XVIII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 9 di Mercoledì 11 novembre 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Perantoni Mario , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE C. 2435 GOVERNO, RECANTE DELEGA AL GOVERNO PER L'EFFICIENZA DEL PROCESSO PENALE E DISPOSIZIONI PER LA CELERE DEFINIZIONE DEI PROCEDIMENTI GIUDIZIARI PENDENTI PRESSO LE CORTI D'APPELLO

Audizione, in videoconferenza, di: Giuseppe Lombardo, procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Reggio Calabria; Massimo Zaniboni, presidente del Tribunale di Sassari; Piergiorgio Morosini, giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Palermo; Mitja Gialuz, professore di diritto processuale penale presso l'università degli studi di Genova.
Perantoni Mario , Presidente ... 3 
Zaniboni Massimo , presidente del tribunale di Sassari (intervento da remoto) ... 3 
Perantoni Mario , Presidente ... 8 
Lombardo Giuseppe , procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Reggio Calabria (intervento da remoto) ... 8 
Perantoni Mario , Presidente ... 11 
Lombardo Giuseppe , Procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Reggio Calabria (intervento da remoto ... 11 
Perantoni Mario , Presidente ... 11 
Morosini Piergiorgio , giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Palermo (intervento da remoto) ... 11 
Perantoni Mario , Presidente ... 15 
Morosini Piergiorgio , giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Palermo (intervento da remoto) ... 15 
Perantoni Mario , Presidente ... 16 
Gialuz Mitja , professore di diritto processuale penale presso l'università degli studi di Genova (intervento da remoto) ... 16 
Perantoni Mario , Presidente ... 20 
Vitiello Catello (IV)  ... 20 
Perantoni Mario , Presidente ... 21 
Bazoli Alfredo (PD)  ... 21 
Perantoni Mario , Presidente ... 22 
Sarti Giulia (M5S)  ... 22 
Perantoni Mario , Presidente ... 22 
Zaniboni Massimo , presidente del tribunale di Sassari (intervento da remoto) ... 23 
Perantoni Mario , Presidente ... 24 
Lombardo Giuseppe , procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Reggio Calabria (intervento da remoto) ... 24 
Perantoni Mario , Presidente ... 26 
Morosini Piergiorgio , giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Palermo (intervento da remoto) ... 26 
Perantoni Mario , Presidente ... 28 
Gialuz Mitja , professore di diritto processuale penale presso l'università degli studi di Genova (intervento da remoto) ... 28 
Perantoni Mario , Presidente ... 31 

Allegato 1: Documentazione depositata da Massimo Zaniboni, presidente del tribunale di Sassari ... 32 

Allegato 2: Documentazione depositata da Piergiorgio Morosini, giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Palermo ... 46

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Popolo Protagonista - Alternativa Popolare (AP) - Partito Socialista Italiano (PSI): Misto-AP-PSI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
MARIO PERANTONI

  La seduta comincia alle 9.35

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione, in videoconferenza, di: Giuseppe Lombardo, procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Reggio Calabria; Massimo Zaniboni, presidente del Tribunale di Sassari; Piergiorgio Morosini, giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Palermo; Mitja Gialuz, professore di diritto processuale penale presso l'università degli studi di Genova.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, in videoconferenza, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame del disegno di legge C. 2435 Governo, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello, di: Giuseppe Lombardo, procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Reggio Calabria, Massimo Zaniboni, presidente del Tribunale di Sassari, Piergiorgio Morosini, giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Palermo, e Mitja Gialuz, professore di diritto processuale penale presso l'università degli studi di Genova. Saluto tutti i nostri ospiti. Ci sono dei colleghi in videoconferenza, è presente l'onorevole Annibali qui in Commissione. Ricordo che l'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto in videoconferenza dei deputati secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento nella riunione del 4 novembre scorso. A tal proposito ricordo che per i deputati partecipanti da remoto è necessario che essi risultino visibili alla Presidenza, soprattutto nel momento in cui svolgono il loro eventuale intervento, il quale ovviamente deve essere udibile. Ringrazio gli auditi per avere accolto l'invito della Commissione e chiedo cortesemente di contenere il proprio intervento in quindici minuti circa, in modo tale da dare spazio ai quesiti che verranno loro rivolti dai commissari ai quali seguirà la replica degli auditi, che potranno inviare, qualora non l'abbiano già fatto, alla segreteria della Commissione un documento scritto. Tale documentazione, in assenza di obiezioni, sarà pubblicata sul sito Internet della Camera dei deputati e resa loro disponibile attraverso l'applicazione GeoCamera. Detto questo, do la parola al dottor Massimo Zaniboni, presidente del tribunale di Sassari.

  MASSIMO ZANIBONI, presidente del tribunale di Sassari (intervento da remoto). Buongiorno, presidente. La ringrazio dell'onore che mi ha concesso nell'intervenire su questo importante disegno di legge. Saluto tutti i componenti della Commissione Giustizia, i colleghi e gli altri auditi. Si tratta, com'è facile dire, di tematiche straordinariamente importanti, foriere di conseguenze per il lavoro quotidiano di tutti noi e soprattutto per i cittadini che ogni giorno si trovano a confrontarsi con il funzionamento della giustizia. In linea generale, esprimo un mio apprezzamento sull'intervento legislativo che viene proposto, Pag. 4soprattutto per l'organicità e la sistematicità che esso mostra. Devo dire che, dopo tanti anni nei quali si assiste a interventi parcellizzati e limitati a singoli articoli del codice, è forse la prima volta che si interviene in modo organico e complessivo sul processo. Si parte dalla fase delle indagini preliminari, si prosegue con lo snodo dell'udienza preliminare, dei riti alternativi, si passa per il giudizio di appello – quasi sempre trascurato negli interventi legislativi – per arrivare poi alla disciplina di diritto sostanziale sulla prescrizione. Sono modifiche che raccolgono critiche o suggerimenti spesso contenuti nelle relazioni di inaugurazione dell'anno giudiziario da parte dei procuratori generali o dei Presidenti della Suprema Corte di Cassazione, ovvero cercano di risolvere problematiche frequenti in sentenze di legittimità. Detto questo, passo all'analisi più specifica delle singole disposizioni. Naturalmente la portata complessiva del mio intervento rinvia alla relazione scritta che ho già inviato (vedi allegato 1) e non toccherà la parte delle indagini preliminari che ritengo di specifica pertinenza di chi svolge funzioni inquirenti. Seguendo l'ordine del disegno di legge, parlo velocemente dell'intervento che riguarda le notificazioni. Devo dire che si è finalmente avuto il coraggio di dire chiaramente che l'ordinamento penale è maturo – come gli ordinamenti civili, amministrativi e tributari – per consentire una sorta di rappresentanza da parte del difensore di fiducia rispetto all'imputato, che oramai è pacificamente consolidata e positivamente testata negli altri settori dell'ordinamento. Il processo digitale si avvia anche nel settore penale a prendere sempre più piede. Purtroppo, l'attuale condizione sanitaria impone un'ulteriore accelerazione in materia di dematerializzazione dei contatti anche personali. E penso alle notifiche fatte in forma fisica. D'altra parte, la Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) è più volte intervenuta per ribadire che la notificazione dell'atto al difensore con efficacia per l'imputato trova fondamento nei doveri di informazione e di diligenza che il difensore assume con l'iscrizione all'albo e in virtù della legge professionale del codice deontologico. Detto questo, bisognerebbe specificare meglio in cosa consistano le deroghe alle forme di notificazione, laddove queste riguardino i difensori di ufficio e non sia stata effettuata la prima notificazione con consegna personale. In realtà, il disegno di legge, con la lettera o) del comma 1 dell'articolo 2, demanda la disciplina di dettaglio di queste forme di notificazione all'intervento del legislatore delegato. Tuttavia, forse sarebbe meglio indicare subito quali sono le priorità e dove si trova il punto di equilibrio tra la necessità della conoscenza effettiva rispetto alla necessità di garantire che il processo non subisca stasi inutili o soltanto formalistiche. Non c'è alcuna regolamentazione di queste casistiche, ma viene lasciata una sorta di delega in bianco dalla citata lettera o) al legislatore delegato.
  Molto positiva è anche la modifica della regola del giudizio di archiviazione dell'udienza preliminare, adagiata non più sull'utilità del dibattimento per accertare la responsabilità – così come specificato dalla giurisprudenza – ma piuttosto sulla ragionevole previsione di accoglimento dell'ipotesi accusatoria. Si tratta di un giudizio prognostico molto facilmente eseguibile all'udienza preliminare dal giudice per le indagini preliminari (GIP). Questo impedirebbe tutta una serie di udienze dibattimentali – spesso lunghe e costose anche per l'imputato in termini di sacrificio personale ed economico – praticamente destinate a produrre un'assoluzione nella quasi totalità dei casi. Quindi, ben venga questa nuova regola di giudizio.
  Anche le priorità di trattazione previste dall'articolo 3, comma 1, lettera h), praticamente recepiscono quanto già il Consiglio superiore della magistratura (CSM) ha individuato con normazione secondaria. Quindi il provvedimento costituirà la copertura di una normazione primaria, rispetto a una normazione secondaria del CSM. Sarà utile per i procuratori della Repubblica – unitamente al presidente del tribunale nella conferenza dei capi degli uffici del distretto – chiamati ad individuare quali processi trattare prioritariamente, senza che vengano disperse le energie Pag. 5 – davvero sempre di meno – per fenomeni di scarsa rilevanza ovvero per quei processi che sono inevitabilmente destinati a prescriversi nel primo grado di giudizio, sulla base di una previsione del CSM, intervenuto a livello indicativo, senza la copertura normativa primaria quanto alla possibilità di previsioni. Altrettanto positivo è l'ulteriore allargamento del patteggiamento previsto dall'articolo 4, comma 1, lettera a). Nel nostro codice purtroppo i riti speciali non hanno avuto l'esito che si sperava e quindi qualunque intervento volto ad ampliarne la portata è da salutare positivamente. Peraltro, anche in precedenza, l'allargamento del patteggiamento da due a cinque anni ha consentito la definizione di un elevato numero di processi per i quali si è acceduto a tale rito. È altrettanto molto positiva la più che opportuna esclusione di alcuni reati, visti come particolarmente odiosi dalla coscienza sociale, dalla possibilità di accedere a tale rito.
  Le regole di ammissione del rito abbreviato, previsto dall'articolo 4, comma 1, lettera b), rappresentano la copertura normativa di regole già individuate dalla giurisprudenza. Sarebbe forse opportuno un riferimento al numero e alla consistenza delle prove da assumere, nel caso del giudizio abbreviato, ancorché integrato probatoriamente, rispetto al dibattimento, in modo tale che vi sia un parametro più indicativo rispetto al giudizio sull'ammissione.
