XVIII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Mercoledì 7 ottobre 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Perantoni Mario , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE C. 2435 GOVERNO, RECANTE DELEGA AL GOVERNO PER L'EFFICIENZA DEL PROCESSO PENALE E DISPOSIZIONI PER LA CELERE DEFINIZIONE DEI PROCEDIMENTI GIUDIZIARI PENDENTI PRESSO LE CORTI D'APPELLO

Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale forense.
Perantoni Mario , Presidente ... 3 
Ollà Giovanna , consigliera nazionale del Consiglio nazionale forense ... 3 
Perantoni Mario , Presidente ... 6 
Cirillo Nicola , componente dell'ufficio studi del Consiglio nazionale forense ... 6 
Perantoni Mario , Presidente ... 8 
Vitiello Catello (IV)  ... 8 
Perantoni Mario , Presidente ... 9 
Bazoli Alfredo (PD)  ... 9 
Perantoni Mario , Presidente ... 10 
Paolini Luca Rodolfo (LEGA)  ... 10 
Perantoni Mario , Presidente ... 10 
Bartolozzi Giusi (FI)  ... 10 
Perantoni Mario , Presidente ... 12 
Ollà Giovanna , consigliera nazionale del Consiglio nazionale forense ... 12 
Perantoni Mario , Presidente ... 12 
Ollà Giovanna , consigliera nazionale del Consiglio nazionale forense ... 12 
Perantoni Mario , Presidente ... 13 
Cirillo Nicola , componente dell'Ufficio studi del Consiglio nazionale forense ... 13 
Perantoni Mario , Presidente ... 13 

Audizione di rappresentanti dell'Unione delle Camere penali italiane:
Perantoni Mario , Presidente ... 14 
Rosso Eriberto , segretario dell'Unione delle Camere penali italiane ... 14 
Perantoni Mario , Presidente ... 16 
Vitiello Catello (IV)  ... 16 
Perantoni Mario , Presidente ... 18 
Bartolozzi Giusi (FI)  ... 18 
Perantoni Mario , Presidente ... 19 
Rosso Eriberto , segretario dell'Unione delle Camere penali italiane ... 19 
Perantoni Mario , Presidente ... 20 

(La seduta, sospesa alle 16.40, riprende alle 16.55) ... 20 

Audizione di rappresentanti dell'Organismo congressuale forense:
Perantoni Mario , Presidente ... 20 
Vaccaro Alessandro , tesoriere dell'Organismo congressuale forense ... 21 
Perantoni Mario , Presidente ... 24 
Annibali Lucia (IV)  ... 24 
Perantoni Mario , Presidente ... 24 
Paolini Luca Rodolfo (LEGA)  ... 24 
Perantoni Mario , Presidente ... 24 
Vaccaro Alessandro , tesoriere dell'Organismo congressuale forense ... 24 
Paolini Luca Rodolfo (LEGA)  ... 25 
Vaccaro Alessandro , tesoriere dell'Organismo congressuale forense ... 25  ... 26 
Perantoni Mario , Presidente ... 26 

Allegato 1: Documentazione depositata dai rappresentanti del Consiglio nazionale forense ... 27 

Allegato 2: Documentazione depositata dai rappresentanti dell'Unione delle camere penali ... 39 

Allegato 3: Documentazione depositata dai rappresentanti dell'Organismo congressuale forense ... 48

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Popolo Protagonista - Alternativa Popolare (AP) - Partito Socialista Italiano (PSI): Misto-AP-PSI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
MARIO PERANTONI

  La seduta comincia alle 15.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale forense.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame del disegno di legge C. 2435 Governo, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello, di rappresentanti del Consiglio nazionale forense. Ringrazio gli auditi per avere accolto l'invito della Commissione e chiedo cortesemente di contenere il proprio intervento nell'ambito di una ventina di minuti in modo tale da dar spazio ai quesiti che verranno rivolti dai commissari, cui seguirà la replica degli auditi. Comunico che è stato depositato un documento (vedi allegato 1) che, in assenza di obiezioni, sarà pubblicato sul sito Internet della Camera dei deputati e reso disponibile ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera. Ne autorizzo inoltre la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna.
  Premetto che purtroppo non sono presenti i relatori: l'onorevole Sarti per questioni legate al COVID-19 e l'onorevole Vazio, momentaneamente impegnato alla Camera in un question time particolarmente delicato concernente i tragici fatti avvenuti nel Nord Italia, e in particolare in Liguria. L'onorevole Vazio comunque ci raggiungerà quanto prima; sostituisco quindi io per il momento i colleghi e do la parola all'avvocato Giovanna Ollà, consigliera nazionale del Consiglio nazionale forense. Successivamente interverrà l'avvocato Nicola Cirillo dell'ufficio studi del Consiglio nazionale forense. Prego, avvocato.

  GIOVANNA OLLÀ, consigliera nazionale del Consiglio nazionale forense.
  Grazie, presidente. Come da sua richiesta saremo brevi, io e il collega Cirillo, perché abbiamo congiuntamente elaborato un documento con un taglio sia politico sia giuridico che riassume le nostre considerazioni ed è limitato alle criticità che abbiamo riscontrato nel provvedimento di iniziativa governativa. Devo tuttavia fare una premessa. È un disegno di legge che nasce da un tavolo congiunto, anche con le componenti istituzionali ed associative dell'Avvocatura: si era arrivati in parte a soluzioni condivise dall'Avvocatura, e in alcuni casi anche dalle componenti associative della Magistratura. Riscontriamo, tuttavia, che tali soluzioni sono state un po' tradite, o comunque disattese, nel disegno di legge. Per quanto riguarda i temi che noi abbiamo ritenuto prioritari, vi sono alcune osservazioni, una in particolare in tema di notificazione: l'articolo 2 del disegno di legge, come tutti sappiamo, prevede che le notificazioni all'imputato libero successive alla prima siano eseguite presso il difensore. Non ne capiamo francamente la necessità, soprattutto a fronte di un onere per il difensore destinatario rappresentato da questa sorta di domicilio forzato che porta Pag. 4anche allo snaturamento della nostra stessa funzione, che rischiamo di relegare a quella di postini e di messi notificatori. A nulla giova ciò, anzi semmai è indice di un'anomalia che, nella delega contenuta nel disegno di legge, sia prevista una sorta di esonero dalla responsabilità qualora il ritardo o l'omessa comunicazione alla parte assistita sia causata da fatto imputabile all'imputato. Ancora meno la normativa si giustifica per quanto riguarda la difesa d'ufficio, pur se in questo caso vi è un temperamento in base al quale il meccanismo di domiciliazione legale – ancora di più imposta – scatta solamente qualora la prima notificazione sia stata effettuata all'imputato o all'indagato personalmente ovvero a persone conviventi o al custode dello stabile di residenza. Io credo che una scelta di questo tipo impatti negativamente su un sistema che aveva riconosciuto indicazioni di segno contrario. E faccio riferimento al comma 4-bis dell'articolo 162 del codice di procedura penale che prevede, al contrario, un'indicazione di sistema che va nella direzione esattamente opposta di effettiva conoscibilità degli atti al destinatario, tant'è che si dice che, perché la notificazione presso lo studio del difensore d'ufficio sia valida, essa deve essere espressamente accettata. Io credo che in questo contesto, come in altre norme che vedremo, vi sia un impatto negativo rispetto all'indicazione di sistema del codice di procedura penale che va, rispetto a questo disegno di legge, in senso esattamente contrario.
  Per quanto riguarda i termini di durata delle indagini preliminari è prevista, e questo è certamente un fatto positivo, una serie rigorosa di termini, in relazione alla gravità dei reati. Questo evidentemente ci vede concordi; ciò che non ci vede concordi è il rimedio individuato in caso di inerzia o di ritardo nel compimento degli atti delle indagini preliminari. La soluzione che era stata condivisa, se non altro dalle componenti associative e istituzionali dell'Avvocatura, prevedeva una sanzione di tipo processuale che avrebbe dovuto dare certezza al sistema di utilizzabilità degli atti nel processo. Ci troviamo in realtà di fronte ad una sanzione disciplinare che riguarda un profilo soggettivo e personalistico dello Stato con riguardo ad una propria articolazione ma che non risolve il dato oggettivo di ciò che è utilizzabile all'interno del processo.
  L'articolo 3, comma 1, lettera h), non ci convince nella misura in cui stabilisce che i criteri di priorità possono essere individuati dai singoli capi degli uffici giudiziari, seppure previo interpello della procura generale. È evidente che la determinazione dei criteri di priorità a garanzia di uniformità sul territorio debba essere demandata a una cornice legislativa di fonte primaria e non a singole determinazioni territoriali.
  In merito all'articolo 4 e ai procedimenti speciali, ci sentiamo veramente traditi come Avvocatura. Si era cercato di operare con un intento deflattivo attraverso un maggiore accesso ai riti speciali, e soprattutto al patteggiamento. È positivo che il limite di pena per accedere al patteggiamento sia portato da cinque ad otto anni; si tratta tuttavia di un'indicazione che viene smentita dai filtri dei reati ostativi previsti nella delega. Devo dire peraltro che qualche indicazione genera stupore: vi sono reati che sono in parte reati sentinella, se parliamo dello stalking o di fatti peggiori, e in parte però di puro impatto mediatico come il revenge porn. Probabilmente risultati analoghi si potrebbero raggiungere con una corretta applicazione della normativa vigente: faccio riferimento, a titolo esemplificativo, al reato di estorsione. Invece li ritroviamo come reati ostativi, con un filtro che non si capisce da dove attinga la ragione, visto che parliamo di sanzioni edittali rientranti in una media non particolarmente significativa, quanto meno da un punto di vista di cornice edittale della pena.
  Ci stupisce inoltre, con riguardo all'obiettivo deflattivo, che venga introdotta una limitazione al decreto penale di condanna, condizionando l'effetto estintivo all'effettivo pagamento della pena pecuniaria. Francamente non lo comprendiamo, anche perché in situazioni assolutamente analoghe – faccio riferimento al patteggiamento – l'effetto estintivo si verifica semplicemente alla condizione che, nel tempo stabilito dal codice di procedura penale, l'interessato non abbia commesso reati della stessa specie; Pag. 5peraltro, per il mancato pagamento della pena pecuniaria vi sono meccanismi di conversione già presenti nell'ordinamento; quindi non comprendiamo, per il poco che è, questa limitazione.
  Mi accingo alla conclusione, affrontando l'argomento che ci ha maggiormente inquietato: quello che riguarda i procedimenti di appello. Faccio dunque riferimento all'articolo 7 del disegno di legge. Si tratta in primo luogo di un ritorno al passato, vale a dire al vecchio articolo 571, comma 3, del codice di procedura penale, eliminato dalla cosiddetta legge Carotti, istitutiva del giusto processo: la indicazione contenuta alla lettera a) del comma 1 dell'articolo 7 prevede che, per proporre impugnazione, il difensore sia munito di uno specifico mandato, procura o comunque di un'ulteriore nomina, che sia conferita e quindi ricevuta dopo il deposito della sentenza. Francamente non comprendiamo tale scelta, se non a fronte di un'idea che assolutamente rifiutiamo, vale a dire quella di una presunzione di abuso del diritto da parte del difensore che proponga o che decida di proporre un'impugnazione. Non capiamo tale indicazione, perché si tratta di rottamare sostanzialmente non solo una parte importante dell'impugnazione, ma anche i diritti di chi per qualsiasi motivo, che riteniamo non sia neanche compito dell'ordinamento giuridico sindacare, sia impossibilitato in quel momento – un momento che può investire lo spazio di impugnazione dopo il deposito della sentenza – ad avere un contatto con il difensore. Io credo che non si possa introdurre una nuova forma di responsabilità, dando in sostanza la colpa a chi, per ragioni che possono essere di qualsiasi tipo, non riesce in quel momento a mettersi in contatto con il difensore.
  Per quanto riguarda la previsione della Corte d'appello monocratica – al di là del fatto che rileviamo un vulnus nel principio devolutivo del gravame – riteniamo che essa impatti negativamente su un sistema che invece, a garanzia di maggiore correttezza e ponderazione delle decisioni, è improntata a un principio di collegialità sempre e ovunque. Prendiamo solamente ad esempio i provvedimenti di impugnativa delle ordinanze genetiche di applicazione delle misure cautelari personali e reali: si va al tribunale del riesame o al tribunale della libertà che sono evidentemente organismi di natura collegiale; anche in sede di esecuzione, l'impugnativa dei provvedimenti contro il magistrato di sorveglianza vengono devoluti ad un organo collegiale che è il tribunale di sorveglianza. Abbiamo visto che nella documentazione allegata al disegno di legge si fa un parallelo, a nostro avviso, assolutamente inconferente, con il giudizio davanti al giudice di pace. Come tutti sappiamo, le sentenze del giudice di pace si impugnano ad organo monocratico. Non riteniamo che tale parallelo sia conferente proprio per la natura stessa del giudice di pace cui, per legge e per espressa previsione normativa, si applicano le norme del codice di procedura penale solo in quanto compatibili.
  Faccio un'ultima considerazione. Anche in caso questo si tratta di una previsione che non comprendiamo se non, mi si permetta di dire, nell'ottica di una limitazione un po' casuale dei diritti al fine di accorciare i tempi. Mi riferisco alla previsione – tra l'altro non abbiamo riscontrato alcun tipo di indicazione motivazionale nella relazione allegata al disegno di legge – che limita le modalità di presentazione dell'atto di impugnazione, escludendo per i difensori e per le parti private la possibilità di depositare l'atto nel luogo ove si trovino, qualora sia diverso il luogo del giudice che ha emesso la sentenza. Si impedisce dunque la possibilità di inviare l'atto di impugnazione per raccomandata, facendo riferimento alla possibilità di presentazione con modalità telematiche. È ovvio che se la modalità telematica trova avvio, il problema viene superato; quindi in questo modo temperiamo la criticità rilevata. Qualora ciò dovesse trovare accoglimento nel successivo iter legislativo, che sia chiaro che prima deve essere attuato correttamente il processo penale telematico, anche da un punto di vista sperimentativo, di modo che non ci si trovi nella difficoltà di correre per depositare impugnazioni fuori sede. Pag. 6
  Da ultimo, i termini di durata del processo hanno un senso positivo in un'ottica di accelerazione, ma lo hanno meno per il fatto di prevedere sanzioni disciplinari e non sanzioni processuali. Per quanto riguarda questi aspetti di riforma del processo penale – che forse richiede un restyling – crediamo che, prima di introdurre normative che in maniera casuale e non sempre giustificata intervengono a limitare i diritti, si debba probabilmente pensare a un imponente potenziamento degli organici della magistratura e del personale di cancelleria, e anche della stessa edilizia giudiziaria. Io mi fermo qui, e lascio la parola al collega Cirillo per la conclusione. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, avvocato Ollà. Prego, avvocato Cirillo.

