XVIII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono minori

Resoconto stenografico



Seduta n. 7 di Martedì 12 ottobre 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Cavandoli Laura , Presidente ... 3 

Audizione di Maria Emilia De Martinis:
Cavandoli Laura , Presidente ... 3 
De Martinis Maria Emilia  ... 3 
Cavandoli Laura , Presidente ... 8 
Menga Rosa (Misto)  ... 8 
De Martinis Maria Emilia  ... 9 
Menga Rosa (Misto)  ... 9 
Cavandoli Laura , Presidente ... 9 
De Martinis Maria Emilia  ... 9 
Cavandoli Laura , Presidente ... 9 
Giannone Veronica (FI)  ... 9 
De Martinis Maria Emilia  ... 9 
Giannone Veronica (FI)  ... 9 
Cavandoli Laura , Presidente ... 10 
De Martinis Maria Emilia  ... 10 
Giannone Veronica (FI)  ... 10 
De Martinis Maria Emilia  ... 11 
Giannone Veronica (FI)  ... 11 
Cavandoli Laura , Presidente ... 11 
Giannone Veronica (FI)  ... 11 
Cavandoli Laura , Presidente ... 11 
De Martinis Maria Emilia  ... 11 
Cavandoli Laura , Presidente ... 11 
De Lorenzo Rina (LeU)  ... 11 
Cavandoli Laura , Presidente ... 11 
Bellucci Maria Teresa (FDI)  ... 11 
Cavandoli Laura , Presidente ... 12 
Ascari Stefania (M5S)  ... 12 
Cavandoli Laura , Presidente ... 12  ... 12 
De Martinis Maria Emilia  ... 12 
Cavandoli Laura , Presidente ... 13 
De Martinis Maria Emilia  ... 13 
Cavandoli Laura , Presidente ... 13 
De Martinis Maria Emilia  ... 13 
Cavandoli Laura , Presidente ... 13 
De Martinis Maria Emilia  ... 13 
Cavandoli Laura , Presidente ... 14 
De Martinis Maria Emilia  ... 14 
Cavandoli Laura , Presidente ... 14 
De Martinis Maria Emilia  ... 14 
Cavandoli Laura , Presidente ... 14 
De Martinis Maria Emilia  ... 14 
Cavandoli Laura , Presidente ... 14 
De Martinis Maria Emilia  ... 14 
Bellucci Maria Teresa (FDI)  ... 15 
Cavandoli Laura , Presidente ... 15 
De Martinis Maria Emilia  ... 15 
Cavandoli Laura , Presidente ... 15 
De Martinis Maria Emilia  ... 15 
Cavandoli Laura , Presidente ... 15 

Comunicazioni della Presidente:
Cavandoli Laura , Presidente ... 15

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
LAURA CAVANDOLI

  La seduta comincia alle 12.50.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso e la web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Maria Emilia De Martinis.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dell'avvocato Maria Emilia De Martinis, che ringraziamo per la presenza e la cortese disponibilità con cui ha accolto l'invito a intervenire oggi in Commissione. La dottoressa De Martinis è accompagnata dalla dottoressa avvocato Anna Lucia Celentano.
  L'avvocato De Martinis è esperta di diritto della persona, diritto minorile e della famiglia, svolge le funzioni di curatore speciale e tutore del minore presso il Tribunale per i minorenni di Bari. È presidente della Camera minorile di Capitanata ed è responsabile nazionale del settore psicosociale dell'Unione nazionale delle Camere minorili d'Italia.
  Con questa audizione, segnalata dall'onorevole Menga, abbiamo un primo confronto con la realtà dell'avvocatura, che conto di proseguire anche in successive audizioni.
  Sarà inoltre interessante se l'avvocato potrà fornirci qualche elemento concreto rispetto alla specifica situazione in cui opera.
  Chiedo all'avvocato De Martinis se ritiene di svolgere un intervento introduttivo e se poi ci può illustrare anche le sue funzioni rispetto all'area psicosociale dell'Unione nazionale delle Camere minorili. Poi i commissari potranno intervenire per formulare dei quesiti.
  Do quindi la parola all'avvocato Maria Emilia De Martinis.

