XVIII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Martedì 18 settembre 2018

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Sarti Giulia , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLA PROPOSTA DI LEGGE C. 791 SALAFIA, RECANTE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI AZIONE DI CLASSE

Audizione di Giovanni Doria, professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata», di Arnaldo Morace Pinelli, professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata», di Paolo Papanti Pelletier, professore di diritto civile presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata», di Vincenzo Vigoriti, professore di diritto privato comparato presso l'Università degli studi di Firenze, e di Ilaria Pagni, professoressa di diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Firenze.
Sarti Giulia , Presidente ... 3 
Doria Giovanni , professore di diritto privato presso l'Università degli Studi di «Tor Vergata» ... 3 
Sarti Giulia , Presidente ... 6 
Morace Pinelli Arnaldo , professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» ... 6 
Sarti Giulia , Presidente ... 9 
Papanti Pelletier Paolo , professore di diritto civile presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» ... 9 
Sarti Giulia , Presidente ... 12 
Papanti Pelletier Paolo , professore di diritto civile presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» ... 12 
Sarti Giulia , Presidente ... 12 
Papanti Pelletier Paolo , professore di diritto civile presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» ... 12 
Sarti Giulia , Presidente ... 12 
Vigoriti Vincenzo , professore di diritto privato comparato presso l'Università degli studi di Firenze ... 12 
Sarti Giulia , Presidente ... 15 
Pagni Ilaria , professoressa di diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Firenze ... 15 
Sarti Giulia , Presidente ... 20 
Salafia Angela (M5S)  ... 20 
Sarti Giulia , Presidente ... 20 
Ferraioli Marzia (FI)  ... 20 
Sarti Giulia , Presidente ... 21 
Bazoli Alfredo (PD)  ... 21 
Sarti Giulia , Presidente ... 21 
Zanettin Pierantonio (FI)  ... 21 
Sarti Giulia , Presidente ... 22 
Bisa Ingrid (LEGA)  ... 22 
Sarti Giulia , Presidente ... 22 
Papanti Pelletier Paolo , professore di diritto civile presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» ... 22 
Vigoriti Vincenzo , professore di diritto privato comparato presso l'Università degli studi di Firenze ... 23 
Pagni Ilaria , professoressa di diritto processuale civile presso l'Università degli studi di Firenze ... 23 
Sarti Giulia , Presidente ... 25 

Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti (CNCU):
Sarti Giulia , Presidente ... 25 
Iaconis Maria , rappresentante dell'Unione per la difesa dei consumatori ... 25 
Sarti Giulia , Presidente ... 26 
Gagliardi Marco , rappresentante del Movimento consumatori ... 26 
Sarti Giulia , Presidente ... 27 
Castronovi Silvia , rappresentante di Altroconsumo ... 27 
Sarti Giulia , Presidente ... 29 
Giacomelli Ivano , rappresentante dell'Associazione Codici ... 29 
Castronovi Silvia , rappresentante di Altroconsumo ... 30 
Giacomelli Ivano , rappresentante dell'Associazione Codici ... 30 
Sarti Giulia , Presidente ... 31 
Ramadori Marco , rappresentante del Codacons ... 31 
Sarti Giulia , Presidente ... 33 
Ramadori Marco , rappresentante del Codacons ... 33 
Sarti Giulia , Presidente ... 33 
Bazoli Alfredo (PD)  ... 33 
Salafia Angela (M5S)  ... 33 
Sarti Giulia , Presidente ... 33 
Castronovi Silvia , rappresentante di Altroconsumo ... 34 
Giacomelli Ivano , rappresentante dell'Associazione Codici ... 34 
Gagliardi Marco , rappresentante del Movimento consumatori ... 34 
Ramadori Marco , rappresentante del Codacons ... 34 
Bazoli Alfredo (PD)  ... 34 
Vazio Franco (PD)  ... 34 
Sarti Giulia , Presidente ... 34 
Vazio Franco (PD)  ... 34 
Sarti Giulia , Presidente ... 34 
Ramadori Marco , rappresentante del Codacons ... 35 
Sarti Giulia , Presidente ... 35 
Baldelli Simone (FI)  ... 35 
Castronovi Silvia , rappresentante di Altroconsumo ... 35 
Iaconis Maria , rappresentante dell'Unione per la difesa dei consumatori ... 35 
Giacomelli Ivano , rappresentante dell'Associazione Codici ... 35 
Sarti Giulia , Presidente ... 36 

(La seduta, sospesa alle 12.20 riprende alle 12.30) ... 36 

Audizione di rappresentanti di Confindustria e di Confcommercio:
Sarti Giulia , Presidente ... 36 
Matonti Antonio , direttore area affari legislativi di Confindustria ... 36 
Sarti Giulia , Presidente ... 39 
Cerminara Roberto , responsabile settore commercio e legislazione d'impresa di Confcommercio ... 39 
Sarti Giulia , Presidente ... 41 
Salafia Angela (M5S)  ... 41 
Bartolozzi Giusi (FI)  ... 41 
Perantoni Mario (M5S)  ... 42 
D'Ettore Felice Maurizio (FI)  ... 42 
Sarti Giulia , Presidente ... 43 
D'Ettore Felice Maurizio (FI)  ... 43 
Sarti Giulia , Presidente ... 43 
D'Ettore Felice Maurizio (FI)  ... 43 
Baldelli Simone (FI)  ... 43 
Sarti Giulia , Presidente ... 43 
Matonti Antonio , direttore area affari legislativi di Confindustria ... 44 
Cerminara Roberto , responsabile settore commercio e legislazione d'impresa di Confcommercio ... 46 
Sarti Giulia , Presidente ... 46 
Paolini Luca Rodolfo (LEGA)  ... 47 
Matonti Antonio , direttore area affari legislativi di Confindustria ... 47 
Cerminara Roberto , responsabile settore commercio e legislazione d'impresa di Confcommercio ... 47 
Sarti Giulia , Presidente ... 47 

Allegato 1: Documentazione depositata dalla rappresentante dell'Unione per la difesa dei consumatori ... 48 

Allegato 2: Documentazione depositata dai rappresentanti di Altroconsumo ... 58

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
GIULIA SARTI

  La seduta comincia alle 9.25.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Giovanni Doria, professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata», di Arnaldo Morace Pinelli, professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata», di Paolo Papanti Pelletier, professore di diritto civile presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata», di Vincenzo Vigoriti, professore di diritto privato comparato presso l'Università degli studi di Firenze, e di Ilaria Pagni, professoressa di diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Firenze.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame della proposta di legge C. 791 Salafia, recante disposizioni in materia di azione di classe, di Giovanni Doria, professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata», di Arnaldo Morace Pinelli, professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata», di Paolo Papanti Pelletier, professore di diritto civile presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata», di Vincenzo Vigoriti, professore di diritto privato comparato presso l'Università degli studi di Firenze, e di Ilaria Pagni, professoressa di diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Firenze.
  Inviterei gli auditi a contenere il proprio intervento introduttivo in una relazione di una decina di minuti, per lasciare spazio anche al dibattito e alle domande dei commissari.
  Do la parola al professor Doria.

  GIOVANNI DORIA, professore di diritto privato presso l'Università degli Studi di «Tor Vergata». Grazie, presidente. Buongiorno, signori onorevoli. Le considerazioni che si possono svolgere sul complesso impianto della proposta di legge C. 791 sarebbero molteplici, ma mi limiterò soltanto ad alcuni punti.
  Inizio rilevando che, come sapete benissimo, l'impianto di questa proposta di legge si basa fondamentalmente sull'articolo 140-bis del codice del consumo. Devo subito rilevare anche, però, che l'azione di classe del citato articolo 140-bis è risultata, e risulta attualmente, di scarsissima applicazione. È sufficiente richiamare il seguente dato statistico: è riportato che tra il 2010 e il 2016 sono state esperite 58 azioni collettive risarcitorie e che tra queste soltanto 10 hanno superato il vaglio di ammissibilità e addirittura soltanto 2 sono state decise nel merito in favore della classe istante.
  Le ragioni che hanno reso difficile l'attuazione dell'azione di classe, come prevista nel citato articolo 140-bis del codice del consumo, sono variegate. Le principali cause sono costituite da alcune limitazioni di natura soggettiva e oggettiva presenti nella legge, con particolare riguardo al sistema dell'opt-in, ossia dell'adesione da parte dei consumatori all'azione proposta da un consumatore, da un'associazione o da un comitato Pag. 4 rappresentativo. La stessa giurisprudenza spesso si è trovata stretta nell'interpretazione di una norma non semplicemente decifrabile alla luce degli aspetti che ho indicato.
  Venendo alla proposta di legge, affronterò soltanto tre aspetti sostanziali, che riguardano il profilo della legittimazione ad agire, il profilo dell'omogeneità dei diritti fatti valere e la transazione, in cui mi sembra che ci siano alcuni punti che meritano di essere segnalati.
  Dedicherò poi qualche spunto di riflessione ai rapporti tra la proposta di legge C. 791 e la cosiddetta class action pubblica o amministrativa di cui al decreto legislativo 20 dicembre 2009, n. 198, che potrebbe incidere anche sul piano della legittimazione passiva de iure condito e de iure condendo, nonché ai rapporti con la proposta di direttiva COM(2018) 184.
  Vengo ai profili di natura sostanziale, partendo dalla legittimazione ad agire.
  Nella sua prima versione l'articolo 140-bis del codice del consumo prevedeva una legittimazione esclusiva in capo alle associazioni e agli enti rappresentativi dei consumatori. Senonché, già con la riforma del 2009, tale legittimazione veniva estesa a ogni individuo componente della futura classe, precisandosi, nel contempo, che le associazioni e i comitati di categoria possono promuovere il giudizio soltanto quali mandatari dell'individuo consumatore che vi partecipi.
  Ne deriva perciò che, ai sensi dell'attuale e ancora vigente articolo 140-bis, un'associazione di consumatori non può proporre in nome proprio un'azione risarcitoria di classe, atteso che questo violerebbe il disposto dell'articolo 81 del codice di procedura civile, secondo cui nessuno può far valere in giudizio diritti altrui, con conseguente arresto in rito della fase di ammissibilità. Le associazioni possono stare invece in giudizio come rappresentanti processuali specifici di uno o più consumatori, o comunque possono affiancarsi agli individui che promuovono l'azione di risarcimento o restitutoria in via collettiva.
  Nella proposta di legge C. 791 la legittimazione ad agire spetta a un'associazione o a un comitato che hanno come scopo la tutela dei predetti diritti oppure a ciascun componente della classe, e quindi in questo senso si riecheggia la formula dell'articolo 140-bis.
  Ora, a mio parere rimane qui da chiarire, in punto di ammissibilità dell'azione di classe, se l'associazione o il comitato siano legittimati ad agire proponendo in nome proprio un'azione risarcitoria o restitutoria di classe piuttosto che operare come meri rappresentanti processuali della classe.
  In questa prospettiva, ove mai avesse a esser questo l'orizzonte che si intende perseguire, occorrerà precisare, e quindi stabilire, che si è in presenza di un'ipotesi già prevista dall'articolo 81 del codice di procedura civile, che – lo ricordo – prevede che nessuno può far valere in giudizio diritti altrui, salvo che non venga disposto diversamente dalla legge.
  Il primo punto che mi sembra, quindi, di poter segnalare è quello di valutare se non sia il caso di attribuire, per dare una maggiore efficacia all'azione di classe, alle associazioni o agli enti di categoria una legittimazione ad agire in nome proprio per i diritti altrui, derogando all'articolo 81, o meglio ritenendo che si tratti di un'ipotesi speciale che non ricade nell'ambito dell'articolo 81 del codice di procedura civile.
  Il secondo aspetto riguarda l'omogeneità dei diritti fatti valere. Prima dell'intervento legislativo del 2012 di modifica dell'articolo 140-bis, in riferimento ai diritti identici una certa interpretazione restrittiva aveva creato una serie di difficoltà interpretative. Su questa linea, l'ulteriore formulazione dell'articolo 140-bis, che ha in buona parte accolto le critiche sollevate sia nella letteratura giuridica sia in giurisprudenza, specifica che la tutela in forma collettiva vale anche per i diritti omogenei.
  L'incipit dell'articolo 840-bis della proposta di legge C.791 dispone che i diritti individuali omogenei sono tutelabili anche attraverso l'azione di classe, sennonché a mio parere la disposizione non fornisce criteri utili all'accertamento ovvero all'individuazione dei tratti comuni ai diritti dei Pag. 5diversi soggetti aderenti e delle questioni personali.
  In linea di massima, ciò che sembra rilevare ai fini del soddisfacimento del requisito in esame è soprattutto la comune fonte dell'illecito subito, laddove appare irrilevante l'eventuale differente quantificazione del danno sofferto dal singolo.
  Pertanto, a mio giudizio occorre meglio precisare se i diritti individuali omogenei sono soltanto quelli la cui violazione sia il risultato di un unico evento – per cui l'elemento identificatore sarebbe costituito da quella che noi chiamiamo causa petendi, cioè il titolo agitato in giudizio, costituito da un illecito unico che produce una serie di danni di natura seriale – oppure se in modo più ampio, come ritenuto da una parte della giurisprudenza, peraltro minoritaria, per diritti individuali omogenei devono intendersi diritti similari.
  Su questa linea è il caso di considerare che la nostra Corte di cassazione, con una recentissima decisione, richiamata anche nella scheda di lettura alla proposta di legge, la decisione n. 2320 del 2018, ha ritenuto che «le finalità dello strumento processuale dell'azione di classe, introdotta dal legislatore nel 2009, appare evidentemente quella di tutelare i consumatori di fronte a condotte illegittime, che esplicano i propri effetti in maniera analoga su una pluralità di individui».
  Sembra quindi che la nostra Corte di cassazione sia orientata verso la direzione di considerare diritti omogenei solo quelli la cui violazione sia il risultato di un unico evento dannoso, che produca danni di natura seriale in capo a più soggetti.
  Vengo ora al profilo della transazione. L'articolo 840-quaterdecies, che la proposta di legge C. 791 è volta ad introdurre, interviene su un aspetto che questa volta è estraneo alla disciplina dell'articolo 140-bis del codice del consumo, vale a dire sugli accordi transattivi che possono intervenire tra le parti nel corso del procedimento.
  Nell'articolo 840-quaterdecies è previsto che, fino alla precisazione delle conclusioni, il Tribunale possa formulare una proposta transattiva o conciliativa alle parti, comunicata tramite posta elettronica certificata (PEC) a ciascun aderente e pubblicata nell'area pubblica del portale telematico. In tal caso gli aderenti possono concludere l'accordo accedendo al fascicolo informatico.
  A mio parere, rimane però da precisare cosa accade sia sul piano sostanziale sia sul piano procedurale nell'ipotesi in cui non tutti gli aderenti all'azione di classe concludano l'accordo transattivo, perché è prevista soltanto l'ipotesi in cui gli aderenti accedano e quindi concludano l'accordo transattivo. Nulla è contemplato invece nell'ipotesi in cui uno o più aderenti non concludano l'accordo transattivo.
  Inoltre, dopo la sentenza che accoglie l'azione, il rappresentante comune può concludere un accordo transattivo che viene comunicato a tutti gli aderenti. In questo caso è il giudice delegato che valuta l'interesse degli aderenti e che si esprime sull'autorizzazione al rappresentante comune a concludere o meno l'accordo transattivo.
  Ciascun aderente può contestare l'accordo transattivo in sede di fascicolo informatico, così come può revocare al rappresentante la facoltà di stipulare l'accordo transattivo, mentre, laddove non ci sia contestazione, la mancata contestazione equivale ad acquiescenza, come è specificatamente previsto.
  Nulla, tuttavia, è precisato in relazione al ruolo dell'attore: ci si limita semplicemente a prevedere che all'attore debba essere comunicata l'autorizzazione del giudice e che costui abbia un termine di quindici giorni per aderire o meno all'accordo transattivo. In questo senso sarebbe opportuno che la proposta di legge precisasse se sia possibile concludere un accordo transattivo anche contro la volontà dell'attore, cioè contro colui che ha avviato l'azione di classe.
  Ci sono poi altre due considerazioni. La prima riguarda i rapporti tra la proposta di legge C. 791, come vi accennavo, e la class action pubblica o amministrativa di cui al decreto legislativo 20 dicembre 2009, n. 198.
  In estrema sintesi, la cosiddetta «class action pubblica» è un particolare tipo di procedimento stragiudiziale ed eventualmente giudiziale che, al ricorrere delle condizioni Pag. 6 previste dalla legge, può essere avviato nei confronti della pubblica amministrazione e dei concessionari di pubblici servizi da un gruppo di utenti e di consumatori allorquando questi ultimi patiscano una «lesione diretta, concreta e attuale dei propri interessi». Trattasi di un'iniziativa che può essere introdotta anche da associazioni e comitati.
  In particolare, tale lesione diretta, concreta e attuale dei propri interessi deve consistere nel fatto che la pubblica amministrazione o il concessionario di un pubblico servizio non abbiano osservato uno o più termini, o non abbiano adottato atti amministrativi generali che dovevano invece essere obbligatoriamente emanati, oppure abbiano violato uno o più obblighi contenuti nella propria carta dei servizi, o ancora non abbiano rispettato determinati standard qualitativi ed economici.
  Va poi sottolineato che lo scopo assegnato dalla legge vigente alla class action pubblica non è mai l'ottenimento di un risarcimento del danno sofferto da singoli utenti o consumatori, ovvero dalla collettività o da un gruppo di questi, ma solo il mero ripristino del corretto svolgimento della funzione svolta dalla pubblica amministrazione ovverosia della corretta gestione ed erogazione del servizio pubblico da parte del concessionario.
  Ora, venendo alla proposta di legge, mi pare che occorra verificare se non sia opportuno un impianto omogeneo, nel codice di procedura civile, delle due sia pur diverse forme di class action allo scopo di fornire un quadro per quanto possibile uniforme di esercizio dello strumento. Ed in questa linea, poi, occorre valutare se non sia il caso di allargare il novero dei legittimati passivi alla class action, contemplando anche la pubblica amministrazione, laddove quest'ultima abbia posto in essere un'azione illecita idonea ad esplicare i propri effetti in maniera analoga su una pluralità o classe di individui.
  L'ultimo ordine di considerazioni concerne i rapporti tra la proposta di legge C. 791 e la proposta di direttiva (COM) 184 del 2018, che, contemplando una serie di aspetti ulteriori e differenti rispetto alla proposta di legge al vostro esame, rischia di condurre in sede di recepimento ad una serie di sostanziali modifiche del suo impianto originario. Nella proposta di direttiva, in particolare, una specifica protezione e tutela è concessa agli interessi collettivi dei consumatori, laddove tutto questo non vi è nella proposta di legge C. 791; tutela che verrebbe imposta agli Stati membri e che dunque occorrerebbe accordare con i diritti individuali omogenei tutelabili di cui all'articolo 840-bis del codice di procedura civile, secondo la proposta di legge C. 791.
  Ancora, nella proposta di direttiva è prevista la designazione da parte degli Stati membri di un ente legittimato alla tutela degli interessi collettivi dei consumatori, che occorrerebbe raccordare, a questo punto, con la legittimazione non esclusiva delle associazioni e dei comitati, secondo quanto previsto ancora dall'articolo 840-bis. Quindi, da un lato ci troveremmo di fronte a una direttiva che attribuisce legittimazione esclusiva a enti istituzionali, mentre dall'altro, nella proposta di legge C. 791, le associazioni e i comitati non hanno legittimazione esclusiva, e questo crea evidentemente difficoltà.
  Per queste ragioni, e anche per altri aspetti di natura procedurale previsti nella proposta di direttiva, ritengo – e concludo – che potrebbe essere forse opportuno attendere l'adozione della direttiva, e ciò allo scopo di assicurare un quadro normativo uniforme, sia pur nella prospettiva di una novella del codice di procedura civile. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie mille, professor Doria.
  Do la parola al professor Morace Pinelli.