  NICOLA CIRILLO, componente dell'ufficio studi del Consiglio nazionale forense. Presidente, ringrazio lei e tutti i componenti di questa Commissione. Mi riallaccio al discorso appena fatto dalla consigliera Giovanna Ollà, innanzitutto per tirare le fila relativamente alla potestà normativa e legislativa che in questo caso viene assolutamente derogata e rimessa alla discrezionalità amministrativa degli uffici giudiziari. Mi spiego meglio. Con riferimento per esempio ai termini di durata del processo, noi abbiamo una norma che in generale residua nella disponibilità del potere legislativo di individuare i termini di durata del processo, rimettendo ai capi degli uffici giudiziari – quindi sia ai capi dei tribunali che ai capi agli uffici di procura e quindi ai procuratori generali – l'individuazione di un termine entro il quale alcuna tipologia di reato deve essere istruita – quindi nella fase delle indagini preliminari – e deve essere giudicata: poi fa da pendant l'ultima parte, cioè quella del giudizio di impugnazione. Per questo, nella nota che il Consiglio nazionale forense ha depositato, gli articoli 12 e 13 sono letti in combinato disposto perché il termine di durata del processo non può essere rimesso alla discrezionalità amministrativa, diversificante e diversificata da ufficio a ufficio, a seconda anche delle peculiarità territoriali. Ciò provocherebbe ovviamente una difformità sostanziale, oltre che formale, da un territorio a un altro, e quindi anche problemi di tenuta rispetto al principio costituzionale dell'uguaglianza.
  Se poi arriviamo all'ipotesi di modifica, di cui all'articolo 14, in tema di disposizioni in materia di sospensione della prescrizione, ci rendiamo conto che il legislatore non tiene in debita considerazione la trattazione di posizioni uguali e la trattazione, anche in fase giurisdizionale, della medesima posizione nella fase esecutiva ovvero nella fase di rinuncia da parte del potere dello Stato a perseguire il reato: quindi, si tratta della prescrizione del reato piuttosto che della prescrizione della pena. Mi spiego meglio. La prescrizione poteva essere affrontata in questa riforma in maniera organica cercando di riprendere le fila sul discorso dell'istituto della prescrizione e cercando di arrivare ad alcuni punti fermi che sia la giurisprudenza sia la dottrina non sono riusciti ancora a dirimere.
  Mi spiego meglio. La legge 9 gennaio 2019, n. 3, ha previsto che la prescrizione potesse essere sospesa dalla pronuncia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dalla data di irrevocabilità del decreto di condanna. Tecnicamente parlando trattasi né di caso di sospensione della prescrizione né di interruzione della prescrizione: è un cosiddetto tertium genus. In questo tertium genus, sul quale già il Consiglio nazionale forense ha avuto modo di esprimersi in maniera critica, si introduce ora un ulteriore caso di diseguaglianza sostanziale tra le diverse posizioni processuali, cioè tra l'imputato condannato e l'imputato assolto. Infatti la previsione di cui all'articolo 14 prevede che il termine del tempus praescritionis debba essere sospeso nel caso in cui il giudice di prime cure sia arrivato a una sentenza di condanna; invece, qualora sia arrivato a una sentenza di assoluzione, il tempo della prescrizione continua a decorrere, prevedendo anche meccanismi di aggiustamento. Questi meccanismi di aggiustamento intervengono nei casi in cui la sentenza di condanna sia impugnata – e Pag. 7qui vi è la prima differenza – dal pubblico ministero (in questo caso ci sarebbe un caso di inappellabilità derivata da norme già in vigore) o da parte dell'imputato. Qui ritorniamo all'articolo 13. Nel caso in cui il termine di prescrizione si sia interrotto, la parte che ha interesse ad avere una decisione – così prevede l'articolo 13 – può fare la cosiddetta «istanza di prelievo» conosciuta nella giustizia amministrativa, ma non nella giustizia penale; per cui può richiedere al giudice, quindi alla Corte d'appello, di fare un'istanza a partire dal deposito della quale il giudice dell'appello ha sei mesi per poter fissare l'udienza. Tuttavia, presidente, non è prevista alcuna sanzione per la Corte d'appello che non fissi entro i predetti sei mesi l'udienza richiesta dalla parte che ha interesse a vedere rivista la sentenza di condanna nei propri riguardi. Al contempo fa da pendant una posizione del tutto speculare: il caso del soggetto che sia stato assolto. In questo caso il termine della prescrizione si interrompe, qualora la sentenza sia stata impugnata dalla pubblica accusa ovvero dalla parte civile, a seconda che si voglia di nuovo continuare a trattare della responsabilità penale o anche solo delle statuizioni civili, ma inizia a decorrere nuovamente dal momento in cui viene trattata l'udienza di appello. Si ha in tale occasione la rinnovazione dell'appello ove il giudice dovesse pervenire ad una sentenza di tenore diverso rispetto al primo grado, quindi a una sentenza non di condanna o di riforma di quella di condanna, ma a una sentenza di assoluzione. In quel caso il tempus praescritionis comunque decorre, anche se la sentenza di appello dovesse essere una sentenza di riforma totale da assoluzione in condanna. Queste due posizioni sono completamente assimilabili e speculari, ed è qui che si annida maggiormente il problema relativo all'istituto della prescrizione. La questione non riguarda tanto il fatto che si tratti di un istituto di diritto processuale piuttosto che di diritto sostanziale; oramai lo sappiamo, anche in sede europea ci dicono che la prescrizione è un istituto di tipo processuale. La nuova disciplina trova il suo limite nella posizione del soggetto che si trova a essere imputato condannato o imputato assolto. Nel primo caso non avremmo più il decorso della prescrizione, che è il diritto di un soggetto a non essere più punito dallo Stato per il decorso del termine; dall'altro lato un soggetto che, seppure assolto, una volta riformata la sentenza in appello, vedrebbe il termine della prescrizione comunque decorso, ed eventualmente il reato potrebbe essere anche estinto per prescrizione in fase d'appello, a differenza di chi è condannato in primo grado e potrebbe, come in generale avviene nella maggior parte dei casi, presentare impugnative con un'eventuale sentenza di assoluzione in appello. In questo caso la prescrizione inizierebbe a decorrere ex novo, quindi dal punto di vista tecnico si tratterebbe piuttosto di una posticipazione, di una postergazione del dies dal quale inizia a decorrere di nuovo il termine di prescrizione del reato.
  Tale ipotesi sicuramente sconta le criticità che vi ho sottoposto, magari in maniera molto sintetica, e forse confusionaria e affastellante. Però, questa poteva essere un'occasione per mettere un punto fermo al regime della prescrizione, evitando di ricorrere a rinvii recettizi a norme oramai già vigenti oppure a norme che devono ancora entrare in vigore e che in qualche modo incidono su posizioni giuridiche soggettive delle persone imputate, per non parlare del regime prescrizionale nella fase delle indagini.
  Lì, come diceva prima la consigliera Ollà, vi è tutto un altro regime sanzionatorio di tipo disciplinare, ma non sanzionatorio di tipo cogente, che ha a che fare con le preclusioni di natura processuale (inutilizzabilità e non acquisibilità dell'atto al fascicolo del dibattimento).
  Poteva essere un'occasione nella quale il legislatore avrebbe potuto – e ancora può farlo – individuare il limite dell'istituto della prescrizione. Nominalmente si parla di sospensione della prescrizione, ma sostanzialmente si tratta di una sospensione oppure di un'interruzione? Nel caso in cui si tratti di interruzione, il dies dal quale inizia a decorrere di nuovo il tempus praescritionis va computato rispetto a quello Pag. 8originario, vale a dire a quello precedente alla commissione del fatto, a seconda poi del regime di cui all'articolo 157 del codice penale? Perché mai le due posizioni tra l'imputato condannato e l'imputato assolto dovrebbero essere ritenute diversificate solo sulla base della decisione del giudice di primo grado? D'altronde, presidente, in questo caso sarebbe stata necessaria un'indagine di tipo statistico e, dati alla mano, un'analisi di valutazione dell'impatto della regolamentazione. In quanti casi una sentenza di primo grado di condanna viene riformata in appello con una pronuncia di assoluzione? Al contrario, in quanti casi una sentenza di primo grado di assoluzione o di proscioglimento per altra causa nel secondo grado viene riformata in senso sfavorevole al soggetto, che quindi viene condannato? Ci sembra che manchi tale valutazione. Ci sembra che vi siano difetti di coordinamento tra le diverse posizioni dei soggetti che, a diverso titolo, possono entrare a far parte del processo penale; ed è per questo che lamentiamo le criticità poc'anzi dette. Per quanto mi riguarda, vi ringrazio per l'attenzione e sono a disposizione della Commissione.

  PRESIDENTE. Grazie mille, avvocato Cirillo. Onorevole Vitiello, prego.