  MARIA EMILIA DE MARTINIS. Buon pomeriggio a tutti i membri presenti e a chi è collegato da remoto. Tengo veramente a ringraziarvi per questa occasione e ringrazio la deputata Rosa Menga per questa possibilità.
  Come anticipava la presidente, mi piacerebbe dare un taglio pratico e soprattutto reale. Chiaramente la mia è una visione del Tribunale per i minorenni di Bari e un po' della Puglia, non ho una prospettiva nazionale, però sicuramente è pratica. In riferimento alle eventuali domande, come diceva la presidente, mi posso riservare di rispondere a qualcuna per iscritto, però mi auguro di avere anche oggi stesso un confronto diretto.
  Il mio taglio sarà sicuramente forse un po' emozionato, perché ho scelto questa professione di avvocato con consapevolezza e ancora più con consapevolezza ho scelto di occuparmi di minori, perché l'avvocato del minore, come il curatore speciale e come il tutore, lo deve fare necessariamente per scelta, perché vieni pagato con il gratuito patrocinio, devi necessariamente avere una sensibilità particolare – da qui la scelta – e devi avere la consapevolezza di una costante formazione.
  La costante formazione non è il convegno online, la costante formazione sicuramente è quella sul campo, che acquisisci nel tempo. La formazione è una reale formazione specialistica ed è soprattutto una formazione multidisciplinare, perché non ci sarà nessuna legge perfetta applicata in Pag. 4modo perfetto in questo campo che potrà darci il giusto processo. Perché? Perché all'interno di un processo c'è un bambino, e quindi non sarà mai un giusto processo, non ci sarà mai una sentenza perfetta applicata.
  Non voglio essere pessimista perché io sono una donna di legge, credo nella giustizia, come credo nello Stato, ma soprattutto credo nei bambini e nei ragazzi. Il problema va visto al contrario, poiché sono loro che devono credere in noi.
  Presidente, se lei è d'accordo, partirei dalla legge istitutiva della Commissione e dai punti di inchiesta, così da dare la mia umile opinione in merito a quei punti e poi allargherei la mia relazione.
  Un primo punto è: «Verificare lo stato di andamento degli affidatari delle comunità di tipo familiare, le condizioni effettive dei minori affidati e la temporaneità dei provvedimenti.». In teoria questo è già previsto, perché all'interno del processo, nel momento in cui questo si apre e il bambino è in comunità o in affidamento o sottoposto agli interventi dei servizi, la funzione dei servizi sociali è proprio quella di verificare le condizioni del minore della famiglia e di relazionare al tribunale. Tutto sommato questo a oggi c'è, poi vedremo le modalità e i tempi, ma quella è un'altra cosa. Per questo dicevo che è difficile trovare una legge perfetta.
  Per quanto riguarda la verifica del numero dei provvedimenti, certamente una statistica è fondamentale, ma deve essere fatta con un criterio unico nazionale e deve essere anche periodica, perché i procedimenti si aprono e si chiudono. Non possiamo parlare di statistiche quinquennali, bensì deve esserci un impegno dei tribunali nel comunicare con determinati parametri i procedimenti aperti. Inoltre, questo potrebbe servire a capire le motivazioni dell'apertura, gli articoli di riferimento, i tempi di apertura e chiusura, l'età dei minori e in una prospettiva di prevenzione anche capire quale è la fascia debole dei minori per la quale si aprono i procedimenti.
  Un altro punto è: «Verificare le modalità operative dei servizi sociali e verificare l'esito attuativo dei provvedimenti». Ovviamente questo monitoraggio è necessario. Tuttavia, dobbiamo anche comprendere prima di tutto che i servizi che intervengono nel processo minorile sono due: i servizi sociali, che dipendono dal comune e dall'assessorato, e i consultori che sono ASL (Azienda sanitaria locale) e, quindi, dipendono dalle Regioni. Verificare l'esito attuativo dei provvedimenti e quindi degli interventi dei servizi – che sia l'uno o che sia l'altro – come anche verificare le modalità operative, deve essere necessariamente fatto insieme agli enti, altrimenti non ha senso, perché poi eventualmente il tribunale può soltanto prendere atto. Rimuovere le eventuali mancanze non è compito del tribunale, ma lo è o del comune e dell'assessorato o della Regione.
  Inoltre, a mio avviso è necessario, anzi fondamentale, un aggiornamento costante. I comuni e le ASL devono avere l'obbligo di comunicare al tribunale quali sono i servizi in essere, perché nel momento in cui viene emesso un provvedimento perfetto, in cui viene disposta la mediazione familiare piuttosto che l'ADE (Assistenza domiciliare educativa), ma il comune non ha questi servizi e il tribunale non lo sa – magari due mesi prima aveva questo servizio e non era un servizio integrato, ma a progetto che è terminato –, non è colpa di nessuno, perché il tribunale ha emesso un giusto provvedimento, il comune per svariate ragioni può non avere quel servizio, ma così il bambino e la famiglia rimangono nel limbo e bisogna attendere l'udienza successiva e semmai modificare quel provvedimento in modo tale da adattarlo ai servizi in essere.
  Il tribunale, le ASL e i comuni devono parlare tra di loro e devono comunicare quali sono i servizi attivi. Sembra una cosa semplice, ma vi assicuro che non lo è.
  Secondo me vi è anche un'altra problematica: i comuni, come le ASL, dovrebbero avere attivi dei servizi minimi. Noi abbiamo comuni nella provincia di Foggia in cui l'assessorato è fatto di ambiti, mentre vi sono casi di un unico assistente sociale per tre o quattro comuni, perché magari sono comuni piccoli che avranno 300, 400 o 500 abitanti o comunque sotto i mille abitanti. Che cosa succede? Che una volta a settimanaPag. 5 l'assistente sociale sta in tutti i comuni.
  La stessa cosa avviene per il consultorio. Ci sono questi comuni dei Monti Dauni, ad esempio, in cui l'unico consultorio di riferimento è quello del paese più grande. Immaginate la maggior parte di queste famiglie che è disagiata economicamente – che poi non sempre è un disagio economico, ma comunque sono in difficoltà – e che per due volte a settimana per sei mesi devono andare alle 5 di pomeriggio piuttosto che alle 11 di mattina a fare il loro percorso psicologico piuttosto che di supporto alla genitorialità nell'ASL, non lavorando, lavorando a nero, non potendo prendersi permessi o facendo lavori umili.
  Inoltre, il tempo sarebbe troppo lungo, perché un conto è che un genitore prende un giorno per una visita medica e un conto è un percorso che deve durare tre o quattro mesi, oltre al viaggio e tutto il resto.
  Sicuramente non è colpa di nessuno, però alla fine rimaniamo incancreniti in procedimenti lunghi e sospesi. Il procedimento dura perché semmai dopo quattro mesi il giudice dice: «Avete fatto il percorso?» e i genitori rispondono: «No». Il giudice chiede: «Perché?» e i genitori rispondono: «Perché non era attivo il servizio», «Perché io il giovedì lavoro.», «Perché non sono potuta andare tutte le volte, ma con grande sacrificio siamo andati due volte su dieci, perché più di tanto non potevo fare». Ovviamente il giudice dice: «Rinviamo.» perché vuole dare una possibilità alla famiglia.
  Per questo motivo è necessario un aggiornamento dei servizi presenti e disponibili da comunicare al tribunale.
  Un altro punto è: «Verificare il rispetto dei requisiti minimi strutturali ed effettuare i controlli presso le comunità». Anche questo è assolutamente necessario. Tuttavia, non solo è necessario verificare la congruità dei servizi offerti dalla comunità rispetto alla retta che viene pagata, ma anche verificare che quel comune paghi la retta, perché ci sono comuni molto morosi.
  La comunità, che ha non solo i bambini già con sé collocati, ma anche 10 dipendenti con 10 famiglie che hanno fatto affidamento su quel lavoro, stringe la cinghia ed elimina alcuni servizi.
  È necessaria non solo la congruità della retta con i servizi resi e offerti dalla comunità, ma anche la regolarità dei pagamenti da parte del comune, e sarebbe anche auspicabile un'omologazione delle rette da un massimo a un minimo, anche perché il minimo non deve diventare una guerra al ribasso tra le comunità. Facendo delle ricerche si può arrivare a quanto possa costare un bambino in comunità con determinati servizi.
  Un altro punto è: «Verificare che effettivamente sia garantito il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia». Per la legge italiana tutta la ratio e tutta la normativa in riferimento al minore è a protezione della famiglia. Questo però, considerando tutte le problematiche appena esposte, è sulla carta; di fatto ciò non avviene, perché nella vita dei bambini il tempo è un elemento fondamentale. Un bambino di 3 anni che entra in un tribunale, magari ci rimane due o tre anni perché la famiglia va supportata, perché la famiglia fa dei piccoli passi, a 6 anni è già un adulto.
  Questi interventi devono quindi essere veloci, efficaci e si deve verificare immediatamente se la famiglia è in condizioni di migliorare, altrimenti il bambino si lascia andare, non può rimanere vincolato e trascinato in una famiglia che non si è attivata. Dico «famiglia» in senso ampio, perché la nostra normativa ci dice che ci sono il padre, la madre e in caso di pregiudizio ci sono anche i parenti, quindi gli eventuali zii e gli eventuali nonni.
  Se la rete familiare regge, si vede subito. Se la famiglia è attiva, se la famiglia è consapevole, si vede subito. Possiamo anche dare il giusto tempo per il recupero, però questo giusto tempo deve essere in riferimento alla vita del minore, non in riferimento alla madre che continua a cadere – faccio un'ipotesi estrema – nell'alcool, nel gioco o nella droga.
  Il nostro punto di riferimento è il bambino, anche perché il bambino – forse sono un po' azzardata – ha diritto di vivere nella famiglia, ma nella famiglia giusta, nella Pag. 6famiglia che lo ama, nella famiglia che si prende cura di lui, che può essere la sua o un'altra. Questi sono i punti che volevo focalizzare rispetto all'inchiesta.
  Questa discussione non può prescindere dalla riforma del tribunale unico. Che cosa è successo? Ve lo spiego brevemente. Il Tribunale unico per i minorenni, le persone e la famiglia è stato voluto fortemente dalle associazioni di avvocati che si occupano di diritto di famiglia, come anche dagli stessi magistrati. Tuttavia, ci sono state delle piccole cose che non sono andate, e una di queste è la questione del giudice unico.
