XVIII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono minori

Resoconto stenografico



Seduta n. 18 di Mercoledì 16 febbraio 2022

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Cavandoli Laura , Presidente ... 3 

Audizione, in videoconferenza, del Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Regione Lombardia, Riccardo Bettiga:
Cavandoli Laura , Presidente ... 3 
Bettiga Riccardo , Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Regione Lombardia ... 3 
Cavandoli Laura , Presidente ... 8 
Giannone Veronica (FI)  ... 8 
Bettiga Riccardo , Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Regione Lombardia ... 10 
Cavandoli Laura , Presidente ... 10 
Bettiga Riccardo , Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Regione Lombardia ... 10 
Cavandoli Laura , Presidente ... 12 
Ascari Stefania (M5S)  ... 12 
Bettiga Riccardo , Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Regione Lombardia ... 13 
Cavandoli Laura , Presidente ... 13 
Ascari Stefania (M5S)  ... 13 
Bettiga Riccardo , Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Regione Lombardia ... 13 
Cavandoli Laura , Presidente ... 15 
D'Arrando Celeste (M5S)  ... 15 
Bettiga Riccardo , Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Regione Lombardia ... 17 
Cavandoli Laura , Presidente ... 20 
Bettiga Riccardo , Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Regione Lombardia ... 21 
Cavandoli Laura , Presidente ... 23

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
LAURA CAVANDOLI

  La seduta comincia alle 13.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso e la web-tv della Camera dei deputati.

Audizione, in videoconferenza, del Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Regione Lombardia, Riccardo Bettiga.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione in videoconferenza del Garante per l'infanzia e l'adolescenza della regione Lombardia dottor Riccardo Bettiga. Il dottor Bettiga ha assunto l'incarico nell'aprile 2020, precedentemente ha operato come psicologo psicoterapeuta ed è stato Presidente dell'Ordine degli psicologi della Lombardia e consigliere del Consiglio Nazionale dell'Ordine degli Psicologi dal 2014 al 2019. La Commissione ha più volte interloquito con i Garanti regionali, traendone diversi spunti che hanno arricchito la conoscenza dei fenomeni oggetto dell'inchiesta e hanno anche evidenziato l'esistenza di forti differenze territoriali, a livello di regione. Ricordo in particolare l'audizione del Garante Abruzzo, del Garante Piemonte, quella del Garante Lazio. Per quanto attiene in particolare la situazione lombarda la Commissione non ha ricevuto molte segnalazioni da quel territorio regionale, anche per questo motivo sono particolarmente preziose le valutazioni e soprattutto i dati che il dottor Bettiga ci potrà dare sulla situazione della regione, anche in relazione all'applicazione delle linee guida regionali sull'affido. Il dottor Bettiga è anche psicoterapeuta e potrebbe offrirci una riflessione, se lo ritiene opportuno, sul ruolo della sua professionalità nei sistemi territoriali di assistenza. L'impressione è, in effetti, che in diversi allontanamenti di minori ci sia una certa carenza di simili figure e un ruolo un po' più marcato degli assistenti sociali. Prima di lasciare la parola al dottor Bettiga per la sua relazione aggiungo che la Commissione ha particolare interesse, ed è proprio fra le nostre competenze, ad acquisire dati non solo sui profili generali dell'attività del Garante, ma anche sulla situazione regionale dei minori fuori famiglia. La Commissione ha infatti riscontrato che permangono, per i dati nazionali gestiti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, le problematiche già da tempo evidenziate per questo tipo di rilevazioni: si tratta di rilevazioni fotografiche a una data specifica, in questo caso l'ultima rilevazione è al 31 dicembre 2019, e non di un vero e proprio casellario dinamico. Per converso in alcune regioni, come in Toscana e in Abruzzo per esempio, sembra che ci siano iniziative più avanzate in direzione di una rilevazione dinamica dei dati. Lascio, quindi, la parola all'audito per una relazione che invito a contenere entro una quarantina di minuti, in modo da lasciare spazio alle domande. Chiedo sin d'ora la disponibilità a rispondere a eventuali quesiti scritti. Grazie, a lei la parola dottor Bettiga.

