XVIII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di David Rossi

Resoconto stenografico



Seduta n. 29 di Mercoledì 23 marzo 2022

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Zanettin Pierantonio , Presidente ... 3 

Audizione di Daniele Pirondini:
Zanettin Pierantonio , Presidente ... 3 
Pirondini Daniele  ... 3 
Zanettin Pierantonio , Presidente ... 5 
Pirondini Daniele  ... 5 
Zanettin Pierantonio , Presidente ... 6 
Pirondini Daniele  ... 6 
Zanettin Pierantonio , Presidente ... 8 
Pirondini Daniele  ... 8 
Zanettin Pierantonio , Presidente ... 8 
Pirondini Daniele  ... 8 
Zanettin Pierantonio , Presidente ... 9 
Pirondini Daniele  ... 9 
Zanettin Pierantonio , Presidente ... 9 
Pirondini Daniele  ... 9 
Borghi Claudio (LEGA)  ... 9 
Pirondini Daniele  ... 9 
Borghi Claudio (LEGA)  ... 9 
Pirondini Daniele  ... 9 
Zanettin Pierantonio , Presidente ... 10 
Borghi Claudio (LEGA)  ... 10 
Pirondini Daniele  ... 10 
Borghi Claudio (LEGA)  ... 11 
Pirondini Daniele  ... 11 
Borghi Claudio (LEGA)  ... 11 
Pirondini Daniele  ... 11 
Borghi Claudio (LEGA)  ... 11 
Pirondini Daniele  ... 11 
Borghi Claudio (LEGA)  ... 12 
Pirondini Daniele  ... 12 
Borghi Claudio (LEGA)  ... 12 
Pirondini Daniele  ... 12 
Borghi Claudio (LEGA)  ... 12 
Pirondini Daniele  ... 12 
Borghi Claudio (LEGA)  ... 12 
Pirondini Daniele  ... 12 
Borghi Claudio (LEGA)  ... 12 
Pirondini Daniele  ... 12 
Borghi Claudio (LEGA)  ... 13 
Pirondini Daniele  ... 13 
Borghi Claudio (LEGA)  ... 13 
Pirondini Daniele  ... 13 
Borghi Claudio (LEGA)  ... 13 
Pirondini Daniele  ... 13 
Borghi Claudio (LEGA)  ... 14 
Pirondini Daniele  ... 14 
Borghi Claudio (LEGA)  ... 14 
Pirondini Daniele  ... 14 
Borghi Claudio (LEGA)  ... 14 
Pirondini Daniele  ... 14 
Borghi Claudio (LEGA)  ... 14 
Pirondini Daniele  ... 14 
Borghi Claudio (LEGA)  ... 14 
Pirondini Daniele  ... 14 
Migliorino Luca , Presidente ... 15 
Pirondini Daniele  ... 15 
Migliorino Luca , Presidente ... 15 
Pirondini Daniele  ... 15 
Migliorino Luca , Presidente ... 15 
Pirondini Daniele  ... 15 
Migliorino Luca , Presidente ... 15 
Pirondini Daniele  ... 15 
Migliorino Luca , Presidente ... 15 
Pirondini Daniele  ... 15 
Migliorino Luca , Presidente ... 15 
Pirondini Daniele  ... 16 
Migliorino Luca , Presidente ... 16 
Pirondini Daniele  ... 16 
Migliorino Luca , Presidente ... 16 
Pirondini Daniele  ... 16 
Migliorino Luca , Presidente ... 16 
Pirondini Daniele  ... 16 
Migliorino Luca , Presidente ... 16 
Pirondini Daniele  ... 16 
Migliorino Luca , Presidente ... 16 
Pirondini Daniele  ... 16 
Migliorino Luca , Presidente ... 17 
Pirondini Daniele  ... 17 
Migliorino Luca , Presidente ... 17 
Pirondini Daniele  ... 17 
Migliorino Luca , Presidente ... 17 
Pirondini Daniele  ... 17 
Migliorino Luca , Presidente ... 17 
Pirondini Daniele  ... 17 
Migliorino Luca , Presidente ... 17 
Pirondini Daniele  ... 17 
Migliorino Luca , Presidente ... 17 
Pirondini Daniele  ... 18 
Migliorino Luca , Presidente ... 18 
Pirondini Daniele  ... 18 
Migliorino Luca , Presidente ... 18 
Pirondini Daniele  ... 18 
Migliorino Luca , Presidente ... 18 
Pirondini Daniele  ... 18 
Migliorino Luca , Presidente ... 18 
Pirondini Daniele  ... 18 
Migliorino Luca , Presidente ... 18 
Pirondini Daniele  ... 18 
Migliorino Luca , Presidente ... 19 
Pirondini Daniele  ... 19 
Migliorino Luca , Presidente ... 19 
Pirondini Daniele  ... 19 
Migliorino Luca , Presidente ... 19 
Pirondini Daniele  ... 19 
Migliorino Luca , Presidente ... 19 
Pirondini Daniele  ... 19 
Migliorino Luca , Presidente ... 20 
Pirondini Daniele  ... 20 
Migliorino Luca , Presidente ... 20 
Pirondini Daniele  ... 20 
Migliorino Luca , Presidente ... 20 
Pirondini Daniele  ... 20 
Migliorino Luca , Presidente ... 20 
Pirondini Daniele  ... 20 
Migliorino Luca , Presidente ... 21 
Ferri Cosimo Maria (IV)  ... 21 
Pirondini Daniele  ... 21 
Ferri Cosimo Maria (IV)  ... 21 
Pirondini Daniele  ... 21 
Ferri Cosimo Maria (IV)  ... 21 
Pirondini Daniele  ... 21 
Ferri Cosimo Maria (IV)  ... 21 
Pirondini Daniele  ... 21 
Ferri Cosimo Maria (IV)  ... 21 
Pirondini Daniele  ... 21 
Ferri Cosimo Maria (IV)  ... 21 
Pirondini Daniele  ... 21 
Migliorino Luca , Presidente ... 22 
Ferri Cosimo Maria (IV)  ... 22 
Pirondini Daniele  ... 22 
Ferri Cosimo Maria (IV)  ... 22 
Pirondini Daniele  ... 22 
Ferri Cosimo Maria (IV)  ... 22 
Pirondini Daniele  ... 22 
Ferri Cosimo Maria (IV)  ... 22 
Migliorino Luca , Presidente ... 22

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
PIERANTONIO ZANETTIN

  La seduta comincia alle 14.15.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche tramite l'impianto audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione in diretta sulla web-tv della Camera dei deputati. Ricordo che per ragioni di sicurezza sanitaria il foglio firme non verrà portato dall'assistente, ma sarà lasciato a disposizione dei commissari sul tavolino davanti al banco della presidenza.

  (Così rimane stabilito).

Audizione di Daniele Pirondini.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del dottor Daniele Pirondini, che è stato direttore finanziario del Monte dei Paschi di Siena all'epoca dell'acquisizione di Banca Antonveneta. Dottore, la ringrazio di essere qui oggi con noi e di avere accettato il nostro invito. Le chiederemo innanzitutto di inquadrare il suo percorso professionale in Monte dei Paschi di Siena, i suoi ruoli e poi di raccontare, a beneficio della Commissione, il periodo che ha preceduto l'acquisto di Antonveneta, i suoi ricordi e quelli che erano i dati finanziari. Questa Commissione, come abbiamo detto anche altre volte, vuole anche fare un focus su quello che è il contesto che ha generato la crisi di Monte dei Paschi di Siena e che poi ha portato a tante conseguenze, nel quale si inquadra anche il decesso di David Rossi. Riteniamo che il suo contributo possa essere prezioso per i nostri lavori. Le do la parola, le lasciamo lo spazio di un intervento iniziale e poi, se ci sono delle domande, verranno formulate dal sottoscritto e anche dagli altri componenti della Commissione. Anticipo ai colleghi della Commissione che alle 15 mi dovrò allontanare, per un question time in Aula alla Camera con il Ministro della giustizia e quindi affiderò la presidenza della Commissione al vicepresidente Migliorino. Se ci fossero degli aspetti che lei ritiene possano essere particolarmente delicati potremo passare in seduta segreta. Grazie e a lei la parola.

