XVIII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono minori

Resoconto stenografico



Seduta n. 33 di Giovedì 21 aprile 2022

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Cavandoli Laura , Presidente ... 3 

Audizione, in videoconferenza, dell'avvocato Rita Ronchi:
Cavandoli Laura , Presidente ... 3 
Ronchi Rita , avvocato ... 4 
Cavandoli Laura , Presidente ... 13 
Ronchi Rita , avvocato ... 13 
Cavandoli Laura , Presidente ... 13 
Ronchi Rita , avvocato ... 13 
Cavandoli Laura , Presidente ... 14 
Ascari Stefania (M5S)  ... 14 
Ronchi Rita , avvocato ... 15 
Cavandoli Laura , Presidente ... 15 
Giannone Veronica (FI)  ... 15 
Ronchi Rita , avvocato ... 15 
Giannone Veronica (FI)  ... 15 
Ronchi Rita , avvocato ... 15 
Cavandoli Laura , Presidente ... 15

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
LAURA CAVANDOLI

  La seduta comincia alle 8.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso e la web-tv della Camera dei deputati.

Audizione, in videoconferenza, dell'avvocato Rita Ronchi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dell'avvocato Rita Ronchi che ringraziamo per la cortese disponibilità con cui ha accolto l'invito a intervenire questa mattina in Commissione. L'avvocato Ronchi è esperta di diritto civile, diritto minorile della famiglia e fa parte della rete di avvocati UDIRE (Uomini e Donne in rete) che ha stilato recentemente un protocollo sulla sottrazione internazionale di minori, che ci è stato trasmesso e sarà acquisito come documento libero. L'avvocato Ronchi ha seguito diversi casi importanti di cui potrà eventualmente dirci qualcosa.
  Uno di questi è il caso di Erik Zardo. Si tratta di un caso di sottrazione di minore da parte della madre di nazionalità ucraina che si è allontanata con il figlio minore dopo avere presentato una denuncia per maltrattamenti nei confronti del marito. Sebbene il tribunale avesse giudicato infondato l'accusa, i servizi sociali avevano attuato un protocollo di protezione che aveva consentito alla madre di fuggire in Ucraina. Ne è seguito un processo in cui la donna è stata condannata in contumacia in via definitiva a cinque anni e due mesi di reclusione per sottrazione di minore, senza che si potesse dare esecuzione al ricongiungimento del minore con il padre. Ne è seguita una richiesta di danni al comune di Val di Chy per la responsabilità del servizio sociale.
  Tra gli altri casi seguiti dall'avvocato Ronchi ricordo quello, segnalato anche alla Commissione, dei coniugi Franco Conti e Daniela Lambertini. In questo caso la figlia della coppia è stata allontanata dal tribunale per i minorenni di Bologna e destinata ad affidamento eterofamiliare nel 2017 sulla base di presunte trascuratezze genitoriali. In questo caso si è riscontrato un approccio particolarmente vessatorio da parte dei servizi sociali territoriali e delle autorità giudiziarie, con relazioni via, via peggiorative che ignoravano le richieste della famiglia di prendere in considerazione altri aspetti della salute della minore. Si è poi tardivamente accertato che la bambina aveva una patologia rara, la lissencefalia, ma ciò non è stato sufficiente a disporre il rientro. Infatti, il tribunale, su richiesta del servizio sociale, ha proceduto ad affidare la minore a una famiglia fuori regione. Solo nel 2020 si è finalmente disposto il rientro in famiglia, senza che nessuno dei soggetti coinvolti approfondisse anche con indagine interna i fatti e gli eventuali pregiudizi che si sono rivolti contro una famiglia dai modesti mezzi sociali. Avremmo modo di tornare su questa vicenda anche con specifiche indagini.
  Per ora mi limito a sottolineare che questa audizione dovrebbe consentire di acquisire spunti sul concreto funzionamento del sistema e di approfondire anche alcuni elementi specifici relativi ai casi evidenziati, che almeno in alcuni casi si collocano cronologicamente in momenti successiviPag. 4 alla vicenda di Bibbiano, ma sembrano evidenziare serie criticità. Lascio ora la parola all'avvocato Ronchi riservandomi, anche a nome dei commissari, di porre eventuali quesiti al termine della sua esposizione. Prego, avvocato.

