XVIII Legislatura

V Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Lunedì 7 settembre 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Melilli Fabio , Presidente ... 3 

Audizione di rappresentanti della Banca d'Italia sull'individuazione delle priorità nell'utilizzo del Recovery Fund (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento) :
Melilli Fabio , Presidente ... 3 
Balassone Fabrizio , Capo del Servizio struttura economica del Dipartimento economia e statistica della Banca d'Italia ... 3 
Melilli Fabio , Presidente ... 8 
Fassina Stefano (LeU)  ... 8 
Padoan Pietro Carlo (PD)  ... 9 
Tabacci Bruno (Misto-CD-RI-+E)  ... 9 
Comaroli Silvana Andreina (LEGA)  ... 10 
Melilli Fabio , Presidente ... 10 
Balassone Fabrizio , Capo del Servizio struttura economica del Dipartimento economia e statistica della Banca d'Italia ... 10 
Melilli Fabio , Presidente ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Popolo Protagonista - Alternativa Popolare: Misto-PP-AP.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
FABIO MELILLI

  La seduta comincia alle 16.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della Banca d'Italia sull'individuazione delle priorità nell'utilizzo del Recovery Fund .

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti della Banca d'Italia sull'individuazione delle priorità nell'utilizzo del Recovery Fund.
  Al fine di assicurare un ordinato svolgimento dei lavori, invito i rappresentanti di ciascun gruppo a comunicare al banco della presidenza entro i primi dieci minuti della seduta i nominativi dei deputati che intendano intervenire.
  Do la parola al Capo del Servizio struttura economica del Dipartimento economia e statistica della Banca d'Italia, Fabrizio Balassone.

  FABRIZIO BALASSONE, Capo del Servizio struttura economica del Dipartimento economia e statistica della Banca d'Italia. Buonasera e grazie per aver invitato la Banca d'Italia a questa audizione. Nel mio intervento mi soffermerò su tre aspetti, il primo è la struttura e le caratteristiche finanziarie del nuovo strumento Next Generation EU, di cui il Recovery and Resilience Facility o «Dispositivo per la ripresa e la resilienza» è la componente principale. Il secondo aspetto è quello del possibile impatto macroeconomico dell'utilizzo delle risorse messe a disposizione da questo nuovo programma e infine accennerò alle aree in cui l'economia italiana ha accumulato i ritardi maggiori e quindi quelle in cui l'investimento di queste risorse potrebbe generare i ritorni più elevati.
  Secondo l'accordo raggiunto lo scorso 21 luglio dal Consiglio europeo, nell'ambito di Next Generation EU l'Unione potrà reperire risorse sul mercato dei capitali per 750 miliardi di euro. Questo debito dovrà poi essere rimborsato entro il 2058. Le risorse raccolte saranno destinate alla concessione sia di prestiti sia di trasferimenti a favore degli Stati membri, rispettivamente i prestiti per 360 miliardi e i trasferimenti per 390 miliardi. Quasi il 90 per cento di queste risorse transiterà attraverso il Dispositivo per la ripresa e la resilienza. I Paesi dovranno impegnare i trasferimenti ricevuti dal Dispositivo entro il 2023. In realtà per il 70 per cento questo impegno dovrà avvenire già entro il 2022. Per richiedere l'accesso a questi fondi i Paesi dovranno predisporre degli appositi Piani nazionali per la ripresa e la resilienza che definiscono riforme e investimenti per i prossimi quattro anni. La Commissione europea sarà poi chiamata a valutare questi Piani entro due mesi dalla loro presentazione. I criteri di valutazione saranno la rispondenza dei Piani alle raccomandazioni precedentemente indirizzate ai vari Paesi, la loro capacità di contribuire alle transizioni verde e digitale, che sono due priorità dell'Unione europea per il prossimo ciclo di bilancio, e la capacità di questi piani di rafforzare il potenziale di crescita e la coesione sociale. La valutazione Pag. 4 della Commissione sarà poi sottoposta all'approvazione del Consiglio europeo, che avverrà a maggioranza qualificata. L'effettiva erogazione dei fondi, che non potrà avvenire oltre il 2026, sarà subordinata al soddisfacente conseguimento di obiettivi intermedi e finali specificati nei piani. È comunque prevista l'erogazione anticipata di un importo pari al 10 per cento del totale subito dopo l'approvazione del Piano stesso. La Commissione valuterà il conseguimento degli obiettivi intermedi e finali dopo aver sentito il parere del Comitato economico e finanziario e qualora uno o più Stati membri dovessero ritenere che gli obiettivi in questione non sono stati pienamente raggiunti, gli Stati medesimi potranno chiedere al Consiglio europeo di discutere la questione in maniera esaustiva. Durante questa discussione, che di norma non può durare più di tre mesi, l'erogazione dei fondi sarà sospesa.