  ARNALDO MORACE PINELLI, professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata». Il professor Doria ha – come è suo solito brillantemente – lumeggiato taluni punti. In particolare, è partito evidenziando la scarsa applicazione di questo istituto. Effettivamente, l'azione di classe dell'articolo 140-bis del codice del consumo ha avuto un'applicazione Pag. 7 minimale. Perché questo? Sostanzialmente perché, con le varie modifiche di questa norma, dalla sua introduzione nel 2007, per la prima volta si parlava di azione risarcitoria collettiva e si tutelavano interessi collettivi, abilitando soltanto le associazioni dei consumatori.
  Il rapporto tra diritti individuali omogenei e interessi collettivi è un punto chiave. L'interesse individuale è tutelato dal singolo e, quindi, è logico che l'azione di classe che ha a oggetto il risarcimento del danno veda come soggetto legittimato il singolo. L'interesse collettivo tradizionalmente è tutelato dall'associazione dei consumatori attraverso un altro strumento, vale a dire l'azione inibitoria, che indirettamente può tutelare l'interesse del singolo, perché attraverso di essa si possono anche adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi della violazione accertata. È chiaro che questi strumenti possono ricadere anche nella sfera del singolo, ma non si tratta di risarcimento del danno. Se parliamo di un prodotto difettoso, l'impresa condannata lo sostituisce o lo ripara.
  Dunque, c'è una continuità nei rimedi, permanendo tuttavia una netta distinzione. Tale netta distinzione tra diritti individuali e interesse collettivo è percepita dal legislatore del 2009, che appunto introduce per la prima volta l'azione di classe. Dunque, l'interesse collettivo resta nello schema dell'articolo 140 del codice del consumo, tutelato dalle associazioni dei consumatori, e compare la nuova categoria dei diritti individuali omogenei dei consumatori.
  Dirò subito che condivido assolutamente quello che ha detto il professor Doria: è una categoria alquanto equivoca, non appartiene alla nostra tradizione - l'abbiamo ripresa dal modello brasiliano - e comporta la difficoltà di individuare cosa significhi omogeneità dei diritti.
  In base all'articolo 140-bis del codice del consumo, sia nello schema del 2009 sia nell'attuale versione del 2012, la selezione dei rapporti giuridici ruota sostanzialmente intorno a quattro criteri. Uno è di natura soggettiva: chi può proporre l'azione? Consumatori e utenti. È introdotta quindi una prima limitazione. Un altro criterio di natura oggettiva è proprio il carattere omogeneo o identico che deve contraddistinguere i diritti di cui sono portatori i consumatori e utenti. Su questo aspetto si è registrata una forte limitazione interpretativa.
  All'inizio, nel testo del 2009, si pretendeva l'identità. Ma il predicato dell'identità è poco pertinente parlandosi di diritti individuali. Identica può essere la situazione da cui il diritto trae origine, ossia la causa petendi. L'identità di una condotta plurioffensiva, però, non significa unicità temporale; una condotta scorretta può creare, anche se perpetuata nel tempo, il medesimo danno seriale: quindi, non vi è l'unicità della condotta, per lo meno vista nel tempo.
  Inoltre, l'omogeneità può riguardare il danno. Questa è la grande questione oggi aperta: il termine «identità» è stato soppresso con la novella del 2012 perché particolarmente restrittivo; ora si parla soltanto di omogeneità. Siamo tutti d'accordo che l'omogeneità riguardi la causa petendi, il petitum in generale come azione risarcitoria o azione restitutoria. Ma il danno deve essere seriale oppure le voci di danno possono essere diverse? Si sono manifestati due orientamenti interpretativi. In un caso si è intesa la sentenza di condanna come un qualcosa che individua la somma specificamente dovuta o perlomeno i criteri di calcolo; quindi saremmo in presenza di un danno seriale. Un'altra teoria dice: no, si tratta di una sorta di condanna generica, poi in una seconda fase le voci di danno possono essere diverse.
  Ha ragione il professor Doria quando dice che noi ci portiamo dietro l'equivoco dell'omogeneità anche in questa proposta di legge. E questo è un punto rispetto al quale bisognerà decidere se sia opportuna una specificazione. È chiaro che l'azione di classe prevede una reazione seriale, quindi il tipo di danno da risarcire dovrebbe essere seriale.
  L'altro limite dell'attuale sistema è quello della tassatività delle situazioni e dei rapporti giuridici in cui si iscrive la condotta imprenditoriale lesiva. L'azione tutela una serie di rapporti specifici: i diritti contrattuali Pag. 8 di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazioni omogenee, inclusi i diritti relativi a contratti stipulati ai sensi degli articoli 1341 e 1342 del codice civile; i diritti omogenei spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto o servizio nei confronti del produttore; i diritti omogenei a ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali.
  Dunque, il diritto individuale omogeneo, in base al sistema attuale, deve spettare a un consumatore e rientrare nelle tre ipotesi tassativamente elencate. Tutto questo ha determinato un'interpretazione estremamente restrittiva che ha portato ai dati statistici indicatici dal professor Doria.
  Da questo punto di vista, la proposta di legge a mio avviso ha una valenza culturale importante, perché rappresenta un'apertura, eliminando la maggior parte dei citati limiti. Innanzitutto, l'istituto passa dal codice del consumo al codice di procedura civile, diventando quindi uno strumento con una connotazione generale. Legittimato non è più il consumatore, ma è il singolo titolare di un diritto individuale omogeneo. Dunque, dal punto di vista della legittimazione, c'è una grande apertura. Si eliminano le ipotesi tassative previste dalla precedente legislazione, quindi obiettivamente si verifica un'apertura.
  Perché erano stati imposti tutti questi limiti che hanno portato a una sostanziale disapplicazione dell'istituto? Probabilmente c'era il timore di acconsentire a uno strumento che, esercitato senza le dovute cautele, avrebbe potuto determinare pregiudizi di natura sociale.
  Io credo che questa proposta di legge abbia importanti elementi di garanzia e di cautela. Il primo è la competenza, cioè competente a decidere di queste cause è la sezione specializzata in materia di impresa. Questa è una garanzia oggettiva, perché abbiamo un giudice specializzato che, quindi, è in grado di vagliare meglio le problematiche.
  Poi c'è il filtro di ammissibilità. Noi sappiamo che tale filtro opera in due fasi: nella prima si decide sull'ammissibilità dell'azione; segue il merito del giudizio. Addirittura l'ordinanza che decide sull'ammissibilità si ritiene reclamabile in Corte d'appello, come era previsto nell'articolo 140-bis. Ora è contemplato anche il ricorso per Cassazione.
  Su questo tema, sentiremo la professoressa Pagni, che ho visto tra gli auditi di stamattina. Rilevo un fatto, ossia che il ricorso per Cassazione allunga molto i tempi, ma soprattutto che la questione si è posta anche nella vigenza dell'articolo 140-bis.
  L'ordinanza che dichiara ammissibile o inammissibile l'azione incide su diritti soggettivi in modo definitivo: è, quindi, possibile il ricorso ai sensi dell'articolo 111, settimo comma, della Costituzione? La questione si è posta e devo dire che la Cassazione a Sezioni unite ha dichiarato inammissibile il ricorso.
  Noi qui introduciamo una cautela che non è presente nell'articolo 140-bis del codice del consumo e che, secondo la Cassazione, non è indispensabile. Questa è una valutazione. Si tratta di una garanzia ulteriore: noi abbiamo di fatto questa situazione, anche perché l'impugnativa dell'ordinanza sull'inammissibilità, in base alla legge, non sospende il giudizio. Praticamente, l'impugnativa viaggerebbe sino alla Cassazione, mentre il giudizio andrebbe avanti, con tutte le conseguenze. È una questione che segnalo per una migliore valutazione.
  A me sembra che l'idea alla base di questo provvedimento sia quella di un'azione di classe vera, più matura. Non si pone tanto il problema di tutelare il consumatore. L'azione di classe serve, negli ordinamenti in cui è sorta, a inibire le pratiche scorrette e a regolamentare meglio il mercato. È uno strumento di deterrenza. L'apertura effettiva dell'azione mi sembra si collochi in quest'ottica.
  La sentenza prevede un meccanismo di opt-in. All'epoca ci fu una controversia tra opt-in e opt-out. La differenza è nota: opt-in vuol dire che solo agli aderenti all'azione di classe si applicherà la sentenza; nel caso dell'opt-out, invece, si applicherà a tutti coloro che si trovano a essere titolari della Pag. 9medesima situazione giuridica e non si sono espressamente dissociati dalla lite.
  Noi abbiamo ritenuto in dottrina, a partire da Rescigno, che l'opt-in sia più conforme ai princìpi costituzionali, e in particolare all'articolo 24 della Costituzione sul diritto di resa. Comunque, questa è stata la scelta del legislatore attuale nella proposta di legge in esame.
  È previsto un doppio ingresso, all'inizio dell'azione e dopo la sentenza. Mi chiedo: se si può aderire a sentenza vinta, chi lo farà all'inizio? Lo dico perché il concetto non è espresso, ma in altri ordinamenti uno dei requisiti per valutare l'ammissibilità dell'azione è il numero dei proponenti. Come bene ha detto il professor Doria, nella fase concorsuale che si apre dopo la sentenza a quali danni ci si riferisce? Parlare di diritti individuali omogenei pone il problema di quali danni si tratti, se del danno seriale, oppure dei danni che hanno origine dalla condotta lesiva plurioffensiva, ma che non hanno il carattere della serialità. Questo, obiettivamente, non si evince.
  C'è poi l'azione inibitoria di cui all'articolo 840-sexiesdecies del codice di procedura penale. Devo ammettere che qui, obiettivamente, ho qualche problema. Se si dice «chiunque abbia interesse», si opera un'apertura massima. Con l'espressione «interesse» immagino si voglia fare riferimento all'interesse collettivo. Pertanto, non sono più soltanto le associazioni a essere legittimate a proporre l'azione.
  Si applica l'articolo 840-quinquies, il che vuol dire che può essere immaginata come azione di classe. Peraltro, l'articolo 840-quinquies in principio fa riferimento all'ordinanza con cui si ammette l'azione di classe, il filtro. In questo caso non c'è, il che ha una logica perché un'azione inibitoria spesso marcia anche per motivi d'urgenza, tant'è che nell'attuale articolo del codice dei consumatori si prevede anche la possibilità di fare ricorso al rito cautelare. Credo che si debba fare una riflessione attenta anche dal punto di vista del rito.
  L'ultima cosa che vorrei dire riguarda la proposta di direttiva europea. Mi riferisco alla proposta di direttiva (COM) 184 del 2018. Effettivamente, problemi di coordinamento esistono, perché ci si muove in una direzione piuttosto diversa. La proposta di direttiva fa riferimento agli interessi collettivi, però si può chiedere anche il risarcimento. Legittimati sono soltanto specifici enti. Non c'è dubbio che si tratta di una prospettiva diversa. L'ambito di applicazione è parzialmente diverso, perché lì rilevano le violazioni delle disposizioni del diritto comunitario; tuttavia una certa compatibilità degli strumenti potrebbe esserci.
  Rilevo un aspetto interessante: nella proposta di direttiva si distinguono danni comparabili e danni individuali. Sembrerebbe quindi che le due prospettive (il danno seriale e il danno individuale) possano in qualche modo convivere nell'azione, però stiamo parlando di una proposta di direttiva. Vedremo quale sarà il suo contenuto una volta che sarà stata approvata e porremo mano all'interpretazione. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie mille.
  Prima di lasciare la parola al professor Papanti Pelletier, do il benvenuto al professor Vigoriti e alla professoressa Pagni. Facciamo anche gli auguri di buon compleanno alla collega Lucia Annibali.
  Do la parola al professor Papanti Pelletier.

  PAOLO PAPANTI PELLETIER, professore di diritto civile presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata». Buongiorno a tutti. Grazie per l'invito che ci è stato rivolto.
  Devo dire subito che ho esaminato la proposta di legge, e credo si tratti di uno strumento normativo opportuno e, in linea di massima - salvo quanto poi rileverò su punti specifici - ben strutturato.
  In particolare, come è stato sottolineato poc'anzi dal professor Morace Pinelli, credo sia molto opportuno estendere la tutela relativa all'azione di classe dal ristretto ambito dei consumatori utenti alle comuni persone, purché titolari di diritti individuali omogenei, le quali siano state danneggiate da condotte lesive altrui.
  Da questo punto di vista, dico subito – questa volta invece in contrapposizione rispetto a quanto detto dal collega Doria – Pag. 10che il fatto che l'articolo 140-bis del codice del consumo abbia ricevuto sino a ora una scarsa applicazione può derivare proprio dall'essere stato eccessivamente costretto in un ambito molto limitato. Nella prospettiva, invece, della proposta di legge, che estende, come ben noto, la possibilità di agire in giudizio a soggetti non appartenenti a queste specifiche categorie, ciò dovrebbe estendere il numero delle controversie.
  Oltretutto – e parlo di diversi anni fa, vale a dire degli inizi degli anni Settanta – ricordo che il professore di diritto penale Delogu diceva: ci sono alcune norme del codice penale che sicuramente saranno destinate a non essere mai applicate, per esempio la sovversione contro i poteri dello Stato.
  Chiaramente - e devo dire purtroppo - l'esperienza ci ha dimostrato quanto quelle norme siano state opportunamente pre-viste in base al principio di legalità, che soprattutto nel campo del diritto penale è particolarmente incisivo.
  Dare quindi alla collettività questa possibilità in prospettiva potrebbe portare anche ad un incremento della tutela offerta ai cittadini, dando loro dunque la facoltà di agire in giudizio.
  Quanto ai legittimati passivi, è stato già detto dal professor Doria che, oltre ai soggetti espressamente individuati nella proposta di legge, potrebbe essere considerata anche la pubblica amministrazione, perché sappiamo che tanti suoi comportamenti possono essere lesivi e ricondursi alle fattispecie che sono state delineate.
  Certamente ci sono anche aspetti critici nell'ambito di questa proposta di legge, e qui non ripeterò quanto è stato detto per quanto riguarda l'omogeneità dei diritti. Si tratta di un punto molto critico, nel senso che allo stato non è ben chiaro quando dei diritti possano dirsi omogenei; quindi mi rifarei a quello che ha detto la citata sentenza della Cassazione n. 2320 del 2018, per cui dovrebbe trattarsi di lesione di diritti derivanti da un unico evento dannoso.
  Certamente poi c'è il problema di verificare se, a seguito di questo evento dannoso, si sia prodotto nell'immediato un certo tipo di danno per un soggetto e un altro tipo di danno, magari in un momento successivo, a svantaggio di un altro soggetto. Questi aspetti saranno oggetto di interpretazione giurisprudenziale, perché sappiamo tutti che le norme nascono con una certa mens legis e poi non è detto che nell'applicazione e nella interpretazione che ne fa la giurisprudenza si segua proprio quella mens legis che è stata nella prospettiva del legislatore.
  Nell'ambito di questa proposta di legge mi sembra molto apprezzabile la distinzione fra la fase di ammissibilità della domanda, la fase del giudizio di merito e la fase della valutazione delle domande di adesione. Anche su questi punti mi riservo di fare considerazioni specifiche sulla base dell'articolato normativo, quindi con il vostro permesso mi soffermerei sull'individuazione di singoli aspetti, che, secondo il mio modesto avviso, sono critici o potrebbero essere oggetto di una più ponderata riflessione.
  Seguendo l'articolato normativo partirei dall'ultimo comma dell'articolo 840-ter, dove si dice che il reclamo davanti alla Corte d'appello e il ricorso davanti alla Corte di Cassazione non sospendono il procedimento che va avanti. A mio modesto avviso, il procedimento dovrebbe, invece, essere sospeso, perché qui gioca una logica diversa da quella che è stata la base di una scelta normativa risalente a più di venti anni fa.
  Ricordo a me stesso che parecchi anni fa le sentenze di primo grado non erano immediatamente esecutive qualora fosse stato proposto l'appello e tanto più qualora ci fosse il giudizio di Cassazione. Questo aveva dato luogo a un grosso inconveniente, vale a dire al fatto che tante impugnazioni venivano proposte all'esclusivo scopo di dilazionare i tempi.
  La modifica normativa che molto opportunamente fu introdotta rese, invece - e ha reso tuttora ovviamente - esecutiva la sentenza di primo grado. Questo ben si capisce perché la sentenza di primo grado in un giudizio normale di cognizione è una sentenza che si è pronunciata nel merito. Pag. 11Qui, invece, stiamo parlando di un'ordinanza (non è una sentenza) che si pronuncia soltanto sul profilo dell'ammissibilità.
  A me sembra incongruo che una domanda che, ipoteticamente, all'esito di questi giudizi potrebbe essere dichiarata inammissibile nel frattempo venga esaminata nel merito e produca anche tutti i suoi effetti: nell'ipotesi in cui in sede di appello o di cassazione, invece, dovesse essere ribaltato il giudizio di ammissibilità, con effetto domino vi sarebbe una caduta complessiva di tutta l'attività giudiziale che è stata svolta.
  Sempre nella prospettiva dei rilievi specifici ai quali ho fatto riferimento, vorrei soffermarmi sul secondo comma dell'articolo 840-quinquies, dove si dice: «il tribunale, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all'oggetto del giudizio». A mio modo di vedere, qui c'è una violazione del principio fondamentale del nostro ordinamento processuale, civile e penale, vale a dire dell'onere della prova. Chi agisce in giudizio ha l'onere di provare, come pure sappiamo che chi eccepisce in giudizio ha l'onere di provare il fondamento della sua eccezione.
  So bene che una disposizione analoga a quella che sto commentando era prevista nel codice del consumo, ma questo non vuol dire alcunché; potrebbe essere emendata la disposizione che allora era stata prevista.
  C'è un potere cosiddetto «officioso» del giudice – all'epoca dei miei studi universitari si diceva «ne procedat iudex ex officio» – di indagare, come se fosse una specie di pubblico ministero. Il giudice, invece, in un giudizio davanti al tribunale, in una sezione specializzata, a mio avviso, deve procedere secondo le prove che le parti hanno portato.
  Sempre nell'articolo 840-quinquies, questa volta al terzo comma, si fa un'affermazione a mio avviso non condivisibile: «quando è nominato un consulente tecnico, l'obbligo di pagare le spese, l'acconto e il compenso a quest'ultimo spettanti sono posti a carico del convenuto». Capisco bene che il convenuto, essendo un'impresa o un soggetto dotato di un patrimonio potenzialmente più cospicuo, potrebbe essere il soggetto dal quale spillare soldi, ma qui stiamo parlando di un'azione in giudizio nella quale il giudice nomina un consulente e dice al convenuto che deve pagare le spese di consulenza. Francamente, ci sono disposizioni che vanno coordinate con i princìpi. Qui noi abbiamo un'illustre esponente della nostra accademia, anche lei dell'università di Tor Vergata, la professoressa Ferraioli. Determinati princìpi di carattere processuale non possono essere completamente disattesi. Capisco talune scelte di carattere politico, sulle quali non voglio entrare. Noi qui stiamo facendo discorsi di carattere tecnico. Tuttavia, alcuni profili di carattere tecnico vanno considerati.
  Sempre a proposito dell'articolo 840-quinquies, al medesimo terzo comma, che stavo leggendo, si fa un'altra affermazione, a mio avviso, non comprensibile e soprattutto non coerente con i princìpi processuali. Una volta nominato il consulente tecnico d'ufficio (CTU), normalmente, in un qualunque processo, davanti al tribunale il giudice pone le spese di consulenza a carico delle parti o della parte richiedente, a seconda dei casi. Qui, invece, c'è un'affermazione normativa molto precisa. Si dice: «L'inottemperanza all'obbligo di cui al presente comma – cioè l'obbligo di pagare il consulente per la sua opera di consulenza – non costituisce motivo di mancata accettazione o di rinuncia all'incarico».
  Dunque, un povero CTU il quale si trovi a essere officiato di una consulenza tecnica di fronte alla quale ci sia il rifiuto del pagamento da parte dei soggetti obbligati a farlo deve comunque andare avanti con la sua consulenza, che potrebbe essere anche molto complessa.
  Pensate a quei pochissimi casi di cronaca ai quali ha fatto riferimento il professor Doria. Per esempio, pensate al caso della Volkswagen e dei difetti strutturali. Un consulente d'ufficio, per redigere una perizia adeguata su queste questioni, dovrà innanzitutto affrontare spese considerevoli e poi anche impegnare buona parte del suo tempo. Il fatto che debba comunque andare Pag. 12 avanti nell'esercizio di quest'attività, prescindendo dal fatto che venga pagato o no, mi sembra, francamente, non condivisibile.
  Proseguo con l'elencazione. Scusatemi se mi sono prefisso questo criterio metodologico. Diversamente dagli illustri colleghi, che hanno fatto discorsi in apicibus, io sono andato un po’ terra terra a verificare le singole disposizioni normative.

  PRESIDENTE. Professore, mi perdoni, è molto apprezzato che lei proponga critiche specifiche al testo, perché ciò servirà eventualmente per redigere proposte emendative. Le faccio un'unica preghiera: per consentire di intervenire anche al professor Vigoriti e alla dottoressa Pagni, abbiamo tempo fino alle 11. E vorremmo lasciare spazio anche alle domande dei commissari.
  Le ripeto che eventualmente - e lo dico a tutti gli auditi -, nel caso in cui ci fossero ulteriori osservazioni da proporre a questa Commissione anche per iscritto, saremmo molto contenti di riceverle.

  PAOLO PAPANTI PELLETIER, professore di diritto civile presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata». Vado a un aspetto specifico, ma un po’ telegraficamente. All'articolo 840-septies, terzo comma, si prevede la valutazione da parte del giudice di dichiarazioni di terzi rese a un avvocato.
  Io esprimo forti perplessità relativamente a questa modalità di acquisizione delle prove, perché non c'è la medesima garanzia del teste che si presenta davanti al giudice. Non giura più, come sappiamo, ma assume quantomeno l'impegno formale di dire la verità, e così via. In una conversazione con l'avvocato, invece, forse certi aspetti di carattere deontologico potrebbero essere trascurati.
  Un altro punto vorrei sottolineare con riguardo all'articolo 840-novies, al sesto comma in particolare, per ciò che attiene alle spese di procedimento. Si parla del famoso compenso premiale.
  Non capisco bene, francamente, la ragione per cui, nel caso in cui il soggetto attore risulti vincitore, abbia una sorta di compenso premiale per sé e per l'avvocato.
  Non si potrebbe più semplicemente fare riferimento al principio fondamentale del diritto della procedura civile, e cioè al principio generale di soccombenza? Chi perde il giudizio, paga anche le spese di causa. Si potrebbe, eventualmente, in questa che è una normativa speciale, specificare ulteriormente che il compenso dovuto è proporzionato alla quota lite, come si dice normalmente.
  Un altro aspetto, e poi cedo la parola agli illustri colleghi, riguarda l'articolo 840-decies. Al secondo comma si prevede una situazione particolare. Si prevede che assuma la qualità di parte nel giudizio di impugnazione un soggetto aderente il quale in primo grado non ha, per espresso disposto normativo, de iure condendo, la qualità di parte. Qualora l'attore che abbia perso la causa non intenda proporre l'impugnazione, potrebbe proporla uno degli aderenti, il quale soltanto nel giudizio di appello assumerebbe la qualità di parte. Questo, francamente, mi lascia molto perplesso dal punto di vista processuale.
  Ci sono altre osservazioni che eventualmente potrei lasciare per iscritto. Grazie dell'attenzione.

  PRESIDENTE. Volentieri, grazie.
  Salutiamo i professori Doria e Morace Pinelli. Non so se anche lei, professor Papanti Pelletier, debba allontanarsi o se invece possa trattenersi con noi.

  PAOLO PAPANTI PELLETIER, professore di diritto civile presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata». Posso trattenermi.

  PRESIDENTE. Perfetto. Grazie mille per essere stati qui, professori Doria e Morace Pinelli.
  Do quindi la parola al professor Vigoriti.