  I nuovi orizzonti definitori dopo il decreto di giudizio immediato, previsti dall'articolo 4, comma 1, lettera c), estendono molto opportunamente la previsione già esistente per il giudizio abbreviato anche all'abbreviato introdotto dal giudizio immediato.
  La disciplina delle modifiche al decreto penale di condanna è altrettanto positiva, soprattutto la previsione che consente di estinguere il fatto penale con il pagamento della pena pecuniaria ridotta di un quinto. Devo dire che dieci giorni di tempo sono forse troppo pochi, e anche in questo caso sarebbe opportuno un aumento, seppure moderato, di tale termine per ampliare la portata dell'istituto.
  Venendo poi alla normativa che riguarda il giudizio, è da salutare con favore la previsione dell'udienza in programma. È un'udienza che già molti tribunali, anche il nostro, hanno sperimentato e sperimentano positivamente. Si tratta del cosiddetto calendario del processo che, oltre a stabilire tempi abbastanza prevedibili, con tutte le variabili possibili, evita che impegni sopraggiunti o concomitanti o non previsti possano ulteriormente prolungare la durata. Vero è che la calendarizzazione è facilmente praticabile con un po' di impegno da parte di tutti nei processi della Corte di assise o del collegio. Ritengo molto più difficile la calendarizzazione nei processi del rito monocratico, dove i giudici portano in udienza numerose decine di processi: gestire una calendarizzazione stringente di questi numerosi processi trattati in contemporanea è piuttosto difficile.
  Altrettanto positiva è l'introduzione, alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 5, dell'illustrazione della richiesta di prove. L'abbiamo conosciuta all'epoca dell'introduzione del codice di procedura penale del ministro Vassalli. Questa volta è estesa a tutte le parti. Tuttavia, al fine di evitare che si traduca – come prima si traduceva – in una discussione anticipata tra le parti, sarebbe più che opportuno almeno introdurre l'avverbio «breve». Estremamente opportuna è, altresì, l'eliminazione del consenso delle altre parti rispetto alla rinuncia dell'assunzione delle prove, prevista dalla lettera c) del comma 1 dell'articolo 5. Dico questo perché, da un lato, la parte che si opporrebbe alla rinuncia dell'altra parte all'assunzione della prova avrebbe ben potuto indicarla nella propria lista, se la avesse ritenuta utile o necessaria, cosa che evidentemente non ha fatto reputandola non necessaria. La disposizione vigente si presta molto a comportamenti dilatori. Dall'altro, non si tratta di una prova persa in assoluto in quanto il giudice, anche sollecitato dalle parti, la può recuperare con i propri poteri ufficiosi alla fine del processo.
  Positiva è l'estensione della disciplina dell'articolo 190-bis, comma 1, del codice di procedura penale, attualmente esistente Pag. 6già per i reati di maggiore allarme sociale e quindi facilmente praticabile in quelli meno gravi. Le Sezioni unite della Cassazione penale il 10 ottobre 2019 hanno riconosciuto sostanzialmente l'estensione di questa regola anche a tutti i processi, praticando un'interpretazione estensiva della propria giurisprudenza. Il sistema attuale vede la raccolta delle prove consacrata nella verbalizzazione stenotipica che riporta fedelmente, passo dopo passo, parola dopo parola, quello che viene detto. Il giudice è comunque ancorato non certo alle sensazioni suscitate dal teste, ma all'evidenza della prova e alla motivazione sulle ragioni della propria decisione. Per questo, nella rinnovazione del dibattimento in processi che durano anni e anni, anche davanti allo stesso giudice, ritenere che la memoria visiva conservi una tale efficacia anche a distanza di anni nello stesso giudice era ed è sostanzialmente una finzione. Viceversa, la rinnovazione del dibattimento, soprattutto nei processi più complessi e più lunghi, comporta un impressionante numero di sentenze di prescrizione. Osserverei soltanto che nel testo normativo si fa riferimento ai processi del tribunale, laddove sia necessario mutare un componente del collegio. Mi chiedo se non sia più opportuno specificare che la regola si applica anche per i giudici della Corte d'assise ed eventualmente, se lo si vuole, ai giudici di pace e ai giudici monocratici.
  Passando proprio all'esame del giudizio monocratico, all'articolo 6, comma 1, lettera a), è prevista l'udienza nella quale il giudice, diverso da quello che eventualmente dovrà celebrare il giudizio, valuta, sulla base degli atti presenti nel fascicolo, se il dibattimento debba essere celebrato o meno. Si tratta sostanzialmente dell'introduzione di una sorta di udienza preliminare in quei processi dove l'udienza preliminare è mancata; anche questa misura – che peraltro interverrebbe, alla luce della nuova regola di giudizio, sulla sentenza di non luogo a procedere – può avere un effetto deflattivo.
  Possono certamente derivare alcuni problemi di funzionamento nei tribunali, soprattutto in quelli più piccoli, dalle incompatibilità derivanti da questa valutazione rispetto al giudizio. Probabilmente andrebbe introdotta nel codice di procedura penale una espressa ipotesi di incompatibilità. Dico, per inciso, che comunque il sistema rimarrebbe privo di una sorta di filtro per i casi di giudizio immediato dove non sarebbe previsto alcun vaglio da parte di un giudice prima di quello del dibattimento. È un problema che si pone nei giudizi della Corte d'assise: si passa direttamente dalla fase delle indagini preliminari alla fase del giudizio, considerato che non è possibile neanche il rito abbreviato per le assisi.
  Passo velocemente a parlare del giudizio di appello. Devo dire – fra l'altro provenendo io di recente dal giudizio di appello – come sia particolarmente positiva l'introduzione del giudice monocratico in grado di appello. Francamente era un po' curioso che un collegio formato da tre giudici di quarta valutazione di professionalità si dovesse dedicare a valutare reati bagatellari giudicati in primo grado dal giudice onorario con molta facilità. La possibilità del giudizio monocratico in appello consente a un giudice – che comunque ha la formazione del collegio perché continuerà a operare anche in composizione collegiale – che ha una qualificata anzianità di carriera di potersi occupare velocemente di processi piuttosto semplici, con un incremento della produttività collegato alla rapidità del giudizio monocratico rispetto a quello collegiale e al fatto che in tre faranno tre udienze anziché una sola collegiale.
  Sono positive anche le nuove regole sul mandato a impugnare in luogo della presentazione dell'appello. Questo eviterà ritardi nella trasmissione di appelli presentati presso sperdute cancellerie del giudice di pace, che magari tardano un paio di anni a trasmetterli, impedendo il giudicato della sentenza o costringendo a revoche di esecutività di sentenze ritenute erroneamente inappellate. Per quanto riguarda l'articolo 8, comma 1, lettera c), considero positivamente l'introduzione di quello che spesso la giurisprudenza ha ritenuto, vale a dire che la mancata partecipazione della persona offesa integri l'ipotesi di remissione Pag. 7tacita. Tale previsione andrebbe forse accompagnata nella citazione dall'espresso avvertimento, che nella prassi si usa inserire, che la mancata comparizione costituirà remissione tacita di querela. In questo modo la persona saprà bene qual è la conseguenza della sua mancata comparizione e magari, nei casi di legittimo impedimento, lo farà valere.
  Passando a esaminare i termini di durata del processo di cui all'articolo 12, ritengo che un anno sia davvero troppo poco per il giudizio di primo grado in composizione monocratica. Ricordo a me stesso che, ai sensi all'articolo 33-ter del codice di procedura penale, sono attribuiti al tribunale in composizione monocratica i reati in materia di stupefacenti – laddove non siano aggravati – e tutti i reati che non siano attribuiti al tribunale in composizione collegiale o ad altro giudice qual è l'assise. Il termine di un anno è dunque abbastanza distonico rispetto alla previsione della durata di due anni per i processi di appello nonché rispetto al contenuto della legge Pinto che prevede termini di durata ragionevoli di tre anni per quanto riguarda il giudizio di primo grado. In questi tre anni sono comprese anche le indagini preliminari, però anche al netto delle indagini preliminari sicuramente è un termine più lungo dell'anno previsto dal testo in esame. Segnalerei inoltre che non sono previsti termini di durata per quanto riguarda il giudizio della corte di assise e del giudice di pace. È vero che i termini indicati dal disegno di legge sarebbero destinati a recedere rispetto a una diversa previsione da parte del Consiglio superiore della magistratura rispetto a ciascun ufficio giudiziario; in ogni caso, perché abbiano un senso e perché siano concretamente realizzabili, forse è bene che da subito siano termini ragionevoli e non impossibili da raggiungere a dotazioni date, salvo pensare a migliorare le dotazioni.
  Concluderei parlando dell'intervento sulla prescrizione. In questo caso si incide direttamente sul codice penale, non essendo prevista una misura di delega al Governo, e si circoscrive la sospensione del corso della prescrizione dei reati ai soli casi di condanna in primo grado. Il termine di prescrizione continua a scorrere in caso di assoluzione: è una scelta che mira a valorizzare il differente percorso tra la sentenza di condanna o quella di assoluzione in primo grado. C'è una previsione piuttosto complessa da valutare in concreto e anche da gestire che è quella relativa al recupero, vale a dire alla possibilità della sospensione laddove il termine per il deposito della sentenza venga a scadere di lì a un anno per almeno uno dei reati o a sei mesi nel caso della motivazione della Cassazione. Chiaramente è una scelta che vuole contemperare l'esigenza di neutralizzare il decorso del tempo ai fini dell'estinzione del reato dopo la sentenza di condanna e l'esigenza di garantire una ragionevole durata del giudizio di impugnazione. Si tratta di una scelta di carattere politico che deve trovare da qualche parte un bilanciamento e forse questo serve a evitare le forti critiche che sono state sollevate da alcune parti dei tecnici rispetto all'attuale disciplina. È vero che il venir meno della prescrizione in caso di condanna comporterà quasi certamente una riduzione degli appelli, inoltre non è automatico che tutte le sentenze d'appello verranno impugnate. Il nuovo patteggiamento allargato dovrebbe ugualmente ridurre il numero dei possibili appelli. La mia personale opinione su questo punto è che ci si sarebbe potuti allineare a quello che accade in altri Paesi, immaginando che la prescrizione, una volta che l'esercizio dell'azione penale è attivato, non debba più decorrere. Questo naturalmente non vuol dire quello che si paventa, vale a dire processi che dureranno all'infinito. Su questo i metodi di controllo potevano e possono essere naturalmente molto diversi: ne sono già stati introdotti attraverso i programmi di gestione nel settore penale e si può sempre intervenire per vigilare diversamente sui tempi di trattazione dei processi in tutti i gradi. Naturalmente questa è una scelta legislativa sulla quale esprimo soltanto la mia personale opinione. Credo di aver rispettato i tempi. Ringrazio il presidente e tutti i partecipanti per avere avuto la pazienza di ascoltarmi e Pag. 8rimango a disposizione per eventuali chiarimenti. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, dottor Zaniboni. La pregherei di attendere la conclusione dell'audizione, nel caso in cui qualche collega solleciti sue ulteriori riflessioni. Darei ora la parola al dottor Giuseppe Lombardo, procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Reggio Calabria, che saluto.

