XVIII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni

Resoconto stenografico



Seduta n. 20 di Mercoledì 28 ottobre 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 3 

Audizione di rappresentanti dell'Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia:
Baldoni Diego , responsabile per le politiche culturali dell'Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia ... 3 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 5 
Dell'Atti Luca , segretario nazionale dell'Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia ... 5 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 7 
Dell'Atti Luca , segretario nazionale dell'Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia ... 7 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 8 
Baldoni Diego , responsabile per le politiche culturali dell'Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia ... 8 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 9 
Dell'Atti Luca , segretario nazionale dell'Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia ... 9 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 9 

Audizione di rappresentanti della Società italiana del dottorato di ricerca:
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 9 
Costantino Claudio , vicepresidente della Società italiana del dottorato di ricerca ... 10 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 10 
De Lucia Antonio , presidente della Società italiana del dottorato di ricerca ... 10 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 11 
Costantino Claudio , vicepresidente della Società italiana del dottorato di ricerca ... 11 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 18

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ERASMO PALAZZOTTO

  La seduta comincia alle 14.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche tramite impianto audiovisivo a circuito chiuso, nonché via streaming sulla web-tv della Camera, come convenuto in sede di Ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi.

Audizione di rappresentanti dell'Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia.

  L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti dell'Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia.
  Con tale audizione, la Commissione prosegue il filone d'indagine relativo alla sicurezza dei ricercatori italiani all'estero, avviato prima della pausa estiva e ripreso nel corrente mese con l'audizione della CRUI. Ringrazio per la disponibilità immediatamente manifestata a collaborare con la Commissione, il dottor Luca Dell'Atti, segretario nazionale dell'ADI, e il dottor Diego Baldoni, responsabile per le politiche culturali, che sono collegati da remoto.
  Ricordo che la seduta odierna si svolge nelle forme dell'audizione libera e che, ove necessario, i lavori potranno proseguire in forma segreta, sia a richiesta dell'audito che dei colleghi che formuleranno quesiti od osservazioni.
  Ricordo, altresì, ai colleghi la prescrizione di indossare la mascherina, anche quando prenderanno la parola, come è ormai prassi in Assemblea.
  Invito pertanto il dottor Baldoni a prendere la parola.

  DIEGO BALDONI, responsabile per le politiche culturali dell'Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia. Ringrazio il presidente e tutti i commissari per questa audizione. Ci teniamo molto oggi a essere qua come Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia, proprio perché vogliamo manifestare la nostra più profonda vicinanza alla ricerca della verità storica e politica su quanto accaduto a Giulio, perché Giulio era uno di noi. Era un dottorando di ricerca e nello specifico uno dei tanti ragazzi e ragazze che hanno provato nel nostro Paese, e ci sono riusciti anche all'estero, a proseguire un'attività nobilissima, quale appunto quella della ricerca che in questo periodo sappiamo essere vitale. Come non ha mancato di ricordare il Presidente della Repubblica Mattarella in uno dei suoi discorsi, andare all'estero è un'occasione estremamente formativa per tutti noi, ma poi nel momento in cui non si fa ritorno nel nostro Paese significa assistere a una sconfitta, significa mettere a servizio di qualche altro Paese che ne usufruirà le peculiarità di noi ricercatori italiani. Nello specifico, la storia di Giulio è questa, è proprio una storia legata a chi è dovuto uscire dai confini nazionali per andare a proseguire la sua attività, che è appunto un'attività legata al dottorato di ricerca. Vale la pena ricordare che rappresenta attualmente il più alto grado di formazione all'interno del nostro Paese. In pochi lo sanno, in moltissimi ignorano purtroppo che quella che svolgeva Giulio in Egitto era un'attività che rappresentava questo grado di formazione e nello specifico costituiva una ricerca nell'ambito delle Pag. 4scienze umane. Dunque non si trattava di costruire grafici o di studiare il PIL, ma significava andare all'interno della società per effettuare quella che noi chiamiamo solitamente una ricerca partecipata, quindi andare a parlare con la gente del luogo, con gli ambulanti nel suo caso specifico, ma ricordiamoci che in agenda Giulio aveva anche incontri con ministri, giornalisti, professori. Soprattutto nel caso delle scienze umane, il cuore dell'attività è andare a sviluppare un confronto diretto con quello che è l'oggetto della ricerca. Tutto ciò ha fatto sorgere dubbi sin da subito sul perché Giulio stesse lì e conoscesse questi ambienti, quando invece ciò rappresentava sostanzialmente una necessità affinché potesse svolgere correttamente e nel miglior modo possibile ciò a cui era chiamato. Dunque fin da subito questa mancata consapevolezza su cosa stesse svolgendo Giulio al Cairo ha fatto sì che si generassero delle illazioni, delle ipotesi e lo si immaginasse come qualcosa di diverso. Era semplicemente un dottorando di ricerca. Questa è la prima cosa che vogliamo ripristinare, l'immagine di Giulio, Giulio come un nostro collega, seppur al momento all'estero. Quello che vogliamo dire è proprio che in questa tragedia che si è sviluppata successivamente, si è immaginato di andare ad additare proprio Giulio, che ne era la vittima, proprio come tale o dall'altra parte, invece, come un eroe. Ecco Giulio, non era né l'una né l'altro. Era un ragazzo che aveva dei precisi scopi in quel momento e ancor più aveva tutta la preparazione per poterli andare ad affrontare. Ricordiamo che Giulio si trovava lì non per caso, ma questa sua indagine sul campo, la svolgeva anche e soprattutto perché conosceva l'arabo e conosceva bene l'Egitto. Ricordiamo che Giulio nel 2009 è stato proprio in Egitto per imparare la lingua, conosceva l'arabo, lo abbiamo visto anche nei video che drammaticamente ritraggono i suoi ultimi istanti di vita e a colloquio con quelli che poi saranno stati i suoi traditori, ma Giulio era stato lì al Cairo anche tra il 2012 e il 2013 come stagista per l'ONU, per un progetto di sviluppo industriale. Dunque noi ci teniamo non soltanto a ricordare che Giulio fosse un dottorando di ricerca, ma che fosse preparato a quel ruolo, come caratteristiche personali e anche nella pienezza della condizione di ciò che andava a fare. Questo lo sapeva benissimo la sua docente tutor. Ogni dottorando di ricerca ha un docente o una docente tutor che hanno l'incarico di guidare, pertanto, in questo percorso formativo. Nel suo caso specifico la docente tutor, seppur a Cambridge, era egiziana, sapeva benissimo, molto meglio di Giulio, dove stava andando. Per quanto la nostra non sia una professione e non siamo riconosciuti come lavoratori, noi affermiamo che, in un certo senso, Giulio è proprio morto sul lavoro, è morto mentre stava svolgendo una ricerca. Ripristinare la corretta visione di chi fosse Giulio è fondamentale per andare poi a capire cosa sia successo. Proprio nell'ambito della Commissione dinanzi alla quale oggi siamo auditi, cosa della quale ancora ringraziamo, vorrei ribadire, anche come responsabile per le attività culturali della nostra associazione, che l'unico antidoto alla paura, alla vergogna e a tutto quello che tantissimi ricercatori stanno subendo in Egitto, insieme a tutta la popolazione che in questo momento è soggiogata da una dittatura, da un regime, l'unico antidoto a tutto ciò è la conoscenza.
  Giulio era lì anche e soprattutto per ribadire questa istanza, proprio perché la sua era innanzitutto una ricerca oltre che partecipata, generosa. Per questo motivo speriamo che in questa sede possa ripristinarsi anzitutto la dimensione etico-morale della ricerca tanto cara a Giulio e che Giulio stava pienamente svolgendo. Dunque noi salutiamo il lavoro della Commissione d'inchiesta esattamente come ha fatto l'Aula, con un grandissimo applauso. Nessuno si è dichiarato contrario alla delibera istitutiva e siamo certi che il vostro lavoro potrà contribuire a restituire una verità a Giulio, alla sua famiglia, ma anche a tutta la comunità all'interno della quale è inserita, fra cui ci siamo anche noi, dottorandi e dottori di ricerca in Italia. Vi ringrazio e lascio la parola al nostro segretario Luca Dell'Atti.