  CATELLO VITIELLO. Grazie, presidente. Intervengo in maniera abbastanza telegrafica con una piccola premessa di metodo. Da avvocato sono poco felice di questa riforma; da parlamentare sono qui per cercare di correggere il tiro, quindi mi consentirete qualche critica rispetto al percorso che avete delineato. Innanzitutto, perché non avete affrontato il tema dell'udienza preliminare? Cambia radicalmente la regola di giudizio: da quella che dovrebbe essere la sostenibilità dell'azione in giudizio si passa invece, con questa riforma, alla ragionevole condanna nel giudizio da parte del giudice dell'udienza preliminare (GUP). Si tratta di una previsione che dà la stura a ritorni al passato ante 1988. Soprattutto la preoccupazione riguarda il suo riverbero nei confronti del giudice del dibattimento. Il giudice del dibattimento si ritroverà, in luogo di quello che prima era un decreto che dispone il giudizio non motivato, una pre-sentenza di condanna non motivata. Per questo vi chiedo se non sia il caso, anche da parte dell'Avvocatura, di fare una riflessione in questi termini. Io preferirei un ritorno al passato netto: torniamo al giudice istruttore. Dico quello che penso; naturalmente è la mia assoluta opinione personale: se bisogna fare le cose a metà, io non sono d'accordo. È meglio, a questo punto, radicalizzare la riforma nel senso indicato.
  Non sono particolarmente d'accordo con quanto è stato riferito sulle notificazioni: io non ritengo inutile l'esonero di responsabilità. Lo ritengo abbastanza utile. Soprattutto ci mette nelle condizioni di affrancarci da una responsabilità, e di avere un rapporto diverso con la clientela che diventa a sua volta più responsabile.
  Come avvocato penalista so quante volte – visto che voi avete parlato di statistica – noi corriamo dietro ai clienti. Questa previsione ci dà la forza e la possibilità di essere un po' più incisivi nel nostro rapporto con la clientela, al netto delle difficoltà per alcuni clienti, come i latitanti. Si tratta comunque di profili che, anche dal punto di vista statistico, sono certamente marginali rispetto all'ordinario.
  Sono d'accordo con quanto avete detto rispetto alla mancata previsione di una sanzione disciplinare in caso di superamento dei termini della durata delle indagini; secondo me sarebbe opportuna una sanzione processuale più forte, come l'inutilizzabilità degli atti, perché tale ipotesi sembra essere un po' ventilata fra le righe. Secondo me tale disposizione deve essere precisata: mi chiedo infatti quale conseguenza dovrebbe esserci rispetto a una attività investigativa mancante e quindi rispetto a quello che avrebbe dovuto essere fatto e non è stato fatto. Sono d'accordo anche con la considerazione che il giudizio monocratico in appello sia assolutamente da rivedere. Tale affermazione è corretta.
  Ho invece la necessità di sottoporvi due questioni, una che avete affrontato e un'altra che non avete affrontato. Nella riforma si fa riferimento al doppio binario, che da Pag. 9eccezione diventa regola. Anche in questo caso vi chiedo un supplemento di approfondimento, perché è necessario far capire che la deroga è dovuta a fattori eccezionali e che invece la regola richiede garanzie ben diverse. L'articolo 190-bis del codice di procedura penale non può diventare la regola all'interno del processo: qualunque cosa si dica del problema del rinnovamento della composizione dei collegi, noi dobbiamo forzare la situazione, impedendo che il collegio si frantumi in corso d'opera, soprattutto quando sono in corso processi particolarmente delicati. Faccio un'ultima annotazione su un tema che è agli atti della Commissione e anche dell'Assemblea, perché si è parlato fin troppo di prescrizione. Tuttavia, dobbiamo cercare di salvare il salvabile.
  Io faccio differenza fra condannati e assolti, vi dico la verità. Su questo aspetto, vi chiedo un approfondimento, perché mi potrete sostenere o confutare in quello che sto dicendo. Io ritengo che il passaggio fondamentale – qui non vale la statistica - sia la processabilità che va ad individuarsi nel sintagma anglosassone beyond any reasonable doubt (BARD), vale a dire oltre ogni ragionevole dubbio. Secondo me è lì che dobbiamo trovare la chiave di volta per immaginare la differenziazione fra assolti e condannati in primo grado, perché c'è una differenza fondamentale che è quella della processabilità.
  Vi chiedo quindi di affrontare sotto quest'altro aspetto il problema della prescrizione e della differenziazione tra assolti e condannati, posto che secondo me abbiamo inventato un terzo genere: non c'è interruzione; non c'è sospensione; con questo provvedimento legislativo per me c'è la cancellazione della prescrizione, ormai già in corso d'opera. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, onorevole Vitiello, per l'esposizione secca, concisa e chiara. Prego, onorevole Bazoli.

  ALFREDO BAZOLI. Signor presidente, anch'io cercherò di essere molto sintetico formulando domande specifiche. Una domanda in realtà è già stata in parte anticipata da quello che ha detto il collega Vitiello. Anche a me interessava capire se gli auditi ritengano utile o meno la modifica della regola di giudizio del pubblico ministero e del GUP per la decisione di rinviare a giudizio o meno una persona. Negli intendimenti del disegno di legge ovviamente questa dovrebbe essere una misura che aiuta l'udienza preliminare a essere un'udienza filtro effettiva; e dovrebbe aiutare anche i pubblici ministeri a evitare di mandare a giudizio un soggetto quando le prove non sono così solide.
  Volevo capire se per gli auditi questa è una modifica che coglie nel segno oppure no. Inoltre mi interessava avere un loro giudizio sull'introduzione o comunque il miglioramento dei sistemi alternativi al dibattimento. Quella è una delle soluzioni su cui bisognerebbe puntare di più per cercare di ridurre i tempi dei processi e dare più efficienza al sistema. Gli auditi hanno parlato del patteggiamento, esprimendo – mi pare – un giudizio positivo sull'innalzamento del tetto di pena a cui esso è applicabile, avanzando qualche critica sui reati ostativi. Però, volevo capire se è sufficiente, a loro parere, aumentare il tetto di pena oppure se, sulla scorta anche di esperienze del passato che da questo punto di vista probabilmente non hanno portato grandi risultati, in realtà occorrerebbe introdurre una modifica più significativa per ridare slancio al patteggiamento. Sotto lo stesso profilo vorrei capire qual è il giudizio degli auditi sull'introduzione di un'ulteriore ipotesi di archiviazione condizionata e, quindi, di una causa di estinzione del reato per le contravvenzioni; secondo me anche questa misura potrebbe aiutare molto a deflazionare un po' il carico del sistema. Vorrei capire se è sufficiente una misura così congegnata oppure se anche questo potrebbe essere uno strumento da migliorare, incrementandone l'utilizzo, tenuto conto che in altri ordinamenti è una misura deflazionistica che funziona molto bene. Penso alla Germania dove mi risulta che centinaia di migliaia di procedimenti vengano definiti prima di arrivare al processo attraverso le prescrizioni imposte dai Pag. 10pubblici ministeri. Mi interessa capire qual è l'opinione anche su questo aspetto.
  Da ultimo, e chiudo, non è stato fatto un cenno all'introduzione di un'ulteriore misura che avrebbe l'obiettivo di moralizzare un po' l'attività e magari aiutare a ridurre i tempi: l'introduzione della verifica da parte del giudice sui tempi di iscrizione della notizia di reato nel registro degli indagati. Questa era una delle richieste che in passato, in maniera molto forte, era stata formulata anche dall'Avvocatura e che era stata inserita in progetti o proposte di riforma, riscuotendo sufficiente condivisione. In questo disegno di legge questa misura è presente. Vorrei capire qual è il giudizio degli auditi sul tema.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Bazoli. Onorevole Paolini, prego.

  LUCA RODOLFO PAOLINI. Grazie, presidente. Alcuni temi sono già stati toccati dai colleghi e quindi non li ripeterò, essendo concorde al novanta per cento con quello che hanno detto i colleghi dell'Avvocatura. Volevo un loro parere, invece, su una mia idea, vale a dire quella di risolvere un problema del difensore d'ufficio. Penso che sia capitato a tutti di avere a che fare con un latitante piuttosto che con un rom che dichiara genericamente di risiedere in un posto o nel campo nomadi, poi non è reperibile; in questi casi il difensore viene messo nell'impossibilità – malgrado tutta la buona volontà – di contattare il soggetto, se quest'ultimo non si mette in contatto, avendo magari fornito numeri telefonici a cui non risponde. Mi chiedevo quale fosse il parere degli auditi sulla mia ipotesi. Fermo restando che la prima notifica deve avere tutti i crismi – e questo è pacifico –, successivamente il Ministero potrebbe attivare nei vari tribunali qualcosa di più di una casella postale, con cui si comunica anche al latitante dove trovare tutta la documentazione. Immagino una sorta di cassetto virtuale, che è utilizzato per il fisco e anche per i cittadini comuni, grazie al quale anche il latitante – quindi il caso più estremo di volontà di non venire in contatto con l'autorità – può accedere con la sua password ai documenti e, in ipotesi, anche al video dell'udienza. Lo stesso latitante potrebbe infatti essere interessato a vedere come si svolge l'udienza: lo fanno i social network, non capisco perché non potrebbe farlo il tribunale. Vorrei sapere se, ad avviso degli auditi, questa potrebbe essere un'idea decisiva e risolutiva ovvero, per motivi vari che io che al momento non saprei indicare, non praticabile. Grazie.

  PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Paolini. Prego, onorevole Bartolozzi.

  GIUSI BARTOLOZZI. Ringrazio i rappresentanti del Consiglio nazionale forense. Io sono fortemente preoccupata rispetto all'impianto complessivo del disegno di legge che andiamo a esaminare. Faccio una brevissima premessa, e vado subito alle domande. Nell'ottica dell'efficienza del processo si vanno a svilire i diritti di difesa dell'indagato o imputato, ma soprattutto si aggrava, secondo me oltremodo, la posizione processuale dell'Avvocatura. Riguardo alle notifiche, secondo me si tratta di una mezza riforma, e vorrei che sul punto gli auditi mi esponessero in maniera molto chiara la loro opinione. Io sono favorevole all'idea che il processo parta quando la notifica viene fatta a mano all'indagato la prima volta; dopodiché una riforma seria avrebbe dovuto dire che la seconda notifica non serve a nulla: una volta che l'indagato sa che c'è un procedimento a suo carico, io non gli faccio la seconda notifica. E condivido le osservazioni degli auditi, rispetto invece alla posizione del collega Vitiello.
  Ritengo che l'inciso della lettera n) del comma 1 dell'articolo 2 del disegno di legge in esame sia ridicolo. Si tratta di una presa in giro per l'Avvocatura perché non riesco a capire come l'avvocato dovrebbe rispondere di un fatto che è imputabile all'assistito. Scriviamo meglio la disposizione, se proprio dobbiamo scriverla, e diciamo che l'avvocato non è responsabile anche nel caso in cui il fatto sia addebitabile a terzo o a forza maggiore o al caso fortuito. Non vedo come l'avvocato dovrebbe rispondere di un fatto che è imputabile all'indagato o all'imputato. Sono d'accordo con voi sul Pag. 11fatto che il contenuto della citata lettera n) sia assolutamente ridicolo, anzi offensivo per l'Avvocatura tutta.
  Dunque, la prima domanda è se non sia preferibile andare verso l'abolizione della doppia notifica, rispetto a questa via di mezzo che non si capisce cosa sia e che è stata prospettata nel disegno di legge delega.
  Faccio la seconda riflessione, in questo caso associandomi alle critiche avanzate dal collega Vitiello. Sono molto preoccupata dal cambio di prospettiva: viene modificata la regola di giudizio, con riguardo non solo all'articolo 425 del codice di procedura penale, ma ancor di più all'articolo 125 e alle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale. Passiamo da una valutazione circa l'utilità del dibattimento ad un'anticipazione del giudizio di merito con tutto ciò che comporta. Io ho un'esperienza ventennale da giudice per le indagini preliminari e giudice dell'udienza preliminare, e mi pongo una domanda. In tribunali piccoli, a fronte di un GIP di un certo peso, che anticipa il giudizio e rende una motivazione, come farà il collega competente per la seconda fase del processo a dire che ha agito male? Sto parlando di tribunali piccoli: in tribunali grandi forse il problema è minore, ma la nostra realtà è fatta di tribunali medio-piccoli. Come farà il collega, giudice di merito, a dire che il GUP ha scritto male il giudizio? Un aspetto mi preoccupa ancora di più, e chiedo agli auditi di darmi una risposta, il fatto che venga elisa la lettera d) dell'articolo 426 del codice di procedura penale, vale a dire la concisa esplicazione dei motivi di fatto e di diritto, se l'imputato non lo richiede, mi preoccupa ancora di più.
  Stranamente in questo disegno di legge figurano misure che sembrano innovative, ma in realtà fanno guai di proporzioni bibliche, forse peggiori di quelli che ha fatto la prescrizione fino a ora. Nella relazione è stato affrontato un aspetto, ma chiederei agli auditi di essere più precisi al riguardo. Mi riferisco ai criteri di priorità. Conosciamo tutti la dottrina che si è espressa a questo proposito, e non starò qui a ripeterla. Però, tralasciando il problema della dubbia legittimità costituzionale della previsione con riguardo al contenuto degli articoli 111, 112 e 104 della Costituzione, io pongo un problema concreto.
  Gli auditi dicono: «Se proprio deve essere così, che sia il Parlamento a dare i criteri...» Ricordiamo la bozza di riforma ai tempi del Governo D'Alema, secondo cui spettava al Parlamento e al Governo indicare i criteri. Comunque, per lasciare i comparti separati, sono favorevole al fatto che ci debba essere l'interlocuzione con i presidenti dei consigli dell'Ordine. Questo è il minimo che si possa fare, ma il problema resta, e quindi pongo la domanda. Mettiamo il caso in cui un pubblico ministero non abbia portato avanti un determinato procedimento perché si attiene, per esempio, ai criteri di priorità stabiliti dal suo capo dell'ufficio: può il procuratore generale avocare o meno quell'indagine? Non si è capito che questo sistema di elencazione di priorità, che non è neanche un criterio tabellare, ma una semplice organizzazione interna degli uffici, ha riflessi grandissimi sull'avocazione e sull'istituto dell'avocazione che è obbligatoria.
  Da questo punto di vista ho un'altra domanda. Ho già detto della redazione della sentenze con riguardo all'articolo 425 del codice di procedura penale, ma questo aspetto si lega a un altro problema. Vi chiederei dunque di fare un passaggio ulteriore. Udienza filtro nel giudizio monocratico: com'è pensabile che questa misura possa accelerare i tempi dei procedimenti? A parte i problemi di incompatibilità e quindi di organizzazione degli uffici che avranno i presidenti dei tribunali, com'è pensabile secondo voi – se aderite a questa idea – che un'udienza filtro agevoli o semplifichi i tempi del processo e aiuti il giudice? Secondo me tale previsione ingolfa la situazione non solo con riguardo alla definizione del procedimento, ma, lo ripeto, anche in termini organizzativi. Io mi fermo qua, e non entro nel merito della prescrizione perché il tema sarebbe troppo ampio; ritengo tuttavia che il disegno di legge in esame sia la mortificazione dei diritti non solo dell'indagato, poi imputato, ma soprattutto dell'Avvocatura. Pag. 12
  L'Avvocatura dovrebbe – io spero che lo faccia – avere un sussulto d'orgoglio e far sentire la sua voce perché ne uscirà profondamente lesa, se questo provvedimento verrà approvato così come è stato presentato. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Bartolozzi. Se nessun altro collega interviene, darei la parola all'avvocato Ollà.