  RITA RONCHI, avvocato. Grazie, presidente. Grazie alla Commissione per questa possibilità di esporre dei casi limite, che purtroppo rientrano in un modello comportamentale di assistenza sociale che, se nella sua fase fisiologica comunque presenta generalmente degli elementi di scontentezza e di criticità che sono già stati evidenziati dai precedenti relatori, da questa Commissione, ma anche più semplicemente dalla Commissione Bibbiano che si è svolta in regione Emilia Romagna e in altre sedi, ci sono anche dei casi che ritengo limite e patologici che gettano un'ombra oscura su quello che è il sistema sociale di supporto della famiglia e di supporto dei minori.
  Non dobbiamo mai dimenticare che il servizio sociale utilizza fondi pubblici per andare a supporto delle famiglie. Talvolta, invece, vuoi per mancata formazione del personale, vuoi per aprioristica determinazione delle vicende delle determinazioni, in realtà si genera una sofferenza e a mio avviso, ma anche ad avviso degli utenti e di molti operatori, si determina un danno concreto alla vita dei genitori e dei minori.
  Ringrazio per aver citato questi due casi limite. La vicenda di Erik Zardo oggi assume connotati incredibili, perché dopo la condanna da parte della Corte di appello di Torino della madre di Erik che ha sottratto il minore, noi oggi non sappiamo dove sia questo bambino. Ci sono i corridoi umanitari per fare rientrare gli ucraini o per accogliere gli ucraini in Italia, che valgono per tutti ma non per Erik. Erik è stato sottratto, dopodiché il sistema di Polizia nazionale ucraino è stato estremamente protettivo di questa vicenda, non ha mai dato informazioni, non ha mai favorito alcun tipo di contatto e il padre, Renato Luigi Zardo, in realtà non l'ha mai più visto né sentito.
  Sulla vicenda vorrei specificare che nella promozione del protocollo Zardo si fa riferimento ad alcune chiavi operative, poiché anche in questo caso la vicenda è da un lato tipizzata in quella che è la crisi della coppia coniugale, la denuncia di maltrattamento, l'inserimento di una donna in una struttura di casa famiglia in questo caso, definita preziosa risorsa del consorzio in rete, però dall'altro nessuno mai va a sindacare sulle scelte. Ritengo che in una coppia in crisi con una denuncia di maltrattamento sia inidonea la scelta di una casa famiglia dove la madre era a contatto con la stazione. Quindi all'epoca non vi era ancora la normativa che prevedeva la firma dell'altro genitore per ottenere dei documenti, che è entrata in vigore pochi mesi dopo, e così la signora ha avuto libertà di manovra, di andare al proprio consolato, di ottenere e di organizzarsi con un furgone targato Ucraina e di fuggire senza che né la preziosa risorsa del consorzio segnalasse la fuga, né tantomeno che qualcuno desse l'allarme. Quindi il padre due giorni dopo, quando doveva andare al luogo neutro per vedere suo figlio, scopre che suo figlio era stato rapito.
  Cosa succede in questo caso? In questo caso purtroppo si aggrava anche quella che io ritengo essere una condotta che voglio esporre a questa Commissione e pregare che si creino questi protocolli operativi formativi in materia di sottrazione, perché purtroppo il padre, in provvedimenti in contumacia in Ucraina che dichiarano che lui è pericoloso e che non può avvicinarsi al figlio, in maniera apodittica scopre che in realtà la responsabile del servizio sociale aveva preparato un documento ad hoc un anno dopo la sottrazione, quindi quando la signora era già indagata per sottrazione, che va ad apostillare personalmente e che invia all'indagata per sottrazione internazionale, quando due mesi prima aveva ricevuto il provvedimento del tribunale di Ivrea che stabiliva formalmente che il minore era affidato esclusivamente al padre e che il servizio sociale doveva curare le operazioni di rimpatrio. Non so se vi sia modo di interpretare discrezionalmente un comando dell'autorità giudiziaria che è molto chiaro, tuttavia evidentemente è stato interpretato questo obbligo di consentire il Pag. 5riaccompagnamento del minore nel creare una relazione ad hoc da parte della famiglia allocataria che ripercorresse le parti di paura o fobia della signora e apostillarla e inviarla a una signora che era indagata per sottrazione internazionale. Nelle comunicazioni che sono state reperite dall'accesso agli atti dal padre Mimmo Zardo in realtà non vi è mai stata neanche una comunicazione nella quale il servizio sociale informava la signora che doveva rientrare in Italia e che doveva favorire il rientro del minore.
  Preciso anche che questo minore, ove si volesse sostenere la pericolosità del padre sulla base di una denuncia di maltrattamento, non sarebbe stato inserito a casa del padre, ma sarebbe stato inserito in una comunità per minori, per la quale gli enti territoriali italiani hanno pagato la prenotazione del posto per il rientro di Erik. Non so per quanto tempo sia stato pagato, prenotato e lasciato libero un posto in questa comunità, ma penso per qualche mese e quindi sono stati spesi migliaia di euro, mentre non si lavorava per il rientro del minore.
  Purtroppo questa vicenda trova ancora oggi elementi di assurdità proprio, perché, nonostante vi sia un ordine di esecuzione e nonostante vi siano provvedimenti civili che stabiliscono l'affidamento esclusivo al padre e procedimenti penali che condannano la madre, purtroppo non si riesce a eseguire. Questo perché? Lo spiega un po' anche il documento del protocollo: purtroppo la sottrazione internazionale di minore è un reato che in realtà tutela la responsabilità genitoriale e l'esercizio dello stesso nei confronti del bambino, quindi non è un reato che si presta ad avere esecuzioni in tutti gli Stati del mondo. Se non si contesta il sequestro del minore o il maltrattamento del minore per la lesione del rapporto parentale che in questo caso è totale, perché si tratta comunque di strappare un bambino dalla sua cultura e portarlo da un'altra parte, quindi amputare quelle che sue radici, le sue prime naturali abitudini... Non dobbiamo sempre pensare che siano le madri che sottraggono, previa una denuncia di maltrattamento, al padre i figli, perché ci sono tantissimi episodi proprio di sottrazione internazionali dai padri, dove spesso e volentieri poi le bambine vengono portate in posti dove anche vengono infibulate o quant'altro. La sottrazione internazionale, la gestione della internazionalità dei rapporti che si elidono dovrebbe essere massimamente valutata e attenzionata da dei protocolli operativi che consentano all'Italia anche di richiamare i minori in tempi brevissimi e attivando delle tutele che purtroppo nel caso di Erik Zardo non si sono verificate e che ancora oggi consentono a questa madre di non ottemperare ai provvedimenti resi dall'autorità giudiziaria italiana e purtroppo a questo padre di avere perso irrimediabilmente il figlio.
  In considerazione del fatto che la sentenza di condanna non ha la possibilità di essere eseguita direttamente in Ucraina, voi pensate che sono state fatte attività giudiziarie anche molto importanti, ma non sono assolutamente efficaci e non hanno portato a nulla e neanche all'individuazione. Abbiamo avuto notizie perché il padre, appena c'è stato lo scoppio del conflitto, ha dimostrato una grande umanità e ha scritto all'ambasciata, dicendo: «Se mio figlio o anche la madre di mio figlio dovessero essere in pericolo, non vi preoccupate, basta che li mettete in protezione. Qualsiasi cosa andrà bene, non pretenderò nulla, non pretenderò di vederlo», però l'ambasciata ucraina in Ucraina non ha risposto, mentre quella in Polonia ha detto: «Guardi, noi non controlliamo alla frontiera attualmente, perché non siamo in grado. Se vuole, può rifare un'altra denuncia di scomparsa a questo punto e così noi cercheremo di attivare, ove possibile, nel territorio polacco la ricerca». In tutto questo tengo a precisare che la storia ha degli elementi grotteschi nella misura in cui c'è una zia materna che vive a Reggio Emilia e che non viene mai contattata per sapere ove sia possibile trovare questo minore.
  Eventualmente alla Commissione potrei lasciare tutta la documentazione e inviarla, perché mi rendo conto che sia un caso abbastanza complesso e soprattutto potrei inviare la documentazione del servizio sociale.Pag. 6 In termini di date, nel 2012 il minore viene sottratto, nell'ottobre del 2013 il tribunale di Ivrea emette provvedimento di affidamento esclusivo al padre, ordine di rimpatrio e inserimento in comunità per ristabilire i rapporti e nel dicembre del 2013 l'assistente sociale, previo contatto con l'indagata, invia documentazione apostillata per la quale non siamo mai riusciti a capire se l'abbia fatto magari durante l'orario di lavoro oppure no. È chiaro che il padre ha denunciato questa situazione e purtroppo, come sovente capita quando i genitori denunciano gli abusi o comunque quello che ritengono in violazione delle prassi dei diritti che presiedono l'attività sociale, la denuncia viene iscritta a modello 45, che è quel modello in base al quale vengono registrate le notizie non contenenti fatti di reato.