Pag. 5

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Dell'Atti.

  LUCA DELL'ATTI, segretario nazionale dell'Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia. Grazie presidente e onorevoli componenti della Commissione. Proverò davvero in pochi minuti a portare un contributo che è esattamente complementare al discorso avviato dal dottor Baldoni, che provi a portare un contributo politico, intendendosi tale un contributo in termini di breve analisi e uno o due piccoli spunti di proposta, in ragione del fatto che come associazione di dottorandi e dottori di ricerca in Italia, rappresentiamo svariate categorie, a partire dai dottorandi passando per i postdoctoral researchers e arrivando a tutti i precari della ricerca, che si pongono costantemente la questione di dover andare a compiere dei periodi di ricerca all'estero.
  Non sto certamente a sottolineare per quale motivo ciò si verifica, ma senza dubbio in ragione della vocazione transnazionale della ricerca e in secondo luogo in ragione del fatto che l'Unione europea e a cascata gli Stati nazionali, gli enti locali, le università insistono da oramai circa venti, venticinque anni costantemente sull'esigenza dell'internazionalizzazione della ricerca a partire da quello che è, come il diceva collega, l'ultimo step formativo, ma anche il primo step della catena di ricerca, vale a dire il dottorato di ricerca. In alcuni casi si tratta di un vero e proprio obbligo giuridico normativamente imposto dagli atti che disciplinano il dottorato o i contratti di postdoc, ciò per sottolineare che non sempre il ricercatore sceglie di andare a fare qualcosa in un posto specifico. Questo determina l'elemento strutturalmente votato alla transnazionalità della ricerca.
  Anzitutto, parliamo di una problematica che si verifica praticamente sempre o comunque molto spesso. Il punto che vorremmo provare a portare all'attenzione della Commissione è relativo alle criticità che insorgono allorché questa ricerca all'estero venga svolta in contesti che definisco autoritari e spiego subito cosa intendo dire. Non si tratta di una classificazione o di una categorizzazione che potrebbe essere anche per molti aspetti imprecisa o, banalizzando, semplificatoria. Intendo dire però che si tratta di contesti nei quali vi è un tendenziale o strutturale, secondo i casi, mancato rispetto pedissequo delle regole che connotano lo Stato di diritto e in cui vi è una certa arbitrarietà del decisore politico. Il problema, quando si va a svolgere ricerca in contesti di questo tipo – tanto più quando la si va a svolgere nell'ambito di scienze sociali, scienze umane in cui appunto, come ricordava il dottor Baldoni, bisogna stare a contatto con le persone, con le istituzioni, con le realtà locali, con le realtà sociali e via discorrendo – a mio avviso ci mette politicamente di fronte all'esigenza di bilanciare e contemperare da un lato la libertà del ricercatore, di ricercare quello che ritiene nell'ambito dell'eventuale gruppo o progetto di ricerca in cui è inserito e dall'altro lato la sicurezza di questo lavoro, cioè la garanzia che il lavoro di ricerca sia svolto in sicurezza per la salute e la vita del ricercatore stesso. Molto spesso, le esperienze che acquisiamo dai colleghi, dai nostri associati o anche non associati che si sono recati all'estero in contesti di questo tipo, ci riportano che questo tipo di compromesso in buona sostanza lo deve stabilire lo stesso ricercatore prima di partire sulla base di esperienze, del confronto e dell'aiuto di altri colleghi che magari conoscono meglio quella realtà, essendoci già stati o essendoci tuttora, e aiutano a redigere una sorta di lista, scusate se brutalizzo, di ciò si può fare e non si può fare, di ciò che è consigliabile od opportuno dire e di ciò che invece è sconsigliabile o inopportuno dire. È chiaro che questo tipo di situazione, per essere ricercatori noi e parlamentari voi di un sistema che ha solidissime e vitali radici e strutture democratiche, è un compromesso particolarmente difficile da accettare nella misura in cui noi sappiamo che la libertà del ricercatore che si reca a svolgere il proprio lavoro da qualche parte, in realtà affonda le sue radici nella libertà della ricerca tutelata come valore costituzionale dall'articolo 33 della Costituzione e cioè il ruolo democratico della ricerca scientifica. Anche perché, in effetti, il metodo scientifico che rappresenta lo strumento con cui noi Pag. 6lavoriamo ogni giorno indipendentemente dal campo di sapere scientifico, è un metodo che si fonda sul dubbio, sullo scambio costante di opinioni, sulla possibilità e sull'accettazione di mettere in dubbio ciò che si è precedentemente sostenuto, sul riconoscimento della piena e pari legittimità delle opinioni di tutti, purché rispettino le regole fondamentali del gioco della ricerca. Si tratta, con una immagine a mio avviso evocativa anche se un po' semplificatoria, di una descrizione altrettanto valida del metodo democratico. Conseguentemente riteniamo importante tenere sempre bene a mente questo fondamentale valore democratico della ricerca, qualora il decisore politico dovesse intervenire con una normativa o con un impegno al Governo – naturalmente questo rientra nelle vostre prerogative. Occorre dunque tenere costantemente a mente che il ricercatore italiano che va a svolgere il suo lavoro all'estero non è soltanto il nano-tecnologo, il fisico nucleare o l'ingegnere nella piattaforma petrolifera, ma è anche, ed è bene che sia in ragione di questo valore democratico, il giurista o il sociologo o comunque l'esperto di scienze sociali, i quali, in contesti particolarmente problematici nei termini di equilibrio politico-istituzionale, potrebbero andare incontro a qualche difficoltà in più.
  Sulla scorta di questa esigenza, riteniamo che sia necessario un impegno istituzionale su almeno due fronti. Il primo riguarda l'esigenza di aiutare, sostenere e supportare il ricercatore che dovesse recarsi all'estero a compiere ricerca in contesti del tipo cui mi riferivo prima, attraverso una formazione particolare, specifica, non soltanto relativa al contesto politico del paese in cui ci si reca ma anche mediante la previsione di una serie di protocolli che consentano di realizzare quel bilanciamento tra libertà della ricerca e sicurezza del lavoro di ricerca. Ad esempio, in questi mesi siamo in costante contatto con il Ministero dell'università e della ricerca che parrebbe voler rimettere mano al decreto ministeriale n. 45 del 2013 che disciplina il dottorato. In tale occasione sarà nostro interesse suggerire la previsione di una formazione specifica, ma si tratta tuttavia di una problematica che riguarda non soltanto il dottorato, ma incrocia anche tutti gli step che si incontrano successivamente nella carriera della ricerca. Poiché – come sono certo che gli onorevoli componenti di questa Commissione sappiano – si tratta di carriere ampiamente precarie e del tutto o per molto tempo decontrattualizzate, è a nostro avviso necessario uno specifico intervento normativo che consenta di lavorare su questo primo profilo, ovvero formazione del ricercatore che si reca all'estero in contesti particolari per svolgere la sua ricerca, protocolli specifici che consentano di realizzare quel bilanciamento di ho cui parlato finora, nonché maggiore chiarezza circa la responsabilità dei supervisor, degli enti di ricerca, dell'università in cui il soggetto ricercatore singolo è effettivamente incardinato, perché consente anche un'esplicazione più chiara, più serena dei rapporti tra le istituzioni e il ricercatore.
  Per quanto riguarda invece il secondo profilo, quando dicevo all'inizio che una delle più rilevanti criticità di quei contesti attiene al fatto che si tratta di contesti in cui molto spesso vi è l'arbitrarietà del decisore politico, intendevo dire che può essere che un certo tipo di equilibrio si disarticoli e cambi repentinamente in ragione di circostanze, le quali, non essendoci una netta e chiara connessione fra piano politico-istituzionale e piano della formazione dell'opinione pubblica, non possono essere riconosciute facilmente e immediatamente dal ricercatore che dovesse trovarsi a lavorare in tali contesti. Dunque riteniamo, sotto questo secondo profilo, che il competente ministero dovrebbe predisporre un supporto specifico per il ricercatore che si reca all'estero in quei contesti. Con il termine «specifico» intendo dire particolarmente calibrato, non soltanto in ragione dell'attività di ricerca che è un'attività molto particolare, ma anche calibrato con particolare rilievo in ragione della specifica ricerca che il singolo ricercatore sta andando a svolgere. Questo perché il ricercatore non è semplicemente, scusate se utilizzo questo avverbio, un cittadino italiano all'estero, non è un turista che va al Pag. 7museo o al ristorante, ma è un soggetto che si immette nel contesto sociale, nel contesto locale del luogo, che probabilmente lo modifica e che soprattutto è oggetto immediato, al pari di chi quel contesto lo vive quotidianamente, delle evoluzioni, dei cambiamenti sociali e conseguentemente anche di quegli squilibri politici che si dovessero verificare. Serve un'attenzione specifica che tenga conto delle condizioni del ricercatore all'estero in genere e che consenta poi, a chi in concreto nella pubblica amministrazione abbia competenza in materia di tenere conto della specifica condizione del singolo ricercatore. Del resto, e concludo, esiste nel nostro Paese una solidissima normativa sulla sicurezza del lavoro con specifiche regolazioni settoriali in ragione di determinati lavori che, per le condizioni in cui vengono svolti, espongono il lavoratore a un certo tipo di pericolo che è esattamente ciò che si verifica al ricercatore che si reca all'estero in un contesto come quello di cui ho parlato per studiare certe problematiche. Stiamo parlando semplicemente, e torno a scusarmi per l'utilizzo di questo termine, di sicurezza e ritengo, dunque, che questo bilanciamento tra libertà di ricerca del ricercatore e sicurezza del lavoro di ricerca debba e non possa che essere individuato da una normativa specifica da parte del soggetto principe depositario, mi permetto di dirlo da costituzionalista, del bilanciamento fra valori apparentemente confliggenti che è il Parlamento. Grazie.

