XVIII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario

Resoconto stenografico



Seduta n. 74 di Martedì 15 febbraio 2022

INDICE

Comunicazioni.
Ruocco Carla , Presidente ... 3 

Sulla pubblicità dei lavori.
Ruocco Carla , Presidente ... 3 

Audizione di Francesco Capriglione, in merito alla Valutazione di Impatto della Regolamentazione (VIR) sugli effetti prodotti dalla Riforma del 2016 sull'operatività delle Banche di Credito Cooperativo.
Ruocco Carla , Presidente ... 3 
Capriglione Francesco , professore straordinario di diritto dell'economia ... 3 
Ruocco Carla , Presidente ... 8 
De Bertoldi Andrea  ... 8 
Ruocco Carla , Presidente ... 9 
Lannutti Elio  ... 9 
Ruocco Carla , Presidente ... 10 
Perosino Marco  ... 10 
Ruocco Carla , Presidente ... 11 
Zanichelli Davide (M5S)  ... 11 
Ruocco Carla , Presidente ... 11 
De Bertoldi Andrea  ... 12 
Ruocco Carla , Presidente ... 12 
Capriglione Francesco , professore straordinario di diritto dell'economia ... 12 
Ruocco Carla , Presidente ... 13 

ALLEGATO: Documentazione trasmessa dal professor Capriglione ... 14

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
CARLA RUOCCO

  La seduta comincia alle 12.05.

Comunicazioni.

  PRESIDENTE. Ricordo che per ragioni di sicurezza sanitaria, il «foglio firme» non verrà portato dall'assistente ma lasciato a disposizione sul tavolino davanti al banco della Presidenza. Comunico che il Professor Capriglione in vista dell'odierna audizione, ha trasmesso della documentazione alla Commissione, la documentazione in regime libero è oggi in distribuzione ed è comunque già stata trasmessa per e-mail ai commissari.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione in diretta streaming sperimentale sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Francesco Capriglione, in merito alla Valutazione di Impatto della Regolamentazione (VIR) sugli effetti prodotti dalla Riforma del 2016 sull'operatività delle Banche di Credito Cooperativo.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del professore Francesco Capriglione in merito all'impatto della riforma del 2016 sull'operatività delle banche di credito cooperativo. La Commissione di inchiesta sul sistema bancario e finanziario intende effettuare un approfondimento sull'impatto della riforma del 2016 sull'operatività delle Banche di Credito Cooperativo ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera c della legge istitutiva n. 28 del 2019. Tale attività prende oggi avvio con l'audizione del professore Francesco Capriglione, accompagnato dal professore Valerio Lemma, che ringrazio per essere qui presenti, il quale illustrerà alla Commissione le principali tematiche di interesse, nonché gli eventuali profili di attenzione anche nell'ottica di una proficua collaborazione finalizzata all'individuazione, ove necessario, di appositi interventi normativi che possano migliorare l'assetto normativo ed eliminare eventuali vincoli regolamentari, che finiscono per determinare difficoltà operative gestionali che limitano il fondamentale ruolo mutualistico delle banche di credito cooperativo. Invito il professor Capriglione a svolgere la sua relazione. Seguirà il dibattito con possibilità di formulare domande e osservazioni.