  Mi preme sottolineare che in relazione a questa qualificazione ci sarebbero anche delle circolari del Ministero della giustizia che invitano le procure a una registrazione, perché è chiaro che la trasmissione delle notizie di reato è anche un elemento che ci può essere utile nelle valutazioni del territorio sociale. Più notizie di reato in relazione a un servizio dovrebbero comportare se non la creazione di procedimenti penali, quantomeno chiedersi: «Ma allora questo servizio sta adottando prassi corrette oppure, se tutti gli utenti non sono contenti e lamentano delle violazioni, c'è un qualcosa che non va?». Non voglio dire che ogni denuncia non debba essere accolta, anzi purtroppo devo rilevare che non sia proprio così. Tuttavia, il fatto e la sistematica iscrizione al modello 45 è un qualcosa che svilisce le lamentele degli utenti e non dà una risposta giudiziaria chiara, il che contribuisce a dare un ulteriore alone di impenetrabilità al muro del sistema affidi, perché il problema è, riallacciandomi alla presentazione della presidente, che non vi è solo Bibbiano, ma vi sono tante prassi e vi sono tante situazioni ove ci sono delle segnalazioni molto importanti di sofferenza, di inserimento comunitario di bambini che durano da quattro, cinque anni, di lesione totale dei rapporti parentali e quando queste cose vengono denunciate dalle persone, secondo me sarebbe il caso, proprio per il pregio e il rispetto che si deve dare alla funzione giudiziaria, avere delle risposte chiare e non avere delle risposte evasive. Comprendo che il sistema non si possa gravare di tutte le denunce, ma quando si parla di servizio sociale, di utilizzo di fondi pubblici e di controllo giudiziario degli stessi, secondo me, anche solo nel rispetto della funzione pubblica, andrebbe operata una valutazione e un controllo molto rigoroso. Se la Commissione ha delle domande o vorrà avere dei documenti, io sono a disposizione.
  Proprio sulla scia del modello 45, passerei a parlare, invece, del caso di Arianna. Il caso di Arianna, come sintetizzato dalla presidente, ha previsto un intervento sociale nel 2017. Arianna nasce nell'ottobre del 2016, ha già dei problemi di salute, poiché ha un primo ricovero per glicemia e un Apgar 5 su 10, ma di tali considerazioni non se ne fa più niente al fascicolo, nel senso che questa rimane una cartella clinica eventualmente nel reparto pediatrico e del parto della madre, ma non verrà mai considerata dall'intervento sociale. L'intervento sociale procede su segnalazione dei parenti di Franco Conti per animosità pregressa, poiché, per essere un nucleo familiare vecchio stile, erano fratellastri, erano figli di papà diversi. Questa cosa aveva generato un po' di animosità e problemi. Su questa cosa il servizio sociale ha accolto la palla al balzo e ha iniziato un intervento, un avvicinamento di questa famiglia fragile, che tengo a precisare essere una famiglia monoreddito, operaia, con scolarizzazione primaria, quindi fino alle scuole dell'obbligo, allora la terza media, osservanti della normativa e in difficoltà per questioni economiche. Si tratta, quindi, di un tessuto sociale molto semplice e molto «onesto», nel senso che fa parte di quella popolazione che ha al massimo bisogno di un sussidio economico, può avere bisogno di indicazioni per gestire la propria vita, ma non di certo di una amputazione dei rapporti parentali e di accuse reiterate per anni.
  Che cosa succede? Inizia un intervento in equipe con la pediatra e la neuropsichiatra,Pag. 7 quindi un intervento in ETI (Equipe territoriale integrata), nella quale viene fatta una prima segnalazione al tribunale per i minorenni di Bologna nella quale viene segnalata una situazione di pregiudizio del minore larvatamente riferibile all'incuria, violenza assistita e litigiosità tra i genitori. È il classico protocollo operativo dell'intervento sociale e di quello che si ritiene il pregiudizio. Se vi è una situazione di litigiosità endofamiliare e se vi è una paventata incuria, a quel punto si chiede un intervento limitativo della responsabilità genitoriale e un intervento da parte del servizio sociale.
  Tutto questo è corredato da una relazione da parte della pediatra e un referto da parte della neuropsichiatra, dove la pediatra riferisce che la bambina ha la crosta lattea, che la bambina non viene lavata e riferisce che questa cosa le venga detta dalla madre. La madre nega di averlo detto ed essendo la bambina nata prematura, purtroppo la crosta lattea può essere una di quelle manifestazioni normali che vengono a tutti i bambini indipendentemente che vi sia una cura e custodia adeguata. Dopodiché la neuropsichiatra correda con un referto, nel quale ipotizza che la bambina, soffrendo di plagiocefalia o altre disfunzioni del sistema motorio, ha un ritardo nella crescita psicofisica da addebitare a incuria genitoriale. Ovviamente né la pediatra, né la neuropsichiatra svolgono attività ed esami clinici che possano escludere una origine diversa che non sia quella sociale.
  Faccio una premessa, la lissencefalia è sicuramente una malattia rara. Vi sono chiaramente degli studi e deve essere chiarito che questa malattia è accertabile anche nella vita intrauterina, perché sostanzialmente – adesso purtroppo non ho le competenze cliniche – mancano le circonvoluzioni del cervello, quindi il cervello è totalmente liscio e la scatola cranica rischia di essere apparentemente molto più vuota. Se noi guardiamo una risonanza magnetica normale, troviamo un cervello assolutamente pieno di circonvoluzioni, ma se guardiamo, purtroppo, quello di Arianna, è molto più rarefatto e liscio. Quindi il sistema neurologico centrale è gravemente compromesso e chi soffre di questa patologia non potrà mai muoversi autonomamente e non potrà mai parlare. Sono ignote le capacità di chi soffre di questa patologia di relazionarsi e comprendere il mondo esterno. Ci sono probabilmente delle percezioni, ma non è dato sapere il grado di compromissione di cui il paziente possa soffrire e in quale misura.
  Fatta questa debita premessa, i medici impegnati e l'assistente sociale si trovano di fronte a una bambina di quattro o cinque mesi che non ha il controllo del capo e che non riesce a girarsi da una parte o dall'altra del letto, quindi con una compromissione della mobilità estremamente importante. Credo che per prassi sappiamo tutti che non si può lasciare un bambino nel letto senza lasciargli dei presidi o dei cuscini, perché altrimenti rotola, si muove e rischia di cadere, ma Arianna non era in grado di muoversi. Secondo me è molto importante fotografare come quella bambina a quattro, cinque o sei mesi, perché non aveva alcun tipo di vocalizzo, non aveva alcun tipo di capacità motoria, aveva un ipotono muscolare negli arti inferiori e non riusciva a tenere i piedi a martello. Con tutta questa serie di elementi, sostenere che per un'esposizione di forme di violenza assistita da quattro mesi un neonato possa ridursi così, credo che non sia lecito. Dopodiché sarà la procura a valutare e saranno i tribunali a domandarsi se sia possibile una cosa del genere, soprattutto in una regione come quella dell'Emilia Romagna che vanta un'eccellenza del sistema sanitario che oggettivamente, rispetto ad altre regioni, mi sento di dire che abbia.
  In realtà viene ipotizzato questo nesso causale tra incuria sociale, condotta negligente dei genitori ed evento, in relazione alla bambina, di disabilità motoria, ma non vengono prescritti esami, non viene attuato il protocollo operativo della regione Emilia Romagna del 2008 sulle disabilità motorie, non viene segnalato alcunché, non vengono fatti esami con urgenza e si chiede al tribunale di limitare la responsabilità genitoriale dei genitori.Pag. 8
  In questo, dopo seconda segnalazione confermativa della precedente a distanza di un mese, viene emesso un primo provvedimento limitativo. Su questa cosa, se posso, vorrei segnalare alla Commissione come una prassi che si trova in tutti i tribunali è che a fronte della sospensione o della limitazione della responsabilità genitoriale, noi abbiamo dei cosiddetti «provvedimenti aperti»: l'autorità giudiziaria, per prassi – non ho capito bene perché – sostanzialmente emette un provvedimento dove dichiarano limitata o sospesa responsabilità genitoriale, affida la minore al servizio, indica l'inserimento comunitario della minore ove possibile con la madre, ma non indica tempi, non indica la comunità e non indica i criteri di scelta della comunità. Tutto quello che riguarda la scelta di educatori, associazioni a supporto dei rapporti o comunque dell'intervento da svolgere viene totalmente delegato al servizio che ha il borsellino della spesa pubblica su inserimenti comunitari.
  Ad esempio, se si va a vedere il sito del comune di Bologna, correttamente vi sono le schede di tutte le comunità che hanno un rapporto con il predetto comune e vi è anche l'onere di spesa ordinario. Variamo dai 100, 120 euro pro capite più IVA, che mi pare sia ridotta al 4 per cento in alcune comunità. Parliamo di una spesa pubblica, ove vi è un inserimento mamma-bambino in una comunità che come spesa minima si aggira sui 250 euro al giorno oltre i servizi extra.
  Che queste cose vengano decise e che non vi sia un controllo giudiziario da parte del servizio sociale, che è lo stesso ente che stabilisce i criteri di pericolo e di pregiudizio del minore, dal mio punto di vista è un elemento che deve essere corretto. Se abbiamo degli inserimenti comunitari, deve esserci un controllo giudiziario sulla scelta della continuità, sul progetto di supporto familiare che si vuole sostenere e sulla valutazione dei tempi. Se non abbiamo questo e, invece, abbiamo solo l'inserimento in una comunità e «Scegli tu, servizio, e poi fammi la relazione di aggiornamento», siamo destinati a trovarci di fronte a questi inserimenti sine die di uno o due anni che a volte durano di più, anche quattro anni, che poi hanno portato a proposte interessanti della regione Piemonte quali l'allontanamento zero o comunque quello di fare notare che se la comunità viene scelta a 100 o 150 chilometri di distanza, la preservazione del rapporto parentale, che dovrebbe essere la stella polare che dobbiamo seguire quando abbiamo degli affidamenti eterofamiliari di inserimento comunitario, non è possibile e ha dei costi oggettivi su delle famiglie che sono già utenti del servizio sociale, quindi ragionevolmente famiglie che hanno dei problemi economici.
  Il tribunale non sceglie la comunità, non verifica la comunità e viene disposto questo inserimento in una comunità che, da scheda del comune, poteva tenere minori di cinque anni di età, invece Arianna ne aveva meno di uno, e non aveva alcuna possibilità di fare un supporto di minori disabili. Dico questo perché se la diagnosi di questa patologia genetica rara è stata effettuata nel dicembre del 2017, Arianna era comunque una bambina per la quale era stato accertato un ritardo nella crescita psicofisico ed era stato diagnosticato che la bambina aveva delle disabilità psicomotorie, ma è stata inserita in una comunità che non era idonea per scheda tecnica pubblicata ad accogliere questa bambina. Sostanzialmente io ritengo che il controllo sulla scelta della comunità sia fondamentale, come anche sia fondamentale il controllo delle competenze tecniche e psicologiche degli educatori all'interno della comunità.
