XVIII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Mercoledì 5 dicembre 2018

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Sarti Giulia , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLO SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO RECANTE CODICE DELLA CRISI DI IMPRESA E DELL'INSOLVENZA (Atto del Governo n. 53)

Audizione di rappresentanti
di Confindustria.

Sarti Giulia , Presidente ... 3 
Matonti Antonio , Direttore dell'Area Affari Legislativi di Confindustria ... 3 
Sarti Giulia , Presidente ... 7 
Bazoli Alfredo (PD)  ... 7 
Sarti Giulia , Presidente ... 7 
Matonti Antonio , Direttore Area Affari Legislativi ... 7 
Sarti Giulia , Presidente ... 9 

Audizione di Roberto Rosapepe, professore di diritto commerciale presso l'Università degli Studi di Salerno e Vincenzo Ruggiero, professore di diritto fallimentare presso l'Università della Tuscia:
Sarti Giulia , Presidente ... 9 
Rosapepe Roberto , professore di diritto commerciale presso l'Università degli Studi di Salerno ... 9 
Ruggiero Vincenzo , professore di diritto fallimentare presso l'Università della Tuscia ... 14 
Marchetti Riccardo Augusto , Presidente ... 19 
Vazio Franco (PD)  ... 19 
Ruggiero Vincenzo , professore di diritto fallimentare presso l'Università della Tuscia ... 20 
Vazio Franco (PD)  ... 20 
Ruggiero Vincenzo , professore di diritto fallimentare presso l'Università della Tuscia ... 20 
Perantoni Mario (M5S)  ... 21 
Rosapepe Roberto , professore di diritto commerciale presso l'Università degli Studi di Salerno ... 21 
Ruggiero Vincenzo , professore di diritto fallimentare presso l'Università della Tuscia ... 22 
Marchetti Riccardo Augusto , Presidente ... 22 

ALLEGATO: Documentazione depositata dal professor Rosapepe ... 23

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero-Sogno Italia: Misto-MAIE-SI;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIULIA SARTI

  La seduta comincia alle 14.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti
di Confindustria.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame dello schema di decreto legislativo recante codice della crisi di impresa e dell'insolvenza (Atto del Governo n. 53), di rappresentanti di Confindustria.
  È presente Antonio Matonti, Direttore dell'Area Affari Legislativi di Confindustria, che è accompagnato da Annarita Sofia, Area Affari Legislativi e da Chiara Papaduli, Area Rapporti Istituzionali.
  Do, quindi, la parola al dottor Matonti.