  PRESIDENTE. Vorrei fare alcune domande molto puntuali. Nel corso dei lavori della Commissione, abbiamo avuto modo di appurare che allo stato attuale non sono stati definiti protocolli standard né a livello ministeriale né a livello della CRUI, neanche nel senso di suggerimenti, ma ci sono singole università che hanno predisposto protocolli di sicurezza successivamente alla tragedia che ha riguardato Giulio Regeni. La prima domanda è se voi, come associazione, in questi anni avete predisposto un documento, che avete adottato o suggerito ai vostri aderenti o se avete elaborato procedure da seguire nell'ambito della ricerca.
  La seconda domanda riguarda una delle questioni cui lei, dottor Dell'Atti, si riferiva da ultimo. Nella parte del percorso di ricerca dedicata alla permanenza all'estero, in particolare nell'ipotesi dell'attività sul campo, qual è a vostro avviso la ripartizione dei ruoli, tra dottorando, tutor e istituzioni universitarie di origine e di destinazione, anche ai fini dell'individuazione delle rispettive responsabilità? Lei suggeriva che il legislatore si ponesse il tema di individuare e definire meglio questi ruoli. Ad oggi, secondo lei, qual è o comunque quale dovrebbe essere la divisione di questi ruoli e quindi delle responsabilità?
  La terza domanda riguarda una particolare circostanza che è emersa in diverse audizioni, ovvero la registrazione sul portale dell'Unità di crisi del Ministero degli esteri Dove siamo nel Mondo, uno strumento che riguarda tutti gli italiani che si recano all'estero, in particolar modo in Paesi complicati, dove, oltre a registrarsi, si possono anche acquisire informazioni sulle condizioni del Paese di destinazione attraverso il servizio Viaggiare sicuri, sempre a cura della Unità di crisi della Farnesina. Nell'ambito della vostra attività di comunicazione con il mondo accademico e della ricerca in generale, e tra i vostri associati, avete provveduto a diffondere l'importanza di fare questa registrazione e di comunicare alle strutture del Ministero degli esteri la permanenza in un Paese che può essere definito a rischio?
  Infine, nel sito della CRUI risulta che nel corso dell'assemblea tenutasi il 18 gennaio 2018 «il presidente comunica che l'Associazione dottorandi e dottori di ricerca (ADI) ha invitato la CRUI a dedicare, a partire dal prossimo bando di concorso per il dottorato di ricerca, una borsa di dottorato a Giulio Regeni in ogni università italiana». Avete svolto un monitoraggio sull'adesione all'iniziativa da parte delle università italiane? Ci potete dare un riscontro sul fatto che siano state istituite queste borse di studio? La parola al dottor Dell'Atti.

  LUCA DELL'ATTI, segretario nazionale dell'Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia. Grazie, presidente. Provo a Pag. 8rispondere a tutte le questioni cercando di essere sintetico. Per quanto riguarda il primo profilo, come dicevo all'inizio, sino ad ora non abbiamo svolto un'attività di redazione di un protocollo o di linee guida. Il lavoro che abbiamo fatto è stato banalmente un lavoro di messa in contatto fra colleghi che erano stati in determinati Paesi, con colleghi che ci dovevano andare e che si ponevano il problema, dunque la nostra associazione è stata più un collettore solidaristico che ha consentito a questi colleghi di entrare in contatto e scambiarsi esperienze e consigli. D'altra parte, uno dei nostri tipici metodi di lavoro è quello dell'estensione di guide su varie questioni che attengono al lavoro delle categorie che rappresentiamo e quindi non è affatto da escludere che una cosa di questo genere si possa fare. Anzi, visto che, come lei presidente vivacemente ci ha posto, la Commissione sta lavorando su queste questioni, direi che è senz'altro il momento di porsi questo obiettivo.
  Sulla seconda questione, la ripartizione dei ruoli tra università, tutor e dottorando, pensiamo che il ruolo dell'università o dell'ente di ricerca in genere presso cui è incardinato il ricercatore che si reca all'estero debba essere un ruolo anzitutto, diciamo così, amministrativo, collaborativo e cooperativo con le istituzioni centrali. Mi viene da pensare anzitutto con il Ministero degli esteri, perché la realizzazione, a mio avviso, di quel tipo di supporto concreto specifico, specificamente calibrato sul lavoro del singolo ricercatore di cui parlavo, non può che avvenire se non in un rapporto cooperativo e collaborativo fra le istituzioni centrali, ovvero chi per il Governo si occupa di queste questioni, e l'università. Il ruolo del tutor dovrebbe essere un ruolo di formazione rispetto a quanto dicevo nel mio primo intervento e dunque in ordine ai profili un po' più delicati, un po' più critici, un po' più problematici che il ricercatore andrà ad affrontare all'estero, attraverso la predisposizione, magari nell'ambito dello stesso progetto di ricerca, di un protocollo dettagliato su questi aspetti. Infine la responsabilità e il ruolo del dottorando o ricercatore, a mio avviso, dovrebbe semplicemente consistere nell'attenersi scrupolosamente a questo protocollo che dovrebbe essere concordato assieme al tutor e senz'altro assieme a un rappresentante della governance di ateneo o dell'ente di ricerca presso cui si svolge la ricerca stessa. Un simile protocollo può significare, lo dico tra parentesi, anche il comunicare quotidianamente alla fine di ogni giorno che si è tornati a casa, banalizzo moltissimo, ma per dire che se riusciamo a incasellare la vita e il lavoro quotidiano dei ricercatori all'estero in contesti problematici entro passaggi di questo tipo, già non è poco.
  Quanto alla terza questione, relativa allo sportello del Ministero degli esteri, è una cosa che sono sicuro che i colleghi che sono venuti prima di noi – come segreteria ci siamo insediati la settimana scorsa – hanno provato a fare sistematicamente con i vari colleghi che si recavano all'estero a compiere ricerca. Mi permetto però di tornare a sottolineare che, sebbene si tratti sicuramente di un supporto enormemente valido e importantissimo che il Ministero degli affari esteri mette a disposizione, noi riteniamo che serva uno strumento specifico, uno sportello specifico per i ricercatori.
  Sull'ultima questione, passerei la parola al dottor Baldoni.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Baldoni.