  Perché dico questo? Perché purtroppo, durante la permanenza in comunità e sempre in ragione del fatto che vi era l'accusa di origine sociale del ritardo psicofisico, questa bambina ha iniziato a manifestare le ulteriori problematiche relative alla sua patologia che erano crisi respiratorie, difficoltà di deglutizione e crisi epilettiche notturne. Come sono state descritte le crisi epilettiche notturne da parte della comunità in questione? Innanzitutto i risvegli notturni sono stati descritti come se la madre si divertisse a svegliare la bambina, a torturarla e a toglierle il ciuccio di notte, quando, invece, erano dei risvegli notturni Pag. 9assolutamente conseguenti alla patologia e le crisi epilettiche come reattività al non adeguato agire materno e alla rabbia della madre.
  Come è stato correttamente osservato dalla dottoressa Elia del Borrello che ha fatto una relazione tecnica che ho messo a disposizione della Commissione, noi dobbiamo pensare che mentre c'è una descrizione di questa vicenda che ci racconta di una famiglia inidonea e di una povera bambina che non cresce regolarmente, noi abbiamo invece la storia reale, ovvero una famiglia che si chiede come mai la figlia non stia bene, che deve subire una disgregazione del proprio nucleo familiare, un allontanamento tra coniugi, un inserimento comunitario ove e quando la bambina sta male e una madre che quando dice: «Aiutate mia figlia», si sente dire «È colpa tua, tu sei cattiva». Dopodiché ci sorprendiamo se una madre in questo contesto, dopo quattro mesi di inserimento comunitario e dopo che le tolgono la bambina, ha un disturbo dell'adattamento. Avendo subìto quello che ha subìto, direi che è più che comprensibile che la sua reattività sia stata di sofferenza.
  Perché in realtà dura così poco questo inserimento comunitario? Perché purtroppo nelle more dell'inserimento comunitario avviene una visita di concerto con un neuropsichiatra, un pediatra, la responsabile di comunità e altri professionisti, nella quale sono emersi quattro certificati difformi che sono stati poi dichiarati come brutte copie. Se volete invierò le copie di questi certificati, però in uno si esclude categoricamente che il ritardo psicomotorio possa essere addebitato alle cure, in un altro, sottoscritto, viene lasciata questa ipotesi infamante ancora sussistente, mentre quello che ci può tranquillizzare è che casualmente appare nella cartella clinica del Sant'Orsola della minore, che reca un codice ICD-10, che è il codice del protocollo del riconoscimento delle disabilità minorili che deriva dal decreto regionale 138/2008 dell'Emilia Romagna, la quale ha virtuosi protocolli operativi a tutela di minori disabili, che non è stato applicato. Questo codice esiste, è stato inserito in una brutta copia di questo certificato e nella cartella clinica dell'ospedale. Quindi a mio avviso è quello l'unico certificato che vale, non quello conservato in altri uffici.
  Perché voi vi chiederete o perlomeno anticipo un eventuale domanda: come mai allora questi genitori non hanno richiesto cure adeguate? Perché non si può. Perché i provvedimenti, quando affidano il minore al servizio, indicano anche un obbligo del genitore alla collaborazione col servizio. Quindi se i genitori dovessero mai chiedere in questa circostanza qualcosa di più od opporsi a un trattamento o chiedere un ulteriore parere, si trovano nella difficoltosa e gravosa situazione di rischiare una segnalazione di non collaborazione con il servizio e, inoltre, non hanno accesso ai documenti sanitari che in quel caso vengono detenuti dagli assistenti sociali o dal responsabile della comunità o, in caso di sospensione, dall'ufficio tutele del comune competente. Quindi i genitori in questa condizione non hanno più in alcun modo accesso al fascicolo sanitario del minore.
  Secondo me questo è un dato fondamentale, perché se invece siamo di fronte a una situazione ove devi sorreggere le facoltà genitoriali, devi supportarle, devi rafforzarle, determinare una scissione tra le decisioni sanitarie e decidere di non perdere tempo a spiegare ai genitori quali sono le situazioni che devono affrontare e allontanarli dalla gestione della patologia della figlia, questo non è in linea con la legge dell'affidamento eterofamiliare, ma a mio avviso si determina per un'azione che allungherà i termini di questo affidamento.
  La storia è finita bene dopo diverse istanze, con un cambio di difesa e anche con l'aiuto di troppe persone per un caso così iniquo, perché comunque eravamo due difensori nel civile, c'erano un'associazione dei diritti civili, con la dottoressa Morselli che ha aiutato al reperimento di tutta la documentazione in giro per tutti gli uffici, l'associazione UDIRE e la psicologa. Vi era un corredo di persone che sono intervenute e che hanno aiutato questa famiglia perché la storia era oggettivamente iniqua: una bambina disabile che, invece di essere curata, in una situazione sub iudice è stata Pag. 10inserita in una comunità ed è stata lasciata da sola incosciente con delle crisi epilettiche fino a che non ha anche rischiato di morire. Chiaramente questa cosa ha mosso tutta una serie di persone, poi i genitori si erano mossi, avevano parlato con il sindaco e con il responsabile di quartiere, sia della sinistra che della destra, quindi hanno parlato un po' tutti. Nelle relazioni l'assistente sociale stigmatizza questo atteggiamento dicendo: «I genitori non capiscono la gravità della situazione», mentre la minore era nella prima famiglia affidataria, dove, all'esito di accesso agli atti, si è scoperto che per otto mesi vi è stato un costo di 20 mila euro solo per la famiglia affidataria ripartita tra il comune di Bologna e l'ASL (Azienda sanitaria locale).
  Cosa succede poi in questa storia? Che in violazione quindi dei protocolli di tutela sanitaria della minore, a nostro avviso e anche della normativa sull'affidamento eterofamiliare, che dovrebbe valutare un percorso di riunificazione, il servizio sociale in autonomia indica un'altra casa, un'altra famiglia affidataria a Pesaro, quindi inserendo un ulteriore elemento giustificandolo al tribunale come «Dovremmo fare una assistenza 24 ore su 24, quindi è una cosa troppo onerosa.» Evidentemente 20 mila euro in otto mesi sono sostenibili, ma io ignoro quanto costi un'attività di supporto di educativa 24 ore su 24, ove necessaria, perché io non ho mai ritenuto che fosse necessaria, come in seguito prova che non è mai stata necessaria.
  Sulla base di questa motivazione la bambina viene trasferita a Pesaro, ma questo vuol dire che la famiglia dovrà spendere 300 euro tutti i mesi per recarsi a Pesaro tra benzina, autostrada o quant'altro per vedere la bambina per due ore vedere. Viene garantita anche una scissione geografica del nucleo familiare e i genitori vengono invitati spesso dal supporto di psicologia, sempre in relazione a questo servizio offerto, a valutare l'ipotesi di abbandonare l'idea di un ritorno di Arianna in casa.
  I genitori non si sono arresi e dopo grande insistenza siamo riusciti ad accettare un piccolo percorso di rientro, ma più che altro per facilitare il contatto dei genitori con la patologia, perché i genitori erano all'oscuro di tutto. In un affidamento eterofamiliare con una bambina disabile, tu al servizio sociale non valuti di dovermi mettere a contatto costantemente con i medici per tenermi informato e di darmi delle possibilità di formazione anche solo di sostegno a minori con delle disabilità, sempre che tu sostenga che io non sia in grado di curare o di essere un buon genitore di un bambino disabile. Non viene fatto nulla di tutto questo e i genitori vengono isolati anche dalla parte medica clinica della bambina che non era di poco conto. I genitori dopo anni erano comunque molto spaventati, ma ovviamente sono stati supportati anche da una psicologa privata in questo. Ovviamente mai il servizio ha fatto un servizio di questo genere, ma lo hanno dovuto cercare privatamente. Dal maggio 2020 al luglio 2020 finalmente dopo l'ennesimo cambio di assistente sociale è arrivato un assistente sociale che semplicemente ha detto: «Riportatevela a casa che siete perfetti». La bambina e i genitori non hanno mai avuto bisogno di educativa e non c'è mai stato bisogno di dire che la casa era sporca, che la bambina non veniva lavata o che non veniva pulita. Magicamente non si sa come, questi genitori hanno perso la bambina, l'hanno vista per due ore al giorno per più di due anni, dovendo affrontare anche un viaggio, e questo è il rapporto che ha consentito loro di imparare a curare la bambina.
  Una volta che i genitori hanno capito come si danno i farmaci, perché vi è un bilanciamento di farmaci da dare a questa bambina per evitarle le crisi e per favorire le funzioni fisiologiche che, stante l'immobilità, devono essere particolarmente controllate – essendo una bambina che non deglutisce, tutto il cibo deve essere assolutamente liquido e questo chiaramente porta nella gestione delle funzioni fisiologiche dal rischio di ab ingestis, quando si può mangiare, all'espletamento delle proprie funzioni fisiologiche e quindi si deve porre un po' di attenzione, però nulla che non sia assolutamente impossibile –, immediatamente, grazie a una assistente sociale che Pag. 11semplicemente ha deciso di fare il suo lavoro e smettere di frapporre problemi, i genitori hanno riavuto la bambina e addirittura la avevano che non era ancora pronta alla casa dove andare ed è stato dichiarato che venivano ospitati proprio da questa dottoressa che aveva collaborato al reperimento di tutti i documenti di questa difficile vicenda. Sostanzialmente si è dato prova che non vi era assolutamente alcun bisogno di supporto educativo o quant'altro, perché erano pronti e lo sono sempre stati.