  RICCARDO BETTIGA, Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Regione Lombardia Grazie. Innanzitutto, due semplici contestualizzazioni rispetto alla presentazione. Mi piace sottolineare, ovviamente anche in veste di Garante, una lettura di Pag. 4quelli che sono le dimensioni della funzione del Garante, alla luce di una competenza psicologica, non è soltanto per me importante, ma mi piace pensare che sia di grandissima attualità in questo momento, per cui la sto enfatizzando abbastanza nelle le testimonianze che porto. Faccio, innanzitutto, un'operazione di cornice. Io mi sono insediato in piena pandemia, in Regione Lombardia, non è stato un momento semplice, però abbiamo da subito sistematizzato un modello di accoglimento delle segnalazioni, che era ancora in fase di assestamento, per cui oggi gestiamo e abbiamo gestito negli anni scorsi un numero davvero importante di segnalazioni. Vi fornirò poi per iscritto tutti i dati numerici, come avete richiesto, siamo nell'ordine delle centinaia, per cui abbiamo un buon campione rappresentativo della funzione di garanzia sul territorio. La Lombardia, con i suoi 10 milioni di abitanti, è comunque un campione anche della situazione italiana, dall'altra parte i dati sullo specifico del vostro target di interesse, ovvero delle comunità, dei sistemi dell'affido familiare, dell'affido nelle case famiglia o nella rete dei servizi residenziali. Noi abbiamo, in Regione Lombardia, un monitoraggio che è effettuato dall'assessorato, che si occupa appunto delle politiche sociali, attraverso una rilevazione più anagrafica e una fotografia, secondo quelli che sono i parametri definiti dal Ministero di riferimento, sia attraverso dei questionari per cercare di andare anche un po' oltre la semplice fotografia. Io so che sono in elaborazione i dati 2020-2021, mi farò parte presso l'assessorato per chiedere la possibilità, appunto, di avere e di darvi i dati che trattano a quel livello, perché tutta l'unità di offerta è gestita dell'assessorato e a me, come Garante, arriva dal lato delle segnalazioni e dall'altro lato rispetto ad un lavoro che io sto cercando di portare avanti. Quindi, al di là del fatto che vi fornirò i dati del funzionamento dei miei uffici e la rilevazione sistematica fatta dall'assessorato, sullo specifico delle case famiglia, sullo specifico comunque di tutta l'unità di offerta per i minorenni, le persone minorenni, vi porto anche un dato qualitativo, che deriva dalle prime analisi fatte in questo periodo rispetto, innanzitutto, alle segnalazioni al Garante. Il dato qualitativo è da un lato un utilizzo culturalmente scorretto della funzione del Garante, che c'era molto all'inizio, cioè il Garante come una sedia a cui fare ricorso, rispetto a un terzo livello di ricorso su le decisioni della Magistratura e, secondo me, questo è un utilizzo non funzionale del Garante, sul quale ho fatto un certo lavoro culturale, per cercare di correggerlo, ma che non è un interesse in questa sede. L'altro livello è, diciamo, che spesso si fa ricorso al Garante, perché le famiglie si trovano a non comprendere o a trovarsi in una situazione dove le progettualità messe in campo dai sistemi, da tutto il sistema di protezione – poi capirete perché parlo di sistema di protezione, non solo dai servizi di tutela minori – sono non comprese o poco comprese dalle famiglie e questi fanno ricorso al Garante come, diciamo così, figura terza per una valutazione che non è sulla decisione di un Giudice o una contestazione, è effettivamente nel merito delle progettualità attivate, delle decisioni sulle tipologie o sulle modalità di collocamento, comunque sia su quali azioni vengono messe in campo, per rendere operative le decisioni della Magistratura minorile o comunque anche dei Tribunali ordinari. Quindi, si fa appello al Garante come figura di monitoraggio, di supervisione, di controllo su quelle che sono, appunto, nei contenuti e nel merito, le cose che vengono fatte all'interno nelle azioni di tutto il sistema di protezione e dei servizi. Ecco, dico questo perché andare a lavorare nel merito, rispetto anche a ciò che la legge istitutiva mi attribuisce come funzione, è difficile. La funzione di vigilanza su alcune cose è in capo alla Procura, su altre in capo ai Tribunali, viene chiamato in causa il Garante, che ha anche delle funzioni di vigilanza, non così bene esplicitate, che poi però non riguardano tutti gli attori del sistema. Qui, io so, che altri abbiano già portato il tema, ne abbiamo discusso anche nella Conferenza Nazionale dei Garanti, cioè il tema della funzione di vigilanza e controllo sull'operato dei servizi, è un tema molto sentito e di difficile risoluzione, l'ho Pag. 5sentito anch'io tantissimo e ho provato ad immaginare per la Regione Lombardia alcune soluzioni, mi piaceva, in questa sede, illustrarvene una. Innanzitutto, ho creato un tavolo formato da magistrati, avvocati, operatori delle neuropsichiatrie infantili, che sono il presidio sanitario territoriale di riferimento, ho coinvolto l'ordine degli assistenti sociali (CNOAS), rappresentanti delle università del terzo settore, delle associazioni delle famiglie, chiamando a raccolta circa sessanta testimoni privilegiati del sistema, che ruota attorno al mondo del collocamento in contesti residenziali, quindi case famiglia, comunità educative e comunità terapeutiche. Perché? Perché, al di là del fatto che vengano date per acquisite le linee guida e gli standard a livello nazionale, io mi sono accorto che questo non basta. Cioè, benissimo, io le linee guida le do per scontate e la vigilanza sull'applicazione delle linee guida in realtà non manca, perché spesso gli enti che fanno i convenzionamenti, e che accreditano i servizi, verificano la presenza di questi standard, ma la vera violazione, a mio parere, dei diritti dei più piccoli, avviene tra le pieghe del sistema e non rispetto, almeno in Lombardia, a una non applicazione rigida delle linee guida. E dove avviene? Avviene, di fatto, nelle relazioni tra i diversi attori e – scusate se uso un'espressione gergale – nel rimpallarsi competenze o domande e risposte fra diversi attori, che sono sempre al pari importanti, perché oggi è difficile immaginare in una situazione dove si arriva all'estrema ratio, per esempio di un collocamento extra famiglia, che non siano coinvolte, spesso per le problematiche che insorgono legate alla dimensione salute mentale, operatori della neuropsichiatria infantile, che non siano coinvolti assistenti sociali, educatori. La rete del sistema spesso nel parlare lingue diverse, quindi nel non avere un lessico comune rispetto alla presa in carico del bambino, del minorenne in generale, nella difficoltà delle famiglie che si trovano a parlare con soggetti che parlano spesso lingue diverse, ad essere loro a doversi rivolgere autonomamente ai diversi attori e a chiedere, così come ad avere una distanza, rispetto agli organi di vigilanza o di monitoraggio, crea il problema. Quindi, io cosa ho fatto? Li ho fatti sedere tutti attorno a un tavolo. Sto per produrre un documento, che spero di potervi fare avere che, dando per scontato gli standard, definisce delle linee guida operative di sistema, cioè come tutti gli operatori, tutti gli attori del sistema di protezione, devono rapportarsi con le famiglie, qual è la ratio minima che tutti, o che i singoli attori, dovrebbero mettere in campo o ancora di più – qui, perdonatemi, diciamo, la deviazione mia professionale – ma anche qual è l'idea condivisa che ognuno degli attori del sistema ha e le aspettative, rispetto agli altri. L'aspettativa salvifica del: «Una volta che l'ha preso in carico la UONPIA (Unità Operative di NeuroPsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza) la salute mentale è a posto. Spuntata». Anche avendo fatto tutto ciò che un sistema richiede, a volte delle aspettative irrealistiche generano una violazione dei diritti, è una soluzione che non è nell'interesse ultimo dei nostri bambini. Quindi, i temi su cui mi esprimerò con questo documento sono, appunto, rapporto con le famiglie, il tema della formazione congiunta di tutti gli attori, qual è il modo migliore per creare un lessico comune, se non immaginare dei sistemi di formazione che si declinano su tutti. Io, l'ho già sperimentato l'anno scorso, uno dei grossi problemi che mi sono trovato a gestire – so che è un tema leggermente tangenziale, rispetto a quello di cui vi occupate voi – però minori non accompagnati e tutori volontari, che sono una specifica competenza del Garante regionale. La formazione specifica dei tutori volontari, che è una formazione molto bella, interessante, abbiamo provato a declinarla e ad aprirla anche agli operatori dei servizi sociali, agli operatori delle comunità, agli educatori, li abbiamo messi in aula insieme per costruire, a livello locale però questo, quindi su singole province della regione Lombardia, per costruire noi un lessico comune. Chi ha i compiti della formazione dovrebbe prendere consapevolezza di questo tema, che a volte avere idee diverse, modelli di intervento diversi e parlare linguaggi diversi, crea una piega nella quale poi generiamoPag. 6 un pregiudizio nei confronti dei nostri utenti. Quindi, l'ho sperimentato sui tutori volontari, abbiamo fatto questa formazione e la faremo ancora, aprendola a tutti gli attori che sono attorno al minore non accompagnato e devo dire che, anche solo purtroppo in virtuale, io spero di tornare a fare le aule in presenza, ma anche in virtuale, l'aula stessa è diventato un momento di confronto di rete, che ha creato delle relazioni, che poi hanno avuto una ripercussione estremamente positiva sui processi di presa in carico dei minorenni. Approfondisco dopo le questioni legate alla salute mentale, che oggi è un elemento trasversale, che non possiamo più considerare come l'eccezione patologica, che ha necessità dell'intervento terapeutico, ma il tema del benessere psicologico è un elemento che dovremmo considerare trasversale a tutti gli attori, diciamo così il dopo, e quindi una valutazione dell'efficacia dei collocamenti, degli affidi e comunque sia delle riflessioni rispetto alla maggiore età, riflessioni condivise. Noi non abbiamo la pretesa di andare a normare o definire qualcosa di altro rispetto all'impalcatura esistente ma, come vi ho detto, e lo ripeto a costo di essere pedante, quello di creare, di ragionare su un sistema e non su compartimenti a silos dove la mano destra a volte non sa cosa fa la sinistra, e in questo si genera il pregiudizio. Ecco, qui faccio una piccola parentesi, sappiate che c'è un'emergenza per le comunità che riguarda gli educatori, perché sono andati a lavorare tutti nella scuola e le comunità non hanno educatori in questo momento, almeno in regione Lombardia c'è una crisi profonda. C'è una grande mancanza di forza lavoro in ambito educativo, ma siamo a livello emergenziale, poi non spetta a me, ma il CNCA (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza) a me ha riferito di una riduzione enorme del numero di comunità, perché non hanno la possibilità di adempiere agli standard, perché non ci sono persone. Io stesso ho visto i bandi andare deserti. Quindi, questo è un elemento contestuale, è un elemento di ora, però mi faceva piacere – non so, l'avranno già detto altri sicuramente più titolati di me – avendo questo osservatorio privilegiato devo raccogliere anche e vi riporto anche quelle lamentazioni, quelle segnalazioni, che non sono specifiche sul target dei bambini, dei minorenni, ma che hanno un effetto secondario su di loro. Se non abbiamo educatori possiamo così costruire sistemi di protezione, ma manca la trincea, manca chi è sul fronte a lavorare, questo vale anche per la domanda che, tra le righe, è stata fatta all'inizio rispetto a educatori, ovviamente parlo di profili competenti e qualificati, per un lavoro dal punto di vista strategico, oggi come oggi, più che mai fondamentale. Vale lo stesso ragionamento rispetto ai professionisti, psicologi nell'ambito di tutti quei percorsi che il sistema giudiziario minorile intraprende, che vanno ad impattare sui bambini, sia nelle funzioni di consulenza a giudice ma sia, soprattutto appunto, nei sistemi di tutela minori per portare un contributo competente nelle progettualità, nella riflessione nel monitoraggio, della vita e delle impressioni, dei traumi, delle riflessioni e delle prospettive che portano questi ragazzi. Da un lato sapete bene che uno degli effetti di quello che sono stati gli scandali di Bibbiano è stato quello di ridurre, in modo considerevole, il numero dei professionisti che scelgono di lavorare in questo settore. Un po' è un effetto culturale ovviamente, ma molti hanno valutato, cioè non è più una carriera così scelta o ambita, per cui abbiamo una carenza anche di nuove professionalità fresche, formate e capaci, che vogliono intraprendere un'attività lavorativa in questo settore, ce ne accorgeremo in prospettiva, come quando venivano fatte le programmazioni nella formazione dei neuropsichiatri infantili col contagocce e oggi abbiamo le UONPIA senza professionisti sul territorio, perché quando si programmava la formazione non si era pensato ad un bisogno così forte di neuropsichiatri. Io sono convinto che tra qualche anno avremo un grandissimo bisogno, sempre di più, in tutte le fasi del sistema, di psicologi competenti, secondo standard riconosciuti e definiti a livello della comunità scientifica ovviamente, perché anche questo è un po' una criticità, è un settore che ha bisogno di rinforzare le condivisioni Pag. 7a livello nazionale, diciamo così, di quelli che sono gli standard di competenze, i modelli elettivi, le modalità di lavoro. Però, detto questo, ci accorgeremo, secondo me tra qualche anno, di un bisogno che supererà l'offerta, questo forse lo dico un po' meno da Garante e un po' più da persona che per oltre dieci anni ha lavorato nella governance della professione psicologica e anche insegnando in due università. Vedo un po' quello che è l'orientamento degli studenti, che è abbastanza oggi orientato alla clinica, quindi sempre più orientato alla clinica. Forse c'è questa idea che gli psicologi potranno tutti lavorare come psicoterapeuti, perché c'è un grande bisogno di interventi clinici e poco su l'inserimento nell'ambito giuridico forense o in una logica di servizi complessi. Questo, e qui lo dico, è un grande errore secondo me, perché invece, come vi dicevo prima, dobbiamo sempre più ragionare meno in un'ottica di silos e compartimenti e più in un'ottica di sistemi di protezione, perché il singolo terapeuta che magari ha in carico il ragazzo collocato in affido familiare o anche in una residenzialità, se non è ben raccordato con la rete di protezione, rischia di fare un bell'intervento decontestualizzato, il cui effetto è totalmente depotenziato, ma lo stesso vale per eventuali servizi all'interno della scuola, eventuali servizi comunque messi a disposizione dal servizio sociale. La dimensione di reti è qualche cosa di fondamentale. Detto questo, al di là del documento e di queste buone prassi, il passaggio successivo per rendere operativa la funzione di monitoraggio e controllo del Garante – per ora lo sto costruendo con la Procura minorile della pertinenza del Tribunale dei minori di Milano, la Lombardia ha il Tribunale minorenni su Milano e su Brescia, è divisa in due aree di competenza, lo sto sviluppando su Milano – è un protocollo d'intesa tra il Garante regionale per l'infanzia e la procura minorile, per un lavoro congiunto di verifica campionaria sulle progettualità attivate dalle comunità o dalle case famiglia, comunque di tutte le unità di offerta del sistema residenziale di collocamento dei minori. Cosa vuol dire questo? Che faremo un protocollo d'intesa, dove la Procura mette la sua competenza specifica in materia di vigilanza sul piatto, il Garante mette la sua parte, ma in più, avendo creato questo tavolo dove ho i rappresentanti del sistema, vorrei che la valutazione nel merito fosse fatta proprio all'interno di quel tavolo. Cioè, detta in soldoni, noi andremo a prendere, a verificare alcune comunità a livello campionario o su segnalazione ovviamente e le progettualità nel merito, sui singoli ragazzi o comunque in generale sulle attività della struttura dell'unità di offerta, le valuteremo di concerto con tutti gli operatori, così che io riuscirò a raccogliere, prima di tutto a costruire una lettura condivisa dei progetti, e secondo me è già funzionale questo, a creare una cultura di sistema, dall'altro non andremo a fare un monitoraggio ispettivo di mera natura classificatoria. Cosa vuol dire? «Okay, questo l'hanno fatto. Questo l'hanno fatto. Questo l'hanno fatto. Questo l'hanno fatto». No, mi piacerebbe che la nostra lettura fosse più nei termini di una supervisione competente, rispetto ai progetti attivati per i ragazzi. Ecco, è questa l'idea, cioè di creare un sistema, ovviamente in assenza di una funzione specifica di vigilanza, così come l'abbiamo immaginata e avendo provato a sentire altre modalità, fatte da altri Garanti, protocolli d'intesa con diverse realtà. Quella che ho immaginato io è questa, cioè quindi che mette insieme diverse componenti, diverse idee. L'idea più di un sistema campionario, di vigilanza competente, di supervisione competente, attivato con tutti gli stakeholder del sistema di protezione, in seno appunto al Garante regionale per l'infanzia. Ecco, Regione Lombardia devo dire che, io sento e mi confronto con altre realtà, ha, comunque sia, un sistema che mi piace pensare funzioni abbastanza bene. Noi abbiamo comunque una buona tradizione di dialogo interistituzionale, di rapporto positivo con tutto il sistema della magistratura e con le reti dei servizi. Qualche difficoltà in più – ma qui ve lo lascio come dato, poi eventualmente se ne vogliamo discutere a domanda rispondo – si presenta quando i servizi sono esternalizzati a delle realtà del Pag. 8privato, perché sono meno aperti ad una collaborazione in termini di condivisione delle informazioni. Quando io chiedo ai servizi gestiti direttamente dall'ente locale, o diverse vie, ho delle risposte che sono nell'ambito di una leale e corretta collaborazione fra enti pubblici, devo dire che, non voglio criticarli a priori, però che io faccio un po' più di fatica quando i servizi sono esternalizzati in diverse forme, sapete dalle partecipate, alle cooperative, alle cose che gestiscono, per la componente anche in termini di, non dico di deresponsabilizzazione, però c'è un po' più di paura, cioè c'è una posizione un po' più difensiva, prendiamola in questi termini. Posizione difensiva che, in realtà, a volte è anche una ricaduta – e qui però spero di riuscire a dimostrarlo nella pratica, qui da questo punto in poi vi riporto solo un'impressione qualitativa mia – anche quella dimensione difensiva e anche quando alcune progettualità, alcuni interventi che vengono fatti con i ragazzi, hanno degli oggettivi problemi, non ce la fanno perché troppa conflittualità con le famiglie di origine, nelle famiglie di origine, perché problemi di salute mentale, così di fronte non tanto al caso gestibile, secondo una logica da manuale, quanto di fronte alle eccezioni problematiche. Ecco, la mia impressione è che ci sia una tendenza a lasciar passare il tempo e questa è, oltre alle pieghe del sistema, secondo me, è l'altra grande condizione di pregiudizio che provoca i danni più grossi nei ragazzi. Cioè, progetti che non hanno efficacia, che non portano a nulla, che vengono lasciati lì. Cioè, affidi che durano un'infinità di tempo, senza un monitoraggio reale dell'utilità o dell'opportunità del rientro in famiglia, persistenza di collocamenti nelle comunità, quando magari si potrebbe fare a meno, perché manca in qualche modo, parlo dei casi più complessi, manca forse quella spinta, c'è un po' di inerzia e nell'inerzia passano i mesi. Ecco, questo si è sentito molto durante gli ultimi due anni, perché la scusa del covid è stata la scusa che ha generato inerzia. Ovviamente, siamo stati tutti coinvolti e abbiamo tutti subito l'impatto del periodo pandemico però, ecco, è stata anche, e per un po' l'abbiamo anche tollerato tutti, Garanti compresi, è stata anche un po' una scusa per giustificare i periodi di inerzia, negli interventi a favore dei minorenni, che oggi non sono più giustificabili. Quindi, anche sulle comunicazioni, cioè il coinvolgimento dei genitori delle famiglie di origine o comunque di entrambi i genitori delle comunicazioni mandate, la scusa della pandemia ha permesso di considerare il tempo un po' meno urgente, ma qui se è meno urgente per un servizio, magari viene sentito, il tempo è percepito in modo differente, questa è una cosa che ho visto nel mio tavolo, in modo diverso dai diversi operatori. Le famiglie hanno l'urgenza, giustamente e in modo sacrosanto, quindi hanno un bisogno che le porta a percepire un mese come un tempo infinito, altri attori del sistema ragionano in termini di anni e un mese è il tempo tra una riunione e l'altra. Quindi, anche questa dimensione dei tempi, per l'aggiunta appesantiti, allungati, stirati dalla scusa fino a un certo punto giustificabile nel periodo pandemico, ha rappresentato e rappresenta un elemento, che di nuovo spero di sciogliere in quella dimensione di tavolo. Ovviamente la parte grossa è data nella competenza del sistema regionale cin l'Assessorato alle politiche sociali, e a tutta l'infrastruttura regionale che da lì discende e con la quale c'è una collaborazione stretta e forte. Questo è da segnalare perché è una cosa buona della regione Lombardia, rispetto anche ad altri contesti dove ci sono più difficoltà. Io magari adesso farei una pausa, chiedendo se ci sono già da subito delle domande o delle richieste di chiarimento anche rispetto a quanto ho detto.