  DIEGO BALDONI, responsabile per le politiche culturali dell'Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia. Grazie mille. Rispondo in maniera puntuale sull'ultima domanda e poi mi permetto di aggiungere una piccola cosa sulle altre questioni che ci sono state rivolte.
  Intanto questa segreteria, come ha ricordato poco fa il collega, si è appena insediata. Per l'occasione del ricordo del prossimo 25 gennaio 2021, cinque anni dal giorno della scomparsa di Giulio al Cairo, tra i vari obbiettivi che ci siamo dati, vi sarà tutta una serie di iniziative fra le quali un monitoraggio delle borse di dottorato. Su di esse però abbiamo già dei feedback positivi che per esempio vengono da Pisa, Pag. 9dove è stata intitolata a Giulio una borsa di studio riguardante i cambiamenti dei regimi politici nel mondo globalizzato, e questo ci ha fatto enormemente piacere, e dall'università del Salento, che ha intitolato a lui una borsa di dottorato proprio nell'ambito di uno studio sulle scienze sociali e umane. Tantissime altre sono le iniziative e i progetti in cantiere: su questa specifica ci siamo impegnati ad effettuarne un compiuto monitoraggio, proprio in occasione della data che vi ho detto.
  Mi permetto di fare una piccola aggiunta sul ruolo di ricercatore all'estero, dato che l'oggetto di indagine è proprio il ruolo di Giulio e la sua presenza al Cairo. Mi permetto di dire che sulla base delle riflessioni che abbiamo voluto svolgere dopo aver conosciuto tutte le notizie, Giulio aveva adempiuto in maniera più che completa a tutto quello che potrebbe essere un protocollo per garantire la sicurezza a sé e alla sua ricerca, sempre portando avanti un'interlocuzione con la sua docente tutor, Maha Abdelrahman, che tra l'altro, malgrado potesse fare luce su questi rapporti, si è sempre purtroppo rifiutata di farlo e da Cambridge ha, però, sempre avuto tutti gli strumenti per monitorare quanto Giulio stesse facendo. Certo, non avevamo ancora uno scritto di Giulio quanto alla sua ricerca, perché era lì da qualche mese ed era impossibile per lui aver già prodotto qualcosa, ma le notizie arrivavano quotidianamente, tant'è che risalendo la catena dei contatti di Giulio, da chi lo ha tradito indietro, scopriamo tutta una serie di nomi che sono stati proprio indicati a catena dalla sua professoressa tutor. Giulio si muoveva, ma con uno specifico indirizzo. Era sempre chiaro pertanto dove fosse e che cosa facesse e di questo a Cambridge lo sapevano benissimo, quindi ce ne dogliamo particolarmente di ricevere, pertanto, questa reticenza da parte di chi invece potrebbe avere chiarito tutto ciò già da tempo e lo facciamo, per quanto ci è possibile, noi per loro e per Giulio. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a voi. Ho un'ultima domanda che vi pongo da parte del collega Ungaro che ci segue da remoto, a cui vi prego di rispondere in pochi minuti. È una risposta secca che vi chiediamo. Non temete che un'eventuale maggiore responsabilizzazione in capo al tutor, supervisore del dottorato, potrebbe limitare l'incentivo a condurre ricerche all'estero da parte delle istituzioni italiane? Non pensate che potrebbe essere un problema conciliare le due esigenze, cioè da una parte favorire la ricerca all'estero e dall'altra caricare di responsabilità i tutor?

  LUCA DELL'ATTI, segretario nazionale dell'Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia. Per questo, a nostro avviso, servono norme molto specifiche che prevedano una responsabilità cumulativa di diversi soggetti. Diffondere la responsabilità e obbligare, diciamo così, normativamente alla cooperazione potrebbe far venir meno o comunque far diminuire sensibilmente il rischio che si creino poi situazioni in cui quella responsabilità deve essere fatta valere. Peraltro ricordo, con un piccolissimo inciso, che anche il tutor è un ricercatore, quindi in linea di massima dovrebbe condividere quella medesima importanza della ricerca che il suo allievo o chi per lui andrà a fare, tanto più che nel 98 per cento dei casi, il singolo ricercatore non lavora da solo, ma lavora nell'ambito di un team, di un progetto, di una ricerca che coinvolge molto spesso anche il tutor.

  PRESIDENTE. Vi ringrazio. Tengo a sottolineare, a proposito delle borse di studio, che l'anno scorso è stato istituito dal Ministero dell'istruzione un premio intitolato a Giulio Regeni, assegnato alle cinque tesi giudicate migliori da un comitato, su iniziativa dell'allora Ministro professor Fioramonti.
  Ringrazio molto i rappresentanti dell'ADI per la relazione e le preziose informazioni che ci hanno fornito e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti della Società italiana del dottorato di ricerca.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dei rappresentanti della Società italiana del dottorato di ricerca.Pag. 10
  Ringrazio per la disponibilità immediatamente manifestata a collaborare con la Commissione il dottor Antonio De Lucia, presidente della Società italiana del dottorato di ricerca, e il dottor Claudio Costantino, vicepresidente, che sono collegati da remoto.
  Ricordo che la seduta odierna si svolge nelle forme dell'audizione libera e che, ove necessario, i lavori potranno proseguire in forma segreta, sia a richiesta dell'audito che dei colleghi che formuleranno quesiti od osservazioni.
  Ricordo, altresì, ai colleghi la prescrizione di indossare la mascherina, anche quando prenderanno la parola, come è ormai prassi in Assemblea.
  Invito il dottor Costantino a prendere la parola.

  CLAUDIO COSTANTINO, vicepresidente della Società italiana del dottorato di ricerca. Ringrazio il presidente. Le rinnoviamo anche noi la nostra gratitudine per questa audizione che, come lei ben sa, è stata fortemente voluta sia dalla Commissione sia da parte della nostra associazione. Parlerà per primo il dottor de Lucia in relazione alla presentazione della nostra società e soprattutto dell'attività che abbiamo svolto in relazione alla questione Regeni. Poi prenderò la parola io per un ulteriore approfondimento sul tema oggetto di questa Commissione.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor de Lucia.