  Vorrei dire solo un'altra cosa e poi eventualmente sono disponibile a domande o produzioni documentali. Per due anni i genitori sono andati a Pesaro in un luogo neutro a vedere la bambina. A questi incontri non hanno mai partecipato gli psicologi o la neuropsichiatra. Noi viviamo in un sistema senza visione diretta del rapporto che comunque è alterato, perché secondo me il luogo neutro è una forma micidiale di disgregazione del rapporto umano, poiché se già siamo in un ambiente non noto, in un ambiente non familiare, dove c'è l'educatore, lo psicologo e quant'altro, a mio avviso non si può dire che sia l'ambiente corretto per valutare se vi sia un rapporto genitoriale premiante e in quale modalità.
  Detto ciò, che cosa è successo? Abbiamo verificato che agli incontri non partecipavano né la psicologa, né il neuropsichiatra che allora erano ancora contrari, non si sa bene per quale ragione, al rientro della minore in casa nelle varie relazioni di aggiornamento fatte pervenire al tribunale, e che sostanzialmente emettevano delle relazioni sulla base delle relazioni degli educatori del centro ove si svolgevano i luoghi neutri. Credo che questa cosa non sia assolutamente accettabile. Per quanto si possa trovare un educatore capace – devo dire che spesso mi trovo addirittura in situazioni dove gli educatori dicono: «Guardi, per me lei è prontissimo. Noi lo diciamo però gli assistenti sociali non sono ancora d'accordo.» – il metodo di basarsi su quello che dice l'educatore senza andare a vedere e verificare quello che è il rapporto, secondo me se da un lato ci possiamo fidare dell'educatore quando dice: «Potete tornare a riavere un rapporto normale», dall'altro, quando disponiamo di essere contrari e continuiamo a disporre di spesa pubblica ingente, varrebbe la pena adottare criteri di accertamento oggettivi e non de relato, altrimenti ci troviamo ad avere plurimi documenti all'interno di un fascicolo che vengono da un'unica fonte cognitiva, che quindi sono una duplicazione di un eventuale ragionevole giudizio negativo? Non lo possiamo sapere.
  Francamente ritengo che questa cosa sia molto grave. Non possiamo far proseguire affidamenti eterofamiliari sulla base di relazioni negative che de relato trovano ad avere conferma semplicemente perché ti rifai a quello che ha visto qualcun altro, ma che non hai mai visto direttamente.
  In ogni caso finalmente Arianna è tornata a casa e il tribunale ha dovuto disporre la piena responsabilità dei genitori senza neanche un monitoraggio degli assistenti sociali. La questione oggi pare essersi risolta da un punto di vista civile, da un punto di vista penale o comunque amministrativo, perché, indipendentemente dall'accertamento di commissioni di condotte penalmente rilevanti, residua il fatto che in una città di eccellenza del settore sociale sia avvenuta una cosa del genere.
  Nell'ambito di svariate valutazioni o richiesta di valutazione dei rapporti comunitari o quant'altro, io devo dire che purtroppo – ne è stata informata anche l'autorità – mi sono imbattuta in un altro caso sempre in quella comunità, dove nel 2019 due bambini hanno avuto una intossicazione alimentare e sono stati ricoverati sei giorni al Sant'Orsola con delle trasfusioni. Quindi non è stato un mal di pancia normale, nel senso che avevano sviluppato una sindrome e hanno dovuto subire delle trasfusioni di sangue per riprendersi. Di questo caso non vi è stata segnalazione, neanche segnalazione da parte di altro servizio territoriale, perché non erano più quelli di Bologna.
  La questione è: come mai questa comunità riesce a tenere bambini disabili quando non ha gli educatori preposti a farlo e alcuni bambini incorrono in intossicazione? A me poco interessa che sia anche Pag. 12una comunità dove ci sono progetti residenziali mamma-bambino. Tu sei lì per controllare, tu prendi i soldi dalla regione o dal comune per controllare, quindi il fatto che anche la madre possa eventualmente avere dato del cibo scaduto o danneggiato non esula dalla responsabilità della predetta attività.
  Purtroppo in definitiva devo segnalare che vi è sempre una difficoltà oggettiva da parte dei genitori o da parte dei soggetti che vogliano segnalare le disfasie di un sistema. Non voglio arrivare a dire che sono tutti reati, però a volte delude proprio il fatto che non si vogliano valutare concretamente queste condotte, che si facciano spallucce e che poi si vada avanti e così un anno dopo vi è un altro episodio e così via. Dal mio punto di vista, questa cosa delegittima proprio questo intervento.
  Facciamo un esempio. Se si creano i casi Bibbiano, Veleno e Forteto, ma anche questi casi che sostanzialmente non pongono di certo né luce né onore alla gestione del sistema sociale, noi abbiamo una delegittimazione totale del sistema. Invece, prendere questi casi, valutarli, chiedersi che cosa non abbia funzionato e onestamente valutare realmente il perché, credo che sarebbe già un passo enorme.
  Dal mio punto di vista devo anche segnalare alla Commissione che ritengo che almeno il 30 per cento delle situazioni di affidamento ai servizi dovrebbe essere regolato in altri modi. Secondo me ci sono dei metodi predittivi che possono richiamarsi a quelli contestati al metodo CISMAI (Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l'abuso all'infanzia) o ad altre situazioni che sono allarmistiche e che determinano un approccio separativo della famiglia e non di supporto alla stessa. Le persone vengono inserite in questo sistema, che è un sistema che schiaccia prima la loro anima e poi i loro affetti, e si crea una situazione di sfiducia sia nelle istituzioni, sia quando questi genitori, le famiglie o i figli, che diventano maggiorenni, dichiarano: «Non era vero quello che mi hanno fatto dire», perché almeno io inizio già ad avere dei bambini affidati al servizio che oggi sono maggiorenni e dicono: «Mi dicevano un mucchio di cose che non andavano e io ci credevo». Oggi si inizia ad avere la prova delle attività del servizio sociale fatte dieci anni fa.
  Anche sotto questo profilo io mi sento di chiedere: come mai non diamo ascolto e non diamo voce a queste persone che, invece, ci dicono che il sistema non funziona? Non voglio dire che non ci debba essere un servizio sociale, che non si debbano ipotizzare delle forme di supporto genitoriale, ma mi chiedo se, continuando a far finta di niente, soprattutto di fronte ai casi che chiaramente non funzionano e che, ancora prima che destare preoccupazione sotto il profilo giuridico in quanto a violazione della veridicità dei documenti oppure quanto all'abuso di ufficio o qualsiasi reato, dovrebbero farlo quantomeno dal punto di vista morale.
  Se noi abbiamo degli operatori che hanno fatto finta di non vedere che erano delle crisi epilettiche – secondo me è impossibile che un operatore non si renda conto che una bambina sta tremando e che è una crisi epilettica, perché se no abbiamo altre tipologie di problemi –, mi chiedo se di fronte a queste cose sia poi scusabile una risposta mite delle istituzioni, perché il sistema che poi ne deriva è un sistema non solo di enorme spesa pubblica.
  Ipotizziamo tra affidamento eterofamiliare e tra ripartizione solo per l'Emilia Romagna – io poi non ho chiesto alla regione Marche –, solo dalla disposizione dell'affidamento, avremmo avuto una spesa per le sole famiglie affidatarie di più di 30 mila euro, a cui si deve aggiungere l'indotto dei luoghi neutri, il servizio sociale che ogni tre o quattro mesi mi fa un colloquio e tutta una serie di costi di tenuta del fascicolo e quant'altro.
  A tacere dell'inserimento comunitario, che secondo tabella potrebbe costare 250 euro al giorno per quattro mesi, noi abbiamo anche questo, quindi Arianna sarà costata allo Stato minimo 100 o 150 mila euro. Con 150 mila euro non mi si venga a dire che all'inizio non si potevano dare delle cure, cure nel senso di accertamenti diagnostici tempestivi che potessero consentire non tanto di essere curati, perché Pag. 13chiaramente non vi è cura, ma quantomeno di lenire gli effetti della sintomatologia che è grave, invasiva e che poteva creare ulteriori problemi alla bambina.
  Riagganciandomi a quello che ho detto prima, sarebbe fondamentale avere quindi dei provvedimenti nei quali si indichino la comunità, le qualifiche delle comunità e il progetto di reinserimento, in modo tale che esso sia verificabile. Se, invece, noi partiamo da un'aprioristica indicazione di pregiudizio del minore, da un'aprioristica indicazione di contrarietà fra il genitore e figlio e non diamo concretezza a queste parole, senza dare un perimetro operativo delle stesse, noi abbiamo semplicemente dei provvedimenti aperti che consentiranno a soggetti terzi di denunciare il problema, di gestire i rapporti economici sottostanti allo stesso e non avremo mai verificabilità di quello che è il progetto, perché dalla relazione osservativa iniziale noi poi dovremmo avere sempre delle relazioni progettuali che ci spieghino perché è stato fatto un intervento e perché questo intervento sia fallito. Se, invece, non abbiamo questi elementi chiari e precisi, noi siamo in balia di reiterate indicazioni di pericolo, di non essere pronti, di carenza di empatia e di non essere in grado di mettersi all'ascolto del minore. Non voglio delegittimare tutte queste situazioni, però non voglio neanche che si crei sempre e comunque la scusa. Non possiamo tenere esenti i nostri figli e le persone che amiamo dal dolore, ma possiamo dargli forza per affrontarlo.
  Un'altra cosa che a me dà molto fastidio è che vedo sempre che se c'è una difficoltà, allontaniamo il bambino. Se c'è una difficoltà, aiutiamolo a diventare forte e a diventare grande, perché a volte gli ostacoli invece dovrebbero essere vissuti come una possibilità di crescita. Dico questo in termini generali proprio per rifarmi a quella percentuale di interventi che io ho detto essere a mio avviso assolutamente non dovuti.
  Se volete, posso introdurre altre tematiche. Diversamente, se la Presidente o i commissari hanno delle domande, mi metto a disposizione.