  GIUSEPPE LOMBARDO, procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Reggio Calabria (intervento da remoto). Buongiorno, presidente. Cercherò anch'io di rispettare i tempi che lei ci ha comunicato dicendole subito, e dicendo a tutti i componenti della Commissione Giustizia, che focalizzerò il mio intervento sui temi che il mio attuale ruolo mi consente di monitorare tutti i giorni. Premetto inoltre che la Direzione distrettuale antimafia (DDA) di Reggio Calabria ha assunto negli ultimi anni iniziative su temi secondo noi di particolare rilievo che cercherò di introdurre in questo mio breve intervento, eventualmente riservandomi – ovviamente se il presidente lo riterrà – anche la trasmissione di documentazione che possa illustrare meglio le varie problematiche.
  Partirei dal disposto dell'articolo 2 per dire che tutte le indicazioni che si ricavano dal testo sono condivisibili, nella misura in cui noi viviamo quotidianamente le difficoltà connesse a un regime delle notifiche che non risponde più a criteri di modernità e che, ove modificato nel senso che viene indicato dal predetto articolo 2, contribuirà certamente a soddisfare una maggiore celerità nella fase fondamentale di avvio del processo. Sull'articolo 2 io richiamerei integralmente le indicazioni del testo perché sono indicazioni, a mio modo di vedere, sulle quali concordare integralmente.
  Mi soffermerò invece di più – e introdurrò anche una serie di proposte, se mi è consentito – in relazione all'articolo 3 su cui la Commissione discute ormai da tempo: vale a dire alle indagini preliminari e alle eventuali modifiche al regime dell'udienza preliminare. Mi pare di poter concordare con la previsione del comma 1, lettera a), in quanto noi riscontriamo spesso e volentieri – soprattutto in indagini della DDA – situazioni che non presentano caratteristiche tali da consentire un proficuo esercizio dell'azione penale. È un vaglio particolarmente rigoroso quello che noi facciamo: è chiaro che un intervento normativo che vada in questa direzione non può che contribuire a rafforzare le prassi interne agli uffici e soprattutto a stabilizzare gli orientamenti giurisprudenziali.
  Concordo anche con la previsione di cui alla successiva lettera b), in quanto ritengo che possa contribuire molto a snellire le procedure e quindi il subprocedimento connesso alla richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico ministero.
  Mi soffermo di più, presidente, sulle indicazioni provenienti dalle lettera c) e d) del comma 1 dell'articolo 3. In relazione alla lettera c), voglio segnalare che la DDA di Reggio Calabria, su iniziativa mia e del procuratore Giovanni Bombardieri, qualche tempo fa ha investito la Direzione nazionale antimafia (DNA) di una questione di grande rilievo, secondo noi. Si tratta di una questione connessa agli orientamenti giurisprudenziali in relazione alla durata delle indagini preliminari, riferibili ai reati permanenti. Mi interessa introdurre questo argomento perché ritengo che possa arricchire la discussione anche in relazione alle previsioni di cui alla lettera d) e quindi alle procedure relative alle richieste di proroga del termine di cui all'articolo 405 del codice di procedura penale. Segnalo alla Commissione che sulla base di accertamenti svolti da noi – ma certamente noti anche ad altri uffici – negli ultimi anni, a partire dal 2008, si è consolidato un orientamento giurisprudenziale che consente lo svolgimento delle indagini preliminari in relazione ai reati permanenti: ovviamente, per quanto riguarda le DDA, si tratta soprattutto dei reati di cui all'articolo 416-bis del codice penale, ma non solo. Sono regole applicabili anche ai sequestri di persona o ad altre fattispecie, di competenza della sezione ordinaria delle varie procure, secondo cui è possibile svolgere le indagini preliminari per tutta la Pag. 9durata del reato permanente. Noi abbiamo predisposto una nota indirizzata al Procuratore nazionale antimafia, pregandolo di interloquire con il Procuratore generale in Cassazione. Vi segnalo questa circostanza perché abbiamo notato che non c'è univocità di vedute su questo tema che, a mio modo di vedere, è centrale nell'impostare il lavoro non solo delle Direzioni distrettuali antimafia, ma soprattutto delle DDA in relazione alle attività di indagine certamente lunghe e complesse, non parificabili per una serie di ragioni alle indagini che si svolgono in relazione alle fattispecie ordinarie. Noi abbiamo indicato che tra il 2008 e il 2018 la Suprema Corte di Cassazione si è chiaramente espressa nel senso che ogni segmento di condotta, che poi viene riferito con una lettura unitaria al complessivo svolgersi del reato permanente, deve beneficiare di uno stesso spazio investigativo. Per essere chiaro, se l'ufficio di Procura effettua un'iscrizione in relazione al reato permanente in data odierna e avvia subito le indagini preliminari, avrà uno spazio massimo di durata dei termini che oggi è pari a due anni. Ci siamo chiesti che cosa avviene in relazione a quel segmento di condotta che si dovesse verificare in prossimità della scadenza dei due anni. Ovviamente la risposta non poteva che essere una: anche quel segmento di condotta deve avere lo stesso spazio investigativo. Non è possibile investigare in relazione a fattispecie così complesse soltanto per pochissimi giorni, soprattutto nel momento in cui noi abbiamo l'obbligo di ricercare anche gli elementi a favore delle persone sottoposte a indagini. Come si procede attualmente? Si procede seguendo le indicazioni della Suprema Corte ed effettuando più iscrizioni che vadano a coprire non lo stesso fatto, ma periodi temporali diversi. Segnalo alla Commissione la necessità di un intervento normativo che distingua i reati permanenti da tutti gli altri proprio perché questo modo di procedere genera problematiche in relazione alle regole connesse alle richieste di proroga dei termini. Ogni singola iscrizione – che non è aggiornamento dell'iscrizione, ma iscrizione di reato autonomo – genera una serie di subprocedimenti che appesantiscono molto la gestione del procedimento e non possono in alcun modo essere considerate in linea con lo spirito della riforma di cui anche oggi stiamo discutendo.
  Sono disponibile ad approfondire insieme a voi, ove necessario, il tema di cui alla lettera c). In relazione invece alla lettera d) vorrei precisare che non può considerarsi non utile l'introduzione di una sola proroga del termine delle indagini preliminari. Dico solo che questo tipo di previsione deve innestarsi su una rilettura più ampia di tutto l'istituto in modo tale da non privare – questo ovviamente è un passaggio di garanzia fondamentale – il giudice per le indagini preliminari della sua fondamentale funzione di controllo.
  Anche in relazione a un'altra tematica – e mi riferisco a quella di cui alla lettera g) del comma 1 dell'articolo 3 – ritengo che si possano fare alcune considerazioni: prevedere che, dopo la notifica dell'avviso di deposito di cui alla lettera e), l'omesso deposito della richiesta di archiviazione o il mancato esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero entro un termine di trenta giorni costituisca illecito disciplinare, configura a mio parere una misura difficilmente attuabile. Consentitemi di fare questa valutazione da magistrato che, come i colleghi, lavora quotidianamente in situazioni certamente non facili. È vero che le prospettive disciplinari sono connesse a condotte riferibili a negligenza inescusabile; tuttavia vi dico che irrigidire troppo questo tipo di indicazione toglie serenità al giudizio che siamo chiamati ad emettere ogni giorno in relazione a vicende particolarmente complesse e articolate. Altro tema – in realtà individuo al fondo una serie di punti convergenti che mi spingono quasi ad analoghe considerazioni – è quello riferibile alla successiva lettera l). Noi sappiamo che da anni si discute in merito all'opportunità di attribuire al giudice il controllo sui tempi di iscrizione della notizia di reato da parte del pubblico ministero. Ed è ampio il dibattito sul punto. Ovviamente il pubblico ministero ha una funzione imprescindibile in relazione alla prima valutazione della notizia di reato. Io Pag. 10vi devo dire la verità: non sono totalmente contrario a questo tipo di verifica affidata all'organo giudicante. Ritengo però che la disposizione, così come è formulata, possa generare delle distorsioni. Mi riferisco al fatto che tale disposizione possa portare a iscrizioni troppo anticipate anche in presenza, o non necessariamente in presenza, di tutti quegli elementi che il pubblico ministero deve valutare nel momento in cui decide di annotare la notizia di reato, a carico di ignoti o di persone compiutamente identificate, nel registro di cui all'articolo 335 del codice di procedura penale. Ritengo che su questo punto si debba svolgere un approfondimento: la verifica potrebbe essere necessaria, ma potrebbe essere affidata, invece che al giudice, direttamente al pubblico ministero. Dico questo perché, soprattutto nelle indagini di competenza delle direzioni distrettuali antimafia, il giudice nel momento in cui è chiamato a fare il controllo sulle tempistiche di acquisizione della notizia di reato, potrebbe essere, in relazione al singolo procedimento penale, sfornito di tutte le informazioni necessarie per comprendere non soltanto la reale ampiezza della notizia di reato, ma anche una serie di ragioni ulteriori che, ad esempio, possono dipendere da esigenze di coordinamento o da esigenze legate all'impossibilità di svelare in quella fase tutti gli elementi conoscitivi che rilevano ai fini della valutazione. Il giudice per le indagini preliminari ha un'ampia conoscenza del singolo procedimento, ma non di tutti i procedimenti collegati che, in relazione al ruolo delle DDA, potrebbero anche essere in carico a diverse autorità giudiziarie. Questo potrebbe determinare decisioni non proprio allineate al quadro complessivo di cui si dispone. Passo rapidamente a fare una serie di brevi considerazioni in relazione agli articoli successivi. In relazione all'articolo 4, e quindi ai procedimenti speciali, non posso che concordare con l'esigenza di allargare il campo di applicazione dell'istituto di cui all'articolo 444 del codice di rito, nonché con le indicazioni in relazione a giudizio abbreviato, giudizio immediato e procedimento per decreto. Vi segnalo soltanto che non sono contrario all'allargamento a otto anni in relazione all'applicazione della pena su richiesta; però non posso prescindere dal considerare che già l'allargamento a cinque anni ha avuto una scarsa applicazione proprio perché, tranne casi rarissimi, l'istituto non è accompagnato da tutta una serie di ulteriori passaggi premiali – passatemi questa indicazione – che possano incentivarlo. Aggiungo una considerazione. Io penso che il nostro sistema sia maturo per una revisione profonda dell'approccio all'applicazione della pena su richiesta. Vi indico una mia opinione personale circa la necessità di snellire la fase processuale, quindi la fase successiva all'esercizio dell'azione penale complessivamente intesa: a mio modo di vedere sarebbe il caso di avviare una riflessione su un patteggiamento scollegato da tetti massimi di pena che in qualche modo ne possano condizionare l'applicazione. È ovvio che il discorso non si può sintetizzare in poche battute, ma è altrettanto ovvio che questo tipo di approccio consentirebbe di ottenere risultati particolarmente rilevanti in termini di tempistiche, con l'introduzione tuttavia di una serie di puntuali, concreti e specifici strumenti di controllo che possano incidere – ovviamente prevedendo forme speciali di impugnazione – sull'accordo delle parti in relazione all'applicazione concreta di un tale istituto allargato.
  In relazione al giudizio abbreviato non posso che concordare con le indicazioni di cui alla lettera b), in quanto noi ci siamo battuti per anni in favore di giudizi abbreviati che soddisfacevano tutti i parametri normativi e soprattutto creavano benefici in relazione al criterio dell'economia processuale. Quindi non possiamo che accogliere con favore una specificazione in questo senso. Mi permetto di segnalarvi quanto sia indispensabile il profilo che incide sull'economia processuale, quale criterio da valorizzare nell'ammissione del giudizio abbreviato condizionato. A volte siamo stati costretti a celebrare dibattimenti lunghissimi, quando era evidente che l'integrazione probatoria richiesta avrebbe certamente risolto in radice tutta una serie di problematiche che invece poi il dibattimento Pag. 11 ha affrontato con particolare difficoltà.
  Concordo pienamente sulle indicazioni relative al giudizio immediato, al procedimento per decreto. In relazione all'articolo 5, e quindi al giudizio, vedo difficilmente applicabile ai processi della DDA la previsione di cui al comma 1, lettera a). Questo dipende da una serie di ragioni che impediscono ai giudici di programmare sin da subito l'iter della fase processuale, soprattutto per la costanza – registrata perlomeno nel distretto di Reggio Calabria – di integrazioni probatorie provenienti da indagini molto articolate che spesso si svolgono all'interno di procedimenti diversi.
  Concordo con il contenuto della lettera c), anche se ritengo necessario prevedere la possibilità di recuperare parte della prova rinunciata a richiesta della controparte. Anche su questo aspetto noi notiamo in fase di dibattimento rinunce strumentali che poi non possono incidere sul bagaglio complessivo di conoscenze che il giudice deve avere.
  Non so sinceramente individuare quali possano essere i profili che consentano di apprezzare una modifica normativa – che in qualche modo torna al passato – come quella indicata dalla lettera b) del comma 1 dell'articolo 5, che prevede dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento la relazione illustrativa delle parti sulle richieste di prova. Io propenderei invece per una disciplina che renda più specifica l'attuale normativa, nella misura in cui la richiesta di prova non può limitarsi soltanto al richiamo della lista testimoniale tempestivamente depositata.