  DANIELE PIRONDINI. Buongiorno a tutti. Sul problema della secretazione, dipende dalle domande, ma ritengo che, in merito a quanto vi dirò, non ce ne sarà bisogno. Nasco come Banca Agricola Mantovana di cui ero un dipendente, e sono diventato vicedirettore generale della stessa banca ai tempi dell'acquisizione da parte del Monte dei Paschi, la famosa grande offerta pubblica di acquisto su una banca popolare italiana trasformatasi contestualmente in società per azioni, altrimenti l'OPA non avrebbe funzionato. L'OPA era del 1998 o del 1999 e un anno e mezzo o due anni dopo l'allora direttore generale di Monte dei Paschi di Siena, il dottor Tonini, mi chiese se ero disponibile a trasferirmi a Siena, anche perché la parte di pianificazione, di controllo di gestione, bilancio e fiscale era venuta meno. Una banca controllata al cento per cento, che era prettamente banca commerciale, non aveva più quelle problematiche che poteva avere una banca autonoma. Mi chiese, visto che c'era questo ruolo scoperto o debole in banca Monte dei Paschi di Siena, se ero disponibilePag. 4 a trasferirmi a Siena. Da lì arrivai all'inizio del 2003 e diventai un direttore amministrativo, ma non ancora finanziario, quindi mi occupavo della pianificazione, del controllo di gestione del bilancio e del risk management. Mancava la parte finanziaria, quella operativa, vale a dire della gestione del cosiddetto banking book, ovvero dell'equilibrio tra attivo e passivo, della gestione del capitale e così via. Questo ruolo mi venne attribuito nel 2006 con il nuovo direttore generale, Vigni. Quando Vigni venne nominato direttore generale ad aprile o maggio del 2006, venni nominato CFO (chief financial officer), inglesismo che vuol dire direttore amministrativo e finanziario. In poche parole quella parte di attività che io definisco della finanza operativa, quindi la gestione, come ho detto prima, o bilanciamento dei rischi finanziari (principalmente rischio tasso) dell'attivo e del passivo, la gestione della provvista sui mercati internazionali, la gestione e l'ottimizzazione del capitale rientravano nelle funzioni del CFO. Questo succede a metà del 2006. Ad agosto 2008, poco dopo l'acquisizione di Banca Antonveneta, io vengo mandato a Padova e cambio ruolo: non più CFO del gruppo Monte dei Paschi di Siena – sono stato sostituito dal dottor Morelli –, poiché vengo destinato ad altro incarico, vale a dire a ricoprire il ruolo di vicedirettore generale di Banca Antonveneta. Tenendo conto anche delle mie funzioni di cui ho detto prima per Banca Agricola Mantovana, ovvero una banca controllata al 100 per cento, che era diventata una banca commerciale, per le mie competenze c'era la necessità di un anno e mezzo o due anni per l'attività di ristrutturazione e riorganizzazione. Esco dal gruppo bancario il 31 dicembre del 2010 e quindi da Banca Antonveneta, e dal Gruppo MPS, approfittando dei meccanismi di allora di pensionamento, quindi dei parametri previsti per somma di età e anzianità di servizio. Successivamente svolgo per un po' di tempo un'attività di consulenza sia in proprio che per conto di una società di consulenza e nel 2012, invece, vengo chiamato dalla Banca d'Italia a ricoprire un ruolo nella gestione delle banche in crisi. Sono stato nominato presidente del comitato di sorveglianza di una banca in crisi, la Banca di Monastier in provincia di Treviso. Purtroppo, a seguito delle vicende Monte dei Paschi – che hanno coinvolto anche me – mi sono dimesso alla fine dell'anno del 2012 da questo incarico. Questa è la mia attività professionale in breve. Passiamo alla vicenda Banca Antonveneta. Non ho segreti particolari da svelare, anche perché l'ho dichiarato nel processo in cui sono coinvolto. Seppi dell'operazione Antonveneta un paio di giorni prima dell'approvazione da parte del consiglio di amministrazione dell'acquisto. Era l'8 novembre 2007, non è difficile dimenticare questa data. Venni chiamato pochi giorni prima dal presidente insieme al direttore generale e il presidente in modo secco mi chiese: «Abbiamo 9 miliardi di euro?». Feci un balzo sulla sedia e risposi: «Dipende, presidente. Se parliamo di 9 miliardi di euro di liquidità» – eravamo alla fine del 2007, quindi non c'erano problemi di crisi di liquidità sul mercato – «e se non li abbiamo tutti, non è difficile trovarli. Se, invece, si tratta di un investimento che richiede patrimonio, non dico che c'è il problema, però dobbiamo gestire la situazione, perché un conto è andare sul mercato a raccogliere la liquidità e un conto è andare a raccogliere capitale». Subito dopo mi disse, ma non ricordo obiettivamente bene: «Siamo in trattativa» o comunque «Stiamo concludendo un'operazione con il Banco Santander per l'acquisizione della Banca Antonveneta e la trattativa si sta indirizzando verso un importo pari a 9 miliardi di euro». Visto che io avevo fatto quell'affermazione sul problema del capitale, mi chiese di fare una stima nel più breve tempo possibile di quanto capitale poteva servire perché Monte dei Paschi, nel rispetto dei coefficienti patrimoniali previsti dalla Banca D'Italia, potesse acquisire Antonveneta. Un giorno, un giorno e mezzo dopo ritornai dal presidente, dicendo quale era l'esito dei miei conteggi, premettendo a lui e lo premetto anche a voi – anche perché lì c'è stato un po' di contrasto non tanto con il presidente, ma alludo alle vicende che mi hanno coinvolto dal punto di vista processuale – che una stima senza Pag. 5informazioni analitiche sull'entità del capitale che serve per acquisire un'azienda non è impossibile, è una stima a grandi linee. Avvalendomi della collaborazione dei miei colleghi che seguivano la pianificazione e le regole sul capitale, tornai il giorno dopo dicendo: «Secondo me servirebbero circa 7 miliardi di euro». In realtà alla fine l'aumento di capitale fu di 6 miliardi: 5 miliardi per tutti gli azionisti e un miliardo riservato a JP Morgan. La differenza, che stupì molti tempo dopo che feci queste dichiarazioni, non oserei dire che è banale, ma è molto semplice: se uno ha semplicemente il bilancio, non riesce a determinare immediatamente qual è la differenza tra il prezzo pagato e il vero patrimonio della società, quindi l'avviamento. Questo è uno degli elementi più importanti che rettifica il cosiddetto «patrimonio di vigilanza». Se io definisco 5 miliardi di euro di avviamento, è chiaro che il mio patrimonio diminuirà di 5 miliardi, se ne stimo 4, diminuirà di 4 e di conseguenza alla rovescia è l'entità del patrimonio che mi serve. Questa è la prima considerazione. La seconda considerazione è che, fatto un calcolo così veloce, si pensa semplicemente a quanti soldi dovremo chiedere agli azionisti e non si pensa immediatamente a tutte le azioni che potrebbero essere messe in atto per ridurre questo importo. La prima sulla valutazione e sulla quantificazione effettiva dell'avviamento, ma sull'altra anche su una serie di elementi, tenendo conto che il coefficiente patrimoniale non è altro che il rapporto tra il numeratore, che è il patrimonio e che può essere incrementato entro certi limiti, e il denominatore che sono le attività a rischio, quindi io posso operare sia sul numeratore, incrementando il patrimonio o riducendolo di meno, cercando di allocare una parte dell'avviamento su delle attività a maggiore valore, sia sul denominatore che sono le attività a rischio: diminuisco le attività a rischio o vendendole o acquisendo delle coperture di rischi e così via. Un giorno dopo o due giorni dopo non è possibile fare questo. Nelle settimane e nei mesi successivi, un'analisi interna più approfondita, effettuata con l'ausilio delle società di consulenza, che, dopo aver saputo della notizia dell'acquisizione, piombarono in massa in azienda, uscì questo valore di 6 miliardi di euro, perché erano stati previsti una serie di interventi. Tra questi ne ricordo due, ma erano già in itinere in banca: la vendita della banca del Monte di Parma che era di proprietà di Monte dei Paschi e la vendita della banca depositaria che venne ceduta, se ben ricordo, a Banca Intesa. Erano due azioni che non incidevano direttamente sulle attività a rischio (denominatore) e tendevano ad alleggerire il peso della richiesta patrimoniale. Da lì partì tutta l'attività e vennero distribuiti i vari compiti: al vicedirettore generale Morelli, che mi sostituì come CFO, venne dato l'incarico del financing, ovvero la gestione di tutte le attività tese sia all'aumento di capitale, sia alla raccolta di finanza, vale a dire liquidità piuttosto che prestiti subordinati che servivano per raggiungere l'obiettivo dell'ammontare dei 9 miliardi di euro, e a me venne dato l'incarico di gestire i rapporti con Banca d'Italia. Dei 6 miliardi di euro, un miliardo era rappresentato dal fresh.

  PRESIDENTE. Spiega alla Commissione che cos'è il fresh? È uno dei temi che abbiamo affrontato quando è venuto qui l'avvocato Mussari, però forse lei ce lo spiega in modo più semplice e che sia comprensibile da tutti.

  DANIELE PIRONDINI. L'aumento di capitale alla fine definito dal consiglio di amministrazione e approvato da Banca d'Italia era di 6 miliardi, di cui 5 direttamente chiesti a tutti gli azionisti e un miliardo riservato a un sottoscrittore unico, che era JP Morgan. Quali sono le caratteristiche peculiari di questo aumento di capitale da un miliardo? Sottoscritto da un azionista unico con la rinuncia da parte di tutti gli altri azionisti, questo aumento di capitale da un miliardo di euro, fu autorizzato dalla Banca d'Italia sia per noi (emittenti) che per JP Morgan (sottoscrittori), è un aumento di capitale riservato a un'istituzione finanziaria che chiaramente, come ha dichiarato nella richiesta di autorizzazione della Banca d'Italia, non aveva obiettivi Pag. 6«strategici», ma aveva prettamente obiettivi finanziari. Il socio JP Morgan era un socio finanziario e non era un socio destinato a rimanere nel tempo. Il problema che è stato affrontato è stato quello di dire: «JP Morgan sottoscrive un aumento di capitale da un miliardo di euro». Per far questo JP Morgan dice: «Io mi finanzio come ho fatto altre volte», perché un'operazione analoga il Monte dei Paschi la fece del 2005, anche quella autorizzata da Banca d'Italia.

  PRESIDENTE. Nell'ambito di quale operazione?