  ANTONIO DE LUCIA, presidente della Società italiana del dottorato di ricerca. La società italiana del dottorato di ricerca (SIDRI) è stata costituita per il miglioramento dello status quo di chi ha fatto di questo titolo una scelta di vita per valorizzare il livello delle diverse aree scientifiche e di competenza in modo trasversale, partendo dalla pubblica istruzione e dalla pubblica amministrazione, alle aziende, al mondo accademico e alla sanità. Soprattutto, l'Italia, il Parlamento e la Commissione devono prendere come una missione il fatto di adeguare totalmente lo status del dottorando e del dottore di ricerca italiano alla Carta europea dei ricercatori. La Società italiana del dottorato di ricerca sin dalla sua costituzione, per questo diverso approccio che sta avendo alla valorizzazione del titolo in tutti i campi del mondo economico, sociale e produttivo, ha riscosso particolare successo e fortunatamente in tutti gli atenei va costituendosi una nostra sede che funge da antenna per recepire i feedback che arrivano dai nostri colleghi, dottori di ricerca, ma soprattutto dottorandi, su cui riusciamo a elaborare le nostre tesi, i nostri dossier. Il nostro approccio è stato molto forte sulle relazioni istituzionali, affrontando in modo chiaro e diretto le questioni con i nostri interlocutori. Per quanto riguarda la pubblica amministrazione, abbiamo avuto la fortuna di avere prima del lockdown un proficuo incontro di persona con la ministra Dadone, la quale ha ascoltato tutte le nostre tesi su come la pubblica amministrazione italiana potrebbe essere valorizzata dai dottori di ricerca e come i dottori di ricerca che sono nella pubblica amministrazione possono essere valorizzati all'interno della stessa. Successivamente la ministra ha recepito il nostro dossier e proprio in queste ore è in corso un appuntamento tra lo staff tecnico del Ministero della pubblica amministrazione e nostri rappresentanti, proprio a voler testimoniare come questa cooperazione vada avanti e parecchi di questi feedback siano già stati recepiti nei vari decreti che si sono susseguiti da marzo in poi.
  Un'altra proficua cooperazione è stata instaurata con il Ministro Gaetano Manfredi al Ministero dell'università e della ricerca. Il Ministro Manfredi – sempre sensibile alla nostra categoria, lui stesso che di titoli accademici ne vanta parecchi – mette sempre in evidenza come sia stato uno dei primi dottori di ricerca a conseguire questo titolo. Un dossier da noi elaborato è stato già recepito, alcune delle nostre istanze sono state inserite nei decreti che si sono susseguiti anche negli ultimi mesi. Evidenzio come esempio la proroga della borsa di studio oltre al normale completamento del ciclo per agevolarePag. 11 chi è stato vittima in questo periodo del COVID-19 e che quindi aveva bisogno di più tempo per svolgere la propria ricerca. Voglio citare anche altre iniziative che abbiamo preso con il tessuto produttivo italiano, economico, aziendale e soprattutto evidenzio la nostra cooperazione instaurata con Confindustria che ha recepito alcune nostre istanze, miglioramenti e progetti che già erano stati instaurati in passato con il MIUR e altre organizzazioni per valorizzare nelle nostre imprese l'eccellenza italiana per cui lo Stato ha già speso tantissimo per la formazione e quindi ne deve trarre solo i vantaggi. L'ex presidente Boccia in più di un'occasione ci ha accolto, ci ha ascoltato e ci ha messo in collegamento con gli uffici competenti. Anche in questo caso, abbiamo avviato una proficua cooperazione, così come nel mondo delle professioni, dove il dottore di ricerca può essere un faro per i colleghi nel portare un miglioramento scientifico non solo alla professione, ma alla stessa evoluzione della categoria dei ricercatori.
  Dalla nostra costituzione ci tengo però a evidenziare che un faro per la nostra attività è stata sicuramente la ricerca della verità per Giulio Regeni, che non abbiamo mai abbandonato. In questo momento ho i brividi a parlarne, perché veramente per me la ricerca della verità è sempre stato un atto dovuto, al di là del fatto che Giulio fosse un collega, uno di noi. Nelle nostre attività, dalla nostra costituzione ad adesso, abbiamo sempre cercato di sostenere chi, in ogni angolo dell'Italia, ma anche all'estero, si stava battendo per questo importante risultato. Abbiamo una cooperazione quasi quotidiana con il presidente di Amnesty International e ogni loro iniziativa è da noi sostenuta con forza. Proprio in questo ambito, tengo a evidenziare che nella nostra seconda assemblea nazionale che si doveva tenere a Napoli, ma che si terrà in modalità da remoto, c'è proprio un panel dedicato a Giulio Regeni dal titolo: «Giulio Regeni, una ferita ancora aperta per l'Italia», perché per noi rappresenta veramente una ferita ancora aperta.
  Quindi, al di là dell'aspetto tecnico che il mio collega e vicepresidente di SIDRI, Claudio Costantino, affronterà in modo dettagliato, noi salutiamo questa audizione e la sensibilità con cui la Commissione sta trattando questo tema, così come abbiamo salutato con estremo rispetto l'insediamento della Commissione stessa. Salutiamo veramente con tanto piacere la partecipazione del presidente Palazzotto alla nostra assemblea che si terrà da remoto nel weekend, nonché del presidente di Amnesty International, il dottor Russo, così come dovrebbe partecipare anche il Presidente della Camera Roberto Fico, da sempre sensibile alla vicenda di Giulio Regeni e che in ogni occasione ha fatto sentire la voce sua e dell'Istituzione che presiede per la ricerca della verità.
  Auspichiamo quindi che veda la luce un protocollo nazionale per la sicurezza dei ricercatori, dei dottori di ricerca all'estero, ma su questo penso che sarà molto più esaustivo il vicepresidente Claudio Costantino, che è un legale, particolarmente esperto anche di questioni amministrative. Pertanto ringrazio della possibilità che è stata data di presentare la nostra organizzazione e, se il presidente è d'accordo, cederei la parola al presidente Costantino.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor de Lucia. Do la parola al dottor Costantino.