  VINCENZO VIGORITI, professore di diritto privato comparato presso l'Università degli studi di Firenze. Porto qui l'esperienza di studi e di attività all'estero, negli Stati Uniti, a Bruxelles e anche in Brasile, su questo tema. Pag. 13
  Questo tema mi è sempre stato simpatico; non sono stato molto ricambiato per la verità, quindi, più che amore, è stata una forte simpatia. Farò poche osservazioni, rapidamente.
  Soprattutto a Bruxelles c'era il terrore pieno da parte degli Stati membri di usare la terminologia di "azione di classe", perché l'azione di classe si riferisce a un istituto americano, nordamericano, quindi si parla soprattutto di Stati Uniti, ma anche di Canada, Brasile, Australia e altri Paesi, tanto che la proposta di direttiva è assai elaborata non tanto nelle raccomandazioni contenute, quanto negli studi preliminari.
  A Bruxelles sono state costituite Commissioni dove si sperimentavano sempre le solite opposizioni: «ma scherziamo? C'è il ricatto, le povere imprese devono subire», affermazioni che erano anche ragionevoli da sentire, ma che sembravano opporsi definitivamente allo schema di azione di classe, preferendo sempre il modello western, vale a dire uno contro uno e vediamo chi vince.
  Suggerirei quindi di usare una terminologia meno drammatica, vale a dire quella utilizzata dalla proposta di direttiva che parla di ricorso collettivo a fini inibitori oppure a fini risarcitori, con due tipi di legittimazione: la legittimazione della pluralità di interessati e la legittimazione di certi enti.
  Nel campo della pluralità di interessati si pone la scelta, di cui ha parlato il collega, tra l'opt-in, per cui fa parte dell'azione chi decida di farlo, e l'opt-out, per cui tutti ne fanno parte e sta fuori solo chi vuole.
  L'opt-in è generalmente supportato dall'invito al diritto di difesa ed è il modello europeo, tuttavia due Paesi non da poco hanno scelto invece l'opt-out, e lì funziona meglio. I due Paesi sono il Regno Unito e il Belgio – che, come si sa, è sempre pronto alle esperienze – a cui si aggiungono le doglianze in Francia, dove, in presenza appunto di un'azione di gruppo di cui fa parte chi lo decida espressamente, si lamenta il fatto che non partecipi nessuno, soprattutto quando si tratta di piccoli crediti o dell'azione inibitoria.
  Questa è un'esperienza di cui dobbiamo tener conto: ovviamente, non abbiamo da insegnare cos'è il diritto di difesa agli inglesi, ai franco-belgi o ai tedeschi, lo sanno tutti. Si tratta di una scelta di opportunità: è difesa dire «vieni nel processo solo se lo vuoi», quando si sa che per 100 euro non lo farà nessuno, o è meglio dire «guarda, se vuoi vai fuori, lo dici e punto e basta», al che si pone l'ulteriore problema «io non ne sapevo nulla»? Come faccio ad andar fuori da qualcosa di cui non ero assolutamente informato? Ci sono, quindi, tutti i problemi della notifica e delle manifestazioni di volontà, di cui questa proposta di legge tiene conto, perché parla di soluzioni informatizzate. Non si tratta più di mandare l'avvocato in cancelleria, ma di soluzioni informatizzate che potrebbero risolvere la questione.
  Badate che la proposta di direttiva dell'Unione europea dice che di solito gli Stati dovrebbero fare la scelta dell'opt-in, però se non la fanno non c'è nulla di male. Sono liberi di sperimentare alternative a questa soluzione.
  Un altro problema è quello delle posizioni di vantaggio. Noi abbiamo la solita storia dei diritti omogenei. Pare che timidamente si vada verso un'interpretazione ragionevole, vale a dire che si tratta diritti simili, che poi è la stessa cosa che succede sia in America, sia in Brasile sia in Canada: diritti omogenei significa diritti in cui la ragione del chiedere, la causa petendi, è simile se non perfettamente identica.
  Per quanto riguarda l'Unione europea, viene introdotto il ricorso collettivo a fini risarcitori, che non è generale, ma è previsto per un numero enorme di situazioni di vantaggio tipiche dell'Unione europea. Guardate che, a parte le critiche, è lì che si va. Indietro a me pare difficile pensare che si possa andare.
  Per esempio, si parte dalla responsabilità del produttore, che è un tema classico dell'Unione europea, fino al recentissimo geoblocking (non so neanche cosa voglia dire, però nella proposta di direttiva di parla di geoblocking). Le situazioni di vantaggio lese da questo sistema sono attivabili in forma collettiva. Pag. 14
  Naturalmente si sta parlando per il momento di azione inibitoria, vale a dire relativa a fatti potenziali, mentre l'azione risarcitoria riguarda eventi plurioffensivi che si sono già verificati.
  Una delle fasi più delicate dell'azione di classe è quella dell'ammissibilità, che in tutti i Paesi è disciplinata con una notevole attenzione.
  Chi ha redatto questa proposta di legge l'ha disseminata di numerosi termini. Ci sono termini di cinque, quindici, trenta e quaranta giorni, disseminati senza alcuna logica. Come ognuno sa, non ci sono termini perentori per i giudici nel mondo, perché il giudice potrebbe dire: «Come? Devo fare questo entro quaranta giorni, mi chiami a fare un collegio, ci perdo una mattinata... e poi come faccio?». Per le parti, invece, sì.
  Questo è un percorso a ostacoli, un trabocchetto continuo, tale che se fossi un amministratore delegato di qualche bella società, chiamassi un avvocato e gli dicessi «Guardi, avvocato, prende lei in carico quest'azione?», potrei anche aggiungere «Guardi che se la perde può anche smettere», perché la conduzione è talmente facilitata che è difficile risultare soccombenti.
  Passo al meccanismo che vale per le sospensioni della causa pendente. Per forza, se uno fa l'appello, sono tre anni – facciamo che valgano (non so se valgano e non so dove) le istruzioni del Consiglio superiore della magistratura – meno un anno, più i tempi della Corte di cassazione, che non si sa quanto ci mette, ma quasi sempre più di quello che ci si aspettava. Cosa faccio? Aspetto il procedimento sul merito tre o quattro anni? Questo vuol dire semplicemente che non voglio fare niente. Quindi siamo favorevoli all'ipotesi che non vi sia alcuna sospensione.
  Poi, naturalmente, ci sono la notifica al pubblico ministero (PM) e la presenza del PM. Ma il PM che ci sta a fare? Il PM è funzionalmente destinato al penale. Talvolta vi sono deviazioni nel civile, ma che il PM debba essere un officiato in questa fase e poi nella successiva mi sembra un'esagerazione.
  C'è qualche aspetto importante, tale da poter sancire il fallimento totale della proposta di legge. Il primo è quello del consulente tecnico d'ufficio (CTU). Si dice che il CTU deve essere pagato dal convenuto. Va bene, è strano, ma chi lo deve pagare? Gli altri rischiano 100 euro. C'è un CTU e c'è un sacco di lavoro da fare. Si chiedono i soldi in anticipo o dopo; si manda una lettera a tutti gli aderenti, a tutte le associazioni certificate o rappresentative? Questo è un problema concreto.
  Guardate, il CTU è costosissimo. Penso non soltanto al dieselgate Volkswagen, ma anche, per esempio, al vecchio caso, che forse alcuni ricorderanno, del talidomide o al caso delle operazioni bancarie, in cui le banche si passano dieci volte le stesse cose con o senza commissione. Sono questioni molto impegnative.
  Certo, capisco che il CTU, se accetta l'incarico, prima o poi sarà pagato, perché ci sarà il provvedimento del giudice, che è esecutivo. Se vuole, può non accettare, ma non dovrebbe cominciare e poi, non essendo pagato, rinunciare.
  Come secondo e ultimo punto, c'è il discorso sugli avvocati. La raccomandazione dell'Unione europea è assai generica e afferma che gli avvocati dovrebbero essere invitati a comportarsi correttamente. È acqua fresca. Guardate, qui non si ha idea di che cosa voglia dire fare l'avvocato in questo tipo di situazione. Ci sono milioni di euro da anticipare, un sacco di soldi. Non si può dire a un avvocato ad Ascoli Piceno, a Firenze o in un piccolo centro di fare la consulenza, e poi si vedrà. Così non è possibile.
  Ci sono studi specializzati in questo. So di studi inglesi che si sono già offerti, a Milano, di venire a fare la consulenza, avendo le risorse personali – ci vogliono 5-6 persone per stare dietro a tutto – per seguire la questione.
  Come ultimissimo punto, in merito a ciò che la proposta di legge prevede per il compenso degli avvocati, l'espressione «quota lite» è tecnicamente sbagliata, tant'è che in un'altra parte dell'elaborato si parla di «compenso premiale». La quota lite è tutta un'altra cosa ed è molto pericolosa, Pag. 15 perché il titolare del diritto diventa l'avvocato.
  Io faccio un patto di quota lite con un soggetto e gli propongo di fare la transazione nella class action controllata dal giudice, perché abbiamo già preso abbastanza. Il cliente, invece, dice di andare avanti ad sanguinem. I soldi, però, sono anche miei. Non si può fare così. Poi si dibatte se si può oppure no. Quindi, diventa proprietario quello.
  Il compenso premiale di cui parla la proposta di legge prevede una maggiore percentuale per scaglioni, che è esattamente ciò che la raccomandazione dell'Unione europea sconsiglia, perché così si incentiverebbe il contenzioso.
  In una valutazione d'insieme sono favorevole a un rimedio di carattere collettivo, ma deve essere più ragionato nell'affrontare i problemi. In alcune zone del nostro Paese l'azione non ci sarà mai, in altre ci sarà di sicuro.
  Quanto all'aspetto dei professionisti – quindi a il CTU; ma c'è anche il consulente tecnico (CT) di parte – questi devono essere pagati, e quanto più lavora il CTU, tanto più dovranno lavorare anche i CT di parte, con ulteriori problemi e ulteriori soldi, che vi assicuro, una volta che si è cominciato, non si possono più chiedere a nessuno. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, professor Vigoriti.
  Lasciamo la parola alla professoressa Pagni.

  ILARIA PAGNI, professoressa di diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Firenze. Buongiorno. Grazie dell'invito.
  Partirei dal presupposto che, come ha detto il professor Vigoriti, noi abbiamo già quello che egli ha chiamato ricorso collettivo in funzione risarcitoria e in funzione inibitoria. Il termine ricorso, se lo trapiantiamo nel nostro sistema, diventa azione. Non la chiamiamo azione di classe. Comunque, la cosa importante è che si tratta di un rimedio non soltanto con vocazione risarcitoria, ma anche con funzione inibitoria, perché questa proposta di legge prevede all'articolo 840-sexiesdecies anche l'azione inibitoria, e questo è importantissimo.
  Tutte le difficoltà che si sono avute a proposito dell'azione risarcitoria, infatti, si sono sperimentate in modo molto minore nel caso dell'azione inibitoria, per cui gran parte delle associazioni hanno promosso quella per ottenere determinati risultati. Ci arriverò tra poco.
  La mia premessa di metodo è questa.
  Io ritengo, proprio perché questi sistemi già esistono, che non si debba criticare il testo attuale. Prescinderò completamente da valutazioni di tipo politico, quale quella relativa al patto di quota lite. Bisogna, però, tener conto che questa proposta di legge ha dimenticato, forse perché la gestazione è stata contemporanea a quella della sentenza della Corte di cassazione sui danni punitivi, che nel nostro sistema a questo punto stanno cominciando ad avere ingresso i danni punitivi, quindi il meccanismo dovrà essere raccordato.
  Dicevo che non parlerò del profilo «politico», ma mi soffermerò su alcuni profili più strettamente tecnici, da processual-civilista, che sono già stati esaminati dai nostri tribunali e dalla nostra Corte di cassazione, rispetto ai quali quest'articolato dà risposte che non sempre riprendono gli esiti della giurisprudenza. Questo non è né un bene né un male. Si tratta semplicemente di esserne consapevoli, nel presupposto che poi i nostri tribunali saranno chiamati nuovamente ad affrontare questi problemi.
  I punti sui quali mi voglio soffermare in questi dieci minuti sono sostanzialmente cinque, e per ciascuno di questi illustrerò alcune criticità. Non guarderò, quindi, agli aspetti positivi del testo. Evidentemente, tutto ciò di cui non parlo è qualcosa che, dal mio punto di vista, può essere apprezzato. Mi soffermerò, invece, sugli aspetti che probabilmente potrebbero essere migliorati o rimeditati.
  Il primo aspetto è quello relativo all'ampliamento dell'ambito oggettivo e soggettivo. Pag. 16
  L'articolo 840-bis, abbiamo detto, dal punto di vista dell'ambito soggettivo prescinde da qualunque riferimento ai consumatori e agli utenti e sostanzialmente, dal punto di vista del tipo di diritti, guarda ai cosiddetti diritti omogenei.
  Noi sappiamo che il codice di procedura civile non conosce la categoria dei diritti omogenei. Peraltro, non conosceva neppure la categoria dei diritti identici, che precede questo testo normativo, perché i diritti identici non sono tali nel momento in cui i soggetti sono diversi. È evidente, quindi, che dobbiamo trovare una terminologia diversa da quella alla quale siamo abituati.
  La giurisprudenza in qualche modo ha messo a fuoco il concetto di diritto omogeneo calcando l'accento sul profilo della condotta. Ecco, sorprende un po’ il fatto che in questo testo di legge non si sia accentuato l'aspetto della plurioffensività della condotta, ma ci si sia limitati a fare riferimento, e soltanto nell'azione risarcitoria – nell'azione inibitoria il presupposto e la condotta sono diversi –, ai fatti cagionati nell'esercizio dell'attività.
  Ora, i fatti cagionati nell'esercizio dell'attività intanto sono soltanto gli illeciti extracontrattuali, mentre noi abbiamo davanti atti e fatti, quindi è più corretta la terminologia utilizzata nell'articolo 840-sexiesdecies a proposito dell'azione inibitoria, dove si parla invece di atti e comportamenti plurioffensivi. Non ha senso nel medesimo testo di legge utilizzare due espressioni diverse. Proprio perché vogliamo risolvere il problema dell'omogeneità del diritto – e giustamente si diceva che i diritti sono omogenei purché quanto all'an si abbia lo stesso tipo di diritto, poi sotto il profilo del quantum possono differenziarsi – mettere l'accento sull'aspetto della condotta può essere importante.
  Un altro tema che non è risolto e che si complica è il fatto che siamo al di fuori della tutela consumeristica: si dà la legittimazione, cioè la possibilità di agire, alle associazioni e ai comitati che abbiano come scopo la tutela di questi diritti.
  Noi sappiamo quanto questo abbia creato problemi con riferimento alla tutela consumeristica, a maggior ragione se estendiamo il campo a tutte le possibili condotte plurioffensive. Queste associazioni e questi comitati, infatti, a che titolo intervengono nel processo? Nella precedente versione si parlava di dare mandato, e già questo aveva creato problemi interpretativi. Ora non si dice più neppure questo.
  Allora, il tema è: stiamo parlando di una legittimazione ad agire, di una rappresentanza processuale ex articolo 77 del codice di procedura civile, o di un'altra figura? È un aspetto importantissimo, perché poi questi soggetti dovranno anche avere il potere di disposizione del diritto, e non soltanto a fini conciliativi. Si pone anche un problema di prova.
  Dovremo quindi chiarire la questione. E credo che il legislatore lo possa fare, anche se ha ragione chi mi ha preceduto a dire che la mens legis non sempre viene seguita dalla giurisprudenza. Tuttavia, se il legislatore non focalizza meglio questo aspetto, certamente i problemi interpretativi saranno moltissimi, anche perché si abroga l'articolo 139 del codice del consumo, vale a dire norma che prevede l'iscrizione nell'elenco delle associazioni. La si abroga, dimenticando tuttavia che la norma era utile anche a fini diversi, perché il codice del consumo è costituito anche da altre disposizioni, quali quelle a tutela delle clausole vessatorie.
  Non dimentichiamo che, con l'articolo 33 del codice di procedura civile, le azioni seriali possono essere proposte indipendentemente da questo meccanismo, cioè esiste una sorta di litisconsorzio facoltativo improprio in cui tutti possono agire e le associazioni possono intervenire. È successo nel caso Uber, è successo nel caso Carige: la Corte di cassazione ha dovuto interrogarsi sulla possibilità per queste associazioni di intervenire nel giudizio e ha risolto la questione attraverso l'articolo 139 del codice del consumo, che non ci sarebbe più.
  Passiamo alla materia discriminatoria. Se allarghiamo le condotte a tutti gli illeciti plurioffensivi uscendo dal codice del consumo, andiamo a comprendere anche quelle materie che sono regolate nel nostro sistema Pag. 17 da leggi diverse, per esempio la materia discriminatoria per quanto riguarda il codice delle pari opportunità in tema di discriminazioni per sesso, razza, lingua. Si tratta di una disciplina a sé, oltretutto con una competenza particolare del giudice del lavoro.
  Qui invece noi abbiamo la competenza del Tribunale delle imprese. Se non si fa un raccordo e non si chiarisce questo punto, si rischiano ulteriori problemi interpretativi.
  Quello del raccordo tra le azioni è il tema principale. Alcuni problemi sono risolti nella nostra proposta di legge: è fermo il diritto all'azione individuale (questo è detto), non è ammesso l'intervento di terzi ai sensi dell'articolo 105 del codice di procedura civile, sono fatte salve le disposizioni dell'azione di classe nei confronti della PA, è regolato dall'articolo 840-quater il caso della pluralità delle azioni di classe, vale a dire la stessa azione di classe che venga riproposta.
  Qui mi permetto soltanto di segnalare che, quando si dice che l'azione è stata respinta oppure accolta e non si possono riproporre nuove azioni, si crea un regime diverso tra rigetto e accoglimento: un anno senza il passaggio in giudicato nel primo caso, il passaggio in giudicato senza l'anno nel caso dell'accoglimento. Un chiarimento su questo punto anche semplicemente nella relazione illustrativa andrebbe dato.
  L'ultimo punto affrontato espressamente dalla proposta di legge è il seguente: se è proposta un'azione inibitoria dentro all'azione di classe risarcitoria, le azioni si separano. Questi sono gli aspetti risolti. Cosa rimane aperto? Rimane aperto il tema delle chiamate. Si escludono gli interventi, non si escludono le chiamate: la dottrina processualistica si è interrogata su questo aspetto e ora, con l'allargamento delle condotte, le ipotesi delle azioni di malleva, quindi delle chiamate in garanzia, sono sicuramente maggiori.
  Non è compiutamente tratteggiato il rapporto con la class action nei confronti della pubblica amministrazione. Nell'articolo 140-bis del codice del consumo si dice che è fatto salvo il risarcimento danni riconosciuto dalle carte dei servizi, ma qui non se ne parla più.
  Manca (questo è importantissimo perché non c'è una particolare attenzione al tema antitrust) il raccordo con i provvedimenti delle autorità indipendenti. Nel 2017 è stato introdotto, in attuazione della direttiva europea, un decreto legislativo relativo al private enforcement in materia antitrust ed è stato stabilito che la competenza del Tribunale delle imprese in quel settore particolare, anche per le azioni di classe, sia concentrata nelle sedi di Milano, Roma e Napoli. Qui trascuriamo questo aspetto, vale a dire il raccordo tra l'istruttoria dell'autorità amministrativa indipendente, particolarmente dell'antitrust, e la prova vincolante, oggetto dell'articolo 7 del suddetto decreto legislativo. Ciò è saltato completamente nella proposta di legge. Bisogna ritornare su questo aspetto.
  Ci sono poi le due azioni di classe proposte da soggetti diversi. Immaginate i tabagisti e i parenti dei tabagisti, che possono lamentare danni da fumo passivo; sono diritti omogenei sia quelli di una classe sia quelli dell'altra: benché diversi fra loro, si basano sui medesimi fatti nei confronti del medesimo convenuto.
  La norma fa salva la possibilità di una seconda azione di classe, purché si tratti di diritti che non potevano essere fatti valere prima. In realtà, questi diritti potevano essere fatti valere prima, ma sono diritti diversi e quindi non bisogna prevedere una preclusione per questo tipo d'azione. Si tratta di un altro tema che non viene affrontato.
  Dal mio punto di vista il più interessante di tutti è quello del raccordo azione inibitoria-azione risarcitoria, come ho detto in apertura. Perché è importante? Perché è vero quello che diceva il professor Vigoriti: ci sono centri molto piccoli dove l'azione di classe stenterà sempre a decollare, ma non ha mai stentato a decollare per chi conosce lo strumento dell'articolo 140 del codice del consumo, vale a dire l'azione inibitoria.
  L'azione inibitoria, che è ricalcata in questo nuovo testo di legge, prevede infatti anche la possibilità di chiedere la rimozione degli effetti delle condotte, che allora Pag. 18si diceva "dannosi", mentre nel testo in esame il termine è scomparso. La rimozione degli effetti non è altro che la restituzione, quindi siamo molto vicini all'azione risarcitoria.
  Cosa ha fatto la giurisprudenza che si è interrogata su questo tema? La Corte di cassazione ha detto con chiarezza nel 2011 che l'azione inibitoria può fissare la responsabilità del convenuto, il nesso causale, il pregiudizio potenziale e alleggerire dall'onere probatorio tutti i soggetti che vadano ad agire in coda a un'azione inibitoria. In pratica, l'azione di classe diventa quasi inutile, perché l'azione inibitoria ha già fissato il presupposto.
  Ci sono stati casi – per questo dicevo che non è questione di piccoli centri – in cui, per esempio in materia di anatocismo, l'azione inibitoria promossa dall'associazione di consumatori ha portato i giudici a condannare le banche imponendo loro di non rifiutare le richieste di restituzione da parte degli utenti. Non c'è stata, quindi, una condanna diretta, perché non avevano agito nei confronti degli utenti, ma un ordine di non rifiutare le richieste, che è sostanzialmente la stessa cosa.
  Addirittura nel famosissimo caso Mediaset Premium, relativo alla smart card, e nell'altro caso Sky Magazine, quando era stato addebitato in bolletta all'utente un prezzo bassissimo (centesimi di euro) per l'acquisto di una rivista, il tribunale di Roma ha condannato sia Sky che Mediaset a rimborsare a tutti gli utenti, semplicemente su richiesta, le somme che in qualche modo gli fossero state sottratte e persino a riaccreditargliele sulla fattura successiva. Si tratta di milioni di euro, perché i centesimi di euro moltiplicati per una quantità di utenti e consumatori sono milioni.
  È allora evidente che lo strumento dell'azione inibitoria deve essere studiato di più; non può essere considerato il fanalino di coda di una legge tutta incentrata sulla class action, perché in realtà si tratta di uno strumento particolarmente importante e significativo.
  Mi avvio rapidamente alla conclusione. Il terzo punto riguardava la competenza attribuita al tribunale delle imprese, di cui ho già detto. Bisogna raccordare inevitabilmente il decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168, con questa disciplina, perché altrimenti non si tiene conto di tutte le modifiche normative intervenute e la norma diventa incomprensibile.
  Il quarto punto è relativo alle tre fasi: la fase di ammissibilità, la fase di merito e la fase di liquidazione. La soluzione per me è condivisibile, ma ci sono da fare piccoli rilievi. Sul primo punto (la previsione del reclamo in luogo dell'appello), faccio presente che tutte le volte che si usa il termine «reclamo» i nostri giudici non hanno chiarezza di idee, perché il reclamo è concepito come cosa diversa dall'appello. Si applica lo statuto dell'appello? Forse andrebbe chiarito.
  In merito al ricorso per cassazione, personalmente non sono d'accordo che si ricorra per cassazione contro un provvedimento che non è né decisorio né definitivo. L'avevo scritto, la Corte di cassazione l'ha detto. La legge individuerà una soluzione diversa: va benissimo, è una scelta del legislatore. L'importante, però, è che si chiarisca qual è il termine, perché non si dice se è un termine dimezzato o intero. Del termine dimezzato si parla a proposito dell'impugnazione della sentenza di merito e non qui; quindi lì abbiamo trenta giorni anziché sessanta, qui non sappiamo quale sia il termine. E soprattutto non si dice neppure se si applica il termine lungo. Forse sarà il caso di chiarirlo, visto che, come diceva il professor Vigoriti, ci sono tanti termini, tutti diversi; almeno qualcuno chiariamolo meglio.
  Vengo al procedimento. Il professor Papanti Pelletier ha detto che c'è una violazione del principio del contraddittorio. La verità è che il testo vigente è anche meno rispettoso del principio del contraddittorio, perché dice: «Il tribunale regola nel modo che ritiene più opportuno l'istruzione probatoria». In fondo il meccanismo utilizzato adesso è copiato pari pari dal rito Fornero e anche dall'articolo 669-sexies del codice di procedura civile in materia cautelare, facendo la differenza fra i provvedimenti indispensabili e i provvedimenti rilevanti. Pag. 19Dunque, in realtà è un modulo procedimentale che, se basato soltanto su un problema di forme e termini, non crea alcuna difficoltà; se, invece, ha a che fare con l'onere della prova, allora salta completamente il meccanismo.
  L'onere della prova salta anche perché si fa ricorso alla prova statistica e alle presunzioni semplici. Facciamo attenzione: prova statistica e presunzioni semplici non sono soluzioni da utilizzare a piene mani. La Corte di giustizia ne ha consentito l'utilizzo, ma nella tutela consumeristica, mentre qui stiamo parlando di una tutela a tutto campo.
  Mi avvio veramente alla conclusione. La terza fase, quella della liquidazione, è ricalcata sul diritto fallimentare, come se il progetto di stato passivo fosse lo stesso che fa il curatore. Non a caso, il rappresentante degli aderenti deve avere i requisiti per la nomina a curatore.
  Mi domando: che senso ha che sia nominato come rappresentante degli aderenti un esperto contabile, con tutto il rispetto per l'esperto contabile, che però di processo non sa niente? Un conto è il curatore, che comunque ha già avuto grosse difficoltà a sollevare le eccezioni in senso stretto nella legge fallimentare; un conto è qui. Mettiamo un soggetto che non ha fatto neppure l'esame di diritto processuale civile, costretto a confrontarsi con un meccanismo processuale che, come ricordava il professor Vigoriti, è complicatissimo. E poi gli affianchiamo degli esperti. Perché degli esperti? Deve essere lui l'esperto di diritto in grado di gestire il progetto di stato passivo.
  Questa è un'altra soluzione che onestamente non capisco. Mi sembra più frutto di una copiatura di norme, così come è il risultato di una copiatura di norme anche il meccanismo del reclamo, dell'impugnazione. È copiato dall'articolo 99 della legge fallimentare, però ci siamo dimenticati che lì i nova sono possibili, e qui non sono previsti; qui si fa intervenire chiunque vi abbia interesse, ma non c'è una ragione per cui debba intervenire chiunque vi abbia interesse in un progetto di stato passivo fatto per alcuni aderenti. In terzo luogo, non si chiarisce se il provvedimento sarà ulteriormente impugnabile in Cassazione, cosa che, invece, va detta, perché nel citato articolo 99 ciò era previsto.
  Chiudo con due notazioni. Una è sull'inibitoria collettiva. L'espressione «chiunque vi abbia interesse» è copiata dall'articolo 1421 del codice civile, in materia di nullità del contratto. In quel caso chiunque vi abbia interesse è il soggetto titolare di un diritto dipendente, pacificamente. Non si tratta dell'interesse ad agire o di altro tipo. Qui l'interesse dovrebbe essere la titolarità di una situazione soggettiva dipendente, ma da che cosa, se non è chiarito bene il presupposto oggettivo della norma?
  Ancora, come è già stato detto, si richiama il nuovo articolo 840-quinquies del codice civile, voglio immaginare quanto al rito e non quanto alle adesioni, perché le adesioni non avrebbero senso. Chiariamo una volta per tutte se questi sono riti speciali o riti ordinari. Nella relazione si parla di riti ordinari. Poi, però, per come sono disciplinati, sono costruiti come riti speciali.
  Segnalo poi una norma che proprio non è accettabile. Su tutto il resto sono a disposizione per eventuali ulteriori approfondimenti. Ma una norma è proprio inaccettabile. Come si fa a prevedere che il tribunale, anche d'ufficio, ordini al convenuto di adottare le misure più opportune a eliminare o ridurre gli effetti delle violazioni accertate? Questo è un contrasto frontale con il principio della domanda. Qui, inevitabilmente, i princìpi cardine del nostro processo civile devono essere ripristinati. Il tribunale può prendere questo provvedimento su domanda di parte.
  Infine, non è più prevista la conciliazione, la diffida stragiudiziale, che costituisce comunque un filtro per bloccare alcune iniziative e dare la possibilità al convenuto di rispondere. Io la reintrodurrei.
  L'inibitoria cautelare non è più prevista, ragion per cui ormai si giocherà su un provvedimento d'urgenza ex articolo 700 del codice di procedura civile, che però presuppone il pregiudizio irreparabile, mentre qui il danno, molto spesso, è patrimoniale. Pag. 20
  Infine, concludo con alcune considerazioni di forma. Nel nuovo articolo 840-bis si scrive: «un'associazione o un comitato che hanno come scopo (...) può agire». Correggiamolo.
  Nel nuovo articolo 847-septies si scrive «la domanda di adesione produce gli effetti della domanda giudiziale» e, poco sotto, «la domanda di adesione interrompe la prescrizione». È sempre un effetto della domanda giudiziale. Non serve ripeterlo.
  La previsione più bruttina è relativa al nuovo articolo 840-octies, che recita «il giudice delegato, con decreto succintamente motivato». Eliminiamo l'avverbio «succintamente»: con la Commissione redazione atti del giudice e delle parti lo abbiamo tolto ormai da tutte le norme del codice civile, anche se è si tratta di un progetto di riforma che si è fermato.
  A parte l'utilizzo dell'avverbio «succintamente», si scrive «condanna al pagamento delle somme – fin qui va bene – e delle cose dovute». Non si condanna al pagamento delle cose dovute. Almeno questo tipo di revisione formale è opportuno che venga fatta.