  ANTONIO MATONTI, Direttore dell'Area Affari Legislativi di Confindustria. Grazie, presidente e onorevoli deputati, dell'invito a questa audizione, che ci consente di condividere con voi alcune riflessioni su questa importante riforma, che interviene su uno snodo cruciale della regolazione economica, motivo per il quale l'abbiamo seguita con attenzione fin dall'inizio, prendendo parte, tra le altre cose, ai lavori di entrambe le Commissioni ministeriali a essa dedicate.
  La nostra valutazione d'insieme sul nuovo codice della crisi e dell'insolvenza è positiva per almeno due ordini di ragioni. Il primo è che la disciplina fallimentare italiana appare oggi disorganica e datata, se solo pensiamo che il suo impianto di fondo risale al 1942. Il secondo attiene al fatto che, proprio per via delle ripetute modifiche subìte nel corso del tempo e nonostante alcuni recenti correttivi, essa risente di un'impostazione che appare poco attenta alle ragioni della tutela del credito e della leale concorrenza.
  Infatti, nel costante e necessario bilanciamento tra i valori della continuità delle imprese in crisi e della tutela dei creditori, il legislatore ha spesso privilegiato, negli ultimi quindici anni, i primi, ovverosia quelli della tutela della continuità delle imprese in crisi. Ciò ha provocato distorsioni significative, specie in concomitanza con la crisi economica.
  In questo contesto la riforma fa registrare due novità di non poco momento: marginalizza lo strumento del concordato liquidatorio e introduce meccanismi che dovrebbero facilitare l'emersione anticipata della crisi, come le procedure di allerta. Quest'ultimo delle procedure di allerta è un aspetto particolarmente delicato. Confindustria non le ha osteggiate in via di principio, tutt'altro, ma ha sempre richiamato la doverosa attenzione sui punti di caduta da individuare poi a livello normativo.
  Questo per due ordini di ragioni: da un lato, la struttura del nostro tessuto produttivo, fatta in prevalenza da piccole e medie imprese e su cui un'allerta dai caratteri inquisitori (perdonatemi questo termine) potrebbe avere effetti molto pesanti; dall'altro, Pag. 4 la necessità di evitare i cosiddetti «falsi positivi», inducendo la crisi d'impresa quando essa non c'è e confondendo criticità transitorie con situazioni di insolvenza probabile o attuale.
  Anche per questo apprezziamo la scelta di accompagnare la riforma con una vacatio legis di diciotto mesi, che dovrà essere utilizzata per calibrare con attenzione sia gli indicatori della crisi sia i presupposti per l'attivazione dei creditori pubblici cosiddetti «qualificati». Inoltre, un adeguato periodo transitorio è essenziale per le esigenze di adattamento degli operatori economici, chiamati, tra le altre cose, ad adeguare i propri assetti organizzativi alle nuove norme, nonché per assicurare un chiaro coordinamento tra la disciplina fallimentare e quella in tema di contratti pubblici, tema, questo, particolarmente controverso.
  In questo senso, segnalo che è molto utile l'avvio del dibattito sulla proposta di legge, a firma dei senatori Patuanelli e Romeo, che delega il Governo, con ciò colmando una lacuna della legge delega, ad adottare i decreti correttivi entro due anni dall'entrata in vigore della riforma.
  Considerata la ristrettezza dei tempi, mi limito a qualche battuta ulteriore su alcuni dei contenuti della riforma di nostro prioritario interesse, vale a dire le procedure di allerta, il concordato preventivo e l'ampliamento dei casi di nomina obbligatoria dell'organo di controllo interno delle società a responsabilità limitata.
  Parto dalle procedure di allerta. Tra i profili di maggiore delicatezza vi sono, senz'altro, gli indici, che fanno ragionevolmente presumere la sussistenza di uno stato di crisi dell'impresa. A tale scopo, lo schema di decreto legislativo qualifica come significativi i rapporti tra flusso di cassa e attivo, patrimonio netto e passivo, oneri finanziari e ricavi. Questi indici sono contenuti nel comma 1 dell'articolo 13.
  Questi rapporti sono funzionali all'emersione tempestiva della crisi e a qualificare come tale l'iniziativa del debitore ai fini delle cosiddette «misure premiali», che peraltro andrebbero, a nostro giudizio, rafforzate.
  Dal nostro punto di vista, questi indici necessitano di alcuni correttivi puntuali proprio per minimizzare il rischio, già richiamato, dei cosiddetti «falsi positivi». In particolare, occorrerebbe più propriamente far riferimento al confronto tra l'indebitamento finanziario con i flussi di cassa che l'impresa è in grado di generare, gli oneri finanziari con la marginalità dell'impresa e i mezzi propri con quelli di terzi. Sul punto aderiamo e condividiamo le osservazioni che sono state formulate, credo anche in questa sede, dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili.
  Altrettanto delicato, se non di più, è il ruolo attribuito ai cosiddetti «creditori pubblici qualificati», vale a dire Agenzia delle entrate, INPS e agente della riscossione, chiamati ad attivarsi a fronte di esposizioni debitorie di importo più o meno rilevante.
  In proposito, lo schema di decreto legislativo ha fatto registrare un importante passo in avanti, a nostro giudizio, rispetto alle prime ipotesi di lavoro, ritoccando al rialzo le soglie di rilevanza e, in alcuni casi, parametrandole al volume d'affari dell'impresa. Pertanto, sottolineiamo la necessità non solo di salvaguardare questa impostazione, ma di effettuare, durante il periodo di vacatio legis, ulteriori verifiche e simulazioni in ordine a queste soglie, anche avvalendosi del confronto con le categorie economiche interessate e del supporto di stime ed elaborazioni dedicate.
  Segnalo che la maggior parte delle elaborazioni quantitative che sono state effettuate nelle settimane e nei mesi che hanno preceduto l'adozione dello schema di decreto legislativo riguarda gli indicatori considerati all'articolo 13, ossia quelli che poi dovranno essere alla base del lavoro che sarà svolto dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti, e non le soglie di rilevanza considerate, invece, dall'articolo 15 per i creditori pubblici qualificati.
  Allo stesso modo riteniamo – è un aspetto ulteriore – che debba essere salvaguardato il meccanismo di sterilizzazione della segnalazione a fronte di crediti che, invece, l'impresa in crisi vanti verso pubbliche amministrazioni. Si tratta di un aspetto, questo, determinante ai fini della tenuta complessiva Pag. 5 del sistema, poiché punta a evitare ulteriori conseguenze pregiudizievoli derivanti dal noto ed endemico fenomeno dei ritardati pagamenti della pubblica amministrazione.
  Per assicurarne il corretto funzionamento, sarebbe opportuno specificare che questo meccanismo opera non solo attraverso la certificazione dei crediti rilasciata dalla piattaforma gestita dal Ministero dell'economia e delle finanze, ma anche attraverso altre piattaforme istituite a livello regionale che ugualmente attestino l'esistenza di crediti certi liquidi ed esigibili da parte delle imprese verso le pubbliche amministrazioni. Questo, evidentemente, per evitare di escludere crediti comunque esistenti e, come dicevo, certificati.
  Passando, invece, al tema della nomina obbligatoria degli organi di controllo interno delle società a responsabilità limitata, questo è un tema, come è noto, per noi particolarmente controverso. Il ruolo attribuito ai creditori pubblici qualificati in seno alle procedure di allerta rende, infatti, dal nostro punto di vista, piuttosto discutibile questa previsione, che però era già contenuta nella delega, che, come sapete, estende l'obbligo di nomina degli organi di controllo interno nelle società a responsabilità limitata al superamento di uno dei tre seguenti limiti quantitativi: attivo patrimoniale di 2 milioni di euro; ricavi di 2 milioni di euro; dipendenti occupati in media pari a dieci unità.
  Premesso che si tratta, a nostro giudizio, di valori troppo contenuti e che rischiano di gravare le piccole e medie imprese di oneri non proporzionati, per riportare in equilibrio l'assetto delineato dalla riforma occorrerebbe eliminare la soglia dei dieci dipendenti o, in alternativa, prevedere un criterio cumulativo per cui l'obbligo di nomina scatti al superamento di almeno due delle tre soglie contemplate, come peraltro è già previsto oggi nel combinato disposto degli articoli 2435-bis e 2477 del codice civile.
  Inoltre, considerato il periodo transitorio di diciotto mesi, occorre ampliare lo stretto termine, ovverosia trenta giorni dall'entrata in vigore del decreto legislativo previsto per l'adeguamento all'obbligo di nomina dell'organo di controllo interno da parte delle piccole società a responsabilità limitata, termine, questo, che andrebbe spostato almeno al 1 gennaio 2020, salvaguardando comunque in questo caso l'entrata in vigore della norma sull'ampliamento dei casi di nomina obbligatoria nelle società a responsabilità limitata, la differenziazione tra l'entrata in vigore di questa misura e l'entrata a pieno regime delle procedure di allerta, differenziazione che, evidentemente, è ritenuta importante per far sì che anche queste imprese siano pronte alla piena efficacia delle misure di allerta.
  Infine, l'ultimo tema che vorrei affrontare con voi è quello del concordato preventivo. La riforma fa del concordato con continuità aziendale la modalità «ordinaria» di utilizzo dello strumento, ma occorre prestare attenzione ad alcune discussioni emerse nella prassi applicativa a danno dei creditori commerciali anche in questa tipologia di concordati, ad esempio la consecuzione a breve distanza di tempo tra concordato e fallimento. Dunque, occorre, a nostro giudizio, anche rispetto ai concordati con continuità, prevedere dei presìdi rigorosi, come è stato fatto e come la riforma opportunamente ha confermato rispetto ai concordati liquidatori.
  In proposito, vorrei evidenziare che, ai fini della continuità indiretta, che ricomprende anche i contratti di affitto d'azienda stipulati prima della presentazione del ricorso, la riforma richiede il mantenimento o la riassunzione di lavoratori pari ad almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso e per i successivi due anni.
  Si è, dunque, optato per un criterio occupazionale come presidio in ordine alla garanzia di serietà del cosiddetto «concordato in continuità indiretta», criterio occupazionale che può rappresentare una soluzione utile, ma che va evidentemente contemperato anche con l'esigenza di evitare di disincentivare l'intervento di imprese subentranti, senza peraltro ottenere l'effetto di contrastare davvero gli abusi dello strumento concordatario. Pag. 6
  Allora, per realizzare questo contemperamento, occorrerebbe prevedere l'operatività del criterio occupazionale non già per tutti i contratti di affitto antecedenti, quindi conclusi in data anteriore al deposito del ricorso, ma soltanto per quelli stipulati in un arco temporale di riferimento congruo, ovvero non superiore, a nostro giudizio, a sei mesi, e ridurre la durata del vincolo dai due successivi anni a un anno.
  Inoltre, per quanto concerne il concordato misto, ossia quel concordato che ha, come quasi tutti i concordati, una natura in parte di continuità e in parte liquidatoria, lo schema di decreto legislativo richiede di soddisfare i creditori ai fini dell'ammissibilità di queste figure o, meglio, ai fini dell'applicabilità a queste figure della disciplina con concordato in continuità e richiede che queste proposte di concordato soddisfino i creditori in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità. Questa prevalenza, sempre stando allo schema di decreto legislativo, è considerata sempre sussistente quando i ricavi attesi per i primi due anni derivino da un'attività a cui sono addetti almeno la metà dei lavoratori impiegati al momento del deposito del ricorso.
  La ratio di questa previsione è evidentemente condivisibile, ma a nostro giudizio la norma andrebbe meglio circoscritta. In particolare, si dovrebbe optare non già per una presunzione assoluta, come sembrerebbe deporre la lettura dell'articolo 84, comma 3, ma per una presunzione relativa, affidando al giudice il compito di valutare il requisito occupazionale insieme ad altri profili quantitativi essi stessi o qualitativo-funzionali, che pure possono essere rilevanti.
  Sempre in tema di presìdi utili a contrastare condotte opportunistiche, voglio dire con chiarezza che lo schema di decreto legislativo conferma i recenti interventi normativi volti a rafforzare i criteri di calcolo delle maggioranze per l'approvazione delle proposte concordatarie. Tra questi presìdi che vengono confermati c'è l'eliminazione del silenzio-assenso, che, in un sistema di voto in cui il voto, per l'appunto, è calcolato per crediti e non per teste, indeboliva molto la posizione dei creditori commerciali, evidentemente a vantaggio del ceto bancario.
  Si tratta di una innovazione, a nostro giudizio, importante, che la riforma opportunamente conserva e che noi riteniamo prioritario salvaguardare. Con ciò, evidentemente, non aderiamo a posizioni che pure ci risultano essere state espresse in questa sede.
  Infine, per quanto concerne l'esecuzione del concordato in continuità, con l'allargamento delle maglie regolamentari, essa diviene ancora di più una fase cruciale e dovrebbe essere, più di quanto non è accaduto fino ad oggi, efficacemente presidiata.
  A tale proposito, lo schema di decreto legislativo si limita ad attribuire ai creditori che hanno presentato una proposta concorrente di concordato la legittimazione a denunciare ritardi od omissioni del debitore mediante ricorso al tribunale. Questa legittimazione andrebbe, in realtà, a nostro giudizio, riconosciuta non solo ai creditori che hanno presentato la proposta concorrente, ma a tutti i creditori.
  Inoltre, ai fini della risoluzione del concordato, la riforma prevede che l'inadempimento del debitore sia di non scarsa importanza. Le ragioni di fondo di questa norma sono chiare, ma sempre per contenere i rischi di condotte abusive si potrebbe circostanziare meglio questo criterio, ad esempio facendo riferimento al mancato rispetto della maggior parte delle scadenze stabilite nel piano o nella proposta, o al mancato pagamento di una certa soglia di importi dovuti, sempre sulla base del piano o della proposta, ai creditori. Questo perché le attenzioni del legislatore, ma anche dei tribunali solitamente si concentrano sulla fase di gestazione della proposta e poi di ammissione del concordato e concretizzazione della proposta concordataria, mentre la tensione un po’ si allenta quando si passa dall'avvio della procedura all'esecuzione della stessa. Tant'è vero che molte procedure di concordato in continuità finiscono per non andare in porto e risolversi attualmente in procedure fallimentari, quelle che con la riforma saranno Pag. 7chiamate procedure di liquidazione giudiziale.
  Vi ringrazio per l'attenzione. Resto, ovviamente, a disposizione per eventuali domande.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola ai colleghi che intendo intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ALFREDO BAZOLI. Ringrazio l'avvocato Matonti, che non è la prima volta che ascoltiamo su questi temi, ma potrebbe essere l'ultima sul tema della riforma fallimentare.
  Ho gradito il suo apprezzamento generale per la riforma che è stata fatta, che peraltro già conoscevamo per averne già parlato anche nella scorsa legislatura.
  Rispetto alle questioni che sono state sollevate, so bene qual è la questione che riguarda l'estensione e l'obbligo per i sindaci nel caso delle società a responsabilità limitata. Noi abbiamo il vincolo della legge delega, che credo sia un vincolo difficilmente superabile. Comunque, mi pare di poter dire che l'innalzamento delle soglie per la segnalazione dei creditori qualificati in qualche modo possa in parte compensare questa estensione, che voi ritenete eccessiva, dell'obbligo di un collegio sindacale o, comunque, di un revisore nelle società a responsabilità limitata. Ad ogni modo, questo probabilmente sarà oggetto anche di valutazione da parte del ministero.
  Vorrei porle due domande su altre due questioni. La prima è relativa al concordato preventivo, questione che anche voi avete sottolineato, ossia quella presunzione assoluta che riguarda il concordato in continuità per cui la prevalenza dei ricavi derivanti dall'attività si considera in maniera assoluta nel caso in cui i ricavi derivino da un'attività alla quale sono addetti almeno la metà dei lavoratori in forza al momento del deposito del ricorso.
  Una delle proposte che è stata avanzata da altri auditi che hanno svolto ieri la loro relazione è di trasformare questa presunzione assoluta in una delle condizioni che devono essere presenti per garantire il soddisfacimento di questo criterio della prevalenza. A vostro giudizio, questa potrebbe essere un'ipotesi? Oppure, ritenete opportuno, ridurre la percentuale di lavoratori o trasformarla in altro modo? Questa è la prima domanda.
  La seconda domanda riguarda una sollecitazione che ci è stata sottoposta dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, i quali, facendo una prognosi numerica delle procedure di allerta che potrebbero arrivare con l'entrata in vigore del decreto legislativo e anche del fabbisogno di professionisti che devono assistere le imprese in queste procedure di allerta, ipotizzavano l'opportunità di far entrare in vigore la procedura di allerta per le imprese minori, quindi quelle sotto i 5-6 milioni di fatturato, un po’ più tardi rispetto a tutte le altre imprese interessate.
  Quindi, per quella parte che riguarda le imprese di dimensione più ridotta, che probabilmente sono anche quelle più in difficoltà nell'adottare assetti organizzativi idonei a garantire il rispetto di queste procedure di allerta, ma anche per garantire una progressività dell'entrata in vigore del decreto legislativo legge, loro ipotizzavano che si facesse questa distinzione con una entrata in vigore successiva della legge per queste imprese più piccole. Su questo, voi che posizioni avete?