  CLAUDIO COSTANTINO, vicepresidente della Società italiana del dottorato di ricerca. Grazie, presidente. Partirei proprio dal sottoporre all'attenzione della Commissione uno specifico aspetto che secondo noi è dirimente in relazione alla questione della sicurezza e dei protocolli delle misure da seguire per l'attività di ricerca all'estero e si tratta del rapporto intercorrente fra governi, istituzioni universitarie e ricercatori. Un rapporto, un sottile confine, nello specifico, che viene dall'attribuzione dei ruoli, dei compiti e delle responsabilità reciproche fra questi soggetti. Tutto ovviamente non può che partire da un'analisi di tipo sociologico. È necessario brevemente chiarire che i rischi sulla sicurezza a cui un ricercatore può incorrere nella propria attività all'estero sono concentrati nelle zone definite «aree geografiche a rischio», in cui Pag. 12circa il 75 per cento delle popolazioni del nostro pianeta è coinvolta, quasi la totalità dei paesi in via di sviluppo. Nella nostra analisi abbiamo constatato che i rischi legati allo svolgimento di un dottorato all'interno dell'Unione europea sono certamente compresi nella più ampia classificazione effettuata in ordine ai rischi di sicurezza nei Paesi extra UE. Infatti la circostanza che un dottorando svolga la propria attività di ricerca in Paesi dell'Unione europea, certamente garantisce una forte base di diritti, conoscenze, accessibilità delle informazioni, tutele reciproche fra i diversi Paesi, un background normativo che stempera e mitiga, se non addirittura elimina, qualsiasi rischio della propria attività di ricerca rendendolo pienamente equiparabile a quello che il ricercatore incorrerebbe nel proprio Paese di origine. Il livello di protezione e la percezione della sicurezza da parte del dottorando nello svolgimento della propria attività di ricerca nei Paesi UE è dunque certamente alta. Un'altra premessa metodologica è quella di considerare che in Italia il dottorato di ricerca è qualificato come un corso universitario di terzo livello e dunque, da un punto di vista formale, secondo la legislazione italiana, il dottorando è uno studente. Seppure siamo in disaccordo da un punto di vista ontologico con questa definizione ai fini di quanto sarà successivamente specificato, i termini «studente», «ricercatore» o «dottorando», per quello che ci riguarda, sono perfettamente equiparabili.
  Da un punto di vista generale, presidente, e sempre per entrare nel merito della questione, il ricercatore all'estero vive sicuramente un cambiamento su tutti i fronti. L'assetto istituzionale, formale, le regole giuridiche, culturali, sociali, sono conosciute solo in parte dal dottorando e dal ricercatore nei primi mesi della propria attività di ricerca all'estero, ma risulta chiaro che le stesse sono notevolmente diverse da quelle relative ai propri Paesi di origine. Le relazioni del ricercatore, anche da un punto di vista accademico, che sono fondamentali e che forniscono elementi di estrema importanza per il loro reinserimento nel territorio straniero, sono interrotte, frammentate e devono essere ricercate e ricreate nel nuovo percorso all'estero. I cambiamenti nei ruoli formali e nei legami personali e le reti sociali condizionano inevitabilmente il percorso di vita dell'individuo, con la conseguenza che la sicurezza del ricercatore risulta sempre incompleta se non vengono preventivamente adottate misure finalizzate a evitare possibili situazioni di incertezza, di rischio e il relativo percorso. In questa era globale gli studenti e i ricercatori, in realtà, non sono l'unica categoria di soggetti per i quali la mobilità è aumentata. Anche altri tipi di persone si spostano a livello transfrontaliero: viaggiatori per affari, per lavoro, per turismo, migranti a lungo termine, sfollati a causa di guerre e di calamità naturali. Questo flusso migratorio per le popolazioni stanziate in alcuni Paesi può generare tensioni, anche tenuto conto della mobilità associata alla migrazione e all'insediamento dei rifugiati. Si pensi ad esempio alla Brexit e alle ragioni che hanno indotto la popolazione della Gran Bretagna a valutare favorevolmente l'uscita dall'Unione europea nonché alle conseguenze che si stanno verificando, non soltanto con riguardo alla libera circolazione dei beni, dei servizi e dei capitali, ma anche in relazione allo spostamento delle persone, dei lavoratori, degli studenti e dei loro diritti di stabilimento su quel territorio.
  Le nazioni differiscono dunque nella loro ricettività nei confronti dei nuovi arrivati, nella loro apertura e nella disponibilità a condividere, nella loro tolleranza per la differenza e nelle opportunità che offrono. A volte per la popolazione ospitante coloro che attraversano il confine temporaneamente o permanentemente rappresentano un pericolo, in quanto la loro preoccupazione è quella di ottenere la sicurezza sociale ed economica esclusivamente per le loro famiglie o per sé stessi. Cambiando invece punto di vista, per gli studenti e ricercatori in mobilità nell'era della globalizzazione, forse in generale direi per tutti gli individui nell'era della modernità, è probabile che la sicurezza risieda in una valida combinazione di tradizione e cambiamenti. Infatti, se da un lato si avvertePag. 13 che la sicurezza dello Stato ospitante possa entrare in tensione con la sicurezza degli individui, gruppi e particolari comunità all'interno degli Stati e delle Nazioni, allo stesso tempo le persone, in particolare i ricercatori all'estero, mutano e adeguano i loro valori senza necessariamente compromettere i princìpi di cui sono portatori. Le religioni, ad esempio, hanno concezioni diverse della sicurezza. Anche le pratiche di sicurezza degli Stati assumono significati differenti secondo le tradizioni e gli atteggiamenti prevalenti. Il fatto che culture diverse hanno comprensioni divergenti di ciò che rappresenta la sicurezza, emerge chiaramente quando gli individui si trasferiscono in un ambiente straniero. Le persone che si trasferiscono devono affrontare una nuova serie di complesse questioni culturali che influiscono sulla loro sicurezza e allo stesso modo anche il Paese ospitante deve affrontare una serie di complesse questioni culturali che possono sembrare minacciose.
  Di certo non si può pretendere di imporre a uno studente ricercatore straniero cambiamenti nella propria scala di valori per il solo fatto di essere ospitati in un Paese straniero. È altrettanto vero che gli stessi debbano avere la capacità di adeguarsi rapidamente ed efficacemente alle nuove esigenze, con la conseguenza che potrebbero risultare responsabili del loro adeguamento in relazione alle policies, al framework normativo e giuridico dello Stato ospitante. Tuttavia, la capacità di esercitare la responsabilità individuale non può essere data per scontata. La responsabilità richiede libertà e le libertà sostanziali di cui godiamo nell'esercizio delle nostre responsabilità sono estremamente dipendenti dalle circostanze personali, sociali e ambientali, comprese quelle politiche e sociali relative al livello di istruzione, alla partecipazione politica, democratica e all'esercizio dei diritti umani. È vero che gli individui devono essere responsabili per il proprio benessere e sta a loro decidere come utilizzare le proprie capacità, ma le capacità che una persona ha effettivamente e che non solo teoricamente gode, dipendono dalla natura degli assetti sociali, che possono essere cruciali per la libertà degli individui. In questo senso, certamente lo Stato e la società non possono sfuggire alle relative responsabilità, quindi la sicurezza dei ricercatori a livello internazionale è condizionata dalle condizioni economiche, politiche, sociali e culturali, inclusi i valori prevalenti dei Paesi ospitanti, nonché dal livello di protezione che l'ordinamento di appartenenza assegna al medesimo e inoltre dalla portata dell'autodeterminazione dell'agire dell'umano stesso. Questo è un elemento che non può essere sottovalutato, perché qualsiasi forma di protocollo o azione o misura venga adottata certamente è un elemento da tenere in stretta considerazione.
  Non si può negare infatti che gli studenti ripongano la propria sicurezza sulla base di elementi e circostanze che non controllano del tutto. Ciò significa che la politica e la regolamentazione da parte dello Stato, la gestione istituzionale delle università, la sfera civile e privata sono tutti fattori che influenzano le pratiche di sicurezza. A parere di SIDRI non è condivisibile il pensiero di chi, a prescindere dall'esistenza di specifici protocolli di sicurezza e dell'adozione di misure finalizzate a minimizzare i rischi, rimettono alla autodeterminazione umana la capacità di non incorrere in un rischio per la sicurezza personale. Tale affermazione risulta solo parzialmente corretta. Innanzitutto, il mantenimento di una capacità stabile di autodeterminazione, soprattutto in determinate circostanze non facilmente gestibili da un individuo, è sicuramente problematico per un ricercatore che si sposta da un luogo e una cerchia personale, ambientale e culturale a un'altra del tutto diversa e che nemmeno probabilmente conosce. La mobilità infatti porta con sé una condizione di opportunità, ma al tempo stesso di pericolo, significa cambiamento, acquisire nuove caratteristiche, confrontarsi con nuovi problemi. La mobilità a volte destabilizza la persona e al tempo stesso attinge alla sua capacità di riorganizzarsi e rideterminarsi.