  PRESIDENTE. La ringraziamo dottor Bettiga per questa inizio di relazione. Lascio ora la parola ai commissari che si sono prenotati per intervenire.

  VERONICA GIANNONE. Grazie mille, Presidente. Io ringrazio assolutamente l'Autorità Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Lombardia. Avevo da porre alcune domande, la prima che volevo porle riguarda proprio la questione legata ai progetti,Pag. 9 alle progettualità del servizio sociale, che dovrebbero essere esplicitate e quindi portate avanti con l'intento, secondo quello che riguarda anche la legge vigente, del rientro nell'ambito familiare, ove possibile. Certo, parliamo di tutti quei casi dove effettivamente l'inserimento nella struttura ha un fine di rientro nella famiglia d'origine, in modo tale che si possa, attraverso questi progetti, non soltanto lavorare sul minore e sulla sua tutela, ma anche in qualche modo sulla famiglia o su un genitore, dipende poi da come è composta la famiglia stessa. In questo caso lei ha parlato effettivamente di mancanza molte volte o comunque non attuazione di questi progetti, soprattutto quando si parla di avere a che fare non col servizio sociale della amministrazione di riferimento, ma con quelli esternalizzati. Anche noi ritroviamo effettivamente delle grandi difficoltà, almeno queste vengono rappresentate e molte volte anche dalle e-mail che ci pervengono, con atti e documenti che possono comprovare quanto lei stesso ha descritto prima. In questo caso il Garante, cioè in questo caso lei, cosa può fare oltre al progetto del quale lei parlava, quindi di mettere al lavoro proprio un sistema, attraverso un tavolo di lavoro, che possa dare delle linee guida specifiche che valgano per tutti, ma cos'altro può fare? Cioè, ci sono delle possibilità di segnalazioni a delle autorità competenti, che lei per esempio può inviare per descrivere delle situazioni da lei già espresse in precedenza, ad esempio riprendo quelle di una persistenza di collocamento molto più in là, rispetto a quella che dovrebbe essere, piuttosto che quella del non reinserimento nell'ambito familiare, piuttosto che quella anche delle difficoltà, o come diceva lei prima, lei ha utilizzato un termine secondo me molto significativo, cioè progetti senza efficacia, che portano effettivamente a lasciar passare il tempo. Cosa può fare altro per aiutare e quindi tutelare effettivamente il benessere di questi minori? Un altro aspetto molto importante, da tenere in considerazione, è quello anche delle linee guida dell'attuazione di un allontanamento dall'ambito familiare. Noi sappiamo perfettamente che ci sono tantissime segnalazioni che arrivano su delle attuazioni molto traumatiche, che purtroppo comportano non soltanto l'utilizzo delle forze dell'ordine, che purtroppo è previsto ed è anche scritto molte volte nei decreti di allontanamento del tribunale, ma che però non tiene conto della situazione del minore in quel momento. Io le faccio un esempio, a Busto Arsizio, che è appunto in provincia di Varese, quindi in Lombardia, c'è un caso del quale io stessa mi sono occupata, tanto da aver depositato anche un esposto per le modalità che sono state attuate in questo prelevamento del minore che sembra, mi creda, un sequestro. Ci sono delle registrazioni, che io stessa ho allegato all'esposto. Ecco, in questo caso, mi pare di aver mandato anche a lei una PEC (Posta Elettronica Certificata) con tutto il materiale, che cosa può fare lei per vedere se effettivamente quell'attuazione è stata fatta nel modo corretto o se il bambino è stato vittima di una grave violenza, di un trauma, di un maltrattamento, perché questo appare ai miei occhi, ma io ne parlo a livello proprio personale. Vorrei che anche lei desse un'opinione su questi metodi di prelevamento, assolutamente assurdi e sicuramente non tutelati del benessere psicofisico del minore. Un'altra cosa che volevo chiederle, e poi concludo, riguarda invece i centri diurni. Io ho notizia che ci sono dei luoghi, so che la Lombardia è ampia, ha tantissime persone all'interno della sua regione, però ci sono dei luoghi, le prendo l'esempio di Lodi e dell'hinterland, insomma tutti i paesi confinanti, dove risulta non esistono centri diurni. Quindi, in un caso specifico, ad esempio anziché utilizzare l'opzione che era stata data dal tribunale per avviare un aiuto, quindi un progetto all'interno di un centro diurno, il servizio sociale esternalizzato in cooperativa e la psicologa nominata per questo caso hanno deciso di inserire il minore, in mancanza di centri diurni, questa è stato quello che hanno detto, all'interno di una struttura dove dovrà stare cinque giorni a settimana, compresa la notte, per poi rientrare il fine settimana in casa. Ecco, in questo caso, come è possibile che non vi siano dei centri diurni o che addirittura si pensa un'opzionePag. 10 molto più traumatica per un bambino, anziché mettere in atto quello che in realtà era stato consegnato al giudice? Cosa può fare, anche in questo caso, l'Autorità garante regionale? Grazie mille.

  RICCARDO BETTIGA, Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Regione Lombardia Grazie a lei. Rispondo o vogliono fare tutte le domande e rispondo poi a tutte?

  PRESIDENTE. Siccome abbiamo ancora due interventi prenotati, poi le mie domande, le farei rispondere direttamente adesso all'onorevole Giannone.

