primo grado, due anni per il secondo grado, un anno per il giudizio di legittimità, per la complessiva durata di sei anni), va determinato dal legislatore e calibrato alla stregua di puntuali indici di complessità della procedura (numero degli imputati e/o delle imputazioni e dei difensori, esigenza di riapertura dell'istruzione probatoria ecc.).
  La reazione dell'ordinamento alla violazione dei termini di durata massima delle fasi impugnatorie, che resta comunque affidata alle scelte discrezionali del legislatore, dovrebbe consistere, anziché – almeno oltre – un'eccentrica sanzione disciplinare, nella previsione di una congrua riduzione di pena per il condannato, proporzionata all'eccessiva e irragionevole durata del processo, o nel giusto indennizzo Pag. 34e nella rifusione delle spese legali per il prosciolto, oppure nella più radicale declaratoria di improseguibilità dell'azione penale per la sopravvenuta «prescrizione del processo».

  4. I «filtri» delle impugnazioni. Per altro verso, sul terreno delle impugnazioni penali, perché meritino di essere preservati ben tre gradi di giurisdizione contro il rischio d'implosione del sistema processuale, occorrono seri «filtri» per l'appello, nel senso di un necessario restringersi dei cerchi concentrici della sequenza processuale, all'esito di una puntuale opera di selezione dei gravami ammissibili: come avviene fin dal 2001 per i ricorsi per cassazione e com'è prassi diffusa nella maggior parte degli altri sistemi europei, in virtù dell'istituto del leave to appeal. Non può, infatti, definirsi efficace un sistema che spreca le già scarse risorse consentendo la celebrazione dell'udienza anche per la trattazione di una impugnazione affetta da a-specificità o da manifesta infondatezza delle ragioni che la sostengono. La salvaguardia del secondo grado di giudizio di merito, inquadrato nella logica del controllo e non già del novum iudicium, pretende che il regime dell'inammissibilità si estenda, oltre i casi di a-specificità, anche alle ipotesi di «manifesta infondatezza» dei motivi di gravame.
  Con il lineare e logico corollario che la trattazione camerale del gravame inammissibile possa svolgersi all'esito di un contraddittorio meramente cartolare, se non addirittura senza formalità di procedura – de plano – laddove l'invalidità dell'atto emerga con immediatezza, ictu oculi, senza che siano necessarie valutazioni che superino l'oggettività delle situazioni e richiedano quindi la celebrazione dell'udienza.
  Le garanzie della difesa, a fronte di un'accurata opera di selezione degli atti d'appello inammissibili, sarebbero comunque assicurate dal carattere collegiale della deliberazione, dall'obbligo di motivazione dell'ordinanza e dalla ricorribilità per cassazione di quest'ultima per la verifica di correttezza dello scrutinio d'inammissibilità.
  D'altra parte, alla luce dell'intervento riformatore (artt. 348-bis e 348-ter c.p.c., aggiunti con d.l. n. 83/2012, conv. dalla legge n. 143/2012), che ha investito l'udienza filtro per la declaratoria d'inammissibilità dell'appello civile «quando [l'impugnazione] non ha una ragionevole probabilità di essere accolta», nel senso che le ragioni che la sostengono si prospettano manifestamente infondate, non appare logicamente coerente, attesa la comune ratio dell'istituto, una diversità del parallelo modulo di rilievo dell'inammissibilità per l'appello penale.
  Più in generale, in una visione d'insieme del sistema, deve convenirsi che una seria organizzazione dei filtri per le impugnazioni è destinata a refluire positivamente sulla congruità dei tempi, dell'attenzione e delle risorse da destinare a quelle impugnazioni meritevoli di essere trattate nel pieno merito.

  5. Il disegno di legge «Bonafede»: valutazione d'assieme e analisi delle principali disposizioni. Il disegno di legge in esame, rispetto al quale intendo esprimere alcune note di apprezzamento e altre di critica, intuisce e si prefigura i nodi problematici del sistema processuale ma – almeno a me sembra – non li affronta con l'audacia necessaria, rischiando così di lasciare al palo la pur necessaria stagione riformatrice del processo penale.

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   5.1. Indagini preliminari e udienza preliminare (art. 3).

  Termini di durata ediscoverydegli atti (lettere e-f-g). Rilievo critico: difetta la finestra di giurisdizione, cioè il controllo del giudice e si prevede, come unica reazione dell'ordinamento alla violazione delle prescrizioni, una eccentrica e molto improbabile violazione di tipo disciplinare.

  Iscrizione nel registro delle notizie di reato (lettera l). La disposizione è senz'altro apprezzabile ed efficace perché prevede un effettivo controllo giurisdizionale e la sanzione dell'inutilizzabilità probatoria in caso di violazione della prescrizione di tempestività dell'iscrizione.

  Regola di giudizio per l'archiviazione e per la sentenza di n.l.p. (lettere a-i). Viene significativamente innalzata la soglia della prognosi di successo dell'azione penale fino alla ragionevole probabilità di condanna dell'imputato (come per la gravità indiziaria ai fini della misura cautelare). La corretta applicazione del criterio probabilistico resta tuttavia affidata all'affinamento del sapere epistemologico e logico dei magistrati.

  Criteri di priorità (lettere h). Rilievo critico: il principio costituzionale dell'obbligatorietà dell'azione penale pretende che la selezione a regime, pur flessibile nel tempo, sia affidata alla norma primaria del Parlamento e non frammentata in una sorta di «geometria variabile» propria di un federalismo giudiziario.