  Che cosa significa? Che nel Tribunale per i minorenni le decisioni vengono prese da un collegio di giudici che sono quattro: due togati – che hanno fatto il loro concorso in magistratura e sono a tutti gli effetti dei magistrati – e due onorari, che sono esperti e possono essere psicoterapeuti, educatori, quindi esperti in materie umanistiche in senso ampio.
  Nella pratica, nella realtà, che cosa succede? Succede che il giudice onorario si occupa dell'istruttoria o di gran parte dell'istruttoria, si occupa dell'ascolto dei minori, si occupa dell'ascolto dei genitori, dei nonni eccetera e poi le decisioni vengono prese in modo collegiale.
  Questa figura è fondamentale nel Tribunale per i minorenni o nel tribunale che si occupa delle persone, sia proprio per l'esperienza che questi giudici hanno, sia perché è fondamentale per lo stesso giudice onorario un confronto di impressioni.
  Sia come avvocato dei genitori che come avvocato del minore mi sono trovata in udienza con genitori con «gli occhi a palla», e ci siamo chiesti: «Avrà pianto? Ha fatto uso di sostanze? Aveva bevuto?», perché purtroppo queste sono le considerazioni che uno deve anche fare.
  Forse non è meglio che un giudice sia affiancato da un esperto anziché prendere la decisione da solo?
  Inoltre, vi è anche una questione pratica. In questo modo le udienze vengono svolte e l'istruttoria è lunga ed è giusto che lo sia, perché non puoi decidere su una famiglia in tre mesi e in tre udienze, ma è giusto che abbia dei tempi più lunghi. Che cosa succede? Che il giudice unico farebbe il lavoro che prima facevano due giudici, anche perché le udienze del Tribunale dei minorenni sono sostanzialmente tutte di ascolto. Il giudice giustamente convoca la madre, il padre, il curatore speciale o il tutore e i servizi. Anche se i servizi inviano la relazione, è giusto che ci sia un confronto tra il giudice e i servizi, perché nella relazione una persona non può scrivere le impressioni piuttosto che le sfumature che ha percepito. Il confronto dell'udienza è fondamentale quanto il parlare direttamente con i genitori.
  Oltre al fatto che le udienze durano ore – realmente un'udienza minorile può durare anche 4 o 5 ore e finire per sfinimento –, tutto questo sarà impossibile se svolto da un solo magistrato, perché di fatto il lavoro sulle sue spalle verrebbe totalmente raddoppiato.
  Inoltre, il processo minorile è un processo in continua evoluzione. Se accade qualcosa che può essere il rifiuto ad andare presso i servizi o anche una cosa positiva, il curatore che ne viene a conoscenza piuttosto che l'avvocato dei genitori o i servizi stessi lo dicono al giudice, il quale fissa un'udienza di verifica. Se questo giudice ha troppe procedure, non lo può fare o non lo può fare subito. Invece, in questo modo può delegare al giudice onorario.
  Per quanto riguarda gli interventi che sono fondamentali, perché di fatto quelli sono lo strumento per salvare la famiglia o lo stesso minore, spesso nei comuni gli interventi vengono appaltati a cooperative o ad associazioni – non è una scelta che condivido, però nella pratica è quella più semplice – e sono a tempo.
  Noi abbiamo i nostri fantastici incontri protetti che, grazie a questi progetti che durano sei mesi, non avvengono – parlo sempre della mia esperienza – in stanze con il neon, due scrivanie e nulla più, bensì in centri dove il bambino può trascorrere del tempo con il padre in modo normale, giocare eccetera. Dopo questi sei mesi la convenzione finisce e non ci sono più le risorse, manca la determina eccetera. In questo modo, il bambino che aveva iniziato un percorso positivo con il padre lo interrompePag. 7 e aspettiamo che il comune faccia di nuovo l'appalto, se lo fa – perché poi se finiscono i fondi, non lo fa – e ricominciamo. Quindi è tutto vanificato, o per lo meno lo è in gran parte. Dopo i sei mesi trascorre un anno, poi c'è l'udienza, la verifica e il procedimento dura due o tre anni.
  Per questo dico che è necessario che i comuni garantiscano dei servizi minimi in favore della famiglia e dei minori e che siano istituzionalizzati all'interno del comune, perché tutti questi strumenti sono di prevenzione ed evitano le comunità.
  Faccio un esempio pratico. Se un bambino vive in una famiglia complicata – lasciamo perdere le motivazioni che non devono essere tali da mettere in pericolo la sua vita – e il comune ha il suo bel centro diurno, il bambino va a scuola, mangia, va al centro diurno, fa i compiti, gioca e torna a casa alle 8. Se la madre riesce a portarlo a scuola e ad averne la cura minima, il bambino continua a vivere in famiglia. Perché deve andare in comunità? Se, ad esempio, la mamma lavora tutto il giorno e ha già delle sue problematiche e il bambino di 7 anni di prima elementare deve rimanere necessariamente a casa da solo – a causa del fatto che questa povera donna non ha nessuno – il bambino va in comunità, perché il comune non riesce a garantire quel minimo servizio come può essere il centro diurno, come può essere l'ADE domiciliare.
  Ad esempio, l'ADE domiciliare è uno strumento meraviglioso perché l'educatore va a casa: non solo l'educatore si occupa del bambino, ma si occupa anche della famiglia ed osserva, essendo ragazzi specializzati che offrono anche un supporto alle famiglie oltre a relazionare in modo costante il tribunale, perché un conto è l'assistente sociale che va due, tre, quattro o cinque volte ma è una visita domiciliare, e un conto è l'educatore che rimane lì a casa per due o tre ore e percepisce determinate dinamiche.
  Tra l'altro, sono tutti soldi risparmiati. Investire sui minori e sulla prevenzione significa soldi risparmiati alla giustizia, alla scuola, alla stessa società, oltre al fatto che si mette in circolo tante possibilità di lavoro.
  Infatti, ci sono tanti ragazzi che si sono specializzati come educatori, come mediatori in tutte queste nuove professioni che avrebbero uno sfogo enorme, ma il loro lavoro pagato è un risparmio quadruplicato per tutto quello che poi avviene, perché per un bambino che vive una situazione di disagio – come diciamo sempre noi – è necessario spezzare la catena, perché se no quel bambino diventerà un uomo con dei figli che avranno le stesse problematiche che ha subìto lui, come anche una donna mette al mondo una bambina che metterà sicuramente al mondo dei figli e la catena non si spezza mai. Non è detto che questa catena si debba spezzare perché il bambino va in adozione, ma si può spezzare anche rimanendo dentro la famiglia, ma deve essere una famiglia che va aiutata concretamente, altrimenti ci sarebbero le famiglie affidatarie professionali.
  Le famiglie affidatarie professionali potrebbero essere un'alternativa alla comunità, però sono famiglie che non hanno niente a che vedere con il circuito dell'adozione. Infatti, non hanno la volontà neanche lontana di volere adottare, ma sono totalmente parallele.
  Noi li chiamiamo «affidi professionali». Praticamente queste famiglie sono dei veri e propri volontari che andrebbero selezionati, formati e soprattutto non abbandonati, ma guidati, nell'accompagnamento del minore e nelle varie problematiche che il minore porterebbe nella loro vita.
  Questa potrebbe essere anche un'alternativa, ma va ben strutturata, ad esempio, anche con un albo professionale presso l'assessorato o con dei rimborsi a queste famiglie che siano forfettari, e non di tipo retributivo, ma semplicemente dei rimborsi «simbolici».
  È una strada percorribile perché sicuramente alle tasche del comune converrebbe più pagare, anzi rimborsare – «pagare» è bruttissimo – una famiglia che si offre volontaria piuttosto che una comunità. Allo stesso modo, anche il bambino nel periodo di crisi della sua famiglia vivrebbe in una famiglia che vedrebbe come Pag. 8gli zii, come degli amici dei genitori eccetera.
  Questa è una strada molto difficile per chi fa questa scelta. Infatti, chi fa questa scelta deve ben comprendere che, essendo un periodo temporaneo e di transizione del bambino, deve avere contatti con la famiglia e con i servizi. Per questo motivo va ben compreso che effettivamente è un impegno gravoso.
  L'interesse supremo del minore è sempre un bilanciamento di interessi: l'interesse a rimanere e a vivere nella sua famiglia; l'interesse a vedere chiuso un procedimento a suo carico nel breve termine; l'interesse a vivere serenamente; l'interesse all'amore; l'interesse alla felicità. È un bilanciamento.
  La stessa Corte di Strasburgo ci dice che il rispetto del principio alla vita familiare è sempre contemperato all'interesse del minore ed è necessario valutare la situazione caso per caso, perché il diritto minorile è quello. Il diritto minorile è caso per caso, quando vale la pena attendere, quando vale la pena dilungare un procedimento per anni, quando invece bisogna avere il coraggio di procedere all'adozione di un minore, perché sicuramente il giudice che prende questa decisione deve avere anche tanto coraggio.
  Vado a concludere. Quello che vi chiedo su cui riflettere sono l'effettività e la concretezza degli interventi, che siano essi dei servizi sociali o della ASL, sul minore e sulla famiglia, e il tempo. Il tempo sia degli stessi interventi – purtroppo spesso non è necessario procrastinare per anni, ma verificare e monitorare se effettivamente vale la pena continuare con questi interventi sulla famiglia – e ovviamente anche il tempo del processo. Queste sono riflessioni, io non ho la soluzione. Come ho già detto più volte, non ci sarà una legge perfetta. Anche se la legge è applicata in modo perfetto, ci vuole solo il buon senso. Purtroppo sì. Ci vuole sicuramente una buona legge, ma sempre applicata con il buon senso, anche perché noi qui non parliamo di scadenza di termini di deposito atti. Noi qua parliamo di inizio e fine dell'infanzia, parliamo di inizio e fine dell'adolescenza, e il nostro termine ultimo è il raggiungimento della maggiore età. Quello è il nostro unico termine: il raggiungimento della maggiore età. Quando il bambino diventa maggiorenne si chiude il procedimento e rimane tutto così. Poi purtroppo un'altra riflessione che faccio è che ho la consapevolezza che ogni volta che si apre un procedimento, seppure a tutela – perché i procedimenti minorili sono a tutela dei minori – quindi ogni volta che un cancelliere scrive il nome di un minore, abbiamo perso tutti. Ha perso la scuola, hanno perso le agenzie educative, ha perso lo Stato, ha perso il comune. Ha perso pure la parrocchia, che non si è accorta che quel bambino poteva avere delle problematiche che forse preventivamente potevano essere curate. Grazie per la vostra attenzione.