  Al momento non esistono stime ufficiali della ripartizione delle risorse tra i Paesi. Per quanto riguarda i prestiti, di norma è stato stabilito che ciascuno Stato possa ottenere un ammontare non superiore al 6,8 per cento del proprio Reddito Nazionale Lordo. Per l'Italia, utilizzando le previsioni della Commissione per il 2021, si tratterebbe di circa 120 miliardi. I finanziamenti effettivamente concessi però potrebbero essere inferiori, perché il 6,8 per cento del Reddito Nazionale Lordo previsto per la UE a 27 Paesi per il 2021 è pari a circa 950 miliardi, che è oltre due volte e mezzo la dotazione di Next Generation EU per i prestiti. D'altra parte è verosimile che soltanto i Paesi con costi di finanziamento particolarmente elevato facciano ricorso a questi prestiti. Quindi c'è un margine affinché i Paesi che fanno domanda ottengano risorse prossime a questo limite massimo.
  L'accordo non specifica né la durata né il tasso dei finanziamenti che verranno concessi ai Paesi membri attraverso il Dispositivo. Il rendimento sul mercato secondario delle obbligazioni dell'Unione con scadenza residua intorno ai dieci anni è attualmente pari a meno 0,1 per cento. Quindi si può valutare che se tale tasso fosse applicato ai prestiti destinati al nostro Paese, il loro pieno utilizzo comporterebbe una spesa per interessi inferiore di circa 1,3 miliardi in media all'anno, nell'arco di un decennio, rispetto a quella connessa con l'emissione di BTP decennali per un pari importo. Per quanto riguarda i trasferimenti del Dispositivo, la ripartizione sarà in funzione di diversi indicatori. Si tratta dell'occupazione, della popolazione e della perdita di PIL intervenuta nel biennio 2020-2021. Il fatto è che però le formule di calcolo non sono ancora note, quindi è difficile fare delle valutazioni.
  Nel definire il quadro finanziario pluriennale per il periodo 2021-2027, lo stesso Consiglio europeo di luglio ha stabilito che, escludendo il nuovo strumento Next Generation EU, la spesa per l'intero periodo avrà un massimale di poco più di 1.074 miliardi. Questa spesa sarà interamente coperta dalle entrate dell'Unione già esistenti, che in termini annui non potranno superare l'1,4 per cento del Reddito Nazionale Lordo dei 27 Paesi dell'Unione europea. Per garantire però il rimborso dei debiti contratti per finanziare il nuovo programma Next Generation EU, l'accordo di luglio prevede anche un innalzamento temporaneo, pari a 0,6 punti percentuali del Reddito Nazionale Lordo, di questo limite annuo e stabilisce che nei prossimi anni l'Unione si dovrà dotare di nuove imposte.
  Per essere operativo, l'accordo raggiunto in sede di Consiglio deve ora ottenere l'approvazione del Parlamento europeo, mentre la decisione di aumentare il limite massimo delle risorse proprie dell'Unione dovrà essere ratificata da ognuno degli Stati membri secondo le rispettive procedure costituzionali. L'Ufficio parlamentare di bilancio – UPB ha stimato che per l'Italia il saldo tra i trasferimenti ricevuti nell'ambito di Next Generation EU e la quota nazionale delle nuove risorse necessarie per il rimborso dei debiti dell'Unione sarebbe pari a circa 46 miliardi in valore attuale. È il saldo positivo più elevato tra quelli dei vari Paesi membri.