  PRESIDENTE. Avvocato, la ringraziamo – abbiamo un problema di orario – per questa toccante e molto densa relazione con delle proposte molto importanti per la nostra ricerca. Chiedo ai commissari se hanno delle domande di prenotarsi. Nel frattempo gliene faccio alcune io, se non è un problema, visto che al momento non abbiamo richieste. Il fatto che non ci fosse accesso al fascicolo sanitario di Arianna lo ha stabilito il giudice? Faccio un po' di domande, ma sono molto semplici.

  RITA RONCHI, avvocato. Nella sospensione genitoriale e nella limitazione genitoriale o con un intervento comunitario le informazioni sanitarie arrivano alla responsabile della comunità e al servizio e non ai genitori. Quando Arianna è stata ricoverata e il padre vedeva una volta a settimana in luogo neutro la bambina, mentre la madre era in comunità, il padre ha dovuto chiedere: «Posso stare al Sant'Orsola che mia figlia è ricoverata?», perché non poteva. Da provvedimento la madre e la bambina erano in comunità e il padre doveva stare fuori. Doveva chiedere il permesso, «Posso recarmi all'ospedale dov'è ricoverata mia figlia?», perché funziona così. È nella limitazione della responsabilità genitoriale non avere più la possibilità di essere l'interlocutore primario dei medici e quindi la documentazione non passa più ai genitori. Se l'assistente sociale, a mio avviso, fa il suo dovere, informa ampiamente i genitori, ma se decide di non farlo, può non farlo.