  DANIELE PIRONDINI. Nell'ambito dell'operazione Banca Agricola Mantovana. JP Morgan dice: «Vado a finanziarmi tramite l'emissione di un prestito obbligazionario convertibile in azioni Monte dei Paschi». Quindi sostanzialmente dice: «Da una parte sottoscrivo e compro le azioni Monte dei Paschi, dall'altra parte vado a finanziarmi, andando a collocare delle obbligazioni convertibili in azioni Monte dei Paschi.». Dove stava il vantaggio anche per il Monte dei Paschi? Il fatto che quell'aumento di capitale riservato a JP Morgan prevedeva, come succede per tutti gli aumenti di capitale riservati, la realizzazione di un premio e non di uno sconto. Quando faccio l'aumento di capitale, per tutti gli azionisti lo faccio alla pari o a sconto, ma per un nuovo azionista che entra, è ovvio che mi deve pagare un avviamento o premio. Il premio medio era in quel periodo dal 20 al 30 per cento, ma in quell'occasione fu del 30 per cento circa. Questo è il primo obiettivo: portare a casa un miliardo di euro con un premio del 30 per cento. Il secondo obiettivo, che era nella nostra intenzione di manager e anche in quella della presidenza e del consiglio, era quello di cercare di ampliare la base azionaria, perché i sottoscrittori delle obbligazioni, che poi sarebbero state convertite in azioni, erano tutti investitori istituzionali e principalmente fondazioni. In un momento successivo, in base alle clausole previste dal contratto di conversione, noi non ci saremmo più trovati come soci JP Morgan, ma una serie di istituzioni tipo fondazioni. Questa è l'operazione. Il problema che si è generato sull'operazione, sollevato da Banca d'Italia, era relativo al meccanismo di remunerazione. Banca d'Italia aveva stabilito delle regole sulla composizione del capitale di vigilanza, ovvero la circolare 263, allora vigente, del 2008, secondo la quale: «Si considera capitale tutto quello che consente il trasferimento del rischio di impresa». È chiaro che le azioni, emesse senza alcuna clausola particolare, erano state sottoscritte da JP Morgan, JP Morgan è un azionista normale e subisce tutti i rischi di impresa come tutte le altre aziende, però c'è un contratto ulteriore. JP Morgan dice: «Non sono un azionista ordinario, sono un azionista finanziario. Quindi stipuliamo un contratto di usufrutto sulle azioni in modo tale che rinuncio al diritto di voto su queste azioni e tutti gli altri diritti connessi all'azione. In cambio mi paghi un canone». Tendenzialmente il canone deve sostituire il dividendo e tutti gli altri benefici connessi al possesso delle azioni. In quel periodo c'era un diritto molto importante, che aveva un valore importante, era quello relativo alla possibilità di fare prestito titoli. Siccome il titolo Monte dei Paschi era un titolo poco movimentato e poco disponibile sul mercato e molti operatori chiedevano il titolo anche a prestito, questa attività di prestito titoli o di stock lending, detto in inglese, aveva un valore. Ecco che la remunerazione di questo contratto di usufrutto doveva comprendere la sostituzione del dividendo, della rinuncia al diritto di voto e naturalmente altri diritti, tra cui quello del prestito titoli. Dove si è inceppato il meccanismo secondo Banca d'Italia? La premessa è: noi abbiamo raccontato a Banca d'Italia di questa operazione già a partire dalla fine del 2007, ed abbiamo inviato un documento, che è quello del 14 gennaio 2008. Con quel documento abbiamo chiesto alla Banca d'Italia l'autorizzazione ad acquisire la Banca Antonveneta, abbiamo detto che avremmo fatto un aumento di capitale di cinque miliardi più uno di questo tipo riservato a JPM, descrivendo in modo sintetico pur evidenziando le caratteristiche principali. Era un'informazione, poiché l'idea non era Pag. 7nostra, bensì di JP Morgan supportata dallo studio Clifford Chance, che avevano iniziato a costruire questo contratto forte dell'esperienza del 2005 che non ho vissuto perché non rientrava nelle mie competenze. Mandiamo alla Banca d'Italia questa richiesta di autorizzazione e, prima di ricevere l'autorizzazione dalla Banca d'Italia, il 26 marzo 2008, abbiamo mandato anche un documento molto corposo redatto da Clifford Chance (fine febbraio), in cui raccontiamo per filo e per segno tutto quello che implicava o che avrebbe implicato questo strumento, soprattutto raccontando quale era il meccanismo di funzionamento del contratto di usufrutto. Banca d'Italia il 26 marzo ci autorizza all'acquisizione di Banca Antonveneta e ci dice: «Va bene l'aumento di capitale da 5 miliardi. Va bene l'aumento di capitale anche da un miliardo, tenendo conto di quello che ci avete raccontato con quella relazione, con il documento integrativo predisposto dal consulente legale, purché ci sia l'effettivo trasferimento del rischio di impresa». Ci sono interlocuzioni successive, perché il 23 maggio inviamo alla Banca d'Italia anche contratti definitivi. Preciso che questo tipo di operazione non era soggetto a preventiva autorizzazione di Banca d'Italia. Infatti, una normativa variata un anno prima diceva che queste operazioni stavano nella libera decisione del consiglio di amministrazione, purché si rispettassero le regole e come sempre l'organo di vigilanza ha il diritto-dovere di controllare, però non era soggetta a una preventiva autorizzazione. Mandiamo tutti i contratti a Banca d'Italia e qualche giorno dopo Banca d'Italia ci fa una prima segnalazione, in cui affermavano che qualcosa non andava. Il meccanismo di remunerazione, che prevedeva un ammontare collegato all'andamento dell'azienda, era riferito agli utili distribuibili e/o alle riserve distribuite. Secondo loro non era giusto dire «utili distribuibili e/o», ma si doveva dire «e». In poche parole quegli utili, ancorché distribuibili, dovevano essere deliberati per la distribuzione e non solo distribuibili. Ci siamo adeguati immediatamente e JP Morgan ha accettato la variazione. Tuttavia, evidenzio che JP Morgan aveva rinunciato al diritto di voto e avrebbe utilizzato questa remunerazione per trasferirla agli obbligazionisti, perché le cedole degli obbligazionisti sarebbero state pagate da JP Morgan con questa remunerazione. Questo avrebbe potuto creare un problema, perché se l'assemblea avesse deliberato di non distribuire gli utili, ma di accantonarli tutti, è chiaro che l'azionista, che aveva rinunciato al diritto di voto e che era un nudo proprietario, non avrebbe percepito alcuna remunerazione, però questa variazione venne accettata. Ci sono state interlocuzioni successive sempre – non l'ho detto prima, ma lo dico adesso – in modo informale, quindi mai con scambio di corrispondenza ufficiale con Banca d'Italia o con interlocuzioni tramite e-mail oppure telefonate o visite e si arriva a dopo l'approvazione della semestrale il 23 settembre, quando Banca d'Italia manda una lettera e dice: «Ci dispiace, ma secondo noi lo strumento che hai predisposto non consente la cosiddetta “flessibilità dei pagamenti”». Non lo dice direttamente, ma è indirettamente ovvio che il trasferimento del rischio di impresa c'era a tutti gli effetti e non poteva contestarlo, introduce il concetto della flessibilità dei pagamenti. Cosa vuol dire flessibilità dei pagamenti? Secondo loro poteva considerarsi capitale solo quel capitale che era soggetto a remunerazione subordinato all'approvazione dell'assemblea, quindi non solo utili distribuibili, ma anche effettivamente distribuiti. Avevamo già accettato questa variazione a maggio. La richiesta successiva, che secondo me è stato il vero motivo scatenante, è che siccome noi abbiamo stipulato il contratto ad aprile 2008, visto che comunque già ad aprile 2008 JP Morgan aveva sottoscritto l'aumento di capitale e anche il contratto di usufrutto, è chiaro che da lì partiva il nostro obbligo di remunerazione. Quali erano i dati di bilancio di riferimento? Quelli del 2007 e, di conseguenza secondo Banca d'Italia, era certo che la prima remunerazione fosse già «in canna», quindi che JP Morgan avrebbe realizzato e incassato la prima remunerazione, mentre secondo loro un azionista normale deve essere soggetto al cosiddetto «rischio» dell'andamentoPag. 8 degli utili e di conseguenza dei dividendi. Era già certo il bilancio del 2007, quindi era certa la prima remunerazione. C'è stato parecchio dibattito, però a seguito della comunicazione del 23 settembre, noi ci siamo adeguati al 100 per cento alle richieste di Banca d'Italia, presentando poi una lettera, dicendo che noi la pensavamo in modo diverso. Il tutto è stato corroborato da queste benedette indemnities. Il problema è che, quando è stato stipulato il primo contratto, ma anche successivamente quando sono state fatte le variazioni contrattuali, ovviamente sono state sottoscritte delle lettere di garanzia, perché se abbiamo stipulato un contratto e qualche mese dopo Banca d'Italia ci chiede di cambiare il contratto, è chiaro che chi aveva stipulato il contratto prima chiede di essere tutelato. C'erano due tutele e la prima era che gli obbligazionisti approvassero le variazioni e le hanno effettivamente approvate. Tuttavia, c'era un'altra tutela nei contratti. Siccome sapevamo che il tutto era soggetto a un'analisi Banca d'Italia, nel contratto di usufrutto c'era una clausola che si chiama «increased burden event», che diceva: «Cari sottoscrittori delle obbligazioni, guardate che se per caso un autorità nazionale, che può essere Banca d'Italia, che può essere un'autorità fiscale o qualcun altro, apporta delle variazioni alla normativa oppure effettua un'interpretazione diversa da quella che pensiamo noi che questo sia capitale, i casi sono due: o approvate la variazione o automaticamente il tutto viene annullato e rimane solo il capitale, voi vi portate a casa le azioni in sostituzione delle obbligazioni che avete sottoscritto, quindi in poche parole una conversione automatica o forzata delle obbligazioni in azioni». La contestazione che noi abbiamo fatto e che facciamo tuttora a Banca d'Italia è che Banca d'Italia ha scritto la lettera del 23 settembre innanzitutto dopo l'approvazione della semestrale, mentre noi abbiamo mandato i contratti a metà maggio. Non è moltissimo il tempo, però se c'era qualcosa che non andava, a mio avviso avrebbe dovuto dire: «Fermatevi, perché c'è il passaggio della semestrale». La cosa che io contesto alla Banca d'Italia è che noi abbiamo agito sulla base delle regole vigenti e contenute nella circolare 263 del 2008, che dice espressamente: «Ci deve essere il trasferimento del rischio di impresa», mentre la flessibilità dei pagamenti è stata introdotta con la variazione della circolare nel dicembre del 2010, quindi due anni dopo, tanto è vero che Banca d'Italia nella corrispondenza con la procura di Siena e di Milano ha scritto: «Nel frattempo c'è stata una variazione della normativa e abbiamo deciso sulla base degli orientamenti che andavano maturando a livello internazionale». Noi non potevamo sapere quello che si stava discutendo a Basilea in questo lasso di tempo.

  PRESIDENTE. Può sembrare un po' imprudente affidarsi a queste interlocuzioni verbali senza formalizzare tutti questi passaggi.

  DANIELE PIRONDINI. Interlocuzioni della banca.

  PRESIDENTE. Da avvocato, perché quelle materie lì poi le ha praticate.

  DANIELE PIRONDINI. Con il senno di poi sicuramente, queste interlocuzioni erano tenute principalmente dal nostro consulente legale che aveva fatto anche altre operazioni simili e comunque erano, come al solito, interlocuzioni in buona fede. Con il senno di poi dico che dovevamo sempre scrivere a loro e loro dovevano anche rispondere per iscritto. Mentre parlo mi sta venendo in mente un'altra cosa importante, ovvero che il primo settembre, quindi due giorni dopo l'approvazione semestrale, un dirigente di Banca d'Italia manda una lettera a un mio collaboratore in cui dice: «Abbiamo fatto i conti sul 30 di giugno – comprendendo loro e non noi anche il fresh, – mandami la simulazione per il 31 dicembre». Questo vuol dire che il primo di settembre loro stessi non erano ancora convinti sul fresh capitale sì, capitale no, ma comunque in quel momento avevano considerato l'operazione come capitale. Ricordo un'altra cosa. Il fresh non è stato fatto soltanto da Monte dei Paschi, ma è Pag. 9stato fatto sulle onde del Monte dei Paschi anche da UniCredit, che si chiama con un altro nome, ovvero «cashes», ma a fine 2008 UniCredit ha emesso non so per quanti milioni di euro un'operazione uguale. Ancora due parole su questo. Il problema di questa benedetta remunerazione e flessibilità della remunerazione, lo troviamo nel sistema italiano, non solo bancario ma in generale in tutte le società di capitali che hanno emesso azioni di risparmio. L'azione di risparmio è remunerata nella stessa identica maniera del contratto d'usufrutto e quindi dell'obbligazionista fresh, perché nell'azione di risparmio non è necessaria la delibera dell'assemblea del dividendo, ma l'importante è che ci sia l'utile, perché l'azionista del risparmio non ha diritto di voto. Quindi l'azionista di risparmio privo di diritto di voto, se dovesse essere soggetto alle decisioni dell'assemblea, potrebbe non percepire alcun dividendo. Aggiungo un'altra piccola chicca che è quella dei Tremonti bond. Il meccanismo di remunerazione dei Tremonti bond, che non erano azioni, ma obbligazioni che comunque erano considerati capitale, è uguale e identico a quello che avevamo previsto noi inizialmente per il fresh.