  PRESIDENTE. Cedo la parola all'avvocato Matonti per la replica.

  ANTONIO MATONTI, Direttore Area Affari Legislativi. Ringrazio l'onorevole Bazoli.
  Parto dal tema dell'obbligo di nomina e dai vincoli, che lei correttamente richiamava, della legge delega. Questi vincoli esistono, ma sono già stati forzati dal Governo. Ricordo, infatti, che l'articolo 14, comma 1, lettera i), della legge delega n. 155 del 2017 prevedeva che il superamento di quei limiti di carattere quantitativo dovesse essere registrato per due esercizi affinché si entrasse nell'obbligo di nomina e dovesse, invece, mancare per tre esercizi affinché si uscisse dall'obbligo di nomina. In maniera Pag. 8opportuna, dal nostro punto di vista, se non altro per ragioni di simmetria, lo schema di decreto legislativo ha previsto un vincolo di due anni, ossia di due esercizi, sia per entrare che per uscire dall'obbligo di nomina.
  Nel momento in cui chiediamo non di stravolgere, come pure sarebbe opportuno fare, innalzando quei criteri quantitativi, che in alcuni casi sono veramente troppo bassi, ma quanto meno di compiere una valutazione congiunta di due su tre, invece che uno su tre, ci pare di chiedere qualcosa di assolutamente ragionevole.
  Contestualmente (qui mi collego alla sua seconda domanda) occorre indubbiamente porre attenzione sul tema della decorrenza di quest'obbligo, anche qui per un'esigenza di proporzionalità e anche di consenso nei confronti di questo esercizio di riforma, tema al quale tengo molto, considerato che in questi anni vi posso assicurare che abbiamo fatto un grande lavoro per cercare di convincere i nostri imprenditori e le nostre imprese della bontà di questo esercizio di riforma.
  Vi assicuro che nel nostro sistema associativo i mal di pancia sono ancora forti e diffusi, ma con senso di responsabilità abbiamo cercato di far capire che non si può con una mano denunciare il fenomeno dei cosiddetti «concordati abusivi» e con l'altra mano opporsi a misure che tentano, in maniera giusta o sbagliata (sarà la storia a dircelo), di anticipare l'emersione dalla crisi, perché i concordati abusivi sono il frutto, oltre che di comportamenti sbagliati, di controlli che mancano, di professionisti accondiscendenti, di giudici distratti. Del resto le responsabilità sono diffuse e partono dagli imprenditori, e sono anche il frutto del fatto, che non nascondiamo, che in Italia, per mille ragioni, la crisi emerge troppo tardi.
  Allora, nel tentativo di tenere alto il livello di consenso o, forse meglio, di abbassare il livello di dissenso rispetto a questa riforma, un segnale di attenzione anche rispetto al tema della decorrenza dell'obbligo di nomina dei sindaci nelle società a responsabilità limitata – ricordo che tale obbligo è stato eliminato qualche anno fa, e il motivo per cui è stato eliminato dovrebbe far riflettere, nel senso che evidentemente se quel presidio fosse stato ben funzionante all'epoca non sarebbe stato eliminato e probabilmente se fosse stato ben funzionante non staremmo qui a discutere di procedura di allerta, ma questa è una piccola polemica che apro e chiudo, che chiederei idealmente, se fosse possibile, di tenere da parte – sarebbe quello di lavorare sulla decorrenza o individuando un termine intermedio tra l'entrata in vigore del decreto legislativo e i diciotto mesi (saremmo assolutamente favorevoli alla proposta avanzata dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti) oppure, laddove si decidesse di spostare in avanti, rispetto ai diciotto mesi, l'entrata in vigore dell'allerta per le società di minori dimensioni, eventualmente riparametrando anche la decorrenza dell'obbligo di nomina dei sindaci, a quel punto non al 1° gennaio 2020, ma magari a diciotto mesi. Quindi, rispetto a questa proposta del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili saremmo assolutamente favorevoli.
  Per quanto riguarda, invece, il tema dell'articolo 84 e della presunzione assoluta, comprendo il senso della proposta, avanzata da alcuni autorevolissimi magistrati, di trasformare la presunzione assoluta del comma 3 di tale articolo in una condizione, ma non so se questa sia una soluzione, dal momento che forse ingessa un pochino il meccanismo. Tuttavia, credo che essa abbia un elemento di assonanza rispetto a quello che prima ho cercato di evidenziare, vale a dire l'esigenza di non ancorare la valutazione sulla prevalenza e, quindi, sul fatto che quel concordato sia un concordato in continuità esclusivamente rispetto al profilo occupazionale.
  Il profilo occupazionale è, ovviamente, un profilo di per sé meritevole, ma rispetto ai fini che qui ci occupano, che sono quelli, ai fini del comma 2, di valutare se un concordato in continuità indiretta è meritevole di essere considerato tale e, ai fini del comma 3, di valutare se in presenza di una natura mista liquidatoria e in continuità a quel concordato si possa applicare la disciplina del concordato in continuità, è Pag. 9un presidio forse non del tutto coerente rispetto alle esigenze di fondo.
  Quindi, per questo motivo, siccome la riforma amplia le prerogative del giudice, il quale sarà chiamato opportunamente a valutare (sappiamo che su questo ci sono posizioni molto contrastanti) non più soltanto l'aspetto formale della fattibilità giuridica, ma anche quello sostanziale della fattibilità economica del piano e della proposta, a nostro giudizio sarebbe più logico che l'ultima parola sulla prevalenza ce l'avesse il giudice e che, quindi, quella presunzione da assoluta si trasformasse in relativa. Trasformarla in una condizione significa dire che indubbiamente deve esserci questo presupposto e che poi il giudice ne valuta altri. È una sfumatura, ma sicuramente ingessa un po’ di più il meccanismo rispetto a quello che proponiamo noi.
  Consentitemi, infine, di esprimere una considerazione, attinente a una questione di cui discutevo prima con la presidente, anche alla luce di alcune precedenti audizioni che avete avuto con altri soggetti. Le simulazioni quantitative che sono state compiute riguardano prevalentemente gli indicatori di cui all'articolo 13, ma nessuno si è ancora cimentato, almeno da quello che ci risulta, con risultati congruenti rispetto alle soglie previste dall'articolo 15, vale a dire la norma relativa alle segnalazioni ai creditori pubblici, ragion per cui noi, come ho cercato di evidenziare quest'oggi, saremmo assolutamente contrari rispetto a ipotesi di revisioni al ribasso di quelle soglie.
  Vi cito soltanto alcuni numeri, che sottolineo non hanno alcun crisma di ufficialità. Probabilmente, se fossero qui presenti i miei colleghi del centro studi, mi impedirebbero di segnalarli, dal momento che si tratta di una valutazione assolutamente spannometrica. Ebbene, questa estate abbiamo provato a compiere alcune simulazioni sulla base delle prime ipotesi di lavoro, quindi delle soglie che erano state individuate dalla seconda Commissione Rordorf, e vi assicuro che con quelle soglie sarebbero finite in segnalazione svariate decine di migliaia di imprese (ci avviciniamo ai cinque zeri, piuttosto che ai quattro). Quindi, se questo esercizio ha una qualche speranza di riuscire, è essenziale che, soprattutto in una fase di start up, sia non dico limitato a un numero ristretto, ma sicuramente a un numero gestibile di situazioni, anche perché c'è tutta un'infrastruttura operativa, prima ancora che giuridica, che andrà resa efficace.

  PRESIDENTE. La ringrazio, avvocato Matonti.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di Roberto Rosapepe, professore di diritto commerciale presso l'Università degli Studi di Salerno, e Vincenzo Ruggiero, professore di diritto fallimentare presso l'Università della Tuscia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame dello schema di decreto legislativo recante codice della crisi di impresa e dell'insolvenza (atto del Governo n. 53), l'audizione di Roberto Rosapepe, professore di diritto commerciale presso l'Università degli Studi di Salerno, e di Vincenzo Ruggiero, professore di diritto fallimentare presso l'Università della Tuscia.
  Darei la parola prima al professor Rosapepe per lo svolgimento della sua relazione. Le domande dei commissari saranno poste al termine della relazione del professor Ruggiero.