  FRANCESCO CAPRIGLIONE, professore straordinario di diritto dell'economia. La ringrazio dell'invito. Colgo l'occasione per affrontare una problematica a me cara, sulla quale già ho tenuto un'audizione nel marzo del 2016, allorché la legge di riforma delle banche di credito cooperativo non era ancora stata varata. Non mi soffermo sulla ricostruzione del processo evolutivo delle BCC rinveniente, come è noto, dalla trasformazione delle casse rurali e artigiane, organismi bancari che il Testo Unico del 1937 aveva sottoposto a criteri limitativi dell'operatività. Né mi soffermerò sulla ridefinizione della categoria avutasi con il Testo Unico del 1993, che eliminò alcuni di quei criteri limitativi posti in precedenza e consentì a queste banche di consolidare una specialità operativa che si caratterizza per il legame localistico. Specialità operativaPag. 4 confermata anche dalla riforma del diritto societario dell'inizio millennio, con la quale noi assistiamo a uno spostamento della causa negoziale dalla prestazione mutualistica all'integrazione nel territorio. Soffermiamoci invece sulla attuale disciplina delle banche di credito cooperativo previste dalla legge n. 49 del 2016 che, come è noto, ha reso obbligatoria l'adesione delle BCC a dei gruppi bancari cooperativi, sanzionando con la perdita della licenza le banche che non avessero voluto aderire ai gruppi. Ricordiamo che il nuovo impianto sistemico delle BCC le sottopone a una regolazione prudenziale in quanto la dimensione acquisita in relazione all'appartenenza al gruppo rende questi soggetti parte di un organismo che, in base alle indicazioni della regolazione europea, possiamo definire significante. Se vediamo la realtà del gruppo cooperativo, ci accorgiamo che essa è significativamente diversa dal modello codicistico del gruppo previsto dall'articolo 2545 septiesdecies del codice civile. Infatti la capogruppo in questi casi, cioè nei gruppi cooperativi, ha dei poteri molto ampi di fissazione delle linee strategiche e ha anche una possibilità di approvare e revocare in certi casi gli esponenti degli organi di amministrazione e controllo. Se andiamo a ricercare le motivazioni di questa ampiezza dei poteri della capogruppo, ci accorgiamo che essi derivano dall'intento del legislatore di imprimere una direzione unitaria all'intero aggregato di tal che su di esso fosse possibile fondare le pervasive prerogative della capogruppo e fosse possibile, attraverso il legame intersoggettivo degli appartenenti, addivenire a un consolidamento che fa ritenere il gruppo significante e quindi tutti i suoi componenti. Questa innovazione ci induce a ritenere che si abbia un ridimensionamento della specializzazione operativa che ha sempre caratterizzato queste banche. Assistiamo quasi a una loro mutazione genetica, come avevo a sottolineare ancora prima che ci fosse la conversione in legge del decreto-legge n. 18 del 2016, tesi, questa mia, che poi è stata condivisa e accettata da amplissima parte della dottrina. Se andiamo a ricercare più nel profondo le motivazioni di questa mutazione genetica, esse vanno ravvisate nel fatto che la struttura attuale del gruppo attua una sorta di spostamento dei poteri di governance dalle BCC ai vertici del gruppo. Ciò significa allontanare i centri decisionali da quelli in cui si svolge l'operatività bancaria. Significa, altresì, determinare una lontananza che, per un verso, incide sul ridimensionamento della specificità operativa, come prima sottolineavo, peraltro dando luogo ha una sorta di eterogestione delle BCC da parte delle capogruppo. Sotto altro profilo noi ci accorgiamo che il nostro legislatore con la legge n. 49 ha sottovalutato i costi economici e organizzativi derivanti dalla aggregazione. In altri termini, non ha tenuto conto della possibilità che si avesse un saldo negativo tra tali costi e i presunti vantaggi rivenienti dalle economie di scala, realizzabili con il gruppo. Gruppo che ha catapultato le BCC in una logica di insieme imposta senza un'adeguata maturazione e quindi le ha fatte entrare in difficoltà, quasi fossero dei giganti dai piedi d'argilla, nel momento in cui si sono dovute confrontare con banche di grande dimensione anch'esse, ma con una diversa capacità operativa e una diversa tradizione, mi riferisco a Intesa, mi riferisco a UniCredit.
  Un'altra considerazione che pure va fatta è che la obbligatoria adesione al gruppo cooperativo interagisce sulla trasparenza al di là delle considerazioni formulate da Valerio Onida in ordine alla scarsa compatibilità con i principi costituzionali di alcuni aspetti di questa normativa dell'adesione obbligatoria. Si riscontra una sorta di opacità di questo meccanismo di aggregazione per quanto riguarda la libertà delle scelte imprenditoriali che le BCC possono fare per stare sul mercato. Uno dei principi cardini del nostro sistema giuridico è stato quello di lasciare sempre la libertà delle scelte imprenditoriali. E allora se sulla base di queste considerazioni andiamo ad accertare nello specifico, più nel particolare quali sono le criticità del gruppo, noi ci accorgiamo che queste sono ricollegabili per un verso alle caratteristiche del modello organizzativo, per altro verso alle modalità con cui le capogruppo hanno esercitatoPag. 5 i propri poteri. Con riguardo al primo aspetto, il fatto di dover essere considerate banche significant, espone le BCC alla severità disciplinare dei requisiti prudenziali di certo più onerosi rispetto a quelli da considerare coerenti con la loro estensione dimensionale. Riflessione questa che noi troviamo pienamente espressa nella risoluzione Buratti, ove si rinviene un'attenta e corretta ricostruzione della disciplina in esame. Da qui la necessità di sottrarre queste banche a un aggravio di costi per rendere possibile una loro corretta azione competitiva, nel rispetto del principio di proporzionalità che, come sappiamo, è il criterio ordinatore per un appropriato svolgimento della concorrenza. Inoltre, queste considerazioni se valutiamo la fonte normativa da cui proviene la qualifica di banche significant ci accorgiamo che sono avvalorate dal fatto che questo severo regime disciplinare è stato imposto non da autorità politiche, ma dalla sola BCE, cioè da una autorità tecnica, e quindi non ha la sacralità dei provvedimenti di origine politico legislativa.
  Passando poi a valutare nel concreto le modalità applicative della legge da parte delle Capogruppo, ci accorgiamo che queste hanno dato luogo a vere e proprie prevaricazioni, vuoi, ad esempio, disconoscendo in molti casi i vantaggi compensativi; vuoi, come nel caso di Cassa centrale allorché voleva assumere il controllo di Carige, trascinando le BCC in una pericolosa avventura che fortunatamente all'ultimo momento è stata evitata. Le indicazioni che ci vengono dalle modalità applicative della legge sono state pienamente comprese e sottolineate nella relazione al disegno di legge dell'onorevole Turco, nel quale si mette in evidenza l'esigenza di modificare le modalità con cui all'interno del gruppo si svolge questa attività di coordinamento e direzione che, a mio avviso invece, è attuata in una modalità che nasconde una azione di sostanziale dominio. Se poi cerchiamo di vedere quali sono state le reazioni, le timide reazioni delle BCC di fronte all'imperversare dell'azione delle capogruppo, noi ci accorgiamo che queste non solo hanno avuto risposte sprezzanti, ma addirittura queste risposte sono state accompagnate a misure restrittive della loro operatività, come nel caso in cui si è esclusa la possibilità che esse potessero autonomamente effettuare la cessione dei crediti deteriorati, dovendo quindi rinunciare a talune favorevoli opzioni offerte dal mercato.
  Prima di passare alla identificazione dei rimedi possibili da adottare, dobbiamo cercare le cause remote che sono a fondamento della legge n. 49. Vediamo che la motivazione principale va identificata nella limitata patrimonializzazione di queste banche che, a seguito della crisi degli anni 2007 e seguenti, ha fatto sì che esse risentissero più di altri intermediari bancari gli effetti negativi della crisi, in quanto in ragione della loro dimensione l'attività svolta era essenzialmente nei confronti delle piccole e medie imprese che sappiamo furono provate dalla crisi del 2007 e seguenti. Non è casuale il fatto che negli anni tra il 2013 e il 2014 si riscontra un elevato numero di commissariamenti di banche di credito cooperativo. Inoltre, ulteriore motivo che si pone a base della riforma è l'intervento di tutta una serie di modifiche regolamentari a livello europeo. Mi riferisco alle conseguenze della realizzazione dell'unione bancaria Europea che, come sappiamo, ha dato vita al meccanismo unico di vigilanza e al meccanismo unico di risoluzione delle crisi. Sono queste riforme che hanno poi indotto la BCE a identificare quel criterio di significatività per le banche con 30 miliardi e oltre di attivo. È in questa logica che l'articolo 6 del Regolamento 1024 del 2013 consente alla BCE di estendere i suoi poteri di supervisione anche sulle banche non significant qualora ritenga di avocare a se il controllo su queste ultime.
  Poi abbiamo le difficoltà, le note difficoltà interpretative della direttiva n. 59 del 2014, la cosiddetta BRRD, quella che ha istituito tra l'altro il bail in, difficoltà interpretative che, a mio avviso, con tutta probabilità sono alla base dell'input dato dalla Banca d'Italia al processo di integrazione delle BCC. Orienta in tal senso il presumibile intento dall'autorità di settore di sottrarsi all'onere di una gestione plurima e complessa delle crisi bancarie. Da Pag. 6qui l'adozione di una linea comportamentale volta a traslare sulla BCE le funzioni di controllo della categoria in parola; linea che io ma molti altri studiosi insieme a me hanno definito dimissionaria rispetto alla politica interventistica in passato seguita dalla Banca d'Italia. Si nota, proprio in relazione a ciò, anche una attenuazione della tradizionale attenzione dell'organo di vigilanza per le difficoltà degli appartenenti al settore. L'autorità infatti si è mostrata spesso silente di fronte al diffuso clima di insoddisfazione delle BCC, anche quando alcune di loro si sono spinte a mutare l'oggetto sociale pur di sottrarsi a una regolazione che ritengono inaccettabile.
  Si delinea uno scenario nel quale solo un intervento legislativo può far cessare le distonie dovute ai meccanismi di una supervisione condivisa tra la BCE e la Banca d'Italia. Una supervisione che trova, peraltro, il pieno assenso, la piena condivisione da parte della nostra autorità nazionale, la quale dichiaratamente in una riunione dell'ABI del settembre 2020 ebbe a esprimere dissenso per la tesi volta a esaltare i pregi del modello della piccola banca del territorio. Affermazione questa confermata nell'assemblea dell'ABI del 2021 nella quale sempre il Governatore Visco ebbe a sottolineare che la creazione dei gruppi cooperativi non è in contrasto né con la natura mutualistica delle banche aderenti, né con la necessità di mantenere un controllo stretto col territorio. Affermazione che dimostra che manca l'intento di procedere a un ravvedimento operoso e quindi mutare l'orientamento che era stato preso al tempo dell'input alla riforma.
  Se vediamo in che cosa si è tradotta questa modalità di intendere da parte delle autorità di vigilanza, ci rendiamo conto che, in base a questa logica, l'input che è venuto dalle autorità Europee, dalla BCE, soprattutto mi riferisco ad alcune indicazioni di Andrea Enria, di favorire le aggregazioni tra banche per il conseguimento della grande dimensione delle stesse, è stato pienamente recepito nel presupposto che la grande aggregazione in virtù del noto principio too big to fail, sia funzionale al superamento delle crisi in quanto i grandi gruppi dovrebbero presentare caratteristiche di efficienza e resilienza maggiori rispetto a quelli medio-piccoli. Questa tesi è stata avversata dalla dottrina giuridica ma anche economica, mi riferisco agli studi di Rainer Masera. Secondo questi studiosi la biodiversità in ambito bancario rappresenta il modello organizzativo più adeguato alle dimensioni delle imprese industriali e quindi ribadiscono l'essenzialità delle piccole banche per dare adeguato supporto finanziario alle piccole e medie imprese. Non dimentichiamoci che fin dal 1936, nel nostro ordinamento giuridico, è stato tenuto fermo il principio del pluralismo soggettivo bancario in questa logica di armonica distribuzione delle modalità di svolgere l'attività creditizia. Non è un fatto casuale che a livello europeo nell'area euro esistevano alla data del 2020, ma questo numero è di certo aumentato, ben 2.400 banche non significative. D'altra parte anche la scienza economica ha contrastato la tesi sostenuta da Enria nel presupposto che ove esistano pari condizioni operative e ove il regolatore non faccia una supina applicazione del principio «one size fits all», dovremmo ritenere che la diversità delle dimensioni giovi alla concorrenza.
  A questo punto bisogna chiedersi quale può essere il modello ottimale. Per dare una risposta a questo interrogativo noi dobbiamo ricordarci quelli che sono i due punti critici della riforma, che in apertura del mio discorso io ho segnalato, vale a dire la sottoposizione di queste banche alle regole applicabili alle banche significative e poi la riduzione dei poteri di intervento delle capogruppo. È chiaro che in questa direzione ci sono state molte istanze espresse in sedi diverse da parte delle banche di credito cooperativo. Tuttavia, prima di cercare di identificare i connotati di un modello fissato dal legislatore, dovremmo sottolineare la possibilità che quell'articolo 40 che prima menzionavo che ha fissato il criterio distintivo tra banche significative e non, dà alla nostra Banca centrale, che fa parte della BCE, che è nel direttivo della BCE, di avviare un procedimento dialettico volto a modificare alcuni dei rigorosi criteri che oggi caratterizzano la disciplina di questePag. 7 banche. Inoltre, la stessa politica sembra oggi sensibile a un intervento, cosa che purtroppo non si è riscontrata negli anni immediatamente successivi alla riforma del 2016. Ricordo che ero presente anch'io in un dibattito sul DL n. 91 di quell'anno, il cosiddetto Milleproroghe, nel corso del quale le richieste di introdurre in questo decreto modifiche alla legge n. 49 furono archiviate dall'onorevole Bagnai con la frase: «Se è necessario cambiare, il Governo in futuro terrà conto di questa esigenza, per ora non ci sono più discorsi da fare». Devo dire la verità, anche lo stesso ex premier Conte nel suo discorso programmatico, nel suo primo discorso programmatico, si impegnò a tutelare le banche, cito testualmente: «...più integrate nel territorio per recuperare la loro funzione che aiutò molto il tessuto produttivo del nostro paese». Anche questa promessa sul piano delle concretezze è restata priva di riscontro.
  Allora veniamo finalmente alla identificazione del modello a cui potremmo ricorrere. Un'indicazione sul punto ce lo fornisce il regolamento UE 575 del 2013, nel quale all'articolo 113, paragrafo 7, troviamo disciplinato l'IPS, vale a dire un sistema di tutela istituzionale finalizzato a tutelare gli enti creditizi garantendo la loro liquidità e la loro solvibilità per evitare il fallimento ove necessario. L'IPS, che è stato con successo attuato e sperimentato nella provincia autonoma di Bolzano, ha trovato ampia applicazione in Germania, in Austria, in Spagna e adesso pure in Polonia. Per completezza va detto che l'IPS si caratterizza per il fatto che le banche aderenti conservano la loro autonomia gestionale, perché tra loro non si crea un vincolo di consolidamento e quindi esse non possono qualificarsi come banche significant con tutto ciò che ne consegue. Nel nostro Paese una positiva conferma della validità di questo modello noi l'abbiamo con riguardo al Raiffeisen Südtirol IPS riconosciuto dalla Banca d'Italia nel 2020 che è un organismo disciplinato secondo il principio della mutualità senza fini e finalizzato alla gestione di un sistema di tutela istituzionale. Sul punto faccio presente che in Europa il 50 per cento degli enti creditizi dell'area euro aderiscono a un modello IPS, un totale che equivale al 10 per cento di tutto il sistema bancario europeo. La BCE, con riguardo a questo organismo, ha emanato apposite guide nelle quali ha riconosciuto l'autonomia e l'indipendenza dei soggetti aderenti e ha riconosciuto la validità della adesione all'IPS. Ciò ci induce a ritenere che l'eventuale introduzione nel nostro Paese di questo modello, non potrebbe avere avversione alcuna da parte della BCE, sia perché a livello di regolazioni Ue non esistono vincoli in senso contrario, sia perché nei suoi provvedimenti la BCE, come dicevo un momento fa, si è manifestata favorevole al mantenimento, alla costituzione di questi organismi. L'unico ostacolo che residua alla realizzazione di questa figura sembra pervenire dalla posizione a essa contraria della Banca d'Italia. Come dicevo prima, però, la politica si sta orientando verso questo modello, ne è conferma la proposizione di un emendamento parlamentare al DL 104 del 2020 nel quale si rappresentava l'esigenza di introdurre questo modello. È significativo, a mio avviso, anche il discorso che fece l'ex premier Conte all'Assemblea di Confcooperative, nell'ottobre del 2020, allorché spese delle parole molto importanti. Leggo: «Non abbiamo dimenticato l'impegno del Governo di mettere a punto le criticità del mondo cooperativo bancario e di lavorare anche in sede Europea perché possano essere superate». Sappiamo che recentemente c'è stata anche la presentazione del disegno di legge dell'onorevole Turco al quale già ho fatto un riferimento. Questo disegno di legge, come ho accennato, riconosce tutti gli attuali limiti del Gruppo bancario cooperativo vigente e tuttavia, per le motivazioni che adesso vi espongo, sembra che le buone intenzioni formulate in questo disegno di legge rischiano di essere disattese in sede di attuazione concreta del provvedimento. Si prevede in esso, infatti, che l'ente gestore debba essere una società bancaria munita di ampi poteri, gli stessi ampi poteri anche di revoca e di sostituzione degli esponenti bancari che avevamo lamentato con riguardo alla legge n. 49. Inoltre, si prevede la possibilità che le attuali capogruppo dei Pag. 8gruppi bancari cooperativi assolvano alla funzione di enti gestori con l'ovvia conseguenza che sarà molto difficile che queste attuino linee operative diverse per gli appartenenti all'IPS e per gli appartenenti al gruppo.
  Per concludere si può dire che la politica deve riuscire a vincere le attuali resistenze della Banca d'Italia, la quale col suo atteggiamento trascura di considerare che il recupero della vigilanza sulla categoria da parte sua può tradursi nell'applicazione di regole emanate in sede di normazione secondaria coerenti non solo con la dimensione e la vocazione localistica di queste banche, ma con i nuovi indirizzi del Governo, riguardanti uno sviluppo sostenibile, nuovi parametri del green, supporto all'applicazione del PNRR. Ritengo che questa sarà una battaglia abbastanza difficile, questa della politica ovviamente, anche perché, e cito testualmente, ancora il Governatore Visco in una intervista rilasciata alla rivista 'The Banker' ha testualmente affermato: «Diffido molto della importanza delle banche del territorio». Ciò dovrebbe indurre la politica a sottolineare alle autorità di settore l'osservanza, l'obbligo di osservare l'interesse superiore di evitare che si snaturi ulteriormente una tipologia soggettiva bancaria che è riconducibile ai principi fondanti della nostra costituzione economica.