  GIOVANNA OLLÀ, consigliera nazionale del Consiglio nazionale forense. Sì, rispondiamo per parti distinte. Ho annotato quanto più possibile.

  PRESIDENTE. Vi prego di essere estremamente concisi. In ogni caso, sugli spunti di riflessione forniti dai colleghi, siamo pronti a ricevere qualsiasi contributo scritto che non siate in condizione, per questioni di tempo, di approfondire oralmente qui.

  GIOVANNA OLLÀ, consigliera nazionale del Consiglio nazionale forense. Molto velocemente rispondiamo a quello a cui si può rispondere in termini di impostazione politica. Sono d'accordo con l'onorevole intervenuta per ultima. Abbiamo fatto una premessa sulle criticità, evidentemente presenti nel testo. A nostro avviso, l'intera struttura del disegno di legge a volte va quasi a smentire l'obiettivo che si pone, che è quello di deflazionare il carico di lavoro e di ridurre i tempi della giustizia. È ovvio che in astratto la regola di giudizio dell'udienza preliminare – che dovrebbe evitare il passaggio al dibattimento – è una regola che, letta sulla carta, ha un impatto positivo; tanto quanto è vero che la creazione di una sorta di giudice dell'udienza preliminare, improprio nel contesto dei procedimenti con citazione diretta, è l'esatto contrario della direzione di celerità cui dovrebbe essere improntato l'intero disegno di legge.
  Sui riti alternativi concordo con le osservazioni che sono state fatte: noi abbiamo esemplificato due reati ostativi, sottolineando una gravità non oggettiva in termini, banalmente, di sanzioni edittali. Sappiamo benissimo che lo stalking è un reato sentinella di fattispecie ben più gravi, che si sono verificate. Però ne abbiamo tutta un'altra serie che effettivamente sono reati «comuni», nel senso di statisticamente commessi: quindi ancora una volta siamo di fronte ad un impedimento rispetto all'effetto deflattivo che si vuole ottenere.
  Siamo favorevoli al controllo sull'iscrizione della notizia di reato che deve portare però alle conseguenze – di cui abbiamo parlato in relazione ad altri aspetti e ad altre parti del disegno di legge – che devono prevedere un'inutilizzabilità degli atti, e non altro tipo di sanzione.
  Per quanto riguarda il discorso della deflazione attraverso la depenalizzazione ovvero le sanzioni amministrative condizionate, direi che è un sistema che era stato fortemente caldeggiato, analogamente a quanto previsto per molte sanzioni in materia di diritto penale del lavoro: quindi, con una prova di efficienza e anche di deflazione che abbiamo già statisticamente a disposizione. Si era anche parlato di una massiccia opera di depenalizzazione dei reati minori che però mi sembra di capire non sia in procinto di essere attuata.
  In conclusione – l'avvocato Cirillo vorrà forse aggiungere qualcosa nei tempi che abbiamo a disposizione –, per quanto riguarda il problema delle notificazioni, l'accenno all'esonero da responsabilità non voleva dire che ciò non serve. È vero proprio l'esatto contrario. Il fatto che ciò sia previsto dà proprio la misura dell'anomalia della norma. Noi abbiamo, nel contesto del codice deontologico forense, tutta una serie di rimedi e tutta una serie di comportamenti che sono comunque sanzionati da un punto di vista deontologico. Abbiamo comunque obblighi di informazione. Quindi, la presenza di una siffatta indicazione in un contesto di tipo processuale, con un ancoraggio assolutamente confuso all'esonero da responsabilità, mi dice il contrario. Mi dice che siamo costantemente esposti a responsabilità professionale qualora non facciamo correttamente i postini o i messi notificatori. Per quanto riguarda l'articolo 190-bis del codice di procedura penale, si è svolta una discussione molto lunga che Pag. 13origina dalla sentenza Bajrami. È ovvio che vogliamo l'applicazione piena del giudice naturale e, quindi, su questo aspetto continueremo a lavorare.
  Concludo, perché i tempi sono stretti. Raccogliamo molto positivamente le sollecitazioni ricevute, come segnale della necessità di ulteriore approfondimento e di ulteriore confronto anche cartolare. Grazie.

  PRESIDENTE. Prego, avvocato Cirillo.

  NICOLA CIRILLO, componente dell'Ufficio studi del Consiglio nazionale forense. Per quanto mi riguarda, vista la ristrettezza dei tempi, ritengo che le osservazioni degli onorevoli necessitino di un approfondimento ulteriore, i cui risultati faremo pervenire alla Commissione. Vorrei fare soltanto due considerazioni. La prima si riferisce all'osservazione dell'onorevole Bazoli, il quale chiede se l'Avvocatura – come ha sempre fatto, chiedendo fino ad oggi una simile previsione – condivida l'accertamento della data di iscrizione della notizia di reato nell'apposito registro. Sicuramente la soluzione è pregevole e condivisibile, non lo è altrettanto tuttavia nella parte in cui prevede che l'accertamento venga richiesto dalla parte.
  È lo stesso giudice, che fa parte del tribunale presso il quale l'ufficio di procura ha iscritto il soggetto che si trova a essere giudicato dal giudice medesimo, che dovrebbe poter chiedere quando effettivamente la notizia di reato è stata iscritta nei confronti di quel soggetto.
  Questo al fine di verificare l'acquisibilità di quegli stessi atti al fascicolo del dibattimento, ove si sia al dibattimento – giudice monocratico o collegiale –, ovvero la loro utilizzabilità nell'udienza preliminare. Altro rilievo, a cui sento di rispondere in maniera molto sintetica, è relativo all'utilizzo incondizionato dei criteri di priorità. Ho detto in anticipo e in via preliminare, quando sono intervenuto poc'anzi, che rimettere l'individuazione di criteri di priorità agli uffici di procura sicuramente non è condiviso e non è condivisibile dall'Avvocatura, se non come extrema ratio, tenuto peraltro anche conto che le differenze territoriali possono comportare anche la commissione di differenti ipotesi di reato.
  Oltretutto la «lesione» – consentitemi il termine – del mancato rispetto del criterio di priorità da parte degli uffici di procura non è sanzionata, così come non sono previste altre sanzioni di natura disciplinare nei confronti dei pubblici ministeri.
  L'onorevole Bartolozzi ha fatto riferimento al fatto che viene esclusa la concisa esplicazione dei motivi di fatto e di diritto della sentenza «se l'imputato non lo richiede». Sì, il filo conduttore di questo disegno di legge è che in qualche modo il Governo rimette alla parte la possibilità di richiedere quanto più possibile. Ove la parte non dovesse fare questo, vi sarebbe una lesione del proprio diritto di garanzia e del proprio diritto di difesa; cosa che invece dovrebbe prescindere dalla volontà dell'imputato, il quale può anche essere assente: l'imputato potrebbe essere contumace, latitante o irreperibile.
  Signor presidente e signori commissari, il vero problema consiste nel rimettere all'imputato una serie di richieste, da avanzare anche per il tramite del proprio avvocato, quando sappiamo che nel nostro sistema processuale, allo stato di tipo accusatorio, egli potrebbe non essere presente.
  Non può dunque essergli addebitata come negativa la mancata presenza e la mancata partecipazione all'udienza. È ovvio che si tratta di qualcosa di deprecabile che deve trovare un aggiustamento, riportando in auge i diritti di garanzia e di difesa dello stesso imputato, seppur questi non faccia richieste che pure può fare, ma che non dovrebbe essere tenuto ad avanzare per poter acquisire un beneficio.
  Mi fermo qui. Ringrazio il presidente e i commissari. Ci riserviamo di produrre ulteriori documenti relativamente alle richieste che sono state fatte.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi e i colleghi per gli interventi.
  Sottolineo che la necessità di rispettare i tempi prescinde dalla mia volontà. L'argomento è certamente meritevole e degno di approfondimenti ben più lunghi, ma Pag. 14purtroppo dobbiamo fare i conti con i tempi a nostra disposizione. Dichiaro quindi conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti dell'Unione delle Camere penali italiane.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame del disegno di legge C. 2435 Governo, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello, di rappresentanti dell'Unione delle Camere penali italiane.
  Ringrazio gli auditi per aver accolto l'invito della Commissione e chiedo cortesemente di contenere il proprio intervento nello spazio di una ventina di minuti, così da dare spazio ai quesiti che verranno successivamente rivolti dai deputati, cui seguirà la replica degli auditi negli ultimi dieci minuti dell'ora che abbiamo preventivato per lo svolgimento dell'audizione.
  Comunico che è stato depositato un documento (vedi allegato 2) che in assenza di obiezioni sarà pubblicato sul sito Internet della Camera dei deputati e reso disponibile ai deputati attraverso l'applicazione di GeoCamera. Ne autorizzo inoltre la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna.
  Do quindi la parola all'avvocato Eriberto Rosso, segretario dell'Unione delle camere penali. È presente anche l'avvocato Giorgio Varano, responsabile comunicazione dell'Unione delle Camere penali italiane. Prego.