  PRESIDENTE. Scusi, dottor Lombardo. Mi rincresce e sono desolato, ma le chiederei di avviarsi a conclusione perché il tempo è finito.

  GIUSEPPE LOMBARDO, Procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Reggio Calabria (intervento da remoto. Concludo dicendo che concordo anch'io con la possibilità di introdurre in appello una composizione monocratica come quella di cui si discuteva prima; concordo soprattutto sull'opportunità di valutare in relazione ai giudizi di competenza del tribunale in composizione monocratica un'udienza filtro che a mio modo di vedere è indispensabile anche nel giudizio di secondo grado. Grazie, presidente.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, dottor Lombardo. Mi scuso di nuovo per essere intervenuto, ma purtroppo abbiamo tempistiche che dobbiamo rispettare, nonostante l'argomento sia da sviscerare, e non certamente in venti minuti. Do la parola a Piergiorgio Morosini, giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Palermo. Dottor Morosini, buongiorno. A lei la parola. Prego.

  PIERGIORGIO MOROSINI, giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Palermo (intervento da remoto). Buongiorno, presidente. Grazie, un saluto a tutti i componenti della Commissione e a tutti i colleghi e professori universitari che intervengono in questa seduta. Consentitemi di dire che uno sforzo riformatore per rendere più veloce ed efficiente il processo penale, nel rispetto delle garanzie dell'imputato, è, in questo momento storico, un investimento istituzionale ormai non più dilazionabile. Questo lo comprendiamo: basta esaminare le statistiche che sono allegate alla relazione illustrativa del disegno di legge che stiamo discutendo. Pensiamo anche a tutte le regiudicande a rischio di applicazione della legge Pinto, con quello che ne consegue dal punto di vista della condizione di violazione dei diritti del cittadino e dei pesanti costi per lo Stato; per non parlare della comparazione dei tempi di definizione dei procedimenti nei vari gradi di giudizio con riferimento alla realtà europea. Con i nostri tempi siamo fortemente fuori dalla media europea. In appello la media europea della durata del giudizio è di 143 giorni a fronte degli 840 giorni dell'Italia: questo secondo i dati del rapporto della Commissione per l'efficienza della giustizia del Consiglio d'Europa (CEPEJ). Questo è un investimento istituzionale ormai indilazionabile che chiama in causa dal punto di vista istituzionale non Pag. 12solo il Parlamento, ma anche i protagonisti del processo: i magistrati, gli avvocati e lo stesso Governo per l'allocazione delle risorse. Credo che questa iniziativa, per come è congegnata, possa diventare un'occasione non soltanto per rendere non isolata la riforma della prescrizione – ad esempio con gli interventi sui giudizi in appello – ma anche per realizzare un riequilibrio complessivo tra efficienza nell'accertamento del reato e tutela dell'imputato dall'irragionevole durata del processo. Da questo punto di vista credo che il disegno di legge esprima un segnale non trascurabile e, sotto certi profili, promettente, vale a dire quello di prevedere una varietà di interventi anche di diversa natura. A questo proposito nelle scelte del disegno di legge vengono coinvolti non soltanto il piano processuale, ma anche i profili penal-sostanziali e organizzativo-ordinamentali. Sul piano processuale, la previsione di interventi riguarda diversi snodi della procedura penale con disposizioni immediatamente precettive in alcuni casi, con disposizioni di delega in altri. Faccio una considerazione preliminare a proposito dell'appunto scritto che ho preparato e inviato alla Commissione pochi minuti fa e che offro alla vostra attenzione (vedi allegato 2). Il documento si concentra sul tentativo di analizzare la congruità delle modifiche proposte su alcuni snodi processuali, soprattutto in base a un'esperienza personale maturata nelle funzioni di giudice delle indagini preliminari, giudice dell'udienza preliminare, giudice del dibattimento. Mi sono concentrato soprattutto su aspetti che riguardano le funzioni che svolgo e che ho svolto presso il tribunale di Palermo.
  Vorrei partire dalle novità sui riti alternativi, e quindi dall'impatto della giustizia negoziata in questo disegno di legge. Noi dovremmo fare una considerazione ultra sintetica, ma preliminare, sui riti alternativi consensuali e sul modello accusatorio. Noi sappiamo – è detto anche nella relazione illustrativa – che un modello accusatorio può reggere se funzionano i riti alternativi. Per questo nell'arco di un trentennio di vita di questo codice abbiamo avuto continui interventi legislativi per invertire un trend di scarso o inadeguato utilizzo dei riti alternativi. L'esperienza quotidiana mi dice che il rito alternativo consensuale viene richiesto dall'imputato soprattutto quando il soggetto lo percepisce come l'unica alternativa a una condanna praticamente certa. Facendo il giudice del rito direttissimo ci si rende conto – è il rito che parte sostanzialmente da un arresto in flagranza – di come nella quasi totalità dei casi l'imputato chieda il rito alternativo. Secondo i dati dell'Istituto di studi politici, economici e sociali (Eurispes), lo chiede nell'84 per cento dei casi (34 per cento patteggiamento, 50 per cento abbreviato). Il successo statistico del rito negoziato dipende anche da altri fattori. Dipenderà ora dal nuovo statuto della prescrizione, ma dipenderà moltissimo, continuerà a dipendere, dalla completezza delle indagini svolte dal pubblico ministero e dalle modalità con cui interagiscono i diversi riti alternativi tra loro. Faccio un esempio pratico: da quando c'è la messa alla prova per adulti, abbiamo meno patteggiamenti perché molti imputati alla fine scelgono quello sbocco processuale.
  Fatta questa breve premessa, sottopongo un'annotazione velocissima sul patteggiamento super allargato a otto anni di pena, una misura che giustamente è stata compensata con l'ampliamento dell'elenco dei reati ostativi alla richiesta di patteggiamento. Dobbiamo ricordare un dato: noi abbiamo già registrato, con la legge 12 giugno 2003, n. 134, l'allargamento del patteggiamento da due a cinque anni. Quell'allargamento del patteggiamento non ha prodotto un aumento complessivo dei patteggiamenti, ce lo dicono le statistiche del Ministero della giustizia. Io ho una statistica che non è molto aggiornata perché arriva al 2015: comunque, mentre prima della riforma del 2003 – ad esempio nel 2001 – i patteggiamenti erano attorno a 79.000 casi in Italia; nel 2005, due anni dopo la riforma, erano balzati a 86.000 casi; nel 2010 erano ancora stabili intorno agli 85.000 casi; nel 2014 decrescevano a 77.000 casi; nel 2015 arrivavano a 68.000 casi. Dal 2001 al 2015, con in mezzo la riforma del 2003, i casi di patteggiamento – Pag. 13nonostante l'allargamento – sono sensibilmente diminuiti.
  In ogni caso la novità dell'estensione a otto anni di pena può essere positiva. Faccio tuttavia una considerazione da giudice dei riti alternativi: occorre introdurre una clausola codicistica in grado di garantire che la scelta dell'imputato – una scelta così importante e di così grande impatto nei suoi confronti – di patteggiare una pena sino quasi a otto anni sia pienamente libera e informata. Oggi, nell'attuale ordinamento, abbiamo l'articolo 446 del codice di procedura penale che, con una norma specifica, al comma 5, prevede che il giudice convochi l'imputato per verificare la volontarietà di questa scelta: vi posso dire per esperienza che questa norma viene scarsamente utilizzata.
  Questo dipende dal senso di responsabilità di ciascuno di noi. Quando si concepisce una riforma, c'è un investimento parlamentare, ma ci deve essere anche un investimento professionale, in questo caso, sul senso di responsabilità della magistratura. Questa norma è stata scarsamente utilizzata, ma con un patteggiamento allargato sino a otto anni è importantissimo verificare la piena consapevolezza dell'imputato. Sarebbe opportuno prevedere un obbligo di presentazione da parte del diretto interessato per una domanda di patteggiamento così pregnante e così impegnativa nei suoi confronti o quanto meno escludere la possibilità, per pene così alte, che tale domanda possa essere formulata attraverso la procura speciale rilasciata al suo difensore. Riflettiamo su questo aspetto.
  Per l'aumento del ricorso ai patteggiamenti credo sia importante la direttiva che riguarda la modifica dei termini di ragguaglio tra pena pecuniaria e pena detentiva: è stato abbassato il ragguaglio per ogni giorno di pena detentiva, passando da 250 a 180 euro. Questo è qualcosa che può favorire il patteggiamento, soprattutto in certe fasce di reati.
  Due battute sulle modifiche che riguardano il giudizio abbreviato. Nel disegno di legge si punta molto ad ampliare il rito abbreviato, attraverso una modifica delle condizioni per l'accoglimento dell'abbreviato condizionato. Non so fino a che punto questa scelta sia in sintonia con gli obiettivi del disegno di legge, che sono quelli di velocizzare i tempi e recuperare le risorse. Si introduce un filtro a maglie un po' troppo larghe, a mio parere, perché si vuole portare il giudice a questo tipo di considerazione: «se l'imputato mi chiede l'abbreviato condizionato, siccome ho comunque un vantaggio in termini di risparmio dei tempi rispetto alla celebrazione di un dibattimento, io tendenzialmente devo ammettere sempre l'abbreviato condizionato». Questo può creare giudizi abbreviati giganteschi dove c'è lo sconto di pena, ma non si risparmia tempo e non si risparmiano risorse. Scusate, sarò un po' brutale, ma io credo che in questo momento occorra fare una riflessione per incentivare l'abbreviato sulla base di soluzioni drastiche e coraggiose che ovviamente non sto inventando io. Sono temi di cui si discute da anni. Ne hanno discusso abbondantemente la Commissione Riccio e la Commissione Canzio, entrambe di riforma del codice di procedura penale. Sono soluzioni che non riguardano il tema dell'abbreviato condizionato, ma riguardano il tema dell'abbreviato tout court e che coinvolgono il rapporto tra piano premiale e riduzione delle garanzie. Cosa intendo per rapporto tra piano premiale e riduzione delle garanzie? Chi sceglie l'abbreviato dovrebbe avere uno sconto di pena, magari con un trattamento premiale più articolato. Si potrebbe pensare, oltre all'abbattimento della pena principale, anche all'esclusione delle pene accessorie. Però la sentenza del giudizio abbreviato dovrebbe essere inappellabile proprio perché c'è un vantaggio più consistente dal punto di vista premiale. Eventualmente si potrebbe compensare la perdita della garanzia in secondo grado, con un giudice collegiale in primo grado quantomeno per i reati che non siano ordinariamente di competenza del tribunale in composizione monocratica. Questo ridurrebbe moltissimo i carichi di lavoro in Corte di appello. Si può replicare che forse c'è un problema di compatibilità costituzionale perché il doppio grado di giudizio di merito deve essere garantito. Su questo noi abbiamo Pag. 14alcuni approdi della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell'uomo che ci dicono che è una soluzione praticabile quella di negare l'appello. La Corte costituzionale con la sentenza n. 34 del 2020 ha detto che il doppio grado di giudizio di merito non è imposto dalla Carta costituzionale. La scelta dell'abbreviato nella proposta che faccio – proposta non mia, proposta che è stata già adombrata nei lavori di varie Commissioni – sarebbe intesa come una rinuncia all'appello in cambio di sconti di pena in caso di condanna. L'appello non è una tutela indispensabile. E lo dimostra la struttura del codice di procedura penale che prevede in alcuni casi il meccanismo del ricorso per saltum nonché, ad esempio all'articolo 448 in materia di patteggiamento, una totale inappellabilità della decisione. La Corte di Strasburgo, in un caso che riguardava l'ordinamento georgiano, nel 2014 ha affermato che un imputato può rinunciare, in cambio di benefici premiali, alle garanzie contemplate dall'articolo 2 del protocollo 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, purché la sua scelta – attenzione – sia frutto di una manifestazione di volontà piena e consapevole. Ancora una volta torna il tema della scelta piena e consapevole. Sui riti alternativi mi fermo qui.
  Vorrei fare una considerazione sull'estensione della disciplina dell'articolo 190-bis del codice di procedura penale. È un tema molto delicato. So che è stato già oggetto di discussioni e di confronto molto forte nella vostra Commissione. Vorrei portare una piccola esperienza professionale perché l'articolo 190-bis è molto utilizzato in territori come quello in cui opero, vale a dire nel distretto di Palermo. Sappiamo che la disciplina vigente risente di quella che è stata, a partire dal 1999, la sentenza Iannasso delle Sezioni unite della Corte di Cassazione in tema di mutabilità del giudice e quindi di contenuto dell'articolo 525, comma 2, del codice di procedura penale. Quella sentenza – lo sappiamo ed è già stato detto anche questa mattina – prevede che, nel caso in cui muti la composizione del tribunale o cambi il giudice persona fisica, il dibattimento vada integralmente rinnovato in tutte le sue sequenze, comprese anche le prove già assunte nel contraddittorio dalle parti, che devono essere ripetute. Questa norma ha comportato molti problemi soprattutto in certe realtà giudiziarie, quelle che sono più frequentemente segnate da un continuo turnover. Parlo di sedi disagiate, quali i tribunali di Locri, Palmi, Barcellona Pozzo di Gotto, Gela: in quelle realtà gli effetti della sentenza a Sezioni unite Iannasso hanno portato spesso a processi che si sono dovuti ripetere quasi integralmente. Questo ha determinato una dilatazione dei tempi ingestibile e sentenze tardive, con tutto quello che ne consegue dal punto di vista della credibilità delle istituzioni agli occhi dell'opinione pubblica, in realtà fortemente segnate da forme di illegalità di ogni tipo. Credo, quindi, che l'estensione dell'applicazione dell'articolo 190-bis del codice di procedura penale rappresenti una decisione saggia. Naturalmente anche questa decisione può avere come misura compensativa soprattutto il senso di responsabilità della magistratura giudicante che la dovrà gestire.
  Noi sappiamo che l'articolo 190-bis prevede che non siano ripetute determinate assunzioni di prova, garantendo comunque la possibilità per il giudice, in alcune circostanze, di risentire il teste, di formulare domande nuove, quindi di comprendere se quella prova già assunta in contraddittorio debba essere in qualche modo completata. Questa soluzione – va detto in maniera molto chiara – è compatibile con i recenti approdi della Corte costituzionale che ha ammesso eccezioni al principio dell'immediatezza, in presenza di contrappesi che in questo caso sono dati dalla possibilità del riesame da parte del giudice, qualora verifichi determinate circostanze. Lo stesso orientamento si è riscontrato da parte della Corte di Strasburgo. Anche in questo caso, purché si prevedano misure compensative, la disciplina proposta dal disegno di legge è legittima ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Vorrei anche aggiungere un altro aspetto. In questo momento, soprattutto dopo l'inizio della pandemia, la nostra giurisdizione sempre di più si confronta con l'utilizzo di mezzi Pag. 15telematici, di videoregistrazioni. Non dobbiamo dimenticare che in molti casi le dichiarazioni assunte in contraddittorio, in relazione alle quali ai sensi dell'articolo 190-bis non c'è più la necessità di ripeterle, sono molto spesso assunte con una videoregistrazione che può essere messa a disposizione di un giudice che ne ha sostituito un altro e che si trova a dover affrontare la materia processuale. Io credo che anche questo aspetto vada considerato nel recepire l'indicazione contenuta nel disegno di legge.
  Se ho ancora un istante di tempo, vorrei fare una considerazione su un tema che fa parte del mio lavoro quotidiano, essendo io in questo momento un giudice anche dell'udienza preliminare. Parlo del famoso filtro più rigoroso per il pubblico ministero – in base all'articolo 125 delle disposizioni di attuazione – quando deve decidere se formulare la richiesta di archiviazione o se fare l'avviso di conclusione indagini o comunque la citazione diretta. Un filtro più rigoroso è previsto anche nell'udienza preliminare, con riferimento alla regola di giudizio per l'emissione della sentenza di non luogo a procedere, e nell'eventuale udienza filtro – scusate il bisticcio di parole –, per i procedimenti davanti al giudice monocratico che arrivano a citazione diretta. È sempre utilizzata la stessa formula: si fa riferimento agli elementi acquisiti quando risultano insufficienti, contraddittori o comunque non consentono una ragionevole previsione di accoglimento della prospettazione accusatoria. Qui compare una riformulazione della regola di giudizio che vale per pubblici ministeri e giudici: giudici dell'udienza preliminare e giudici dell'udienza filtro.
  Anche in questo caso, l'operazione che sta tentando il disegno di legge era già stata praticata con la legge n. 479 del 1999, la cosiddetta «legge Carotti», quando si cambiò la regola di giudizio per l'emissione della sentenza di non luogo a procedere. Mi sembra che l'intenzione dei proponenti del disegno di legge sia quella di trasformare la regola di giudizio da regola prognostica a regola diagnostica. E mi spiego meglio. Oggi la giurisprudenza lascia spazio al giudice dell'udienza preliminare, che può anche ritenere che l'insufficienza degli elementi possa essere colmata in dibattimento o comunque la contraddittorietà degli elementi emersa in sede di indagine possa essere in qualche modo sanata da un'istruttoria dibattimentale. È chiaro che questo approccio porta a un filtro in versione debole. Mi sembra che i proponenti del disegno di legge si propongano invece di rendere questo filtro più forte. In che modo? Il pubblico ministero e il giudice dell'udienza preliminare non sarebbero più tenuti a considerare le possibili evoluzioni in sede di dibattimento degli elementi raccolti con le indagini. Loro dovrebbero limitarsi a valutare il compendio probatorio già esistente nel fascicolo del pubblico ministero in merito alla colpevolezza dell'imputato, ordinando il proscioglimento o chiedendo l'archiviazione in caso di prova insufficiente o contraddittoria. Questo comporterebbe anche un mutamento dell'approccio del pubblico ministero che forse c'è già stato, in parte. Il pubblico ministero dovrebbe formulare l'imputazione soltanto se l'accusa gli appare sostenibile in giudizio abbreviato. Questo naturalmente renderebbe molto più forte il filtro, ma lo trasformerebbe in realtà in un giudizio di primo grado: l'udienza preliminare con il rinvio a giudizio configurerebbe già una sorta di pseudo condanna. Più il filtro diventa forte, più aumentano le chance di sentenza di non luogo a procedere, più la fase dell'udienza preliminare si trasforma in una sorta di giudizio di primo grado, con un peso psicologico eccessivo sul giudice del dibattimento.

  PRESIDENTE. Dottor Morosini, mi ricresce interromperla. Le chiederei di concludere, per favore. La ringrazio.

  PIERGIORGIO MOROSINI, giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Palermo (intervento da remoto). Concludo dicendo che con riguardo alla modifica della regola del filtro il rapporto costi-benefici in termini di durata ragionevole del processo va valutato. Se il filtro è forte, il giudice in udienza preliminare deve fare Pag. 16verifiche anche istruttorie, e questo può dilatare le fasi, può incidere sui tempi.
  Mi fermo qui con un'ultima telegrafica considerazione di sistema. Credo che una riforma come questa debba tenere conto delle risorse materiali e umane di cui il sistema della giustizia penale oggi dispone e anche della condizione professionale dei vari protagonisti del processo. Parlo per i magistrati in questo caso. Queste norme possono avere una loro validità se sono gestite con grande senso di responsabilità da parte di pubblici ministeri e giudici.
  Un'ultima cosa. Il sistema penale, per diventare un sistema che offre risposte di giustizia in tempi ragionevoli, deve poter contare anche sul contributo, il sostegno e l'adeguatezza di altre postazioni istituzionali che dovrebbero essere chiamate a farsi carico di alcune domande di giustizia che oggi sono convogliate tutte sul versante penale. Mi riferisco soprattutto ai progetti di depenalizzazione che dovrebbero trasformare molti reati «nani», molte contravvenzioni in illeciti amministrativi. Però c'è da chiedersi se il sistema delle pubbliche amministrazioni sia in grado da questo punto di vista di dare risposte che siano informate – quindi, sulla base di istruttorie complete – e dotate di quel senso di imparzialità che si richiede a ogni soggetto istituzionale che deve rispondere a domande di tutela dei diritti e di giustizia. Grazie, presidente.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, dottor Morosini. Anche con lei mi scuso se mi sono permesso di invitarla a concludere, ma purtroppo stiamo cercando di rispettare i tempi previsti, anche con una certa elasticità. Do la parola a Mitja Gialuz, professore di diritto processuale penale presso l'università degli studi di Genova. Buongiorno professore. A lei la parola, e grazie per essere qui.