  RICCARDO BETTIGA, Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Regione Lombardia Perfetto. Allora, onorevole parto dal fondo, quello dei centri diurni che sono un'opzione ottima e qui cambio due cappelli, ottima anche da un punto di vista del professionista psicologo, nel senso che il centro diurno sarebbe una soluzione ottimale, perché può permettere degli interventi in qualche maniera sistematici: è una assistenza molto frequente, senza avere il costo psicologico del collocamento in una struttura residenziale. Sarebbero ottimi. Ricordiamoci che, comunque sia, la maggior parte delle unità di offerta sono unità di offerta del privato, che deve avere, in qualche modo, una convenienza di natura anche economica nella realizzazione di questo tipo di operazioni e questo richiede che le regioni si impegnino con degli investimenti probabilmente superiori a quelli che sono stati fatti nel passato, per incentivare l'apertura di queste strutture. Ad oggi, io so che sono pochissimi, rispetto al fabbisogno, i centri diurni in regione Lombardia, in particolare nelle province di Pavia, Lodi e anche nel milanese, molto più sviluppato è il comasco e lecchese, però non interessa in questa sede lo specifico della regione Lombardia. Quello che posso fare in questo caso è, non tanto un'azione sul singolo caso, che per carità contestabile, ma difficile in qualche maniera pensare che contestandone uno risolviamo il problema, è farmi parte perché la regione enfatizzi e spinga, rispetto alla creazione di queste opportunità per i sistemi di protezione. Lo dico perché hanno, forse non riguarda voi, una valenza anche soprattutto ai centri diurni per la maggiore età, rispetto alle comunità terapeutiche. Uno dei grandi drammi delle comunità terapeutiche per i minorenni è che al compimento del diciottesimo anno, nonostante vengano attivate le misure comunque per il prosieguo a presa in carico per un biennio, eccetera, ovviamente i costi della residenzialità, soprattutto per quelle condizioni non particolarmente gravi che oggi rappresentano una zona grigia enorme, troverebbero una risposta ottimale proprio nella formulazione del centro diurno. Quindi, di una struttura capace di dare un'altra assistenza anche tecnico specialistica, senza il collocamento. Però qui, sto parlando di modelli ideali e ovviamente all'onorevole dico che mi faccio parte sicuramente di questa, cioè ho ricevuto anche io le segnalazioni, ho visitato un centro diurno il 23 di dicembre, quindi non molto tempo fa, proprio anche per vedere quali erano le logiche e quali potevano essere le risposte, quindi spero che, a breve, nell'interlocuzione col decisore a livello regionale, potremmo dare una risposta anche a questo. Il tema degli allontanamenti, ho perfettamente in mente il caso che lei mi segnala, l'anno scorso ce ne sono stati quattro in regione Lombardia, particolarmente eclatanti, che comunque hanno visto gli interventi delle forze dell'ordine. Lei mi chiede qual è il modo giusto per allontanare un minore alla famiglia, la mia domanda è: «C'è un modo giusto?» Non lo so, nel senso che ci si trova di fronte a una dimensione dilemmatica, ovvero quello che qualunque cosa si faccia, per mettere in atto la decisione dell'allontanamento, sarà sicuramente traumatica. Certo è che io, in queste situazioni, quello che ho più volte sollecitato è perché, visto che ci dovrebbe già essere previsto l'accompagnamento dell'operatore dei servizi, l'intervento dello psicologo, se è presente, perché non si enfatizza quella dimensione e si arriva all'estremo, all'atto estremo del prelievo forzato tramite i Carabinieri e gli operatori di Polizia Giudiziaria. Ecco questo,Pag. 11 secondo me, è un'operazione, perché io ho parlato anche con le forze dell'ordine, che sono nell'imbarazzo di dover eseguire quella cosa, non lo vorrebbero fare, cioè quindi nessuno vorrebbe fare queste operazioni, che sono sempre comunque traumatiche, sempre comunque sbagliate, ma che hanno bisogno di un'operazione, anche qui secondo me, di natura fortemente culturale, perché non è così sentita quella sensibilità, che voi ricevete, che io ricevo tramite segnalazioni spesso a livello locale, poi succede una dimensione umana brutta, ma che io devo segnalare. Spesso si arriva a questa dimensione dopo che esistono dei rapporti tra gli operatori dei servizi e le famiglie che hanno la criticità per la quale si decide l'allontanamento e qui l'elemento umano, che a me preoccupa perché lo comprendo dal punto di vista psicologico, non lo giustifico, ma lo spiego, e che non ho bene in mente come si potrebbe gestire. Si crea, l'ho provato, l'ho sentito nel parlare con i servizi, quella che potrei semplificarli con una forma di antipatia, che i servizi provano per le famiglie particolarmente critiche, che li fa andare oltre e li fa considerare come, in qualche modo, accettabile un intervento forzato. Ecco quello dell'elemento qualitativo, non viene spesso considerato. L'elemento di forzatura spesso è legato a un qualcosa di indescrivibile, un po' di impalpabile, no? Nel senso che, ecco come facciamo noi ad inquadrare, dal punto di vista normativo, questo discorso dell'antipatia? Non è possibile, però accade nella pratica. Io non posso far finta di non aver percepito una dimensione negativa nei confronti di famiglie dove hanno tentato molte cose, la frustrazione di non aver trovato altra soluzione porta ad alleggerire quello che poi, visto da noi a posteriori anche attraverso filmati, è assolutamente inaccettabile e inconcepibile. Quindi, qui il discorso di ragionare in un'ottica di sistema, quindi di coinvolgimento di tutti gli attori e non soltanto di ragionare in termini di servizio tutela minori, è importante. Con questo, in qualche maniera, provo a rispondere anche alla prima di domanda, perché la prima forma di vigilanza sulla qualità, secondo me, dovrebbe essere fatta a livello orizzontale. Cioè, spesso a me è capitato di parlare con la neuropsichiatria, che non sapeva cosa stesse facendo il servizio sociale con quel ragazzo, che veniva portato lì una volta ogni tanto, a scuola non sapevano che tipo di gestione era fatta, poi andava l'educatore, che vedeva un altro pezzo, poi lo psicologo privato, poi la magistratura che aveva preso delle decisioni, che ha impattato, ma che non ha poi dei feedback successivi, quindi per me il primo elemento di monitoraggio sulla qualità dei servizi, è quello di riportare la gestione dei ragazzi in una gestione di sistema, perché l'una parte controlla l'altra. È il principio del succedono più atti vandalici e delinquenza con i locali chiusi, che quando alla sera ci sono i locali aperti in un contesto, no? Il principio del controllo orizzontale. Ecco, questo è una delle cose che io auspico e spero prenda sempre più piede, perché è un elemento di prevenzione. Quindi, siamo qui a parlare di cose a posteriori, ma l'elemento che io vi ho descritto prima vorrebbe essere un elemento di sistema, un elemento di prevenzione. Certo è che quando mi è capitato di ricevere una segnalazione, come dicevo prima, di inerzia, di ragazzi che vengono lasciati due anni senza vedere uno o entrambi i genitori, cioè esistono queste situazioni, soprattutto in quest'ultimo biennio, il mio intervento a posteriori è frustrante per me, perché spesso è dover richiamare delle persone a fare quello che dovrebbero fare, sentendo a volta che vengono accampate delle scuse, ma poi vedere di provare, a tentativo, di fare delle cose, quando, dopo due anni, gli stessi ragazzi magari non aderiscono più a un progetto. Allora, sapete bene, io non voglio entrare nel ginepraio delle dimensioni cosiddette alienanti l'uno e l'altro. È un ginepraio. Non voglio entrare nel merito, ho le mie opinioni, non le voglio dire qui. Però, è vero che un anno di vita, in un certo contesto, per un ragazzo ha un impatto psicologico nella sua dimensione affettiva relazionale con i genitori, che siano separati, che stiano insieme, che sia un etero familiare e quindi genitori originari, con altri genitori. C'è una dimensione e un anno è una vita. Visto che è fondamentale ed è riconosciuto il coinvolgimentoPag. 12 e l'ascolto del minore in queste situazioni, però lo stesso ascolto a volte rischia di diventare un paradosso, perché lo dico? Perché se è fondamentale il coinvolgimento e l'ascolto dei ragazzi, è anche vero che a volte il loro riportato è un riportato influenzato dagli adulti che se ne prendono cura, no? E individuare la progettualità giusta è sempre un elemento che deve avere in alcuni punti fondamentali, quindi quello della famiglia, quello della famiglia di origine, quello di contesti più ecologici possibili – per ecologici ovviamente intendo vicini ad un ambiente originale e non è il termine ecologico verde – possibili sono i parametri che si possono permettere di guidare l'intervento. Ad oggi comunque, io sulle segnalazioni a posteriori di progetti che non funzionano, ho fatto purtroppo solamente da stimolo, cioè ho riattivato le parti, richiamandole alle rispettive responsabilità perché, e qui concludo nella risposta, ci sono poi due tipologie di problemi che andrebbero tenute separate. Una tipologia che dipende dal singolo professionista, e in questo caso io ho anche recentemente incontrato la Presidente del CROAS (Ordine Regionale Assistenti Sociali) Lombardia, l'ordine assistenti sociali, in questo caso vale anche per gli psicologi, vale per gli operatori, bisognerebbe educare di più alla segnalazione disciplinare, perché dovrebbe essere l'ordine professionale a vigilare sulla qualità etica deontologica della prestazione, quando è imputabile la responsabilità del singolo professionista, non dobbiamo aspettare di arrivare agli scandali. Mi perdonerete questa dimensione, io insegno etica e deontologia all'università, quindi è un po' un mio sentito, ma vi assicuro che è un elemento che è troppo spesso trascurato. Il professionista che non fa quello che deve fare e deve essere segnalato all'Ordine e l'Ordine non ha lo scopo di punire, ma ha lo scopo di vigilare sulla qualità che i professionisti iscritti nel suo albo erogano nei confronti degli utenti, quindi chiamiamo in causa anche quegli enti che hanno una funzione specifica di vigilanza sulla qualità, quando è imputabile al singolo. È questo quindi, per l'appunto, educhiamo a segnalare di più. Dall'altra parte quando invece il problema è del sistema, no? Quando c'è, e vi ho spiegato prima per l'appunto, quando è una cultura a mancare all'interno di un servizio, quando subentrano fattori di latenza, quando ci sono dei fallimenti rispetto a progettualità che non sono monitorate da enti neanche a livello campionario. Quando dicevo che, oltre al gruppo di lavoro con la definizione degli optimum operativi, protocollo d'intesa con la procura e controllo campionario, il mio interesse non è sulle comunità o sui servizi che io andrò a controllare a livello campionari, a mio parere diventa uno spauracchio preventivo. Cioè, sapendo che c'è un ente che viene a guardare nel merito l'operato di un servizio e che dovrebbe, spero e auspico, che questo sia da stimolo perché tutti si adeguino a standard di un certo livello. Oggi, l'assenza di fatto di una verifica nel merito porta a lavorare un po' così in modo artigianale. Ripeto, si può essere adempienti in modo precisissimo alle linee guida, facendo un danno ai ragazzi. È nelle pieghe della valutazione qualitativa, quindi come l'ordine va a vedere nel merito, perché lì c'è un professionista che viene giudicato da altri professionisti, che guardano lo specifico, il merito della competenza. Hai agito secondo quello che è la tua disciplina dice essere il meglio del modo di agire, sto semplificando ovviamente. Ecco, in qualche maniera, questo vale sul singolo, quello che il principio che ha cercato di introdurre io è un'operazione simile sul sistema, sul servizio. Per ora, data la mia frustrazione in caso di segnalazioni e la mia impotenza di fronte alla possibilità di agire, questa è la soluzione che io ho immaginato. Spero che possa essere comunque una goccia di aiuto e spero di aver risposto all'onorevole Giannone e alle domande che mi ha fatto.

  PRESIDENTE. Do ora la parola all'onorevole Ascari, e poi da remoto all'onorevole D'Arrando.