  Si pensi che per la maggior parte degli studenti la sicurezza dell'individuo è influenzata da questioni culturali. Un uguale Pag. 14rispetto culturale è difficile da garantire in Paesi i cui sistemi istituzionali e le politiche pubbliche sono differenti da quelle di origine. E ancora, assente dal Paese di origine, lo studente non può accedere a tutte le tutele e ai diritti e alle reti informali di cui in precedenza era dotato. Inoltre risulta comune a tutti gli studenti la notevole asimmetria informativa nel loro rapporto con le istituzioni ospitanti. L'accesso alla conoscenza, alle informazioni, alle risorse comunicative è cruciale per l'autodeterminazione all'agire e una migliore conoscenza e comunicazione può essere al tempo stesso cruciale per la loro sicurezza. Infatti è certo che la questione della sicurezza nella ricerca in campo internazionale mette in risalto il ruolo del governo, dell'ordine pubblico, della legge, della regolamentazione e perlopiù significa lo Stato-nazione. Coerentemente con il ruolo crescente della responsabilità personale nelle società moderne, i governi hanno sempre di più fatto ricorso all'adozione di sistemi basati su una crescente devoluzione e delega di funzioni di ordine sociale direttamente alle università, alle famiglie, agli individui e alle organizzazioni non governative.
  La devoluzione e queste tipologie di sistema informale abbassano sicuramente le aspettative da parte delle autorità statali, che spostano la base dei programmi sociali dal diritto universale alla scelta individuale. Significa risparmio di denaro per investimenti nelle politiche pubbliche che altrimenti verrebbero spesi per finanziare o incrementare questi livelli di tutela, di sicurezza, di conoscenza e riducono la pressione politica sugli Stati-nazione, tutto in nome di poteri e libertà popolari rafforzate. Ciò inevitabilmente conduce a ritenere direttamente responsabili le università, le famiglie, gli individui e sembra tutto ciò davvero paradossale, a parer nostro, e che del resto non sono sempre in grado di far fronte a tale cambiamento di prospettiva. In pratica l'istruzione internazionale, compresa la sicurezza degli studenti, è strutturata da una divisione di responsabilità a tre vie: tra governo, università e studente ricercatore. Ora, per gli studenti l'unico contatto diretto con le istituzioni è insito nel proprio rapporto con l'università. Queste ultime, invece, si trovano a dover gestire sia il rapporto con l'autorità governativa, sia con quella del ricercatore. Comunque purtroppo, bisogna constatare che non esiste alcun rapporto fra studenti e autorità nazionali. La responsabilità è devoluta dal governo alle istituzioni accademiche, le quali a loro volta trasferiscono gran parte della responsabilità agli studenti stessi. In pratica, in assenza di risposta da parte delle autorità governative nella gestione dei processi di mobilità transfrontalieri, la responsabilità pratica primaria per la sicurezza e l'assistenza degli studenti viene devoluta dal governo alle istituzioni accademiche e tramite esse ai ricercatori stessi, i quali in ultimo hanno il compito e il dovere morale di autodeterminarsi e di prevenire la possibile insorgenza di rischi per la loro incolumità. A parer nostro, tale presa d'atto risulta una constatazione amara, sconcertante, che però declina in modo del tutto evidente la verità delle cose.
  I noti fatti, per i quali questa Commissione sta effettuando virtuosamente la propria indagine al fine di fare giustizia – e il caso Regeni purtroppo è soltanto uno dei molteplici casi a cui nella storia della nostra Nazione non è stata ancora fatta giustizia – purtroppo confermano che le autorità governative ancora non hanno dato nessuna risposta alla famiglia, alle istituzioni, all'intera popolazione italiana nonché hanno rilevato l'inefficacia delle azioni sinora condotte anche sul piano del diritto internazionale e stanno semplicemente lasciando un silenzio assordante in tutta la comunità dottorale. Dunque, l'unica risposta è rimessa alle istituzioni universitarie e ai ricercatori che in ultimo hanno il compito e il dovere morale di autodeterminarsi e di prevenire la possibile insorgenza di rischi sulla propria incolumità.
  Presidente, sembrerebbe che il passaggio dalla burocrazia statale paternalistica alla politica sociale autogestita sia davvero ancora un passaggio incompleto. Il paternalismo sopravvive, anche la coercizione sopravvive, ma c'è un uso diffuso di autoregolamentazione e meccanismi informali che deve essere gestito e che dunque rimanePag. 15 una delle chiavi di lettura per dare vita a processi virtuosi di regolamentazione dei processi di mobilità a livello internazionale e ciò direttamente da parte degli atenei, inevitabilmente, quali istituzioni di mezzo fra autorità nazionale e ricercatore. L'umanesimo universale non ha alcun ruolo nel quadro politico. I diritti sono visti come vincolati alla Nazione, gli studenti internazionali sono immaginati come stranieri senza diritti diversi dai diritti dei consumatori. Esiste un'autentica uguaglianza transfrontaliera solo nelle relazioni commerciali. È come se, solo pensando al commercio, gli Stati nazionali potessero facilmente immaginare un mondo senza confini, in cui il governo si tenga lontano dalla forma di controllo. In pratica nella tensione che si crea nell'ambito del rapporto tra Stato confinante e mercato globale aperto, la scelta è posizionare il ricercatore internazionale come un consumatore astratto, come un soggetto puramente economico, preservando il controllo nazionale sui movimenti transfrontalieri. Dunque, lo studente all'estero è immaginato e regolamentato come un consumatore in un rapporto con la propria istituzione ospitante. La metafora della transazione commerciale significa abbandonare l'impostazione secondo cui lo Stato sociale eroga servizi di alta qualità come un diritto universale, a prescindere se il cittadino abbia la capacità di pagare nonché rinunciare alla consapevolezza che i produttori di conoscenza plasmano il proprio sviluppo sulla base di ciò che l'istruzione e la ricerca comportano.
  È vero che lo studente internazionale è un consumatore, ma è altrettanto vero che è molto di più. Crediamo che gli studenti internazionali debbano ricevere servizi di alta qualità ed esercitare sicurezza e protezione complete e libertà autodeterminate nel proprio percorso all'estero. Non solo dunque diritti dei consumatori, diritti industriali, ma anche diritti legali, diritti del benessere, dell'assistenza sanitaria e degli altri servizi pubblici, diritti all'alloggio sicuro ed economico, a un'istruzione di qualità, all'assistenza in situazioni di crisi, diritti civili e soprattutto anche garanzia della propria incolumità. Questi diritti ovviamente sappiamo bene che variano, che possono differire da Stato a Stato ed è per questo che la regolamentazione e l'educazione a livello internazionale dell'attività di studio e di ricerca all'estero deve tener conto di ciò che accade in questi Paesi, tanto più che gran parte della responsabilità pratica per la sicurezza dei nostri ricercatori è stata devoluta a questo scopo.
  Vivendo un'esperienza transfrontaliera stimolante, gli studenti internazionali, i ricercatori hanno diritto a un supporto professionale completo nella propria attività. Ciò rappresenta, a nostro parere, uno dei tratti distintivi che una società civile, oggi più che mai anche in un'ottica globale debba possedere. È il segno di una società civilizzata, cosmopolita, che regola la sicurezza in modo sensibile alle differenze dei bisogni e ai valori degli individui.
  In conclusione, è del tutto evidente che risulta inefficace ordinare tutte le questioni globali con il classico sistema della negoziazione bilaterale. Tenuto conto che gli sviluppi del diritto internazionale mettono in discussione il presupposto tradizionale e i limiti del territorio nazionale sono anche i limiti di governance, la governance e la regolamentazione globale sono però sottosviluppate, non sono necessariamente sincronizzate con la dimensione nazionale. Le decisioni sul movimento globale delle persone attraverso e tra le nazioni continuano a essere prese dai governi nazionali, la cui autorità formale si ferma al confine nazionale e pertanto i diritti degli individui che permettono la mobilità sono regolati attraverso il prisma della politica nazionale, piuttosto che attraverso il concetto di cittadinanza globale e in questo contesto il termine sicurezza si riferisce sicuramente alla vulnerabilità degli stati-nazione, alla loro autoprotezione quasi militare, attraverso controlli alle frontiere, piuttosto che ai diritti e ai bisogni degli studenti e dei ricercatori internazionali e degli altri soggetti che fanno la mobilità transfrontaliera. I governi lottano per gestire i flussi delle persone globali che non riescono a controllare, ma non per garantire i meccanismi di tutela della collettività, globalmente intesa.Pag. 16