  MITJA GIALUZ, professore di diritto processuale penale presso l'università degli studi di Genova (intervento da remoto). Buongiorno, presidente. Un saluto agli onorevoli deputati e ai magistrati che mi hanno preceduto in questa audizione. Si tratta, come è stato ben detto, di un disegno di legge molto articolato che ha il pregio della sistematicità perché interviene su diversi gangli e snodi del processo penale, e non solo. Visti i tempi, non intendo soffermarmi con un'analisi puntuale delle singole disposizioni, e per questo rinvio al contributo da me pubblicato sulla rivista online Sistema penale nel marzo di quest'anno, che ho messo ieri a disposizione della segreteria della Commissione e che vedo sta già circolando tra i presenti. Mi fa piacere che alcune indicazioni che erano state tratteggiate in quel lavoro siano state condivise da chi mi ha preceduto. Vorrei fare una considerazione di ordine generale e soffermarmi su due chiavi di lettura di questo disegno di legge che secondo me individua strade assolutamente condivisibili, ma che ha bisogno di alcune correzioni al fine di renderlo ancora più efficace nel conseguimento dell'obiettivo. Si tratta dell'obiettivo di garantire la ragionevole durata e l'efficienza del processo che, se era una priorità a marzo per le statistiche che tutti conosciamo e che sono riportate nella relazione illustrativa, diventerà ancora più urgente quando ci metteremo alle spalle la pandemia. Direi che sarà un elemento di esistenza stessa del sistema giudiziario. Considerate che in questi mesi tutti i sistemi giudiziari del mondo stanno accumulando un arretrato davvero significativo. I sistemi che funzionano meglio, quelli che stanno gestendo meglio la pandemia, riescono a smaltire circa un terzo dei casi che smaltivano nel momento fisiologico. In questi mesi, come sistema di giustizia anche penale, abbiamo affrontato investimenti tecnologici molto importanti, discutibili per certi versi, ma che hanno consentito di tenere in piedi l'apparato della giustizia penale. Parlo della giustizia virtuale, parlo dell'innovazione significativa del processo telematico. Qualcosa del processo telematico è previsto all'articolo 2 del disegno di legge, ma consentitemi di dire che, a distanza di sei mesi dal momento in cui il Governo ha approvato il disegno di legge in Consiglio dei ministri, c'è stato uno stravolgimento. Alcune di quelle disposizioni sembrano ormai invecchiate perché prima Pag. 17il decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, cosiddetto «Cura Italia», e da ultimo il decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, cosiddetto «Ristori», hanno consentito un utilizzo massiccio – e opportunamente rilevante, aggiungo – della giustizia virtuale e del processo telematico. Il ricorso alla tecnologia, che è presente nell'articolo 2, ma in misura ancora insufficiente, dovrà essere ripensato proprio alla luce delle esperienze fatte durante l'emergenza pandemica. Credo che la tecnologia sarà indispensabile per garantire una ragionevole durata del processo e che il deposito degli atti in via telematica e anche qualche udienza a distanza dovranno essere mantenuti a regime. Pensiamo che l'esperienza fatta dovrà consentirci di individuare alcuni meccanismi che potranno garantire l'accesso al giudice da parte dell'imputato e della vittima del reato anche una volta terminata la pandemia.
  Detto questo come considerazione generale, mi voglio soffermare in particolare su due chiavi di lettura che credo siano essenziali per garantire un buon risultato al disegno di legge: da un lato la riduzione della domanda di giustizia e dall'altro la tematica, come vedremo per certi versi connessa, della semplificazione del rito e della depenalizzazione in concreto. Perché non ha funzionato il processo penale accusatorio all'italiana? Così si chiamava quando è stato introdotto il codice Vassalli nel 1988. Non ha funzionato perché ci sono troppe azioni penali, ci sono troppi processi, ci sono – come è stato già ricordato – troppo poche modalità alternative di definizione dello stesso. La chiave oggi, secondo me, sta nel rafforzamento dei criteri di scelta e nella – consentitemi di dire – razionalizzazione della discrezionalità del pubblico ministero. Dobbiamo superare una concezione dell'obbligatorietà dell'azione penale troppo rigida. Nel 1991, Giovanni Falcone parlava della necessità di andare oltre una visione feticistica dell'obbligatorietà dell'azione penale; sono passati tanti anni e con il nuovo codice si è assistito a una metamorfosi del pubblico ministero che esercita un'ampia discrezionalità tecnico-giuridica, funzionale e anche politica. Credo che il disegno di legge vada nella giusta direzione laddove, anzitutto, affronta il tema dei criteri di priorità. Alludo all'articolo 3, comma 1, lettera h), che introduce una disciplina finalizzata a individuare criteri di priorità. Credo che il procedimento, abbastanza partecipato, sia costruito bene, ma preferirei che a monte ci fosse un'indicazione da parte del Parlamento, perché il difetto fondamentale è che il Procuratore della Repubblica, il Procuratore generale e tutti i soggetti coinvolti in quel procedimento sono soggetti privi di responsabilità politica; invece la scelta dei criteri di priorità è una scelta di politica criminale che deve essere adottata da parte dell'organo legittimato a fare questo, che è il Parlamento. Credo che la soluzione dovrebbe essere quella di un provvedimento non legislativo naturalmente, in cui si individua una cornice generale che poi viene concretizzata dai singoli procuratori sulla base delle indicazioni contenute nel disegno di legge. Credo che in questo modo si eviterebbe un federalismo giudiziario potenzialmente pernicioso e soprattutto si riaffermerebbe la centralità della politica nella definizione delle priorità di politica criminale. Laddove questo non fosse praticabile, credo che in ogni caso sarebbe preferibile introdurre – proprio per evitare, come dicevo, ipotesi di federalismo giudiziario – una definizione della cornice da parte del Consiglio superiore della magistratura. Si finirebbe per cristallizzare e codificare quella che è una prassi oggi attuata – ma, come sappiamo, non prescritta – da parte del Consiglio superiore della magistratura, tanto che vi sono uffici di procura che non hanno adottato criteri di priorità.
  Da questo punto di vista la lettera l) del comma 1 dell'articolo 3 determina un passo avanti, ma credo che sarebbe importante, dal punto di vista dell'assetto istituzionale, introdurre un passaggio parlamentare a monte della definizione dei criteri da parte delle procure.
  Il secondo aspetto fondamentale, quello relativo alla discrezionalità e all'esercizio dell'azione penale – e mi riallaccio a quanto detto dal dottore Morosini – consiste nel definire filtri molto più stringenti, in particolare Pag. 18 al momento dell'esercizio dell'azione penale. A questo proposito, l'articolo 3, comma 1, lettera a), fa un passo avanti, ma io credo non ancora sufficiente, perché mantiene un criterio prognostico che non consente una ragionevole previsione dell'accoglimento della prospettazione accusatoria nel giudizio. Io credo che, per introdurre un filtro molto più stringente e rigoroso, bisognerebbe adottare solo un criterio diagnostico: il pubblico ministero, sulla base di indagini complete, decide se esistono gli elementi probatori per condannare, e a quel punto esercita l'azione penale, altrimenti chiede l'archiviazione. Il suggerimento è quello di eliminare l'ultima parte della lettera a) del comma 1 dell'articolo 3 che contiene ancora un criterio prognostico.
  Per quanto riguarda la regola in udienza preliminare che disciplina l'adozione della sentenza di non luogo a procedere, io non sono d'accordo sul fatto che il criterio stringente – il criterio diagnostico – sarebbe utile perché si verificherebbe o meglio rischierebbe di verificarsi quello che ha detto il dottore Morosini: che l'udienza preliminare, da udienza puramente processuale si trasformi in udienza di merito. Già oggi l'udienza preliminare è un'udienza troppo pesante e non funziona perché l'indagine Eurispes – Unione camere penali ci dice che nel 78,9 per cento dei casi l'udienza preliminare si conclude con un rinvio a giudizio. Per questo dico – un po' provocatoriamente, ma fino a un certo punto – che è meglio eliminare l'udienza preliminare. Questo ci consentirebbe di risparmiare tra il 30 e il 40 per cento dei tempi di celebrazione del giudizio di primo grado. E credo che elimineremmo soprattutto quei tempi morti che precedono e seguono l'udienza preliminare, che vengono stigmatizzati in particolare dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. Va bene rendere più stringente il criterio dell'esercizio dell'azione penale; va meno bene, secondo me, in udienza preliminare. A quel punto, ripeto, sarebbe meglio fare la scelta coraggiosa, ormai suggerita da diversi colleghi, di superare l'udienza preliminare. Da questo punto di vista non sono d'accordo sull'introduzione di una sorta di udienza preliminare davanti al tribunale in composizione monocratica, che rischierebbe di allungare i tempi e di creare – com'è stato già ricordato – fenomeni di incompatibilità che producono una difficoltà di gestione, soprattutto nei tribunali più piccoli.
  La seconda chiave di lettura è quella legata alla semplificazione del rito. Nel 1988 si era investito sul patteggiamento e sul giudizio abbreviato, che all'inizio avevano funzionato. Dobbiamo tuttavia prendere atto con chiarezza che i riti alternativi consensuali sono in una crisi profonda. Il patteggiamento e l'abbreviato hanno avuto numeri dimezzati dal 2010 al 2019. Il procedimento per decreto consentiva di definire 97.000 regiudicande nel 2009; ma nel 2018 sono stati 31.000 i procedimenti per decreto pronunciati, quindi siamo a un terzo. Ritengo che le proposte contenute nell'articolo 4 del disegno di legge siano timide, e vado a spiegare perché. Credo che la strada dovrebbe essere quella di una ristrutturazione complessiva e di una razionalizzazione che dovrebbero seguire due direttive. Da un lato per i reati meno gravi – per intenderci per un ambito di applicazione simile a quello dell'articolo 168-bis del codice penale, vale a dire della messa alla prova – bisognerebbe avere il coraggio di ragionare su un istituto del tutto innovativo, quale quello della cosiddetta archiviazione condizionata o archiviazione meritata. Questi istituti hanno dato una straordinaria prova all'estero, anche in ordinamenti caratterizzati dall'obbligatorietà dell'azione penale. Penso al paragrafo 153 della legge processuale tedesca o all'ordinamento spagnolo o all'articolo 41/2 del codice di procedura penale francese. Che cos'è l'archiviazione condizionata o – come a me piace di più, citando Jean Pradel – l'archiviazione meritata? È una forma di definizione alternativa della regiudicanda che dovrebbe collocarsi, però, a monte dell'esercizio dell'azione penale. Come potrebbe funzionare? Il pubblico ministero, al termine di indagini complete, potrebbe esercitare l'azione penale o avviare, quando vi sia il consenso dell'indagato, un nuovo procedimento. Questo porterebbe l'indagato Pag. 19 ad attivarsi nei confronti della vittima, laddove vi sia una vittima, o a favore della collettività colpita dal reato, con prestazioni di carattere pecuniario o di natura diversa: lavori di pubblica utilità, sospensione della patente, attività di mediazione, ormai tutte modalità che sono già entrate nel nostro ordinamento. Una volta effettivamente compiute queste attività con un pagamento, con un risarcimento dei danni, con un'attività di mediazione e così via, il legislatore dovrebbe prevedere l'estinzione del reato. Sarebbe venuto meno l'interesse a esercitare l'azione penale. Badate bene che nel nostro ordinamento esistono già tutta una serie di previsioni – l'oblazione, l'estinzione del reato per condotte riparatorie, la sospensione con messa alla prova in indagini preliminari – che sono riconducibili a questo modello. Credo che sia venuto il momento di ricondurle a sistema. Ci sono esempi in materia ambientale e in materia di sicurezza sul lavoro che funzionano bene anche nel nostro ordinamento. Nel disegno di legge l'articolo 10, che spesso passa sotto silenzio, prevede in nuce questa archiviazione condizionata. Credo che sarebbe opportuno, anzi assolutamente indispensabile, disciplinare da un punto di vista procedurale questo istituto e raccordarlo con altri istituti che – lo ripeto – a seguito della depenalizzazione della precedente legislatura, stanno perdendo centralità. Penso allo stesso procedimento per decreto. La ristrutturazione dei riti alternativi dovrebbe basarsi sulla creazione dell'archiviazione condizionata prima dell'esercizio dell'azione penale; a quel punto si potrebbe estendere il patteggiamento con la soluzione «super allargata» e ridefinire anche il giudizio abbreviato per renderlo davvero abbreviato. In questo modo si avrebbe sostanzialmente un contenitore che precede l'esercizio dell'azione penale per tutta la definizione dei reati bagatellari e meno gravi. Sarebbero quindi da mantenere soltanto due riti, uno basato sull'accordo e l'altro sul consenso dell'imputato, per la criminalità anche grave, a quel punto.
  Devo dire che sono a favore del superamento della preclusione dell'abbreviato per i reati più gravi puniti con l'ergastolo, perché ciò produrrà problemi – soprattutto per le Corti di assise – in termini di allungamento dei processi. Sarebbe meglio ristrutturare l'abbreviato, introducendo magari la collegialità e riducendo sensibilmente il rimedio inquinatorio verso la sentenza di abbreviato, piuttosto che introdurre le piccole modifiche previste dal disegno di legge in discussione. Credo che in questo modo si eliminerebbe anche la perniciosa concorrenza tra i riti alternativi che finisce per penalizzare la loro stessa capacità deflativa. Nell'archiviazione meritata si potrebbe fare uso anche della tecnologia: non essendoci udienze in contraddittorio per l'assunzione di testimoni, si potrebbe anche pensare in prospettiva al ricorso ad udienze a distanza. In molti Paesi, soprattutto anglosassoni – penso all'Inghilterra, ma anche all'Australia – per la criminalità bagatellare vi sono già ipotesi di guilty plea online. Quindi – e concludo presidente – credo che la chiave sia nel filtro più stretto per l'esercizio dell'azione penale, al fine di ridurre sensibilmente la quantità di processi che si celebrano, e in una depenalizzazione in concreto, dopo la depenalizzazione in astratto che è stata effettuata nella precedente legislatura. Oggi vi è la necessità – in linea con quanto richiesto dal Consiglio d'Europa, nonché con quanto previsto dallo stesso regolamento istitutivo del Procuratore europeo – di prevedere questo strumento che consente, laddove l'indagato si attivi nei confronti della vittima e nei confronti della collettività, di introdurre una forma di depenalizzazione in concreto, un'archiviazione condizionata. In Germania questo istituto consente di definire 200.000 casi a fronte dei 65.000 patteggiamenti in Italia; quindi è uno strumento che funziona davvero molto bene. Concludo con un invito a effettuare un bilancio dell'utilizzo delle tecnologie nel periodo della pandemia, a introdurre alcuni correttivi all'articolo 3 e infine a ragionare su un'ampia valorizzazione dell'articolo 10 per prospettare il citato istituto innovativo e a quel punto ristrutturare – nel senso indicato in modo più analitico nel mio contributo scritto – i riti alternativi. Ringrazio il presidente, Pag. 20tutti i membri della Commissione e gli altri auditi per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Io ringrazio lei, professor Gialuz. Ora chiederei se ci sono colleghi che intendono intervenire per porre questioni. Prego, onorevole Vitiello, a lei la parola.