  ERIBERTO ROSSO, segretario dell'Unione delle Camere penali italiane. Grazie, signor presidente. Grazie per l'invito e per l'attenzione che la Commissione ha riservato all'Unione Camere penali italiane. Ringrazio anche i componenti della Commissione, sempre attenti alle nostre elaborazioni e alle nostre proposte.
  Il disegno di legge sul quale siamo auditi in realtà interviene in modo random sulle varie fasi del processo, senza realmente incidere né sui tempi delle indagini né sui complessivi tempi della struttura delle fasi del processo penale. In realtà poi nella fase dibattimentale conculca una serie di garanzie – ora lo vedremo partitamente –, mirando a costruire una sorta di velocizzazione dei passaggi processuali, però così violando non solo le regole ma anche l'essenza stessa del contraddittorio.
  Mi rendo conto che è un biglietto di presentazione assai pesante sotto il profilo della censura, ma noi mettiamo in questo giudizio anche il lavoro e il tempo che abbiamo dedicato nell'interlocuzione voluta dal signor Ministro della giustizia, con la costituzione del tavolo al quale sono stati chiamati la magistratura, l'Avvocatura e l'Accademia per contribuire a questo intervento nel processo. Francamente il prodotto finale, nonostante gli sforzi di coloro i quali hanno lavorato, di coloro i quali si sono impegnati con molte proposte in questa attività, è assolutamente deludente; ed è deludente nonostante gli impegni che una parte politica, chiamata in una seconda fase alla composizione della mutata maggioranza di Governo, aveva e ha assunto in relazione a diversi temi del processo, e in particolare sulla prescrizione.
  Dico ciò perché, per esempio, noi avevamo ottenuto a quel tavolo un importante risultato, che era quello di presentarci in modo unitario con la magistratura italiana, o meglio con la sua rappresentanza associativa, con l'Associazione nazionale magistrati, con una serie di proposte volte a ridurre il numero dei processi da celebrare al dibattimento, attraverso incentivi che rendessero più agevole il ricorso ai riti alternativi.
  Si era, dunque, previsto un innalzamento delle soglie dei limiti edittali nella dosimetria della pena per accedere al patteggiamento, e si era previsto un allargamento e un mutamento della regola di giudizio da applicarsi da parte del giudice per l'ammissione della prova richiesta dalla difesa in sede di giudizio abbreviato condizionato.
  Mi permetto di sottolineare a voi che questo è un passaggio assolutamente importante nell'esperienza e nella pratica professionale, perché moltissimi procedimenti Pag. 15possono trovare definizione nella forma del giudizio abbreviato condizionato quando, appunto, lo schema probatorio, il composto probatorio da arricchire, necessario per la decisione, richiede un intervento assai limitato.
  Invero, il Governo nel suo progetto ha sì innalzato il limite edittale per l'intervento dell'applicazione di pena su accordo delle parti, ma ha rimpolpato, ha esteso, ha allargato il novero delle ostatività in modo da restringerlo, in realtà, nella sostanza nella sua pratica applicazione, perché questo meccanismo di riduzione della pena ha un significato soprattutto nei procedimenti di media gravità. Basti pensare, per esempio, alla tematica dei reati connessi alle sostanze stupefacenti.
  Dunque, intervenire in relazione a quelle fattispecie criminali e in relazione anche a premialità diverse, a seconda della fase nella quale la proposta di applicazione di pena concordata poteva o doveva intervenire, avrebbe rappresentato un intervento di assoluto significato sul numero dei procedimenti così da definire.
  Per quanto riguarda il giudizio abbreviato condizionato, il tema è molto semplice. Unitamente alla magistratura associata, noi avevamo proposto una regola alla quale il giudice avrebbe dovuto attenersi per l'integrazione istruttoria qualora – dicevamo – la prova fosse una prova rilevante, nuova e avesse una sua specificità.
  In realtà, nel progetto del Governo, il disegno di legge acquisisce il tema dell'estensione dei casi di giudizio abbreviato condizionato, ma rimette al giudice la valutazione con riguardo al criterio della necessità della prova per la decisione. Questo vuol dire che usciamo ancora una volta dalla disponibilità delle parti; cioè, non è la difesa che individua il punto probatorio al quale condizionare quella scelta, ma è la valutazione del giudice. È quindi fuori dalla portata delle parti, che questa partita si gioca, sostanzialmente nulla modificando rispetto all'oggi.
  Vado anch'io sottolineando alcuni dei punti, quelli che ritengo più significativi. Poi sono a disposizione, ovviamente, dei signori componenti della Commissione che dovessero richiedere un qualche approfondimento. Tuttavia voglio segnalare le cose che davvero per noi sono assolutamente inaccettabili, come la proposta all'articolo 5, che noi abbiamo definito «il colpo di grazia al contraddittorio». Si interviene con un'estensione della disciplina dell'articolo 190-bis del codice di procedura penale. Ciò vuol dire che una prova raccolta nel contraddittorio delle parti non viene nuovamente raccolta qualora vi sia un mutamento del giudice.
  Qui il tema è molto semplice: o si crede o non si crede alla logica del giudice della decisione dinanzi al quale si svolge l'attività processuale. A nulla rileva che quel tema sia già stato sviluppato in contraddittorio tra le parti. Questo può avvenire anche durante la fase dell'indagine, in tutte quelle situazioni di anticipazione del momento dibattimentale. Il punto è che il giudice è chiamato a decidere, governa, dà delle indicazioni su quella prova; esiste un linguaggio che è un linguaggio della conoscenza comune delle parti che incide sulle modalità di acquisizione di quella prova. È chiaro che un giudice che avrà il solo modo di leggere il risultato di quel dato probatorio sarà un giudice che non si troverà «vergine» dinanzi all'attività valutativa.
  Mi permetto un'ultima annotazione che attiene alla filiera delle impugnazioni, perché nel disegno di legge si interviene sul grado di appello immaginando il giudice di appello come un giudice monocratico, sostanzialmente in relazione a tutti i procedimenti aventi a oggetto reati di competenza del monocratico. È la fine della collegialità in tutta la filiera delle decisioni.
  Voglio sottolineare questa considerazione a voi che siete chiamati poi a prendere decisioni, e ne avete prese di molte e assolutamente incidenti anche nel momento dell'emergenza sanitaria che, ahi noi, purtroppo si ripropone con tutto il carico emotivo e anche di necessità organizzative.
  Si propone una sorta di attività stralcio per il lavoro delle corti di appello, immaginando che quei processi vadano in decisione davanti a giudici onorari, che per una serie di ragioni – vuoi per le modalità di Pag. 16selezione, vuoi per il ricorso a magistrati in quiescenza o ad avvocati che abbiano svolto le funzioni di magistrati onorari, e così via – molto spesso, sostanzialmente non hanno alcuna esperienza delle regole del dibattimento; quindi, tali giudici saranno chiamati a rivedere quel tipo di passaggi che attengono all'organizzazione del momento della raccolta della prova, senza averne avuto un'esperienza di natura professionale.
  Lascio per ultimi due temi, perché sono due temi che appassionano il dibattito e anche il momento dell'audizione. So che la magistratura associata ha preso dura posizione rispetto alle ipotesi di responsabilità disciplinare legate all'eventuale sforamento del tempo dell'indagine, nonché in punto di prescrizione. Qui, con l'attuale dirigenza dell'Associazione magistrati, le distanze sono siderali, non perché noi condividiamo il tema della responsabilità disciplinare del magistrato; al cittadino questo è fatto che non interessa minimamente. Il punto è che, se c'è un tempo nel quale quelle indagini devono essere svolte e se c'è un tempo all'esito dello svolgimento di quelle indagini in cui il magistrato del pubblico ministero deve esercitare quella opzione, è evidente che l'unica sanzione possibile, che ha un significato sul piano delle garanzie, non può che essere una sanzione processuale, che abbia incidenze in punto di non validità di atti, in punto di inutilizzabilità, in punto di sanzioni che incidono nel processo, e non nella vita professionale del magistrato.
  Peraltro, loro avranno visto come il meccanismo che porta alla responsabilità di natura non professionale, ma di natura disciplinare, è un meccanismo che non si realizzerà mai: è necessario che il comportamento sia reiterato, che vi siano una serie di condizioni che davvero la rendono un'indicazione semplicemente di bandiera. Quindi, da questo punto di vista, è evidente che è necessario andare a una sanzione processuale sul tempo delle indagini, come è altrettanto evidente che il tema della prescrizione – lo dico soprattutto ai signori deputati che appartengono a forze parlamentari che su questo avevano dato segni di condivisione delle critiche che noi avevamo mosso – debba essere giocato sul piano, anche qui, della sanzione processuale, o dell'impossibilità di esercizio dell'azione dopo quel termine, o sul piano sostanziale, come oggi la conosciamo.
  Sappiamo bene che dal Ministro della giustizia ci distanzia una considerazione in ordine alla natura, al ruolo, al senso della prescrizione del nostro sistema; ma noi crediamo che sia una battaglia di civiltà e di valore, e quindi continuiamo a farla e continuiamo a proporvela.
  Queste sono le considerazioni che abbiamo articolato norma per norma anche nel documento che abbiamo depositato e che, essendo temporalmente riferito al momento in cui il Consiglio dei ministri ebbe ad approvare il disegno di legge che oggi è al vostro esame, mantiene sul punto la sua assoluta attualità.
  Questo è il giudizio dell'Unione delle camere penali, ma mi permetto di dire che credo sia il giudizio dell'Avvocatura nel suo insieme. So che prima avete audito il Consiglio nazionale forense che con noi ha condiviso questo percorso anche di approfondimento dei temi. Immagino che anche loro abbiano portato questo taglio, questo contributo critico che io mi sono permesso di riassumere. Vi ringrazio e sono a vostra disposizione. Spero di essermi contenuto nei tempi.

  PRESIDENTE. Io la ringrazio per tutto: per la tempistica, per l'esposizione e per il contributo. Onorevole Vitiello, prego.

  CATELLO VITIELLO. Buonasera, avvocato. È un piacere rivederla. Io ho seguito attentamente ogni passaggio. Mi permetto di fare una piccola premessa di metodo. Da avvocato, sono abbastanza refrattario ad una riforma fatta in questo modo. Da parlamentare, però, dico che bisogna correre ai ripari e cercare di salvare il salvabile. Ci troviamo in un momento in cui, essendo il provvedimento incardinato in Commissione, dobbiamo arrivare a un risultato; quindi proviamo ad arrivarci assieme con il medesimo obiettivo, che è quello poi di svolgere la nostra professione nelle aule dei tribunali. Pag. 17
  Detto questo, lei ha fatto riferimento al giudizio abbreviato condizionato. Per quanto riguarda il patteggiamento sono d'accordo con lei. C'è assolutamente un problema: da un lato si dà, dall'altro si toglie. Secondo me la riforma è fatta sul punto in maniera raffazzonata e forse – per rincarare la dose – anche con una disparità notevole di trattamento fra fattispecie comuni in particolare.
  Detto questo, invece, sull'abbreviato condizionato mi permetto di dire che, se non ci si rimette al giudice, la situazione diventa complicata. Spero che lei non abbia pensato a un giudizio abbreviato secco condizionato, dove io faccio la richiesta in ordine a un paradigma che ho rispettato e quindi, per legge, tale richiesta deve essere accettata. Secondo me questa ipotesi è abbastanza difficile, posto che anch'io credo poco nella discrezionalità.
  Però c'è un problema, e glielo voglio sottoporre: in che modo pensa che l'abbreviato condizionato fatto in questo modo si differenzi, rispetto alla nuova regola di giudizio dell'udienza preliminare? Nella riforma si passa dalla sostenibilità dell'accusa in giudizio alla ragionevole condanna. Il parametro è questo, praticamente un salto nel buio, perché non si sa se questo giudice, che certamente diventerà di merito a pieno titolo, è un giudice istruttore o non è un giudice istruttore. Avremo un decreto che dispone il giudizio non motivato? Però in quel caso, per assurdo – parlo per paradossi –, forse sarebbe necessaria una motivazione. Me lo chiedo perché vorrei capire il profilo di responsabilità individuato in quell'occasione, che metterà in imbarazzo il giovane collega il quale si troverà successivamente a decidere nel dibattimento in merito a quello stesso giudizio che invece ha portato a una ragionevole condanna da parte del giudice precedente.
  Quindi, mi chiedo come ciò si sposi con l'impianto accusatorio di massima del nostro codice e, soprattutto, come si concili con le necessità deflattive che vengono rimesse alla necessità di un giudizio abbreviato condizionato. Secondo me, ne conseguirà un grosso ingolfamento dell'ufficio del giudice dell'udienza preliminare, e da lì non se ne esce. La stessa cosa, capovolgendo la situazione, accadrà per le richieste di archiviazione. Anche lì si capovolge la regola di giudizio, vale a dire in sede di applicazione dell'articolo 125 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale; quindi, avremo la ragionevole condanna anche lì, anche nel caso dell'articolo 125 delle disposizioni di attuazione. La prima domanda è questa: come ciò diventa compatibile con il nostro sistema processuale? Sembra quasi un quarto grado di giudizio. Molte volte, abbiamo sperimentato analoga situazione in qualche udienza preliminare, e la Cassazione l'ha bocciata. Lei sa meglio di me come è andata a finire in alcuni casi.
  Sono d'accordo sull'articolo 190-bis del codice di procedura penale. Per quanto riguarda la questione della collegialità, secondo me in questo caso è d'obbligo un paracadute. Se vogliamo eliminare la collegialità in appello per alcuni giudizi, evitiamo di ricorrere ad un giudice onorario di tribunale (GOT). Lei sa che per le decisioni del giudice di pace, l'appello viene fatto davanti al giudice monocratico, ma in quel caso non deve trattarsi di un GOT: se è un GOT, dovrà cedere la palla e il processo verrà sostenuto in appello da un giudice togato.
  Secondo me quindi si possono limitare i danni. Io non sono d'accordo con la soluzione proposta, perché la collegialità è una garanzia fondamentale. Deve sapere che nell'ultimo periodo della mia attività professionale, quando arrivava un giovane praticante, io gli chiedevo se aveva fatto anche il tirocinio presso qualche tribunale, perché vivere la camera di consiglio è tutt'altra cosa. Queste sono considerazioni mie personali.
  Riguardo all'articolo 190-bis del codice di procedura penale e alla modifica della composizione del collegio, vorrei chiederle se non ritiene invece preferibile arrivare a vincolare il collegio, evitando il trasferimento dei giudici allorquando dal calendario – perché forse una delle poche norme utili in questa riforma è la calendarizzazione delle udienze, per cui sai già in partenza dove andrai a finire – risulti che si Pag. 18tratta di processi complicati, articolati su più udienze: dunque non puoi chiedere il trasferimento né puoi ottenerlo, o meglio in quel periodo puoi anche avanzare la richiesta, ma non verrai trasferito. Volevo sapere se non possa essere questa la soluzione, per evitare il problema che si pone rispetto al facile trasferimento dei magistrati.
  Ancora, sempre da penalista a penalista, le chiedo: non ravvisa un problema anche rispetto alla misura cautelare? Ci ha fatto caso che questa riforma non presenta alcun profilo relativo al procedimento cautelare? Eppure, sappiamo che in tantissime occasioni capita che durante le indagini, a fronte di una richiesta di applicazione della misura, in piena violazione dell'articolo 274 del codice di procedura penale, così come peraltro modificato nel 2015, con la declinazione delle circostanze di concreto e attuale pericolo di cui alle lettere a), b) e c), il giudice per le indagini preliminari di turno risponde dopo sei o sette mesi. A me è capitato di ottenere l'applicazione della misura dopo un anno e mezzo. Vorrei chiederle se non sia il caso, se vogliamo veramente correre ai ripari rispetto ad alcune disfunzioni, di aggiungere qualcosa anche rispetto a questo profilo, laddove emerge l'esigenza di prevedere tempi certi anche nella gestione del fascicolo cautelare.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Vitiello. Onorevole Bartolozzi, prego.