  Come ho ricordato, l'erogazione dei fondi del Dispositivo per la ripresa e la resilienza dovrà avvenire entro il 2026, mentre il Pag. 5rimborso dei debiti dovrà essere completato entro il 2058. Dal punto di vista dei singoli Paesi quindi la struttura temporale dei flussi finanziari è assimilabile a quella di un prestito a lunga scadenza. Per l'Italia, che riceverà dal Dispositivo trasferimenti superiori ai contributi che verserà, si tratta di un prestito a tasso negativo. In particolare se si ipotizza che l'ammontare e il profilo temporale dei trasferimenti e dei contributi sia quello stimato dall'UPB, tale tasso sarebbe dell'ordine del meno 2,5 per cento. Il risparmio di spesa rispetto all'emissione di titoli di Stato per 87 miliardi, ipotizzando naturalmente un rendimento medio dell'1,6 per cento circa, che è quello attuale dei titoli di Stato ventennali, ammonterebbe a circa 3,5 miliardi di euro in media all'anno nell'arco di poco più di un trentennio.
  Venendo ora all'impatto macroeconomico di Next Generation EU, bisogna sottolineare che questo dipenderà da numerosi fattori. In particolare oltre all'ovvia dipendenza dall'entità delle risorse effettivamente utilizzate, rilevano la natura aggiuntiva o sostitutiva dei programmi di spesa a cui esse verranno destinate e la ripartizione tra le diverse voci di bilancio, che hanno moltiplicatori fiscali differenti, nonché il grado di efficienza con cui verranno attuati i vari progetti.
  L'incertezza riguardo agli effetti del nuovo strumento europeo sull'economia italiana dunque attualmente è estremamente elevata, perché sono limitate le informazioni sia sull'ammontare delle risorse che saranno effettivamente concesse sia sul loro utilizzo. Per ottenere comunque delle indicazioni sul possibile ordine di grandezza di tali effetti sono state condotte due simulazioni con il modello econometrico della Banca d'Italia, basate su scenari caratterizzati da ipotesi diverse sulla quota di risorse comunitarie destinate a finanziare misure aggiuntive e sulla composizione degli interventi. In entrambi gli scenari però si ipotizza che i fondi disponibili per l'Italia siano pari a 120 miliardi per i prestiti e a 87 miliardi per i trasferimenti e che siano utilizzati pienamente e senza inefficienze, con una distribuzione della spesa uniforme nel periodo 2021-2025.
  Ora, nel primo scenario si ipotizza che tutte le risorse vengano utilizzate per attuare interventi aggiuntivi rispetto a quelli già programmati e che questi interventi riguardino esclusivamente investimenti, che è la forma di spesa pubblica che in base all'evidenza empirica disponibile fornisce lo stimolo più elevato, in condizioni normali, alla crescita del Paese. Le maggiori spese allora ammonterebbero in questo caso a oltre 41 miliardi all'anno e potrebbero tradursi in un aumento cumulato del livello del PIL di circa tre punti percentuali entro il 2025, con un incremento degli occupati di circa 600.000 unità. Va rilevato che questo scenario presuppone uno sforzo notevole in termini di progettazione e di capacità di esecuzione delle opere e degli interventi. Si tratterebbe infatti di raddoppiare la spesa per investimenti effettuata lo scorso anno. È vero che una parte di questa spesa verrebbe presumibilmente effettuata da strutture che sono esterne alla pubblica amministrazione, ad esempio i concessionari delle reti infrastrutturali, ed è anche vero che il complesso dei trasferimenti indirizzati, per esempio lo scorso anno o nella media degli ultimi sette anni, a questo genere di imprese esterne al perimetro della pubblica amministrazione è di circa 17 miliardi. Quindi non si tratterebbe più di raddoppiare, ma si tratterebbe comunque di un aumento della spesa complessiva molto elevato.