  PRESIDENTE. Ciononostante?

  DANIELE PIRONDINI. Purtroppo, io sono stato rinviato a giudizio per questo. Banca d'Italia è libera di interpretare come vuole la normativa, però deve prendere atto che la normativa del 2008 è diversa da quella che pretendeva che noi applicassimo, che è entrata in vigore nel 2010. L'ha scritto lei stessa... «sulla base degli orientamenti che andavano maturando a livello internazionale». Inoltre, le variazioni del 2010 dicono in modo esplicito che, oltre al capitale che deve coprire il rischio di impresa, abbiamo aggiunto la flessibilità di pagamenti, quindi dal 2010 le azioni di risparmio non potevano più essere comprese nel capitale. Se è vero che questa remunerazione assimila il contratto d'usufrutto alle azioni di risparmio, è altrettanto vero che questo non può essere più considerato capitale a partire dal 2010, ma non prima.

  PRESIDENTE. Lei ha concluso?

  DANIELE PIRONDINI. Sì, a meno che non ci siano delle domande su Banca Antonveneta.

  CLAUDIO BORGHI. Innanzitutto ringrazio il dottor Pirondini per essere venuto. Facevamo lavori abbastanza paralleli ai tempi, perché lavoravo anche io in banca e anche io ho avuto brutte esperienze con Banca d'Italia, per quanto può valere la mia solidarietà. Una delle cose che mi ha sempre stupito – qui arriviamo anche a uno dei motivi principali delle nostre indagini in Commissione, facendo entrare poi la figura di David Rossi in questo contesto – è che si stanno facendo dei grandi processi per questo miliardo del fresh e per cose di questo tipo e non per i 9 miliardi. Mi verrebbe da dire che il punto focale non è tanto la rifinitura, quando si vanno a trovare queste cifre, ma la genesi dell'operazione. Ovviamente non ho motivo di dubitare che la vicenda sia andata come la racconta. Andiamo passo per passo. Quando arrivano anche gli altri 7, cioè quelli del subentro ai finanziamenti in essere di Antonveneta con ABN AMRO?

  DANIELE PIRONDINI. Quando arrivano? C'erano già.

  CLAUDIO BORGHI. Perché dice: «Abbiamo nove miliardi», ma comincia a diventare: «Ne abbiamo 16».

  DANIELE PIRONDINI. Capisco. Il prezzo pagato è chiaramente 9 miliardi di euro, i 7 miliardi erano un debito che aveva Banca Antonveneta nei confronti di ABN AMRO e qua spiego che è una delle cose che abbiamo «scoperto» dopo, perché qualcuno ha alzato la mano, non mi ricordo se ABN AMRO, piuttosto che Santander, dicendo: «Guardate che Banca Antonveneta ha un debito interbancario nei confronti di ABN di 7 miliardi che sta scadendo o che scadrà...», adesso non mi ricordo più le scadenze. Questo è il primo problema che ha destato in me, ma anche in altri collaboratori qualche perplessità sul fatto che Banca Pag. 10Antonveneta ancorché banca commerciale e banca ordinaria, per scelta della capogruppo ABN AMRO aveva venduto moltissimi prodotti di risparmio amministrato e gestito anziché di raccolta diretta. Mi spiego meglio. Il risparmiatore andava in banca e generalmente o depositava i soldi sul conto corrente o faceva il libretto del deposito oppure comprava le obbligazioni della banca. La banca prestava questi soldi, che si chiamano «raccolta diretta», tendenzialmente alla clientela. La politica di ABN AMRO, invece, fu quella di dire: «Non far collocare obbligazioni, non far tenere ai clienti tanta liquidità sui conti correnti, ma proponi i nostri prodotti di risparmio amministrato o gestito», vale a dire di ABN AMRO. Era il periodo in cui aveva un valore abbastanza importante in termini di redditività anche il risparmio amministrato e gestito, vale a dire i fondi comuni, le polizze assicurative e tutte queste attività. Banca Antonveneta aveva proposto e venduto ai suoi clienti risparmiatori questi prodotti e di conseguenza non aveva la liquidità per finanziare i prestiti alla clientela. I prestiti alla clientela erano finanziati non al 100 per cento ma in buona parte con queste linee di credito e con questi finanziamenti che ABN AMRO aveva erogato alla controllata Banca Antonveneta. Quando noi abbiamo scoperto questa cosa, ci siamo chiaramente preoccupati, perché ancorché in quel momento non avevamo grossissimi problemi di liquidità, comunque 7 miliardi sono 7 miliardi. Abbiamo cercato di correre immediatamente ai ripari e mi ricordo che io stesso, il responsabile della tesoreria Molinari e il dottor Morelli andammo, su indicazione del presidente, a Madrid a parlare con la mia interfaccia CFO e anche con il segretario di Botín per cercare di gestire la situazione in modo tale che questi 7 miliardi che ci eravamo trovati potessero essere diluiti un po' nel tempo. Mi ricordo che Santander ci concesse una linea di credito di 4 miliardi di euro. Nell'operazione di aumento di capitale o di financing, come ho detto prima, che era stata strutturata a novembre o dicembre del 2007, era previsto un aumento di capitale da 5 più uno, ma era prevista comunque una linea di credito da parte delle banche che partecipavano al consorzio di 2 miliardi. In poche parole, con i 4 miliardi in diluizione concessaci o in finanziamento – adesso non mi ricordo più la forma tecnica – dal Santander e una parte dei 2 miliardi che derivavano dalle linee di credito delle banche d'affari, siamo riusciti a colmare quel gap che ci siamo trovati un po' improvvisamente, anche perché dall'analisi del semplice bilancio c'era un valore dell'interbancario importante, ma non sapevamo né la scadenza, né chi erano le controparti.

  PRESIDENTE. Io lascio la presidenza al vicepresidente onorevole Migliorino. La ringrazio di essere venuto.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
LUCA MIGLIORINO

  CLAUDIO BORGHI. Capirà che un po' tutto si connota in termini di anomalia, perlomeno rispetto a quello che in teoria dovrebbe essere un'acquisizione. Per quelle piccole esperienze che posso avere io, normalmente c'è un'ampia interlocuzione con Banca d'Italia per un'acquisizione, una analisi delle conseguenze e poi dopo si procede. All'interno di questo clima di sorprese miliardarie, sia dal punto di vista della richiesta, sia dal punto di vista di quello che si trova una volta avviato il dettaglio dell'operazione, ha detto che fra la divisione dei compiti che vi eravate dati, lei aveva il compito di interagire con Banca d'Italia. Si ricorda chi incontrò e cosa vi diceste la prima volta che andò a parlare con Banca d'Italia?

  DANIELE PIRONDINI. Faccio una premessa, perché io sono stato coinvolto tre giorni prima del consiglio d'amministrazione dell'8 novembre e sinceramente io non so che tipo di trattativa o che tipo di analisi sia stata fatta prima, ma sicuramente non dai miei collaboratori. Magari, come succede in questi casi, ci sono le banche d'affari che ti assistono, che ti portano la proposta e che ti portano la loro Pag. 11analisi. Sinceramente non so quello che è successo prima del 7 o del 6 novembre e non so se qualcuno ha fatto delle analisi e ha prodotto quelle analisi alla presidenza per metterla in grado di prendere una decisione. Il primo incontro, per quanto mi riguarda, con Banca d'Italia fu giusto il giorno dell'approvazione dell'operazione. L'8 di novembre, dopo il consiglio di amministrazione, avevamo un appuntamento a Roma il presidente, il direttore generale e io con i vertici di Banca d'Italia e incontrammo la dottoressa Tarantola e altri dirigenti. Alcuni dirigenti li conoscevo e altri no, ma quelli che conoscevo erano i miei interlocutori abituali, poiché Banca d'Italia è strutturata in modo tale che ci siano delle sezioni e a ogni sezione è attribuito un gruppo di banche da visionare e da controllare. Molto probabilmente erano presenti sia i dirigenti che controllavano noi e forse anche quelli di Banca Antonveneta. È stato un incontro più che altro formale, ci fecero i complimenti per l'acquisizione e basta. Siccome il mio compito, come ho detto prima, era quello di tenere i rapporti con Banca d'Italia, che non erano soltanto quelli del fresh, ma anche di preparare con i miei collaboratori tutta l'istruttoria per fare la richiesta di autorizzazione all'acquisizione di Banca Antonveneta, ci siamo incontrati diverse volte tra novembre e gennaio. Noi abbiamo fatto approvare dal consiglio di amministrazione e subito dopo inviato questa «benedetta» lettera di richiesta di autorizzazione ed era una lettera corposa, perché conteneva una specie di elencazione di tutto quello che avremmo voluto e dovuto fare per l'acquisizione della Banca Antonveneta che andava dall'integrazione, al controllo dei rischi e alla metodologia di approvvigionamento delle risorse per fare l'operazione. Quindi una prima interlocuzione ci fu tra novembre e gennaio.

  CLAUDIO BORGHI. Lei si ricorda o è a conoscenza di una riunione del 22 novembre anche alla presenza del Governatore Draghi?

  DANIELE PIRONDINI. Assolutamente no. Mi ha detto il 22 novembre, in quei giorni penso di essere stato qui a Roma per incontrare i miei interlocutori corrispondenti per parlare delle problematiche. Non ho mai partecipato a un incontro con il dottor Draghi.

  CLAUDIO BORGHI. Perché mi pare di ricordare che la dottoressa Tarantola si ricordò che quel giorno, guardando le agende, ci fu una riunione fra Mussari, Vigni, lei e Draghi, però lei non ha partecipato a questo?

  DANIELE PIRONDINI. No, non ho partecipato.

  CLAUDIO BORGHI. In ogni caso stiamo parlando di un periodo in cui attivamente si stava discutendo dell'operazione, perché erano proprio quelli i giorni in cui...