  GIUSI BARTOLOZZI. Grazie, presidente. Rivolgo un ringraziamento all'avvocato Rosso, e in generale all'Unione delle camere penali per i contributi che apportano al nostro dibattito. Io condivido ogni parola che lei ha detto, avvocato Rosso; quindi non starò a ripetere, non farò domande su quello che ha detto e neanche mi soffermerò su quello che si dovrebbe fare in più e che si sarebbe dovuto fare. Credo infatti che manchino i due grandi temi che avrebbero in qualche modo consentito di ripensare ai tempi del processo penale, vale a dire la depenalizzazione e la questione dell'obbligatorietà dell'azione penale. Tali temi non sono affrontati dalla riforma, quindi non discuto di quello che non c'è. Discutiamo di quello che c'è, e arrivo alle domande. In primo luogo, faccio riferimento alla modifica della regola di giudizio. Non entro nel merito dell'intervento sull'articolo 425 del codice di procedura penale, che secondo me è pericolosissimo, e presenta un profilo di incompatibilità. L'anticipo del giudizio è prognostico, non sull'esito ma sul merito. Vi chiedo, però, qualcosa in più sull'articolo 125 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale. Vi chiedo se la modifica incida sui tempi dei procedimenti. Secondo me li allunga, perché se, in base alle norme contenute nel disegno di legge, un indagato deve essere prosciolto quando gli elementi raccolti dal pubblico ministero (PM) non consentono una ragionevole presunzione di condanna, il rischio secondo me, contrariamente a ciò che il Ministro Bonafede vuole ottenere, è che il PM potrebbe impegnare un tempo più lungo proprio per cercare quegli elementi. Quindi, invece di accorciare i tempi del procedimento, li aumentiamo. Questa è la prima domanda.
  La seconda riguarda i criteri di priorità. Tralascio, come ho fatto prima, la discussione relativa al fatto se si possa o meno, con una norma di rango primario, intervenire sui principi costituzionali dettati dagli articoli 104, 111 e 112 della Costituzione. Giochiamo a bocce ferme. Abbiamo le disposizioni, c'è un disegno di legge delega. Io la ritengo indispensabile, perché così aveva già stabilito una delibera del Consiglio superiore della magistratura del 2017: è necessaria l'interlocuzione preventiva con i presidenti dei Consigli dell'ordine? Questa è il primo aspetto. In secondo luogo, l'ordine delle priorità secondo me dovrebbe avere una cadenza, se non annuale come nei progetti di legge che furono già esaminati nel 2011 e poi nel 2014, almeno triennale. Questo ordine di priorità, che è ancorato – per come vorrebbe il legislatore – anche e tra l'altro, per esempio, alle risorse disponibili, come incide sul principio dell'azione penale obbligatoria?
  Per esempio, una procura dichiara che certi delitti di criminalità organizzata, al di là della previsione dell'articolo 132 delle disposizioni di attuazione, sono prioritari Pag. 19rispetto ad altri; ma che succede se poi quella procura non ha le risorse finanziarie, che rappresentano uno dei criteri cui è ancorato l'ordine di priorità? Se il PM non ha le risorse necessarie e non può seguire l'ordine di priorità, cosa fa? C'è un potere di avocazione, o no? Il procuratore generale ha l'obbligo di avocare o meno il procedimento? Come incide il criterio di priorità sull'eventuale potere di avocazione del procuratore generale?
  E poi ancora, sui tempi delle indagini sono d'accordo con il collega Vitiello il quale sostiene che, in luogo di una sanzione di tipo disciplinare, si dovrebbe introdurre una sanzione di tipo processuale, procedimentale; e questo l'ha detto anche lei, avvocato Rosso. Mi chiedo di quale sanzione processuale dovrebbe trattarsi: se relativa all'acquisibilità agli atti o piuttosto all'utilizzabilità degli atti di indagine compiuti fuori tempo massimo.
  Mi fermo qui. Della prescrizione abbiamo già discusso ampiamente tante volte, quindi neanche affronto il discorso. Grazie, avvocato Rosso. Grazie all'Unione delle Camere penali.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Bartolozzi. Prego, avvocato Rosso.

  ERIBERTO ROSSO, segretario dell'Unione delle Camere penali italiane. Non parlerò all'onorevole Vitiello delle cose sulle quali sono d'accordo. Mi soffermerò sulle sue osservazioni rispetto innanzitutto al giudizio abbreviato condizionato, perché mi preme tentare di portare chiarezza sul nostro pensiero, che peraltro rappresenta la proposta comune con l'Associazione nazionale magistrati.
  Ovviamente, la decisione appartiene al giudice, ed è il giudice che dovrà alla fine decidere la natura di quella prova della quale si richiede l'ammissione ai fini della definizione del procedimento. Ma è evidente che se i parametri per la decisione concessi al giudice dalla norma, come descritti nel progetto di riforma, sono quelli dell'incidenza del risparmio temporale rispetto al dibattimento, si tratta di parametri con i quali si lavora in un certo modo. Se invece il parametro di ammissibilità è relativo alla natura della prova, come noi abbiamo chiesto insistentemente, sottolineandone la rilevanza, si rende il composto delle fonti di prova più adeguato alla decisione: poi il giudice ovviamente, nell'ambito di quel parametro, assumerà la decisione che riterrà, e il suo obbligo sarà quello della motivazione.
  Invece si modifica il baricentro dalla disponibilità della parte – ovviamente, con la decisione del giudice – alla sola decisione del giudice in punto di decisività della prova e in punto di economia processuale. Dunque, ci arrenderemmo a quell'orientamento che poi di fatto ha limitato il ricorso a questo strumento di definizione del processo che invece potrebbe avere un forte sviluppo, non nella prospettiva del recupero del sistema inquisitorio, ma nella prospettiva di innalzare davvero a regole cognitive il giudizio abbreviato. Si tratta infatti di intervenire consentendo che la prova si formi, sia pure in condizione più limitata, davanti al giudice della decisione, sottraendo quel rito all'idea di colpevolezza che lo accompagna in una visione giustizialista, con uno sbocco quasi obbligato nella sentenza di condanna.
  Quanto alla regola di giudizio dell'udienza preliminare e all'articolo 125 delle disposizioni attuative, mi permetto di riprendere una considerazione proposta dall'onorevole Bartolozzi. Noi partivamo e partiamo da alcuni elementi: il numero di richieste di archiviazione, la regola di giudizio del giudice su quelle richieste di archiviazione, il fatto che l'udienza preliminare d'altro lato sia diventata un momento assolutamente burocratico nell'iter procedimentale; per cui, complice anche una giurisprudenza della Suprema Corte che ha definito come processuale la natura di quella sentenza, in realtà raramente il giudice giunge a una decisione di non luogo a procedere. Allora, occorre spingere su quei parametri, chiedendo al giudice che la sua valutazione tenga conto dello stato delle prove e anche del loro sviluppo, che non può essere uno sviluppo qualsiasi, poiché la prova può sempre svilupparsi se non la richiudiamo, se non stabiliamo confini ragionevoli Pag. 20 al suo modo di atteggiarsi. L'idea dunque era quella di trovare una regola di giudizio che ampliasse i casi nei quali il giudice potesse intervenire con una sentenza di non luogo a procedere, tenuto anche conto del numero di assoluzioni che poi si verificano al dibattimento. Evidentemente, c'è una sinergia da costruire sul punto. Siamo contrarissimi a che quest'attività venga svolta nel giudizio monocratico, dal giudice monocratico, perché quella è davvero un'anticipazione di giudizio per come è costruita la norma che addirittura prevede nella disponibilità del giudice di quella sezione il fascicolo del pubblico ministero. Lo dico per coloro i quali hanno esperienza del meccanismo processuale. È impossibile costruire un percorso di resistenza.
  Onorevole Bartolozzi, mi permetto di dire che apriamo un'autostrada se vogliamo discutere del temperamento del principio dell'obbligatorietà dell'azione penale. È evidente che si tratta di un tema enorme, sul quale mi permetterò una riflessione conclusiva.
  Per quanto riguarda il problema dell'ordine delle priorità, io credo che il legislatore saprà reagire con forza, perché non è immaginabile che l'autorità giudiziaria abbia la prerogativa di scelte di politica criminale. Queste non possono che appartenere a voi, non possono che appartenere al legislatore, il quale certamente non potrà dire «Le appropriazioni indebite a Milano e le truffe a Torino», ma dovrà dare indicazioni che non possono che appartenere a una scelta di temperamento del principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, che è una prerogativa del Parlamento. Dicevo che mi sarei permesso una considerazione conclusiva. Io penso che i grandi temi (obbligatorietà dell'azione penale, riforma del processo) hanno necessità di un dialogo politico, scientifico, tecnico, del quale forse oggi non si intravedono le condizioni.
  La nostra idea era che l'intervento sulla ragionevole durata del processo dovesse avere a oggetto l'individuazione quasi chirurgica di momenti procedimentali nei quali si verifica un imbuto. Lo dico soprattutto per i parlamentari che hanno svolto funzioni di magistrato o che hanno svolto la professione di avvocato. Noi sappiamo dove sono i problemi, e volevamo indicarli. In questo senso il mio, il nostro, quello dell'Unione delle Camere penali è anche un appello ai parlamentari che possiedono un sapere tecnico scientifico.
  È evidente che le opzioni culturali stanno nella disponibilità di ogni singolo parlamentare al di là della sua storia. Ci mancherebbe altro. Ma i parlamentari, gli avvocati, i magistrati, coloro i quali hanno svolto e svolgono funzioni giudiziarie sanno come quei diritti si attuano, come basta spostare un segmento del meccanismo per arrivare poi a conculcare una garanzia fondamentale.
  Lo ribadisco con riguardo all'articolo 190-bis del codice di procedura penale. Pare ragionevole proporre una norma nella quale si dice che c'è stato un contraddittorio, e quel contraddittorio e salvo. Non è così, il contraddittorio è una macchina complessa che deve svolgersi davanti al giudice. Io spero che le vostre riflessioni, le vostre considerazioni e l'esercizio delle vostre prerogative porterà a una riforma che abbia una qualità diversa da quella che è stata proposta. Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, avvocato Rosso. Ringrazio ovviamente anche l'avvocato Varano. Vi ringrazio per il vostro intervento. Prenderemo buona visione del documento che ci avete inviato. Naturalmente se, a seguito degli spunti scaturiti dalla seduta odierna, doveste ritenere opportuno farci pervenire altri contributi, questi sono benvenuti e saranno esaminati con la massima attenzione e con il massimo interesse. Grazie ancora. Dichiaro dunque conclusa l'audizione.