  PRESIDENTE. Ringrazio l'avvocato De Martinis. Io volevo fare una precisazione: le famiglie affidatarie professionali ovviamente non sono una categoria nazionale. Per quella che è la mia cognizione so che ci sono alcune regioni, come la Lombardia, che le hanno individuate e censite in un albo apposito. A questo punto sarà così anche in Puglia, e sono praticamente corrispondenti a quelle che dovrebbero essere le case-famiglia che ospitano più minori nelle altre regioni. Era una precisazione metodologica. Chiedo se qualcuno vuole fare domande, anche da remoto. Do la parola all'onorevole Menga, in presenza.

  ROSA MENGA. Grazie, presidente. Partirò forse dall'ultima riflessione, che era anche una richiesta rivolta alla Commissione dall'avvocato De Martinis, perché ci diceva di avere particolare cura del tempo trascorso e anche dell'effettività dei provvedimenti assunti quando questi sono rivolti ai minori. Le mie domande si prefiggono di approfondire entrambi questi aspetti. Poiché faceva riferimento alle funzioni che la legge istitutiva di questa Commissione ci affida, tra queste funzioni c'è anche quella di verificare l'effettiva temporaneità dell'affido fuori famiglia.
  Nella sua esperienza professionale, quanto realmente l'affido fuori famiglia è Pag. 9una misura che rappresenta l'estrema ratio, cioè una misura a cui si ricorre soltanto quando effettivamente tutte le altre strade sono state esperite, considerate e magari fallite, e quanto realmente sia una misura temporanea? Il mio timore, l'idea che mi sto facendo anche nello svolgimento delle audizioni, è che spesso, per mancanza o per carenza di servizi, per carenza di dialogo tra tutti gli enti coinvolti nella gestione di ogni singolo caso, perché ogni caso è un caso a sé – diceva anche lei prima che la carenza di dialogo tra il tribunale, i comuni e le ASL spesso produce dei provvedimenti che non possono avere un effetto concreto perché quel servizio non viene erogato – spesso poi a farne le spese sia di fatto il minore, che viene tenuto lontano dalla famiglia d'origine, nelle more che si facciano tutti i dovuti approfondimenti, che si svolgano tutte le dovute istruttorie, ma che cresca poi – perché gli anni passano e passano in fretta – al di fuori di un ambiente familiare, che sia quello di origine o che sia quello, laddove non è possibile nell'immediatezza recuperare un rapporto con i genitori, di una famiglia affidataria. Quello che volevo sapere in prima istanza è proprio se di fatto, nella sua esperienza professionale, ci sono dei casi dove purtroppo il minore finisce in una comunità semplicemente perché non si è riusciti a evitarlo e a rispettare l'interesse effettivo del minore, che invece è quello di crescere in un contesto familiare.