  STEFANIA ASCARI. Grazie mille, presidente. Ringrazio il Garante, per il contributo che ha dato oggi. Avrei alcune domande.Pag. 13 Quali iniziative sono state assunte da lei per contrastare l'imposizione di trattamenti sanitari e assistenziali, sul presupposto che il rifiuto venga prospettato come motivo di segnalazione alla Procura minorile? Che interventi ha svolto per contrastare i procedimenti di adottabilità di neonati, allontanati alla nascita e senza che le capacità accuditive dei genitori fossero neppure sperimentate? Quali controlli vengono svolti per garantire che ogni minorenne allontanato fruisca di un progetto di pronto reinserimento in famiglia? Come si è proceduto, eventualmente, di concerto con il Garante regionale delle vittime di reato, per evitare che alle denunce di violenze domestiche, subite da un genitore, segua l'allontanamento dei figli da entrambi i genitori, anziché l'allontanamento del genitore violento dall'abitazione? Quali iniziative si sono assunte, eventualmente di concerto con le Autorità di garanzia per i diritti delle persone private della libertà personale, per contrastare il fenomeno delle dichiarazioni di adottabilità, in ragione del solo lo stato di detenzione di uno o entrambi i genitori e senza considerazione dell'opportunità di affidamento temporaneo a parenti? Volevo infine evidenziare l'importanza di avere acquisito, da parte della Commissione, le linee guida di cui lei parlava, perché è un importante aspetto. Sarebbe importante anche avere magari una relazione di quello che è il lavoro che viene fatto dal tavolo, perché questo è un altro aspetto importante.

  RICCARDO BETTIGA, Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Regione Lombardia. Mi sono impegnato ad inviarla successivamente all'audizione.

  PRESIDENTE. Le linee guida invece le abbiamo già acquisite, anche perché sono disponibili on-line.

  STEFANIA ASCARI. Perfetto. Ci tengo a ringraziarla, e chiudo, per quello che ha detto dell'importanza della formazione. Io credo che sia la colonna portante, proprio per ogni forma di prevenzione, di abuso, di allontanamento, che viene poi giudicato magari irregolare e illegittimo. Grazie.

  RICCARDO BETTIGA, Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Regione Lombardia. Parto dalla seconda domanda, perché è quella sulla quale ho recentemente avviato una specifica riflessione, ovvero il tema dei provvedimenti di allontanamento alla nascita, che vedono spesso, che hanno visto, genitori pregiudicati. Lo dico così, ma adesso vi spiego qual è il tema. Cioè, che hanno vissuto magari dei percorsi di valutazione, risalenti a periodi precedenti alla realizzazione della genitorialità, che sono stati poi utilizzati come elementi per l'allontanamento, a prescindere. Cioè, quindi l'idea che le competenze genitoriali o le cosiddette incompetenze genitoriali siano una caratteristica stabile e permanente. Ecco, su questo, in qualche maniera, preso atto di un paio di episodi che mi sono stati segnalati, soprattutto nel territorio est della regione Lombardia, il mio impegno è stato quello verso soprattutto gli albi dei CTU (Consulente Tecnico d'Ufficio), ma in generale il sistema della magistratura, perché comunque la decisione ultima della magistratura di fare un'operazione, anche qui, un'operazione culturale, non è formativa, non ho pretese di formare io, di aumentare le competenze dei giudici, ma sicuramente di enfatizzare il messaggio che la genitorialità è un qualcosa che ogni volta che viene messa in discussione deve essere, in qualche maniera, testata, valutata e comprovata. Cercherò poi, e qui però è un'intenzione, ci vorrà del tempo per realizzare questa operazione, sarà mia cura informarvi, ma questo non posso farlo avere perché le segnalazioni sono abbastanza recenti ed è un tema sul quale ho appena iniziato a lavorare, però il concetto è quello lì. Cioè, a volte sono decisioni del giudice, non è compito mio contestare nel merito alla decisione del giudice, ma fare una riflessione invece in termini di istanza, perché il Garante ha anche questa funzione, cioè quello di dare delle suggestioni rispetto a quali possano essere i percorsi migliori per tutelare i diritti fondamentali di un bambino, di stare con il genitore naturale subito e nel periodo immediatamentePag. 14 post natale, fare un'operazione in qualche maniera culturale rispetto a come la genitorialità o la misura della genitorialità sia qualcosa di estremamente mutabile, che non è un invariante. Quindi, non è che una volta che uno ha avuto un'etichetta poi successivamente deve essere gestito e valutato in questi termini. Invece sui trattamenti sanitari o comunque sui prelievi, gli elementi forzati, in questi casi io ho avuto una, due, cinque mi pare, comunque un numero fortunatamente non altissimo di segnalazioni, anche a posteriori, quindi quando ormai il mio intervento non era più possibile fare nulla, il trauma era stato fatto. Mentre, quando ci sono state delle segnalazioni, tra virgolette, di paura, cioè sono preoccupato per l'allontanamento forzato, in questi casi devo dire che l'interlocuzione con la magistratura è stata la cosa più importante. Secondo me, l'idea che al Garante sia riconosciuta anche questa funzione, cioè di soggetto terzo che possa, in qualche modo, non interferire con la l'autonomia più che legittima della magistratura, ma come soggetto che si fa portavoce istituzionale delle istanze anche delle famiglie, ora può scongiurare in alcuni casi delle iniziative forzate. Perché? Perché, come vi dicevo prima, io non ho l'elemento del pregiudizio di quella che ho chiamato antipatia, no? Cioè, non ho una dimensione che in qualche maniera mi sdogana. Sapete, la devianza diventa abitudinaria, come succedeva nelle violenze sugli asili, no? Quello che oggi può sembrare semplicemente un piccolo gesto forte, ripetuto per una settimana, diventa un gesto normale, no? Quando si normalizza l'atteggiamento o le aggressività non trovano spazio per essere rielaborate o agite, possono trasformarsi in interventi anche aggressivi da parte del sistema. Adesso io non voglio ripetermi, che mi piacerebbe riscrivere ancora in quella dimensione delle modalità con le quali il Garante svolge una funzione di vigilanza, questa non è tanto sul tema della valutazione nel merito, della valutazione di quello che è, però qui è più una cultura della magistratura nei rapporti con il Garante, per vederlo come un interlocutore terzo, anche rispetto ai consulenti tecnici, come un soggetto che facendosi portavoce di istanze neutre, familiari, che non pescano dalla storia della relazione di conflittualità magari tra i servizi e la famiglia, possa aiutare a scongiurare interventi forzati. In questo, io avrei un auspicio personale: che un giorno venga, in qualche maniera, meglio sistematizzata la piramide di relazione tra il Garante regionale e i Garanti che hanno diverse realtà locali nei comuni, perché? Perché questi provvedimenti a livello territoriale avrebbero bisogno di figure di garanzia più presenti a livello territoriale, cioè che sono abituati a lavorare e si conoscono con i servizi e che in qualche maniera possano più agilmente svolgere questa funzione di parte terza, quando ci sono dei provvedimenti di questo genere, se per fare dei trattamenti sanitari obbligatori – ancorché è una cosa che è molto discutibile per me, ma non voglio portare la mia opinione qui – vengono coinvolte comunque dalle forze dell'ordine, alla rappresentanza prefettizia, a soggetti di natura sanitaria, il principio è avere più voci e un elemento tutelante. Io auspico che un domani le funzioni nelle regioni, che lo richiedono ovviamente – perché adesso se una regione piccola, piccola, non serve, ma io vi assicuro che quando mi devo spostare da Mantova a Sondrio, ecco qualche difficoltà ad esserci sempre sul territorio ce l'ho – ci sia una piramide che introduca le figure di garanzia anche a livello locale, come elementi fondamentali nel sistema di protezione. Questa è un'idea, è un'idea che ovviamente non posso sostituirmi al Legislatore, ma un auspicio che esista un sistema anche più legato alla conoscenza diretta del territorio, più legato anche alla funzione dell'ente locale, da cui poi dipendono ovviamente i servizi e i sistemi di tutela, potrebbe scongiurare tantissimi di questi situazioni, perché diventa in qualche maniera l'ambasciatore di territoriale per evitare delle forzature traumatiche nei confronti dei minorenni. Come evitare che le denunce di violenze segua l'allontanamento dei figli da entrambi i genitori? Abbiamo avuto una segnalazione anche in questo senso e qui ammetto di non aver messo in campo al momento delle specifiche iniziative.Pag. 15 Però, avendo regione Lombardia proprio una figura di garanzia, come la Garante delle vittime di reato, sarà mia premura, diciamo così, immaginare una progettualità condivisa in questo senso, anche perché non è soltanto pertinente la domanda, ma è di estrema attualità. Le conflittualità familiari sono aumentate, io credo che se c'è un dato oggettivo legato alla maggiore permanenza, in termini temporali, nei contesti familiari legate ai lockdown e comunque ai cambiamenti negli stili di vita lavorativa delle famiglie di regione Lombardia, il dato oggettivo è l'aumento della rabbia agita e dell'aggressività media di tutti gli abitanti. Tutti, intendo tutti, hanno una soglia di rabbia più alta e la conflittualità a livello familiare è certamente aumentata. È vero, si parla tanto di un aumento delle problematiche, si parla di un aumento dei sintomi, quindi ansia, depressione, comunque sia tematiche di salute mentale, ecco, i casi più gravi nell'ambito della salute mentale, che si riscontrano adesso – io stavo facendo un'indagine legata agli atti autolesivi e ai tentati suicidi di minorenni, so che è un extra rispetto alla domanda, ma è interessante – sappiate che, tutti i casi più gravi oggi dei minorenni sono di ragazzi che vivono all'interno di famiglie che hanno una segnalazione di alta conflittualità o violenza intrafamiliare. L'elemento covid ha semplicemente un po' alzato il livello della conflittualità, ma non è che dalla pandemia in avanti stanno tutti male e prima stavano tutti bene, questa è una situazione assolutamente grave, gravissima, per i ragazzi spesso trascurata, quello dell'allontanamento è un trauma che si aggiunge al trauma, perché se una percentuale è infinitamente più grande di ragazzi che vivono all'interno di contesti conflittuali, sviluppa delle problematiche di salute mentale, consideriamoli più fragili degli altri ragazzi, ecco che l'allontanamento da entrambi i genitori, che è il trauma massimo per un per un bambino, andrebbe letto come qualcosa di estremamente pregiudiziale nei loro confronti. Io su questo non mi sono dato purtroppo una lettura più da psicoterapeuta dell'adolescenza quale sono, che da Garante, perché non mi sono attivato, però è un tema fondamentale, è uno degli elementi dove, tra l'altro, a trauma si aggiunge trauma ai ragazzi e spesso alla donna vittima di violenza, al trauma della violenza si aggiunge quello che è la violenza istituzionale, perché questo diventa, del subire anche la privazione e l'allontanamento dei figli. Lo prendo come un impegno, in qualche maniera, qualche cosa su cui lavorare. Idem per quanto riguarda le tematiche delle persone, dei ragazzi, dei minorenni privati della libertà, con il Garante delle persone private della libertà, dei detenuti di regione Lombardia, anche qui, secondo me, una riflessione congiunta la potremmo, la dovremmo fare, soprattutto al tema della scelta dei parenti come elementi preferenziali per l'affido temporaneo. Su questo tema anche nella scelta, nella gestione di vita dei ragazzi figli di persone private della libertà, si aprirebbe un mondo, del quale io non ho avuto in un anno e mezzo segnalazioni, questo lo dico anche per ragioni di correttezza, cioè è un elemento sul quale, a mia memoria, in questo anno e mezzo non ho ricevuto delle note o delle segnalazioni, però è anche questo un tema sul quale in prospettiva mi impegno a lavorare.