  PRESIDENTE. Grazie. La parola al senatore De Bertoldi, prego.

  ANDREA DE BERTOLDI. Grazie professore. Ho apprezzato molto il suo intervento. Ritengo che nel suo intervento sia contemplata la posizione di gran parte della politica, quella politica che però oggi è totalmente commissariata. Ho partecipato qualche giorno fa a un convegno dell'ordine dei commercialisti a Milano nel quale ho sostenuto queste stesse tesi. Lei ha citato il presidente Conte e forse è l'unico passaggio che non ho condiviso, perché il presidente Conte è colui, durante il Governo Conte 1, che nella manovra di fine anno 2018, primo anno di legislatura, avallò totalmente le assurde previsioni della legislatura precedente, quella che ha portato di fatto al venir meno del credito di territorio, delle banche di credito cooperativo. Ricordo ancora una Commissione finanze presieduta dall'eccellentissimo, e concorde su questi temi con noi, professore Bagnai, nella quale io mi assunsi come opposizione, allora coerentemente come oggi, tutti gli emendamenti che la Lega e altre forze, anche il Movimento 5 Stelle, avevano presentato per impedire a questa controriforma, perché non la chiamo riforma, di attuarsi. A un certo punto qualche telefonata, probabilmente da Via Nazionale, fece sì che le forze di maggioranza del Conte 1 ritirassero tutti gli emendamenti; io li feci miei e naturalmente vennero bocciati. Credo che questi nostri lavori, quelli che lei ha fatto brillantemente che, ribadisco, condivido al cento per cento sono purtroppo destinati a niente, perché, come lei conclude precisamente, la Banca d'Italia non è d'accordo. Quindi non è più il legislatore, né il Governo Conte 1, né il Governo Conte 2, né il Governo Draghi che determina la strategia del Paese, ma sono i tecnici, i tecnici di Via Nazionale e i tecnici che hanno sostituito lo stesso Presidente Conte e che oggi guidano il Governo italiano con una maggioranza che, ribadisco e ricordo, comprende tutti tranne Fratelli d'Italia. Su questi temi potremmo continuare per tempo. Abbiamo un Partito Democratico che si è reso responsabile nella riforma della scorsa legislatura, si è sempre detto europeista, però guarda caso sul tema bancario l'Europa non ha fatto da riferimento, perché andiamo in Austria, andiamo in Germania come lei ha scritto e io che vengo dal Trentino ne posso dare ampia testimonianza, in questi Paesi la banca del territorio è importante, ma è importante anche oltre oceano, negli Stati Uniti. Nonostante ciò gli europeisti italiani che accusavano noi di antieuropeismo sono quelli che hanno portato questa riforma che ha ucciso il credito di territorio. Ecco perché io dico che la politica oggi è commissariata e lo dico formalmente in questa Commissione, come lo dico in tutte le occasioni, perché i cittadini italiani devono sapere che oggi la politica è commissariata, che oggi i rappresentanti del popolo non sono in grado di Pag. 9svolgere il proprio lavoro. Questo accade quotidianamente; guardiamo il super bonus: sono tutti a favore del super bonus, ma il super bonus verrà ridotto ai minimi termini. Perché si è voluto ad arte non fare i controlli per poter poi smontare la misura, perché non è che non si capisce che le misure super bonus, bonus facciate, eccetera eccetera come qualunque misura andava controllata, non si è controllata per poterla poi annullare. Ecco perché la politica oggi non è in grado di incidere.
  Quindi io più che una domanda, professore, devo solo fare delle constatazioni molto amare. Vorrei tanto che le forze politiche che sono in maggioranza avessero il coraggio di essere coerenti con quello che dicono e togliere immediatamente il supporto a questi governi che vogliono impedire alla politica di fare politica. Purtroppo non accadrà e quindi andremo avanti commissariati e le persone come lei, come noi, come coloro che credono ancora in qualche cosa si ostineranno a scrivere queste cose, si ostineranno a proporle, a parlarne, ma sanno che non avranno la possibilità di portarle a compimento. Grazie professore.

  PRESIDENTE. Grazie. Senatore Lannutti, prego.