  Nel secondo scenario si ipotizza invece che una parte rilevante delle risorse, pari al 30 per cento, venga utilizzata per misure già programmate e che la parte rimanente venga destinata solo per circa due terzi a finanziare direttamente nuovi progetti di investimento. Sotto queste ipotesi gli interventi aggiuntivi ammonterebbero a circa 29 miliardi all'anno, di cui solo 19 per investimenti. L'impatto cumulato sul livello del PIL raggiungerebbe in questo caso i due punti percentuali nel 2025.
  Un po' di cautele sull'interpretazione di queste stime: innanzitutto sono basate sui valori medi dei moltiplicatori per le principali voci di spesa implicite nel modello Pag. 6econometrico e pertanto non tengono conto del fatto che in una situazione, come quella attuale, di particolare debolezza economica l'impatto possa essere in realtà superiore a quello registrato in media storicamente. Inoltre queste stime non incorporano gli effetti che potrebbero derivare dall'attuazione di programmi analoghi negli altri Paesi europei. Peraltro va considerato che in un'ottica di più lungo periodo il modello econometrico della Banca d'Italia non tiene conto degli effetti che investimenti che vadano a incidere sul capitale pubblico, sulla qualità dei servizi forniti e quindi potenzialmente sulla redditività del capitale privato e sulla produttività totale del sistema economico, potrebbero avere sul potenziale di crescita. Quindi questi sono moltiplicatori di breve-medio termine. Per contro si possono immaginare scenari con effetti sul PIL inferiori a quelli che ho descritto, ad esempio se ci dovesse essere un ricorso solo parziale alle risorse di Next Generation EU o se una quota maggiore di spesa fosse destinata a interventi già programmati o infine se la composizione della spesa fosse indirizzata verso programmi con un minore moltiplicatore fiscale. Rilevo infine che in entrambi gli scenari abbiamo ipotizzato che le risorse siano utilizzate con piena efficienza e l'esperienza nazionale non conforta questa ipotesi. Bisogna che ci sia una discontinuità forte da questo punto di vista.
  Concludo questa parte, rilevando che è indispensabile che l'utilizzo di queste risorse si accompagni a una prospettiva di riequilibrio di lungo periodo delle nostre finanze pubbliche, affinché non insorgano timori da cui possano derivare tensioni sui titoli di Stato del Paese; questo perché alla fine questi effetti sarebbero controproducenti, finendo per ridurre, o anche annullare in scenari estremi, l'impatto positivo esercitato dalla maggiore spesa. Va ricordato peraltro che nonostante le favorevoli condizioni a cui sono disponibili le risorse del nuovo strumento, l'Italia, che è il terzo Paese dell'Unione, sarà chiamata comunque a contribuire significativamente al finanziamento del programma, oltre che a restituire i fondi presi in prestito. Anche per questo sarà cruciale garantire un impiego efficiente delle risorse che possa contribuire a rilanciare le prospettive di crescita della nostra economia e per questa via anche contenere il peso del debito sul prodotto. Next Generation EU è una importante occasione da non disperdere.
  Vengo quindi al terzo degli aspetti che volevo discutere oggi e cioè i settori in cui l'economia del Paese ha accumulato i maggiori ritardi. Le risorse di questo nuovo strumento sono risorse che possono contribuire ad avviare il recupero di questi ritardi. Si tratta di fenomeni che la Banca d'Italia – e non solo – ha analizzato ripetutamente nelle sue pubblicazioni e negli interventi del Governatore e di altri membri del Direttorio. In questa sede non ho pretesa di esaustività. Per esempio non parlerò di questioni relative al sistema sanitario, la cui importanza pure è stata messa in estrema evidenza dalla crisi sanitaria che stiamo ancora vivendo. Il sistema sanitario ha mostrato capacità di risposta, ma indubbiamente si sono anche evidenziate necessità di maggiori risorse sia finanziarie sia di capacità gestionale. Non ne parlerò, come dicevo. Quello che invece vorrei fare è cercare di ripercorrere le principali riflessioni che la Banca d'Italia ha condotto anche nel recente passato e vi segnalo che nel testo che abbiamo reso disponibile sono anche indicati diversi riferimenti a lavori specifici che possono costituire il materiale per utili approfondimenti su ciascuna delle questioni che descriverò brevemente.