  PRESIDENTE. Grazie, dottoressa Pagni.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni. Li prego di contenere gli interventi per dare agli auditi la possibilità di rispondere. All'inizio delle audizioni abbiamo concordato due interventi per Gruppo, della durata di non più di un paio di minuti, perché alle 11 – e sono quasi le 11 – dovremo dare spazio anche ad altre audizioni. Prego, collega Salafia.

  ANGELA SALAFIA. Grazie, presidente. Innanzitutto vorrei ringraziare tutti gli auditi per i rilievi fatti, che ovviamente saranno tenuti in considerazione ai fini di eventuali modifiche da apportare al testo.
  Mi interessa, in particolare, una vostra opinione riguardo ad un aspetto specifico. Sull'articolo 840-ter, in materia di ammissibilità della domanda, la norma, alla lettera d) del quarto comma, – ovviamente, mi rivolgo anche al professor Pelletier – lascia uno spiraglio: si dice che la domanda è dichiarata inammissibile quando l'associazione o il comitato non sono adeguatamente rappresentativi degli interessi fatti valere in giudizio. In questo senso non viene definito in maniera precisa il numero minimo di partecipanti.
  Mi interessa una vostra opinione relativamente a questo aspetto. Vorrei capire se, secondo voi, sia effettivamente meglio precisarlo con una norma apposita, oppure demandare questo aspetto alla giurisprudenza. Mi riferisco al numero minimo di partecipanti.

  PRESIDENTE. Prego, collega Ferraioli, a lei la parola.

  MARZIA FERRAIOLI. Sarò brevissima. Non entro nelle singole fattispecie. Le ho viste, ma credo che richiedano un'attenzione maggiore. Vorrei semplicemente sottolineare un'esigenza. Si tratta di una mia idea, che ha poco a che fare con la questione specifica, ma che coinvolge l'intero discorso.
  Credo che sia ora di delegificare. Siamo affollati da leggi che si contraddicono, distanziandosi nel processo civile dai princìpi costituzionali che invece valgono nel processo penale. Quanto alla costituzione di parte civile da parte di rappresentanti di interessi diffusi, si costituiscono nel processo penale come parte civile rappresentanti di interessi diffusi che hanno subìto un danno da reato.
  Che differenza c'è tra questa categoria e l'altra? Lì si chiama azione di classe, qui anche. È una categoria di persone che porta avanti un interesse comune: c'è quindi la necessità di omologarsi, o quantomeno di considerare i due aspetti, perché non si può dire nel processo civile una cosa e nel processo penale un'altra. Si può motivare ciò, ovviamente, in ragione dell'oggetto, ma i princìpi vanno tutelati.
  Quanto al diritto di difesa, il consulente tecnico dell'accusato viene retribuito dallo Stato perché appartiene alla difesa; il consulente tecnico nel processo civile, invece, no. Non si capisce chi lo paga. Il consulente tecnico del pubblico ministero è pagato, perché è un collaboratore del magistrato, Pag. 21del pubblico ministero; nel processo civile, no. Il diritto di difesa è uno, è quello dell'articolo 24 della Costituzione, non può essere considerato nel processo penale e ignorato nel processo civile.
  Quanto poi alle categorie «omogeneo» o «identità». Chi dà contenuto a queste categorie? Certamente la legge no. Si è parlato della presunzione semplice. È il giudice che dà un contenuto. Allora, ci saranno diverse affermazioni che disorienteranno ancora di più l'ordinamento giuridico complessivo, che afferma un principio in un contesto e lo smentisce in un altro contesto.
  L'attenzione è massima in questo momento. Io vedo che, attraverso le navette – sono allucinanti dal mio punto di vista questi viaggi delle proposte di legge dalla Camera al Senato, e viceversa –, affrontiamo una serie di norme, una serie di leggi, che ci confondono sempre di più. Spesso sono ripetitive. Dovremmo semplificare e delegificare.
  So che è un'affermazione forte in questa sede. Qui siamo per fare le leggi. Però non possiamo fare le leggi perché siamo qui per fare le leggi. Dobbiamo fare leggi necessarie e coerenti, che non si contrappongano e che non complichino ulteriormente la vita dell'utente, altra categoria, professoressa, alla stregua del danneggiato. Chi indica queste categorie? Chi le individua? C'è già una legge: la modifichiamo? La modifichiamo senza aver visto la direttiva europea. È un pasticcio in questo momento.
  Segnalo, quindi, la mia preoccupazione. Non dico altro. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola al deputato Bazoli.

  ALFREDO BAZOLI. Anch'io ringrazio gli auditi per gli spunti di riflessione che ci hanno fornito. E anzi mi chiedo, e lo chiedo alla presidente, se non sia possibile avere anche un contributo scritto da parte degli auditi. Questo ci aiuterebbe molto nella nostra valutazione, nel nostro lavoro. Mi pare che i rilievi siano abbastanza puntuali. Anche prendere appunti e cercare di tener nota di tutto ciò che è stato detto non è facilissimo. Se ci fosse un contributo scritto, sarebbe utile.
  Vorrei semplicemente chiedere qualche valutazione ulteriore – in parte, già qualcuno vi ha fatto cenno – su un aspetto che a me pare abbastanza delicato e importante. Si tratta di un paio di norme che sembrano – in parte secondo me lo fanno, per l'altra parte non ho capito se lo fanno – derogare al principio di formazione della prova nel processo ordinario.
  Mi riferisco in particolare all'articolo 840-quinquies, al quarto comma, laddove si dice che «ai fini dell'accertamento della responsabilità il tribunale può avvalersi di dati statistici e di presunzioni semplici».
  «Avvalersi» di per sé non è un termine che significhi che il tribunale fonda il proprio convincimento sui citati elementi, quindi sembra pleonastico; però il fatto che lo si dica sembra alludere ad una prova che non è quella ordinaria, ma che qui obbedisce a regole diverse, per cui il tribunale può anche fondare il proprio convincimento su princìpi di prova che nel processo ordinario tendenzialmente non sono sufficienti. Vorrei capire come valutiate la norma così come è scritta.
  L'altro aspetto riguarda, invece, la norma sulla possibilità di depositare, unitamente alla richiesta di adesione alla classe che poi approfitterà della sentenza, dichiarazioni di terzi sottoscritte con l'ausilio e l'assistenza di un avvocato e quindi fuori dal contraddittorio di un processo.
  Questa è certamente un'innovazione dei princìpi generali di formazione della prova. Mi chiedo quindi come la valutiate e se sia una soluzione necessaria e utile oppure se attraverso questi princìpi non si rischi di introdurre o inoculare nel sistema qualche elemento di disomogeneità che sarebbe il caso di evitare.

  PRESIDENTE. Prego deputato Zanettin, a lei la parola.

  PIERANTONIO ZANETTIN. Ho un paio di quesiti da porre ai nostri illustri relatori. Il testo della proposta di legge, nelle intenzioni dei proponenti, amplia la portata della class action da strumento tipico della Pag. 22tutela consumistica a rimedio generale per la tutela di diritti individuali; quindi, potenzialmente in astratto con questo testo può essere convenuto ogni soggetto privato.
  Non altrettanto, avviene invece, per quanto riguarda i soggetti pubblici. Il testo prevede infatti che possano essere convenute solo le aziende pubbliche che erogano servizi pubblici. C'è quindi uno spazio molto ampio per quanto riguarda i privati, più ristretto per il pubblico.
  A vostro giudizio questa limitazione soggettiva appare coerente e giustificata? Nella logica della proposta di legge appare congruo escludere da questa azione ad esempio le authority, vale a dire gli organismi di vigilanza che pure operano nel settore dei servizi pubblici e possono con propri errori e omissioni determinare danni gravissimi alla platea degli utenti e dei consumatori? Pensiamo ad esempio alle authority che regolano le tariffe.
  Il testo non tocca un altro tema secondo me essenziale nella logica dei rapporti tra le parti, anche per attenuare il rischio del proliferare di cause temerarie ed opportunistiche: la ragionevole garanzia che la parte attrice in caso di soccombenza sia in grado di rifondere le spese legali e di causa (pensiamo ai costi dei consulenti tecnici d'ufficio spesso ingenti).
  Mi spiego meglio: il testo al nostro esame non si pone il problema della rappresentatività dell'associazione che propone la class action. Una fantomatica associazione potrebbe convenire in giudizio una grande multinazionale che ha fatto un importante investimento in Italia, senza garantire di essere in grado di rifondere le elevate spese di causa in caso di soccombenza. Come ritenete si possa ovviare a tale inconveniente?

  PRESIDENTE. Do la parola alla deputata Bisa.

  INGRID BISA. Ringrazio tutti gli ospiti di oggi. Vorrei avere un chiarimento. Siccome ho sentito esprimere tante perplessità da tutti gli auditi relativamente all'individuazione dei diritti individuali omogenei, vorrei sapere se possano darci qualche spunto per migliorare la norma.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  PAOLO PAPANTI PELLETIER, professore di diritto civile presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata». Dirò due parole per rispondere ad alcuni quesiti, senza avere la pretesa di esaminare tutto approfonditamente.
  Numero minimo dei partecipanti: direi di no. Mi ricollego a quello che diceva l'onorevole collega Ferraioli (collega in quanto professore). Bisogna in parte delegificare: quindi, dire che è rappresentativa della classe soltanto quell'associazione che abbia un numero «x» di partecipanti mi sembrerebbe eccessivo. Bisognerebbe riprendere un po’ la giurisprudenza lavoristica, quando si parlava – non so se se ne parli tuttora, io non sono uno specialista del diritto del lavoro – dei sindacati maggiormente rappresentativi. Questa è una formula invalsa, forse anche un po’ tristemente. Io non sarei comunque favorevole ad indicare un numero minimo.
  Mi ricollego all'intervento relativo all'articolo 840-quinquies. Anch'io ritengo incongruo il riferimento ai dati statistici che debbano essere in qualche misura tenuti in considerazione ai fini del processo. Qui parliamo veramente di dati che non hanno nulla a che vedere.
  Il problema delle presunzioni semplici o praesumptiones hominis, come si diceva una volta, è diverso, nel senso che nel processo civile una parte può indicare dati che non sono specificamente oggetto di prova, ma che presuntivamente potrebbero aver concorso a determinarla. Faccio riferimento per esempio all'azione di simulazione. Nell'azione di simulazione quando c'è una compravendita da padre a figlio si presume (ed è appunto una presunzione semplice) che si tratti di una donazione; è un elemento presuntivo, che il giudice potrebbe valutare positivamente o negativamente.
  Mi sono già espresso per quanto riguarda la dichiarazione di terzi resa davanti agli avvocati. Questa mi sembra francamente una soluzione da non condividere.
  Per quanto riguarda il penultimo intervento, effettivamente non mi sembra giustificata Pag. 23 la limitazione della legittimazione passiva soltanto ai soggetti privati.
  Riterrei, e l'ho detto anche nella mia breve allocuzione, che anche le pubbliche amministrazioni o più in generale i soggetti pubblici possano essere legittimati passivi, dunque convenuti in questo tipo di giudizio. Mi fermerei qui.

  VINCENZO VIGORITI, professore di diritto privato comparato presso l'Università degli studi di Firenze. Badate che quello della rappresentatività degli enti rappresentativi è un problema centrale in tutti i Paesi: chi è rappresentativo, chi non lo è, quanti ce ne devono essere. Inoltre, soprattutto l'Unione europea dice «guardiamo i soldi», vale a dire verifichiamo da chi prendono i finanziamenti e se i numeri sono consistenti.
  Effettivamente, quando si parlava dei sindacati maggiormente rappresentativi si poneva sempre il problema del numero degli aderenti, che poi si riflette sull'efficacia del provvedimento. Chi è che vince o perde, quelli che fanno capo alle associazioni o quelli che non fanno capo alle associazioni? Questo, secondo me, è il problema centrale.
  Vorrei dire una cosa, però. Le distinzioni che facciamo e le osservazioni assai pregevoli che abbiamo sentito non tengono conto di un fatto. Per prima cosa manifesto adesione alla considerazione sull'eccessivo numero di leggi e all'auspicio di una delegificazione, ma questa è un'altra questione. Qui siamo di fronte a un cambio epocale, non al processo del «ti do se me lo chiedi, quando me lo chiedi, se me lo chiedi con educazione e via discorrendo». Si tratta di una classe di persone, di un numero enorme di persone, di un soggetto che è, di per sé, classe, come dicono gli americani, ossia tanto grande da essere in grado di condizionare.
  Con questo argomento, l'istituto non può essere trattato in punta di penna. So che ci sono – ho apprezzato Ilaria Pagni quando puntualizza bene le questioni – le presunzioni, ma dobbiamo fare un salto di qualità, mettere una marcia in più, trovare qualcosa, non dire di no perché questo non torna con quest'altro e con le cose a cui siamo abituati.
  Qui bisogna impegnarsi, e questa proposta di legge lo fa. Si potrebbe fare meglio. Voi farete o altri faranno sicuramente meglio, ma il discorso è fondamentale. Immaginate che le reazioni in America alla legge sulla class action, le Federal Rules of Civil Procedure, la cui prima versione è del 1938, usavano esattamente gli stessi argomenti. Può essere strumento di ricatto, è vero, ma può anche non esserlo. Il punto è: non aboliamole ed evitiamo che finisca nel male.
  Tutti noi, anzi, meglio, tutti voi dovete fare uno sforzo per adeguare questo istituto all'esistente e derogare eventualmente all'istituto. Si tratta di un cambio fondamentale. Peraltro, ci sono milioni e miliardi di persone che vivono con questo strumento. La concretezza – consentitemela – del comparativista mi fa guardare a che cosa fanno gli altri, che sono gli americani, i canadesi, gli svedesi e i brasiliani, non gente sprovveduta.

  ILARIA PAGNI, professoressa di diritto processuale civile presso l'Università degli studi di Firenze. Ho premesso che non sono contraria al testo della proposta di legge, anche perché abbiamo già l'azione di classe risarcitoria e inibitoria. Dico soltanto che ci sono aspetti che vanno aggiustati, tenendo conto dei difetti di coordinamento. Le prove statistiche e le presunzioni semplici sono riprese pari pari dalla normativa discriminatoria.
  Nel codice delle pari opportunità c'è una norma che prevede il ricorso alla prova statistica e alle presunzioni semplici. Non ha mai funzionato, perché i dati statistici non ci sono. Non so quanto i dati statistici ci siano e cosa si intenda per dati statistici, quando si amplia rispetto a tutte le condotte potenzialmente offensive.
  Preferirei che, nel momento in cui si richiama una norma come quella del codice delle pari opportunità, si faccia particolare attenzione a cosa si vuole dire. Aveva ragione chi ha chiesto se stiamo parlando dell'utilizzo di una prova indiziaria. In realtà, la nostra giurisprudenza, quando le azioni sono seriali, fa già uso della prova indiziaria. Pag. 24
  La prova atipica - ossia le dichiarazioni scritte, non filtrate nella maniera più assoluta, raccolte non dall'avvocato, ma dalla stessa parte - viene normalmente utilizzata dai nostri tribunali nei procedimenti cautelari. Si può obiettare che quelli sono procedimenti cautelari e poi ci sarà il merito. Tuttavia, una volta che c'è stato il condizionamento del procedimento cautelare, il merito non riesce a discostarsi.
  Prendiamo posizione, una volta per tutte. Le prove nel nostro processo, che sia cautelare, seriale o a cognizione piena, devono essere prove vere e proprie? Per esempio, abbiamo già la testimonianza scritta. Abbiamo l'articolo 257-bis del codice di procedura civile. Qui introduciamo un'altra forma di testimonianza scritta diversa da quella. A me non piace la testimonianza scritta del codice di procedura civile, perché è farraginosa, ma almeno utilizziamo un solo tipo di testimonianza scritta e non due.
  Non sono pregiudizialmente contraria all'uso di questo tipo di prova atipica. Vorrei, però, che la prova atipica non fosse la prova illecita, la prova raccolta senza il rispetto del principio del contraddittorio al quale ci siamo richiamati prima. Vorrei soprattutto che fosse affermato con forza che anche in questi processi opera il principio dell'onere della prova.
  Questo non spunta l'arma, non impedisce la forza di uno strumento come quello che stiamo rivedendo. Ribadisce, però, princìpi di civiltà che prescindono dal fatto che una parte sia più forte rispetto all'altra. In caso di asimmetria tra le parti, infatti, c'è il principio della vicinanza della prova, ci sono tanti princìpi che la giurisprudenza utilizza per facilitare il compito probatorio della parte più debole.
  Quanto alle autorità indipendenti, diciamo che si aprirebbe tutto lo spazio che è stato chiuso o risolto con il problema dell'arbitro per le controversie finanziarie (ACF) e dell'arbitro bancario finanziario (ABF); la necessità di coordinamento, quindi, se doveste aprire ulteriormente anche ad altri soggetti pubblici, potrebbe essere condivisibile, ma presupporrebbe una ricognizione dell'esistente.
  Ha ragione l'onorevole Ferraioli quando dice che abbiamo troppe leggi. Non so se sia il caso di delegificare. Certamente è il caso di coordinare. Non possiamo dimenticare che abbiamo, ripeto, la normativa antidiscriminatoria, e la conoscono i lavoristi e quelli che si occupano di diritto dell'immigrazione, ma non la conoscono i processual-civilisti; abbiamo la normativa in materia di autorità indipendenti, e la conoscono i giuscommercialisti e non la conoscono i processualisti. Così finiamo per avere una gran confusione di norme. E poi facciamo un decreto semplificazione riti, ma non possiamo limitarci a semplificare i riti, dobbiamo prima avere il quadro complessivo.
  Facciamo uno sforzo, non limitiamoci a dire: «fatte salve le disposizioni che». Anche nel decreto legislativo in materia di mediazione fu detto «fatte salve le disposizioni in tema di telecomunicazioni». Perché fu detto? Perché era faticoso andare a cercare la normativa in materia di telecomunicazioni. Dovete mettervi tutti a studiare le norme e a cercare di fare un raccordo.
  Do un suggerimento sui diritti omogenei. È chiaro che la legge non può risolvere un problema interpretativo, ma potrebbe tener conto del codice di procedura civile, che è stato scritto da persone veramente degne, molto brave, che all'epoca, negli anni Quaranta, identificarono il litisconsorzio facoltativo improprio nell'identità di questioni di fatto e di diritto.
  Quello omogeneo non è altro che un diritto che si pone davanti a una condotta plurioffensiva – e ho già detto come modificherei il profilo della condotta – e che poi pone un'identità di questioni di fatto e di diritto. Lì, chiaramente, il problema può essere che l'identità di questioni di fatto e di diritto è relativa all'an, perché sul quantum il tema non deve essere aperto. È già, però, un tema non aperto, perché la normativa sulla disciplina relativa all'adesione presuppone delle differenze. Credo che uno sforzo maggiore sull'identificazione dei diritti omogenei si possa fare recuperando l'articolo 33 del codice di procedura civile. Pag. 25
  Quanto al numero degli iscritti, non lo indicherei. L'unica cosa è che bisogna stare attenti ai comitati più che alle associazioni. La giurisprudenza ha posto molto l'accento sui comitati che sorgono e scompaiono. Le associazioni tutto sommato ci sono. Poi si tratta di vedere se sono rappresentative, che scopo hanno e così via, e la lista dell'articolo 139 del codice del consumo non aveva tutti i torti, anche se ha creato molti problemi. I comitati sono terribili. Nei processi simulati che faccio con i miei studenti invento sempre dei comitati: a loro tocca poi difendere la posizione del comitato e spiegare perché ha legittimazione ad agire. È complicatissimo. Il comitato nasce e muore, e di questo bisognerebbe tener conto.