  ELIO LANNUTTI. Grazie, signora presidente. Ringrazio anch'io il professore per ciò che ha scritto e per ciò che ha detto. Debbo solo aggiungere che quelle constatazioni sono state oggetto di almeno 33 anni di contrasto a una dottrina, quella rappresentata dalla Banca d'Italia, che ha ucciso le banche del territorio, ha sposato il neoliberismo, come strumento salvifico del mercato. Voglio ricordare anche al collega che mi ha preceduto che quella associazione che fondai il 13 maggio 1987, l'ADUSBEF, che ho presieduto fino a quattro o cinque anni fa è stata quella che ha impugnato quella riforma sciagurata delle banche popolari al TAR e al Consiglio di Stato. Fummo noi, pagandone anche le conseguenze. Perché questo neoliberismo lo troviamo in atti di Governo. Stiamo assistendo a un paio di tragedie, ultime, ieri un sedicenne, un mese fa un diciottenne. Quella riforma denominata della buona scuola, che è una sottile, subdola formula di sfruttamento dei ragazzi, come quello sulle banche popolari. Quindi assistiamo a questo modello che bisogna contrastare.
  La ringrazio perché lei è stato molto chiaro nel suo intervento, ossia che la riforma delle banche di credito cooperativo di fatto ha allontanato i centri decisionali delle BCC rispetto ai territori dove si opera e le ha assoggettate alla vigilanza della BCE. Ma, professor Capriglione, quando io lavoravo in banca e se un soggetto era meritevole di un affidamento, perché quei soldi erano dei cittadini, dei correntisti, non decideva l'algoritmo di Francoforte se c'era la meritorietà del credito, ma si decideva andando a visitare l'azienda, l'officina.
  Mi incuriosisce un passaggio della sua relazione, dove dice: «Sulla base di quanto in precedenza si è detto appare verosimile che la Banca d'Italia potrebbe opporre resistenze alla realizzazione dell'ipotesi ricostruttiva dianzi rappresentata». Quindi perché la Banca d'Italia dovrebbe opporsi in una scelta intrapresa anche in altri Stati? Come vede l'introduzione della modifica legislativa? Perché ha ragione il collega De Bertoldi, siamo governati dalle tecnocrazie, ormai siamo commissariati da lungo tempo e siamo anche contenti di esserlo. Peccato che quei peones hanno fatto l'unica cosa buona, impedito a un tecnocrate di svernare per sette anni al Colle, ossia la più grave disgrazia che in Abruzzo dura sette anni. Come vede l'introduzione di coesistenza della libertà di scelta in capo alle singole BCC circa la volontà di adesione a un gruppo bancario o, in alternativa, l'adesione a un sistema di tutele istituzionali? Infine il suo giudizio sull'operato della Banca d'Italia circa la BCC, è molto critico lo ha detto, lo ha rappresentato, lo sottoscrivo, lo condivido. Secondo lei dove si sono concentrate le disattenzioni della vigilanza? Anche con un equivoco secondo il quale quando fa comodo ai nostri banchieri comanda il 'diamante', noi abbiamo audito, quando fa comodo è la BCE che dovrebbe vigilare, quando non fa comodo è la Banca d'Italia. Quindi anche questo è equivoco. Pag. 10Comunque grazie mille e spero che si prenda coscienza di questi pericoli.

  PRESIDENTE. Senatore Perosino, prego.

  MARCO PEROSINO. La ringrazio molto professore, quello che lei ha detto è musica per le mie orecchie. Ritengo che questa legge di cui parliamo sia la sorella della legge n. 56, quella con cui Delrio nel 2014 aveva tentato di distruggere le province. E poi credo che i parlamentari dell'epoca si fossero accorti delle problematiche, ma per un clima cosiddetto decisionista non hanno fatto resistenza. Nelle questioni, pur condividendo parte dello spirito degli interventi precedenti, non posso proseguire su quella linea, ma mi permetto di fare solo una nota. Penso che accada ciò quando il Presidente del Consiglio e i Ministeri chiave sono in mano a dei tecnici che al sabato e alla domenica fanno il loro weekend per togliersi lo stress, che non hanno nessun contatto con la realtà politica. Purtroppo è un errore che abbiamo fatto tutti insieme, condizionati da troppe cose perché chi ha chiesto i voti ai cittadini e si è accapigliato nella campagna elettorale poi in qualche modo ne deve rispondere soprattutto negli eventi, dell'attività politica dei propri territori, dei propri collegi. Invece chi non è eletto può tranquillamente passare il suo weekend.
  I poteri della Banca d'Italia. Già prima di entrare in Senato ho sempre pensato da profano, da semi profano, che fossero troppi che la politica si inchinasse. Lei inizia la sua relazione con i poteri di controllo. A pagina 1 e 2 cita il modello tedesco e dice, questo è importante, potrebbe aiutare a risolvere la questione, è un regolamento della BCE che dice che il controllo, perché altrimenti se facciamo un altro atto, un'altra proposta ci verrebbe detto è l'Europa e quindi non si può perché l'ha deciso la Commissione o il Parlamento europeo per la gerarchia delle fonti. Io ho sempre presentato nelle leggi di bilancio degli emendamenti perché mi stava a cuore, mi resta a cuore, il punto di vista di quello che si deve, che si può, mio avviso modificare. La questione del 60 per cento: avevo chiesto che fosse portato all'80 per cento, perché nulla vieta che una BCC o due di una certa importanza si alleino con una banca. Ho fatto l'esempio del Credit Agricole dove comprano il flottante 40 per cento poi si alleano con due banche e vanno al 51 e comprano il sistema. La nomina del Cda di cui lei fa cenno: bisogna avere tre lauree per entrare nel Cda di una BCC, ma quando le BCC ragionavano, come dice il collega Lannutti, e suddividevano il credito, ragionavano in base ad altri parametri. Poi c'è questo del controllo, sono le questioni più grandi. Lei dice che la capogruppo è una Spa: è un'incongruenza forte dal punto di vista giuridico soprattutto nel merito della storia delle BCC; dice che la Banca d'Italia dice che ci sono troppi commissariamenti, ma il sistema delle BCC è sempre stato in grado di assorbire le banche in crisi e di accorparle in qualche modo, cosa che andava fatta e che va ancora fatta per ridurre delle situazioni che su 240, mi pare non siano più di venticinque o trenta.
  Le dichiarazioni di Visco sono la fuga dalla responsabilità, non è in contrasto la legge, è chiaro che chi è lì deve dire così. Quindi la BCE è stata il killer delle BCC che ora intuiscono ma nel 2016, 2017 e 2018 non avevano ancora capito perbene che questo è l'inizio della loro fine, perché i poteri della capogruppo a partire dalle nomine della Cda, ma anche sul controllo della gestione per le operazioni che superano un certo importo, è la loro tomba rispetto all'indipendenza. Le parlo a nome di BCC delle quali raccolgo il grido di dolore che sono significative, ad esempio la Banca d'Alba è la prima o la seconda in Italia a seconda dei calcoli, a seconda dei periodi rispetto alla BCC Roma. Una BCC gestita bene, con un numero di soci da paura, grandissimo e funziona bene. Ma tutte le altre della provincia di Cuneo, e ne conosco anche altre in altre parti d'Italia.
  La tutela istituzionale sarebbe, secondo lei, l'unico sistema, perché alla fin fine dobbiamo proporre delle soluzioni da questa Commissione e dalla Commissione finanze dove abbiamo presentato una questione, un affare assegnato con lo stesso stile, con gli stessi contenuti e cioè usare la Pag. 11tutela istituzionale che ha usato il gruppo di Bolzano per correggere almeno questa parte, quella dei controlli, che oltre a essere molto costosa in termini di Commissione richiede un uso di personale a ciò dedicato che è spropositato, un costo che per una piccola BCC inficia il conto economico. Proporrei come Commissione e anche come politica, tutti i gruppi, la larga maggioranza e anche l'opposizione, di provare a presentare un disegno di legge di riforma concorde che possa essere approvato dal Parlamento, un Parlamento che su questa questione sente la Banca d'Italia ma non vi si inchina oltre una certa misura. Su questo sono d'accordo con i colleghi che mi hanno preceduto per cui spero che dalle audizioni su questo argomento si possa instaurare una serena quanto chiara e ferma discussione per provare a seguire le vie che la legge ci consente e proporre una modifica parziale alla legge n. 49. Tutto quello che non va probabilmente non si può più correggere perché le Capogruppo ci sono e quindi ormai vanno avanti, il processo è talmente avanzato che non si può più tornare indietro ma spero che sulla questione del controllo della BCE possiamo fare qualcosa.

  PRESIDENTE. Grazie, io ricordo che noi dobbiamo anche elaborare la relazione finale che è un documento molto importante, quindi piuttosto che lasciare tutto il lavoro in coda , secondo me, se riusciamo già a sviluppare un paragrafo preventivamente su questa questione, perché vedo che c'è molta convergenza, possiamo anticipare il lavoro che poi verrà ufficialmente presentato a fine legislatura. Collega Zanichelli, prego.

  DAVIDE ZANICHELLI. Grazie presidente Ruocco. Come ha detto lei professore, il Parlamento in questi anni si trova in una situazione probabilmente diversa rispetto agli anni immediatamente successivi al 2016; io però mi sono reso conto in questi anni di attività parlamentare che non è solo il Parlamento sovrano, ancorché siamo in una Repubblica parlamentare, ci sono diversi attori in questa democrazia e ognuno di essi concorre alla determinazione delle decisioni. Che lo si voglia o no ci sono state in passato alcune decisioni orientate nel dibattito pubblico che hanno determinato quello che poi è arrivato al voto parlamentare, perché poi in definitiva questo è.
  In ogni caso c'è un mondo che cambia e bisogna comprendere che in questo mondo che cambia l'attività delle banche diventa più complicata e cambia anche dal punto di vista dell'innovazione e, per certi aspetti, vengono premiati istituti bancari di dimensioni tali da poter affrontare questo cambiamento. Alla stessa maniera forse anche la vigilanza bancaria – che ammetto di non conoscere altrettanto bene, a differenza delle banche in cui ho lavorato – diventa più complicata. C'è questa narrativa in cui, come anche lei ha ricordato, non è più tempo di banche piccole, è necessario che le banche si ingrandiscano e possano affrontare questo mondo che sta cambiando e che sta diventando molto più connesso. Anche lo strumento delle DTA forse non ha avuto l'efficacia che avrebbe dovuto avere.
  Arrivo alla domanda: com'è possibile cambiare questa sorta di narrativa in cui da un certo punto di vista si dice «Servono banche sempre più grandi» quando invece ora stiamo affrontando una realtà che vede questa narrativa smontata nei fatti, in quanto banche più grandi molto spesso escono dai radar. A un certo punto una piccola impresa che deve cambiare il furgone fa fatica a trovare una banca che istruisca una pratica per un finanziamento così piccolo, perché non è redditizio. Forse sarebbe bene non perseguire l'accorpamento di istituti bancari, forse una cosa più adeguata al nostro sistema sarebbe una libera associazione di realtà che possano essere imprenditoriali o bancarie per affrontare le sfide. Al di là della politica che mi pare sia già ricettiva, anche altre istituzioni molto più legate alla tecnica possono cambiare il loro modo di pensiero, il loro story telling, e la loro filosofia. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei. Velocemente il senatore De Bertoldi.