  ROBERTO ROSAPEPE, professore di diritto commerciale presso l'Università degli Studi di Salerno. Grazie, presidente. Volevo innanzitutto ringraziare la presidente e la Commissione per l'invito a partecipare all'audizione.
  Vorrei fare una breve introduzione di carattere sistematico, una valutazione di carattere generale sulla riforma, che è una riforma di grande rilevanza, in quanto interviene in maniera organica su una legge che avevamo dal 1942, sia pure ampiamente modificata a partire soprattutto dal 2005. Pag. 10
  Questa inversione sistematica della legge contenuta nel codice della crisi consiste nel fatto che il legislatore prende atto – non è peraltro la prima volta, in quanto già nelle riforme nel 2005 ed anche nelle norme sul sovraindebitamento si coglieva questa presa d'atto del nostro legislatore, sulla scia anche di input che venivano da organismi internazionali quali lo United Nations Commission on International Trade Law (UNCITRAL), dalla raccomandazione della Comunità europea del 2014 e dalla proposta di direttiva del 2016 – del fatto che la crisi rientra sostanzialmente nell'ambito del ciclo vitale dell'impresa, che è uno degli episodi che si possono molto frequentemente incontrare sul cammino dell'imprenditore e che l'imprenditore deve essere possibilmente attrezzato per affrontarla e superarla.
  In quest'ottica, prima ancora di arrivare a quella che oggi chiamiamo liquidazione giudiziale e potremmo ancora chiamare con il vecchio termine fallimento, bisogna cercare di aiutare l'imprenditore a superare la crisi.
  L'impostazione sistematica della legge è giustamente in questo senso, perché i sistemi di risoluzione della crisi vengono opportunamente trattati prima della liquidazione giudiziale con una inversione di carattere sistematico rispetto alla legge fallimentare che va sottolineata, perché nella legge fallimentare, come è noto, il concordato preventivo e quella che c'era una volta, l'amministrazione controllata, erano procedure concorsuali minori, alle quali il legislatore dedicava un'attenzione residuale.
  Questa inversione di carattere sistematico però (qui sono in disaccordo con l'intervento che mi ha preceduto del rappresentante di Confindustria) si accompagna a ben vedere con una normazione relativa alla principale procedura diretta al superamento della crisi, cioè al concordato preventivo, che in realtà è una normazione che si caratterizza (qualcuno ha parlato di controriforma) per una serie di misure volte a reprimere gli abusi dell'istituto concordatario che vi sono stati negli anni, ma che finiscono per irrigidire l'istituto del concordato e renderlo meno utilizzabile.
  Questo, a mio avviso, rende meno coerente l'impianto complessivo della riforma. Devo anche dire che su questo punto non credo che vi sia molto da fare, perché le misure che sono state introdotte nel concordato preventivo sono previste in gran parte nella legge delega, quindi da questo punto di vista l'attuazione della delega non poteva che avvenire in questo modo.
  Devo salutare con grande favore la previsione contenuta nell'articolo 14 dello schema di decreto legislativo, che pone a carico dell'organo di controllo dell'impresa collettiva l'obbligo di verificare che l'organo amministrativo valuti costantemente, assumendo conseguenti idonee iniziative, se l'assetto organizzativo dell'impresa sia adeguato, se sussista l'equilibrio economico e finanziario e quale sia il prevedibile andamento della gestione, nonché di segnalare immediatamente allo stesso organo amministrativo l'esistenza di fondati indizi della crisi.
  Questa è una previsione di grande importanza, che si accompagna alla modifica dell'articolo 2086 del codice civile, che contiene quella norma che sostanzialmente generalizza, se così possiamo dire, la previsione contenuta nell'articolo 2381 in tema di società per azioni, in ordine all'obbligo per l'imprenditore di valutare l'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile dell'impresa, e che in sostanza attribuisce al collegio sindacale un ruolo, che, per la verità, già da tempo molti avevano sottolineato dovesse essere più attivo nell'esercizio del controllo, ruolo direi proattivo del collegio sindacale che (anche su questo punto mi vedo in disaccordo con Confindustria) impone che questo organo di controllo sia presente in tutte le imprese.
  Se si vogliono ridurre le soglie oggi previste nel testo di riforma nell'articolo 2477 per l'obbligatorietà del collegio sindacale, si faccia pure, ma si tenga conto che la S.r.l. tra i modelli societari è il più diffuso tipo di società che abbiamo nel nostro Paese e che quindi, se si incide su questo punto, si finisce per svilire la funzione di controllo alla quale il legislatore Pag. 11attribuisce particolare rilievo, perché nell'articolo 14 attribuisce all'organo di controllo questa funzione ed è in virtù di questa funzione che l'organo di controllo è chiamato ad eseguire la segnalazione cosiddetta «interna», che si inserisce nell'ambito delle procedure di allerta.
  Condivido invece i timori del rappresentante di Confindustria in ordine all'articolo 15 e alle segnalazioni dei creditori pubblici qualificati. Ho letto soltanto un'indagine del Cerved relativa agli indici dell'articolo 13, non a quelli dell'articolo 15, quindi non saprei dire quale impatto avranno sul tessuto economico queste soglie che sono indicate, si dice ora innalzate, rispetto a previsioni precedenti.
  Mi permetto di dire che ho cercato di fare un'interrogazione empirica di consulenti amici e meno amici che frequento ed ho registrato francamente solo un allarme elevatissimo. Questo è un tema che nei diciotto mesi di vacatio legis dovrà essere assolutamente monitorato, nella normativa c'è già una disposizione che prevede la possibilità di modificare questi indici, ma forse nel corso della vacatio legis bisognerà ritornare su questo tema e vedere se sia possibile rimodellare la normativa in maniera possibilmente più elastica e meno rigida.
  Questo è un punto centrale della riforma, perché la portata veramente innovativa di questo testo normativo si gioca tutta sulla scommessa del funzionamento degli istituti dell'allerta e delle misure di prevenzione, che sono istituti che attendevamo da tempo. Ricordo che già la Commissione Trevisanato aveva cercato di introdurle senza raggiungere opinione unanime, anzi prevedendo un testo bifronte con parere della maggioranza e della minoranza.
  Francamente oggi il mio giudizio sul testo attuale è molto più positivo, d'altra parte tanti anni non sono passati invano, ma questi due aspetti, cioè quelli contenuti nell'articolo 13 e nell'articolo 15, sono aspetti centrali sui quali bisognerà fermarsi con maggiore attenzione, sulla base dei dati empirici che andranno raccolti con assoluta necessità.
  Detto questo, mi permetterei di dare qualche indicazione di carattere più specifico in ordine ad alcune previsioni della normativa. I commentatori più o meno ritengono che questa normativa sia un po’ macchinosa, ma invero questa macchinosità deriva dalla legge delega, perché già la legge delega era molto puntuale nella individuazione delle misure che si dovevano introdurre.
  La nomina dei tre membri del collegio è attribuita per uno dei componenti al Presidente del tribunale della sezione specializzata in materia di impresa, ma questa previsione mi pare francamente poco comprensibile in considerazione del fatto che, come è noto, quella parte della delega che prevedeva una riforma della competenza giurisdizionale non è stata attuata, di modo che, a parte le ipotesi per le quali è individuata specificamente la competenza della sezione specializzata, in realtà la competenza si spalma su tutti gli altri tribunali.
  Mi chiedo allora perché restringere, attribuire esclusivamente al tribunale della sezione specializzata la nomina di questo componente, anche quando la sezione specializzata non sarebbe poi competente per un'eventuale procedura di risanamento della crisi, oppure se si dovesse arrivare (si spera di no) alla procedura di liquidazione giudiziale.
  Il procedimento di composizione della crisi, che è disciplinato negli articoli 19 e seguenti, sembra disciplinato come se desse per scontato che al procedimento di segnalazione di composizione della crisi si giunge dopo che vi sono state le segnalazioni e dopo che queste segnalazioni non hanno prodotto alcun risultato, per cui si apre il procedimento davanti all'OCRI.
  In realtà, non è necessariamente così, perché l'imprenditore può fare autonomamente richiesta di accesso alla procedura (lo prevede espressamente l'articolo 12, comma 2), quindi l'articolo 19, quando fa riferimento all'istituzione di questo organismo e alla formazione del collegio, dovrebbe evidentemente fare un rinvio al precedente articolo 17 per le modalità di nomina del collegio degli esperti che devono Pag. 12supportare l'imprenditore e i creditori nel tentativo di risolvere la crisi.
  Molto dubbia è, a mio avviso, la previsione, su cui esprimo un giudizio negativo, dell'attribuzione al collegio, prevista nel comma 3 dell'articolo 19, della possibilità, su richiesta del debitore che intende avviare l'accordo di ristrutturazione del concordato preventivo, di attestare la veridicità dei piani aziendali.
  È noto che, nelle procedure dirette al risanamento, il legislatore giustamente ribadisce la necessità dell'indipendenza del soggetto chiamato a compiere questa attestazione. Mi chiedo se poi questa indipendenza si possa prevedere anche qui, se il collegio è chiamato ad una funzione di supporto dell'imprenditore e dei creditori diretta al superamento della crisi. Se avesse funzioni meramente notarili, allora la riforma sarebbe completamente sbagliata e non porterebbe ovviamente da nessuna parte, il collegio deve necessariamente intervenire e interloquire con le parti per cercare di individuare delle soluzioni della crisi, e in quest'ottica francamente penso che sia inopportuno che poi possa anche attestare i dati per la successiva previsione.
  Una notazione marginale è quella relativa ai costi della procedura, che sono determinati con un rinvio all'articolo 351 dello schema di decreto legislativo. Non so di che cifre si parli, però mi pare che la previsione secondo la quale, per la sola ipotesi della mancata comparizione del debitore o della sola audizione del debitore, si applichi il compenso minimo previsto per il curatore fallimentare, quale che sia l'ammontare economico di questo compenso, rappresenti francamente un parametro non adeguato, perché ben diversa e più complessa è l'attività del curatore fallimentare rispetto a quella dell'organismo che convoca il debitore e non lo riceve, perché il debitore non si presenta, oppure si limita a sentirlo senza poi che la procedura vada concretamente avanti, quindi in questo caso il costo deve essere verificato.
  Come dicevo prima, c'è stata questa marcia indietro sul concordato preventivo, alla quale il legislatore è stato probabilmente indotto a causa del fenomeno un po’ abusivo che vi è stato del concordato preventivo. Che poi le misure prese sull'onda di quello che la legge delega prevedeva siano tutte condivisibili il discorso è diverso.
  Prima si diceva che la procedura del concordato liquidatorio viene marginalizzata. Secondo me la procedura del concordato liquidatorio avrà scarsissima possibilità di attuazione, per cui, a parte che la norma presenta difficoltà interpretative che prevedono che vi debba essere un surplus di risorse esterne del 10 per cento e il pagamento del 20 per cento dei creditori chirografari e non si capisce il rapporto tra 20 e 10 per cento in che misura sia, a mio avviso rende concretamente molto difficile nella pratica l'ipotesi che si acceda al concordato liquidatorio.
  Francamente, poi, non condivido la ragione per la quale debba accadere che questo tipo di concordato sia espunto dal nostro ordinamento. D'altra parte, la legge fallimentare del 1942 conosceva la cessio bonorum, non vedo perché oggi questa ipotesi non debba essere presa in considerazione proprio in vista della tutela degli interessi dei creditori. Sottolineo che la procedura concordataria anche con funzioni meramente liquidatorie è una procedura molto più snella rispetto a quella della liquidazione giudiziale, il che può assicurare ai creditori una più rapida soddisfazione, sia pure in misura ridotta rispetto a quella che potrebbe essere (ma solo teoricamente) quella che si ricava dalla liquidazione giudiziale.
  L'esperienza anzi insegna che, se poi si spera di ricavare di più dal fallimento grazie alle azioni recuperatorie che il curatore fallimentare può esperire, molto raramente questo concretamente accade ed è questa la ragione per la quale nel 2005 si pensò di riservare al ceto creditorio la valutazione della fattibilità economica del concordato, nella convinzione che i creditori non fossero delle persone inconsapevoli non in grado di comprendere la convenienza economica o meno della proposta concordataria.
  Il ritorno dell'attribuzione al tribunale della valutazione anche della fattibilità economica, Pag. 13 e non solo della valutazione dell'ammissibilità dal punto di vista giuridico della proposta concordataria, è evidentemente una marcia indietro del legislatore imposta sempre dalla legge delega. Si tratta di una scelta di politica legislativa rispetto alla quale ovviamente non si può che prendere atto ma è una scelta di politica legislativa a mio avviso non completamente condivisibile, perché costituisce un ulteriore ostacolo a che i creditori possano decidere di «prendere pochi, maledetti e subito», anziché attendere le lungaggini di una procedura concorsuale, perché questa valutazione invece il tribunale molto probabilmente non la fa.
  Ci sarebbero tante altre cose da dire a proposito del concordato. Vorrei dire che la riduzione dei termini per la presentazione della proposta forse si collega alla brevità del termine di efficacia delle misure protettive, però francamente non mi pare completamente condivisibile. In particolare, non mi pare condivisibile il fatto che si preveda la possibilità di nomina del custode tra le misure protettive anche con riferimento all'ipotesi del concordato, dimenticando che nel testo del codice si prevede sempre anche che l'imprenditore conservi l'amministrazione dell'impresa. Quindi qui è necessario comprendere se l'imprenditore conserva o non conserva l'amministrazione, perché se poi viene nominato il custode ovviamente non ce l'ha più.
  Una norma a mio avviso molto discutibile è quella relativa all’automatic stay, non l'intera disciplina dell’automatic stay, ma in particolare la previsione contenuta nell'articolo 54. In tema di automatic stay il legislatore anticipa delle previsioni che sono contenute nella proposta di direttiva sull'insolvenza e opportunamente il legislatore tiene conto del lavoro svolto in sede di Unione europea in ordine alla proposta di direttiva sull'insolvenza, però vi sono delle previsioni a mio avviso discutibili.
  Mi riferisco in particolare all'articolo 54, comma 5, che prevede il procedimento attraverso il quale il giudice è chiamato a pronunciarsi sulla misura protettiva. Si fissa l'udienza e all'esito dell'udienza il tribunale deve decidere. L'ultimo periodo di questo comma stabilisce che se l'udienza e il deposito del decreto non intervengono nei termini prescritti, cessano gli effetti protettivi prodotti a norma del comma 2.
  Francamente io non riesco ad intravedere la ragione di una previsione di questo genere, non riesco a comprendere per quale motivo si debbano far cadere le misure protettive semplicemente per il fatto che l'udienza non si è tenuta o il decreto motivato non è intervenuto nel termine previsto, per una ragione che immagino debba essere imputata esclusivamente al giudice se quest'ultimo non tiene l'udienza o non emana il decreto motivato nel termine fissato, con il rischio che il giudice disattento faccia saltare le misure protettive, il che significa far saltare la procedura di risanamento, perché se saltano le misure protettive, molto probabilmente la procedura di risanamento non va avanti.
  Nutro altre riserve con riferimento ad alcune norme previste nello schema di decreto legislativo che modificano il codice civile. Ho già parlato dell'articolo 2086 del codice civile, condividendo pienamente l'intervento del legislatore e anche la modifica della norma sul collegio sindacale, non voglio essere polemico però vorrei dire che la riforma della società a responsabilità limitata con la soppressione del collegio sindacale non è stata ritenuta da tutti una cosa giusta, perché non bisogna guardare ai costi, perché l'imprenditore che non vuole sostenere costi per l'organizzazione dell'impresa può svolgere la sua impresa in forma di società in nome collettivo, nessuno gli impone di scegliere la società a responsabilità limitata se non vuole avere il sindaco che sta lì a controllarlo.
  Al legislatore vorrei segnalare questo aspetto, anche se lo ha già segnalato il Presidente Rordorf ieri: al legislatore sono scappate dalla penna molte cose, perché nell'articolo 376 dello schema di decreto legislativo si ripete meccanicamente il principio contenuto nell'articolo 2086 del codice civile, ma nel fare questo si va al di là, prevedendo per forme societarie diverse dalla società per azioni la competenza esclusiva degli amministratori nella gestione dell'impresa. Pag. 14
  Questa previsione è assolutamente sbagliata, perché nella società a responsabilità limitata e nelle società di persone non abbiamo una struttura corporativa analoga a quella della società per azioni. Nella società a responsabilità limitata, è prevista dall'articolo 2479 del codice civile la possibilità per i soci di intervenire su questioni di carattere amministrativo che vengono rimesse alla loro decisione dagli amministratori stessi oppure da soci che abbiano un terzo del capitale sociale, quindi i soci sono chiamati a prendere parte a decisioni su questioni amministrative. Se si introduce la norma secondo cui gli amministratori hanno competenza esclusiva, il sistema salta perché si deve immaginare che vi sia una sopravvenuta abrogazione implicita del citato articolo 2479, altrimenti il sistema non funziona.
  Aggiungo che la cosa è ancora più strana per quanto riguarda la società personale, perché, a maggior ragione, nella società personale non c'è l'organizzazione corporativa che abbiamo nella società per azioni, ma anche l'articolo 2257 del codice civile nel quale questa norma sarebbe inserita, prevede al terzo comma che, nel caso in cui uno dei soci amministratori si opponga al compimento di un'operazione attraverso il famoso veto che può esercitare prima che l'operazione sia compiuta, i soci sono chiamati a decidere sulla opposizione, quindi i soci sono investiti in qualche modo della questione. Come si fa a conciliare questa disposizione con la competenza esclusiva degli amministratori nella gestione dell'impresa?
  Ci sono delle norme che invece condivido pienamente, come quella relativa all'inserimento nella società a responsabilità limitata della responsabilità degli amministratori nei confronti dei creditori, quella disciplinata dall'articolo 2394 del codice civile per la società per azioni. Non mi dilungo su questa tema, l'ho accennato nel testo scritto. C'è un punto che vorrei sottolineare, che ancora una volta viene dalla previsione della legge delega, cioè quello del reinserimento nella disciplina dello scioglimento delle società di capitali (articoli 2484 e seguenti del codice civile) della norma secondo la quale l'apertura della procedura di liquidazione giudiziale è causa di scioglimento della società, previsione che oggi non c'è nel testo attuale.
  Nel codice civile attualmente abbiamo una norma, l'articolo 2308, che lo prevede per le società di persone, quindi la società in nome collettivo. Oggi, equiparando queste due società, si ritorna al sistema previgente, per cui tutte le società si sciolgono se interviene quello che una volta avremmo chiamato il fallimento.
  Considerato che la riforma tiene conto anche della impresa agricola, sia pure assoggettandola ad una forma di liquidazione diversa dalla liquidazione giudiziale, che è la liquidazione controllata, a questo punto mi chiedo perché la società agricola dovrebbe essere esentata dallo scioglimento, perché se non si modifica anche la normativa delle società di persone (come sapete, la società semplice tendenzialmente dovrebbe essere lo strumento di elezione per lo svolgimento di un'impresa agricola in forma collettiva), mentre l'impresa collettiva commerciale si scioglie, l'impresa collettiva agricola non si scioglie, sebbene entrambe siano assoggettate ad una procedura di liquidazione che, seppur diversa (la seconda semplificata rispetto alla prima), persegue però finalità analoghe.
  Questo ragionamento vale anche per la modifica dell'articolo 2288, che è limitato ancora una volta alla liquidazione giudiziale. Parliamo dell'esclusione di diritto del socio, che è escluso di diritto se fallisce, oggi se è sottoposto alla liquidazione giudiziale, ma a questo punto penserei che se il socio è un imprenditore agricolo assoggettato alla liquidazione controllata, probabilmente dovrebbe essere escluso sempre per un problema di simmetria.
  Spero di non essere stato troppo lungo e vi ringrazio.