  PRESIDENTE. Ringraziamo i nostri ospiti. Se vorrete inviarci ulteriori osservazioni in forma scritta, queste saranno sicuramente gradite.
  Vi ringrazio a nome della Commissione.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti (CNCU).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame della proposta di legge C. 791 Salafia, recante disposizioni in materia di azione di classe, di rappresentanti del Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti (CNCU).
  Grazie agli auditi per aver accolto il nostro invito. Darei la parola a ciascuno di loro per cinque minuti a testa, in modo da lasciare spazio alle domande dei commissari e al dibattito.
  Do la parola all'avvocato Maria Iaconis, dell'ufficio legale dell'Unione per la difesa dei consumatori.

  MARIA IACONIS, rappresentante dell'Unione per la difesa dei consumatori. Buongiorno a tutti. Per noi è molto importante questo momento di audizione e a nome del presidente ringrazio come U.Di.Con. per l'opportunità, perché ci consente di mettere in evidenza determinati aspetti su questo importante testo di legge che riforma sostanzialmente la class action.
  Come sappiamo, la class action, seppur già disciplinata dal codice del consumo, non ha sortito nel tempo l'effetto sperato. Sono quindi necessari alcuni correttivi e auspichiamo che gli aspetti che abbiamo evidenziato, laddove ci sono a nostro avviso punti da migliorare e incoerenze a livello di formulazione del testo, possano risultare utili o quantomeno essere valutati.
  Preliminarmente evidenzio che, visto ad ampio raggio, l'intervento normativo potrebbe apparire come una sorta di svuotamento del codice del consumo, dal momento che torna a inserire molte disposizioni nel codice civile. Questo non è ovviamente un problema purché un istituto sia disciplinato. Benché il codice del consumo sia una legge speciale per i consumatori, l'importante è che ci sia una disciplina chiara, anche se nel codice civile, cosa che va ovviamente benissimo.
  Mi permetto di rilevare un aspetto, facendo soltanto un piccolo inciso. Questo testo di legge richiama l'atto n. 1950 del Senato su cui come U.Di.Con. abbiamo già depositato alcune osservazioni, che riproponiamo oggi, essendo il testo sostanzialmente lo stesso.
  A livello di interpretazione sistematica (per tutti i dettagli che non abbiamo tempo di esporre rimandiamo al documento depositato) mi domando come mai il nuovo titolo VIII-bis sia stato inserito dopo il titolo relativo all'arbitrato. Si tratta di una questione di interpretazione sistematica delle norme: a nostro avviso sarebbe opportuna una disciplina separata dall'arbitrato, per esempio con la previsione di un titolo IX, che nulla modificherebbe nel contenuto, soprattutto nell'ottica di un'interpretazione sistematica delle norme.
  È importante ed apprezzabile la disciplina introdotta con questo testo di legge. È positiva anche la previsione dell'articolo 840-bis, poiché vediamo che destinatari dell'azione sono anche le imprese e i gestori dei servizi pubblici. Questo lo valutiamo naturalmente in termini positivi; speriamo che ci sia poi una concreta attuazione anche in questo senso, soprattutto nella misura Pag. 26 in cui possa ottenersi e garantirsi il risarcimento nel settore della class action pubblica, che in questo momento non è garantito. La disciplina vigente infatti mira soltanto al ripristino dell'efficienza del servizio e non ad un risarcimento.
  Un altro aspetto importante che vorrei rilevare è la possibilità di adesione anche dopo la sentenza. Questi sono aspetti veramente rilevanti, che consentono di ampliare il raggio di operatività della class action.
  Come dicevo, abbiamo allegato al documento una nota specifica sulle singole norme, con considerazioni precise su determinati aspetti. Ne cito uno: l'articolo 840-bis al quinto comma prevede che, nel caso di accordi transattivi o conciliativi, sia possibile intervenire con il ministero di un difensore. Non è tuttavia specificato cosa può accadere se non ci sono questi accordi. Ci si chiede se il ministero del difensore è richiesto o meno, perché, ai fini di un'interpretazione e di un'applicazione concrete, questo potrebbe creare discordanze o comunque vuoti normativi.
  Nel quarto comma dell'articolo 840-ter vi è la seguente previsione: «quando l'associazione o il comitato non sono adeguatamente rappresentativi degli interessi fatti valere in giudizio» è prevista l'inammissibilità della domanda. Questa dicitura appare molto generica, perché lascia un ampio spazio interpretativo da parte di chi deve valutare, da parte del giudice sostanzialmente. Essendo l'espressione generica, non è chiaro quali sono i criteri. Un criterio per garantire la rappresentatività, per esempio, consiste nel consentire alle associazioni dei consumatori del Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli Utenti (CNCU) di rappresentare gli utenti, perché questo è un indice di rappresentatività.
  Ecco quello che proponiamo. Nel documento a cui faccio rimando abbiamo specificato dettagliatamente determinati punti, ma non mi dilungo visti i tempi ristretti. Vi ringrazio per l'opportunità di intervento.

  PRESIDENTE. Grazie. Nell'autorizzare la pubblicazione del documento depositato dalla rappresentante dell'Unione per la difesa dei consumatori in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 1), do la parola all'avvocato Gagliardi, del Movimento consumatori.

  MARCO GAGLIARDI, rappresentante del Movimento consumatori. Buongiorno. Anche il Movimento consumatori ringrazia di questa opportunità. Per noi questo potrebbe essere un passaggio epocale, una svolta per le associazioni dei consumatori.
  Non mi dilungo sugli aspetti positivi. Vorremmo fare, però, cinque proposte che rispecchiano quanto oggi previsto nella proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori (COM(2018) 184). Si tratta di cinque temi di grande rilevanza che si sintetizzano: nell'attribuzione ex lege della legittimazione ad agire all'associazione dei consumatori; nell'individuazione di un'azione di classe «semplificata», che consenta direttamente la possibilità di ottenere la condanna e il risarcimento del danno anche in assenza di adesioni; nell'interruzione della prescrizione conseguente alla proposizione dell'azione di classe; nella semplificazione del meccanismo delle adesioni e nella necessità di non depotenziare la vecchia e storica azione inibitoria di cui all'articolo 140 del codice del consumo, che sarebbe abrogato.
  Quanto al primo aspetto, se già la legge prevede una legittimazione a rappresentare i consumatori, come avviene, ad esempio, nel caso delle associazioni di consumatori, noi riteniamo che non debba esserci una valutazione del giudice.
  L'azione di classe semplificata secondo noi può essere l'aspetto più importante e più critico. Pensiamo, ad esempio, alla questione recente dei 28 giorni di fatturazione da parte degli operatori di telefonia. In questo caso il danno subito dagli utenti è intorno ai 20-30 euro. Per esperienza sappiamo – anche i colleghi lo confermeranno – che ci saranno tante adesioni alla class action. Se si tratta di fare adempimenti, di andare in un'associazione e ancora di più di disporre di una posta elettronica certificata (PEC), e via dicendo, è più facile che ci si scordi; invece, con un'azione semplificata, senza necessità di adesione, si potrebbe Pag. 27 ottenere anche un obiettivo di deterrenza nei confronti dell'impresa, dell'azienda e del professionista che pone in essere una pratica commerciale scorretta.
  Ciò potrebbe avvenire semplicemente sulla base di due requisiti. Il primo è che il convenuto possa individuare tutti i danneggiati appartenenti alla classe. Si pensi, ad esempio, ai contratti bancari o a quelli telefonici. Il secondo è che il danno sia di uguale misura o facilmente determinabile con calcoli matematici. Inoltre, la sentenza di condanna potrebbe obbligare il convenuto a produrre in giudizio l'elenco dei danneggiati e la quantificazione delle singole pretese individuali. Ciò non pregiudica il diritto ad agire dei singoli, che possono agire anche individualmente, ed è quello che è previsto anche dalla citata proposta di direttiva. Anche la proposta di direttiva va in questa direzione, che a nostro avviso deve essere tenuta in considerazione dal legislatore.
  Il terzo tema è quello dell'interruzione della prescrizione. Chiediamo che, limitatamente agli aderenti all'azione, l'interruzione della prescrizione avvenga con la notifica della citazione. Questo servirebbe come incentivo ad aderire alla class action.
  Anche su questo la proposta di direttiva va nella direzione indicata, ossia che l'interruzione dei termini di prescrizione avvenga con l'avvio dell'azione rappresentativa.
  Al quarto punto ci sono le adesioni e il ruolo svolto dall'associazione attrice. È difficile che tutte le persone – parliamo della casalinga di Voghera – siano in possesso di una PEC. Le adesioni potrebbero avvenire anche tramite l'associazione dei consumatori e non necessariamente tramite un avvocato, che, per forza di cose, è dotato di PEC. Riteniamo che, se l'azione viene promossa da un'associazione rappresentativa, questa di regola debba essere anche nominata quale rappresentante degli aderenti.
  Abbiamo poi rilevato una genericità nella previsione del fondo. Non si capisce bene quale funzione abbia il fondo che deve essere depositato dagli aderenti e nemmeno, per esempio, se venga restituito. Su quel punto riteniamo che il testo debba essere modificato.
  In quarto luogo, riteniamo necessario e indispensabile che ci siano obblighi di comunicazione diretta da parte del convenuto, come avviene a seguito di azioni inibitorie. Per esempio, il Movimento consumatori ha ottenuto tale risultato nei confronti delle maggiori banche, ossia che semplicemente con l'estratto conto venisse data una comunicazione del fatto che era stata posta in essere una pratica commerciale scorretta.
  Infine, con riguardo all'articolo 140 del codice del consumo, il nostro vecchio cavallo di battaglia, chiediamo che ci sia una riproduzione fedele del suo contenuto, soprattutto per l'aspetto più importante, ovvero che l'azione inibitoria sia veloce, velocissima. Sul testo in esame, invece, diversamente da quanto previsto dal legislatore europeo, non viene presa in considerazione la necessità di una procedura d'urgenza. Il vecchio articolo 140 prevede l'unico presupposto dei giusti motivi d'urgenza, che è una cosa diversa rispetto alla previsione dell'articolo 700 del codice di procedura civile, che parla di danno grave e irreparabile.
  Vi ringrazio dell'opportunità e chiudo.

  PRESIDENTE. Grazie mille. Do la parola alla dottoressa Castronovi, rappresentante di Altroconsumo e Assoutenti.

  SILVIA CASTRONOVI, rappresentante di Altroconsumo. Ho anche la delega dell'associazione Assoutenti, ma rappresento Altroconsumo. Abbiamo depositato un documento di Altroconsumo. Mi rifarò a tale documento. Ovviamente, qualora Assoutenti voglia integrare, è liberissima di farlo successivamente.
  Innanzitutto, grazie di quest'audizione su uno strumento importantissimo per la tutela dei cittadini consumatori. Come associazione, vorremmo partire dall'esperienza che abbiamo maturato.
  Noi abbiamo avuto oltre 2.000 consumatori che hanno aderito a 14 class action fatte dall'associazione Altroconsumo. Le ultime sono state contro Facebook per la Pag. 28violazione dei dati personali e contro ATAC per le inadempienze contrattuali in tema di sicurezza e puntualità dei mezzi pubblici a Roma. L'ampiezza dei temi toccati, dai servizi pubblici ai servizi bancari, come veniva detto precedentemente dai colleghi, è immensa.
  La class action è uno strumento importante, dunque, ma va rivisto. Accogliamo positivamente il fatto che vi sia questa proposta di legge, ma osserviamo che lo scopo della class action non è solo quello di tutelare cittadini che altrimenti non adirebbero la giustizia per l'esigua entità del danno subito e l'eccessivo costo di una causa civile da affrontare come singolo. C'è anche la leva che queste class action hanno sul mercato, stimolando la concorrenza e la correttezza proprio per evitare eventuali possibili condanne al risarcimento. Si passa da un concetto di tutela statica a uno di tutela più dinamica del cittadino, che è poi anche, in ispirazione, quello che prevede e propone l'Europa.
  Io mi limiterei, più che altro, alle proposte più rilevanti contenute nel documento, anche perché molte cose sono state dette precedentemente dai colleghi.
  La prima questione importante, per quanto ci riguarda, è la conoscibilità della class action. È una questione prodromica a tutto l'impianto legislativo di modifica che si voglia introdurre per questo istituto. È necessario, soprattutto con un sistema di class action opt-in, che si possa conoscere il più possibile l'azione collettiva instaurata contro un'azienda.
  Riteniamo, quindi, che quanto attualmente previsto, vale a dire la pubblicazione sui quotidiani cartacei dell'ordinanza del giudice una volta accolta la class action, rimanga uno strumento poco efficace. Prima di tutto, i quotidiani cartacei vengono letti sempre di meno, quindi andrebbe rivisto anche questo tipo di comunicazione. Inoltre, sappiamo - è esperienza comune - che ci si limita a leggere i titoli dei giornali. Non credo che il cittadino medio vada a leggere le ordinanze di accoglimento di class action che vengono pubblicate.
  Una volta accolta un'azione collettiva con un'ordinanza del giudice, il sistema potrebbe essere quello di darne pubblicità anche attraverso i mezzi radiofonici e televisivi della RAI stessa, senza alcun onere per l'Erario; inoltre, e questa è esperienza maturata concretamente, si potrebbe, sempre su valutazione del magistrato, stabilire che l'ordinanza venga pubblicizzata sui siti delle aziende contro le quali è stata accolta la class action.
  Questo, per esempio, è avvenuto quando come Altroconsumo abbiamo fatto la class action contro la Samsung Electronics Italia s.p.a., per i problemi di memoria di smartphone e tablet. Praticamente, vi era una scorrettezza nella comunicazione delle performance che venivano accreditate per la memoria di smartphone e tablet. Questa decisione ha facilitato l'adesione di molti consumatori alla class action, perché ne sono venuti a conoscenza. Oltretutto, è esperienza comune che in caso di problema come consumatori in prima battuta andiamo in internet, nel sito stesso dell'azienda che ci ha creato il problema. Per quanto riguarda i servizi pubblici, le forniture di elettricità e gas, o i servizi bancari, pensiamo a quanto questo possa essere utile. Chiediamo, quindi, una modifica dell'articolo 840-ter della proposta di legge.
  Con riferimento al medesimo articolo, per quanto riguarda l'identificazione dei possibili intestatari della class action, sempre su valutazione del magistrato sarebbe auspicabile che l'azienda, qualora disponesse dei dati dei clienti che hanno subito un disagio o una scorrettezza impugnati attraverso l'azione collettiva, fornisse l'elenco dei nominativi, in modo da avvertirli.
  Sembra astruso, ma facciamo l'esempio di un'azione collettiva contro un operatore telefonico. Disponendo dei dati di tutti i clienti, basterebbe un sms o un messaggio Whatsapp per comunicare: guardate che è in corso un'azione collettiva per tutti i clienti che hanno subito questo danno.
  Questa è la premessa a tutti gli altri emendamenti che evidenziamo nel documento.
  Un'altra disposizione per la quale proponiamo una modifica riguarda l'articolo 840-septies. Siamo pienamente d'accordo sul fatto che vi possa essere un'adesione Pag. 29post sentenza a una class action, ma questo dettato andrebbe rivisto in conformità con le prescrizioni. Ci sembra, infatti, che la disposizione sia stata pensata con riguardo alle prescrizioni ordinarie, di dieci anni; tuttavia, alcuni servizi per i consumatori che danno luogo a class action, come il contratto di trasporto, hanno una prescrizione breve, di un anno, per cui si prevede la possibilità di aderire post sentenza, ormai con un diritto prescritto. Cerchiamo di coordinare meglio la prescrizione, con la possibilità di aderire post sentenza alla class action.
  Ribadisco quanto detto dal collega per quanto riguarda la PEC: è eccessivo che ogni aderente abbia la PEC. Basta che ne sia dotato il proponente dell'azione collettiva.
  Siamo contrari all'abrogazione dell'azione inibitoria. Non si capisce perché l'unica azione inibitoria che deve essere eliminata dal dettato normativo, con questa proposta di legge, debba essere quella prevista nel codice dei consumatori. Vi sono altre azioni inibitorie che non vengono eliminate, anche perché è uno strumento che ha vita propria, autonomia propria, funziona e ha una sfera di tutela diversa da quella della class action, proprio con una esplicitazione diversa, quindi diciamo no all'eliminazione dell'azione inibitoria.
  Un altro emendamento che proponiamo riguarda l'articolo 840-ter, che prevede ricorsi in Cassazione avversi all'ordinanza di accettazione della class action. Ci sembra eccessivo. Il ricorso in Cassazione è previsto nel codice di procedura civile come terzo grado di giudizio cui ci si rivolge contro una sentenza; quindi, perché prevederlo per le class action addirittura contro un'ordinanza? Ci sembra veramente eccessivo.
  Un'altra modifica riguarda l'articolo 840-quater, dove viene descritto una sorta di monopolio delle class action, nel senso che non può essere proposta un'altra class action per lo stesso argomento e la stessa entità di danno. Sembrerebbe che "chi prima arriva meglio alloggia", invece bisognerebbe prevedere uno strumento di sinallagma, di accorpamento delle varie class action sugli stessi argomenti, anche successivamente alla proposizione della prima.
  Per non sottrarre tempo ai colleghi rimando agli emendamenti che abbiamo proposto nel documento.
  Ringrazio per l'attenzione e vi auguro buon lavoro.

  PRESIDENTE. Nell'autorizzare la pubblicazione del documento depositato dalla rappresentante di Altroconsumo in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 2), do la parola a Ivano Giacomelli dell'Associazione Codici.