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  ANDREA DE BERTOLDI. Vorrei dire che, tra l'altro, in tutto questo si è permesso uno Stato nello Stato, cioè nel mio confinante Alto Adige Sud Tirolo si è permesso un processo virtuoso, quello che guarda caso c'è in Germania e in Austria, nel resto del Paese questo non era possibile. Quindi quello che può andare bene a Bolzano a Trento e a Verona non andava più bene per la Banca d'Italia. Cose vergognose, vergognose.

  PRESIDENTE. A fronte di questa audizione ci sono state veramente tante istanze; la politica è molto sensibile sul tema e qualcuno a livello burocratico dovrà prenderne atto. Questa Commissione si pone l'obiettivo di creare una breccia in questi ambiti affinché tutto questo vada a buon fine. Prego professore.

  FRANCESCO CAPRIGLIONE, professore straordinario di diritto dell'economia. Ci sono state domande come la prima, riguardante la vita della politica oggi sulla quale io ovviamente non do nessuna risposta. Darò invece una risposta su quella battutina finale che lei ci ha fatto adesso. Quanto all'altra domanda, ho lavorato pure io in banca trent'anni quasi, ventinove in Banca d'Italia. Ero un avvocato della Banca d'Italia, ho lasciato la Banca d'Italia quando ho vinto un concorso all'università. Le devo dire che la Banca d'Italia che ho conosciuto io, quella di Guido Carli, con il quale io ho scritto un libro, quella di Baffi, ma anche quella di Ciampi, è stata una Banca d'Italia sensibile alla realtà cooperativa. Tanto è vero che quando, forse lei ricorderà, si impose la cosiddetta riserva obbligatoria, le BCC ne erano esentate. Questo significa che c'era una Banca d'Italia sensibile alla categoria. Poi sono cambiati i tempi, sono cambiati anche gli uomini. Io ho scritto molte volte, ma anche i miei allievi, che la Banca d'Italia è caduta in una crisi di identità prima dopo la moneta unica quando si è vista sottrarre il potere dell'emissione, poi con la grande crisi finanziaria del 2007, 2008 che ha completato il trasferimento della sovranità nazionale, prima quella monetaria, adesso quella della vigilanza sul sistema delle banche, un po' quindi sull'economia all'Europa. La Banca d'Italia è andata incontro a una crisi di identità. Io ricordo che in una giornata del risparmio di una decina di anni fa, era appena stato nominato Visco come Governatore lui pubblicamente ammise «Ci sono dei ritardi». Ora però penso che la politica debba riprendere in mano il suo ruolo di tutore dei diritti e per prendere in mano questo ruolo deve affrontare un problema sul quale tantissimi studiosi hanno scritto – io sono molto vecchio, sono cinquanta, sessanta anni che scrivo su queste cose- e cioè il problema del rapporto tra politica e tecnica. Tale rapporto deve essere risolto in una maniera equilibrata, non si devono verificare situazioni nelle quali la politica sovraordina completamente al nulla la tecnica, ma neppure altre contrarie. Specialmente se la tecnica non è di natura, di carattere nazionale, ma viene con indicazioni, orientamenti che tengono conto di altre realtà, di altri paesi che sono diversi dai nostri, che rispondono a esigenze diverse. In politica, vedo con molto piacere al di là dei diversi orientamenti, c'è una convergenza di opinioni sulla necessità di modificare, riformare questa legge. E allora cerchiamo di farla questa riforma. Sta a voi farla, sta a voi adottare un modello già sperimentato con successo in Alto Adige. Diceva il senatore un momento fa «Ma perché a pochi chilometri da Trento devono stare bene e noi no?». Io vi posso dire che questa sua osservazione l'hanno fatta molti dirigenti amici di Banca d'Italia parlando con me, però: «Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare».
  Allora, vorrei chiudere ringraziando ancora una volta la presidente Ruocco, aggiungendomi alla schiera di coloro che fanno sollecitazioni e istanze a voi. Questa è un'occasione che io ho gradito molto, mi chiamo il Don Chisciotte delle BCC, sono uno dei pochi che, siccome non ho interessi professionali e quindi non ho interessi a tenermi buono Tizio, Caio o Sempronio, dico quello che penso e stamattina vi ho detto esattamente quello che è il frutto di una riflessione che dura da 50 anni. Perché il Pag. 13mio primo articolo sulle BCC, quando si chiamavano casse rurali, io l'ho fatto più di cinquanta anni fa.

  PRESIDENTE. Grazie davvero. È stata un'audizione molto interessante, sicuramente daremo seguito a questo spunto, poi verrà anche il dottor Dell'Erba per concludere il punto di vista e poi produrremo un documento che cercheremo di portare avanti con decisione nelle sedi opportune. Grazie a lei professor Capriglione, per la sua chiarezza espositiva. Dichiaro conclusa la seduta.

  La seduta termina alle 13.20.

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ALLEGATO

PROFILI DI ATTENZIONE NELL'OTTICA DI UN INTERVENTO NORMATIVO VOLTO A MIGLIORARE L'ATTUALE ASSETTO DISCIPLINARE DELLE BCC

  1. Ringrazio la Presidente on. Ruocco per l'invito odierno che mi consente di tornare in questa sede per affrontare una problematica a me cara, sulla quale ho tenuto un'audizione nel marzo del 2016 (prima della conversione in legge del decreto-legge n. 18 di quell'anno) riguardante la ‘riforma delle banche di credito cooperativo’.
  Non mi soffermerò, pertanto, sulla ricostruzione del processo evolutivo delle BCC, le quali - com'è noto - provengono dalla trasformazione delle casse rurali artigiane, la cui capacità operativa fu fortemente limitata dalla dal «T.U. del ‘37» che fissava criteri limitativi alla loro espansione (collegamento della compagine societaria a predeterminate tipologie sociologiche, carattere comunale delle casse, ristretta competenza territoriale).
  Ritengo, per converso, opportuno ricordare che il «TUB del ‘93» ha, in parte, riabilitato la categoria, eliminando alcuni dei nominati criteri restrittivi e lasciando fermo quello della ‘mutualità prevalente’ nell'esercizio dell'attività bancaria; donde il consolidamento di una specificità operativa che si caratterizza per il legame localistico di tali enti creditizi. È il caso di far presente, altresì, che anche la riforma del diritto societario di inizio millennio non ha innovato i caratteri strutturali e funzionali delle BCC: con essa si assiste, infatti, ad uno spostamento della causa negoziale dalla prestazione mutualistica all'integrazione nel territorio.