  PRESIDENTE. Grazie. Da remoto, l'onorevole D'Arrando.

  CELESTE D'ARRANDO. Grazie presidente. Ringrazio anche io il dottor Bettiga, perché ha dato una relazione che tiene conto di aspetti che spesso vengono trascurati nell'ambito degli affidi, che appunto è la componente psicologica e anche quello che sono gli aspetti organizzativi dei servizi. Quindi, vado alle domande. Anche io studiando psicologia, credo che quello che manca nei servizi, e qua chiedo la sua conferma, sia la necessità di ragionare in termini di sistemi anche organizzativi. Cioè, quello che manca un po' nei servizi è il fatto di avere una rete territoriale e sociale, io la definirei socio sanitaria, perché dovremmo uscire dalla logica dei silos che diceva assolutamente prima lei, perché quando si interviene sull'affido, sull'allontanamento, non si interviene solo sulla componentePag. 16 psicologica e quindi anche solo a livello sociale di relazioni, ma si interviene anche su psiche come aspetto sanitario, quindi del benessere della persona. Quindi, io adesso le sto facendo una riflessione e una domanda, così sarò anche abbastanza rapida anche nel mio intervento. Una domanda che le faccio è relativa alle linee guida attualmente presenti, che da quello che mi è parso di capire dalla sua relazione sono molto teoriche. Quello che spesso manca è il come fare e chi lo fa, e quindi la creazione di una rete che si interconnette e sia interdisciplinare, ma che parli lo stesso linguaggio. Una cosa che dovrebbe essere fatta a livello nazionale e poi anche a livello territoriale è fare delle linee guida sul come fare, quindi su una sorta di know how che si trasferisce o comunque, mi passi il termine, protocolli operativi. Qui, in questa situazione, come si può gestire, quali possono essere gli aspetti? Ovviamente sono delle linee guida che non possono essere fisse nel tempo perché, come giustamente ha detto anche lei, i contesti sia familiari, ma anche ambientali, cambiano col tempo e cambia anche con l'evoluzione dell'essere umano, quindi, se questa poteva essere una delle sue proposte, se ho compreso bene il suo messaggio. L'aspetto che tra l'altro mi è piaciuto molto della sua relazione è quando ha parlato di formazione. Io credo che la formazione dovrebbe essere continua per ogni professionista che, come dire, si affaccia sul mondo non solo degli affidi, ma sul mondo del sociale e ha a che fare con i ragazzi, anche perché quello che manca, e concordo con lei, è la creazione di una cultura che metta al centro la persona. Cioè, forse noi parliamo sempre delle persone, ma non parliamo in realtà delle persone, perché parliamo di qualcosa di estraneo, non teniamo conto di quello che sono i bisogni e le necessità in questo caso dei ragazzi. Ha dei suggerimenti che possiamo mettere in campo per realizzare una formazione continua e specifica? Ciò su cui noi possiamo intervenire è proprio quella che viene definita anche una digitalizzazione, perché attraverso anche strumenti digitali, opportunamente utilizzati, si possono creare dei contesti come quelli che ci ha illustrato lei, che avete fatto in Lombardia e quindi chiedo anche su questo se magari ha dei suggerimenti in più al riguardo. Altro aspetto che mi interessa particolarmente è quello rispetto alla dimensione dell'antipatia. Ci insegnano che quando tu fai la psicoterapia, quando sei una psicoterapeuta, la prima cosa che dovresti fare è un anno di psicoterapia su di te, perché nel momento in cui ti capita una persona che ha delle caratteristiche personali su cui tu hai un pregiudizio, tu non puoi trattare quella persona, proprio perché non riuscireste ad aiutarla a quella persona. Faccio un esempio molto semplice, se tu hai un pregiudizio nei confronti delle persone che per esempio hanno particolare idea di tipo religioso, piuttosto che hanno fatto determinati reati, non riesci ad aiutarli nel loro problema, e quindi questo credo che sia un po' anche quello che succede nei servizi sociali. Le chiedo, reputa che possa essere anche causato dal sottodimensionamento del personale esistente sui servizi sociali? Perché se io mi trovo da sola, o al massimo con la mia collega, sono assistente sociale, così come potrei essere una psicologa o psicoterapeuta, in un servizio magari dove anche a livello territoriale ho una complessità maggiore, diventa difficile anche gestire quei casi in maniera lucida oggettivo, è impossibile, perché siamo esseri umani, ed è impossibile diventare impersonali, perché stiamo avendo a che fare con le persone, ma riuscire a mettere in campo quelle azioni, quegli strumenti che sono veramente di aiuto alla persona, quindi fornire gli strumenti a quella persona e non pensare di sostituirsi. Quindi, se reputa che il burnout, diciamo così, che può essere uno dei motivi di questa antipatia, possa essere dovuta quindi anche al sottodimensionamento del personale? Sto andando a concludere, lo so che sono lunga, ma per me è stato molto importante sentire la sua audizione, perché ci dà un chiaro messaggio di che cosa sarebbe necessario fare. Nel caso di complessità lei ha detto che è un po' la dimensione tempo che si è dilatata, e la complessità a livello familiare e intrafamiliare, soprattutto negli ultimi anni, è aumentataPag. 17 per varie motivazioni. Ritiene quindi che nel momento in cui si debba, come dire, lavorare su un nucleo familiare complesso, poiché non ci sono le risorse, poiché mancano degli strumenti e poiché spesso non stiamo a formazione anche aggiornata, si preferisca lasciare le cose così come stanno, perché non si sa come intervenire? Quindi qui è necessario intervenire sui diversi aspetti che ho detto, ma volevo avere conferma se io posso aver interpretato correttamente anche le sue indicazioni. Altra questione, che secondo me lei ha fatto capire tra le righe, reputa che quello che è accaduto a livello di cronaca possa aver creato sfiducia nel ruolo di professionisti coinvolti? E qua parlo di psicologi, psicoterapeuti, e parlo degli assistenti sociali. Io credo che non si non si debba né giustificare, né colpevolizzare questi ruoli, questi professionisti, perché bisogna capire il perché hanno agito in un determinato modo e forse ci sono delle motivazioni, che non dipendono assolutamente dalla persona, e sono d'accordo anche che c'è una responsabilità degli ordini. Però il fatto di questa paura che lei ci ha rappresentato nelle segnalazioni, può essere dovuta ed è conseguente a una sfiducia nel ruolo? Quindi anche a volte non conoscere qual è il ruolo dell'assistente sociale e qual è il ruolo dello psicoterapeuta, perché molto spesso non si ha una conoscenza approfondita e le famiglie non conoscono questo tipo di professioni. Avviandomi a concludere, vorrei quindi chiederle se ritiene anche necessario creare una rete sociale e sociosanitaria territoriale, che sia quello strumento attraverso il quale i professionisti si mettano a sistema, si mettono insieme, pensando di dare degli strumenti in più alle famiglie per risolvere, quello che ha detto nell'ultimo intervento, l'alta conflittualità, perché l'aumento della conflittualità lo devi gestire, non puoi far sì di eliminarlo e devi capire quali sono le cause. Quindi, forse, abbiamo necessità di implementare qualcosa di presente capillarmente, proprio perché così andremo a prevenire ciò che noi oggi stiamo discutendo in questa Commissione d'inchiesta. Io spero di essere stata chiara e veramente la ringrazio, perché credo che ha dato un chiaro quadro di quello che è la situazione sociale in questo momento, non solo nell'ambito degli affidi, ma proprio nella gestione di quello che è il welfare quindi, parlando in gergo, territoriale e della necessità di aiutarle le famiglie, perché molto spesso si sentono abbandonate e non hanno gli strumenti. Quindi, anche sulla base di quello che diceva lei non si può misurare una capacità genitoriale, anche perché ogni contesto è diverso, però dobbiamo dare gli strumenti necessari per poter fronteggiare le loro difficoltà e non lasciarli soli e magari anche punirli con l'allontanamento, quindi magari trovare le soluzioni più ad hoc. La ringrazio ancora.