  CATELLO VITIELLO (intervento da remoto). Grazie, presidente. Cercherò di essere quanto più breve possibile. Sarebbero tante le cose da chiedere, però purtroppo il tempo stringe e ho anche un treno da prendere per raggiungervi lì in Commissione, quindi cercherò di essere telegrafico. Farò una considerazione per ogni audizione, e pregherei gli auditi di fare le loro osservazioni su quanto chiederò. Parto dal presidente Zaniboni. Il presidente del tribunale di Sassari ha fatto una lunga digressione: ritengo sia una delle poche ascoltate finora completamente a favore di questa riforma. Mi consentirà, presidente, di porle un paio di domande. Ritiene che l'udienza preliminare, così come congegnata a seguito della riforma e quindi della modifica della regola di giudizio, diventi un grado di merito nel quale sia giusto entrare nel vivo della colpevolezza? Mi chiedo quindi se lei non ritenga che questa regola possa privare di ulteriore centralità il dibattimento. Questa è la prima domanda. La seconda domanda riguarda il fatto che lei ritiene opportuna l'eliminazione del consenso. E allora le chiedo questo: non è forse vero che quando sono dati i termini per le liste testimoniali di cui all'articolo 468 del codice di procedura penale, la lista delle parti viene fatta anche sulla scorta di quanto indicato dalle altre? Allora mi consentirà di pensare che non posso rimettermi al principio dell'assoluta necessità di cui all'articolo 507 del codice di procedura penale per poter recuperare una prova che è stata prima richiesta e poi rinunciata, nell'ottica di ciò che io penso di portare come contributo conoscitivo al giudice. Ritengo doveroso che ci sia un consenso dell'altra parte. E parlo indistintamente di avvocati e pubblici ministeri, di difesa e accusa, perché è un problema che riguarda entrambe le parti.
  Quanto alla terza domanda, chiedo al presidente Zaniboni se conosca la percentuale di riforme delle sentenze in appello. Questa è una domanda molto specifica, che mi aiuta a ricostruire tutto ciò che egli ha detto in tema di prescrizione.
  Procuratore Lombardo, l'ho ascoltata. Lei è stato molto puntuale, soprattutto sui temi che più le competono per la funzione che in questo momento svolge. E ha fatto riferimento a una serie di aspetti positivi di questa riforma, tra i quali l'appello in composizione monocratica. Io invece resto ancora perplesso rispetto al fatto che, in un intero procedimento, potremmo avere addirittura quattro giudici, sempre in composizione monocratica. E questo mi lascia perplesso anche dal punto di vista della verifica nel merito e del rispetto delle garanzie.
  Procuratore Lombardo, la invito a riflettere sull'udienza filtro. Lei dice che va bene l'udienza filtro, addirittura in un possibile giudizio di secondo grado. Io ritengo che ciò ingolfi ancora di più la Corte di appello. Se non ho capito bene, la prego di precisare sul punto.
  Il dottor Morosini dell'ufficio del giudice dell'indagine preliminare di Palermo ha fatto una disamina molto interessante. Condivido tante sue puntualizzazioni, ma resto un po' perplesso rispetto alla scelta drastica. Conosco molto bene il progetto Riccio al quale il dottor Morosini ha fatto riferimento: al punto 94, che individua una serie di inappellabilità, non si parla mai della sentenza in abbreviato, a meno che non si tratti di una sentenza di proscioglimento. Voglio dire questo per precisare che secondo me non è una bocciatura dell'appello che risolve i problemi, anche perché l'articolo 438 del codice di procedura penale prelude a un accertamento nel merito da parte di un magistrato che deciderà se condannare o assolvere. C'è sempre un'alea della decisione che deve essere garantita da un controllo successivo. Mi permetto di sottolinearlo.
  Non sono per niente d'accordo su quello che il dottor Morosini ha detto sull'articolo 190-bis del codice di procedura penale e sulla sua compatibilità costituzionale. Sebbene Pag. 21 ci siano delle misure compensative, ciò non mi induce ad abbandonare l'idea che il dibattimento ha il suo valore aggiunto soltanto quando la prova viene formata davanti al giudice che dovrà decidere. Questo per me è fuor di dubbio. Naturalmente la mia esperienza professionale mi induce a pensare che il dibattimento dovrebbe mantenere una centralità che oggi sempre di più stenta ad avere. Quindi su questo aspetto non sono assolutamente d'accordo. Sulla regola di giudizio, condividendo le perplessità del dottor Morosini, concludo con un'ultima domanda al professor Gialuz. Se ho capito bene, il professore Gialuz fa una differenziazione: riguardo alla regola di cui all'articolo 125 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, egli ritiene effettivamente corretta la diagnosi attribuita al pubblico ministero, quando deve scegliere di non agire. Al contrario il professor Gialuz ritiene eccessiva la regola di giudizio che porta a una diagnosi in sede di udienza preliminare, che secondo lui dovrebbe mantenere il carattere prognostico, introducendo la provocazione – io spero che sia tale – dell'eliminazione dell'udienza stessa. Non ci avevo mai pensato. Se non è una provocazione, secondo me è una riflessione da fare perché, a questo punto, se bisogna caricare il dibattimento del macigno della ragionevole condanna, così come presuppone la riforma che stiamo discutendo, probabilmente sarebbe meglio addirittura cancellare l'udienza preliminare. Però, bisognerebbe aumentare le garanzie di accesso al dibattimento, laddove il giudice dovrà comunque fare una cernita preliminare su quello che è sostanzialmente giudicabile e quello che non lo è. Ci sono accuse, che fanno parte di quella piccolissima percentuale che si ferma all'udienza preliminare, assolutamente insostenibili in dibattimento. Grazie, scusatemi se sono stato eccessivamente breve e sintetico. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, onorevole Vitiello. Diciamo che è stato assolutamente chiaro e sintetico. Do ora la parola all'onorevole Bazoli.

  ALFREDO BAZOLI(intervento da remoto). Vorrei fare un paio di domande, anch'io molto brevi, ringraziando gli auditi perché credo che abbiano fornito un contributo molto costruttivo. Ed è quello di cui abbiamo bisogno noi come commissari. Abbiamo bisogno di provare a costruire un percorso che ci porti un risultato positivo; quindi abbiamo bisogno di aiuto e di consigli su come migliorare il testo.
  Due cose volevo chiedere agli auditi. La prima riguarda la regola di giudizio. Si tratta di una questione già posta in qualche modo dal collega Vitiello. Io ho ascoltato da parte del procuratore Lombardo, del dottor Morosini e del professor Gialuz giudizi sostanzialmente positivi. Tutti si sono espressi in tal senso. Il procuratore Lombardo ha detto che le maglie più strette per la regola di giudizio, anche per l'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero, possono aiutare i pubblici ministeri a non esercitare l'azione quando effettivamente non ci siano le condizioni, più di quanto oggi non avvenga. Quindi, se si introduce una regola un pochino più stringente, questo ci aiuta. Il giudizio positivo è venuto anche dal dottor Morosini e dal professore Gialuz, il quale però – mi ricollego alla domanda del collega Vitiello – anche a me è sembrato fare una distinzione. Questa nuova regola, magari più diagnostica che prognostica – come ha detto anche il dottore Morosini – è utile nella fase della decisione del pubblico ministero, però può non esserlo in sede di udienza preliminare perché lì si pone il problema di un giudizio anticipato. Volevo capire se può avere un senso la distinzione tra la regola di giudizio che deve assistere il pubblico ministero nel momento dell'esercizio dell'azione penale e la regola di giudizio per il giudice dell'udienza preliminare, quando deve decidere se rinviare a giudizio o meno l'imputato. Questa potrebbe essere una soluzione che aiuta a tenere insieme esigenze diverse, che sono state evidenziate dagli altri auditi nel corso di questa istruttoria. L'altra questione che mi interessa è una questione su cui non ho sentito opinioni molto articolate questa mattina: è il tema della monocraticità dell'appello. Pag. 22 Il disegno di legge prevede l'appello in composizione monocratica. Si tratta di una questione molto dibattuta e molto divisiva, su cui ci sono critiche molto aspre da parte degli avvocati, ma anche da parte di molti magistrati, i quali sostengono che in realtà non ci sarebbero neanche gli spazi fisici per celebrare appelli monocratici e che per questo si tratterebbe di una previsione che comporta meno garanzie, senza far fare passi avanti nel numero di processi celebrati. Questo è un tema un po' delicato su cui vorrei avere qualche opinione più articolata da parte degli auditi.
  Chiudo dicendo che la proposta del professore Gialuz sull'archiviazione condizionata è un tema che sta molto a cuore anche a me. Penso – lo dico come forma di apprezzamento della proposta – che sia un tema su cui la nostra Commissione dovrà lavorare. Penso che potrebbe essere una direzione di marcia innovativa e moderna, che potrebbe contribuire a deflazionare moltissimo i nostri tribunali. Quindi mi pare che quella sia una direzione molto utile e molto interessante. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, onorevole Bazoli. Ha chiesto di intervenire l'onorevole Sarti. Prego, a lei la parola.

  GIULIA SARTI (intervento da remoto). Buongiorno e grazie a tutti gli auditi per i contributi di questa mattina, che saranno sicuramente molto utili per i nostri lavori. Volevo chiedere un ulteriore approfondimento, solo nei confronti degli auditi che non hanno avuto il tempo di parlarne, sulla lettera e) del comma 1 dell'articolo 5, relativo all'estensione della regola dell'articolo 190-bis del codice di procedura penale, chiedendo loro se ritengano corretta la misura che stiamo prevedendo o se ci siano critiche in tal senso. Inoltre chiedo un approfondimento al dottor Lombardo sui tempi delle indagini preliminari. Il dottor Lombardo ci ha parlato della opportunità di rendere permanenti le indagini per tutti i reati di particolare gravità, come quelli di cui egli stesso si occupa da tanti anni. Si tratta di un suggerimento molto forte, anche suscettibile di critiche, di cui si è parlato in questi anni. Però, come ricordava lo stesso dottor Lombardo, anche la Cassazione ha espresso la sua opinione in tal senso. Quindi gli sarei grata se volesse fare un approfondimento su questo punto. Sono interessanti tutti i suggerimenti che ci sono stati dati dal professore Gialuz, dal dottor Morosini e dal presidente del tribunale di Sassari Zaniboni. Chiederei inoltre, con riguardo all'articolo 14 in materia di sospensione della prescrizione, se le previsioni in esso contenute non siano in realtà un passo indietro rispetto alla norma entrata in vigore con la legge 9 gennaio 2019, n. 3, la cosiddetta legge «anticorruzione», che aveva già disposto la sospensione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado. Chiedo dunque se anche sull'articolo 14 vi siano a loro parere correttivi e ulteriori indicazioni in merito a questo annoso tema su cui si è molto concentrata la nostra attenzione in questa legislatura. In realtà, come ci state facendo notare voi e come ci hanno fatto notare tantissimi auditi, dovremmo concentrarci su altri profili per arrivare a una definizione più celere dei tempi del giudizio e dell'appello, e in generale dei procedimenti penali. Grazie agli auditi per i contributi che ci hanno fornito. Chiederei alla segreteria della Commissione, presidente, se possono inoltrarci le relazioni scritte degli auditi, nel caso in cui le abbiano già acquisite, in modo tale che siano messe a disposizione di tutti i colleghi. Grazie mille.

  PRESIDENTE. Certamente, onorevole Sarti, le relazioni già inviate sono disponibili sull'applicazione GeoCom. Invito comunque gli auditi a far pervenire integrazioni o comunque ulteriori scritti che saranno sicuramente utili al lavoro di tutti. Non essendoci altri colleghi che intendono intervenire, vorrei chiudere questo ciclo di domande chiedendo agli auditi le loro riflessioni sulla proposta del professore Gialuz in merito a una rivisitazione, se non a un'abolizione, dell'udienza preliminare nei termini in cui è oggi concepita. Chiedo se in alternativa sia ipotizzabile un altro strumento o filtro più agevole che eviti un doppio giudizio, ma allo stesso tempo consenta o impedisca che vadano a dibattimento Pag. 23 processi che non ci devono arrivare. Faccio l'esempio dei processi nei quali le parti intendono aderire ai riti speciali. Non so cosa pensino i magistrati circa la possibilità di trasformare l'udienza preliminare in un'udienza nella quale si svolgono esclusivamente i riti alternativi oppure quelle attività preliminari al dibattimento come le sentenze di non luogo a procedere per prescrizione. Chiedo se questa potrebbe essere una linea da seguire, un canale da esplorare. Cedo ora la parola ai nostri ospiti. Direi che possiamo iniziare seguendo l'ordine già adottato con le audizioni. Do quindi la parola al dottor Zaniboni.

  MASSIMO ZANIBONI, presidente del tribunale di Sassari (intervento da remoto). Grazie, presidente. Ringrazio anche gli onorevoli che hanno chiesto di approfondire alcuni aspetti degli interventi. Non ho fatto esclusivamente osservazioni a favore; ho esposto anche le parti che non mi piacevano.
  Mi si chiede da parte dell'onorevole Vitiello se l'udienza preliminare non diventi un ulteriore grado di merito con l'introduzione della nuova regola di giudizio. In realtà non diventa un nuovo grado di merito, però svolge quella funzione di filtro per la quale era nata e che le statistiche dimostrano in modo chiaro che non avviene. Come si sa più dell'80 per cento dei processi che passano per l'udienza preliminare vanno a finire al dibattimento, il che significa che attualmente, per come è fatta, non serve sostanzialmente a nulla. Per questo o si decide, come ipotizza anche il presidente, per una sua eliminazione o una sua riduzione a un momento squisitamente processuale di applicazione di riti alternativi e di questioni che portano a un proscioglimento de plano, senza discussione – penso a prescrizione, remissione di querela e a quant'altro – oppure gli si dà una diversa dimensione di giudizio, con una migliore capacità di filtro. Naturalmente si tratta di un lavoro congiunto che passa anche attraverso la regola del giudizio del pubblico ministero. Se il pubblico ministero deve chiedere l'archiviazione, e non il rinvio a giudizio, quando ragionatamente pensa di non arrivare a una sentenza di condanna, in udienza preliminare dovrebbe giungere un minor numero di richieste di rinvio a giudizio di natura esplorativa; dovrebbero giungere solo quelle che – in linea con quanto sostenuto dalla giurisprudenza in materia di regola di giudizio – meritano il dibattimento affinché sia esplorata meglio l'ipotesi dell'accusa. Per questo il mio giudizio era favorevole rispetto a una regola di giudizio a maglie più strette, salvo che non la si voglia completamente trasformare. Dire che tale modifica sottrae centralità al dibattimento in un momento in cui il dibattimento è la fase processuale di maggiore sofferenza nel processo penale e i riti alternativi hanno mostrato il loro fallimento nelle percentuali completamente rovesciate rispetto alle previsioni del legislatore del nuovo codice, è qualcosa che sostanzialmente non condivido. Il dibattimento doveva avere e dovrebbe avere una funzione residuale. Si potrebbe invece più opportunamente ragionare sulle ragioni per cui al dibattimento le percentuali di assoluzioni raggiungono, a livello nazionale, il 50 per cento. Questo vuol dire che il dibattimento, per come è strutturato, riceve troppi casi e analizza troppe ipotesi che non dovrebbero essere analizzate in un'ottica di efficienza del sistema. Di questo si discute. E i protocolli definiti dal Consiglio superiore della magistratura sulla gestione dei flussi di richieste di rinvio a giudizio partono proprio dall'amara constatazione che nel dibattimento si prescrive il 50 per cento dei processi e che al dibattimento arriva circa l'80 per cento delle richieste di rinvio a giudizio. Per quanto riguarda la critica all'abolizione del consenso per la rinuncia alla prova dedotta dall'altra parte, osservo che già adesso le parti più attente indicano nella propria lista i testimoni compresi nella lista di altra parte che intendono necessariamente sentire. In un futuro nel quale sapranno, per disposizione normativa, che se non indicano quella testimonianza o quella prova non la potranno assumere, naturalmente saranno più attenti e laddove la riterranno realmente necessaria, la indicheranno. Sulle percentuali di sentenze riformate in appello Pag. 24 chiederei una migliore specificazione, perché avendo svolto funzioni di appello per alcuni anni ritengo che si debba operare una distinzione. Ci sono sentenze riformate che rientrano nelle percentuali, pur essendo riforme di contorno, e non sostanziali, vale a dire quelle nelle quali nel frattempo si prescrive un reato o si riconosce una circostanza che era stata negata in primo grado o viceversa. Non so se la domanda era riferita alle riforme sostanziali – cioè ai passaggi da assoluzioni a condanne o da condanne ad assoluzioni – o a tutti i tipi di riforme. Per quanto riguarda la Corte d'appello della Sardegna le percentuali di conferma sostanziale della sentenza di primo grado sono intorno all'80 per cento.
  Rispondendo all'onorevole Bazoli, per quanto riguarda il giudizio in composizione monocratica in appello, ritengo che il dato legislativo non possa essere condizionato esclusivamente dal dato organizzativo. L'obiezione che non ci sono spazi per fare udienze, che potrebbe essere in parte vera in alcune realtà, non lo è tuttavia dal punto di vista sistematico. Considero favorevolmente il giudizio in composizione monocratica in appello per quanto riguarda reati che già in primo grado sono stati giudicati monocraticamente. Se l'obiezione è che non ci sono spazi per fare udienze, la difficoltà potrebbe essere superata in altro modo.
  L'onorevole Sarti chiedeva un giudizio sull'estensione dell'applicazione dell'articolo 190-bis del codice di procedura penale. Su questo mi sono già pronunciato in termini estremamente favorevoli, sottolineando come le Sezioni unite della Cassazione l'anno scorso hanno sostanzialmente previsto l'estensione a tutti i tipi di reato e non soltanto a quelli specificamente enunciati. In ogni caso osservo che se è vero che si può fare per i reati più gravi, non capisco perché non si possa estendere anche agli altri casi. Per quanto riguarda la prescrizione ribadisco che l'intera vicenda della sospensione rappresenta una scelta molto condizionata da valutazioni politiche. Devo dire che secondo me va valutata positivamente una disciplina differenziata in tema di prescrizione a seconda che la sentenza di primo grado sia di condanna o di assoluzione. Credo e spero di avere risposto a tutti. Sono comunque a disposizione.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Zaniboni. Dottor Lombardo, prego.