  2. Soffermandoci sull'esame della disciplina di tali banche introdotta dalla legge n. 49 del 2016, si fa presente che quest'ultima ha modificato il loro modello organizzativo, imponendo agli appartenenti alla categoria di aderire ad un «gruppo bancario cooperativo», pena la perdita della licenza. Si è in presenza di un impianto sistemico che sottopone le BCC all'onere di una regolazione prudenziale per esse inidonea ove si abbia riguardo alla loro dimensione. L'appartenenza al gruppo cooperativo comporta, infatti, per gli enti partecipanti la qualifica di banche significanti, derivante dal particolare raccordo intersoggettivo esistente tra i medesimi, ora sottoposti dal «contratto di coesione» (previsto dall'art. 37-bis tub) alla direzione e coordinamento della capogruppo.
  La natura sui generis di tale contratto di coesione, che consente alla holding penetranti poteri di direzione esterna, differenzia il gruppo cooperativo dal modello codicistico definito nell'art. 2545-septies c.c. Ed invero, i poteri della capogruppo si estendono dalla individuazione e attuazione degli indirizzi strategici ed operativi del gruppo all'approvazione o revoca, in casi motivati, di uno o più componenti degli organi di amministrazione e controllo delle BCC. A ciò si aggiunga la facoltà di escludere una BCC dal gruppo in caso di violazione degli obblighi previsti dal nominato contratto di coesione e la possibilità di applicare altre misure sanzionatorie parametrate sulla gravità della violazione.
  L'ampiezza ed esclusività dei poteri della capogruppo trova fondamento nell'esigenza di imprimere una direzione unitaria all'intero Pag. 15aggregato per assicurare coerenza gestionale nella realizzazione degli obiettivi identificati dalla riforma. A ben riflettere il legislatore ha voluto fondare sulle pervasive prerogative della capogruppo i presupposti dell'esistenza stessa del gruppo cooperativo, donde la sottoposizione a vigilanza consolidata delle BCC con il conseguente inquadramento di queste ultime, come testé si è detto, fra le banche significant. Infatti, trattandosi di un gruppo di fonte contrattuale, il controllo - da cui discende il consolidamento - è riconducibile ai poteri di direzione e coordinamento spettanti alla capogruppo sulle partecipanti in virtù del contratto di coesione, essendo quest'ultimo un accordo che presenta i connotati del contratto di dominio.
  È evidente come ciò, sul piano delle concretezze, abbia inciso negativamente sulla specializzazione operativa delle BCC e causato l'assoggettamento delle medesime ad una sostanziale eterogestione da parte delle capogruppo. Da qui la prospettiva di una mutazione genetica che è apparsa, fin dalla emanazione del decreto-legge n. 18 del 2016, problematica e carica di ambiguità, come ebbi modo di sostenere nella nominata audizione parlamentare del 2016; tesi successivamente ripresa da numerosi autorevoli studiosi (G. Alpa, M. Sepe, M. Pellegrini ed altri).
  Le motivazioni a base di tale convincimento sono di intuitiva percezione: basti pensare alla struttura dell'organismo partecipativo che qui ci occupa per rendersi conto del sostanziale spostamento, determinato dalla legge n. 49/2016, dei poteri di governance dalle BCC aderenti al gruppo ai vertici di quest'ultimo. Ciò, in un contesto sovradimensionato - quale si configura la realtà di gruppo -, significa allontanare i centri decisionali da quelli in cui si svolge la operatività bancaria; significa, altresì, porre fine all'esistenza della specificità degli enti in parola, cui dianzi facevo cenno. Inoltre, la lontananza delle sedi decisionali dai destinatari degli input direzionali apre la strada alle menzionate forme di etero-gestione delle BCC; da qui il riscontro di una interazione negativa tra compagine sociale e determinazione dei piani operativi destinati allo sviluppo socioeconomico del territorio.
  Sotto altro profilo va fatto presente che il nostro legislatore, nel definire i contenuti della legge n. 49 del 2016, sembra aver sottovalutato i costi economici ed organizzativi derivante dall'aggregazione. Ci si riferisce al fatto che non è stata tenuta nel debito conto la possibilità di addivenire ad un saldo negativo tra i predetti costi del consolidamento e le economie di scala realizzabili nel ‘gruppo bancario cooperativo’. A ciò si aggiunga l'effetto critico di ‘catapultare’ le BCC in una logica d'insieme, imposta senza un'adeguata maturazione; donde l'ipotizzabile conseguenza di dar luogo a ‘giganti dai piedi d'argilla’ non in grado di reggere il confronto competitivo con gruppi bancari di grandi dimensioni, ma con differente tradizione e capacità operativa.
  Va osservato, inoltre, che l'obbligatoria adesione al «gruppo cooperativo» al cui vertice v'è una s.p.a. - al di là dei dubbi sollevati da autorevole dottrina (Onida) sulla compatibilità della fattispecie con importanti principi della nostra costituzione economica - opacizza il meccanismo di aggregazione in parola, che si configura contrario alle regole della trasparenza e, dunque, impedisce ai soggetti bancari che intendono associarsi (per dar vita ad un gruppo) di fare congrue verifiche a tal fine. Si è in presenza, dunque, di un complesso Pag. 16disciplinare che travolge il tradizionale principio della libertà delle scelte imprenditoriali, elemento centrale del nostro sistema giuridico economico.

  3. Le considerazioni sopra esposte attestano la scarsa coerenza logica del provvedimento normativo dal quale le banche di credito cooperativo sono regolate da oltre un lustro; ciò con la conseguenza che queste ultime sono costrette a confrontarsi con difficoltà quotidiane, andando incontro a notevoli disagi. Significative, al riguardo, sono vuoi le caratteristiche di un modello organizzativo che appare non adeguato alla loro realtà dimensionale, vuoi le intemperie di una applicazione, spesso impropria, delle prescrizioni disciplinari da parte delle capogruppo.
  Nello specifico rileva, in primo luogo, la qualifica di intermediari significant che espone le BCC alla severità disciplinare di «requisiti prudenziali», di certo più onerosi rispetto a quelli da considerare coerenti con la loro estensione economico patrimoniale e con lo svolgimento del loro «tipico business». Tale riflessione è chiaramente espressa anche nella ‘risoluzione Buratti’, ove si rinviene una corretta ricostruzione della disciplina in esame (v. resoconto parlamentare della seduta della VI Commissione del 24 maggio 2021). Da qui la necessità di sottrarre tali banche ad un aggravio di costi ed a una difficile azione competitiva; criticità che devono essere superate se si vuole ripristinare nella regolazione il principio della proporzionalità bancaria, quale criterio ordinatore che consente un appropriato svolgimento della concorrenza.
  Conferma detta esigenza la considerazione che la norma in base alla quale viene applicato alle BCC il regime delle banche significant (art. 40 del reg. BCE 468/2014) non ha la ‘sacralità’ di una disposizione emanata da un'autorità politica (come le direttive e i regolamenti del Consiglio e del Parlamento Europeo).
  Passando, poi, all'esame delle modalità applicative della legge n. 49/2016, vanno rappresentate le discrasie di vario genere dovute a talune prevaricazioni delle capogruppo, le quali spesso agiscono in modalità incuranti delle prescrizioni del «contratto di coesione» (ad esempio: disconoscendo i cd. vantaggi compensativi) ovvero trascinano le BCC in pericolose avventure (è il caso dell'impegno di Cassa Centrale Banca ad assumere il controllo di Carige). Si delinea una triste prospettiva sulle sorti future di tali banche; essa è dovuta, in via prioritaria, alle modalità improprie con cui è esercitata l'attività di «coordinamento e controllo» da parte delle capogruppo, le quali hanno rivelato, sul piano delle concretezze, una insana volontà di esercitare - come dianzi si è anticipato - una azione di sostanziale dominio (talora sfociata anche nella protervia).
  Le indicazioni desumibili dalla realtà che attualmente contraddistingue la cooperazione di credito mostrano appartenenti alla categoria costretti a «fusioni non desiderate», a subire la «imposizione di operazioni» effettuate «a costi superiori a quelli di mercato», a vedersi trascinate in acquisizioni bancarie che - come è stato puntualmente affermato dalla dottrina (Sepe) - espongono il gruppo ad «una sorta di ibridizzazione» (come si evince dal menzionato caso Carige). Tale situazione emerge chiaramente, come si dirà in seguito, anche dalla relazione al recente ddl di «riforma delle BCC» (A.S. 2425 bozza), Pag. 17presentato dall'on. Turco, nella quale si evidenzia l'eccessiva estensione dei poteri delle capogruppo, per cui - come si è sottolineato in precedenza - le nostre banche sono private della loro ‘autonomia gestionale’.
  In tale contesto, molte BCC comprendono di essere avviate su un percorso che segna inevitabilmente la fine della loro specificità mutualistica e, dunque, la loro caratterizzazione di ‘banche di prossimità’ dedite soprattutto al finanziamento delle PMI e allo sviluppo delle economie zonali. Da qui alcune timide reazioni delle medesime nei confronti delle capogruppo, alle quali hanno fatto seguito sprezzanti risposte da parte di queste ultime, associate a misure restrittive della loro operatività. Si pensi, in proposito, al divieto di effettuare autonomamente la cessione di crediti deteriorati (cui consegue l'obbligatoria rinuncia a talune opzioni favorevoli offerte dal mercato), all'imposizione di particolari limiti negli impieghi (ulteriori rispetto a quelli ordinariamente previsti) ovvero di fusioni non gradite, nonché all'utilizzo delle funzioni di controllo con attività straordinarie non pianificate.

  4. Prima di passare alla identificazione dei possibili rimedi da adottare al fine di pervenire ad un modello ottimale per la realizzazione di congrue forme di aggregazione tra BCC, ritengo opportuno soffermarmi sull'esame di altri fattori che ostacolano il conseguimento di detto obiettivo.
  Occorre muovere dall'esame delle motivazioni a base della riforma, alle quali - come dirò tra poco - sembra possa oggi essere data una risposta diversa da quella adottata nel passato. Tali motivazioni, stando alle indicazioni della ricerca economica (Barbagallo), sono ricollegabili alla scarsa patrimonializzazione delle BCC, le quali (operando con le piccole e medie imprese) vanno annoverate tra gli enti creditizi che sono stati maggiormente contagiati dalla crisi finanziaria degli anni 2008 e seguenti. Al riguardo, rileva l'elevato numero di commissariamenti che, in special modo negli anni 2013-2014, sono stati attivati dalle autorità di settore nei confronti di tali banche.
  Vanno considerate, altresì, anche ulteriori motivazioni: in particolare il riferimento alle grandi riforme che, a livello europeo, sono state realizzate in ambito bancario nell'ultimo decennio (si ha riguardo al Meccanismo unico di vigilanza ed al Meccanismo unico di risoluzione delle crisi). È noto come, proprio a seguito di tali riforme, sia stata attribuita alla BCE la competenza ad esercitare la vigilanza sulle c.d. banche significant (i.e. con più di trenta miliardi di attivo); competenza che, in base all'art. 6 del regolamento n. 1024 del 2013, può essere estesa anche alle banche non significative, essendo la BCE facoltizzata ad avocare a sé il controllo su queste ultime qualora versino in situazioni di difficoltà.
  Le preoccupazioni rivenienti dall'applicazione di tale normativa, cui va aggiunta la complessità interpretativa della direttiva n. 2014/59 (cd. BRRD) sulla risoluzione delle crisi (come modificata dalla direttiva n. 2019/879), con tutta probabilità sono alla base dell'input dato dalla Banca d'Italia al processo di integrazione tra le BCC regolato dalla legge. n. 49/2016. Orienta in tal senso il presumibile intento delle autorità di settore di sottrarsi all'onere di una gestione plurima e complessa di crisi bancarie, per cui si è ravvisato nel ‘gruppo bancario Pag. 18cooperativo’ lo strumento idoneo per risolvere tale problematica. Da qui l'adozione di una linea comportamentale volta a traslare sulla BCE le sue funzioni di controllo sulla categoria in parola; linea che è stata da me e da altri studiosi definita dimissionaria rispetto alla politica interventistica in passato seguita da detta istituzione.
  Va da sé che l'adozione di siffatta strategia incide negativamente sulle modalità d'esercizio dell'attività di supervisione; al discarico di responsabilità conseguente al trasferimento di quest'ultima alla BCE si collega, infatti, una attenuazione della tradizionale attenzione dell'Organo di vigilanza per le difficoltà degli appartenenti al settore. L'autorità si mostra, infatti, silente di fronte al diffuso clima di insoddisfazione della BCC (alcune delle quali sono disposte finanche a dismettere la loro essenza bancaria, al fine di rinvenire una way out nel cambiamento dell'oggetto sociale).