  MARIA EMILIA DE MARTINIS. In un buon contesto familiare.

  ROSA MENGA. In un buon contesto familiare, questo senz'altro. La seconda domanda è connessa alla prima. Magari è molto banale, ma serve a me per comprendere meglio quello che accade. Quando effettivamente un giudice emette un provvedimento che fa riferimento a un servizio e quel servizio in quel territorio non viene erogato, cosa accade? Nel frattempo il bambino che fine fa? Un'ultima domanda riguarda l'esperienza regionale, a questo punto non nazionale, delle famiglie affidatarie e professionali. Poiché ha citato, e condivido assolutamente, la necessità di selezionarle, di formarle e di sostenerle anche nel tempo, al momento cosa le risulta che venga fatto già? Già c'è effettivamente una sorta di filtro, quindi un albo che viene già tenuto, o è previsto un rimborso? Quanto di tutto questo è già realtà e quanto dovrebbe ancora essere fatto, secondo lei? Grazie.

  PRESIDENTE. Vi chiedo di fare delle domande più sintetiche, sennò ci perdiamo troppo. Vuole rispondere adesso o vuole un'altra domanda?

  MARIA EMILIA DE MARTINIS. Possiamo sentire anche un'altra domanda.

  PRESIDENTE. L'onorevole Giannone, e poi c'è l'onorevole De Lorenzo. Prego.

  VERONICA GIANNONE. Grazie, presidente. Grazie all'avvocato De Martinis. Cerco di essere più veloce. Lei a un certo punto ha detto: «Il bambino si lascia andare nei casi in cui c'è una famiglia complicata, quando ci si rende conto che quella famiglia non può essere aiutata o non si è resa disponibile a un aiuto tale da poter essere la famiglia accudente e adatta al bambino». Poi fa però anche un esempio di famiglia complicata, parlando di una madre costretta a lasciare tutto il giorno il bambino in casa, o comunque a scuola, perché lavora tutto il giorno, è sola e quindi non ce la fa. Questo può essere veramente un caso in cui bisognerebbe dire che il bambino va lasciato andare? Questo le chiedo.

  MARIA EMILIA DE MARTINIS. No, assolutamente no.

  VERONICA GIANNONE. Bene, termino il concetto. Io mi occupo, ormai da quando sono entrata qua dentro, di tantissimi casi di quelle che vengono dichiarate «famiglie complicate» – molte volte si usa il termine «conflittuali» – nelle quali ci si ritrova ad avere delle separazioni non così tranquille, e sia una parte che l'altra richiedono di poter avere il bambino con sé. Mettiamola così. In questi casi molte volte, anche dopo Pag. 10denunce di violenze, maltrattamenti eccetera, c'è l'inserimento, e lei lo sa meglio di me in quanto avvocato, di un consulente tecnico di ufficio definito CTU. A noi risulta, da tantissimi casi che abbiamo, che sono sempre più numerosi i bambini allontanati dall'ambito familiare non per motivazioni legate all'articolo 403 del codice civile, che lei conoscerà meglio di me e che comporta un allontanamento veloce e urgente, sulla base di problematiche gravi o possibile abbandono, possibile maltrattamento all'interno dell'ambito familiare, bensì legate molte volte solo a una perizia di questo consulente tecnico, che dovrebbe essere l'esperto nominato dal tribunale e che fa una valutazione psicologica tecnicamente astratta, perché è un'interpretazione di quello che lui vede sulla base di determinati test psicologici, o dinamiche interne all'ambito familiare o relative a ognuno dei genitori, per valutarne la capacità genitoriale. Questi casi che noi abbiamo, e sono centinaia, molto spesso, sempre più spesso – non ultimi due allontanamenti dell'ultima settimana fatti anche in modo forzoso con le forze dell'ordine anche in divisa e con forza e aggressione nei riguardi di bambini che gridavano di non voler essere portati via – allontanano dei bambini solo per motivazioni legate a dei costrutti astratti e ascientifici non riconosciuti. In quei casi allora io le chiedo: si può arrivare a dire che il bambino si lascia andare? Quelli non dovrebbero essere i motivi per i quali dovrebbero andare i bambini in casa famiglia; invece questo avviene. Io mi chiedo: la casa famiglia ha da guadagnare da questo? Se noi siamo qui a fare una Commissione d'inchiesta è perché abbiamo avuto motivazioni di richiederla e oggi ci troviamo con tantissimi casi in cui in realtà il bambino diventa uno scopo economico. Invece, rispondendo alla sua domanda, quando lei parla dell'effettiva concretezza, di interesse del minore eccetera, in quel caso, probabilmente, non bisogna dare soldi forfettari, un compenso forfettario, bensì bisognerebbe fare in modo che chiunque abbia la possibilità, tramite vittoria di un appalto, di gestire case famiglia, cooperative e quant'altro, dichiari effettivamente quanto spende per ogni bambino e venga rimborsato soltanto per la spesa effettivamente effettuata. Solo così forse potremmo arginare la questione economica, altrimenti sarà sempre solo interesse economico – non di tutti, ma di diversi – e non interesse del bambino e del suo benessere.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Giannone. Avvocato, se vuole può rispondere adesso, dopodiché abbiamo altri quattro interventi prenotati.