  DANIELE PIRONDINI. Sicuramente sì, operazioni di questo tipo non si fanno tutti i giorni. Anche se con la mia piccola esperienza da Banca Agricola Mantovana abbiamo acquisito tre o quattro piccole banche, questa è una cosa completamente diversa. Quindi avevamo bisogno di interloquire con i nostri corrispondenti per capire cosa dovevamo fare, cosa dovevamo scrivere in questa benedetta richiesta di autorizzazione e quali erano, per esempio, le simulazioni che avremmo dovuto presentare. Dico «simulazioni», perché nella lettera del 14 gennaio 2008 allegammo una simulazione sull'evoluzione del capitale sulla base delle nostre previsioni, dell'aumento di capitale, di altri tipi di intervento e dall'altra parte la gestione delle attività a rischio, vale a dire il denominatore del capitale. Un altro problema che era sul tappeto, che non mi riguardava direttamente, ma che pesava su questi conti, era che in quel periodo era in corso la cosiddetta approvazione da parte di Banca d'Italia dell'utilizzo dei moderni interni sulla misurazione del rischio di credito. Mi spiego meglio. Nel denominatore di attività rischio ponderato entrano i crediti con diversi pesi. C'è un sistema standard, dove Banca d'Italia fornisce dei parametri standard sulla base dell'analisi storica e c'è il cosiddetto Pag. 12modello avanzato o modello interno, dove le banche di maggiore rilevanza potevano presentare dei sistemi di misurazione interna del rischio. Questo cosa voleva dire? Voleva dire che anziché usare il coefficiente del 7 per cento, magari per una certa categoria di crediti al commercio piuttosto che all'industria o all'immobiliare, la Banca avrebbe potuto utilizzare un parametro di rischio personalizzato, consentendo di alleviare l'assorbimento di capitale. Era in ballo anche questa cosa e di conseguenza in quel periodo cercavamo di accelerare il riconoscimento di questo modello per un ulteriore beneficio in termini di assorbimento di capitale e, di conseguenza, minore capitale da chiedere, o meglio la possibilità di raggiungere l'obiettivo che ci aveva posto Banca d'Italia, vale a dire non il minimo 8 per cento, ma attorno al 10 per cento a fine anno 2008.

  CLAUDIO BORGHI. Lei ha detto che siete andati a Madrid anche per vedere di gestire la questione del finanziamento. Si ricorda per caso se avete incontrato in quella sede o in qualche caso un avvocato che magari seguiva le questioni relative al Santander, ovvero l'avvocato Cardia?

  DANIELE PIRONDINI. Assolutamente no. A parte che ci andai una volta soltanto, ovvero quando abbiamo appena saputo di questa cosa, quindi penso che eravamo prossimi al Natale del 2007, in quel giorno incontrammo soltanto per cortesia il segretario di Botín, il quale poi ci presentò il CFO e lì iniziammo a discutere, anzi, a dire il vero iniziò il mio collega collaboratore dottor Molinari, per vedere come poter gestire questa situazione dei 7 miliardi di euro da rimborsare entro la data di acquisizione e invece poi ci concessero delle diluizioni. Non mi ricordo di aver incontrato altre persone.

  CLAUDIO BORGHI. Relativamente ai dettagli dei famosi bonifici, quelli con cui venne compiuta l'operazione, si ricorda da chi arrivarono le istruzioni per pagare un pezzo a chi e un pezzo...

  DANIELE PIRONDINI. Il contratto dal lato del Monte dei Paschi era gestito dal responsabile dell'area legale. Noi strutture interne non avevamo interlocuzioni dirette con nessuno, ma era il capo del legale, l'avvocato Rizzi, che interloquiva direttamente o tramite la presidenza con la controparte.

  CLAUDIO BORGHI. Lei dice: «Va bene, sono riuscito a fare il mio mestiere, quindi abbiamo la disponibilità liquida», ma l'effettivo pagamento lei non lo vide e non partecipò?

  DANIELE PIRONDINI. Assolutamente no. La procedura prevedeva che il bonifico vero doveva essere fatto dalla struttura di servizio della tesoreria previa indicazione/approvazione del gestore del contratto che era il responsabile del legale.

  CLAUDIO BORGHI. Con chi ne parlava? Immagino che, una volta investito da questa nave relativa ai 9 miliardi, in quel momento cambiò la sua vita, mi verrebbe da dire.

  DANIELE PIRONDINI. In tanti sensi.

  CLAUDIO BORGHI. Purtroppo, ripeto, le rinnovo la solidarietà, perché avere a che fare con la giustizia è difficile, specialmente con cose di questo livello. Una volta partita la parte al calor bianco, nel momento in cui stesso in cui inizia l'eccezionalità rispetto alla normalità che era prima, in Monte dei Paschi di Siena lei con chi ne parlava per dire: «Adesso come ne veniamo fuori?»? David Rossi era coinvolto in qualche maniera in queste trattative?

  DANIELE PIRONDINI. Per quello che ne so io assolutamente no. Lì erano stati costituiti una serie di gruppi di lavoro con a capo le varie figure, ovvero il dottor Morelli per il problema della finanza e io per tutto quello che serviva per integrare Banca Antonveneta, quindi anche la stima per esempio dell'avviamento, la gestione di due diligence conoscitiva, perché la due diligence conoscitiva non serviva soltanto Pag. 13per capire su che macchina stavamo salendo, ma ci serviva per avere una serie di informazioni preliminari per un problema importantissimo, poiché allocare 6 o 7 miliardi di euro di avviamento non è una pagliuzza. Non dico che abbiamo fatto le capriole, perché poi abbiamo avuto anche delle perizie per l'asseveramento dell'avviamento da allocare, piuttosto che quello da portare a incremento, per esempio, degli immobili, delle partecipazioni e così via. Comunque c'era una serie di gruppi di lavoro e ognuno seguiva il proprio. Chiaramente i commenti erano: «Gambe in spalle e pedalare», perché il tempo era relativamente poco, poiché entro il 30 o il 31 maggio si doveva effettuare il pagamento e soprattutto perché avevamo la necessità di avere delle informazioni soprattutto da questa due diligence conoscitiva, perché c'era la necessità, soprattutto per chi era stato mandato in avanscoperta – come l'amico Menzi che diventò subito amministratore delegato della vecchia Antonveneta e poi direttore generale della nuova – aveva la necessità di avere un po' di chiarezza per sapere da dove cominciare a prendere in mano la situazione.

  CLAUDIO BORGHI. Della questione congruità del prezzo non se ne parlò mai? Eravate troppo investiti sul fatto di dover cercare o gestire il finanziamento e nessuno alzò il dito, dicendo: «L'hanno pagata 6 miliardi pochi mesi fa, perché noi la paghiamo 9 miliardi?».

  DANIELE PIRONDINI. Su questa plusvalenza dichiarata da qualcuno, io sinceramente non metterei le mani sul fuoco (non avrei certezze). Non abbiamo la certezza assoluta – sono considerazione personali – di quanto obiettivamente abbia pagato il Santander Banca Antonveneta. Di questo ne discussi non in quel periodo, anche perché non avevo tempo, ma successivamente, perché, se ben ricordo, Santander comprò un ramo di attività (d'azienda) di ABN AMRO. Nell'ambito di questo ramo di attività di ABN AMRO c'era Banca Antonveneta, ma c'erano le attività sudamericane sempre di ABN AMRO. Facendo le parti, io non so se abbiano fatto una distribuzione o una valorizzazione adeguata delle attività brasiliane, sudamericane piuttosto che di Banca Antonveneta, anche perché il mio pensiero personalissimo è che anche Santander aveva bisogno di capitale e di conseguenza lavorare un po' sui numeri per creare una plusvalenza un po' più importante da una parte piuttosto che dall'altra forse gli avrebbe portato dei benefici patrimoniali. Questa è una mia considerazione personalissima, non ho nessuna prova per dire una cosa piuttosto che un'altra su questo. Sulla congruità del prezzo, noi come dirigenza, oltre che non avere in quel momento elementi particolari, non potevamo nemmeno, perché il consiglio di amministrazione del 9 o 8 novembre deliberò l'acquisto per 9 miliardi di euro, però quel consiglio o il consiglio successivo si dotò di due...

  CLAUDIO BORGHI. Approfittiamo in questo senso. Il consiglio di amministrazione aveva deliberato l'acquisto per 9 miliardi di euro, ma prima di quel consiglio d'amministrazione voi non eravate stati investiti di nulla? L'unica cosa che le è stato detto prima era se avevate i famosi...

  DANIELE PIRONDINI. Io personalmente no. Altri non lo so.

  CLAUDIO BORGHI. Non è a conoscenza di altri all'interno della banca che...

  DANIELE PIRONDINI. Non sono a conoscenza di altri all'interno della banca. Suppongo che sia intervenuto qualche consulente o qualche banca d'affari che abbia fatto una stima del valore dell'azienda. È stata successiva la valutazione, la dimostrazione e la congruità del prezzo con il famoso metodo dell'attualizzazione degli utili futuri, vale a dire il DDM (dividend discount model), confrontato con i multipli di mercato che ha definito tre volte il patrimonio netto o un prezzo congruo, perché in quel periodo gli scambi tra le banche erano pressappoco così, così come l'altro metodo molto generalista che diceva che uno sportello nel 2007 o nel 2008 prima Pag. 14della crisi valeva mediamente 9 o 10 milioni di euro circa, quindi 900 sportelli, che sono quelli di Banca Antonveneta, 9 miliardi di euro. Queste erano considerazioni, se vogliamo, abbastanza generiche.

  CLAUDIO BORGHI. Comunque voi internamente, nulla. Che lei sappia in un periodo successivo per avere l'ok di Banca d'Italia, ci furono delle valutazioni da parte di Banca d'Italia o similari sulla congruità del prezzo oppure ci si focalizzò solo sul fatto di poter avere un finanziamento congruo, il fresh e tutte quelle cose lì? Il punto se si stava pagando la cifra plausibile oppure no non fu toccato?

  DANIELE PIRONDINI. Nelle mie interlocuzioni con i corrispondenti di Banca d'Italia assolutamente no, anche perché, se ben ricordo, per Banca d'Italia la regola è che il consiglio di amministrazione decide autonomamente. Questo era e penso che sia tuttora il pensiero di Banca d'Italia.

  CLAUDIO BORGHI. Mi risulta che Banca d'Italia debba vigilare sulla sana e prudente gestione. Il consiglio decide autonomamente, ma sappiamo benissimo che se fa una cosa strana almeno un avviso glielo danno di solito, poi in quel caso lì, invece...

  DANIELE PIRONDINI. Per quello che so, nella lettera di autorizzazione del 23 o 26 marzo del 2008, dice: «Vi autorizzo all'acquisizione di Antonveneta, vanno bene 5 miliardi di aumento di capitale e tutto deve essere fatto prima» – «è una cosa che mi ero dimenticato di dire prima sul fresh – dell'acquisizione, quindi entro il 31 maggio». Pensando sempre ai contratti fresh, noi comunque dovevamo entro il 31 maggio fare quelle benedette cose. Poi dice: «Per quanto riguarda la gestione dell'acquisenda, vi segnalo che, a seguito delle nostre verifiche, presenta delle criticità sul credito con particolare riguardo al retail, pare che abbia perso quote di mercato, è deficitaria dal punto di vista delle risorse sia umane che tecniche, quindi vi invitiamo prima di tutto a presidiare queste aree». Questo è quello che so io, e che nero su bianco è scritto nell'autorizzazione di marzo.