  5. Si delinea uno scenario nel quale solo un intervento legislativo potrà far cessare le distonie dovute ai meccanismi di una supervisione condivisa (tra la BCE e la Banca d'Italia) che in subiecta materia stenta a trovare un razionale punto di equilibrio; un intervento che restituisca alle BCC il ruolo di «banche cooperative a mutualità prevalente»previsto dal Testo Unico Bancario (decreto legislativo n. 385 del 1993).
  A ben considerare, infatti, l'autorità di settore ha dato alla riforma normativa più volte richiamata ed ai cambiamenti della regolazione bancaria di matrice europea una lettura che non offre alcuno spazio alle aspettative di numerosi appartenenti alla categoria. È indubbio che le parole pronunciate dal Governatore Visco in un incontro all'ABI (tenuto il 16.09.2020) – nelle quali esprime dissenso per la tesi volta «a esaltare i pregi del modello della piccola banca del territorio, non tenendo conto del fatto che la sua sostenibilità è oggi messa in pericolo dalle trasformazioni economiche in atto» - pongono una pietra tombale sulle speranze di autonomia delle BCC e di sviluppo della categoria. Il convincimento, poi espresso nell'assemblea dell'ABI del 2021 - secondo cui «la creazione dei gruppi cooperativi… non è in contrasto né con la natura mutualistica delle banche aderenti, …né con la necessità di mantenere uno stretto contatto … con il territorio di appartenenza» - è indicativo dell'intento di non voler procedere ad un «ravvedimento operoso» e, dunque, di tener ferme le linee di un disegno nel quale - come ho sostenuto in mio scritto - «la banca di limitate dimensioni (soprattutto se cooperativa) è destinata all'estinzione».
  A ben considerare, tuttavia, non è facile il ruolo dell'autorità di settore costretta a dibattersi tra la crisi economica che, nell'ultimo decennio, ha colpito il Paese e la sostanziale inadeguatezza delle procedure di risoluzione previste dalla direttiva 2014/59/UE. Si aggiungano, poi, le incertezze rivenienti dalla mancata realizzazione del sistema europeo di garanzia dei depositi e il timore di rischi reputazionali connessi alla carenza di una diffusa «cultura di mercato», che assuma come fisiologico il fallimento delle imprese bancarie.
  In tale ottica si spiega l'adesione della Banca d'Italia alle indicazioni dei vertici della BCE (Luis de Guindos e Andrea Enria) di favorire le aggregazioni tra banche per il conseguimento di una «grande dimensione» delle stesse. Tale obiettivo viene ritenuto, infatti, funzionale al superamento di situazioni di crisi, in quanto si presuppone che Pag. 19le banche di grandi dimensioni presentino caratteristiche di efficienza e resilienza maggiori rispetto a quelle medio piccole. È questa una tesi avversata dalla dottrina (Masera, Alpa, Sepe) secondo cui la biodiversità in ambito bancario rappresenta il modello organizzativo più adeguato alle dimensioni delle imprese industriali, che in Italia vedono la prevalenza delle PMI; non a caso, fin dalla legge bancaria del 1936, uno dei cardini fondanti del sistema finanziario italiano è stato il pluralismo bancario, cui fa riscontro nell'area euro un numero molto elevato di banche non significant, che nel 2020 ammontava a 2400 soggetti (l'80% dei quali in Germania e in Austria).
  D'altronde la scienza economica non reca chiare evidenze sulla circostanza che la grande dimensione bancaria (piuttosto che i meccanismi di rete) di per sé rappresenti un presidio ottimale per affrontare situazioni di crisi (Yellen, Tarullo D.). Ciò nel presupposto che esistano pari condizioni (con riferimento alla qualità della governance ed alla validità del progetto industriale), nonché la presenza di una regolamentazione che non faccia supina applicazione del principio «one size fits all».
  In tale scenario si colloca l'intento della BCE di far leva sulle fusioni tra banche per risolvere il problema della loro patologia; ciò, attuando una politica invasiva nei confronti delle banche non significant che va oltre la ratio dell'art. 6 del regolamento UE n. 1024 del 2013. Si spiega, in tal modo, l'incontro tra la posizione sostanzialmente dimissionaria delle autorità nazionali e l'opzione della BCE di trovare comunque una soluzione per la crisi delle piccole banche. Viene così traslata a livello sovranazionale la vicenda del «gruppo bancario cooperativo», caldeggiata dalla Banca d'Italia per evitare la gestione di numerose potenziali crisi delle BCC.

  6. Necessita a questo punto chiedersi quale possa essere il modello ottimale per realizzare congrue forme di aggregazione che non comportino per le banche della categoria in parola l'assunzione della qualifica di significant, con quel che a questa consegue. A ciò si aggiunga l'esigenza di ridimensionare i poteri della capogruppo (ad esempio: sottraendo ad essa la nomina e la revoca degli organi amministrativi delle BCC partecipanti), modificando uno degli aspetti disciplinari più onerosi della attuale costruzione del gruppo cooperativo e, dunque, incidendo sull'esercizio dei poteri di «direzione e coordinamento» che oggi contraddistinguono la sfera potestativa dei vertici del gruppo.
  È, evidente, come nel delineato contesto, alle banche di credito cooperativo non resti altro che fare affidamento sull'impegno della politica, la quale nei confronti della tecnica deve rivendicare il suo primato nella tutela dei diritti. La prevedibile prospettiva di un intervento di riforma della legge n. 49 del 2016 lenisce la delusione di coloro che subiscono gli effetti di una distorta applicazione della medesima ed hanno a lungo invocato, senza esito alcuno, un'azione salvifica della Banca d'Italia.
  In tale direzione molteplici sono state le istanze degli appartenenti al settore volte a sollecitare l'intervento della politica, a monte del quale sarebbe opportuna da parte dell'autorità di vigilanza nazionale una rivisitazione della disciplina (che essa ha concorso a determinare) rivelatasi penalizzante per le BCC in sede applicativa. In particolare, Pag. 20una disposizione in deroga alle prescrizioni del citato art. 40 potrebbe costituire oggetto di una specifica richiesta della Banca d'Italia ai vertici della BCE, essendo la prima pienamente legittimata ad esercitare un intervento siffatto in ragione delle funzioni che le spettano nella sua qualità di componente dell'Eurosistema.
  Sul punto va fatto presente che, purtroppo, le numerose richieste di interventi legislativi che ponessero fine alla descritta situazione di difficoltà (nella quale oggi versano le BCC) negli anni immediatamente successivi alla riforma del 2016 sono cadute nel vuoto!
  Mi riferisco, in primo luogo, ai ritocchi del tutto insoddisfacenti recati alla legge n. 49 del 2016 dal decreto-legge n. 91 del 2018 (c.d. milleproroghe), che ha innalzato la soglia di partecipazione (delle banche aderenti) nel capitale della capogruppo (alla misura del 60%). Tali modifiche, come avevo modo di sottolineare in passato, rappresentano una fictio iuris, piuttosto che una concreta innovazione disciplinare (come si evince anche dalla precisazione «se esiste la volontà di cambiare le cose…il governo del cambiamento ..(può).. prenderla in considerazione», formulata dall'on. Bagnai in un incontro degli appartenenti alla categoria, tenutosi a Firenze il 13/9/2018). La stessa promessa dell'ex Premier Giuseppe Conte, nel suo primo discorso programmatico, di tutelare le banche «più integrate sul territorio, per recuperare la loro funzione che aiuta molto il tessuto produttivo quello meno visibile, quello delle Pmi» (sic!), è restata, sul piano delle concretezze, priva di riscontro.