  IVANO GIACOMELLI, rappresentante dell'Associazione Codici. Buongiorno. La mia riflessione parte da un cambiamento di visuale, perché il testo di legge proposto va oltre la class action che conosciamo, espungendola dal codice del consumo per farla diventare un istituto di carattere generale.
  Le mie considerazioni partono quindi dal fatto che questo istituto ha un soggetto passivo definito, che sarà l'impresa, ma che non è soltanto l'illecito consumeristico ad essere oggetto dell'azione, perché, trattandosi di diritti omogenei, è possibile anche un'azione di natura sindacale o previdenziale. Nei limiti della consapevolezza dell'estensione di questo istituto, faccio quindi un ragionamento per quanto riguarda la parte che attiene all'illecito consumeristico.
  Parto subito dal giudizio di ammissibilità, perché è il vero giudizio di merito, in quanto nella stessa proposta di legge si prevede che il giudice gestisca il procedimento secondo un criterio di economicità. Tuttavia, la nostra esperienza nelle aule dei tribunali ci dice che il giudice punterà semplicemente alla quantificazione del danno diviso per classi omogenee e non al fatto plurioffensivo. Il fatto plurioffensivo deve essere già provato dall'attore nel momento in cui introduce l'azione.
  Vi è quindi una certa anomalia in questo giudizio di ammissibilità, perché io che promuovo l'azione collettiva devo già dar prova del fatto, e deve essere un fatto acclarato. Le azioni collettive che noi abbiamo vinto sono state quelle in cui il convenuto aveva ammesso l'illecito (Trenord, Wind, quindi fatti eclatanti). Pag. 30
  Questo significa che, se non viene apportata una modifica, se non vengono introdotti nella parte di merito richiami al procedimento ordinario, quindi alla possibilità di dar prova dei fatti, tutta una serie di illeciti consumeristici plurioffensivi rimane fuori perché, come dicevo, è necessario che sul fatto plurioffensivo ci sia il riconoscimento da parte del convenuto. Potete immaginare come per una serie di «piccoli danni» manchi invece tale riconoscimento.
  Vogliamo poi sottolineare come il problema principale per chi introduce una class action sia quello di individuare il capoclasse, cioè il soggetto rappresentativo della classe. Ciò vale sia per la disciplina che ci viene prospettata oggi, soprattutto con le formule di adesione, sia per la normativa vigente. Infatti, la giurisprudenza non riconosce alle associazioni la possibilità di agire in proprio come rappresentativi della classe. In realtà, si applica secondo la giurisprudenza una sorta di sostituzione processuale. Tuttavia, dobbiamo avere il capoclasse, cioè il soggetto danneggiato che rappresenta quella classe. Questo crea quindi un problema di individuazione del soggetto e di proposizione dell'azione collettiva.
  Cosa sarebbe opportuno fare secondo noi? La legge individua alcuni soggetti come portatori di interessi collettivi e diffusi, quale è il caso delle associazioni di consumatori, in quanto agli articoli 137 e 139 del codice del consumo si individua un diritto soggettivo esclusivo dell'associazione. I diritti e gli interessi collettivi e diffusi dei consumatori sono tutelati dalle associazioni di cui all'articolo 137 del codice del consumo. Dunque, chi è già legittimato, perché subisce un vaglio, è iscritto nel CNCU ed ha un'attività consolidata, deve poter avere la possibilità di agire direttamente. In questo modo, si supera il problema del capoclasse, che in più giudizi di ammissibilità è stato ostativo.
  L'altro elemento che vorrei portare alla vostra attenzione, citato anche dalla collega di Altroconsumo, avendo vissuto sulla loro pelle, insieme a noi, una serie di azioni collettive, è il problema di contattare i soggetti potenzialmente lesi dall'evento plurioffensivo. Una soluzione c'è, ed è quella di prevedere per chi introduce il giudizio collettivo la possibilità di ottenere dal giudice un ordine di esibizione.
  Io rammento che l'azione collettiva è posta a tutela di comportamenti scorretti plurioffensivi, ma di minima entità: per esempio, la collega ha parlato dell'azione contro la Samsung mentre noi abbiamo agito a tutela dei soggetti che hanno subito da Wind un'interruzione del servizio per un certo lasso di tempo. In questi casi, consentire di accedere ai nominativi dei clienti che usufruiscono del servizio o del prodotto incriminato, significa dare la possibilità all'associazione di contattare i soggetti potenzialmente lesi e rendere loro noto che esiste un'azione collettiva, anche in funzione disincentivante di comportamenti scorretti da parte di aziende.
  Un ultimo punto, invece, riguarda le spese del giudizio, quelle introduttive, cioè il contributo unificato, e le spese di registrazione della sentenza, che sono molto alte. Vedo che il provvedimento individua le spese di consulenza, però io mi permetto di chiedere: consulenza di cosa? La collega di Altroconsumo mi può smentire o meno: in qualche azione voi avete dovuto dar prova del fatto? Avete dovuto provare che la Samsung ha fatto questo?

  SILVIA CASTRONOVI, rappresentante di Altroconsumo. Per l'azione di classe contro Volkswagen, per esempio, abbiamo dovuto dare prova dei consumi reali.

  IVANO GIACOMELLI, rappresentante dell'Associazione Codici. Questo per il caso Volkswagen. Pertanto, va bene la previsione che ci sia un consulente e che le spese della consulenza, che ammontano a decine di migliaia di euro, siano poste a carico del convenuto, ma ci sono anche le spese introduttive per quei soggetti che sono posti dall'ordinamento a tutela di determinati interessi: va data la possibilità di accedere all'azione collettiva esente dal contributo unificato ed esente dal pagamento dell'imposta di registro, perché la spesa è un elemento di forte disincentivazione. Occorre Pag. 31 chiarire fin da subito che gli aderenti all'azione collettiva non versano un euro, perché questo è un elemento di grande incentivazione.
  Se nel nostro ordinamento è stata introdotta questa particolare azione volta a disincentivare comportamenti scorretti delle aziende – badate bene – non a tutela del consumatore, ma a tutela del corretto comportamento nel mercato, allora ci deve essere un sostegno per chi è deputato a questo tipo di attività, alleggerendo le spese, che già sono notevoli.
  La collega ricordava, per esempio, le spese di pubblicità. Noi abbiamo verificato, sulla base della nostra esperienza, che è molto più efficace la pubblicità fatta da noi rispetto a quella ufficiale o a quella che addirittura è stata imposta con la pubblicazione di un trafiletto sui quotidiani a un costo assolutamente esorbitante.

  PRESIDENTE. Do la parola all'avvocato Ramadori del Codacons.

  MARCO RAMADORI, rappresentante del Codacons. Grazie innanzitutto dell'invito. Speriamo che l'invito sia anche il simbolo della volontà politica di agire finalmente e realmente a tutela del consumatore.
  Come Codacons, siamo una delle poche associazioni che ha davvero sperimentato «sulla propria pelle», sulla pelle dei consumatori, la class action. Perché lo facciamo? Perché ha un risultato positivo? No, lo facciamo esclusivamente come gioco, come divertimento. Purtroppo, la class action, com'è oggi, è stata studiata a tavolino per non portare alcun tipo di tutela a favore dei consumatori. Di class action ha soltanto il nome preso dall'esperienza americana; mancano gli altri tre elementi costitutivi, che adesso vi illustro, partendo da un caso concreto.
  Abbiamo vinto una class action in Corte d'appello a Milano contro la Voden per il test della suina. Ricordate l'influenza suina che si diffuse un paio d'anni fa? Questa società mise in commercio un autotest per l'influenza suina che non funzionava, e questo è stato riconosciuto alla fine dalla Corte d'appello di Milano. Abbiamo fatto una class action difficile, durata anni. In primo grado l'abbiamo persa. Addirittura, il tribunale ha condannato l'aderente alle spese legali, e questo è veramente incredibile. Ciò non è in tema con il dibattito odierno, ma ne parlo per evidenziare anche come funziona la giustizia in Italia.
  In Corte d'appello l'abbiamo vinta. Sapete quanti sono gli aderenti che hanno avuto giustizia? Uno. Perché? Questa è logica conseguenza della normativa. Innanzitutto, per la questione dell'opt-in e dell'opt-out. La class action è stata studiata, come già detto, per tutelare le microlesioni, e il costo di questo test era di 10 euro. In teoria, il sistema attuale è l'opt-in, in base al quale è necessario, una volta che la class action è ammessa, che tutti i consumatori che si trovano in quella situazione aderiscano mandando una raccomandata, chiedendo di partecipare.
  Quanto costa quest'adesione? Costa, per la raccomandata, i 10 euro del risarcimento. Questo è il primo problema. Poi c'è la conoscibilità. Come fanno i consumatori a sapere che la class action è stata ammessa? Adesso, che succede? Il giudice decide i costi della promozione. Già ne hanno parlato i colleghi. Cosa fa, giustamente? Indica i costi della pubblicità sui giornali nazionali. Altre soluzioni possono sicuramente essere giustissime, come quella prospettata di dare la comunicazione sulla home page della società convenuta. Ma noi andiamo oltre.
  Bisogna passare all'esperienza americana, all'opt-out: una volta che l'azione di classe è stata ammessa, una volta che il giudice ha riconosciuto che la class action è ammessa, tutti i consumatori automaticamente devono farne parte, come negli Stati Uniti. Solo chi non vuole farne parte, legittimamente, è tenuto a scrivere. Si chiama opt-out, come negli Stati Uniti. Questo ha un senso, perché si supera totalmente il problema del costo della pubblicità, che altrimenti deve essere messo a carico – attenzione – necessariamente della società.
  Adesso, infatti, il costo non è neanche a carico dell'associazione dei consumatori, che è soltanto mandatario processuale, è Pag. 32soltanto un tecnico. In teoria, è a carico del proponente, quindi del cittadino che agisce, per esempio, per recuperare i costi nascosti della bolletta, per far riconoscere il suo diritto al rimborso di 5 euro, e la cui class action viene ammessa. In questo caso, il giudice dice: sì, bravo, è ammessa; ora, però, deve essere conoscibile, con condizioni di procedibilità, e deve essere promossa su tutti i giornali. A quanto ammonta il costo? A 50-60.000 euro. Il cittadino, quindi, dovrebbe oggi anticipare di tasca propria 60.000 euro.
  È questa la class action oggi in Italia. Che poi le associazioni dei consumatori anticipino le spese di tasca propria, è forse anche questa una stortura che non dovrebbe neanche essere consentita. A che titolo le associazioni anticipano questi costi?
  In secondo luogo, è ovvio che la class action in America ha un senso perché ha un fine dissuasorio dei comportamenti lesivi dei diritti dei consumatori. È quello il fine. Il fine della class action non è fare la class action, ma tutelare il buon andamento del mercato, evitare che le grandi società mettano in atto comportamenti lesivi dei piccoli interessi dei cittadini.
  Se una class action è vinta dopo anni di giudizio, l'unica conseguenza per la società qual è? Restituire il costo del test? A quanti, a uno? Fossero anche dieci o cento, questo è un effetto dissuasivo? Ovviamente no, perché di fatto consigliamo a tutte le società disoneste di mettere in atto comportamenti lesivi: poniamo che vendano un milione di prodotti; se anche qualche associazione pazza facesse la class action e la vincesse, alla fine dovrebbero restituire il costo del test a dieci persone e avrebbero lucrato su un milione. Parliamo delle compagnie telefoniche. Quanti hanno aderito alle class action? Siano dieci, cento o mille, che cosa sono rispetto a milioni di utenti? Quindi, conviene ledere. Qual è la soluzione? Ma non è la nostra, non è la soluzione di questa class action: ne è stato preso soltanto il nome per illudere i consumatori, essendo i partiti della vecchia legislatura d'accordo nel tutelare le imprese disoneste, non le imprese, perché noi non siamo contro le imprese corrette che forniscono prodotti validi. Per questo speriamo che il nuovo Governo abbia un'impostazione diversa. E molta gente ha fiducia in questo nuovo Governo.
  La soluzione qual è? Sono i danni punitivi, perché la condanna non si deve limitare alla semplice restituzione, ma deve essere proporzionale al fatturato o comunque all'utile che la società in questione ha realizzato. In caso contrario, è inutile fare una class action per le piccole lesioni. Se la lesione è grande i cittadini agiscono individualmente per conto loro. Per la piccola lesione non ha senso agire, diventa un gioco di ruolo, un gioco di società, facciamo la class action per divertirci e vedere come va a finire, ma senza alcun effetto dissuasivo.
  In America, invece, le class action non arrivano mai a sentenza, perché quelle fondate si concludono prima: le società chiamano gli avvocati e dicono «a questo punto chiudiamo». Fanno la lista (noi abbiamo fatto una class action in America per la Costa Concordia) e chiudono, specificando l'ammontare del risarcimento per ciascun soggetto, anche perché ricordiamo che negli Stati Uniti c'è la giuria popolare, non ci sono i giudici, ed è ovvio che la giuria popolare stia dalla parte dei cittadini, non delle imprese.
  Cosa succede invece in Italia? Quando si fanno le azioni, per esempio per il naufragio della nave della Costa Concordia, che ha provocato tante vittime, qual è l'interesse della magistratura? Pensano: se puniamo la società, ci sarà una ricaduta sull'occupazione. Purtroppo è questa l'impostazione in Italia, totalmente dannosa per le imprese oneste e per i cittadini.
  Tre sono i punti importanti per noi. Innanzitutto, l'opt-out invece dell'opt-in, cioè una volta che la class action è stata ammessa tutti devono essere automaticamente dentro. In secondo luogo, i danni punitivi. Mi rendo conto che questo è un punto molto difficile perché c'è un'interpretazione diffusa, spinta dai professori che lavorano per grandi società, secondo cui il danno punitivo non fa parte del nostro ordinamento, cosa non vera perché ci sono molti esempi di sanzioni punitive che potrebbero Pag. 33 essere introdotti con un intervento legislativo. È questo che stiamo facendo, un intervento legislativo. In terzo luogo, il costo della promozione deve essere comunque a carico o della società, che a quel punto il giudice ha ritenuto responsabile, o dello Stato. Le associazioni svolgono una funzione pubblicistica e lo Stato, se non vuole pesare sulle imprese, si faccia carico di queste spese.
  Concludo l'intervento con un ultimo aspetto molto importante...

  PRESIDENTE. La invito a concludere, perché abbiamo solo una decina di minuti per le domande e le vostre risposte.

  MARCO RAMADORI, rappresentante del Codacons. Ha ragione, concludo. Poiché la class action in Italia non funziona, il Codacons è costretto a fare cause individuali, ad agire nei tribunali, e questo porta al contributo unificato. Il problema del contributo unificato è gravissimo, perché siamo di fronte ad un'interpretazione non univoca della normativa. In teoria è prevista l'esenzione dal contributo unificato per l'azione dei consumatori negli atti che hanno a che fare con le proprie attività, ma non è chiaro se questo comprenda anche le attività giudiziarie.
  È ovvio che le associazioni dei consumatori, in primis in una società come la nostra, in cui i cittadini sono vessati in modo incredibile dai soprusi delle imprese, devono agire giudizialmente, ma non possono ogni volta pagare un contributo unificato, che non dovrebbe essere dovuto.
  Come Codacons abbiamo sostenuto spese molto onerose, dell'ammontare di centinaia di migliaia di euro. Quindi, a questo punto chiediamo – e concludo, presidente, mi perdoni – che venga introdotta una modifica legislativa nei testi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642, e del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, nel senso di chiarire che tra gli atti esenti dal pagamento del contributo unificato per le associazioni ci siano anche e soprattutto gli atti giudiziari fatti a tutela dei cittadini.
  Su questo aspetto chiediamo se eventualmente possa essere svolta un'audizione. Noi ci stiamo anche organizzando a livello politico, per quello che possiamo fare, perché venga avanzata questa proposta. Questo, secondo noi, è un punto fondamentale a tutela, non delle associazioni, ma dei cittadini, per dare loro una giustizia concreta. Mi spiace per il tempo in più di cui ho usufruito.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ALFREDO BAZOLI. Io faccio un intervento per ringraziare gli intervenuti, ma anche per sottolineare che francamente trovo abbastanza inaccettabili i toni che ho sentito nell'ultimo intervento.
  Credo che ci vorrebbe un po’ più di umiltà quando si viene in questa sede. Non è questa la sede in cui chi interviene viene a esprimere giudizi politici sprezzanti, perché noi siamo qui a cercare di capire come migliorare i testi di legge. Peraltro, qui abbiamo un testo di legge che è figlio di un'approvazione unanime nella scorsa legislatura, a cui hanno concorso tutte le forze politiche, quindi questi giudizi apodittici e questo tono arrogante credo che non siano accettabili in questa sede da parte di chi viene audito.

  ANGELA SALAFIA. Ringrazio anch'io tutti gli auditi per i rilievi che sono stati fatti, che verranno ovviamente presi in considerazione ai fini di eventuali modifiche del testo. Mi interessa approfondire un ulteriore aspetto, cioè se a vostra opinione la riforma che in un certo senso viene introdotta da questo provvedimento produrrà effettivamente per i consumatori una maggiore economicità in termini di tempi, a parte il discorso sulle spese.
  Per quanto riguarda l'introduzione e l'utilizzo di sistemi informatici, vi chiedo se questo può comportare per i consumatori una maggiore pubblicità e, quindi, anche una maggiore conoscibilità.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

Pag. 34

  SILVIA CASTRONOVI, rappresentante di Altroconsumo. Grazie della domanda. Per quanto riguarda i tempi c'è un punto interrogativo, perché questo aspetto è rimesso al magistrato, che accoglie o meno con ordinanza la class action.
  Per quanto riguarda, invece, il ricorso a mezzi tecnologici per dare evidenza e pubblicità alla class action, questo aiuterebbe assolutamente a migliorare l'istituto e a favorirne l'utilizzo. È un po’ un controsenso avere un mezzo così importante per tutelare i cittadini e i consumatori, che è tuttavia farraginoso da utilizzare.
  Avere evidenza e visibilità di un'azione collettiva, una volta che vi sia l'ordinanza di accoglimento del magistrato, ovviamente è un fattore rilevante di giustizia e di accesso facilitato alla giustizia. Oltretutto il sistema è anche più economico, e anche questo aspetto va considerato. Grazie della domanda davvero.

  IVANO GIACOMELLI, rappresentante dell'Associazione Codici. Non è una risposta semplice da dare, perché, come le dicevo, comunque questo provvedimento introduce un istituto di carattere generale, che sarà di portata più ampia dell'illecito consumeristico. I giudici finora hanno risolto alcuni aspetti procedurali con la prassi giudiziaria e con le decisioni. Credo che faranno analogamente, in situazioni però differenziate a questo punto.
  Pertanto, personalmente, comprendendo le ragioni di un istituto di carattere generale e anche la sua validità, penso che dal punto di vista consumeristico se l'azione di classe fosse stata mantenuta nel codice del consumo sarebbe stata più rapida. Tuttavia, se il legislatore ritiene di introdurre un'azione di carattere generale, prevedibilmente da questo punto di vista ci sarà un po’ un allungamento dei tempi, perché si dovrà formare una nuova giurisprudenza che oggi era comunque consolidata. Infatti, così come varie corti d'appello, anche la Cassazione era intervenuta in due casi e aveva dato un quadro sistematico della parte procedurale.
  Da questo punto di vista, è molto difficile risponderle.

  MARCO GAGLIARDI, rappresentante del Movimento consumatori. Vorrei aggiungere qualcosa soltanto sulla piattaforma. Sicuramente è uno strumento che potrà aiutare. Penso, per esempio, all'ACF, all'arbitro per le controversie finanziarie, a cui può accedere direttamente l'associazione dei consumatori per conto dei risparmiatori. Se come associazioni avessimo la possibilità di depositare le istanze, la procedura sarebbe semplificata. Peraltro, spesso chi si rivolge all'associazione in genere ha un'età abbastanza elevata. È vero che ci sono settantenni che sanno usare internet meglio di noi, ma non è sempre così.

  MARCO RAMADORI, rappresentante del Codacons. Vorrei chiedere scusa se i miei toni possono essere sembrati arroganti, duri. Il mio non era assolutamente un giudizio politico. Era un giudizio tecnico, che penso il Codacons abbia diritto di esprimere, sulla totale inefficacia della class action italiana oggi, ma non volevo assolutamente offendere nessuno. Non è un giudizio politico, ma tecnico, nel merito.

  ALFREDO BAZOLI. No, lei ha accusato i partiti della vecchia maggioranza di aver favorito gli interessi delle imprese disoneste. Questa è un'accusa grave, che io considero totalmente inaccettabile.

  FRANCO VAZIO. Se lei ritiene di averlo detto inappropriatamente, lo togliamo dal verbale e lei riconosce di aver sbagliato. Tra l'altro, è un'iniziativa di legge costruita e sostenuta dal Movimento 5 Stelle, che non era in maggioranza. Il relatore mi pare, a memoria, che non fosse neanche della maggioranza. Se lei ritiene che questa dichiarazione sia inappropriata e le sia sfuggita, la eliminiamo.

  PRESIDENTE. Onorevole Vazio...

  FRANCO VAZIO. No, è sgradevole, abbia pazienza.

  PRESIDENTE. Penso che il punto si sia capito perfettamente.

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  MARCO RAMADORI, rappresentante del Codacons. Le stesse cose che il Codacons ha detto oggi le ha dette dieci anni fa, le ho dette io personalmente, mi sembra, in Commissione giustizia, quando doveva essere approvato il testo vigente. A noi non interessano i partiti. Interessano i cittadini. Ripeto che questi, lo abbiamo detto, sono difetti che i partiti conoscevano a loro tempo. Oggi la class action è totalmente inefficace. Ribadisco questo.
  Il mio non è un giudizio politico. È un giudizio, ripeto, concreto sull'inefficacia, ma anche sulla consapevolezza, e questo lo ribadisco, da parte di tutti i partiti politici della situazione attuale. Non avete bisogno del Codacons che venga oggi qui a dirvi che cosa non va in questa class action, tant'è vero che quest'ottima proposta di legge la sta modificando proprio perché non funziona. E se non funziona, è ovvio che c'è la consapevolezza dei partiti politici che non funzioni.
  Ripeto, però, che mi dispiace. Non voleva assolutamente essere un insulto nei confronti di alcuno, ma voleva essere un giudizio tecnico per la totale inefficacia di questa class action italiana.

  PRESIDENTE. Questa è la sua opinione, ovviamente; è l'opinione del Codacons. Ne prendiamo atto.
  Concluderei questo ciclo di audizioni.

  SIMONE BALDELLI. Vorrei fare una domanda. In relazione ai soggetti che propongono la class action, nella norma approvata nella scorsa legislatura c'erano anche i comitati, che sono enti giuridici estemporanei. Vorrei avere anche su questo l'opinione delle associazioni.

  SILVIA CASTRONOVI, rappresentante di Altroconsumo. Il fatto che l'istituto venga spostato dal codice del consumo al codice di procedura civile comporta che esso non deve essere appannaggio unicamente delle associazioni dei consumatori; il che, tutto sommato, potrebbe non essere negativo, considerato che in alcune occasioni – parlo sempre per l'esperienza delle 14 class action fatte – può essere anche difficoltoso identificare il consumatore.
  Mi riferisco, ad esempio, alla class action fatta anche a livello europeo, e non solo italiano, nei confronti della Volkswagen per quanto riguarda le emissioni di gas degli autoveicoli: l'avvocato o il commercialista che avessero acquistato l'autovettura in partita IVA, risultavano essere non consumatori. Infatti, in questi casi, l'autovettura era uno strumento di professione, e non un bene di consumo. L'inserimento della class action nel codice di procedura civile può dunque avere anche aspetti positivi. È ovvio che la sede naturale di nascita della class action era il codice del consumo: tale collocazione rappresentava in modo forte ed evidente per chi e perché era voluto l'istituto.

  MARIA IACONIS, rappresentante dell'Unione per la difesa dei consumatori. Sul punto anche prima ho richiamato l'articolo 840-ter, quarto comma, introdotto dalla proposta di legge al codice di procedura civile. Come dice anche la collega, essendo la norma trasfusa nel codice di procedura civile, l'azione di classe non è riservata soltanto alle associazioni dei consumatori.
  Forse sarebbe opportuno porre l'attenzione sulla formulazione adottata, anche per capire quale dei comitati sia maggiormente rappresentativo e stabilire criteri che valgano per tutti.
  Per quanto riguarda le associazioni, sappiamo che quelle maggiormente rappresentative e riconosciute dalla legge sono membri del Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti, il CNCU. Va bene quindi l'estensione ai comitati, ma forse bisognerebbe stabilire criteri e parametri di rappresentatività per evitare la discrezionalità. Grazie.