  CLAUDIO BORGHI. Autorizzazione firmata da?

  DANIELE PIRONDINI. Penso dal dottor Draghi.

  CLAUDIO BORGHI. Firmata da Mario Draghi. Lei, quando lavorava lì, aveva dei rapporti con David Rossi? Lo conosceva?

  DANIELE PIRONDINI. Conoscevo David Rossi dal punto di vista lavorativo. Io arrivai nel 2003, mentre lui arrivò nel 2006 dopo la costituzione del nuovo consiglio con Mussari come presidente e Vigni come direttore generale. Era responsabile della comunicazione con i media, perché vi sono due tipi di comunicazione, ovvero la comunicazione finanziaria e la comunicazione con i media. La comunicazione finanziaria era gestita dall'investor relator, che per un certo periodo dipendeva da me. Noi ci incontravamo sicuramente quattro volte all'anno in occasione della predisposizione dell'informativa dei comunicati stampa per i risultati trimestrali, semestrali e annuali. In poche altre occasioni l'ho incontrato dal punto di vista lavorativo, ma anche dal punto di vista personale, perché lo conoscevo, ma non avevamo rapporti particolari.

  CLAUDIO BORGHI. Il rapporto di David Rossi con il dottor Mussari era un rapporto che nell'ambiente della banca veniva considerato di estrema confidenza? Erano considerati come amici, quindi in stretto contatto lavorativo oppure funzionalmente separati?

  DANIELE PIRONDINI. Per me è difficile dire questa cosa, perché non avevo frequentazioni particolari. Posso dire che sapevo che lo conosceva, poiché con Mussari si conoscevano da prima dell'ingresso di Rossi in banca nel 2006. Questa è l'unica cosa che posso affermare.

Pag. 15

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Borghi. Avrei qualche domanda. Lei non era più collaboratore o non lavorava più a Monte dei Paschi di Siena dall'anno 2008, sbaglio?

  DANIELE PIRONDINI. Esatto.

  PRESIDENTE. David Rossi era diventato il capo della comunicazione da un anno e mezzo o due anni prima, nel 2006. Quando le fu chiesto se c'erano i miliardi, non aveva conoscenza del debito di altri 7 miliardi che poteva avere questa acquisizione? È una cosa molto importante, poiché erano tanti soldi. È normale che non si fosse fatto alcun approfondimento per riuscire a capire se quello che si andava ad acquistare avesse delle pendenze verso terzi?

  DANIELE PIRONDINI. Ripeto in parte quello che ho detto prima. Non so se l'avvocato Mussari si era fatto assistere da dei consulenti che avevano analizzato Antonveneta. Premesso che dal bilancio si vede un ammontare importante di debito interbancario, che vuol dire tutto e non vuol dire niente, il bilancio è una sintesi delle informazioni, bisognava spacchettarlo. È la due diligence che dice che questi 7 miliardi sono relativi a un rapporto infragruppo con ABN AMRO e che la scadenza è giugno 2008. Questa è un'informazione che noi non avevamo e non potevamo nemmeno avere alla data del 6 o del 7 novembre.

  PRESIDENTE. Cioè, nello studio del bilancio, lei non avrebbe, se fosse stata fatta un'analisi molto dettagliata...

  DANIELE PIRONDINI. Certo. Con un'analisi dettagliata sicuramente sì.

  PRESIDENTE. Perché doveva esserci fretta di acquisto a questo punto? Le fu detto?

  DANIELE PIRONDINI. Riporto quello che fu detto a me non personalmente, ma in pubblico non ricordo in quale occasione, forse anche in occasione del consiglio di amministrazione. Il presidente Mussari disse e ripeté diverse volte che c'era una competizione o che gli era stata offerta l'opportunità dell'acquisto di Banca Antonveneta e il Monte dei Paschi era in competizione con la BNP Paribas. Andando a memoria, pare che BNP Paribas avesse offerto circa 8,5 miliardi di euro e il rilancio attorno ai 9 miliardi avrebbe consentito al Monte dei Paschi di acquisire la partecipazione. Vorrei fare una piccola precisazione. L'acquisizione non era riguardo al valore, al prezzo pagato giusto o sbagliato, ma alla strategicità. Dal mio punto di vista, ma credo anche da tutti quelli che lavoravano in Monte dei Paschi, la decisione di acquisire Banca Antonveneta era una scelta strategica corretta. Se è vero, come è vero, che la banca aveva intenzione di crescere non soltanto con l'attività ordinaria, ma anche, come si diceva o si dice, per linee esterne, Banca Antonveneta era la banca giusta entro certi limiti, perché consentiva a Monte dei Paschi di riequilibrare la propria posizione territoriale, poiché era abbastanza sbilanciata verso il Centro-sud e gli mancava il Nord. Da parte della Banca Agricola Mantovana aveva 300 sportelli, ma al Nord era poco presente. Acquisire una banca che era molto presente nel Nord-est, aveva un significato, un valore strategico molto importante al di là del prezzo sul quale non...

  PRESIDENTE. Mi perdoni, io vivo a Siena dal 1999 e per grandi linee conosco anche un po' la mentalità di coloro che avevano investito in quella banca. Lei si ricorda quale era la percentuale di investimento tipo della Fondazione, cioè di persone strettamente collegate al territorio in confronto alle percentuali di altri soggetti che stavano nella banca? Allora la maggior parte delle azioni da chi era detenuta?

  DANIELE PIRONDINI. La Fondazione aveva sicuramente oltre il 50 per cento ed era intorno al 55-56 per cento. Comunque era tra il 50 e il 60 per cento.

  PRESIDENTE. Si ricorda se vi era una regola che altre aziende non potevano superare il 4 per cento di acquisto?

Pag. 16

  DANIELE PIRONDINI. Ne ho sentito parlare, ma non sono in grado di confermare. Questo 4 per cento me lo ricordo, non vorrei che fosse scritto anche nello statuto. Non lo so.

  PRESIDENTE. Mi dice di chi era l'idea che questa banca del Monte dei Paschi di Siena doveva ingrandirsi e doveva prendere sportelli al Nord? Da chi nasce quella decisione? Da incontri del consiglio di amministrazione, dagli azionisti senesi o nasce in una gestione della banca, dalla dirigenza?

  DANIELE PIRONDINI. Ricordo che stava scritto nel piano industriale del 2006. Con l'avvento del nuovo consiglio di amministrazione del maggio-giugno 2006 con Mussari presidente e Vigni direttore generale, come succede tutte le volte che c'è un cambio di consiglio di amministrazione, viene presentato un piano industriale, scrivendo le intenzioni di sviluppo dell'azienda che si hanno. Se ben ricordo, in quel documento era specificato che il Monte dei Paschi aspirava a crescere e a riequilibrare tra le altre cose la propria presenza territoriale.

  PRESIDENTE. Immagino una previsione futura di miglioramento della banca che poi voleva dire l'acquisto di Antonveneta, quello non era scritto, ma era più una grande linea di miglioramento.

  DANIELE PIRONDINI. Non c'era scritto assolutamente Banca Antonveneta, piuttosto che San Paolo di Torino. C'era scritto: «La nostra aspirazione è quella di fare in modo di diventare una delle principali banche nazionali, presidiando meglio il territorio. “Presidiando meglio il territorio” vuol dire non soltanto avere la gran parte degli sportelli concentrati nel Centro Italia o nel Sud Italia, ma estenderci anche nel Nord Italia.». Non a caso, non mi ricordo più se un anno o qualche mese prima, prima dell'acquisizione di Banca Antonveneta, il Monte dei Paschi di Siena partecipò alla gara o all'asta per l'acquisizione degli sportelli messi in vendita da Intesa San Paolo e conseguenti ad una loro precedente acquisizione bancaria. Come succede sempre in questi casi, l'Antitrust aveva dato ordine di ridurre le concentrazioni e quindi, se ben ricordo, il Monte dei Paschi partecipò. C'era comunque un'intenzione di presidiare...

  PRESIDENTE. Quando il Monte dei Paschi di Siena si è ingrandito molto a Sud, era stato considerato un grande successo?

  DANIELE PIRONDINI. Non ero in Monte dei Paschi, ero ancora in Banca Agricola, ma non so l'anno. Ho vissuto da estraneo l'acquisizione di Banca 121.

  PRESIDENTE. Però quando lei lavorava là, era considerato un grande successo che si voleva ripetere al Nord oppure no?

  DANIELE PIRONDINI. Banca 121 non fu un grande successo, anzi tutt'altro. Si sperava, perché era una banca innovativa che si presentava al mercato in un certo modo e con un approccio particolare. Non so se perché l'idea non era un'idea vincente, se perché il Monte dei Paschi non l'ha gestita bene o se, per una serie di conseguenze, alla fine fu tutt'altro che un successo.

  PRESIDENTE. Faccio parte della Commissione finanze e ho letto un po' di cose. Quando fu fatto questo acquisto, riguardava – perché l'ha detto prima lei – soltanto 900 filiali, ma stavano anche in Europa o stavano soltanto in Italia? Di sicuro non comprendevano quelle del Sud America o sbaglio?

  DANIELE PIRONDINI. No. A me non risulta che Banca Antonveneta avesse delle filiali all'estero. Banca Antonveneta era in Italia, non era soltanto nel Nord-est – questo glielo posso dire –, ma era anche molto presente sulla fascia adriatica a seguito dell'acquisizione della Banca Nazionale dell'Agricoltura che era molto presente in Emilia Romagna. Non abbiamo ceduto nessuna filiale all'estero di Banca Antonveneta. Forse mi sono spiegato male prima: era ABN AMRO che aveva una Pag. 17presenza nel Sud America e Santander in quel periodo, per quello che avevo capito io, mirava molto a incrementare la propria presenza nel Sud America e, invece, in quel momento non era interessata all'Italia.

  PRESIDENTE. Però l'onorevole Borghi prima le ha chiesto: «L'acquisto precedente era di 6 miliardi e voi l'avete fatto di 9 miliardi. Come mai questa plusvalenza?» e lei ha diviso tra quelle del Sud America. Quindi uno paga 6 miliardi questo acquisto, comprese quelle del Sud America, mentre voi lo pagate 9 miliardi, togliendo quelle del Sud America?