  MARIA EMILIA DE MARTINIS. Va bene, posso rispondere adesso. Per quanto riguarda il collocamento in comunità come extrema ratio, sicuramente è un'extrema ratio, anche perché nel momento in cui un servizio non dovesse essere attivo, con il giudice minorile si interloquisce, quindi gli stessi servizi che si vedono arrivare il provvedimento notiziano il tribunale che fissa un'altra udienza, oppure lo stesso curatore, che ha proprio il compito di accertare nel mentre l'andamento, si informa presso i servizi di che cosa sta succedendo. La mia non è una risposta netta, però è chiaro: non è che perché non c'è quel servizio il bambino deve andare in comunità. Assolutamente no.
  Per quanto riguarda il discorso della CTU, ovviamente il CTU è un consulente. È chiaro che essendo un consulente esperto, il giudice tiene conto delle sue valutazioni. Ma io non ho contezza, per la mia esperienza ma anche in generale per il mio tribunale, di bambini collocati per quelle motivazioni. La mia esperienza è che spesso nei casi di conflittualità, conflittualità seria, conflittualità che non permette al bambino di crescere serenamente, il collocamento in comunità viene visto non come strada per l'adozione del bambino, ma viene visto come un ambiente neutro nel quale eventualmente a bocce ferme poter lavorare sulla conflittualità dei genitori e sullo stesso minore. Però, ripeto, non ho contezza dell'esperienza che lei mi porta. Questa è una mia valutazione. Non ho esperienza diretta né nel mio tribunale e né professionalmente.

  VERONICA GIANNONE. Mi perdoni se mi permetto. Lei sta dicendo che, in un Pag. 11caso di conflittualità tra genitori, il bambino deve essere punito e inserito in una casa famiglia?

  MARIA EMILIA DE MARTINIS. Io non ho detto che...

  VERONICA GIANNONE. Non vuole utilizzare il termine «deve», ma lei sta dicendo che comunque un bambino va messo nella casa famiglia. Non è tutelativo per lui.

  PRESIDENTE. Un attimo solo, perché mi sembra che abbia risposto diversamente. Ha detto che non ha contezza di questa esperienza.

  VERONICA GIANNONE. Sì, non ha contezza, però se l'avvocato dice che nel momento in cui c'è una conflittualità si pensa di allontanare il bambino per far lavorare i suoi genitori e nel frattempo metterlo in una casa famiglia, mi scusi, ma mi sembra veramente un'assurdità.

  PRESIDENTE. Onorevole Giannone, ha già risposto. Avvocato, continua a rispondere o procediamo con le altre domande?

  MARIA EMILIA DE MARTINIS. A seconda del tempo. Decida lei, presidente. Come vuole.

  PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole De Lorenzo, e poi da remoto all'onorevole Bellucci.

  RINA DE LORENZO. Grazie, presidente, e grazie all'avvocato per la relazione. C'è un filo sottile che unisce la violenza di genere sulle donne e l'affido dei minori. La violenza di genere è un'emergenza nazionale che non possiamo sottovalutare. È una violenza domestica che si consuma all'interno della casa, anche con il coinvolgimento dei figli. Figli che sono vittime dirette o indirette di abusi e maltrattamenti sulla donna durante la convivenza. Ma c'è anche una seconda fase, forse quella più delicata, la fase successiva, quella della separazione, in cui è a rischio il coinvolgimento dei minori da parte proprio del partner violento. Spesso i minori sono utilizzati come strumento per reiterare i maltrattamenti anche solo psicologici a carico delle donne. Le madri che denunciano eventi di violenza domestica trovano spesso difficoltà all'interno del processo nell'ottenere l'affidamento esclusivo. Rischiano di trovarsi accusate di quella che viene definita «alienazione parentale». Sulla base della sua esperienza, quanto lei ritiene siano realmente indagate le situazioni di violenza di genere tali da determinare come conseguenza poi l'affido addirittura esclusivo e forse anche a favore del partner violento? Di fronte al rifiuto del figlio minore di incontrare il genitore violento, quali strumenti vengono messi in campo nel processo per evitare che la strategia tesa a occultare l'evidenza dei comportamenti violenti abbia il sopravvento? Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole De Lorenzo. Prego, onorevole Bellucci.

  MARIA TERESA BELLUCCI. Grazie, presidente. Ringrazio per l'audizione che abbiamo ascoltato, ringrazio l'avvocato e arrivo subito alle domande. Mi riservo in questo caso di poter poi proporre anche delle domande scritte. Volevo sapere dall'avvocato se lei ha contezza, rispetto alla sua esperienza, della quantità dei giudici togati che ascoltano i minori, cioè se lei ha esperienza e in quale percentuale, o se comunque è una percentuale significativa, percentuale che vede il giudice togato ascoltare direttamente il minore prima di addivenire a una decisione e quindi poi o di decretare oppure di fare una sentenza in funzione del tribunale competente per definire quella situazione.
  Volevo anche sapere che cosa ne pensasse lei e quanto ha visto applicata l'adozione mite dal momento che parlava del disagio che vive un minore, o almeno a me sembra di avere compreso che sottolineava quanto un minore possa vivere una situazione di afflizione, di difficoltà, rispetto a una definizione che viene procrastinata nel tempo e che quindi non vede un tempo giusto per il minore nella definizione della migliore situazione che possa sostenerlo da Pag. 12un punto di vista educativo e possa dargli dei riferimenti e delle basi sicure. In questo caso le chiedo che cosa pensa dell'adozione mite e quanto l'ha vista applicata dopo i due anni di affidamento che vengono previsti per legge.
  A questo poi aggiungo un'altra domanda. Le chiedo, rispetto al curatore e al difensore che non viene nominato sempre d'ufficio, nel caso in cui non venga nominato chi dà voce al minore e secondo lei se viene data voce al minore, e quindi se i bisogni, i desideri, le difficoltà del minore riescono ad arrivare all'attenzione del giudice che poi va a definire le conseguenze rispetto alla problematica che evidentemente riguarda quel minore.
  Inoltre, rispetto a delle indagini conoscitive che sono state fatte dalla commissione bicamerale per l'infanzia e l'adolescenza nel triennio 2015/2018, è stato osservato come una percentuale significativa dei minori – intorno al 40 per cento – viene allontanata dalla famiglia per motivazioni di carattere economico. Noi sappiamo che la legge esclude tutto questo, ma nonostante la legge lo escluda noi abbiamo registrato, attraverso la lettura di questa indagine fatta dalla commissione bicamerale per l'infanzia e l'adolescenza, che purtroppo invece una quota importante di minori viene allontanata per questioni di carattere economico. Chiedo all'avvocato se ha esperienza di ciò nella sua attività, e se anche lei ha potuto constatare che gli allontanamenti dei minori in numero significativo avvengono per ragioni di carattere economico. Queste sono le domande che pongo adesso, e poi mi riservo di poterne aggiungere altre per iscritto in maniera tale da poter essere corrispondente ai tempi che sono stati dettati dalla presidente. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, onorevole Bellucci. Do la parola all'onorevole Ascari, in presenza, poi c'è la senatrice Binetti collegata da remoto.