  GIUSEPPE LOMBARDO, procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Reggio Calabria (intervento da remoto). Grazie, presidente. Cercherò di seguire l'ordine degli interventi dei vari onorevoli, ovviamente accorpando gli argomenti comuni. Inizio quindi a rispondere alle sollecitazioni che riguardano l'appello monocratico. Come segnalavo prima in maniera molto sintetica, ritengo che sull'argomento una discussione si debba aprire, nella misura in cui, anche sulla base dell'esperienza di determinati distretti, è necessario trovare soluzioni alle carenze di organico evidenti. Io non mi riferisco soltanto alle assenze, ma anche alle dotazioni organiche rispetto a un carico di lavoro che non consente di esigere tutta una serie di tempistiche rapide nella definizione di procedimenti di grande rilievo. La mia esperienza è legata tanto al distretto di Catanzaro quanto al distretto di Reggio Calabria, ove presto servizio da molti anni. Questo mi spinge a considerare che i maxiprocessi – frutto di istruttorie lunghe e complesse svolte dalla Direzione distrettuale antimafia – sottraggono risorse alle Corti di appello che potrebbero essere recuperate introducendo la previsione di cui alla lettera f) del comma 1 dell'articolo 7. Per questo in relazione soltanto ad alcuni reati – prevalentemente quelli o soltanto quelli di cui all'articolo 550 del codice di procedura penale – si può valutare una soluzione alternativa alla collegialità obbligatoria anche in appello.
  L'onorevole Vitiello faceva bene a segnalare il rischio di una monocraticità eccessiva, ma è il caso di segnalare anche che la verifica finale – certamente su temi di legittimità, che spesso e volentieri hanno effetti sui profili di merito – permarrebbe affidata al giudizio collegiale davanti alla suprema Corte. Ovviamente queste considerazioni valgono anche in relazione alle sollecitazioni dell'onorevole Bazoli. Pag. 25
  Rimanendo alle richieste dell'onorevole Vitiello, per quanto riguarda l'udienza filtro ritengo che possa essere uno strumento valido nella misura in cui il primo filtro – su questo tornerò parlando della richiesta di archiviazione – è certamente quello che fa il pubblico ministero nel momento in cui si determina in relazione ai presupposti di cui all'articolo 50 del codice di rito. È dunque indispensabile da quel punto di vista una rivisitazione dei parametri che il pubblico ministero deve utilizzare – dirò poi a quali regole io mi ispiro da anni e cerco di ispirare il lavoro dei colleghi – ai fini di una valutazione assolutamente puntuale, per evitare le problematiche individuate molti anni fa dalla storica sentenza della Corte costituzionale n. 88 del 1991. Con questa sentenza la Corte costituzionale diceva chiaramente di fare attenzione al rischio più grande che si corre nel momento in cui la valutazione nella fase di esercizio dell'azione penale non sia sufficientemente rigorosa, vale a dire all'esercizio apparente dell'azione penale. L'esercizio apparente, che si ricollega alla necessità di completezza dell'investigazione, è qualcosa su cui noi ogni giorno dobbiamo riflettere: ecco perché i parametri di valutazione devono essere particolarmente stringenti ed ecco perché io mi sento di concordare con le indicazioni di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a), del disegno di legge. È quello il momento in cui noi sostanzialmente segniamo quella che sarà la vita della fase processuale e in cui il pubblico ministero, ovviamente fatte le sue valutazioni, deve andare a confrontarsi con il suo giudice. Per questo io ritengo che quel tipo di discorso – ove sia esteso anche alle esigenze indicate dal legislatore in relazione all'udienza filtro – in un disegno complessivo di rivisitazione delle valutazioni preliminari, possa consentire un giudizio soltanto su fatti che effettivamente meritano un'attenzione processuale particolare. Perché ritengo che la previsione di cui all'articolo 6, comma 1, lettera a), possa in qualche modo riferirsi anche all'appello? Soprattutto vorrei precisare in che termini ritengo che questo si possa fare. Ritengo che si possa fare senza appesantire il lavoro della Corte di appello nel momento in cui tra il primo e il secondo grado possano essersi verificati elementi estintivi o l'acquisizione, questo accade non di rado, di sopravvenienze decisive a favore dell'imputato. Nel momento in cui emergono elementi di questo tipo, innestare necessariamente un giudizio di appello senza filtri andrebbe ad appesantire l'iter complessivo del processo.
  Mi serve questo tipo di riferimento anche per rispondere alle osservazioni dell'onorevole Sarti, in quanto si sollecita una riflessione sul disposto dell'articolo 190-bis a cui vorrei collegare una brevissima valutazione sull'articolo 493, comma 3, del codice di rito. Si sollecita anche nuovamente una valutazione sui tempi delle indagini, sui reati permanenti e sulla prescrizione. In relazione all'articolo 190-bis io non vedo ostacoli all'estensione di una norma indispensabile come quella anche in relazione a ipotesi diverse rispetto all'attuale previsione normativa. Nella misura in cui, come si diceva bene prima, ci sono indicazioni giurisprudenziali che vanno in questo senso, a mio modo di vedere il diritto vivente deve sempre guidare le nostre scelte e anche le scelte del legislatore. Sulla base del diritto vivente, facevo le riflessioni che ho portato alla vostra attenzione in relazione ai tempi delle indagini e ai reati permanenti o a consumazione prolungata. Perché accetto ben volentieri la richiesta di integrazione che mi è stata rivolta? Perché a mio modo di vedere una regola chiara sui reati che presentano una struttura particolare libera spazi operativi in relazione ai reati che hanno una struttura diversa, come quelli istantanei. Se il reato istantaneo può essere approfondito con un'investigazione che abbia determinate caratteristiche, addirittura predeterminabili proprio perché il fatto reato su cui ci si confronta è quello, la stessa cosa non può avvenire in relazione al reato permanente che è caratterizzato da continue mutazioni e che quindi impone al pubblico ministero scelte sempre nuove. Ben vengano le riforme che riguardano determinati reati e quindi in particolare – ma sto semplificando – i reati istantanei: gli spazi in tal modo recuperati dovrebbero Pag. 26andare a beneficio di fattispecie di reato che hanno caratteristiche totalmente diverse. Su questo, come vi dicevo nel corso del mio primo intervento e come sollecitato da voi, vi farò avere una riflessione più ampia. In relazione alla prescrizione rispondo all'onorevole Sarti che non mi pare che la modifica proposta sia irragionevole. Non mi pare che possa essere considerata un passo indietro; anzi, io la ritengo un corretto allineamento alla ratio di fondo di quell'intervento normativo che si citava prima. Ritengo che questa modifica possa armonizzare il sistema rispetto a regole che devono tenere in considerazione anche lo sbocco processuale certamente non definitivo che fino a un certo punto si è registrato. Anche da questo punto di vista ritengo che le riflessioni debbano essere molto accurate; tuttavia non ho individuato criticità particolari che possano fungere da ostacolo rispetto a una lettura più approfondita delle riforme già efficaci e già applicate su un istituto così importante.

  PRESIDENTE. Dottor Lombardo, la ringrazio. Sentiamo se anche il dottor Morosini intende ampliare il contenuto del suo intervento. Prego, dottore.

  PIERGIORGIO MOROSINI, giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Palermo (intervento da remoto). Sì, faccio un'integrazione telegrafica. Mi riallaccio alle sollecitazioni dell'onorevole Vitiello e dell'onorevole Sarti sull'articolo 190-bis del codice di procedura penale. E vorrei dire questo: noi già oggi abbiamo molti casi – al di là dei testimoni cosiddetti vulnerabili e dei collaboratori di giustizia previsti dall'articolo 190-bis vigente – in cui il giudice del dibattimento arriva addirittura alla condanna sulla base di prove formatesi in contraddittorio nella fase delle indagini preliminari, cioè in incidente probatorio. Faccio l'esempio delle rapine. Molto spesso sul tema delle rapine, che non è coperto dall'attuale articolo 190-bis – abbiamo testimoni che in sede d'indagine, durante l'incidente probatorio, rendono la loro testimonianza e fanno la ricognizione. Quello sarà il cuore della prova dibattimentale sulla base del quale verrà emesso il verdetto di condanna. Già oggi in molti casi è così. E non si può dire che tali sbocchi violentino in qualche modo principi fondamentali. Se poi anche sulla rapina il giudice del dibattimento ritiene che alcuni aspetti della ricostruzione vadano approfonditi, a quel punto richiamerà il teste che ha già reso la testimonianza in incidente probatorio. È tutto fisiologico.
  Quanto al discorso dell'onorevole Vitiello sull'inappellabilità del giudizio abbreviato, noi abbiamo una copertura da parte della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell'uomo. La filosofia di fondo dovrebbe essere questa: «decidi di scegliere l'abbreviato perché se sei condannato hai un grande vantaggio? La compensazione è quella che non puoi appellarti». Però sono temi su cui si può discutere.
  Un appunto telegrafico sulla regola di giudizio. La sollecitazione viene in particolare dall'onorevole Bazoli. In realtà io sono perplesso su questa novità con riferimento all'udienza preliminare. A me convince molto la distinzione operata dal professore Gialuz sulla validità della nuova regola di giudizio per il pubblico ministero. Parliamo dell'articolo 125 delle disposizioni di attuazione. Mi convince molto meno per l'udienza preliminare. Perché? Intanto per una valutazione di fondo, di carattere generale. Noi siamo di fronte a una regola di valutazione delle prove: siamo quindi su un versante molto scivoloso perché – posto che nel nostro sistema non ci devono essere prove legali – la regola di valutazione della prova ha sempre margini di elasticità che possono portare alle interpretazioni più diverse.
  C'è un'espressione che viene usata da un professore universitario, il professore Ferrua, per descrivere in maniera molto efficace che cos'è la valutazione della prova da parte del giudice. Si tratta di qualcosa che attiene alla clinica giurisprudenziale, e il professore Ferrua ritiene – con una formula a mio avviso molto felice – che sia una sorta di giardino proibito per il legislatore. Per questo motivo prima ho citato l'esempio della riforma della legge Carotti che ha cambiato la regola di giudizio: tale Pag. 27modifica tuttavia non ha portato conseguenze significative. Ritengo che la nuova regola diagnostica possa invece rappresentare in maniera forte un filtro maggiore da parte dei pubblici ministeri. In questo convergo con quanto detto dal collega Giuseppe Lombardo. Da questo punto di vista, credo che dovremmo tenerne conto. Mi convince anche la prospettiva del professore Gialuz. Non sarei invece favorevole a trasformare l'attuale udienza preliminare in un'udienza dove si decide solo sui riti alternativi e sulle questioni preliminari al dibattimento. Ritengo che anche nell'attuale situazione una maggiore attenzione possa essere dedicata alla possibilità di attivare il filtro attualmente già previsto dalle norme del codice.
  Faccio una considerazione con riguardo alla sollecitazione dell'onorevole Sarti in relazione all'articolo 14 e quindi alla distinzione, in tema di prescrizione, tra la sentenza di primo grado di condanna o di assoluzione. Io credo che la soluzione adottata dall'articolo 14 sia assolutamente ragionevole e in sintonia con determinati obiettivi. Lo avevo già detto in una precedente audizione, nello scorso dicembre, specificamente dedicata al tema della prescrizione. La pronuncia assolutoria ha caratteristiche particolari: significa che in primo grado il giudice non solo ha confermato la presunzione d'innocenza, ma ha smentito l'ipotesi accusatoria, tanto è vero che ci sono alcuni effetti immediati dopo la sentenza di proscioglimento in primo grado. Determinati effetti pregiudizievoli legati alla contestazione, a esempio sul versante delle cautele processuali, sulla base della sentenza assolutoria vengono automaticamente cancellati. Parliamo dell'articolo 300 del codice di procedura penale. D'altro canto la sentenza di assoluzione in primo grado può comunque far persistere, con la pendenza del giudizio, effetti incapacitativi di fatto e di diritto per l'imputato, quale ad esempio la non partecipazione a concorsi pubblici e via dicendo. Io credo che in presenza di un'assoluzione in primo grado ci debba essere una corsia preferenziale per definire nel più breve tempo possibile il procedimento in appello, e debba continuare a decorrere la prescrizione sostanziale. Quindi mi trovo d'accordo con l'articolo 14 del disegno di legge.
  Un'ultima considerazione su un tema importante che è stato rievocato anche poco fa dal collega Lombardo e che riguarda in parte la nostra attività di giudici. Faccio riferimento al tema del meccanismo della verifica giudiziale sulla tempestività dell'iscrizione di notizie di reato, proprio per evitare elusioni sul termine delle indagini. Si è fatto riferimento a orientamenti giurisprudenziali. Io voglio portare una telegrafica testimonianza.
  Facendo il giudice delle indagini preliminari a Palermo, mi sono confrontato spesso con lamentele anche dell'Avvocatura – a mio avviso in alcuni casi giuste – rispetto al fatto che l'iscrizione del singolo associato, a esempio in contesti associativi, non sia stata tempestiva. Questo ha consentito magari all'organo requirente di lucrare su un periodo di indagini più lungo. È un tema serio, non è un esempio di scuola. Da questo punto di vista credo che quella del disegno di legge sia una proposta seria, che porterà tuttavia, se tradotta in legge, alcune difficoltà a livello operativo. Perché? Perché per il pubblico ministero decidere se ha gli elementi per iscrivere soggettivamente una notizia di reato, vale a dire per iscrivere un soggetto nel registro degli indagati, non è un'operazione a rime obbligate, algebrica, fatta sulla base di elementi chiari.
  Non dimentichiamo che la Procura di Roma, non più tardi di tre anni fa, ha dovuto elaborare una circolare per stabilire criteri uniformi tra i pubblici ministeri sui tempi di iscrizione di un soggetto nel registro degli indagati, anche quando c'erano esposti di privati cittadini, o addirittura informative della Polizia giudiziaria, che indicavano soggettivamente i possibili responsabili di una determinata ipotesi di reato. Questa è la spia del fatto che, dal punto di vista ermeneutico, non è un'operazione agevole quella della decisione di iscrivere un soggetto nel registro degli indagati. Consegnare il controllo sui tempi di questa operazione al giudice delle indagini preliminari, dell'udienza preliminare o del Pag. 28dibattimento, è un'operazione scivolosa, difficile, che rende instabile il procedimento perché l'eventuale vizio te lo porti fino in Cassazione. Credo tuttavia che, in quest'ottica, il disegno di legge preveda molto opportunamente misure di tutela della stabilità del procedimento. In quale modo? Prevedendo, a pena di inammissibilità, che la questione venga sollevata entro un determinato termine, cioè entro le conclusioni dell'udienza preliminare o, se non c'è stata l'udienza preliminare, immediatamente dopo la costituzione delle parti in dibattimento, specificando le ragioni di diritto e gli elementi di fatto alla base di questa richiesta. Penso che questo meccanismo sia importante dal punto di vista delle garanzie dell'imputato ma, se approvato, ci darà molti grattacapi e non sarà semplice da gestire per i problemi ermeneutici cui si faceva riferimento. Un'ultima annotazione – e ho finito – sul versante del lavoro delle procure. Consentitemi di fare questa ultima considerazione – che riguarda i criteri di priorità – sulla base della mia esperienza al Consiglio superiore della magistratura. Penso che normativizzare i criteri di priorità sia sicuramente un'operazione positiva, soprattutto per come è gestita nella delega, e condivisibile nel metodo, perché prima di arrivare a definire tali criteri è richiesta un'interlocuzione tra soggetti che giudiziariamente operano da postazioni diverse. Addirittura io credo che i progetti di criteri di priorità debbano essere portati nei consigli giudiziari, garantendo l'interlocuzione con componenti non togate. Trovo la proposta assolutamente sacrosanta e giusta nei contenuti. Non soltanto occorre prevedere una direttiva di copertura da parte del Consiglio superiore della magistratura, ma, cosa molto importante, occorre tenere conto della specificità dei territori e delle risorse personali e reali di quel particolare distretto. Per questo immagino un confronto nel consiglio giudiziario. A questo proposito esprimo un'opinione personale: in questi casi, quando si tratta di criteri di priorità, estenderei la partecipazione al consiglio giudiziario di rappresentanti delle comunità territoriali. È infatti assolutamente vero quello che dice il professor Gialuz. Queste sono scelte che hanno a che fare con la politica criminale, quindi ci deve essere un'ampia rappresentanza. Però vorrei fare una precisazione con riguardo ai criteri di priorità, che ritengo positivi in questo momento: non devono essere un alibi per non trattare determinate categorie di fatti di reato. A mio avviso, ripeto che dovrebbero essere – e ho finito – una soluzione ponte perché stiamo vivendo un momento emergenziale rispetto alla gestione di un numero elevatissimo di notizie di reato. Noi siamo in una situazione assolutamente emergenziale, e se vogliamo rendere questa soluzione compatibile con i principi costituzionali dobbiamo interpretarla come una soluzione tampone per evitare che ci siano forme di discrezionalità del singolo magistrato nella scelta di cosa mandare avanti e con che tempi. Anche un altro elemento deve essere evitato: la personalizzazione della gestione del ruolo di procuratore della Repubblica. Noi sappiamo che quando si decide sulle priorità, si fanno scelte latamente «politiche» e, se non c'è un metodo di confronto a 360 gradi – ripeto, anche con componenti non togate – questo può portare a forme di personalizzazione che in questo momento sono assolutamente da evitare. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, dottor Morosini. Professor Gialuz, prego.