  VINCENZO RUGGIERO, professore di diritto fallimentare presso l'Università della Tuscia. Grazie, presidente, per l'invito. Io mi sono ritagliato un intervento più specifico, meno di ampio respiro di quello del professor Rosapepe. Il mio intervento è relativo all'attuazione della delega con riferimento Pag. 15 alla determinazione del quantum e all'azione di responsabilità.
  Prima di affrontare rapidamente questo tema, uno spunto del professor Rosapepe è stato molto interessante, quindi scusate se divago, relativamente al meccanismo di funzionamento dell'Organismo di composizione della crisi d'impresa (OCRI). Mi sembra di poter sostenere che, se la filosofia della legge delega è stata quella di inserire una sorta di diritto mite, come diceva Zagrebelsky, relativamente al momento antecedente a quelli che sono gli atti giurisdizionali (pensiamo alla liquidazione giudiziale), inventando il meccanismo all'interno del quale far confluire le allerta e quindi gli OCRI, credo che però il momento attuativo di questo organismo sia estremamente macchinoso.
  La filosofia dell'idea è certamente ottima, però comporta un totale cambio di cultura, perché non so come funzioni per gli imprenditori del nord, ma certamente gli imprenditori al sud si fanno tagliare un braccio prima di andare a dire che c'è qualche indice superato, uccidono il figlio ma non uccidono l'azienda. Da questo punto di vista, quindi, il cambio culturale è dirompente, e su questo credo che si giochi l'intero impianto legislativo. In questo credo che l'attività del professionista sia determinante.
  Dove credo che invece il meccanismo sia leggermente o piuttosto farraginoso? OCRI, riservatezza, confidenza, c'è la segnalazione interna, il collegio sindacale vede che ci sono dei parametri che sono saltati oppure il debitore fa la segnalazione e quindi si entra negli OCRI. Dove stanno gli OCRI? Stanno dentro le camere di commercio. Quante sono le camere di commercio? Nel sistema di risistemazione delle camere di commercio si sta arrivando ad una restrizione, quindi oggi le camere di commercio dovrebbero essere 80, ma si dovrà arrivare a 60.
  Il numero delle imprese che impattano su questo tipo di domanda è enorme. Se facciamo un meccanismo di confronto invece con gli organismi di composizione delle crisi, in realtà sono 200 gli organismi. Quindi da un lato, per quanto riguarda gli organismi di composizione della crisi c'è un numero piuttosto diffuso e un collegamento con i tribunali che oggi è piuttosto armonico, mentre invece questo sistema di collegamento che noi oggi abbiamo tra le camere di commercio (poche) e i tribunali, come diceva il professor Rosapepe, credo che sia poco armonico, perché c'è una sorta di duplicazione dell'intervento giurisdizionale.
  Quando infatti entro in OCRI, la nomina del rappresentante nella terna degli esperti arriva dal presidente del tribunale delle imprese, ma il tribunale delle imprese di Napoli ha 7, 8 o 9 magistrati per l'intera regione Campania. Quando vado a fare le cause davanti al tribunale delle imprese questo (non dico niente di offensivo) fa una moral suasion fortissima al fine di giungere a una transazione, quindi noi curatori oppure avvocati delle curatele ci troviamo con una difficoltà anche di rapporto.
  Se infatti il mio giudice delegato mi autorizza un'azione di responsabilità per una differenza dei netti patrimoniali, di cui dopo parleremo, di 20 milioni di euro, mi trovo davanti a un tribunale delle imprese che, anche per ragioni deflattive, mi dice che è meglio cominciare a fare una prima udienza dove si incominciano, in un'ottica semplificante, a individuare i punti di critica, però mi arriva a giungere ad una determinazione quantificatoria transattiva molto più bassa. Questo per dire che il tribunale delle imprese oggi, secondo me, non ce la fa a gestire un numero di contenziosi così grande, tra cui anche i meccanismi di allerta, i meccanismi protettivi richiesti dall'imprenditore che entra in procedura di allerta.
  Nel mentre si va davanti ai tribunali ordinari, che invece diventano responsabili per quanto riguarda tutto il meccanismo di gestione del procedimento di crisi. Penso agli accordi di ristrutturazione con le fasi di omologazione, penso ai concordati.
  Probabilmente la criticità è sorta perché nell'originario disegno di legge c'era una voluntas di riscrivere il numero dei tribunali che avrebbero dovuto affrontare e gestire i fallimenti, non quelli dei gruppi, non le amministrazioni straordinarie, ma i fallimenti, Pag. 16 quindi in questo c'era anche l'idea di razionalizzare, implementando la specializzazione del magistrato e arrivando da 140 tribunali a 77. Questo passaggio oggi è saltato.
  A questo punto, se per un criterio di prossimità della giustizia alle esigenze degli imprenditori si è deciso di lasciare fermi i 140 tribunali, e secondo me per alcuni aspetti è un non senso perché vi porto un'esperienza di alcuni tribunali dove il giudice delegato è unico e quando ci sono le opposizioni agli stati passivi, quindi il provvedimento che quel giudice delegato ha emesso è oggetto di una impugnazione ex articolo 98 che si fa davanti a un collegio, quel collegio è fatto da giudici non specializzati e quindi si crea una serie di difficoltà.
  Delle due l'una: o creiamo un'armonizzazione per quanto riguarda il provvedimento protettivo sull'allerta, per quanto riguarda il provvedimento di nomina, che a questo punto facciamo fare dal tribunale prossimo, vicino all'imprenditore, riuscendo poi a rideterminare anche le circoscrizioni di quei tribunali, perché non ha senso avere 140 tribunali quando da un'indagine che è stata fatta 17 hanno un solo magistrato. Non ha senso!
  Ancora sul tema della procedimentalizzazione nella fase dell'OCRI. Filosofia, cambio di cultura, questo è importantissimo, però andiamo a vedere come il legislatore delegato ha pensato di costruire il procedimento.
  Vi segnalo la mia più grande preoccupazione. Busso alla porta, suono il campanello, entro in camera di commercio (60 tra poco in tutta Italia) e c'è il referente, il responsabile, che ha una responsabilità di velocità, di efficienza nello svolgimento del procedimento, che deve essere riservato, rapido. Deve nominare una terna, che è fatta da tre persone, una la nomina il referente, una la nomina il presidente del tribunale delle imprese – quindi io vado a Napoli anche se sto a Torre Annunziata e ho il tribunale a Torre Annunziata – mentre la terza, con il confronto del debitore, è scelta dalle associazioni di categoria.
  Il referente dovrebbe essere il «guardiano» di questo procedimento, però la legge non mi dice che il presidente del tribunale delle imprese nomina il giurista, l'avvocato, non mi dice che invece l'associazione di categoria, sentito il debitore, nomina l’advisor esperto di azienda. Quindi potrebbe paradossalmente accadere che il presidente del tribunale delle imprese nomini il commercialista e non avremmo poi un meccanismo di disciplina in testa al referente, quindi secondo me il referente oggi ha poco potere, non ha una capacità di incidere.
  Un altro aspetto da valutare è se il referente sia responsabile quando è tardivo nello svolgimento di questi atti. Non c'è un meccanismo di determinazione, anche se la legge parla di tempi estremamente rapidi (quindici giorni). Si applicheranno le normali regole di responsabilità, si applicherà il criterio della responsabilità contrattuale? C'è il contatto sociale? Il debitore ha bussato al campanello e ha chiesto il contatto, quindi c'è un'inversione degli oneri probatori, c'è un meccanismo decennale? Vi rendete conto che apriremo le cause per l'efficienza dei referenti? Questo è pericoloso, ma non è solo questo che mi preoccupa.
  Un'altra cosa che mi preoccupa fortemente è il ruolo e la casacca che il collegio può cambiare. La prima casacca: il debitore suona al campanello, ha trovato una delle 60 camere di commercio, è entrato, il referente ha costituito il collegio, ha chiamato il presidente del tribunale delle imprese, poi ha fatto il confronto con il debitore e con l'associazione di categoria e si è formata la terna. In quel momento il collegio svolge una funzione di arbitro e deve verificare se effettivamente ci siano i presupposti della crisi, crisi che gli ha segnalato il collegio sindacale, crisi che gli ha portato il debitore. Deve decidere se in quel momento ci sia o non ci sia una fattispecie di crisi, siano stati superati quegli indici che oggi si sta cominciando a pensare di cambiare, fa una valutazione, deliba, emette una pronuncia, è terzo.
  A un certo punto il collegio decide e capisce che effettivamente c'è uno stato di Pag. 17crisi, il debitore invece è andato là con i suoi professionisti e dice che non c'è lo stato di crisi, quindi non capisco se questo provvedimento possa essere impugnato. Se l'OCRI dice che c'è crisi e invece i professionisti dicono che non c'è, quella che diventa di fatto una statuizione, che fa partire tutta una serie di conseguenze, è oggetto di censura, si può portare all'attenzione di un giudice, può essere criticata, si può dire che gli indici erano sbagliati? Non si capisce.
  Il debitore ha riconosciuto che c'è crisi, ha i suoi professionisti che lo accompagnano, ha tre professionisti diversi, uno è stato scelto insieme al debitore. A questo punto è stato riconosciuto che c'è crisi, il collegio cambia casacca, diventa il consulente: «caro debitore, adesso cominciamo a parlare con i creditori, vediamo se riusciamo a creare un piano, una moratoria».
  In quel momento l'esperto che fa parte del collegio un minuto prima gli ha detto che era in crisi, mentre magari i professionisti del debitore gli stanno dicendo che non è vero, non c'è crisi, il debitore è sopraffatto, si chiede cosa fare, visto che non può reclamare o andare da nessuna parte, quindi abbraccia i suoi esperti che diventano i suoi professionisti, e in quel momento la terna svolge un'attività consulenziale, ha cambiato casacca, signori deputati, sta diventando un consulente. E badate bene che il corrispettivo che l'ex arbitro diventato consulente, liquidato secondo quel sistema di cui poco fa ci parlava il professore Rosapepe, è un credito prededuttivo. Questo significa che, se dopo salta tutto in aria e siamo arrivati alla liquidazione giudiziale, l'esperto si insinua nel passivo e chiede di essere pagato come un curatore fallimentare in prededuzione.
  Nel mentre l’advisor personale del debitore è un creditore privilegiato, quindi vi rendete conto che si crea anche un conflitto tra l'esperto, che prima era arbitro e poi è diventato consulente, e gli esperti ab origine dell'imprenditore? E secondo voi, signori deputati, chi conosce meglio la storia? La conosce meglio il professionista del debitore che lo ha accompagnato al campanello della camera di commercio o l'esperto che è stato nominato a quindici giorni da un presidente del tribunale delle imprese, da un'associazione? Dopodiché arbitro, giocatore, prededuzione, compenso del curatore, professionista che lo accompagna, privilegio, e probabilmente professionista che viene buttato in angolo perché il debitore abbraccia il collegio degli esperti. Non mi sembra che questo sistema possa funzionare.
  Scusatemi, erano delle idee a braccio che mi sono venute in mente dopo, e concludo su questo punto. Il debitore cosa ha capito? Ha capito che non va da nessuna parte, perché i tre esperti non sono riusciti a chiudergli una moratoria, e a questo punto chiede ai tre esperti «mi attestate la mia documentazione, così faccio un bell'accordo o un bel concordato?», cioè come gioca, da arbitro, da consulente, poi ritorna attestatore, diventa prededuttivo, possibile compenso del curatore? E il professionista (ci sono molti professionisti in mezzo a noi) diventa il vero conoscitore dell'azienda che invece viene buttato in un angolo.
  Il secondo tema è relativo al fatto che la delega, all'articolo 14, comma 1, lettera e), aveva stabilito questo principio: il legislatore delegato stabilisca dei criteri di quantificazione del danno risarcibile nell'azione di responsabilità promossa contro l'organo di amministrazione della società, fondata sulla violazione di quanto previsto all'articolo 2486. È un vecchio tema, sul quale i giudici delegati, i tribunali delle impresa, i curatori e i difensori dei curatori, ma anche i difensori degli ex esponenti chiamati in giudizio si sono accapigliati per anni, maturandosi una serie di conflitti giurisprudenziali, ed ecco quindi la ratio del legislatore. Il legislatore dice che dobbiamo semplificare stabilendo «una regola liquidatoria».
  Signori deputati, personalmente a me che faccio l'avvocato da trenta anni stabilire una regola liquidatoria attraverso una legge mi fa accapponare la pelle, a meno che non si tratti di una sanzione, e allora chiamiamola sanzione, ma se devo predeterminare il danno, non posso predeterminare il danno attraverso una regola prestabilita. Pag. 18
  L'articolo 377 del codice d'impresa, rubricato «Responsabilità degli amministratori», ha due commi, il primo introduce un comma dopo il quinto comma dell'articolo 2476 e dice una cosa condivisibile: «attenzione, amministratori, se voi avete continuato a svolgere attività di impresa, ponendo in essere atti di impresa nel momento in cui la società è sottocapitalizzata, quindi violando l'obbligo di svolgere l'attività di impresa secondo le regole della liquidazione (però ricordo a me stesso che le regole della liquidazione oggi impongono al liquidatore di fare impresa, se quell'impresa è finalizzata a liquidare), se voi agite in questo modo, vi esponete all'azione di responsabilità che vi fa il creditore. Il creditore però vi può fare questa azione di responsabilità soltanto se il patrimonio della società è incapiente».
  Andiamo invece nel centro dell'attuazione della delega quando al comma 2 dell'articolo 377 viene introdotto un nuovo comma dopo il secondo comma all'articolo 2486. Spero di essere chiaro, ma qui la vicenda, presidente, è piuttosto complessa da un punto di vista giuridico. La fattispecie è quella di un amministratore che continua a svolgere attività di impresa nonostante la società si trovi in una situazione di scioglimento per il classico esempio di sottocapitalizzazione. Continua a fare impresa, è il classico esempio che vi ho detto dell'amministratore delle mie parti, che, se gli viene chiesto come mai stia continuando, risponde: «non si preoccupi, avvocato, adesso sto per chiudere un contratto, mi arrivano 3 milioni di euro e quindi posso tranquillamente continuare» quando quella è sottocapitalizzata da sei mesi!
  La norma dice che quando svolgi attività di impresa e ti trovi in una fattispecie di liquidazione ti devi fermare, devi chiedere il fallimento, la liquidazione giudiziale, oppure devi fare una trasformazione oppure ci devi mettere i soldi. Se non fai nessuna di queste operazioni, ma continui a svolgere attività di impresa, hai prodotto un danno ai creditori, perché l'impresa è stata sul mercato troppo tempo e, stando troppo tempo sul mercato, sono sorte obbligazioni con i creditori, i quali oggi rimarranno insoddisfatti proprio in considerazione del fatto che quell'impresa era già decotta e invece è andata avanti.
  Quando la legge delega su questo punto invita il legislatore delegato a stabilire una regola di liquidazione, lo fa perché i tribunali purtroppo sono intervenuti con una serie di sentenze che sono state tra loro conflittuali, contraddittorie. L'attuazione della delega in questo codice (mi permetto di dirlo in maniera sommessa) secondo me va un po’ troppo oltre, forza troppo la mano. Il testo nell'attuale stesura è ulteriormente rigoroso, è ulteriormente «sanzionatorio» rispetto al testo che usciva fuori dalla precedente bozza del codice delle imprese. Lo leggo: «quando è accertata la responsabilità degli amministratori a norma del presente articolo (abbiamo detto che ho continuato a svolgere attività di impresa nel momento in cui ero sottocapitalizzato) e salva la prova di un diverso ammontare, il danno risarcibile si presume....».
  Io faccio l'avvocato delle curatele, però mi sono trovato anche a fare il difensore degli amministratori e dei sindaci. Quando noi introduciamo questo sistema di predeterminazione del danno con un meccanismo di presunzione, vi rendete conto che di fatto lo spazio di difesa del convenuto in azioni di responsabilità è molto ristretto.
  Continuo a leggere: «...salva la prova di un diverso ammontare il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data dell'apertura della procedura di liquidazione giudiziale (dopo sei mesi rispetto a quando si era maturata la situazione di incapienza) e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata la causa di scioglimento, di cui all'articolo 2484».
  Che significa? Dato per T1 che il patrimonio era X in quel momento storico, quando si era già radicata una fattispecie di scioglimento e tu non lo hai detto, e dato per T2 il patrimonio netto che si è maturato alla data della dichiarazione di fallimento, liquidazione giudiziale, oppure alla data in cui effettivamente è stata posta in scioglimento la società, questa differenza Pag. 19«detratti i costi sostenuti» (ci posso arrivare a costi sostenuti) «e da sostenere» (non so cosa significhi «da sostenere»).
  In questo frangente io ho pagato il trattamento di fine rapporto (Tfr) al dipendente, quindi se devo fare un differenziale tra quello che era il mio patrimonio alla data in cui si è maturata una fattispecie di scioglimento e quello che invece è scoppiato dopo sei mesi, tolgo i costi sostenuti (il Tfr al dipendente, la liquidazione), c'è una sorta di sterilizzazione di qualche voce per evitare che il meno e il più sia una bomba atomica (scusatemi il linguaggio, è per essere più rapido).
  Non capisco però cosa significhi «da sostenere». Noi stiamo parlando di una regola che scatta automaticamente, «secondo i criteri di normalità (dice “da sostenere secondo i criteri di normalità”, probabilmente devi pagare altre persone e allora quello diventa un costo che cominci a togliere da questo differenziale) dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione».
  Già così io ritengo che ci sia un peso, uno squilibrio probatorio tra l'attore che fa la causa e il convenuto che si deve difendere, ma il secondo periodo dice che se mancano le scritture contabili o se a causa dell'irregolarità delle stesse o per altre ragioni i netti patrimoniali non possono essere determinati (lo stato patrimoniale è quello nel momento in cui ti saresti dovuto fermare e quello che invece è diventato dopo sei mesi quando sei stato dichiarato fallito, quando un altro amministratore melius re perpensa ha detto che ci si doveva fermare) il danno è liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati dalla liquidazione giudiziale.
  Questo è un sistema che fa una restaurazione a una sentenza antecedente, la sentenza della Corte di Cassazione, Sezione unite civili n. 9100 del 2015, estensore Rordorf. Questo sistema, che sarebbe il sistema alternativo, quando però io curatore non ho trovato le scritture contabili o quando le scritture contabili sono incomplete (e già potrei replicare che forse non è giusto) o in ogni altro caso (apre quindi uno spazio di manovra per il curatore attore delle norme) la differenza non è più quella tra i netti patrimoniali di cui sopra, perché mi si potrebbe chiedere come si fa a fare la differenza tra i netti senza le scritture contabili, però si potrebbe replicare che se nel primo bilancio vedo quante persone sono insinuate al passivo, potrei fare un primo ragionamento ricostruttivo se il curatore è bravo.
  Quando comunque non ci sono le scritture contabili o quando sono irregolari o in ogni altro caso, non applico più la differenza tra i netti, ma applico la regola dei netti patrimoniali, che – perdonatemi – è una cosa fortissima. Se applico la regola dei netti patrimoniali, la differenza sarà sì tra l'attivo che il curatore ha recuperato (29.000 euro) e lo stato passivo che emerge dopo che sono stati analizzati tutti i creditori insinuati (10 milioni di euro).
  Questa è la differenza che io addebito all'amministratore, all'ex esponente, al sindaco, dove la prova del nesso è totalmente saltata in aria, dove anche in presenza di una mera irregolarità o in ogni altro caso posso applicare questa regola che mi sembra estremamente sanzionatoria in un'ottica di equilibrio tra le varie posizioni. Grazie.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
RICCARDO AUGUSTO MARCHETTI