  RICCARDO BETTIGA, Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Regione Lombardia. Grazie a lei. Spero di riuscire a rispondere a tutto, perché ha quasi ripercorso tutta la mia audizione. Allora, intanto vado a ritroso dal fondo. Sicuramente, visto che le risorse sono scarse e a volte a livello di singolo ente locale mancano tutte le professionalità che sono necessarie, sicuramente ragionare in un'ottica sovraterritoriale o comunque garantire a livello di territori, di distretti, di quello che è la presenza di tutte le professionalità e le competenze sarebbe una buona cosa. Ecco, però qui entriamo in una dimensione di organizzazioni, che potrei dire per regione Lombardia, che è diversa in ogni regione, che può essere dato come elemento di principio e di suggestione in una norma quadro, ma che difficilmente può essere discusso qua come principio valido in generale, parere mio però e mi fermo qui, il senso comunque sì, era questo. Mi chiede: «Reputa che quello che è accaduto ha generato sfiducia?» Ma totalmente sì. Questo dobbiamo riconoscerlo. Le persone, anche qui bisogna guardare in faccia la realtà, sono da sempre terrorizzate dai servizi sociali, perché ogni famiglia ha l'idea che: «Se intervengono i servizi, arrivano e mi portano via i figli». Perdonatemi, ma questo pregiudizio c'è ed è inutile ignorarlo o non fare il conto come se non ci fosse, questo è il dato. Quindi, c'è un elemento di preoccupazione e paura, che oggi ha avuto Pag. 18un'escalation, soprattutto perché – anche qui faccio un po' lo psicologo però – la dimensione del pensiero paranoico in media è aumentata in tutto il Paese, per varie ragioni sociologiche culturali. Siamo usciti da una società molto narcisista, centrata sull'immagine, siamo andati in una società che ha un funzionamento più borderline, con delle modalità più bianco nero e paranoica, ma questo, vi chiedo scusa per questa digressione un po' troppo tecnica. Quindi, di fatto sì, cioè dobbiamo tenere in considerazione che quello scandalo, visto che un qualunque professionista della relazione d'aiuto, nel momento in cui si siede davanti a un'altra persona, deve fare i conti con le fantasie, coi pregiudizi, con l'idea che ha quella persona, visto che è una relazione di aiuto e dobbiamo affidarci a qualcuno, se noi non ci fidiamo a priori di qualcuno, tutto diventa più complesso. Ho semplificato ovviamente all'osso un'idea, ma l'impatto è enorme sulle opportunità e sulle possibilità reali degli interventi, per cui benissimo che si siano smosse le acque, però oggi bisogna fare i conti anche con un qualche cosa che debba ricostruire una fiducia a priori, perché nel lavoro di psicologo e assistente, in tutte le relazioni di aiuto, che prevedono appunto un affidamento, se manca la fiducia a priori non si lavora. Cioè, io stesso con alcuni tipi di famiglie passo sedute su sedute a lavorare e a costruire una fiducia, perché manca quella a priori. Era più semplice una volta, uno che decideva di andare dallo psicoterapeuta decideva di affidarsi allo psicoterapeuta appunto, oggi che questo tipo di servizi si sono anche più proletari, resi accessibili a chiunque, c'è questo elemento culturale di sfiducia. Vi assicuro che i servizi sociali sono quelli più colpiti oggi, perché assommano l'elemento negativo del fatto che è accaduto a una storica paura del fatto che possano rappresentare un'autorità in grado di rompere delle prerogative, affettive relazionali, dei sistemi familiari. Questa è la realtà. Anche perché, salto la prima osservazione che mi ha fatto, la persona al centro, e io aggiungo sempre, e i suoi sistemi, perché una persona non la possiamo separare dal sistema famiglia. Famiglia è un epicentro fondamentale su cui ragionare, la famiglia e i sistemi della sua socialità, per l'appunto, concentrici in quest'ottica, perché sennò ragioniamo di nuovo a silos, guardiamo il singolo e perdiamo di vista invece il sistema, il primo in cui vive, che è quello familiare. Non è una critica ovviamente, è solo una precisazione. Ecco, questa precisazione mi permette anche di chiarire un po' quell'elemento, collegandomi a quello che dicevo prima, degli aspetti del conflitto d'interesse o comunque del pregiudizio, dell'avere delle condizioni che possono precludere l'efficacia di un intervento. Qui, le linee guida in realtà, lei diceva all'inizio: «Le linee guida sono teoriche». Le linee guida sono ben fatte. Quello che volevo far passare io è che, nonostante ci siano delle ottime linee guida, tra le pieghe dell'organizzazione si crea un pregiudizio che a volte ci lascia spiazzati. Questo è il concetto, no? Così come esistono dei vincoli deontologici, sui singoli professionisti, che sono assolutamente stringenti. Cioè, quindi adesso ripeto è quello che insegno io. La deontologia, anche per gli psicologi, ma in generale vale per tutti i professionisti ordinati in qualche modo, è molto stringente sulla dimensione degli elementi che possano rendere non efficace al massimo la prestazione. Il problema, se volete, è che manca una deontologia di sistema, cioè manca e la deontologia è proprio questo, cioè non una legge, perché il concetto della deontologia è che la traduzione normativa e la traduzione prescrittiva di un'idea, di un'etica, di come si debba lavorare, no? Quindi, oggi come oggi, dovremmo trovare un accordo su quale è l'etica dei sistemi di tutela dei minori e tradurla in un insieme di prescrizioni, in qualche maniera deontologiche, che è esattamente quello che io vi ho provato a raccontare nella mia fantasia. Vi dicevo prima, ho messo insieme tutti gli attori del sistema con l'idea di ragionare assieme su dei casi campione, o comunque su delle situazioni, per capire secondo tutti qual è il modo migliore, quindi qual è la cosa eticamente più corretta che condividono tutti gli attori del sistema per lavorare, in quel caso, e tradurla in buone prassi, tradurla in Pag. 19indicazioni che vanno oltre le linee guida, ma che definiscono il come, che lei mi chiedeva. Rispondo, ripetendo quello che ho detto all'inizio, traducendolo proprio in questa dimensione. Il singolo lo segnaliamo all'ordine e ha già la sua dimensione etica tradotta del come si dovrebbe fare, è il sistema che manca, perché poi i codici non sono tutti allineati e nel momento in cui la responsabilità non è mia, è del sistema, e si scarica sull'organizzazione la responsabilità della scelta decisionale e l'organizzazione non risponde a nessuno, perché non ha qualcuno che controlli che stia facendo in modo eticamente corretto, magari è perfettamente in linea con le linee guida, ha fatto quello che ha detto il tribunale, però poi i ragazzi ci stanno male, no? Ecco questo, grazie per la suggestione, perché forse ho spiegato meglio una cosa sulla quale non ero stato chiaro all'inizio della mia audizione. Mi sta finendo la voce, scusatemi. Scusatemi, è che già di lavoro parlo tutto il giorno e quindi mi sta andando via. Allora, vado a rivedere le cose che mi aveva detto, il pregiudizio del codice deontologico, la fiducia, il tempo. Quello del tempo, cioè non ho molto da aggiungere rispetto a quello dicevo prima, perché dovrebbe esserci una visione relativa dei bisogni, delle urgenze e del sentimento che, in qualche modo, c'è in tutti gli attori del sistema. A volte si guarda il ragazzino e non si tiene conto di qual è l'urgenza o il bisogno della mamma, del papà eccetera, eccetera. Ragionare in un'ottica non di singola persona, ma di sistemi concentrici, per me è la cosa migliore, perché in qualche maniera ti permette di avere una sensibilità. Rispondo anche alle osservazioni di prima, se ragiono sulla singola persona e faccio l'allontanamento da un contesto familiare dove c'è un soggetto magari violento, ma se guardo solo il ragazzino mi dimentico dell'impatto che può avere sulla mamma e dell'impatto secondario che può avere su di lui, quella due volte vittima, e lui privato non solo di uno dei genitori, ma addirittura di tutti. Ecco, è una visione, no? Cioè, così come, sono finiti i tempi dei servizi semplici, in qualche maniera, anche nel mio lavoro, anche lo psicologo, è sempre più in crisi l'idea dello psicologo che sta nel suo studio, che eroga un servizio singolo decontestualizzato e lavora sulle dinamiche intraprapsichiche. Oggi, la maggior parte delle problematiche delle persone o del lavoro che si fa è qualcosa che riguarda l'ambiente, le relazioni e i sistemi dove le persone vivono, erogate all'interno di servizi complessi, dove tante competenze servano ad affrontare problematiche di vita complesse. Chiedo scusa per questa divagazione, ma era sensata. Finisco con la prima delle suggestioni, cioè che formazione fare per tutti. Però, non ho la risposta, nel senso che io mi limito a dire quello che abbiamo tentato di fare noi, cioè io ho provato ad aprire alla formazione dei tutori volontari, ad aprirla anche agli operatori delle comunità, agli operatori dei servizi eccetera, lo stesso dovrebbe valere per gli operatori sanitari e quant'altro. Ecco, qui io mi permetto di fare un paragone con la professione dei psicologi, con la legge 3 del 2018, con la legge cosiddetta Lorenzin, sono entrati a far parte della vigilanza del Ministero della Salute quindi, assieme a tutte le altre professioni vigilate dal Ministero della salute, condividono un sistema di formazione continua a quello dell'educazione continua in medicina. Sarebbe bello se prima o poi cambiasse nome e si chiamasse: «Educazione continua nell'area della salute» Perché? Perché permette a uno psicologo di fruire di contenuti accreditati, magari di materia medica o medico, e viceversa contenuti psicologici, l'infermiere, gli educatori, i tecnici, cioè l'idea di un sistema di formazione accreditato, secondo un sistema unico, permette di aprire le opportunità in modo trasversale alle professioni che lavorano nell'area della salute. Questo non vale, ovviamente, per gli attori dei sistemi di protezione dei minori. Io, quando faccio un corso devo accreditarle a quarantacinque enti diversi, se voglio che partecipino tutti i professionisti. Ecco, se vogliamo più che nei contenuti, cioè quale formazione, come farla, ci arrendiamo alla formazione appetibile, in termini di accreditamenti, a tutte le professionalità, perché su questo invece si va a silos. Ognuno c'ha i suoi crediti, le sue robe, ed è molto Pag. 20difficile organizzare dei momenti dove équipe multidisciplinari lavorino su un contenuto comune, avendo di fatto una formazione unica comune. Però, questa è la mia opinione. Mi spiace di non averle dato una risposta chiara, però l'unica fantasia che mi viene è quello di passare il principio che più le formazioni sono aperti a professionalità diverse, meglio è. Poi, a livello di sistema, l'unico esempio che mi viene in mente è il sistema ECM (Educazione Continua in Medicina). Bene, è una grande opportunità trasversale per le professioni della salute, però non gliene frega niente degli ECM a un'assistente sociale, non frega niente. Oggi che le problematiche, come lei diceva forse in apertura, non è neanche giusto definirle sanitarie o sociali, ma c'è un continuum che ruota attorno alla persona, ecco, la formazione, questo continuum oggi non ce l'ha.