  MITJA GIALUZ, professore di diritto processuale penale presso l'università degli studi di Genova (intervento da remoto). Grazie, presidente. Cercherò di essere molto rapido. Per quanto riguarda la richiesta dell'onorevole Vitiello, dico che non si tratta di una provocazione perché c'è un dibattito in corso nella comunità scientifica sulla natura e sull'utilità dell'udienza preliminare. Questa udienza nasceva con il codice Vassalli come un'udienza da fare in piedi, un'udienza leggera, un'udienza filtro, da un lato, e organizzativa, dall'altro. Nella prassi si è trasformata: non è mai stata un'udienza svolta in piedi, da chiudere in un quarto d'ora. Com'è stato giustamente ricordato, la riforma della legge Carotti sulla regola di giudizio non ha migliorato le Pag. 29performance dell'udienza preliminare. L'udienza si è arricchita di momenti istruttori, appesantendosi, e ciò nonostante non è riuscita a filtrare; dall'altro lato, vi è il rischio che l'udienza preliminare si trasformi in un vaglio di merito che poi pesa sul dibattimento. Se il criterio è non più prognostico ma diagnostico, evidentemente ci potrebbe essere un pregiudizio per il giudice del dibattimento. E il dibattimento deve rimanere il luogo in cui si forma la prova.
  Vedo con qualche criticità la norma dell'articolo 5 che reintroduce l'esposizione introduttiva, che era già stata prevista e aveva dato cattiva prova di sé rappresentando il veicolo per fare entrare in dibattimento degli atti di indagine. Per questo francamente trovo difficile introdurre compensazioni e modifiche su una regola come quella dell'articolo 5. Secondo me bisogna affrontare laicamente il tema dell'udienza preliminare. Naturalmente ci sarà bisogno di un momento organizzativo in cui celebrare i riti alternativi, però non si tratta di una provocazione: se ne sta discutendo in modo molto attento e approfondito nella comunità scientifica.
  Per quanto riguarda la richiesta dell'onorevole Bazoli sulla monocraticità in appello, credo che il giudizio di appello sia il grande malato del processo penale italiano. Risulta evidente che la sospensione della prescrizione, introdotta con la legge 9 gennaio 2019, n. 3, potrebbe aiutare perché ridurrà il numero di appelli che sono cresciuti in maniera significativa a partire dalla legge Cirielli del 2005. L'idea di introdurre un appello monocratico è un'idea sulla quale si può discutere. Non credo che ci siano limiti costituzionali da questo punto di vista.
  Forse meriterebbe guardare oltralpe e vedere cosa ha fatto la Francia con la legge n. 2019-222 del 23 marzo 2019. La Francia ha una durata media del processo di secondo grado assai più breve della nostra. Secondo i dati della Commissione europea sull'efficienza della giustizia, in Francia un processo penale di secondo grado dura in media 286 giorni contro i quasi 900 dell'Italia. Eppure, la Francia ha adottato un intervento simile a quello italiano, con la previsione di un giudice monocratico, introducendo tuttavia alcune compensazioni a protezione degli imputati che potrebbero essere interessanti. In Francia si stabilisce che l'appello monocratico non possa operare in concreto quando sussistono determinate circostanze legate al caso di specie: in particolare, se il prevenuto si trovi in uno stato di detenzione o l'appellante domandi espressamente di essere giudicato da un collegio. Inoltre l'articolo 510 del codice di procedura penale francese stabilisce che in casi particolarmente complessi il giudice di appello monocratico, o d'ufficio o su domanda delle parti, possa decidere di rinviare la causa a un collegio. Mi pare quindi che l'appello monocratico possa essere una strada praticabile. Condivido quanto detto da chi mi ha preceduto, dal presidente Zaniboni, sul fatto che gli spazi si troveranno, così come – aggiungo – si dovranno trovare i cancellieri e gli ausiliari, altrimenti se si triplica la potenza di fuoco dei giudici senza accompagnarli da personale tecnico e amministrativo, evidentemente la riforma sarebbe zoppa.
  Detto quindi che l'essere dovrà adeguarsi al dover essere, detto che si tratta di una previsione che non presenta profili di criticità sul piano costituzionale, il suggerimento è quello di introdurre rimedi compensativi laddove effettivamente, per le circostanze del caso concreto, la complessità della situazione induca lo stesso giudice monocratico a non assumersi la responsabilità del giudizio.
  Rispondo rapidamente all'onorevole Sarti sull'articolo 5 perché condivido molto di quello che è stato già detto. Si tratta di una richiesta della Corte costituzionale. Con la sentenza n. 132 del 2019, la Corte ha preso atto che il principio di immediatezza è poco rispettato nell'ordinamento italiano; d'altra parte possiamo anche dire che è un principio che si desume implicitamente dal contraddittorio, ma che non è stato esplicitato nell'articolo 111 della Costituzione, tant'è che giustamente il dottor Morosini ricordava i molti casi nei quali la prova decisiva viene assunta in incidente probatorio davanti a un giudice diverso. Pag. 30
  Forse la previsione introdotta dall'articolo 5 andrebbe corretta, nel senso di prevedere un vaglio un po' più stringente sulla base di quanto era già stabilito, se non ricordo male, dalla Commissione Gratteri, vale a dire nel senso di prevedere un vaglio di indispensabilità che potrebbe tenere conto – qua torno a quanto detto in premessa – anche della disponibilità di una videoregistrazione.
  Stiamo celebrando processi ormai virtuali; abbiamo fatto un salto quantico rispetto a febbraio di quest'anno, quando il disegno di legge era stato pensato. In questi mesi stiamo svolgendo attività di indagine preliminare, stiamo celebrando udienze – anche udienze di assunzione di testimoni – attraverso l'utilizzo delle tecnologie. Quando mai avremmo pensato di fare un'audizione attraverso l'utilizzo di tecnologie? Credo che da questo punto di vista si debba valorizzare l'esperienza che si sta facendo e la possibilità di riascoltare una testimonianza da parte del nuovo collegio, da parte del nuovo giudice monocratico. Anche qui segnalo una certa imprecisione nella formulazione letterale della norma.
  Per quanto concerne, con riguardo alla sospensione della prescrizione, il dubbio che l'articolo 14 rappresenti un passo indietro rispetto all'assetto introdotto dalla cosiddetta legge «Spazzacorrotti», io credo di no. Credo che la proposta possa essere un punto di equilibrio legittimo dal punto di vista costituzionale. Diversi miei colleghi si sono aggrappati alla presunzione di innocenza per segnalare l'irragionevolezza e l'incostituzionalità della distinzione tra condanna e proscioglimento.
  In realtà, già oggi il nostro ordinamento prevede legittimamente queste differenziazioni. D'altra parte, il fatto che l'articolo 27, secondo comma, della Costituzione si estenda a tutti i gradi di giudizio non significa che sia impedito operare distinzioni tra condannato e prosciolto in primo grado. Com'è stato ricordato, il proscioglimento in primo grado rafforza la presunzione di innocenza; la condanna conferma un'ipotesi accusatoria. Ciò che importa è che l'imputato non venga trattato come un colpevole: questo è il contenuto essenziale, il nucleo duro della presunzione di innocenza, ma ciò non impedisce di distinguere. Questa modifica consentirebbe di evitare il rischio di un processo eccessivamente lungo nel giudizio di appello. Dopo di che, mi si consenta una riflessione un po' più ampia sul tema della prescrizione. Credo che ormai sia venuto il tempo di purificare la prescrizione dalla sua natura ambigua. Ce l'ha detto la Corte costituzionale: la prescrizione è un istituto sostanziale, ha un senso perché riconosce il diritto all'oblio che riguarda il tempo che va dalla commissione del fatto al momento in cui si attiva l'apparato repressivo. Dal momento in cui il pubblico ministero esercita l'azione penale, con i criteri stringenti del nuovo articolo 125 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, si apre il tempo della memoria, che è il processo, e finisce il tempo dell'oblio. Da quel momento non parliamo più di prescrizione; non parliamo più neanche di prescrizione processuale perché ci confonde. Parliamo di istituti volti a garantire la ragionevole durata del processo penale. Se il processo penale non viene concluso in primo grado entro certi tempi, secondo me potrebbe scattare una causa di improcedibilità. Una volta che si è pronunciata la sentenza di primo grado, credo che si debbano adottare rimedi analoghi a quelli previsti dal disegno di legge, magari aggiungendo istituti diversi, sempre guardando ad altri ordinamenti. In particolare penso alla riduzione della pena, laddove la condanna sia arrivata oltre il tempo ragionevole. In Germania è previsto che, se la condanna arriva oltre un tempo ragionevole, si riduca parzialmente la pena in corrispondenza di quella che è stata l'irragionevole durata del procedimento. Quindi la risposta, e chiudo, è che l'assetto attuale non rappresenta un passo indietro. Secondo me si potrebbe coraggiosamente fare un ulteriore passo in avanti, distinguendo la prescrizione come istituto sostanziale dai rimedi preventivi e compensativi diretti a garantire la ragionevole durata del processo. Da questo punto di vista una distinzione tra condanna e proscioglimento in Pag. 31primo grado è assolutamente legittima. Credo di avere risposto a tutte le domande.

  PRESIDENTE. Grazie, professore. Abbiamo concluso i nostri lavori. Ringrazio gli auditi per le tre ore che hanno dedicato alla Commissione Giustizia e soprattutto per i contributi forniti, di assoluto spessore e certamente utili, anzi utilissimi, per il prosieguo dei nostri lavori. Saluto il presidente Zaniboni, il dottor Lombardo, il dottor Morosini e il professore Gialuz, ringraziandoli ancora una volta. Autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione depositata dagli auditi e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 12.20.

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ALLEGATO 1

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ALLEGATO 2

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