  STEFANIA ASCARI. Grazie, presidente. Volevo chiedere all'avvocato se, in base alla sua esperienza o in base al tribunale del foro di appartenenza, sia a conoscenza di situazioni in cui un minore viene allontanato nel momento in cui la figura genitoriale, nella maggior parte dei casi la madre, presenta denuncia di violenze fisiche, maltrattamenti in famiglia. Quindi le chiedo se le è mai capitato personalmente o è a conoscenza di un caso di questo tipo, e se ha mai letto, all'interno di un provvedimento del giudice o di un CTU, che una causa pregiudizievole a danno della madre sia il fatto di essere una madre troppo amorevole. Quindi le chiederei se in base alla sua esperienza ha avuto conoscenza di situazioni di questo tipo.

  PRESIDENTE. Prego senatrice Binetti, da remoto.

  (sono presenti problemi di audio nel collegamento con la senatrice Binetti)

  PRESIDENTE. Poiché sono presenti problemi di audio nel collegamento con la senatrice Binetti, do nuovamente la parola all'avvocato De Martinis, se vuole intanto dare alcune risposte. Dopo avrei anche io qualche domanda. Prego.

  MARIA EMILIA DE MARTINIS. Relativamente all'ipotesi di allontanamento perché la madre è troppo amorevole la risposta è no, così nuda e cruda ovviamente no. Ci sono eventualmente tante sfumature, però va tutto contestualizzato. Quindi alla domanda diretta le rispondo di no. Per quanto riguarda l'allontanamento in caso di violenza, io non mi ci sono mai trovata. Nel momento in cui c'è violenza sulla madre – quindi procedimento penale – con tutta una serie di servizi a tutela della madre, tutt'al più madre e figlio vengono collocati in comunità semmai anche protette a protezione del restante nucleo familiare. Questo in una prima fase. Poi si apre il procedimento penale, si apre il procedimento minorile a tutela del minore, e quindi inizia tutta l'indagine a protezione di madre e minore.
  Forse preferisco rispondere per iscritto alle domande circa la violenza di genere sulle donne, comunque circa casi di violenzaPag. 13 in generale, che poi aprono il procedimento minorile. Riguardo alla domanda sul curatore, al tribunale per i minorenni il curatore viene sempre nominato. Innanzi al tribunale ordinario non sempre il curatore speciale del minore viene nominato, anche se nell'esperienza del mio tribunale, quindi del Foro di Foggia, adesso viene nominato sempre di più. Per quanto riguarda l'ascolto del minore, anche in questo caso se vuole posso approfondire la statistica, però al tribunale per i minorenni è proprio prassi costante e periodica l'ascolto del minore. Anche al tribunale ordinario, nel senso che il minore almeno una volta viene ascoltato. Quindi parliamo di affidamento di figlio naturale e di separazioni o divorzi: nella mia esperienza i minori vengono ascoltati.

  PRESIDENTE. Visto che la senatrice Binetti mi ha inoltrato la domanda per iscritto, la leggo: «Non c'è mai stato un ritorno a casa di un bambino allontanato dalla famiglia, o a volte c'è stato l'effetto paradossale di un bambino allontanato perché la mamma accusava il papà magari di giochi erotici, e poi il bambino è stato affidato al papà accusando la madre di presunta PAS (presunta sindrome di alienazione parentale)?». Chiederà, immagino, la sua opinione in merito.

  MARIA EMILIA DE MARTINIS. È un caso particolare.

  PRESIDENTE. Sì, io credo che chiederà la sua opinione in merito.

  MARIA EMILIA DE MARTINIS. Chiedo se può riformulare la domanda per iscritto, di modo che io possa rispondere per iscritto. Così non mi sento di dare una risposta.

  PRESIDENTE. Va bene. Senatrice Binetti, le chiedo se ci invia per e-mail all'indirizzo della Segreteria della Commissione la domanda per iscritto. Io invece ho altre domande che fanno riferimento all'esperienza che lei vive nel suo lavoro. In relazione alla questione delle comunità, nella sua esperienza professionale ha visto più comunità con progetti per i minori o comunità con carenza di queste progettualità? Chiaramente, quando un minore viene allontanato dalla famiglia deve essere formulato un progetto, e questo progetto deve essere anche attuato dalla comunità o dalla famiglia affidataria. E ci deve essere anche qualcuno che verifichi i risultati di questo progetto. Volevo quindi chiederle se lei ha avuto modo di vedere che c'è stato un progetto, se questa progettualità ha avuto un esito positivo e se è stato rispettato. Lei ci raccontava di quelle che sono le indicazioni che dava al tribunale dei minorenni e ai servizi sociali. Sui servizi sociali abbiamo un focus e una grande attenzione, perché sappiamo che gli enti locali spesso non possono offrire i servizi adeguati e c'è una carenza dei servizi sociali che si occupano dei minori.
  Poi le chiedevo se nella sua esperienza ha visto più esiti positivi, quindi ricongiungimento con la famiglia di origine, o nei percorsi comunitari o nei percorsi di affido familiare. Oppure se ci siano state – per quello che abbiamo capito dalle audizioni che abbiamo fatto finora – più evoluzioni come adozione oppure se questi bambini siano rimasti collocati presso la famiglia affidataria o presso la comunità.
  Ho un'altra domanda che mi è stata indicata, che richiama un po' quello che ha chiesto l'onorevole Bellucci. Le chiedo se oltre i 24 mesi, a suo parere o secondo quello che ha seguito, sia ancora affido, o se invece si apra il percorso verso l'adottabilità, o si verifica un caso di adozione mite.
  Un ultimo aspetto su cui le volevo fare una domanda era il problema dei controlli. Abbiamo chiesto la parte della progettualità, ma anche un discorso di controlli. Chiedo se lei sia a conoscenza di controlli che vengono effettuati e da parte di chi, nelle varie comunità, nelle case famiglie, nelle famiglie affidatarie o negli istituti dove i minori vengono collocati. Grazie.