  PRESIDENTE. Grazie a lei, professor Ruggiero. Lascio la parola ai colleghi che desiderino intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FRANCO VAZIO. Ringrazio gli auditi che hanno fornito un quadro molto dettagliato in merito alle osservazioni su questo schema di decreto legislativo. Siccome la pratica ci conduce purtroppo ad assistere troppo spesso a procedure concorsuali, in esito alle quali gli attivi sono solitamente molto ridotti e di fatto vengono erosi in larga misura dai professionisti delegati alle procedure, siano essi periti o avvocati che assistono i curatori, curatori o periti dei curatori, questa riforma risolve questo problema o ci approcciamo di nuovo ad un Pag. 20sistema rispetto al quale, dopo anni di procedura concorsuale, si consegna ai creditori un risultato equivalente allo zero o vicino allo zero, dopo aver lautamente pagato i periti?
  Dico questo perché come avvocato assisto solitamente a liquidazioni di prestazioni professionali molto contese e anche molto ridotte nell'ambito del contenzioso, e invece vedo liquidazioni molto generose nell'ambito delle procedure concorsuali.
  Per una causa che dura otto anni difficilmente si assiste a una liquidazione di una prestazione professionale superiore a 10 mila euro, mentre si assiste sovente a liquidazioni di perizie di 5 o 6 mila euro per una quindicina di fotografie, che hanno occupato qualche giorno di tempo del perito, oppure a perizie dei curatori che vengono a svolgere la propria attività professionale per qualche anno e traggono da queste procedure decine di migliaia di euro.
  Sotto questo profilo non è che sia invidia rispetto a chi svolge questa professione, ancorché mi pare che con tutte le attenzioni da parte degli uffici giudiziari alla selezione poi in realtà i tribunali medio-grandi sviluppino una cerchia di professionisti abbastanza dedicata, non facile da scardinare. Lo dico, invece, perché c'è una sostanziale delusione da parte di quei creditori che poi non sviluppano neanche delle istanze rispetto alle procedure concorsuali – o, quando le sviluppano, sono veramente l'ultima frontiera di fronte alla disperazione più totale – e che poi normalmente, salvo casi dei concordati che vengono ormai chiusi intorno al 18-15 per cento delle proposte (almeno gli ultimi range sono questi), si attestano rispetto ad un sistema che secondo me ad oggi non è efficiente nei risultati.
  Mi domandavo se con questa proposta, così come è sviluppata – al di là della tesi meritoria della conservazione della prosecuzione aziendale, che certamente è una cosa importante in termini di salvezza del lavoro – queste procedure così complesse potranno portare qualche risultato positivo.