  La seduta, sospesa alle 16.40, riprende alle 16.55.

Audizione di rappresentanti dell'Organismo congressuale forense.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame del disegno di Pag. 21legge C. 2435 Governo, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello, di rappresentanti dell'Organismo congressuale forense.
  Ringrazio l'audito per aver accolto l'invito della Commissione e chiedo cortesemente di contenere il proprio intervento nell'arco di una ventina di minuti, in modo tale da dare spazio ai quesiti che verranno rivolti dai commissari e a cui seguirà la replica che conterrei in dieci minuti.
  Comunico che è stato depositato un documento (vedi allegato 3) che in assenza di obiezioni sarà pubblicato sul sito Internet della Camera dei deputati e reso disponibile ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera. Ne autorizzo inoltre la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna.
  Do quindi la parola all'avvocato Alessandro Vaccaro, tesoriere dell'Organismo congressuale forense. Prego, avvocato.

  ALESSANDRO VACCARO, tesoriere dell'Organismo congressuale forense. Grazie innanzitutto per l'invito dell'Organismo congressuale, che è poi la rappresentanza politica dell'Avvocatura, che trae la sua origine dalla massima assise dell'Avvocatura, cioè il Congresso. La nostra posizione relativamente all'esame del disegno di legge C. 2435 è in linea con quella delle altre rappresentanze dell'Avvocatura. Abbiamo già manifestato in maniera compatta una ferma contrarietà a questo disegno di legge. Non entro nello specifico; nel documento che vi viene consegnato ho fatto solo alcune esemplificazioni pratiche del perché siamo contrari.
  Noi abbiamo partecipato a tutti i tavoli con il Ministro che, devo darne atto, ci ha dato ascolto; ma in realtà è stato un finto ascolto, perché tutte le nostre proposte sono state bypassate e dimenticate in questo disegno di legge. Si parlava di dare celerità al processo penale. Io mi sono sempre qualificato in tutte le sedi orgogliosamente non come un professore, ma come un povero manovale del diritto in campo penale che però consuma i gradini del Palazzo di Giustizia. Quindi, dove si può intervenire?
  Si è parlato, per esempio, del punto nodale che tutti conosciamo, che è quello dell'udienza preliminare. Oggi l'udienza preliminare di fatto, così come è concepita, se vogliamo parlarci con franchezza, nella realtà delle cose è diventata un'udienza di passaggio di documenti dall'ufficio del giudice per le indagini preliminari al dibattimento.
  Il giudizio abbreviato potrebbe essere un grande strumento, ma se effettivamente portasse a quegli effetti per cui è stato istituito quando è stata fatta la riforma. Oggi – su questo mi ricordo di essermi confrontato con il presidente dell'Associazione nazionale magistrati, il dottor Poniz – se si vogliono risolvere i problemi bisogna dirsi le cose come stanno. Io parlo per Genova, ma credo che valga da Pordenone a Lampedusa: a Genova su sedici giudici un avvocato valuta di fare il giudizio abbreviato con tre di loro. Questa è la realtà. Poi, se mi si risponde che è una favola metropolitana, prendo atto che mi si dice che è una favola metropolitana, ma la realtà è quella.
  Il giudizio abbreviato condizionato ha risolto qualche problema, ma non tutti i problemi. C'è stato il problema, giustamente affrontato, dell'allargamento del patteggiamento, portandolo fino ad un massimo di pena di otto anni; però, dall'altra parte, tu riduci i casi nei quali io posso fare il patteggiamento. Allora è inutile allargarlo a otto anni di pena. Cerchiamo di essere concreti se vogliamo risolvere il problema.
  La proposta che abbiamo fatto come Organismo congressuale, che ritroverete nel documento depositato, è determinata proprio dalla pratica. Abbiamo anche avanzato una proposta di modifica dei pertinenti articoli del codice di procedura penale. In sostanza, vorremmo che fosse consentito al giudice del merito di applicare già l'affidamento in prova al servizio sociale. Nella pratica noi teniamo in piedi tanti procedimenti, con l'appello, con il ricorso per Cassazione, per arrivare poi all'ordine di carcerazione del sospeso e Pag. 22andare avanti al tribunale di sorveglianza per ottenere l'affidamento in prova al servizio.
  Oggi i giudici di merito hanno già rapporti con gli uffici per l'esecuzione penale esterna per la messa alla prova. Mi è stato risposto: «No, perché sono due giudici diversi, uno dei quali è specializzato». Allora lo stesso ragionamento dovrebbe valere anche per la messa alla prova.
  Ho portato l'esempio di Milano, quando eravamo seduti al tavolo. Oggi il tribunale di sorveglianza di Milano sta trattando gli ordini di carcerazione del 2016. Vuol dire che vi sono soggetti che hanno una sentenza passata in giudicato con ordine di carcerazione per pene superiori ai due anni, fino ai quattro anni, completamente liberi, senza alcun tipo di vincolo.
  Questa nostra proposta a cosa porterebbe? Innanzitutto a sgravare le Corti d'appello e la Cassazione di quei ricorsi tenuti in piedi artificiosamente, ma soprattutto a sgravare il tribunale di sorveglianza che si potrebbe occupare dei casi reali per i quali c'è da fare studi e quant'altro. Ci sono soggetti incensurati che hanno subito condanne sopra i due anni. Poi, le limitazioni oggettive e soggettive si possono trovare, ma è il principio che porterebbe sicuramente a una soluzione. Credo che il patteggiamento e l'affidamento in prova rappresentino una soluzione che sgraverebbe molto sia i tribunali, le corti d'appello e la Cassazione, sia i tribunali di sorveglianza. Questo tema è stato dimenticato.
  Sappiamo tutti, purtroppo, del peso del processo penale, dei ritardi e di quant'altro; però, troviamo delle soluzioni vere, delle soluzioni concrete, delle soluzioni praticabili! Bisogna incidere in maniera seria sull'udienza preliminare, sui riti alternativi. Il rito alternativo deve essere preliminare. Io ho fatto degli esempi sulle notificazioni, ma non facciamo problemi se la notifica avviene via posta elettronica certificata; non è questo il problema. Ma non mi puoi dire che io devo farmi rilasciare una seconda nomina per fare l'appello. La modifica che è stata introdotta, mallevandomi dalla responsabilità professionale, è stata proprio oggetto di un'obiezione che avevo rivolto al Ministro Bonafede. Non è solo una responsabilità di carattere deontologico, ma è anche una responsabilità di carattere morale.
  Se io non trovo più il cliente, la sentenza passa in giudicato. Il processo è unico: non sono due processi, primo grado e appello. Si tratta semplicemente di trovare uno strumento per limitare l'appello, ma soprattutto per le fasce più deboli, perché questo si verificherà non certo nel mio caso, dato che io mi occupo di «penale bianco», ma in quello dell'extracomunitario e del difensore d'ufficio diventato magari fiduciario in primo grado. Avremo sentenze passate in giudicato solo perché manca la nomina specifica per l'appello. La nomina è una, per il procedimento.
  Ho fatto quest'esempio perché è la questione più evidente. Non si può scaricare tutto sul difensore. Essendoci seduti a quel tavolo, so qual è il modo di ragionare su questo argomento sia dell'ufficio legislativo sia dello stesso Ministro. Non è perché si tratta di una fascia più debole, allora là devo comprimere un diritto di difesa. Noi siamo la patria del diritto. Questo è veramente un mezzo per togliersi il pensiero. Ma non è così.
  Noi siamo collaborativi, noi avevamo già mandato altri contributi. Vi ricordo l'ultima riunione che abbiamo fatto su questo disegno di legge – a luglio, se non ricordo male –, quando erano contrari la magistratura per la loro parte e l'Avvocatura per la nostra parte, a mandare ulteriori osservazioni. Le ultime nostre osservazioni erano datate 19 dicembre 2019, quando già le Camere penali per loro parte, il Consiglio nazionale forense per sua parte e l'Organismo per sua parte avevano sottoposto suggerimenti e temi di cui si poteva discutere; ma la discussione non c'è stata. La discussione è consistita nella presentazione di questo disegno di legge, che non ha minimamente tenuto in considerazione le nostre osservazioni; lasciamo stare le nostre, ma neanche quelle delle Camere penali. Non sono state minimamente prese in considerazione. Pag. 23
  Voi frequentate i tribunali come li frequento io. Non possiamo dimenticare quella che è la realtà. Ecco perché dico: «Consumo i gradini di palazzo piuttosto che la realtà dei codici». Da avvocato cosa chiedo al legislatore, quindi a voi? Norme più chiare, più certe, lasciando meno spazio alla discrezionalità. Noi siamo sempre scivolati sulla discrezionalità che viene lasciata ai magistrati nell'applicazione delle norme, perché c'è sempre la possibilità di una interpretazione diversa.
  Basta vedere, come tutti ben sappiamo, la Cassazione, dove troviamo tutto e il contrario di tutto. Questo non fa il bene della giustizia. Ci deve essere una giustizia certa, una giustizia rapida, ma soprattutto una giustizia «giusta». I mezzi ci sono, perché il nostro codice già li indica, e con alcuni correttivi si può arrivare ad accelerare il processo penale. Per esempio, il tanto bistrattato articolo 599-bis del codice di procedura penale è stato uno strumento che effettivamente ha risolto alcuni problemi. Ma i problemi sono a monte: ci sono problemi di natura economico-finanziaria, di carenza di personale di cancelleria, di carenza di magistrati.
  Per esempio – non riguarda il mio distretto – sappiamo che ad Alessandria (ne parlo perché ne ho esperienza diretta) hanno un carico di lavoro collegiale in tribunale, per cui i rinvii vanno di anno in anno. Questo non è accettabile, né come imputato né come persona offesa, perché poi i diritti sono della persona offesa e dell'imputato, fintanto che non si tratta di un condannato in maniera definitiva. Quindi, vi sono problemi di natura economico-finanziaria, carenze di strumenti, esigenze di accelerazione del processo. Divago un attimo, ma sono tutti argomenti che vi riguardano.
  Il giudice di pace è stato dimenticato. Il giudice di pace rappresenta il 40 per cento della giurisdizione in Italia. In questo dramma della pandemia e del lockdown, sono finiti. Allora ben vengano delle riforme che accelerino il processo penale, ma assolutamente senza compressione del diritto di difesa. Devono essere norme certe, di accelerazione del processo, ma sempre nel rispetto delle garanzie.
  Noi non siamo contrari a priori. Si è molto disquisito del fatto che noi siamo contrari al processo a distanza. Assolutamente no. Dipende però da un aspetto: di che cosa stiamo parlando. Stiamo a regole certe su cosa si può fare a distanza e cosa non si può fare a distanza. È chiaro che, se tu mi dici di fare il controesame di un «collaboratore di giustizia» che si trova presso una stazione di Polizia mentre io sono da un'altra parte, vi dico di no.
  Io ho vissuto in alcuni casi il processo a distanza di un detenuto sottoposto al regime dell'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario. Se lo vivi in aula, lo vivi in un certo modo, ma se lo vivi a fianco al detenuto presso un istituto penitenziario tu non vivi il processo; tu vivi quello che la telecamera inquadra, che sarà il presidente o il pubblico ministero o il difensore. Tutti noi sappiamo che in un'aula la visione non è solamente quella; è tutto il resto, è tutto il contorno, che incide moltissimo. E anche quel lievissimo sfalsamento di pochi secondi nel collegamento crea un problema, perché quando intervieni sei già fuori tempo, per un'opposizione o per qualunque cosa. Questi sono problemi veri, reali, concreti.
  Ribadisco che l'udienza preliminare deve diventare realmente tale, con una valutazione vera, seria, approfondita da parte del GUP di quelle che sono le risultanze, quindi ponendo a carico dello stesso una disanima degli elementi a disposizione ricavati da fonte autonoma, non semplicemente richiamandosi a quella che è stata la richiesta di rinvio a giudizio da parte del pubblico ministero. Il giudizio abbreviato deve essere realmente tale. Magari si devono allargare – e se ne è parlato – le condizioni per svolgere il giudizio abbreviato condizionato. Noi per primi ne siamo felici, ma così com'è impostato non ci convince.
  Prima ho presentato quella che è la nostra proposta: non se ne trova traccia nel disegno di legge. Questa è una cosa vera, reale, pratica, praticabile nell'immediato. Era favorevole anche l'Associazione nazionale magistrati (ANM) su questo. Non mi puoi rispondere con la distinzione formale tra il giudice specializzato e il giudice del merito, perché allora togliamo anche la Pag. 24messa alla prova che invece è stato un grande successo. Perché non farlo anche su questo?
  Io sono a vostra disposizione per qualunque cosa, non voglio rubare ulteriore tempo.