  MARIA EMILIA DE MARTINIS. Di controlli amministrativi non ho contezza. Il mio controllo è personale, perché se sono nominata tutore, curatore, avvocato, ma anche avvocato della madre, cerco di rendermiPag. 14 conto in comunità di che cosa accade. Poi, ovviamente, vi è il feedback degli assistenti sociali. Però io non ho contezza di come avvengano i controlli amministrativi e se avvengano. Lei ha indicato l'adozione mite: a mio parere l'adozione mite sarebbe veramente uno strumento fantastico. Tra l'altro l'adozione mite nasce nel tribunale per i minorenni dove opero, proprio come progetto, con presidente il dottor Occhiogrosso. Però non ha preso molta piega, non è andata. In tanti casi noi l'abbiamo anche chiesta, specialmente per minori già un po' più grandi, quindi 15, 16, 17 anni. L'adozione mite potrebbe essere un bel strumento, però anche in quel caso comporta una preparazione di tutte le parti. Le due famiglie devono chiaramente interagire, perché in caso di adozione mite il bambino continua il suo rapporto anche con la famiglia, quindi secondo me è un buon strumento, però a mio parere in una fascia più alta di età. Per ragazzi più grandi, per evitare che gli stessi possano rimanere in comunità o tornare in famiglie ove magari non hanno superato le loro fragilità, potrebbe essere un'ottima soluzione perché il ragazzo continuerebbe il suo contatto con la famiglia.
  Per quanto riguarda i progetti e le comunità, sempre in teoria il minore nel momento in cui viene collocato in comunità comunque continua a essere affidato ai servizi. I servizi devono comunque continuare a relazionare sulla vita del minore. Sulla carta la comunità deve continuare a interagire con i servizi del comune e quindi integrare i servizi offerti dalla stessa comunità con quelli del comune. È chiaro che poi i progetti della comunità vanno contestualizzati, nel senso che anche in prospettiva di una crescita del minore all'interno della comunità sarà la stessa comunità che organizza i propri progetti, la propria quotidianità. Però, ripeto, io non ho contezza di controlli amministrativi o di normativa circa l'organizzazione interna della comunità.

  PRESIDENTE. Io le chiedevo l'esito, cioè se questi progetti siano stati fatti, se siano stati poi attuati e quindi se il minore ha avuto un beneficio. Questo era il discorso.

  MARIA EMILIA DE MARTINIS. Ho vari feedback. Ho feedback di ragazzi di 18 anni affidati alla comunità, di ragazzi collocati in comunità oltre il ventunesimo anno di età e rimasti in comunità. In comunità lavorano, quindi è positivo perché sono rimasti all'interno della comunità. Ho esperienza di ragazzi che hanno raggiunto la maggiore età in comunità e hanno trovato lavoro. La mia esperienza è varia, devo dire la verità. Ho contezza di minori che sono tornati in famiglia, anche in casi nei quali in realtà questa famiglia non si è totalmente salvata, nel senso che non è totalmente guarita dalla sua pregiudizialità; questo però non tanto da non potere far tornare il ragazzo indietro. Ho varia contezza, come anche delle adozioni favolose, in cui il minore è totalmente abbandonato, anche in ospedale o davvero in stato di abbandono, e ha una vita fantastica. È molto varia la mia conoscenza rispetto agli esiti.

  PRESIDENTE. Benissimo. Se non ci sono altre richieste, io avrei una curiosità ulteriore. Lei dice che è riuscita ad andare a fare i controlli nelle comunità, negli istituti e anche tra le famiglie...

  MARIA EMILIA DE MARTINIS. Non controlli...

  PRESIDENTE. Però ha avuto accesso.

  MARIA EMILIA DE MARTINIS. Come curatore puoi entrare in comunità. Anche sentendo i ragazzi ti rendi conto di quello che fanno, perché se hai un contatto diretto – non dico giornaliero però costante – e chiedi: «Che hai fatto? Che non hai fatto?» ti rendi conto delle situazioni dal suo racconto.

  PRESIDENTE. Comunque sia è un incontro concordato con la struttura.

  MARIA EMILIA DE MARTINIS. Si e no. Semmai può capitare che chiamo e dico: «Sono in zona, sto venendo». Forse sono anche andata direttamente, e mi hanno aperto. Io non ho mai avuto una chiusura da parte delle comunità.

Pag. 15

  MARIA TERESA BELLUCCI. Mi scusi presidente, chiedo la parola.

  PRESIDENTE. Prego onorevole Bellucci, da remoto.

  MARIA EMILIA DE MARTINIS. Grazie, presidente. Avevo fatto una domanda rispetto al giudice togato. Chiedevo, secondo l'esperienza dell'avvocato, quante volte il giudice togato ascolta il minore prima di addivenire a una decisione: cioè se secondo lei e la sua esperienza vi sia una prassi consolidata secondo la quale il giudice togato ascolta sempre il minore personalmente prima di addivenire a una decisione, oppure se nella sua esperienza questo non avviene sempre. Nel caso non avvenga sempre, con che percentuale, e secondo lei come mai questo non avviene. Grazie, presidente. Mi scusi.

  PRESIDENTE. Avvocato De Martinis, se vuole può rispondere.

  MARIA EMILIA DE MARTINIS. Percentuali non ne ho da dare. In ogni caso, per la mia esperienza, il giudice togato ascolta il minore; quindi parliamo di separazione, divorzi e affidamenti.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altre richieste di intervento ringraziamo l'avvocato De Martinis e dichiaro conclusa l'audizione. Riprenderemo i lavori in Commissione plenaria dopo lo svolgimento dell'Ufficio di Presidenza.

  (La seduta in Commissione plenaria è sospesa dalle 14.05 alle 14.15 per lo svolgimento dell'Ufficio di Presidenza)

Comunicazioni della Presidente.

  PRESIDENTE. Comunico che l'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha convenuto di avviare un approfondimento sulla recente risoluzione del Parlamento europeo del 6 ottobre 2021, relativa all'impatto della violenza da parte del partner e dei diritti di affidamento su donne e bambini. Comunico inoltre che sono pervenuti alla casella funzionale della Commissione tre esposti, riservati. Come già deciso nello scorso Ufficio di presidenza, gli esposti pervenuti saranno trasmessi, per approfondimenti, ai competenti comandi dell'Arma dei Carabinieri. Comunico inoltre che, in data 15 settembre 2021, il tenente colonnello Alfredo Antro ha prestato il prescritto giuramento come ufficiale di collegamento tra la Commissione e l'Arma dei Carabinieri.

  La seduta termina alle 14.20.