  VINCENZO RUGGIERO, professore di diritto fallimentare presso l'Università della Tuscia. Certamente la riforma segue la ratio che lei indicava, ossia sono stabilite delle compressioni per i compensi e per i profili prededuttivi dei professionisti che hanno lavorato alle procedure di crisi. Penso essenzialmente ai commissari.
  Vorrei però nel contempo segnalare che le responsabilità dei professionisti che svolgono questo incarico su rapporto fiduciario del tribunale sono non di poco momento. Tenete conto che il ruolo del curatore è un ruolo che è diventato sempre più centrale sia nelle leggi precedenti che anche ora, il curatore è esposto non solo alle facili revoche che possono intervenire su segnalazione del comitato dei creditori, ma anche a dei profili di responsabilità rilevanti.
  Dunque questi professionisti, che se sono bravi vengono nominati dai tribunali, un domani non verranno più nominati dai tribunali ma saranno ricompresi in un elenco tenuto dal Ministro, elenco a cui potranno accedere soltanto se avranno dimostrato «esperienze professionali rilevanti nel settore», ad esempio dimostrando di aver ottenuto provvedimenti di omologazione e di aver seguito tutta una serie di procedure. Quindi ci si sgancia anche dalle nomine tribunali/professionisti cui lei faceva riferimento, per avere poi delle nomine ministeriali sulla scorta di alcuni parametri che verranno fissati.