  Da qui, presidente, i nostri spunti in relazione alla questione che sicuramente più attiene a quello che avete richiesto alle associazioni di esprimersi, ovvero dare suggerimenti e pareri in ordine a un'eventuale mappatura dei rischi, portando alla vostra attenzione eventuali esempi e aspetti che possono influire sulle vostre valutazioni. Riteniamo di dover porre all'attenzione della Commissione innanzitutto due aspetti. È necessario comprendere il tipo di ricerca che il ricercatore, lo studente, il dottorando svolge all'estero, se si tratta di una ricerca sulla base di fonti primarie o secondarie e dunque una ricerca fatta direttamente all'interno dell'istituzione universitaria ospitante ovvero se si tratta di ricerche fatte dal basso o ricerche partecipative, quindi con indagini sul campo, osservazioni, partecipazioni all'interno delle dinamiche sociali del Paese, come proprio nel caso di Giulio Regeni. Nel caso della ricerca partecipativa vi sono dei rischi di vario livello, ad esempio le persone coinvolte potrebbero sentirsi minacciate, rifiutarsi di rispondere oppure un focus group potrebbe essere anche confuso come un assembramento in un Paese in cui vigono dure leggi antiproteste. In questi casi è necessario che i dipartimenti universitari, le istituzioni accademiche abbiano le idee chiare sul rischio dello svolgimento di una ricerca partecipativa in contesti di repressione politica. Vi sono anche zone grigie e ambigue, in cui il rischio non è mai pienamente valutabile e ipotizzabile. Vi sono altri rischi noti e congeniti alla mobilità dei dottorandi all'estero, i classici rischi di viaggio, di salute, di sicurezza e soprattutto il rischio geopolitico. Con rischio geopolitico si intende tradizionalmente la possibilità che la politica estera di un certo Paese influenzi o perturbi le dinamiche politiche e sociali interne di un altro Paese. Da oggi si fa sempre più riferimento ai potenziali rischi derivanti da situazioni di instabilità politica, proprio come quelle a cui facevo riferimento poc'anzi, aree segnate in particolare da tensioni religiose, politiche e interculturali. In tutti questi casi, come dicevamo, è necessario sicuramente dotare di una grande conoscenza tutti i ricercatori che si stanno approssimando a fare un percorso all'estero, proprio per contingentare e limitare le situazioni di rischio.
  A nostro parere vi è la necessità di predisporre pratiche di valutazione del rischio in forma di sicurezza e di progettazione di misure preventive. Segnaliamo che è di estremo interesse la lettera della professoressa di filosofia politica e sociale all'Università Milano-Bicocca, Marina Calloni, che ha fatto un vero e proprio appello online. In particolare si condivide quanto la professoressa ha sostenuto in relazione al processo di valutazione del rischio che risulta fondamentale per chi svolge ricerche delicate, con la conseguenza di prevedere specifiche strategie di uscita in caso di problemi. Si tratta di un processo di consapevolizzazione e di allerta prima della partenza e durante il soggiorno, attraverso contatti costanti con il ricercatore e un uso mirato del web, anche al fine di porre in essere le corrette misure di risk management. Ad esempio, prevedere attività di lavoro congiunta, se del caso tra un uomo e una donna, per poter valutare diverse prospettive di rischio che possono verificarsi anche in relazione a sensibilità diverse, ma al tempo stesso complementari in contesti rischiosi, evitando altresì di assumere atteggiamenti che potrebbero creare sospetti oppure prevedere di far rientrare i ricercatori in attività condotte da associazioni non governative o di interventi di cooperazione internazionale tale da avere una più ampia forma di protezione del gruppo.
  Fondamentale è inoltre individuare le persone di riferimento e di appoggio in loco. Non basta, a nostro parere, che vi sia un tutor che possa sovraintendere all'attività del ricercatore on back, ma importante è che il tutor e l'attività di controllo del ricercatore siano on site, nel luogo in cui svolge la propria attività di ricerca. Le università potrebbero predisporsi e attivarsi per contattare le rappresentanze diplomatiche locali, anche nel caso in cui vi siano segnalazioni o emerga che i ricercatori siano potenzialmente in pericolo a causa di eventi quali anomalie, minacce, pedinamenti, perlustrazioni o per qualsiasi Pag. 17altro fattore di rischio. In questi casi è sicuramente necessario intervenire con procedure sistematiche da predisporre chiedendo la difesa consolare e attivando reti di protezione alternative o altri tipi di interventi.
  Ancora sarebbe utile organizzare da parte di tutti gli atenei dei corsi di risk reduction in insecure contexts, ovvero tutti quei corsi che possano dotare di particolari percorsi formativi i ricercatori che si debbano approcciare all'estero, adeguandoli a tutto un background di esperienze, consigli, informazioni utili anche da mettere in pratica qualora ci si trovi in situazioni pericolose.
  Infine si ritiene di estrema importanza, presidente, che l'università unitamente al Ministero dell'università e ricerca, alla CRUI, al Ministero degli affari esteri redigano un codice di condotta e le guidelines per l'attività eventualmente svolta all'estero dai ricercatori. Come dicevamo prima, non si può imporre di lasciare le università da sole in questa fase, non si può addossare tutta la colpa alle istituzioni di mezzo. Le autorità governative devono scendere in campo e le autorità nazionali devono sostenere le università nella redazione di questi protocolli. Si può anche immaginare di integrare progressivamente questo codice di condotta con specifiche schede di rischio sui singoli Paesi, che possano essere consultate da tutti i ricercatori prima di eventuali viaggi all'estero. Queste schede potrebbero essere redatte partendo dalle informazioni ricavabili dalle fonti che abbiamo poc'anzi indicato ed essere periodicamente aggiornate e ampliate, valorizzando soprattutto l'esperienza pregressa dei ricercatori della struttura che abbiano già operato nei diversi contesti internazionali.
  Andrebbe inoltre previsto un momento di informazione preventiva dei ricercatori in partenza e ciò sarebbe opportuno in relazione agli aspetti di cui abbiamo parlato prima. Preme mettere in evidenza – ma siamo certi che codesta spettabile e onorevole Commissione ne sia già a conoscenza – le linee guida e i protocolli predisposti rispettivamente dall'Università di Trieste e dall'Università Alma Mater di Bologna. Sono progetti pilota, punti di partenza di progetti, con la declinazione di una serie di rischi, anche se non specifici di singoli Stati, ma rischi generali in cui gli studenti all'estero possono incorrere. Questo è sicuramente un primo segnale che va nella giusta direzione, ma, ripeto, per quello che concerne SIDRI, questo processo non può che essere accompagnato dalle istituzioni.
  Conclusivamente, presidente, facendo un'analisi all'interno della nostra comunità, abbiamo evidenziato cinque punti di attenzione.
  Il primo è che i ricercatori affrontano periodi all'estero senza essere anticipatamente allertati dei rischi e delle relative modalità di rispetto delle istituzioni. Tutti questi fattori che sto elencando sono stati segnalati dalla nostra comunità, dai nostri ricercatori all'estero, da coloro che hanno fatto esperienza all'estero e che oggi hanno confermato tutte queste circostanze.
  In secondo luogo, generalmente non si ricevono comunicazioni circa cosa sia lecito o meno per il Paese ospitante, rispetto alle tematiche di ricerca trattate e alle tipologie di ricerca. Il dottorando può inconsapevolmente violare le normative del Paese ospitante nell'ambito della propria modalità di azione e attività di ricerca.
  In terzo luogo, al di fuori dei paesi dell'Unione europea, il ricercatore può essere ospitato da università militari, altri tipi di istituzioni accademiche non analoghe alle nostre e inconsapevolmente può adottare comportamenti che si rivelano rischiosi e senza essere pertanto preventivamente informato.
  Inoltre, come accade per gli accordi di tutela fra atenei di due diversi Paesi, sarebbe opportuno valutare degli agreement, eventualmente anche tra Paesi e istituzioni ospitanti e l'istituzione che offre il ricercatore, in modo che i ricercatori possano intraprendere la propria azione di ricerca in massima sicurezza, ovvero sarebbe necessario che i ricercatori siano anticipatamente informati di tutti i rischi e dei comportamenti da tenere rispetto allo scopo della loro attività di ricerca.
  Quinto punto: occorre valutare l'opportunità di mettere in contatto il ricercatore Pag. 18con l'ambasciata competente o altra istituzione consolare che si riterrà opportuno coinvolgere immediatamente dopo l'arrivo nel Paese ospitante.
  Sulla base di quanto esposto, riteniamo vi siano tutti gli elementi per attivare un'iniziativa parlamentare che raccolga le esperienze già maturate in Italia per una stesura di un protocollo nazionale valido per ogni ateneo pubblico e privato e che possa essere redatto congiuntamente con il Ministero degli affari esteri, il Ministero dell'università e della ricerca e la Conferenza dei rettori universitari italiani al fine di rendere omogenee le regole per la tutela di coloro che svolgono attività di docenza e di ricerca nelle zone ad alto rischio geopolitico.
  Noi della Società italiana del dottorato di ricerca con l'audizione odierna e con il presente statement – che sarà nostra cura trasmettervi ufficialmente, per poter essere da voi condiviso e analizzato e offrire qualche spunto interessante per la vostra attività – chiediamo alla Commissione di farsi portatrice di un disegno di legge sulla materia che è più necessario che mai e non più procrastinabile e, come già anticipato, rinnoviamo la nostra massima disponibilità a lavorare insieme in tale direzione. Grazie, presidente.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Costantino. Non essendovi quesiti o richieste di chiarimenti da parte dei colleghi, vi ringrazio per la vostra relazione davvero esauriente, per l'importante contributo che avete dato ai lavori della Commissione e dichiaro conclusa l'audizione.
  Nel prendere atto che oggi è stata diffusa la notizia di un'imminente riunione dei team investigativi italo-egiziani che indagano sulla morte di Giulio Regeni, auspico che in tal modo si possa avere completa risposta alla rogatoria indirizzata al Cairo dalla Procura della Repubblica di Roma pur nei termini ormai ristretti a disposizione, e mi auguro che il Governo voglia adoperare ogni forma di pressione politica e diplomatica sull'Egitto al fine di conseguire tale obiettivo.

  La seduta termina alle 15.30.