  PRESIDENTE. Grazie. Io ho ulteriori domande dottor Bettiga. Le faccio velocemente, almeno in modo sintetico, anche perché alcune sono mie e alcune di una nostra consulente. Intanto la ringrazio, ovviamente, per quello che ci ha detto e per l'istituzione di questo tavolo multi professionale, con molte competenze e sicuramente le linee guida che verranno, che ne usciranno, saranno d'ausilio a tutti, anche perché, covid o non covid, riunire tanti operatori, come dovrebbe essere anche in relazione ai singoli casi, è assolutamente impossibile. Le linee guida ben vengano e ci auguriamo che vengano ben applicate e da lì, dalla Lombardia, diffuse anche in altri territori. Io le chiedo, lei ne ha fatto accenno, spesso fra i compiti non, diciamo, del ruolo del Garante c'è proprio la spiegazione alle famiglie dei provvedimenti giudiziari, dei provvedimenti degli assetti sociali, perché non vengono comprese. Quello sicuramente è un problema veramente molto grande. Io le chiedo questo, di portarlo anche al tavolo multidisciplinare che lei ha prodotto, perché spesso, anche ai fini degli allontanamenti, questi provvedimenti non vengono compresi, non basta l'avvocato, anzi a volte l'avvocato è visto negativamente. Lei penso che lo capisca. Perché, l'avvocato che perde la causa dell'affido del minore – e quindi c'è un allontanamento da un genitore, o addirittura da entrambi i genitori – è visto in modo veramente molto negativo e forse occorre un ente terzo che spieghi il provvedimento, così come deve avvenire, per esempio, per quegli allontanamenti forzati che ha citato anche la mia collega Giannone. Poi, questo invece è uno spunto che le chiedo, il monitoraggio delle cosiddette offerte di servizi che fanno i singoli comuni, o meglio i singoli territori, proprio perché molti assistenti sociali, molti servizi sociali, non li conoscono, magari invece hanno nel comune di fianco, che sta a cinque, dieci chilometri, un servizio che possono offrire, che può essere ottimale per il caso che hanno sottomano oppure anche per i tribunali dei minorenni. Quindi se ci fosse questa possibilità io credo che, in una regione come la sua, potrebbe essere sicuramente importante. La nostra legge istitutiva conferisce alla Commissione il mandato di verificare lo stato dell'andamento degli affidatari e delle comunità, nonché le relative condizioni; per quello che ci consta sia il Garante nazionale, che i Garanti regionali, hanno qualche difficoltà ad effettuare i controlli, anche se lei dice che questo non è propriamente il suo ruolo. Io infatti le chiedo questo, se la normativa regionale le permette di effettuare i controlli in istituti o in case famiglia, se li ha fatti e quanti ne ha fatti e qual è la situazione, se lei ha avuto la possibilità ovviamente di farli. Io dico autonomamente, non insieme alla Procura minorile. Poi, l'altra parte sempre che riguarda la nostra legge istitutiva alla lettera H, che fa riferimento al fatto che: «L'allontanamento del minore, dalla famiglia d'origine, deve costituire un rimedio residuale e in ogni caso non deve essere disposto per ragioni di indigenza del genitore o del genitore che ha la responsabilità genitoriale». In Lombardia le sono arrivate segnalazioni in cui la difficoltà economica sia stata causa di allontanamento? Poi le chiedo se per caso ha notizie di decisioni gravi, che interrompono i colloqui magari di una madre con il figlio allontanato e messo in comunità, cosiddette per le vie brevi, quindi con una telefonata dalla comunità all'Autorità GiudiziariaPag. 21 o dal Curatore all'Autorità Giudiziaria. Cioè, c'è una prassi di questo genere, che le è stata in qualche modo presentata nei casi che le hanno segnalato? Nel tavolo c'è anche un rapporto con le autorità scolastiche? Forse mi è sfuggito. Passo alle domande della nostra consulente. Posta la disomogeneità dei linguaggi del sistema, per evitare pregiudizi fra le pieghe, è stato attivato il servizio di advocacy per l'ascolto dei minori collocati in struttura? Poi, se le risulti che presso le comunità di accoglienza siano attivi i servizi di incontri protetti di valutazione della centralità, su mandato dell'Autorità Giudiziaria. Sul fatto della valutazione della genitorialità, quindi nel caso delle comunità d'accoglienza, le chiedo se appunto ci sono casi di valutazione della genitorialità, su mandato dell'Autorità Giudiziaria, e chi li faccia. Poi le chiedo la percentuale, se la sa, dei servizi esternalizzati, quindi di servizi sociali esternalizzati nella regione, e poi a chi vengono affidati? Se a privati oppure, come capita a volte, alle ASL (Azienda Sanitaria Locale). L'ultima domanda. Da psicoterapeuta cosa pensa degli allontanamenti per PAS e dei percorsi di riavvicinamento obbligatorio del minore al genitore rifiutato. Grazie.

  RICCARDO BETTIGA, Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Regione Lombardia. Io vi chiederei per tre di queste domande di mandarmele per iscritto e vi rispondo per iscritto, perché la percentuale dei servizi esternalizzati e a chi la devo verificare. Sì certo, gli incontri protetti ci sono però, anche sul chi li fa eccetera, provo a raccogliere un po' di dati e a farveli avere in modo strutturato. È inutile che vi risponda adesso così a memoria. Allora c'è un rapporto con le autorità scolastiche? Certamente, l'Ufficio Scolastico Regionale (USR) partecipa ai lavori che ho citato prima e, anzi, accanto al tavolo per le tematiche della giustizia minorile io ho attivato anche un tavolo specifico, per tutte le dimensioni legate al diritto all'educazione, che vedono come protagonista centrale l'Ufficio scolastico, quindi anche non soltanto sul tema del coinvolgimento dei ragazzi che hanno collocamenti particolare, ma in generale. Il servizio di advocacy, per l'ascolto dei minori collocati in struttura, anche qui, io personalmente, non ho attivato delle mie azioni dirette particolari, se non dietro segnalazione, cioè mi sono premurato di ascoltare, anche nel caso di segnalazioni ovunque possibile, direttamente i ragazzi, però magari su questa dimensione vi mando una nota scritta. Invece, risalgo su. «Ha notizie di decisioni gravi che hanno interrotto i colloqui? Diciamo così, se esiste una prassi, se ha contezza di fatti di questo genere, se ci sono state segnalazioni». Allora, ovviamente, segnalazioni formali non ne ho avute, però io ho la certezza che siano accadute. Cioè, nelle more di quello che prima descrivevo come elemento di antipatia, burnout, crisi delle progettualità, sicuramente sono state prese delle decisioni che hanno limitato la frequentazione dei genitori nei confronti dei figli, a valle di una conflittualità aperta con i servizi, però che raramente, quasi mai, esitano in segnalazioni dirette al Garante, perché i genitori le percepiscono come una violazione dei diritti loro, non come una violazione diretta, anche se lo è poi nella pratica, dei diritti dei bambini, dei ragazzi, e quindi non le segnalano al Garante. Ecco, se ci fosse il Garante dei genitori, adesso lo dico scherzando, non credo che è una figura altra, ma riceverebbe più note di merito perché, a volte, se non c'è un coinvolgimento diretto dei minorenni, non viene chiamato in causa il Garante. Però io purtroppo ho, per una questione non formale, notizia che a volte accadono queste prassi assolutamente inadeguate e lesive del diritto dei genitori ad esercitare, in modo pieno e completo, il loro ruolo. Devo dire che, invece, non ho avuto contezza di segnalazioni di allontanamento per difficoltà economiche, forse perché regione Lombardia ha anche una condizione, anche se esiste un'ampia e documentata condizione di povertà da parte di moltissimi famiglie minorenni anche in regione Lombardia, forse è una di quelle cose che non è arrivato e non ha impattato sugli uffici del Garante. Voglio provare a dare due spiegazioni: una perché magari il sistema non ha fatto questi allontanamenti, due sempre per un elemento culturale. Pag. 22Cioè, in una regione come la Lombardia, spesso l'elemento povertà e indigenza è vissuto, e visto più che in altre dimensioni, come un elemento imbarazzante, un elemento discriminante, e quindi ancorché fosse stata presa una decisione del genere è culturalmente più difficile portare all'attenzione delle autorità. Questa è una lettura psicosociologica che vi do io, ovviamente non ho dati, è solo una mia ipotesi interpretativa. Però, vi assicuro che questo elemento è assolutamente tangibile e sensibile vivendo la realtà della regione Lombardia, e chi magari non è di questa regione non lo conosce, non lo percepisce, ma è molto vivo, soprattutto in alcune aree della regione Lombardia, cioè nelle zone più produttive, in alcune province, l'elemento dell'indigenza è un qualche cosa di estremamente sottaciuto e oggetto di fortissime istanze. Diciamo così, sono molto omertosi sul tema dell'indigenza, soprattutto in alcune aree della regione Lombardia. Rispetto a il tema delle attività di controllo extra procura, la legge non mi dà questo mandato esplicito in regione Lombardia. Io ho attivato l'idea di fare questo lavoro con la procura, proprio per colmare questo mandato normativo, cioè per avere un mandato normativo in intesa con la procura e i controlli. Io sono andato a visitare delle strutture, quindi non era un controllo formale, ma è più un'attività di visita e di riflessione congiunta con le strutture, mentre l'attività di controllo proattivo dovrà cominciare a valle del protocollo. Sul tema dei servizi a poca distanza, a pochi chilometri di distanza, si apre però un grande problema. Nel senso che in linea teorica sarebbe una cosa ottima se ci fosse una dimensione mutualistica tra enti locali, però sappiate che se si apre questo tema parte la gara allo scarica barile perché, in realtà, i costi a carico dell'ente locale per i minori collocati nelle strutture residenziali, o comunque a carico dei servizi, sono una di quelle cose che nei comuni piccoli fa saltare i bilanci. Ora ve lo dico anche da ex amministratore locale e non voglio dare una semplificazione, ma vi assicuro che sono i servizi – o comunque due o tre soggetti da gestire collocati in comunità – che fanno saltare i bilanci degli enti locali. I fondi di solidarietà, o comunque i fondi di integrazione per gli enti locali non sono mai abbastanza: qui ovviamente parlo al Legislatore e non dovrei, però vi assicuro che nonostante gli sforzi fatti in alcuni passaggi e leggi di bilancio, mancano sempre i fondi. Recentemente anche la regione Lombardia ha varato una norma di richiesta, allo Stato, di integrare la possibilità, soprattutto per i comuni più piccoli, di fare fronte. Quindi, esiste in teoria un buon principio di rete di solidarietà di competenze a livello territoriale, in questo momento, però, la mia paura è che siccome la competenza economica è locale, è ultra locale, questa operazione sia di non semplice soluzione. Cioè, chi ha una risorsa se la tiene stretta e la usa sul suo territorio e in qualche maniera è in difficoltà a prestarla o a farsi carico di situazioni su di sé, anche se sarebbero risolte meglio, che sono in capo magari ad altri comuni. Però, qui temo che io vi stia rispondendo più con il cappello dell'ex amministratore locale, che del Garante. Però, è mio dovere dirvi che in linea teorica sarebbe bellissimo, in linea pratica è un muro di gomma contro cui si andrebbe a sbattere, perché poi la pragmatica, perdonerete il mio eccessiva sbilanciamento pratico e pragmatico, però poi non si va da nessuna parte così, ad oggi, proprio perché il costo del sociale è un costo preponderante sui bilanci degli enti locali e qui esiste, più che è una dimensione di solidarietà, a volte un tentativo di passaggio ad altre realtà, non tanto per questioni economiche e di risorse, questo non comparirà mai da nessuna parte, perché ovviamente è un'altra delle cose che si trova nelle pieghe. Però, a me è capitato di vedere collocare dei bambini, prenderli e collocarli da un genitore collocatario all'altro, non perché un genitore fosse meglio dell'altro, ma perché almeno andavano in un'altra neuropsichiatria di competenza di un altro territorio, ai servizi territoriali di un altro territorio. Quindi la scelta è stata fatta per una ragione pragmatica di togliersi il peso, magari di una situazione di pregiudizio, di conflitto, di burnout, quello che volete, non tanto nell'interesse del minore,Pag. 23 quanto in un passaggio di competenze. Nei passaggi di competenze, altra cosa che non apparirà mai in nessun report, si generano delle violazioni, dei traumi, che poi a cascata li vediamo a livello terapeutico. Ecco, qui però, non voglio accusare nessuno, voglio solo riportarvi una cosa che può accadere e accade più spesso di quello è. Però, non se ne ha traccia, ma anche a me non può arrivare come segnalazione, perché di fatto è nelle pieghe del muoversi in modo legittimo e corretto. Spero poi di darvi tutte le altre informazioni al più presto, anzi ve le darò per iscritto, anche eventualmente per le domande a cui ho già risposto e che ritenete io debba precisare meglio.

  PRESIDENTE. Benissimo. La ringraziamo veramente tanto dottor Bettiga, per il tempo che ci ha dedicato. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.45.