  FRANCO VAZIO. Mi pare però che i professionisti non possano essere pagati in relazione alla responsabilità che assumono, dovrebbero ottenere un compenso rispetto alla prestazione che correttamente, in verità e con giudizio svolgono, poi le responsabilità personali e professionali vengono coperte dalle assicurazioni professionali e dalle responsabilità di ognuno, perché con questo criterio gli avvocati a seconda della responsabilità che assumono potrebbero avere una prestazione professionale elastica, cosa che non è.

  VINCENZO RUGGIERO, professore di diritto fallimentare presso l'Università della Tuscia. Certo, forse sono stato poco chiaro: la legge in realtà va verso questa tendenza, cioè la tendenza di ridurre la prededuzione Pag. 21proprio per evitare erosioni delle masse attive in danno dei creditori insinuati. Questo la legge lo dice chiaramente.
  Segnalo però che, se da un certo punto di vista è certamente encomiabile, questo ragionamento va però in controtendenza rispetto alle ultime sentenze della Corte di Cassazione, dove ad esempio è stato detto che il professionista attestatore commercialista che ha assistito il debitore per entrare in procedura deve essere pagato, salvo un’exceptio inadimpleti ovviamente. Se il professionista attestatore ha lavorato bene e anche se in procedura non sei entrato o la procedura non è stata omologata, a quel professionista deve essere riconosciuto il suo credito in prededuzione. Queste sono sentenze recenti che stanno tutelando la ragione prededuttiva, ma questo è un concetto.
  L'altro concetto che quindi oggi va in controtendenza è quello di ridurre la prededuzione dei professionisti che hanno lavorato a latere del debitore proponente, proprio per non erodere troppo attivo a danno dei creditori, e questo è un dato. Questo dato oggi c'è nella legge.

  MARIO PERANTONI. Grazie per la vostra collaborazione e per il vostro contributo. Vorrei chiedervi di chiarire due aspetti, se possibile. Il primo riguarda il fatto che all'articolo 87, comma 1, lettera d), in materia di piano del concordato, si afferma che «il debitore deve illustrare le azioni risarcitorie e recuperatorie esperibili, con indicazione di quelle eventualmente proponibili solo nel caso di apertura della procedura di liquidazione giudiziale e delle prospettive di recupero».
  Da alcuni auditi questa norma è stata interpretata come la necessità di accusare se stessi di inadempimenti svolti nel corso della gestione dell'impresa, quindi vorrei conoscere la vostra opinione in merito a questa norma.
  Un altro aspetto sul quale vi chiederei un chiarimento riguarda il rapporto tra le misure protettive e l'OCRI. Mi sfugge il criterio in forza del quale la procedura davanti all'OCRI è una procedura coperta dalla massima riservatezza, ma allo stesso tempo si possono chiedere delle misure protettive che vanno poi eventualmente pubblicate nel registro delle imprese. O non riesco a cogliere come possa rimanere riservata una procedura se le misure protettive vanno a finire sul registro delle imprese oppure mi pare che ci sia una contraddizione.
  Non so se abbiate esaminato questo aspetto e se cortesemente possiate darmi un chiarimento in merito.

  ROBERTO ROSAPEPE, professore di diritto commerciale presso l'Università degli Studi di Salerno. In ordine all'articolo 87, comma 1, lettera d), vorrei dire che per la verità questo è un compito che dovrebbe assolvere il commissario, perché il commissario nella sua relazione deve illustrare ai creditori la ragione per la quale la procedura concordataria dà luogo ad una soddisfazione migliore rispetto a quella che potrebbe essere la soddisfazione che avrebbero in sede di liquidazione giudiziale.
  La soddisfazione migliore può nascere dal fatto che, per esempio, il debitore non ha compiuto atti di disposizione revocabili, quindi non c'è ragione di aprire una procedura concorsuale per esperire azioni revocatorie, oppure non c'è ragione di aprire una procedura concorsuale per avviare l'azione di responsabilità nei confronti della società.
  Da questo punto di vista è un compito che comunque il commissario deve assolvere, e l'attribuzione all'imprenditore dell'obbligo di indicare questi elementi che la citata lettera d) prevede mi sembra effettivamente forte, nel senso che le censure che sono state sollevate in ordine al fatto che con riferimento alle azioni risarcitorie sostanzialmente si arriva al problema dell'autodenuncia effettivamente non mi sembrano infondate.
  Per quanto riguarda invece il problema delle misure protettive, queste sono misure indispensabili per evitare che la procedura di composizione della crisi... Se i creditori vanno avanti per i fatti loro nello svolgimento delle azioni esecutive individuali, la procedura di composizione abortisce, non c'è la possibilità perché la procedura vada avanti, quindi una moratoria, una sospensione è nella generalità dei casi assolutamente Pag. 22 indispensabile. Questa era la ragione per la quale nel 2005 fu introdotto l’automatic stay nella procedura di concordato, che ora è stato riformato ed è stato rideterminato il periodo temporale massimo entro il quale questo può avvenire.
  Francamente ritengo che le misure protettive siano indispensabili, quindi devono essere in qualche modo pubblicizzate. Devo dire che però, se non ricordo male, la riservatezza è affermata con riferimento alla segnalazione, all'allerta, non al procedimento di composizione della crisi, quindi francamente credo che il problema non si ponga, se non ho colto male.

  VINCENZO RUGGIERO, professore di diritto fallimentare presso l'Università della Tuscia. Mi trovo perfettamente, nel senso che il profilo della riservatezza, che lei evidenzia e che è una delle caratteristiche portanti del procedimento, nel caso delle misure protettive in realtà non c'entra.
  Al campanello della camera di commercio ha bussato il sindaco o l'Agenzia delle entrate per dire che a questo signore non vanno bene le cose, allora viene chiamato e c'è riservatezza, ma se il campanello lo bussa il debitore, perché chiede all'OCRI di essere aiutato a gestire la crisi con i suoi creditori, ecco che allora ha proprio senso la misura protettiva, per evitare che durante il colloquio, attraverso l'arbitro, giocatore, giudice, qualcuno gli faccia un pignoramento, quindi non c'è incongruenza, anzi è coerente.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare i nostri ospiti, dichiaro conclusa l'audizione ed autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della relazione depositata dal professor Roberto Rosapepe (vedi allegato).

  La seduta termina alle 15.55.

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