  PRESIDENTE. Grazie, avvocato. Onorevole Annibali, prego.

  LUCIA ANNIBALI. Noi abbiamo ascoltato sia l'Associazione nazionale magistrati, sia l'Avvocatura. E le posizioni dell'Avvocatura sono identiche a quelle dell'ANM che si è detta in generale abbastanza favorevole alla riforma, con alcune osservazioni. In particolare, ciò che contestano è naturalmente la previsione di sanzioni disciplinari che, mancando una sanzione sul piano processuale, appaiono una soluzione piuttosto debole. Avvocato Vaccaro, volevo chiederle se, secondo lei, prevedere sanzioni disciplinari possa essere un modo per incentivare la velocizzazione dei tempi e la responsabilizzazione dei pubblici ministeri durante le indagini.
  Vengo al contraddittorio, e in particolare al momento in cui cambia il giudice e il dibattimento non si rinnova. Le Camere penali sono critiche, perché sostengono che serve comunque un contraddittorio alla presenza del nuovo giudice, pur potendosi ritenere che già vi sia stato.
  Vorrei sapere se, anche secondo lei, secondo voi, questo è un aspetto che può essere sostenuto.
  Sul tema della prescrizione, sembra che non ci voglia tornare nessuno in questo momento, per quanto invece è stato un dibattito molto importante, molto vivace, che si è un po' spento, per diverse ragioni. Oggi il disegno di legge delega in esame propone un'ulteriore rivisitazione dell'istituto della prescrizione. Prima un collega, lo chiamo così, ha provato a spiegarci gli effetti in concreto, ma di questo ricalcolo dei tempi non ho capito quasi niente. Cosa ne pensate, e quale può essere a questo punto un possibile punto di caduta, una riforma accettabile, posto che dobbiamo comunque affrontare questo progetto? Sono tre le sollecitazioni che le rivolgo, avvocato Vaccaro; per il resto, le sue osservazioni e critiche sono tutte piuttosto chiare e univoche.

  PRESIDENTE. Grazie. Onorevole Paolini, prego.

  LUCA RODOLFO PAOLINI. Avvocato Vaccaro, avanzo un'unica osservazione che ho già proposto in precedenza. Naturalmente, la prima notifica all'imputato va fatta con tutti i crismi di legge, e via dicendo. Si potrebbe tuttavia bypassare l'ipotetica responsabilità del difensore, che non può farsi messo notificatore, specie nel caso di latitanti oppure del classico soggetto che dichiara di risiedere al campo rom di Napoli, e quindi vallo a trovare! Si potrebbe mettere a disposizione, insieme naturalmente alla posta elettronica certificata del difensore, che è la parte tecnica, anche una casella postale di cui si dà la password all'imputato in sede di prima notifica, dove, eventualmente, ad esempio in caso di assenza dal dibattimento, potrà trovare non soltanto i verbali, ma tutto quello che gli serve, anche da latitante, e addirittura, in ipotesi, anche i video del processo, laddove volesse averne piena contezza. Questo soggetto potrebbe accedere a tali informazioni autonomamente. Avvocato Vaccaro, ritiene ciò una soluzione fattibile e utile, oppure un'eccessiva complicazione? Glielo chiedo soltanto ai fini di una riflessione sull'argomento.

  PRESIDENTE. Prego, avvocato Vaccaro, la invito a replicare alle considerazioni svolte dei deputati intervenuti.

  ALESSANDRO VACCARO, tesoriere dell'Organismo congressuale forense. Parto dall'ultima sollecitazione, per rispondere successivamente all'onorevole Annibali. Su questo tema, noi abbiamo contestato il fatto che non si può fare una prima notifica, e poi da quel momento scaricare tutto sull'avvocato. Il problema della responsabilità disciplinare per me viene in secondo luogo, perché è chiaro che io farò tutto il possibile per raggiungere l'interessato. Non dimentichiamo però che l'avvocato ha mezzi di Pag. 25ricerca grandemente inferiori a quelli della magistratura e della Polizia giudiziaria. Io non posso utilizzare i medesimi mezzi a loro disposizione per rintracciare la persona, e francamente per questo non si può comprimere un diritto del soggetto.
  Vengo al suggerimento dell'onorevole Paolini di creare una sorta di casella. Bisogna innanzitutto vedere in che fase ci si trova e com'è il procedimento; non credo che sia facile digitalizzare l'intero fascicolo – a patto che non sia già digitalizzato – e metterlo in una casella. A disposizione di chi? Poi bisogna valutare le modalità di accesso, stabilendo chi può accedere al fascicolo, e come. E comunque ciò non risolve il problema della conoscenza del processo penale, perché non è sufficiente dire «deposito qui la documentazione», se non invio un avviso. Trovo la soluzione un po' complicata. Se ho capito male, le chiedo scusa.

  LUCA RODOLFO PAOLINI. Forse mi sono spiegato male. Al momento della prima notifica esiste un processo. Dunque, io comunico: questo è il tuo difensore, questa è la tua casella e questo è ciò che appare nella tua casella, come succede all'INPS; il meccanismo è lo stesso. Pertanto tu individualmente, in qualità di imputato, così come oggi puoi andare in cancelleria e chiedere copia degli atti – perché puoi farlo anche senza difensore –, avrai una password riservata. Il problema è se il soggetto la dà a Tizio, Caio e Sempronio, o la vende al giornalista. Ne ho parlato come ipotesi per evitare in nuce ogni possibile ulteriore onere a carico del difensore. Oppure, tutto sommato, l'onere di garanzia è già soddisfatto dal difensore: «questo è il tuo difensore, se vuoi lui sa tutto».

  ALESSANDRO VACCARO, tesoriere dell'Organismo congressuale forense. Non è solamente questo il problema. A parte che credo sia una complicanza anche di natura pratica creare la situazione, con la password, le modalità di accesso e quant'altro. Non si risolve il problema vero, vale a dire quello della reale conoscenza da parte dell'imputato di determinate informazioni. Non mi posso scaricare dall'onere dicendo: «Ho messo tutto nella casella, sono problemi tuoi».
  Il problema nasce se io non riesco più a rintracciare il soggetto, tant'è vero che mi si dice che devo farmi fare una nuova nomina per l'appello. Non è che io non conosco gli atti; è che non conosco il procedimento, che è cosa diversa, perché con il difensore gli atti arrivano.
  Rispondo all'onorevole e, se mi consente, avvocato Annibali. Chiedo scusa, ma tengo molto al titolo di avvocato. Per quanto riguarda la questione delle Camere penali, siamo assolutamente in linea con loro e la pensiamo esattamente nello stesso modo. Anzi, ultimamente c'è stato un grande avvicinamento tra l'Organismo congressuale forense e le Camere penali.
  Per quanto riguarda la sanzione disciplinare, io sono contrario a tutte le sanzioni disciplinari. Però, è chiaro che dovremmo ricercare un correttivo rispetto a certe criticità. Io capisco – ed è vero – ciò che è sempre stato detto da parte della magistratura: io, pubblico ministero che ho 2 mila fascicoli, cosa faccio? Scelgo? Però, anche in questo caso, parliamo della realtà. Sappiamo perfettamente che presso tutte le procure vi sono priorità che vengono stabilite in riunioni dal procuratore capo o da quello che è; quindi, ci si prenda anche questo tipo di «responsabilità». Un limite dobbiamo trovarlo. Non può venir fuori un processo a distanza di «x anni» quando poi diventa difficile soprattutto svolgere le difese.
  Sempre portando esempi personali, venerdì ho ottenuto un'assoluzione in Corte d'appello rispetto a una condanna a quattro anni, perché in primo grado ci si contestava un fatto accaduto cinque anni prima, e quindi era impossibile fornire la prova diabolica di non aver commesso quel fatto. Lasciamo stare la bancarotta o altri reati, per i quali ci sono i documenti. Parliamo di altri tipi di reati: un conto è intervenire nell'immediatezza, un conto a distanza di cinque anni. Potremmo stabilire per legge quali sono tali reati. Arriviamo poi al famoso discorso untouchable, vale a dire all'obbligatorietà dell'azione penale, perché Pag. 26poi alla fine cadi lì. Sappiamo tutti che si tratta di un tabù che non si può toccare, però prima o poi dovremmo affrontare il problema, perché di fatto esiste già una «non obbligatorietà» dell'azione penale che peraltro dal 1° gennaio 2020 viene aiutata dall'abolizione della prescrizione.
  Una volta bene o male avevi la tagliola della prescrizione, e quindi dovevi stare attento anche a quello. Vado a ripetere discorsi che abbiamo fatto quando si parlava della prescrizione: se prima avevo come deadline un primo grado, un appello e una Cassazione nel limite di sette anni e mezzo o otto anni, oggi ho il medesimo limite per un processo di primo grado, che è molto diverso ovviamente; e poi, una volta fatto il primo grado, vedremo cosa succede. Quindi anche su questo aspetto siamo assolutamente in linea con le Camere penali.
  Ripeto, se si vuole affrontare realmente il problema del processo penale, si pongono le questioni che tutti conosciamo: l'obbligatorietà dell'azione penale, l'approccio da parte del giudice. Io sono anziano, ho conosciuto il vecchio codice. Molto spesso lo rimpiango. C'era molta più separazione tra il giudice istruttore e il pubblico ministero rispetto a quella che c'è oggi tra GIP, GUP e pubblico ministero. E aveva una logica. Il giudice istruttore prendeva un fascicolo, lo studiava, si formava il suo convincimento. Oggi a un GIP, a un GUP – chiamiamolo come vogliamo – arriva un fascicolo già fatto, già completo. Quindi è normale che vi siano simili criticità.
  Proprio oggi leggevo di una recente sentenza della terza sezione della Cassazione secondo cui bisogna dare priorità alla consulenza del pubblico ministero rispetto a quella della difesa. A questo punto mi arrendo e cambio mestiere. Era scritto nero su bianco, e virgolettato. Francamente se con il nuovo codice il pubblico ministero è una parte processuale come lo sono io, allora il suo consulente dovrebbe essere pari al mio. Se arriva un perito mi inchino, ma a livello di consulenza siamo pari: non devo dare priorità alla consulenza del pubblico ministero, altrimenti ciò vuol dire fare non un passo indietro, ma tanti passi indietro.

  (Commenti fuori microfono del deputato Vitiello)

  ALESSANDRO VACCARO, tesoriere dell'Organismo congressuale forense. Ho detto prima che ho il coraggio di fare certe affermazioni perché vado nei palazzi di giustizia. Se facciamo finta che non accada ciò che realmente accade nei palazzi di giustizia, allora non risolviamo alcunché. Continuiamo a fare tante belle chiacchiere, e ci troveremo sempre nelle stesse condizioni, fin tanto che ci si limiterà a dire che la difesa è una parte processuale pari al pubblico ministero. E continuiamo a dirlo, ma non è cambiato niente, anche se il PM è sceso dallo scranno elevato e si è seduto a fianco a me. Non è cambiato assolutamente niente, e chi frequenta le aule di tribunale lo sa. E la sentenza della Cassazione non fa che certificare determinate situazioni. Spero di non aver superato i limiti della decenza, facendo troppo l'avvocato. Ma sono abituato a dire ciò che penso.

  PRESIDENTE. Assolutamente no, avvocato Vaccaro; anzi noi la ringraziamo per il suo intervento. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 17.20.

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