  DANIELE PIRONDINI. No, forse mi sono spiegato male io. Non so quanto complessivamente Santander abbia pagato il ramo d'azienda di ABN AMRO che era composto dal Sud America e da Banca Antonveneta. Se compro un intero per 10, poi vado a fare le parti. Quanto attribuisco di valore a Banca Antonveneta e quanto attribuisco al Sud America? Secondo il mio pensiero personalissimo e da verificare, se è vero che Santander ha realizzato 2 o 3 miliardi di euro, magari sono anche di meno, perché ha sovrastimato le attività sudamericane e ha sottostimato quelle italiane, creando una maggiore plusvalenza. Questo è il pensiero...

  PRESIDENTE. È soltanto un suo pensiero.

  DANIELE PIRONDINI. Sì, ribadisco che è solo un mio pensiero.

  PRESIDENTE. In quell'anno si pensava che ogni filiale valesse 10 milioni di euro e con 900 sportelli avete fatto questo calcolo di 9 miliardi. L'avete fatto anche considerando che in quelle regioni qualche filiale di Monte dei Paschi di Siena già c'era e non considerando che qualcuna potesse valere 20 milioni e qualcuna zero?

  DANIELE PIRONDINI. Premesso che erano discorsi che non facevamo soltanto noi interni, ma che facevano anche gli analisti finanziari e le banche d'affari, mediamente il prezzo di mercato dello scambio di uno sportello sul mercato negli anni 2006 e 2007 è stato 10 milioni di euro. Era un modo per giustificare i 9 miliardi, ma non trovava alcun conforto o supporto tecnico, era una mera considerazione. Questo succede abbastanza di frequente anche quando si fanno le valutazioni e il confronto. Lo ha scritto anche Banca d'Italia, poiché ha detto: «Sì, il prezzo pagato, calcolato con l'attualizzazione degli utili futuri, era attorno a un multiplo di tre volte il patrimonio». Dire che è congruo o non è congruo dipende sempre dalla realtà. La schifezza può essere valutata una volta il patrimonio, l'eccellenza può essere valutata cinque volte il patrimonio.

  PRESIDENTE. Come ha annunciato l'onorevole Borghi, lei ha avuto un po' di vicissitudini e forse continue ad averle.

  DANIELE PIRONDINI. Speriamo finiscano.

  PRESIDENTE. Nella sua qualità di CFO giusto?

  DANIELE PIRONDINI. Sì.

  PRESIDENTE. Al presidente Zanettin ha detto che vi erano molte situazioni informali, quando le ha fatto delle domande, relativamente a una comunicazione in verità più ufficiale che ufficiosa. Ha detto che in molte situazioni vi erano delle interlocuzioni via telefono o via e-mail addirittura per vie brevi, da quello che ho capito. Questa è la Commissione che tratta ciò che è avvenuto il 6 marzo 2013 su David Rossi. Noi abbiamo la possibilità di poter leggere tutte le e-mail che il dottor David Rossi aveva. Quello che vorrei capire è se vi era una comunicazione verso l'esterno di quello che stava capitando anche quegli anni sui giornali, come l'intenzione di acquisto, piuttosto che problematiche che avvengono. Almeno una comunicazione c'è stata – l'abbiamo visto molte volte – tra il dottor Mingrone, tra la comunicazione e chi ha il ruolo di CFO piuttosto che amministratore delegato o il presidente. Quindi avevate una Pag. 18comunicazione, anche se lei l'aveva con Mussari, perché comunque Mussari aveva una comunicazione con il dottore David Rossi affinché uscissero delle informazioni sui media. C'era una risposta che avveniva ai media, giusto?

  DANIELE PIRONDINI. Sì. Dico sì anche se è un sì teorico, non effettivo. Non ho la prova che l'avvocato Mussari chiamasse David Rossi per dire: «Guarda che dobbiamo far uscire questa notizia piuttosto che quest'altra». Mi pare che sia una cosa logica: abbiamo la figura del comunicatore che conosce tutti i giornalisti economici d'Italia, dobbiamo far uscire questa informazione, si chiama David Rossi e si concorda il sistema di comunicazione.

  PRESIDENTE. In queste situazioni informali, di cui ha accennato che ve ne sono state diverse come qualche cena, qualche incontro lavorativo nei vostri uffici o un incontro con la comunicazione, c'era il dottore David Rossi? Vi siete mai trovati, ad esempio, con il dottor Mussari e il dottor David Rossi lavorativamente parlando?

  DANIELE PIRONDINI. Lei mette il dito nella piaga, nel senso che io ho spiegato che sono arrivato a Siena da Mantova, Banca Agricola Mantovana. Vivevo dal lunedì al venerdì in banca, però, anche per motivi di famiglia, il venerdì sera tornavo a Mantova. La realtà della città purtroppo non l'ho mai vissuta e di conseguenza non sono mai stato coinvolto in cene anche di lavoro, se non le mie cene di lavoro, che più che altro erano pranzi, con gli analisti finanziari, piuttosto che con la banca d'affari, ma mai con colleghi per discutere di queste cose.

  PRESIDENTE. Sappiamo che il dottor David Rossi aveva un ottimo collegamento con Mantova, faceva delle mostre. In quelle occasioni lei ha avuto...

  DANIELE PIRONDINI. So che era diventato consigliere, se non erro, della Fondazione Palazzo Te, che prima la Banca agricola Mantovana e poi Monte dei Paschi sponsorizzava, ma guarda caso questi incontri, interventi avvenivano sempre dal lunedì al venerdì. Mi sarebbe piaciuto essere presente qualche volta, partecipare a quelle manifestazioni, ma non siamo mai riusciti a incrociarci.

  PRESIDENTE. Quando ha saputo della morte del dottor David Rossi?

  DANIELE PIRONDINI. Non lo so, immagino da un telegiornale, da una comunicazione stampa. Sicuramente da una comunicazione pubblica; nessuno mi ha chiamato. Anche perché, ripeto, il mio rapporto era puramente di lavoro e tra l'altro obiettivamente assolutamente non frequente.

  PRESIDENTE. Qualcosa l'ha colpito? Nei giorni successivi qualcuno l'ha chiamata? È stato mai coinvolto o sentito nelle questioni relativamente alla morte di David Rossi o alle conseguenze?

  DANIELE PIRONDINI. Io l'ho conosciuto poco, fino al 2008. Non so sinceramente cosa sia successo dal 2008 al 2013 e quindi se lui abbia vissuto momenti di tensione particolare da generare poi un gesto di questo tipo. La cosa che mi ha stupito di più è: per quale motivo David Rossi ha commesso questo gesto sulla base del contesto di quel momento? Il contesto di quel momento era che il Monte dei Paschi era sotto accusa, guarda caso per quelle operazioni chiamate «derivati», che per me non sono derivati, quindi anche lì la comunicazione purtroppo ha dato una mano a creare un ulteriore problema al Monte dei Paschi di Siena, ma la domanda che mi sono posto è: per quale motivo David Rossi ha commesso un gesto del genere, se si collega il tutto a quello che stava succedendo? Quella è una cosa che mi ha stupito.

  PRESIDENTE. Me lo può spiegare meglio? Lei dice che è un gesto troppo esagerato per quello che stava avvenendo?

  DANIELE PIRONDINI. Primo. Secondo, lui proprio non c'entrava niente. Il ritrovamentoPag. 19 del mandate sull'operazione Alexandria, la considerazione che Santorini assieme ad Alexandria fossero dei derivati. Ma lui era il responsabile della comunicazione. Cosa c'entrava lui con queste cose? Questa è la domanda che mi sono posto. Vuol dire che ci devono essere altri motivi, non quelli di quella situazione generata da quella comunicazione, da quel tam tam sui problemi del Monte dei Paschi. Questo è stato il mio pensiero.

  PRESIDENTE. Lei sta dicendo che sarebbero stati spiegabili? Lei sta vivendo questa vicenda giudiziaria e dice che sono spiegabili?

  DANIELE PIRONDINI. Esatto.

  PRESIDENTE. Non è che se lui parlava rovinava qualcuno. Dice che sono situazione importanti, si procede, però spiegabili. Lei non prevede un gesto talmente esagerato relativamente a questa vicenda. Lei dice che forse c'era qualche altra cosa?

  DANIELE PIRONDINI. Esatto. Premesso che lui, per il ruolo che rivestiva, non era coinvolto direttamente. Non era un tecnico che aveva posto in essere l'investimento Santorini, o Alexandria, o altre cose. Io personalmente, purtroppo, ho vissuto questi momenti e li sto vivendo ancora, fortunatamente in modo un po' più distaccato perché spero, incrociamo le dita, che le cose vadano in un certo modo, cioè che la chiarezza, la trasparenza emergano. Un gesto del genere poteva essere giustificato da una persona psicologicamente debole ma che comunque era coinvolta direttamente in queste operazioni. Dal mio punto di vista David Rossi non era coinvolto direttamente.

  PRESIDENTE. Lei ha un'esperienza di questi ruoli più apicali, importanti in settori economici e finanziari. In questi settori il lavoro, l'impegno lavorativo dura come il posto fisso, cioè a vita, oppure è facile cambiare dopo tre o quattro anni? Anche per la sua esperienza, oltre a quello che ha vissuto e anche per esperienza di altri colleghi, una persona entra in una banca e ci rimane a vita oppure in questi ruoli apicali è facile che poi si passi da una banca a un'altra?

  DANIELE PIRONDINI. Quando raggiungi certi livelli si apre una vetrina. Poi dopo c'è una serie di considerazioni, in parte personali, in parte di opportunità. Per esempio, certe persone, forse in parte è anche il mio caso, sicuramente «godevano» del tipo di lavoro, della qualità del lavoro, però c'è sempre un radicamento con la famiglia, col territorio. Qualcun altro fa l'uomo di ventura, è disponibile due anni da una parte, tre anni dall'altra e così via. Poi dipende sempre anche dalle opportunità. Se uno dice che è l'opportunità della vita, prima di mollare... È l'esempio del mio caso che vivevo a Mantova. Improvvisamente mi dicono di andare a Siena. Prima ho fatto anche io un sobbalzo sulla sedia, poi ho pensato: «È il treno che passa una volta soltanto e non so se poi riuscirò ad avere questa apertura di vetrina che mi viene offerta in questo momento».

  PRESIDENTE. Questo valeva anche per i capi di comunicazione dal punto di vista dei media? Quando lei ha vissuto le sue esperienze erano sempre gli stessi? Anche in quel caso, David Rossi lavorava dal 2006, 2007; siamo nel 2013. Non era una vita di lavoro. Anche nelle altre sue esperienze, anche riguardo ai capi comunicazione vi è un ricambio o sono sempre gli stessi rimasti là da molto tempo?