  PRESIDENTE. Grazie. Poi le chiedo se di questa vicenda di Arianna sia stata informata o chiesta comunque l'attività della garante regionale per i minori.

  RITA RONCHI, avvocato. È stata informata la prima volta da me. Io penso di avere scritto oramai anche al Papa. Anzi no, non ho scritto al Papa, ma probabilmente lo farò. È stata informata la garante la prima volta, la quale ha risposto che lei non poteva intervenire nell'ambito di decisioni giudiziarie. Questa cosa mi ha molto piccata, perché non chiedo l'intervento a qualcuno di istituzionale di intervenire sull'autoritàPag. 14 giudiziaria, ma segnalo, nell'ambito delle sue funzioni legali, il fatto che doveva assolutamente valutare che in una situazione del genere non era stato nominato il difensore del minore, che è stato nominato solo dopo che sono intervenuta io come difensore, segnalando diverse criticità del fascicolo, che non era garantita una corretta informativa sanitaria e che non era garantita l'applicazione della normativa a tutela dei minori disabili, perché, nonostante la diagnosi, questo caso è stato gestito sempre e solo come un caso di minore che doveva essere protetta. Ho detto: «Scusi, mi può spiegare che cosa sta succedendo e perché non è stata applicata la normativa?». La garante alla seconda lettera, che potrò mettere per conoscenza alla Commissione e per la quale avevo già informato anche altri parlamentari, che sono in copia proprio in virtù della lesione oggettiva dei diritti di questi genitori e dell'assenza di una risposta chiara e precisa delle istituzioni, non ha neanche risposto.
  Unitamente a ciò è stato informato anche l'Ufficio tutela, a cui ho chiesto: «Scusate, voi vi siete mai resi conto che in questa storia ci sono quattro certificati difformi?». Se mi volete dire che sono delle brutte copie è alquanto singolare, ma almeno ditemi dove sono state fatte, quando sono state fatte, quando si è verificato il ripensamento sul certificato medico e come mai mi trovo in diversi uffici diverse copie, perché un conto è se mi trovo la brutta copia nel cassetto della scrivania e un conto se mi trovo a seconda dell'ufficio una copia difforme di un certificato. A quel punto è evidente che da un lato al Sant'Orsola non potevi negare di aver diagnosticato un ritardo psicomotorio oggettivo e ab origine, dall'altro però hai continuato ad avere documentazione che potesse essere utilizzata per dire: «Noi non sapevamo niente». Quello mi pare alquanto evidente, perché se fossero state veramente brutte copie, non avrebbero circolato. Quindi qualcuno oggi mi deve spiegare perché hanno circolato in diversi uffici. Il comune non solo non mi ha saputo rispondere, ma non aveva neanche tutta la documentazione sanitaria. Nonostante fosse nominato un tutore, non c'era e non avuto dall'ente territoriale competente una tenuta ordinata di tutta la documentazione.
  Faccio presente che in qualità di ente pubblico i documenti, quando vengono acquisiti, devono essere protocollati e deve essere inserita la data. Mi sarei aspettata una tenuta del fascicolo ordinata, continuativa e verificabile. Che cosa vuol dire? Vuol dire che c'è l'Ufficio tutela, ma gestiscono tutti gli assistenti sociali, perché se l'Ufficio tutela non ha tutta la documentazione la deve acquisire quando gliela chiedo io o comunque me la dà a più riprese, vuol dire che non c'è una tenuta ordinaria.
  Formalmente il sistema ha assistenti sociali, tutori e quant'altro, ma poi in realtà non vi è una diversa gestione. Questo crea la duplicità di fonti informative che possono indurre anche in errore o comunque a scelte giudiziarie non conformi, ma in realtà noi abbiamo un'unicità di operatività. Si decide che questa è la gestione corretta e nessuno dei soggetti pubblici preposti al controllo poi lo fa. Non avevano neanche i documenti, io ho dovuto chiedere il diario clinico della tenuta dei documenti della pediatra, perché ovviamente ai genitori, sin dall'inizio dell'intervento, comunque non è arrivata un'informativa chiara e precisa sulle condizioni di salute della minore e venivano sempre stigmatizzate.