  7. Sulla base di quanto precede, volendo identificare il campo d'intervento dell'azione politica deve aversi riguardo ad una significativa possibilità che si offre al nostro legislatore nel riferimento alle indicazioni della regolazione di matrice europea.
  Al riguardo viene in considerazione il Regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio, relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento (cd. CRR), che all'art. 113, parag.7, disciplina l'IPS, «un sistema di tutela istituzionale, consistente in un accordo di responsabilità contrattuale o previsto dalla legge» finalizzato a tutelare gli enti creditizi, garantendo «la loro liquidità e la loro solvibilità per evitare il fallimento ove necessario». Certamente una modifica della legge n. 49/2016 che estenda a tutto il territorio nazionale la costituzione dell'IPS – modello già sperimento con successo nella Provincia autonoma di Bolzano, oltre che in numerosi paesi europei (Germania, Austria, Spagna, Polonia), come risulta dalla Declaration of Institutional Protection Schemes in Europe del 6/4/2021 (consultabile su https://www.bvr.de) - consentirebbe di recepire appieno le istanze delle banche in parola (fino ad oggi, come si è detto, disattese nelle sedi competenti).
  Per completezza va fatto presente che il ricorso a processi di aggregazione tra banche di credito cooperativo realizzati in altri Paesi europei previa adozione del nominato «sistema di tutela istituzionale» hanno dato vita ad aggregati nei quali - a differenza di quanto si riscontra nel ‘gruppo bancario cooperativo’ - gli enti partecipanti conservano la piena autonomia gestionale, per cui non sono ravvisabili gli estremi di un «consolidamento» dei relativi bilanci e, dunque, della correlata qualifica che oggi caratterizza le BCC come banche significant. Anche nel nostro Paese - come ho teste evidenziato - una Pag. 21significativa conferma della validità di siffatto modello viene dal Raiffeisen Südtirol IPS, riconosciuto dalla Banca d'Italia nel 2020; organismo disciplinato secondo il «principio della mutualità senza fini» e finalizzato alla «gestione di un sistema di tutela istituzionale» conforme alle indicazioni che in subiecta materia si rinvengono nella regolazione UE, le quali garantiscono la stabilità dell'IPS, assicurando il collegamento tra le banche di credito cooperativo e le istanze della società civile attraverso il finanziamento della imprenditoria locale.
  È bene far presente che gli IPS in ambito UE hanno una notevole rilevanza in termini assoluti, poiché aderisce a detto ‘sistema di tutela’ circa il 50% degli enti creditizi dell'area dell'euro, che rappresentano intorno al 10% delle attività totali del sistema bancario dell'area. Inoltre le banche cooperative e le casse di risparmio sono i due principali settori in cui si registra la presenza di IPS, con riguardo ai quali la BCE (in apposite Guide) tiene a precisare che ‘caratteristica saliente’ è l'elevato livello di autonomia e indipendenza dei singoli enti creditizi, donde la loro distinzione dai gruppi bancari consolidati.
  Ne consegue che l'adozione del modello in parola su piano nazionale potrebbe, a giusta ragione, ricondurre alla vigilanza della Banca d'Italia gli enti creditizi oggi costretti ad aderire ai ‘gruppi bancari cooperativi’. La BCE non dovrebbe opporsi ad un orientamento disciplinare siffatto, vuoi perché la regolazione UE non pone vincoli in subiecta materia al legislatore nazionale, vuoi per il favor da essa manifestato (nelle menzionate Guide) per la realizzazione degli IPS; potendo, anzi, in conformità alle condizioni stabilite nella citata direttiva CRR, derogare alla applicazione di determinati requisiti prudenziali o concedere agli enti membri di detti ‘sistemi di tutela istituzionale’ alcune deroghe. Sicché, sul piano delle concretezze, unico ostacolo all'adozione di una modifica disciplinare destinata ad innovare l'attuale regolazione delle BCC resterebbe l'orientamento dell'autorità di supervisione nazionale, la quale - come si evidenziato in precedenza - ha dato alla riforma normativa più volte richiamata ed ai cambiamenti della regolazione bancaria di matrice europea una lettura che non offre alcuno spazio alle aspettative della categoria.
  In tale contesto, non va trascurato di osservare che la politica, da oltre un anno, ha dato manifesti segni in ordine all'intento di voler far riferimento all'IPS per riformare la disciplina delle BCC. La proposizione di un emendamento parlamentare (al decreto-legge n. 104/2020) per modificare la legge n. 49, aprendo alla costituzione di «sistemi di tutela istituzionali» (IPS), è indicativa del fatto che finalmente le istanze della categoria sembra siano state recepite nelle sedi competenti! Ma v'è di più. L'intervento tenuto dall'ex Premier Conte all'assemblea di Conf.Cooperative il 6 ottobre 2020 ha segnato una svolta nella tormenta storia delle BCC. Le parole nell'occasione pronunciate («non abbiamo dimenticato … (l’)impegno del Governo di mettere a punto le criticità del mondo cooperativo bancario e di lavorare anche in sede europea perché possano essere superate») non lasciano dubbi in merito ad una presa d'atto della necessità di porre rimedio alle sofferenze del mondo cooperativo bancario.
  Più di recente, come ho anticipato, è stato presentato dall'on. Turco un ddl di riforma delle BCC nel quale si prevedere l'introduzione del modello IPS per superare le criticità rivenienti dalla loro classificazione Pag. 22come banche significant. Sono pienamente condivisibili le motivazioni alla base della costruzione disciplinare in parola, tra le quali la relazione ascrive peculiare rilievo all'obiettivo di evitare le distorsioni applicative del «contratto di coesione», previsto dall'art. 37-bis TUB e, dunque, le modalità con cui al presente le capogruppo dirigono, coordinano e controllano le singole BCC. Va osservato, peraltro, che nonostante il ddl sia dichiaratamente orientato alla conservazione della funzione socio economica delle banche cooperative - stante l'apposito richiamo al ‘principio di proporzionalità’ sancito dall'ordinamento UE - tali buone intenzioni rischiano di essere disattese, ove si considerino taluni profili disciplinari di tale «aggregazione» rappresentati nel ddl in parola.
  In particolare, ci si riferisce alla natura e al ruolo ascritti all'ente gestore di tale IPS, che - si precisa - debba essere una «banca» costituita in forma di s.p.a. munita di ampi poteri che vanno ben oltre le previsioni della disciplina UE in argomento. Inoltre si precisa che l'ente gestore indica gli «indirizzi strategici e le politiche di gestione e assunzione dei rischi», oltre a detenere le prerogative già riconosciute ai vertici del gruppo bancario cooperativo in tema di nomina e revoca degli esponenti aziendali. È evidente la possibilità di una pervasiva intromissione del gestore nella conduzione aziendale. Non si superano, pertanto, le criticità della vigente normativa; per converso, si espone l'IPS altoatesino al rischio di non graditi cambiamenti finalizzati all'omogeneizzazione dell'intero complesso disciplinare in materia.
  A ciò si aggiunga la possibilità consentita ai vertici degli attuali gruppi cooperativi di assumere, previa autorizzazione della Banca d'Italia, il ruolo di «ente gestore»; funzione che, presumibilmente, verrà svolta (nei confronti delle BCC aderenti all'IPS) senza sostanziali differenze rispetto alle modalità d'esercizio dei poteri ad essi riconosciuti in qualità di ‘capogruppo’. A ben considerare, viene in concreto confermato l'impianto ordinatorio del ‘gruppo bancario cooperativo’, mutandone l'etichetta al fine di recuperare per le BCC la qualifica di less significant.
  In tale contesto, l'unica vera dirompente novità è costituita dalla possibilità per le BCC che recedono (o vengano escluse) da un gruppo bancario cooperativo o dalla nuova formula aggregativa, di deliberare - previa autorizzazione della Banca d'Italia - la trasformazione in società per azioni. Sembrerebbe di essere in presenza di un ampliamento della way out già regolata dalla legge n. 49/2016; nuove perplessità, tuttavia, derivano - oltre che dai profili fiscali non considerati dal ddl - dalle prospettive di diaspora delle BCC, con ovvio ridimensionamento della funzione del credito cooperativo.

  8. Sulla base di quanto in precedenza si è detto, appare verosimile che la Banca d'Italia potrebbe opporre resistenze alla realizzazione dell'ipotesi ricostruttiva dianzi rappresentata. Ciò, trascurando di considerare che il recupero della vigilanza sulle cooperative di credito (che dismettono la qualifica di significant) le consentirà di ridefinire e applicare regole coerenti con la dimensione e la vocazione localistica delle BCC. Da qui gli ipotizzabili benefici effetti per un sistema economico orientato verso uno sviluppo sostenibile, il rispetto dei nuovi parametri green ed il supporto alla applicazione del PNNR nelle Pag. 23variegate realtà territoriali, elementi tutti che danno contenuto all'indirizzo economico tracciato dal Governo.
  Va da sé che in presenza di una posizione della Banca d'Italia contraria ad un'innovativa azione del legislatore - e, dunque, ove permanga la strana situazione odierna, desumibile dalle dure parole («diffido molto dell'importanza delle banche del territorio») pronunciate dal Governatore Visco (intervista a the Banker, 2020) - dovrebbero essere contrapposte a detta autorità le ragioni che inducono ad esaudire le istanze delle BCC; vale a dire l'osservanza dell'interesse superiore di evitare che si snaturi una tipologia soggettiva bancaria riconducibile ai principi fondanti della nostra costituzione economica.
  Potrebbe finalmente cessare il ‘percorso della speranza’, iniziato a seguito della emanazione della legge n. 49, per coloro che credono nella funzione localistica delle BCC (e, dunque, nel benefico apporto dato dalla loro attività allo sviluppo del territorio). Dal successo degli interventi del legislatore, volti ad eliminare le discrasie di una disciplina che ha rivelato presto i suoi limiti, dipende la possibilità per lo Stato di non risultare estromesso dalla dialettica necessaria al funzionamento della democrazia di mercato; ne risulterà rafforzata la fiducia nello Stato e la politica potrà rivendicare finalmente la sua priorità sulla tecnica!

Francesco Capriglione