   5.2. Procedimenti speciali (art. 4).

  Patteggiamento allargato (lettera a). Rilievo critico: è destinato all'insuccesso in difetto di reali misure premiali e con un eccessivo ventaglio di preclusioni oggettive.

  Giudizio abbreviato (lettera b). Rilievo critico: le modifiche sembrano solo formali e lessicali. Sarebbe senz'altro più utile e logico dal punto di vista della deflazione del carico dibattimentale ripristinare il giudizio abbreviato per i delitti puniti con l'ergastolo.

  Giudizio per decreto (lett. d). Appare verosimile l'ampliamento dell'area di applicazione dell'istituto per il carattere premiale di alcune misure, fra le quali va annoverato anche il nuovo metro di ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive (articolo 9).

   5.3. Giudizio (articolo 5)

  Rinnovazione delle prove dichiarative per il mutamento di un giudice (lettera e). La norma di cui all'art. 190-bis c.p.p. da derogatoria ed eccezionale diventa tout court regola generale. Rilievo critico: la modulazione flessibile del principio di immediatezza, pur consentita da Corte cost. n. 132/2019 e dalla Corte Edu, pretende tuttavia adeguate misure compensative per il diritto di difesa che non sono previste. Al difensore dev'essere consentito di chiedere – con la specifica indicazione delle ragioni – la rinnovazione innanzi al collegio diversamente composto delle prove dichiarative, non solo se vertenti su elementi nuovi e pertinenti, ma anche se «importanti» o «determinanti» per la Pag. 36decisione. Non sono inoltre preclusi mutamenti successivi del giudice «a catena». Non si comprendono infine le ragioni dell'esclusione della Corte d'assise. Andrebbe altresì rimarcato l'onere del previo esperimento di utili misure ordinamentali per evitare il mutamento del collegio, quale la parziale applicazione endodistrettuale o extradistrettuale del magistrato trasferito, in funzione della celebrazione e fino alla conclusione del giudizio.

   5.4. Procedimenti davanti al tribunale in composizione monocratica (articolo 6)

  Udienza «filtro» (lettera a). Rilievo critico: la previsione normativa non semplifica ma complica la procedura per il verosimile accentuarsi delle incompatibilità dei giudici; allunga i termini di durata del processo; rischia di essere una mera udienza di smistamento, destinata all'insuccesso come l'odierna udienza preliminare.

   5.5. Appello (articolo 7)

  Mandato specifico ad impugnare (lettera a). Si tratta della disposizione più virtuosa ed efficace dell'intero disegno di legge. La norma si rivela infatti di straordinaria portata deflativa e moralizzatrice (con un notevole risparmio di risorse personali e materiali e costi per lo Stato), con riguardo a decine di migliaia di processi di appello, ogni anno inutilmente celebrati nei confronti di soggetti irreperibili, ignari, disinteressati, veri e propri fantasmi senza una sicura identità. La tutela del condannato, che sia rimasto incolpevolmente assente in primo grado, è comunque assicurata dall'istituto della rescissione del giudicato ex art. 629-bis c.p.p.

  Composizione monocratica (lettere f-g). Rilievo critico: la norma appare inutile e dannosa. Inutile perché il carico esigibile del singolo giudice di appello (circa 180/200 sentenze l'anno) rimane identico e perché impegna un numero ulteriore di aule e cancellieri, obiettivamente non disponibili. Dannosa perché la collegialità è un valore per il giusto processo e per la giusta decisione di appello, nel quale si valuta la correttezza del ragionamento probatorio del primo giudice e si esercita, nel dialogo fra i giudici, l'arte della confutazione e del dubbio ragionevole.

  Misure straordinarie per la definizione dell'arretrato penale in appello (articolo 15). Rilievo critico: non appare utile distribuire «a pioggia» un numero rilevante di giudici ausiliari senza che, prima, le due principali Corti d'appello interessate (Roma e Napoli, ciascuna con un carico di almeno 50.000 procedimenti pendenti) abbiano responsabilmente provveduto ad «aprire gli armadi» e a «spogliare» i fascicoli, così da verificarne la reale consistenza e selezionarne il valore ponderale per la formazione dei ruoli di udienza. Lo smaltimento dell'arretrato richiede una previa opera di raccolta precisa dei dati, in funzione di un cronoprogramma e dell'allocazione di specifiche risorse. Occorre cioè «misurare» scientificamente il fenomeno, tenuto conto altresì della scarsa motivazione dei c.d. giudici ausiliari.

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  I filtri delle impugnazioni. Per la più efficace soluzione offerta dall'adozione di seri «filtri» per l'appello, cons. retro, 3.

   5.6. I termini di durata ragionevole del processo (articoli 12 e 13).

  Le linee generali del tema sono esposte retro, 2.
  Rilievi critici: la totale assenza di termini di durata per i procedimenti per i più gravi delitti di maggiore allarme sociale, a prescindere da ogni valutazione circa le specifiche esigenze correlate alla loro effettiva complessità, come pure per i procedimenti davanti alla Corte d'assise e al giudice di pace; la previsione a geometria variabile in una sorta di federalismo giudiziario, a seconda delle differenti condizioni organizzative territoriali (sulle quali occorrerebbe viceversa intervenire), in contrasto con le esigenze di uniformità e coerenza che possono essere assicurate solo da una fonte normativa primaria; l'eccentricità e l'improbabilità dell'illecito disciplinare.