  IVANO GIACOMELLI, rappresentante dell'Associazione Codici. Naturalmente la previsione che altri soggetti organizzati possano promuovere l'azione collettiva è un elemento di democrazia più che auspicabile. Quello che noi sottolineiamo è che nei confronti di soggetti deputati alla tutela di questi interessi debba essere prevista una Pag. 36legittimazione ad agire attiva, già riconosciuta, quindi senza la necessità di dare prova, come invece i comitati dovrebbero fare, di rappresentatività e di assenza di conflitto di interessi.
  L'associazione che introduce la domanda, in quanto membra del CNCU, è già riconosciuta. Diversamente temiamo che possano nascere comitati ad hoc nelle more dell'organizzazione di una class action. Per organizzare una class action e portarla in giudizio ci vogliono almeno 6-8 mesi, in queste more si può creare un comitato ad hoc che introduce un'azione sbagliata: tu sei obbligato ad aderire a quell'azione e ti trovi vincolato sia nei termini processuali, sia nei termini di prova delle argomentazioni proposte, perché diventi atto successivo e quindi vieni integrato nel procedimento iniziale.
  Questo può essere un elemento negativo. Purtroppo dall'esperienza abbiamo appreso come queste cose possano accadere, soprattutto se ci dovessimo trovare di fronte ad azioni ipoteticamente di grande rilievo anche mediatico ed economico. In conclusione, due strade diverse da riconoscere ai soggetti.

  PRESIDENTE. Grazie agli auditi per aver accolto il nostro invito. Se avete anche altre osservazioni scritte da inviarci, la Commissione le gradirà molto. Sospendiamo la seduta per cinque minuti.

  La seduta, sospesa alle 12.20 riprende alle 12.30.

Audizione di rappresentanti di Confindustria e di Confcommercio.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame della proposta di legge C. 791 Salafia, recante disposizioni in materia di azione di classe, di rappresentanti di Confindustria e di Confcommercio.
  Invito gli auditi a contenere gli interventi in una decina di minuti a testa; successivamente lasceremo spazio al dibattito.
  Do la parola agli auditi.

  ANTONIO MATONTI, direttore area affari legislativi di Confindustria. Grazie, presidente, e grazie a tutti gli onorevoli deputati presenti per l'invito a questa audizione.
  In un ordinamento moderno come il nostro la valorizzazione della class action è indice senz'altro di un'evoluzione, sia sul piano giuridico che culturale, perché rappresenta un utile strumento di aggregazione e di economia processuale.
  Tuttavia, l'esperienza di altri sistemi giuridici, primo fra tutti quello statunitense, dimostra che, se la disciplina non è equilibrata, i rischi di strumentalizzazione e di insuccesso sono notevolissimi. Questi rischi aumentano quando si è in presenza di meccanismi che sono in grado di amplificare la litigiosità, tra cui – non lo cito a caso – primo fra tutti il riconoscimento di premi ai difensori delle parti, che rischiano di determinare, come è avvenuto negli Stati Uniti, un vero e proprio business delle class action.
  È fondamentale, quindi, che la disciplina risulti equilibrata ed equa, disincentivi iniziative giudiziarie temerarie o speculative e assicuri un giudizio non eccessivamente oneroso a carico delle imprese.
  Questi alert sono condivisi anche dall'Europa, perché la raccomandazione della Commissione europea del 2013 sui meccanismi di ricorso collettivo suggerisce agli Stati membri in primo luogo di non introdurre incentivi alla litigiosità e in secondo luogo di prevedere meccanismi di adesione all'azione che siano corretti ed equilibrati.
  Equità ed equilibrio sono, quindi, le basi per delineare un modello di class action efficace e orientato a quello che dovrebbe essere il suo principale obiettivo, che è superare la cosiddetta «apatia razionale» del soggetto danneggiato, il quale, vuoi per l'esiguità del pregiudizio subìto, vuoi per la sproporzione nei rapporti di forza col danneggiante, non agirebbe in assenza del rimedio collettivo.
  In Italia non siamo all'anno zero, perché come sapete dal 2010 è in vigore una disciplina che ha una forte impronta consumeristica e che, dopo una prima fase di rodaggio, peraltro abbastanza fisiologico, fa registrare un trend di successo in salita. Pag. 37
  I riconoscimenti, peraltro, non sono mancati, perché in occasione dell'adozione della raccomandazione del 2013 la nostra azione di classe ha rappresentato un po’ un paradigma, una sorta di best practice di riferimento, e le stesse associazioni dei consumatori hanno espresso apprezzamenti per questo strumento dopo che ad aprile dell'anno scorso è stata dichiarata ammissibile l'azione di classe promossa contro Volkswagen per il risarcimento del danno subìto da coloro che avevano acquistato veicoli muniti del cosiddetto «software EGR».
  Pertanto, sulla base di queste premesse, noi non possiamo che manifestare la nostra contrarietà a stravolgimenti del modello italiano di class action. Migliorare il sistema attuale con correttivi puntuali è senz'altro una buona idea, mentre pensiamo che non lo sia disarticolare l'attuale impianto, opzione che ci pare essere sottesa alla proposta di legge in esame.
  Di conseguenza, la valutazione che esprimiamo sulla proposta è negativa, perché stravolge l'impianto vigente dell'azione di classe e presenta una serie di criticità che ci pare possano essere raggruppate in tre macro-ambiti: il primo è l'ampliamento dell'ambito di applicazione sia soggettivo che oggettivo, il secondo riguarda le modifiche alla struttura del giudizio e in particolare alle modalità di adesione da parte dei singoli e il terzo è l'introduzione di una serie di incentivi alla proliferazione dei contenziosi di classe, in primo luogo il riconoscimento di premi a vantaggio degli avvocati e del rappresentante comune della classe. Ci sono poi altri aspetti di carattere processuale, su cui, se ci sarà tempo, mi soffermerò brevemente.
  Parto dall'ambito di applicazione. Come sapete, la proposta sposta la disciplina dell'azione di classe dal codice del consumo al codice di procedura civile, trasformandola da strumento tipico di tutela consumeristica a rimedio generale di tutela dei diritti individuali. Questo comporta un ampliamento di per sé dell'ambito soggettivo di applicazione, per cui non sono più tutelati soltanto i consumatori e gli utenti, ma anche altri soggetti, tra cui imprese, pubbliche amministrazioni e associazioni.
  A questo ampliamento sul piano soggettivo fa seguito un'estensione anche del perimetro oggettivo di applicazione, perché, pur confermando il requisito dell'omogeneità dei diritti azionabili, la proposta declina una disciplina utilizzabile per tutte le ipotesi di responsabilità, sia contrattuale che extracontrattuale.
  Noi riteniamo che la class action debba rimanere una prerogativa del mondo consumeristico, ma soprattutto che vada confermato l'attuale perimetro oggettivo di operatività. Dunque, qualora si optasse per l'estensione dell'ambito soggettivo di applicazione, in conseguenza dello spostamento della disciplina nel codice di procedura civile, sarebbero senz'altro necessari a nostro giudizio un ripensamento e una selezione puntuale delle posizioni tutelabili, cioè dell'ambito oggettivo.
  Su questo la proposta a nostro giudizio fa registrare un pericoloso scivolamento nella misura in cui apre a tutte le ipotesi di responsabilità da fatto illecito, a tutte le ipotesi di responsabilità extracontrattuale, perché questo consentirebbe di veicolare attraverso l'azione di classe la tutela di qualsiasi diritto individuale, tra cui quelli alla salute e alla riservatezza, e quindi il risarcimento di qualsiasi danno.
  Qual è il problema? Il problema è che quest'estensione risulta incompatibile con le finalità di fondo dello strumento, che sono di economia e di aggregazione processuale. È chiaro che la valutazione di un danno extracontrattuale richiede accertamenti di posizioni individuali diverse l'una dall'altra, che non è possibile realizzare nell'ambito di un procedimento collettivo, almeno se si vogliono preservare le esigenze di economia e aggregazione processuale.
  In secondo luogo, ovviamente questa scelta espone le imprese, e anche il sistema giustizia, al rischio di un contenzioso abnorme, con conseguenze negative sul piano economico e reputazionale.
  La stessa ordinanza sul caso Volkswagen, che ho richiamato poc'anzi, ha confermato quest'approccio, non considerando tra le domande ammesse quelle di risarcimento del danno non patrimoniale derivante Pag. 38 dalla presunta lesione dei beni ambiente e salute.
  Riteniamo quindi che, specie laddove si optasse per l'estensione dell'ambito soggettivo, l'ambito oggettivo della class action debba essere circoscritto alla sfera della responsabilità contrattuale.
  Quanto alle adesioni al giudizio di classe, esprimiamo una forte preoccupazione per le modifiche apportate alla proposta di legge, che consente di aderire all'azione non soltanto prima dell'avvio della trattazione nel merito della causa, come oggi, ma anche in un momento successivo, cioè dopo la sentenza di accoglimento.
  Questa seconda chance – perdonatemi la battuta un po’ «ti piace vincere facile» – di aderire dopo la sentenza di accoglimento non è a nostro giudizio condivisibile e andrebbe stralciata, perché comporta in primo luogo incertezza sulle dimensioni della classe, e quindi sull'impatto che il giudizio può avere sull'impresa, la quale neanche contabilmente sarà messa in condizione di prevedere quale sarà l'impatto sul proprio bilancio di un'eventuale azione.
  Inoltre, di fatto limita, se non impedisce del tutto, la possibilità di definire in via transattiva la controversia. È chiaro che, se non so qual è il perimetro, mi è impossibile fare una transazione.
  Ancora, un meccanismo di adesione di questo tipo determina, non in ordine di importanza come punto, la violazione del principio della parità delle posizioni processuali, in quanto di fatto azzera il rischio di soccombenza da parte di coloro che sceglieranno di aderire dopo la pronuncia a sé favorevole.
  È, quindi, evidente a nostro giudizio il rischio di incentivare in questo modo comportamenti opportunistici da parte di coloro che potranno attendere l'evoluzione della causa e valutare in funzione dell'esito se aderirvi o meno.
  Dal nostro punto di vista, quindi, in un'ottica sempre di economia processuale, un'eventuale adesione tardiva potrebbe giustificarsi solo a beneficio di chi abbia avviato un'azione individuale nei confronti della stessa impresa e per i medesimi fatti prima dell'azione di classe, con conseguente sospensione della stessa una volta avviata l'azione di classe. Si giustifica quindi la possibilità di aderire in questo caso anche dopo la sentenza di accoglimento.
  Quanto agli incentivi alla litigiosità, dicevo che la proposta ne introduce parecchi. Il riferimento è, in particolare, all'obbligo per l'impresa condannata di pagare un compenso di natura premiale al rappresentante comune della classe, all'avvocato dell'attore e ai difensori degli attori delle cause riunite.
  Ora, anche qui ci sono alcune criticità molto evidenti. Anzitutto, si tratta di un istituto inedito per il nostro ordinamento, che finirebbe per connotare la class action come caratterizzata anche dalla presenza di danni punitivi, mentre solitamente nel nostro ordinamento le azioni di risarcimento hanno valenza esclusivamente compensativa; finirebbe, ovviamente, per incentivare in modo distorto le azioni di classe e darebbe luogo a quelle pratiche abusive che sono state ampiamente sperimentate negli Stati Uniti.
  Faccio un esempio con numeri che abbiamo provato ad abbozzare. Nel caso Volkswagen, mediamente la pretesa si aggira intorno ai 4.000 euro per consumatore danneggiato. Ora, se venisse riconosciuta questa pretesa, considerato il numero dei consumatori potenzialmente aderenti, che le stesse associazioni stimano in 30.000, agli avvocati spetterebbero 1.350.000 euro, a fronte di 4.000 euro di risarcimento per ciascun consumatore.
  A nostro giudizio, quindi, la disciplina delle spese del procedimento andrebbe integralmente depurata da queste previsioni, che – ci permettiamo di dire – hanno un sapore vagamente punitivo nei confronti delle imprese, come pure non ci pare ragionevole addossare in capo alle imprese il pagamento delle spese per le consulenze tecniche d'ufficio ex lege, altra deroga alla disciplina generale che non ci pare abbia giustificazione.
  Altro punto estremamente importante è che la proposta fa venir meno il principio dell'unicità dell'azione, che è uno dei capisaldi dell'attuale disciplina. Puoi fare un'azione di classe nei confronti di quella impresa Pag. 39 per quel determinato fatto illecito; non è possibile che la stessa impresa sia sottoposta a più azioni per lo stesso fatto.
  Questo aspetto viene disciplinato in maniera abbastanza articolata e con qualche accorgimento che non lo rende particolarmente evidente nel testo, ma a nostro giudizio è un punto molto importante, che andrebbe chiarito con un espresso divieto alla proposizione di ulteriori azioni per gli stessi fatti illeciti nei confronti della stessa impresa.
  Mi avvio a concludere con cinque brevissime annotazioni di carattere processuale. La prima riguarda la scelta di eliminare dal filtro preliminare di ammissibilità il requisito della capacità del proponente di curare adeguatamente l'interesse della classe, sostituendolo con questo anodino riferimento alla capacità rappresentativa.
  Quel requisito aveva una motivazione specifica, cioè se io sono un'associazione dei consumatori e voglio avviare un'azione di classe, debbo avere una struttura organizzativa e finanziaria per sostenere anche i costi di un'eventuale soccombenza. Scrivere «capacità rappresentativa» e non più «capacità del proponente di curare adeguatamente l'interesse della classe» ovviamente indebolisce questo requisito.
  Competenza territoriale. Si passa dal foro del convenuto al foro dell'attore: non c'è bisogno di aggiungere molto altro, è evidente il rischio di forum shopping, cioè la possibilità che si scelgano tribunali presso i quali si presume che il trattamento sarà più favorevole.
  Legittimazione ad agire. Evidenzio soltanto che, siccome si apre a tutto il mondo delle associazioni e dei comitati senza particolari limitazioni, quantomeno bisognerebbe istituire un elenco presso il Ministero della Giustizia dei soggetti abilitati, provvisti di determinati requisiti, così come peraltro previsto dalla raccomandazione europea.
  Regime probatorio agevolato. Si consente di provare i fatti costitutivi della pretesa sulla base di indizi e presunzioni semplici. Anche in questo caso non si capisce perché derogare ai princìpi generali.
  Quinto e ultimo punto. È chiaro che, quando si va a introdurre una disciplina così potenzialmente impattante, bisognerebbe stabilire con un criterio di retroattività, come fatto all'epoca nel 2010, la sua esperibilità soltanto per i fatti avvenuti successivamente alla sua entrata in vigore.
  Sul profilo temporale aggiungo un altro aspetto: la proposta ruota tutta intorno al funzionamento del portale telematico gestito dal Ministero della giustizia. Il portale telematico già oggi ha seri problemi di funzionamento; con questa proposta verrebbe gravato di un lavoro che allo stato probabilmente non sarebbe in grado di svolgere; per questo motivo nel testo già si prevedono sei mesi di vacatio legis, ma a nostro giudizio questi sono insufficienti e andrebbero portati quantomeno a dodici.
  In conclusione, non posso che ribadire le nostre preoccupazioni per l'impostazione di questa proposta e quindi l'auspicio che la Commissione conduca una riflessione nei limiti del possibile approfondita, volta ad individuare le modifiche necessarie ad ovviare alle numerose criticità che ho cercato seppur brevemente di richiamare. Grazie per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie. Do ora la parola ai rappresentanti di Confcommercio.

  ROBERTO CERMINARA, responsabile settore commercio e legislazione d'impresa di Confcommercio. Buongiorno, grazie per l'opportunità che ci viene offerta di rappresentarvi alcune considerazioni a integrazione di quelle già illustrate dai colleghi di Confindustria, rispetto alle quali ci sono diversi punti di contatto.
  Il primo punto riguarda l'obbligo di ricordare alla Commissione la diversità di contesto nella quale vi trovate a operare rispetto alla passata legislatura nella quale questa stessa proposta era stata licenziata da questo ramo del Parlamento.
  La novità di contesto fondamentale, richiamata dal collega di Confindustria, è rappresentata da una proposta di direttiva europea all'orizzonte sullo stesso argomento, che rientra in un pacchetto più ampio, nel cosiddetto «New deal for consumerPag. 40», cioè in una serie di provvedimenti che la Commissione europea ha licenziato proprio per venire incontro alle esigenze e alla protezione dei consumatori.
  Questo è un elemento importante, perché proprio in uno dei considerando della proposta di direttiva si pone l'accento su una circostanza più volte richiamata dal collega, cioè sulla necessità di equilibrare l'accesso alla giustizia con l'abuso del contenzioso, per alcuni profili che, come vedremo, sono a nostro avviso reali nella proposta per come adesso la leggiamo.
  Concentriamo le nostre osservazioni, visto anche il poco tempo a disposizione, soltanto su due macroaree: grosso modo per aiutarvi, sull'ambito di applicazione e sull'altro aspetto che riteniamo fondamentale, cioè sui potenziali oneri che la proposta nella sua attuale formulazione addossa alle imprese nell'ambito del procedimento.
  Per quanto riguarda l'ambito di applicazione, l'estensione che viene fatta, dando anche alle imprese la possibilità di effettuare un'azione di classe, è una novità significativa che condividiamo, così come condividiamo lo spostamento di questo istituto nella sede più propria del codice di procedura civile.
  Detto questo, però, allora facciamo un passo completo, nel senso che ci permettiamo di sollecitare alla vostra attenzione l'opportunità che l'azione di classe possa essere esperita anche nei confronti della pubblica amministrazione. Perché lasciarla fuori? Ci sono parecchi esempi di casi nei quali il settore – pensate solo alle public utilities, ma ce ne sono tanti altri – certamente produce danni non indifferenti al sistema imprenditoriale.
  Inoltre, non comprendiamo la scelta di tale esclusione: è vero che l'articolo 840-bis, che è l'articolo introduttivo, fa salve in maniera esplicita le disposizioni sul ricorso per l'efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di pubblici servizi, però questa disciplina esclude esplicitamente la possibilità di risarcimento del danno. Si tratta di un limite molto importante.
  Pertanto, vi invitiamo a valutare la possibilità di integrare il testo, facendo in modo che oggetto di un'azione di classe possa essere anche la pubblica amministrazione.
  Sempre rimanendo nell'ambito di applicazione, la scelta che è stata fatta di consentire l'azione, oltre che ai singoli convenuti, anche alle associazioni che hanno come scopo la tutela dei diritti individuali omogenei, a nostro avviso, comporta la possibilità di un'esclusione delle associazioni di categoria, perché queste non perseguono interessi individuali, ma interessi un po’ più generali, che peraltro non sempre sono omogenei. Infatti, le imprese che si riconoscono all'interno dell'organizzazione non sempre hanno omogeneità di interessi.
  Sotto questo profilo, vi evidenziamo che, per esempio, lo statuto delle imprese, nel riconoscere la legittimazione attiva delle associazioni di categoria ad agire in giudizio, ammette esplicitamente la tutela di interessi anche non omogenei.
  C'è poi un altro aspetto importante che portiamo alla vostra attenzione, relativo sempre alla proposta di direttiva europea, la quale parla esplicitamente di interessi collettivi, non di interessi individuali. Anche questo, secondo noi, è un elemento su cui la Commissione potrebbe utilmente fare qualche riflessione.
  La seconda area di criticità è stata da noi indicata con il macro-titolo «potenziali oneri a carico delle imprese». Probabilmente le ragioni che hanno indotto a scelte di questo tipo risiedono nella difficoltà che l'istituto certamente ha avuto nei primi anni di applicazione, però adesso forse si sta esagerando nel trasferire una serie di oneri al soggetto passivo dell'azione. Questo trasferimento necessita, a nostro avviso, di qualche ripensamento.
  Quanto al primo aspetto, vale a dire l'articolato sistema premiale, direi che è già stato molto ben illustrato dal rappresentante di Confindustria, il collega Matonti. Non posso che ripetere alcune brevi notazioni.
  Il compenso aggiuntivo si somma appunto al risarcimento del danno e alle spese di soccombenza, e viene calcolato – l'esempio che è stato fatto è illuminante – Pag. 41non soltanto in rapporto all'entità del risarcimento concesso, ma anche in proporzione al numero degli aderenti secondo una scala definita, nonché in relazione alla qualità del servizio reso: si tratta di una serie di elementi che messi insieme rischiano di non perseguire l'obiettivo di evitare l'abuso del contenzioso, ma anzi di favorirlo. Comunque, c'è qualcuno che vince in tutti i casi.
  Allora, in tema di temperamenti della disposizione, perché omettere quantomeno un riferimento espresso al caso di responsabilità aggravata per lite temeraria? È vero che, trattandosi di un istituto di carattere generale, si potrebbe obiettare che tale fattispecie viene sempre applicata; ma rappresenta anche un segnale, visto che siamo di fronte ad una procedura nuova. Nella fase di prima applicazione sarebbe importante mettere alcuni paletti.
  Poi, magari, si può anche pensare che riconosciamo il contributo aggiuntivo, ma soltanto in caso di vittoria. Perché sempre e comunque? Anche questo è un elemento che non ci convince.
  Un altro aspetto già sottolineato dai colleghi di Confindustria e che condividiamo in pieno riguarda la possibilità di adesione successiva alla soccombenza. Ci sembra veramente una scelta molto forte, che altera gli equilibri nelle posizioni processuali, consente appunto – è stato già detto in maniera chiara – di stare alla finestra, attendere un risultato e inserirsi successivamente. Si preclude, però, automaticamente all'altra parte, in questo caso un'impresa, di poter fare una valutazione.
  Abbiamo già visto il caso della transazione. Su quali basi potrei fare una transazione? Io devo poter conoscere – ci sembra un elemento di giustizia minimale – qual è la platea che ho davanti e rispetto alla quale sono chiamato a rispondere eventualmente di qualcosa. A nostro avviso, quindi, anche questo è un elemento su cui bisogna cercare di intervenire.
  Un altro piccolo elemento procedurale che ci sembra, anche questo, abbastanza penoso è il termine perentorio di 90 giorni per una replica a tutti i fatti dedotti da tutte le parti.
  Comprendete bene che, all'aumentare del numero dei soggetti che aderiscono alla classe, questo termine rischia di essere veramente molto oneroso da rispettare. Peraltro, se non lo rispetto, la conseguenza è che accetto automaticamente tutte le contestazioni che mi sono fatte. Ci sembra, anche questa, una scelta molto forte.
  Infine, l'ultimo elemento procedurale che ci permettiamo di sottoporre alla vostra attenzione è relativo alla circostanza dell'immediata esecutività del decreto. Mi riferisco all'articolo 840-undecies che si prevede di introdurre.
  Anche in questo caso, perché? Perché sempre e comunque? Ci sembrerebbe molto più ragionevole attendere il giudicato. Non si vuole attendere il giudicato? Va bene, allora quantomeno rimettiamo la scelta al giudice, che possa valutare caso per caso se è effettivamente necessario concedere l'immediata esecutività del decreto; altrimenti concederla sempre e comunque rischia veramente di alterare in maniera profonda le posizioni processuali.