  PRESIDENTE. Grazie. La parola all'onorevole Ascari e dopo all'onorevole Giannone. Visto l'orario, facciamo fare le domande e poi chiediamo all'avvocato Ronchi una risposta scritta.

  STEFANIA ASCARI. Grazie, presidente. Grazie per l'importante contributo dell'avvocata. È importante leggere il protocollo e anche tutte le criticità e i vuoti normativi che ha riscontrato sono importanti per porre dei correttivi. La sua audizione è stata molto completa, però c'è un punto che non ho capito e le chiedo scusa, mea culpa. Per quanto riguarda il caso della mamma che ha portato il minore all'estero, lei ha detto all'inizio che presentò denuncia per maltrattamenti. Non ho capito se fece denuncia, se quella denuncia ebbe un seguitoPag. 15 e se ci furono delle conseguenze per il padre a livello di condanne o meno di maltrattamenti. Volevo avere solo queste precisazioni, perché per il resto leggerò con attenzione il protocollo e la sua relazione. Grazie mille.

  RITA RONCHI, avvocato. Il papà è stato assolto, però hanno fatto tutto il procedimento. Poi metterò a sua disposizione tutti i dati e i documenti. Grazie.

  PRESIDENTE. Prego, onorevole Giannone.

  VERONICA GIANNONE. Grazie, presidente. Grazie mille, avvocato. Innanzitutto la ringrazio molto per tutto quello che purtroppo è stata costretta a raccontarci oggi, perché si spera sempre di non sentire determinati racconti, però purtroppo è così. Volevo innanzitutto dirle che, rispetto a quanto ho sentito ieri dal vicepresidente dell'Ordine nazionale degli psicologi che parlava di queste modalità che servono proprio per il rientro in ambito familiare o per il lavoro con la famiglia per ristabilire una capacità genitoriale tale da portare e da avere una serenità familiare, qui dai suoi racconti, ma sono convinta anche dagli atti che ci fornirà, sembra che è stato totalmente il contrario e di questo mi dispiace molto. Avrei voluto che la dottoressa di ieri la ascoltasse.
  Ho un'unica domanda da fare. Lei parlava di attacchi epilettici, di problematiche relative al secondo caso e degli educatori che scrivevano delle relazioni che poi venivano prese come per buone dai professionisti che, invece, avrebbero dovuto fare valutazioni. Le parlo a titolo personale, perché in famiglia ho un caso che purtroppo ha portato negli anni anche a gravi attacchi epilettici, quindi so benissimo come si riconoscono. Vorrei capire che tipo di formazione avevano questi operatori. Come è possibile che degli operatori semplici in strutture residenziali, seppur gestite, immagino, da un responsabile sanitario o da un direttore sanitario, visto che si utilizzano... No, neanche quello?

  RITA RONCHI, avvocato. Mi scusi se la interrompo. Essendo una comunità per disabili, non ci sono educatori che abbiano quella formazione. Comunque le fornirò la pregevole attività di indagine che ha fatto la questura di Bologna, perché su questo hanno avuto la possibilità, limitatamente alla delega di indagine, di verificare il reperimento degli educatori presso la comunità che non avevano formazione specifica. Comunque le fornirò tutti i dati.

  VERONICA GIANNONE. Grazie mille, così almeno possiamo studiarli e cercare di essere utili in questo. Grazie ancora.

  RITA RONCHI, avvocato. Certo, io poi rimango a disposizione, nel senso che se avrete altre domande, anche successivamente la produzione documentale, sarà mio onore, ringraziandovi per il lavoro che state facendo, perché qualsiasi correttivo si possa fare sarà sicuramente a vantaggio di tutti, poiché nessuno vuole negare che ci sia bisogno dell'intervento sociale, però cerchiamo di renderlo veramente a supporto delle famiglie.

  PRESIDENTE. Io congederei l'avvocato Ronchi. Quanto a noi, restiamo collegati perché facciamo brevemente un Ufficio di presidenza. Grazie, avvocato Ronchi, può essere che le mandiamo un supplemento di domande in forma scritta via e-mail e poi ha tutto il tempo per rispondere. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9,30.