  DANIELE PIRONDINI. Più che i capi comunicazione io ho conosciuto gli investor relator, che sono i comunicatori finanziari, non i comunicatori generali. Non vorrei usare il termine generalista. David Rossi non era un esperto di finanza. Era sicuramente un ottimo comunicatore. Molto probabilmente, oltre ad avere un bagaglio di conoscenze tecniche, aveva anche un bagaglio di interlocutori tale da consentirgli di gestire nel modo migliore possibile il suo lavoro. Nel mondo degli analisti, degli investor relator, c'è sicuramente un turnover; Pag. 20nel mondo dei comunicatori credo, ma non sono in grado di confermarglielo.

  PRESIDENTE. Lei prima ha affermato che aveva un suo comunicatore, c'era una parte comunicativa finanziaria e una parte comunicativa media. Noi sappiamo che David Rossi arriva in MPS – l'ha affermato anche lei, mi dica se sbaglio – perché era arrivato con Mussari, è corretto?

  DANIELE PIRONDINI. Sì.

  PRESIDENTE. Se fosse cambiata la dirigenza Monte dei Paschi di Siena, poteva anche essere forse normale che un AD, o un presidente, o un CFO si portasse anche un'idea di comunicazione, quindi qualche esperto con lui? Dove era scritto che il dottor Rossi doveva per forza rimanere in quel Monte dei Paschi?

  DANIELE PIRONDINI. Certamente sì, l'esempio classico è il dottor Rossi che è arrivato insieme a Mussari o poco dopo, mentre prima c'era un altro comunicatore, un certo dottor Lifonti. Lì c'è stato un ricambio. Penso che un top manager, un dirigente di livello elevato, quando cambia azienda decida di portare con sé non il mondo intero, non tutta la squadra, ma qualcuno della squadra che lui ritiene di supporto particolare alla sua attività, dirigendo la comunicazione o altre cose.

  PRESIDENTE. Parliamo anche da un punto di vista economico. Qualora siamo in queste realtà molto grandi, quando vi è un cambio della dirigenza o dei ruoli apicali, chi deve lasciare quel lavoro ha un certo indennizzo di buona uscita. Secondo lei in queste grandi banche, in queste grandi gestioni economiche finanziarie, il dottor Rossi, se per un qualsiasi motivo vi fosse stato un cambio di dirigenza e avesse dovuto cambiare lavoro, avrebbe preso una cifra importante di liquidazione? Secondo la sua esperienza funziona così oppure no?

  DANIELE PIRONDINI. Funziona così se ci sono degli accordi. Se non ci sono degli accordi bisogna sperare nella ragionevolezza della controparte. Il mio caso personale. Ad agosto del 2008 sono stato demansionato, di fatto. Non ero più CFO del gruppo Monte dei Paschi, sono stato mandato a fare il vicedirettore generale di Banca Antonveneta. Come ho detto prima, tanto rispetto per Banca Antonveneta, però non era la Banca Antonveneta da novecento sportelli. La nuova Banca Antonveneta era solo nel Veneto da quattrocento sportelli. Banca commerciale al cento per cento, dove ho esercitato le mie competenze specialistiche per qualche mese e poi basta, perché era la capogruppo che ovviamente doveva svolgere questa attività di supervisione nel mondo della gestione, nel mondo della finanza di servizio, vale a dire il procacciamento della liquidità e così via. Lì non avevo alcun accordo, tra l'altro non so se nel bene o nel male. Questo è il mio pensiero, il mio carattere. Non ho piantato grane e sono andato là. Questa è una delle cose che si fanno: si negozia quando si viene assunti non a livello basso, ma a livello medio alto. Si stabiliscono delle condizioni di uscita. Se succede qualcosa di particolare, come ha detto lei, se cambia la dirigenza, io sono molto gradito a lei, però improvvisamente per una serie di motivi lei non c'è più, cosa faccio io? Rimango con il cerino in mano? Quindi di solito vengono concordate preventivamente delle regole per gestire queste particolari situazioni.

  PRESIDENTE. Le sue osservazioni per noi sono importanti. Anche se aveva conosciuto poco il dottor Rossi, considerando che questo lavoro non fosse un lavoro fisso per tutta la vita, secondo lei è normale che una persona possa togliersi la vita perché poteva cambiare o perdere il lavoro? Le chiedo una riflessione dal suo punto di vista.

  DANIELE PIRONDINI. Prima di tutto le dico no, è molto strano. Anche perché David Rossi era bravo ed era anche conosciuto, quindi teoricamente e non praticamente avrebbe potuto trovarsi un altro posto di lavoro, magari non allo stesso livello, ma comunque non sarebbe passato da responsabile della comunicazione a impiegatoPag. 21 di sportello alla cassa che non ha mai fatto o altre cose. Secondo me questo non può essere un motivo, non può essere una giustificazione del gesto.

  PRESIDENTE. La ringrazio. La parola all'onorevole Ferri.

  COSIMO MARIA FERRI. Lei attualmente che incarico ha?

  DANIELE PIRONDINI. Pensionato INPS.

  COSIMO MARIA FERRI. Prima ha parlato di Banca 121 dicendo che è stata una... Come l'ha definita questa operazione con Banca 121?

  DANIELE PIRONDINI. Mi fa una domanda alla quale posso rispondere solo parzialmente, perché la vicenda sulla Banca 121 l'ho ereditata. Sono arrivato nel 2003, quando si stavano pagando le conseguenze di una serie di operazioni particolari fatte dalla Banca 121, i famosi prodotti d'investimento che avevano creato dei problemi ai risparmiatori. Il know how, se ben ricordo, è stato valutato in misura molto importante, perché si dice che Banca Antonveneta è stata pagata nove miliardi di euro, ma se ben ricordo da esterno, visto che seguivo da un'altra parte anche le vicende degli scambi di mercato, anche il prezzo pagato per Banca 121 non fu leggero dal punto di vista del risultato finale.

  COSIMO MARIA FERRI. Qual è stato l'importo? Se lo ricorda?

  DANIELE PIRONDINI. Eravamo ancora in lire, un miliardo e otto, due miliardi.

  COSIMO MARIA FERRI. Comunque erano due operazioni simili 121 e Antonveneta?

  DANIELE PIRONDINI. No.

  COSIMO MARIA FERRI. Quale è stata peggiore per la Banca?

  DANIELE PIRONDINI. Non sono in grado di dirlo, anche perché sono uscito a fine 2008. Quello che è successo dopo, dal punto di vista del ritorno dell'investimento, non lo conosco. Conosco i risultati aggregati del Monte dei Paschi, però i risultati del Monte dei Paschi nuovi sono da attribuire solo ad Antonveneta o ad altre cose? Ho letto una relazione del dottor Barbagallo di Banca d'Italia, che ha dichiarato – mi pare di due anni fa, in una Commissione sul credito – che i rischi di credito di Banca Antonveneta erano sicuramente importanti, ma non determinanti per il complesso del rischio di credito di Monte dei Paschi. Non sono in grado di fare un confronto tra i problemi generati da Banca Antonveneta su Monte dei Paschi e i problemi generati da Banca 121 su Monte dei Paschi. L'operazione era sicuramente più piccola, quella di Banca 121 rispetto a quella di Banca Antonveneta.

  COSIMO MARIA FERRI. Tornando ad Antonveneta, mi interessava capire meglio questo tema della valutazione dei crediti e poi il tema degli NPL. Lei cosa ricorda su questo punto? Valutazione credito e poi NPL che poi ha comportato una svalutazione massiccia di questi crediti.

  DANIELE PIRONDINI. Posso riferire da una parte la due diligence conoscitiva fatta... Ripeto, «conoscitiva» non vuol dire che ti consente a mani libere di andare ad aprire tutti i libri. «Conoscitiva» vuol dire: ti do una serie di informazioni, ti metto a disposizione informazioni da copertina del libro, non tutto, o le prime pagine o l'indice del libro, e non il libro. Era emersa una situazione del credito non brillantissima, ma non così grave. Ho maggiore conoscenza ed esperienza della situazione del credito di Banca Antonveneta nel Triveneto e non in tutta Italia, perché ricordo che Banca Antonveneta aveva acquisito gli sportelli della Banca Nazionale Agricoltura, che era una banca che obiettivamente aveva avuto nel tempo dei problemi sul credito. A Padova, quindi nel Triveneto, a seguito della crisi del 2008-2009, c'era sicuramente un problema di qualità del credito critica, ma Pag. 22problema comune al sistema in generale e al sistema Veneto in particolare. Mi ricordo che nel 2009 Banca d'Italia fece un'ispezione parziale. L'ispezione fu fatta sulla Banca Monte dei Paschi, però venne in missione un gruppo di ispettori in Banca Antonveneta per analizzare la qualità del credito, magari facendo un confronto tra quello che avevano rilevato due anni prima con la loro ispezione precedente e cosa era successo. Alla fine non presentarono la relazione a noi – dico «noi» perché ero già in Banca Antonveneta – ma alla capogruppo Monte dei Paschi. La capogruppo Monte dei Paschi ci chiese di dare una mano a predisporre le cosiddette «controdeduzioni» come succede sempre. La Banca d'Italia fa l'ispezione, fa le osservazioni e ti consente di fare le tue considerazioni. Mi ricordo che una delle osservazioni di Banca d'Italia fu che c'era un'elevata concentrazione del rischio di credito nel settore immobiliare. Vero, non mi ricordo più la percentuale, intorno al 25 per cento. Facciamo un confronto con il sistema Veneto e vediamo che c'è la differenza di un punto percentuale. Quindi era vero che c'era la concentrazione perché il 25 per cento era elevato, ma tutte le banche operanti nel Veneto in quel periodo... erano esposte in egual misura; tanto è vero che anch'io ho conosciuto numerose posizioni, di situazioni critiche nel settore immobiliare, che non erano soltanto di Banca Antonveneta, ma erano comuni.

  PRESIDENTE. Mi perdoni, onorevole Ferri, stanno per iniziare i lavori dell'Aula con le dichiarazioni di voto e purtroppo bisogna chiudere. È possibile inviare le sue domande al dottor Pirondini per una risposta scritta, se vuole.

  COSIMO MARIA FERRI. Ho finito. Lei è stato chiamato in Banca dal dottor Tonini, mi pare di avere capito.

  DANIELE PIRONDINI. Sì.

  COSIMO MARIA FERRI. Qual è il periodo che ha passato al Monte dei Paschi?

  DANIELE PIRONDINI. Complessivamente al gruppo Monte dei Paschi dal 2000, quando Banca Agricola mantovana è diventata Monte dei Paschi. Nel 2003 sono andato a Siena, sono rimasto a Siena fino alla fine del 2008. Dalla fine del 2008 al 2010 in Banca Antonveneta.

  COSIMO MARIA FERRI. Ha gestito anche il passaggio Mussari-Viola?

  DANIELE PIRONDINI. Assolutamente no.

  COSIMO MARIA FERRI. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Pirondini e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.