  PRESIDENTE. Grazie.
  Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANGELA SALAFIA. Grazie, presidente. Desidero innanzitutto ringraziare gli auditi e rivolgere loro la seguente domanda. L'applicazione di questo provvedimento, piuttosto che incentivare la litigiosità, potrebbe indurre le aziende ad adottare comportamenti maggiormente virtuosi? Il provvedimento può essere quindi considerato un deterrente, può essere visto anche da questa prospettiva?

  GIUSI BARTOLOZZI. Apprezzo le sollecitazioni venute da Confindustria, che sono in parte sovrapponibili a quelle che con tanta maestria e tanto garbo ha rappresentato alla Commissione la professoressa Pagni.
  Saranno oggetto di approfondimento tutte le questioni che la professoressa questa mattina ha portato alla nostra attenzione, in particolare una su tutte, quella Pag. 42relativa all'adesione post pronunciamento dell'ordinanza. La professoressa Pagni ha evidenziato che da una parte ci potrebbero essere comportamenti opportunistici di adesioni post sentenza, dall'altra non ci sarebbero più accordi bonari, perché il primo attore sarà seguito da una serie di tanti altri, per cui il convenuto non sarà mai portato ad aderire. Non da ultimo, ricordo anche il discorso della sperequazione delle parti in punto spese.
  Secondo la professoressa Pagni sarebbe opportuno prevedere l'intervento del terzo. Non è una domanda, ma una riflessione che spero coinvolga la Commissione in una discussione più ampia, perché ricordo che nell'articolo 840-bis non è previsto l'intervento del terzo. A tale proposito la professoressa Pagni ci ha segnalato che è una cosa anomala, perché non sarebbe previsto l'intervento del terzo, ma si darebbe invece ingresso alla chiamata del terzo. Ci sono varie anomalie di raccordo tra norme su cui vorrei conoscere il vostro parere. Grazie.

  MARIO PERANTONI. Ringrazio i rappresentanti di Confindustria e Confcommercio che sono venuti a renderci le loro osservazioni. Ho rilevato che le loro legittime preoccupazioni esternate in questa sede sono rivolte all'esito potenziale di una class action avente finalità risarcitorie. Vorrei sapere cosa pensiate delle class action inibitorie, se le riteniate uno strumento da potenziare e utile per la gestione e la calmierazione di eventuali contenziosi. Grazie.

  FELICE MAURIZIO D'ETTORE. Prendo spunto dalle audizioni di Confindustria e Confcommercio per porre alcune domande rispetto a perplessità che mi sembrano di carattere oggettivo rispetto alla disciplina proposta.
  Sul piano sostanziale è evidente come l'azione di classe parta da un presupposto fondamentale, quello di introdurre parziali deroghe ai princìpi generali. Tuttavia in nessun ordinamento è costruita in maniera totalmente derogatoria rispetto ai princìpi generali, o addirittura in conflitto con i principi generali e con la stessa giurisprudenza, per la verità non molto sostanziosa, ma comunque presente su questo tema nonché sulla tutela degli interessi diffusi e sugli interessi che hanno natura offensiva.
  Qui invece si verifica qualcosa di assolutamente nuovo e singolare in qualsiasi ordinamento: il danno punitivo collegato al danno non patrimoniale. Il danno non patrimoniale, quindi l'illecito extracontrattuale, determina la possibilità di ottenere un risarcimento per danno punitivo, attraverso – andando sul piano processuale – un sistema probatorio fondato su presunzioni semplici.
  Con questa scelta non ci si limita a stravolgere il sistema. Siamo addirittura in un altro mondo dal punto di vista processuale e sostanziale. Non siamo più nell'ambito del diritto civile e processuale italiano, né in alcun diritto di alcuna parte del mondo. È giusto che ci siano regole diverse e di maggior tutela, ma non fino al punto di determinare che il danno non patrimoniale, come l'illecito extracontrattuale, si prova per presunzioni semplici, comportando anche, in base al torto subìto, un risarcimento per danno di natura punitiva. È una disposizione che secondo me non passerà il vaglio di alcun giudizio, perché alla fine anche i giudici si troveranno in difficoltà nel fare questo tipo di valutazioni, già sul piano sostanziale.
  Sul piano poi della prova della legittimazione ad agire, faccio una domanda per capire quali siano gli effetti. Oltre a garantire la tutela dei consumatori bisogna anche comprendere come si devono attrezzare le imprese. Infatti, le imprese devono capire come attrezzarsi rispetto a un portato normativo sostanziale e processuale di questa natura. Come si devono comportare? Leggendo il testo diventa molto difficile capire.
  A questo aggiungiamo che è prevista l'adesione successiva, e non vi è un intervento di terzi. È chiaro che l'adesione successiva determina non soltanto comportamenti opportunistici, ma anche conseguenze in termini di transazione. L'impresa può anche cercare un accordo transattivo, ma quell'accordo transattivo, per come è Pag. 43costruito il testo, si estende a qualsiasi altro giudizio, anche a quelli che intervengono dopo? In base alla norma non è chiaro. Anche questo va capito.
  Inoltre, qual è lo scopo dell'azione di classe? Mi sembra che l'abbia detto qualcuno degli intervenuti. È anche quello di stimolare. L'azione di classe non rappresenta una minaccia. La normativa non è una minaccia affinché le imprese si comportino meglio, la normativa è un modo per rendere armonico e virtuoso il comportamento delle imprese. Non significa: «guarda che c'è questa norma, attento a quello che fai». No, non funziona così, funziona in modo tale che le imprese si comportino in modo virtuoso e armonioso. Questo dovrebbe essere il senso.
  Di conseguenza, le imprese potrebbero anche progettare una transazione. Voi come vedete l'ipotesi della transazione? Rispetto a queste norme, la transazione in un'azione di classe si estende a tutte le altre? Perché ciò non è chiaro. Allora, che ragione ha l'impresa di fare una transazione? Peraltro, ogni singola questione può essere diversa, in particolare con riguardo al danno extracontrattuale, e ancora di più alla responsabilità aquiliana.Allora, come faccio a fare la transazione se non so se altri possono aderire dopo, avvalendosi addirittura della transazione, fuori da tutti i princìpi da questo punto di vista?

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  FELICE MAURIZIO D'ETTORE. Questo è un tema. Esorto anche la Commissione, visto che i membri di Forza Italia l'hanno già fatto presente e oggi ci sono state le audizioni, ad esprimersi rispetto ai comportamenti dell'impresa, che sicuramente vogliono essere virtuose e armoniose. Si parte dall'idea che l'impresa voglia agire in maniera virtuosa e armoniosa, non che la normativa sia una minaccia per le imprese. Attenzione, perché poi le imprese vanno via dall'Italia... È l'unica azione di classe...

  PRESIDENTE. Le considerazioni saranno fatte poi in discussione generale. Questa è la sede per le domande.

  FELICE MAURIZIO D'ETTORE. Non si tratta di discussione, queste sono domande. Li stimolo su queste domande, perché ho letto quello che hanno scritto.

  SIMONE BALDELLI. Io ho ascoltato con grande attenzione le osservazioni, anche di natura tecnica. L'elemento più rilevante secondo me sta nell'aggettivo «impattante» attribuito alla normativa della quale si sta ragionando. Vorrei chiedere un chiarimento e una maggiore spiegazione proprio sul tipo di impatto che questa normativa può avere. Infatti, noi abbiamo questioni di natura procedurale, questioni di diritto, però abbiamo anche un impatto importante sul mondo produttivo.
  Proprio perché la possibilità che ci siano comportamenti opportunistici o derive in qualche misura inibitorie dell'impresa o strumentali rischia di innescare un meccanismo che poi snatura l'obiettivo originario, cioè quello della tutela giusta e doverosa di utenti e consumatori, vorrei chiedere spiegazioni sulla valutazione che Confindustria fa dell'impatto di una normativa del genere sic stantibus rebus. Infatti, l'impatto di questa normativa probabilmente sarà direttamente proporzionale alla qualità e al tempo di riflessione e di lavoro che questa Commissione e - credo - anche la Commissione Attività produttive – che non secondariamente si vedrà coinvolta negli sviluppi della normativa che stiamo esaminando – dovranno dedicare alla materia.

  PRESIDENTE. Faccio io un'ultima considerazione, che poi potrà essere anche oggetto di ulteriori approfondimenti. È stata più volte richiamata, anche durante la mattinata, la proposta di direttiva dell'Unione europea.
  Dico, soltanto per chiarire la questione anche a tutti noi commissari, che si tratta di una proposta di direttiva, e non quindi di una direttiva vigente, nel qual caso sarebbe già immediatamente applicabile nel nostro Paese.
  Ora, gli Stati membri hanno la possibilità in fase ascendente di avanzare proposte e di esprimere il proprio parere sulle proposte di direttiva; non sappiamo quando – Pag. 44se in questa fase o con il nuovo Parlamento europeo, che sarà eletto nel 2019 –, ma ci sarà sicuramente anche da parte della Commissione Giustizia l'opportunità di iscrivere all'ordine del giorno l'esame della citata proposta di direttiva, con l'obiettivo di formulare osservazioni, da rivolgere al Parlamento europeo e alle opportune sedi europee a Bruxelles.
  Questo è un chiarimento doveroso. Giustamente, le materie si intrecciano. È vero quello che si diceva: nella proposta di direttiva, sia all'articolo 4 sia in altri punti del testo, figurano indicazioni sui soggetti legittimati ad agire, nonché valutazioni sull'azione di classe, che tuttavia non viene denominata come tale, utilizzando la Commissione europea ben altra terminologia. Si è scelto un inquadramento diverso rispetto a quello che noi stiamo adottando come Paese Italia. Il mio intervento è volto a chiarire a tutti noi che osservazioni e pareri potranno essere espressi durante la fase ascendente e che non si tratta di una direttiva già in vigore, ovviamente.
  Lascerei la parola prima all'avvocato Matonti, poi al dottor Cerminara.

  ANTONIO MATONTI, direttore area affari legislativi di Confindustria. Le questioni sono diverse. Cercherò di andare in ordine e di dare un riscontro, un'opinione su tutte le sollecitazioni.
  L'azione di classe può essere concepita come uno strumento che induca le aziende a tenere comportamenti più virtuosi invece che incentivare soltanto la litigiosità? La risposta è: sicuramente, sì.
  Ho cercato di dirlo nella premessa del ragionamento: la nostra posizione muove proprio da quest'assunto, che condividiamo. Può essere uno strumento utile anche in termini di gestione efficiente del contenzioso per l'impresa. È chiaro che, se l'azione di classe ha una disciplina equilibrata che evita alcune derive di questo testo, affrontare 15, 20, 30, 300 giudizi e magari davanti a diversi fori, è meno «efficiente» o conveniente, se vogliamo, che affrontarne uno davanti a un unico foro nel quale si ricostruisce la vicenda e si accertano le posizioni giuridiche soggettive che vengono fatte valere.
  Il punto sta proprio nelle modalità. È una materia molto tecnica, anche un po’ noiosa, dove però il diavolo si nasconde nei dettagli. Ed è emerso dalla discussione credo anche stamattina. Basta spostare l'asse di poco da una parte o dall'altra, sul perimetro applicativo (soggettivo e oggettivo) o sulla disciplina del procedimento – che sono i due pilastri, i due assi su cui ruota l'istituto – per squilibrare integralmente l'assetto e rendere a quel punto l'azione di classe uno strumento di cui le imprese, c'è poco da fare – rispondo già al discorso dell'impatto – avrebbero paura. Ma è inevitabile.
  Diciamoci la verità, di azioni di classe ne sono state fatte poche, e soprattutto sono state fatte male. Io ho parlato di un periodo fisiologico di adattamento all'inizio. Le prime azioni di classe proposte dalle associazioni dei consumatori erano totalmente sballate, presentavano errori marchiani di carattere processuale, per questo non sono andate avanti.
  Banalmente, oggi la disciplina prevede che ci sia almeno un consumatore utente che prende l'iniziativa e dà mandato a un'associazione. Tuttavia le associazioni hanno proposto azioni di classe senza avere il mandato di un singolo. Sono stati commessi errori banali, il che non significa che la disciplina non funziona: l'hai gestita male o non sei stato in grado di farti dare il mandato.
  Oggi, però, soprattutto in conseguenza di alcune cautele sul fronte procedurale, l'impatto è sostanzialmente prevedibile, quantomeno nel momento in cui un'azione di classe parte. Superata la fase di ammissibilità, chiuso il recinto degli aderenti, io so con quanti soggetti ho a che fare, so cosa mi aspetta dal punto di vista del potenziale esborso economico e anche della gestione di un danno reputazionale. Con queste modifiche non più, perché se si apre alla possibilità di aderire all'azione dopo la sentenza di accoglimento, si disarticola interamente il procedimento, quindi l'impatto diventa incalcolabile e di conseguenza non gestibile.
  Se la professoressa Pagni ha rilevato il tema dell'adesione tardiva – ovviamente ho Pag. 45massimo rispetto e considerazione per la sua figura –, questo ci fa piacere perché evidenzia un punto su cui anche noi siamo molto preoccupati. Dal punto di vista tecnico è difficile giustificare la scelta di aver escluso l'intervento del terzo e di aver però consentito l'adesione in un momento successivo alla sentenza di accoglimento, ma il punto di fondo è che questo è un profilo che – ripeto – disarticola completamente la struttura del procedimento.
  Sulle azioni inibitorie noi non abbiamo grossa esperienza e quindi non sono in grado di dare una risposta compiuta. Diciamo che è uno strumento che le associazioni hanno utilizzato poco e probabilmente non in modo efficace, che può avere però una valenza potenzialmente positiva – come evidenziato dall'onorevole Perantoni – anche in chiave di deflazione del contenzioso.
  La proposta di legge apre anche in questo caso alla proponibilità da parte di chiunque delle azioni inibitorie, spostando la disciplina dal codice del consumo al codice di procedura civile. È difficile fare una valutazione, ma dal nostro punto di vista quello è un plesso di disciplina potenzialmente valido e da salvaguardare.
  L'aspetto della totale deroga rispetto ai princìpi generali con l'introduzione dei danni punitivi rappresenta un punto molto importante, perché tra l'altro la proposta – perdonatemi – non ha il coraggio di dire espressamente che vengono introdotti danni punitivi, ma lo fa in maniera surrettizia perché, nel momento in cui imponi un compenso di natura premiale a carico delle imprese a beneficio dell'avvocato della parte, di fatto stai introducendo i danni punitivi senza chiamarli tali.
  E in questo modo stai derogando, senza dirlo, a un principio generale non soltanto del nostro ordinamento, ma di tutti gli ordinamenti di civil law, perché in tutti gli ordinamenti di civil law le azioni davanti ai giudici servono per compensare il danno; poi esistono autorità pubbliche come le autorità indipendenti o i tribunali in sede penale che svolgono la «funzione punitiva».
  Il danno punitivo è un istituto tipico degli ordinamenti di common law che hanno istituti e istituzioni pubbliche molto più leggeri, che non intervengono con sanzioni amministrative pecuniarie e quindi affidano all'azione civile il grosso della fase risarcitoria. Almeno questa era la distinzione tradizionale, poi nell'evoluzione degli ordinamenti si è venuta un po’ diluendo.
  Si può discutere di tutto, anche di invertire questa tradizione, però forse è il caso di dirlo espressamente e di fare un dibattito franco su questo aspetto, senza infilarlo in maniera surrettizia nel testo.
  Adesioni successive e transazioni. È stato evidenziato un punto molto significativo. Il testo prevede espressamente – come già oggi, debbo dire – che le transazioni abbiano efficacia nei confronti degli aderenti soltanto se questi dichiarano di volervi aderire. Il punto è proprio qui, il punto è sempre chi siano gli aderenti. Torniamo a uno dei tre temi di fondo: ambito di applicazione, adesioni e compensi premiali. Se io impresa non so quanti sono i potenziali aderenti, non faccio la transazione, perché chiaramente non risolvo il problema.
  L'obiettivo dell'impresa qual è, se incappa in un'azione di classe? Avere una dimensione dell'ammontare del danno potenzialmente da risarcire e uscirne il prima possibile, liquidando quello che c'è da liquidare. Vi è poi un problema di strategia processuale, ma ovviamente nei termini generali questo è il tema. Se io non ho la dimensione degli aderenti, chiaramente non faccio la transazione, perché so che, pur facendola, la faccio soltanto con qualcuno e non con tutti.
  Infine, sulla proposta di direttiva faccio soltanto una battuta. È verissimo che, come sempre, questa Commissione e questo Parlamento avranno un ruolo nella fase ascendente. Lancio un alert. Io volutamente non ho richiamato questo punto nell'audizione, perché a volte si rischia di invocare l'Europa per finalità dilatorie, però c'è un aspetto molto importante.
  La proposta di direttiva e più in generale il New deal for consumer che il collega Cerminara di Confcommercio ha richiamato Pag. 46 sono alle battute iniziali, quindi non stiamo parlando di una proposta che ormai è definita nei suoi caratteri e che ha già superato grossa parte dell'iter europeo, per cui «se ci portiamo un po’ avanti, poi ci possiamo aggiustare». Noi non sappiamo in questo momento quale sarà il punto di sbocco della proposta europea, quindi oggettivamente portarci avanti, per banali ragioni di efficienza legislativa e anche di certezza giuridica, rischia di metterci nelle condizioni di rimettere le mani a questo testo una volta che quelle norme saranno state approvate.

  ROBERTO CERMINARA, responsabile settore commercio e legislazione d'impresa di Confcommercio. Rispetto alle tante considerazioni condivisibili del collega Matonti, mi limito a qualche integrazione e a qualche altra notazione.
  La relatrice ci ha richiamato a valutare anche qualcos'altro, cioè a non aver paura dell'incremento – se lo posso tradurre così, mi dica se ho compreso bene – degli aspetti negativi, ma a considerare ciò che un provvedimento nuovo può produrre dal punto di vista dello stimolo a comportamenti virtuosi.
  Per carità, non vorrei entrare nel dibattito sull'azione moralizzatrice del diritto, che lascerei ai professori universitari. Non siamo entrati qui dentro – l'avrete notato – contestando chissà che cosa, ma semplicemente facendo delle notazioni che ci sembrano puntuali rispetto ad alcune criticità.
  Perché lo facciamo? Perché non possiamo non tenere conto del contesto in cui questo e altri provvedimenti verrebbero a collocarsi. Questo è un Paese nel quale la litigiosità è nelle cose. Noi abbiamo decine di migliaia di cause condominiali o per piccoli incidenti stradali, la maggioranza delle quali sono pretestuose, mi dispiace. Abbiamo una buona parte di soggetti che lucrano, vivono su questo mondo. Non possiamo dimenticare neanche queste cose.
  Dunque, qualunque cosa si introduca di nuovo nell'ordinamento – come abbiamo cercato di rilevare tanto noi che i colleghi di Confindustria – che sia meditata, scritta in maniera un po’ più precisa e che tenda a cercare di anticipare i problemi, invece che a crearne degli altri, è secondo noi benvenuta.
  Per carità, sull'azione di classe nessuno si straccia le vesti, può essere senz'altro uno dei tanti strumenti che aiutano il nostro ordinamento a evolvere verso qualcosa di più moderno, di più vicino ai consumatori. Non so che idea abbiate, ma i consumatori sono il bene delle imprese, non è che noi li vediamo chissà come. Attenzione, nessuno vuole scappare o vuole eludere le situazioni, aprire la finestra e fuggire. Però, se mettiamo in campo un sistema che in questo momento a noi sembra un po’ troppo sbilanciato, che addossa – ripeto – alle imprese oneri potenziali non indifferenti e – come più volte abbiamo detto noi, ma anche i colleghi di Confindustria – non prevedibili, noi ci permettiamo di richiamarvi a un supplemento di approfondimento.
  Lo stesso vale in fondo – anche il collega vi ha fatto riferimento – per la class action inibitoria. Allora perché non estendere le disposizioni anche alla pubblica amministrazione? Quanti interventi che vengono da quel lato meriterebbero provvedimenti di questo tipo? Bene, non c'è alcuna preclusione di principio, ma allora utilizziamo tutti gli strumenti considerando la realtà in tutti i suoi elementi. La realtà nella quale viviamo e in cui si calano questi procedimenti è complessa. Non si può banalizzare troppo. Questo è ciò che mi permetto di portare alla vostra attenzione, come elemento necessario a guidare qualunque tipo di procedimento.
  Infine, forse lo abbiamo già detto, c'è l'ultimo elemento, relativo all'impatto. Il collega è stato chiaro, non abbiamo bisogno di aggiungere chissà quali altre considerazioni. Tutto quello che non è prevedibile e non si gestisce, genera – come diceva il collega, e sposo in pieno tale considerazione – paura nell'imprenditore. Non facciamo un bel servizio al Paese se introduciamo nell'ordinamento istituti che di fatto suscitano questo tipo di allarme.

  PRESIDENTE. Ringraziamo i rappresentanti di Confindustria e Confcommercio. Prego, onorevole Paolini.

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  LUCA RODOLFO PAOLINI. I rappresentanti hanno fatto una valutazione generale su quale tipologia di soggetti economici verrebbero particolarmente percossi? Le case automobilistiche, i produttori di telefoni cellulari, di software, o a vostro avviso potenzialmente chiunque?

  ANTONIO MATONTI, direttore area affari legislativi di Confindustria. Le confesso che non abbiamo un'analisi precisa, ma torniamo al punto di cui sopra.
  Oggi, abbiamo un perimetro più o meno identificabile di imprese potenzialmente coinvolte. Salvo i casi di produzioni di massa, il settore manifatturiero è tendenzialmente fuori dal perimetro dei potenziali soggetti passivi della class action. Ripeto, salvo il caso di produzione di massa. Si vedano, per l'appunto, le case automobilistiche.
  Con questa nuova proposta, non si può parlare di un ampliamento. In realtà, viene rimosso qualunque tipo di limite, e il perimetro delle aziende potenzialmente interessate vedrà non più soltanto quelle classiche del settore dei servizi o delle produzioni di massa, ma qualunque tipologia di impresa.

  ROBERTO CERMINARA, responsabile settore commercio e legislazione d'impresa di Confcommercio. È esattamente come diceva il collega. Le faccio solo due esempi.
  Pensi all'etichettatura degli alimenti o alla protezione dei dati: sono due mondi giganteschi rispetto ai quali un'azione di classe ha un impatto su qualunque tipo di impresa.
  Attenzione, quindi, qualunque istituto – ripeto ancora una volta – introduciamo nell'ordinamento, cerchiamo di fare qualcosa che sia gestibile, prevedibile, e che quindi possa essere soddisfacente per tutte le parti e tutti gli attori in campo.

  PRESIDENTE. Ringraziamo gli auditi. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.25.

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