  Il principale problema dell'economia italiana è da oltre vent'anni la bassa crescita, che è a sua volta il riflesso di una dinamica debole della produttività. Date le dinamiche demografiche, ipotizzando anche che la partecipazione femminile al mercato del lavoro e l'allungamento della vita lavorativa proseguano lungo le tendenze che hanno assunto negli ultimi dieci anni, nel prossimo decennio il contributo dell'occupazione complessiva alla crescita del prodotto potrà superare di poco il mezzo punto percentuale. Questo vuol dire che, se intendiamo riportare almeno sui livelli registrati in media nel decennio precedente la Pag. 7crisi finanziaria globale il tasso di crescita dell'economia, servirà un incremento medio della produttività del lavoro di quasi un punto percentuale all'anno. I ritardi di produttività che il Paese ha accumulato non possono essere colmati con politiche monetarie e di bilancio espansive. Queste sono misure di stabilizzazione macroeconomica fondamentali per conseguire livelli adeguati di domanda aggregata, favorire la piena occupazione e mantenere la stabilità dei prezzi, ma non possono di per sé innalzare la dinamica della produttività di lungo periodo. Come ha ricordato in più occasioni il Governatore Visco, va certamente recuperato il ritardo accumulato nelle infrastrutture tradizionali, da rinnovare e rendere funzionali, ma è possibile individuare almeno tre macroaree nelle quali gli interventi appaiono altrettanto urgenti.
  La prima di queste aree è la pubblica amministrazione, dove deve migliorare la qualità e devono migliorare i tempi dei servizi offerti, potenziando le capacità tecniche delle amministrazioni centrali e locali e puntando in particolare ad assicurare tempestivamente il pieno rispetto delle regole. Un tale cambiamento richiede investimenti che devono riguardare tanto la tecnologia quanto il capitale umano. L'esperienza maturata con la crisi ha indicato la strada, mostrando la necessità di accelerare la digitalizzazione di tutti i processi e di ripensarne l'organizzazione. Il più elevato turnover atteso nei prossimi anni rende possibile l'ingresso di nuove risorse con un bagaglio di competenze più aggiornate. Il disegno di piani di assunzione di medio-lungo periodo con concorsi da svolgere con cadenza regolare consentirebbe di selezionare su più coorti i giovani più competenti e motivati.
  La seconda area è quella dell'innovazione. Investimenti privati nella manifattura e nei servizi volti ad accrescere la produttività potranno essere favoriti da programmi pubblici per la realizzazione di infrastrutture di nuova generazione in settori ad alto contenuto innovativo, nonché nella qualità del capitale umano e della ricerca. Al completamento della copertura del territorio con rete fissa a banda larga ultraveloce va affiancata l'accelerazione della transizione verso un'economia più rispettosa dell'ambiente e con minori emissioni di gas inquinanti, ad esempio con investimenti per la riqualificazione dei trasporti pubblici e l'efficienza energetica dei fabbricati e degli stabilimenti produttivi, nonché per il corretto smaltimento dei rifiuti. Altrettanto importante è il miglioramento della qualità della scuola e dell'università, da perseguire dedicando maggiori risorse al diritto allo studio e al sostegno della ricerca. La digitalizzazione e la transizione verde, come ho ricordato, sono del resto priorità di Next Generation EU, così come lo è il futuro delle giovani generazioni. Un po' tutti gli interventi attuati grazie al nuovo strumento europeo andrebbero inquadrati in un disegno organico di riforma volto a costruire un Paese più dinamico e inclusivo verso le nuove generazioni.
  La terza area da considerare riguarda la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio naturale e storico-artistico italiano, che costituisce l'identità stessa del nostro Paese. La crisi del settore turistico ne ha reso immediatamente percepibile anche la rilevanza economica. Esso può essere preservato e reso fruibile sfruttando maggiormente le nuove tecnologie. Dato che le difficoltà italiane sono amplificate nel Mezzogiorno, gli effetti di questa azione di rinnovamento dell'amministrazione pubblica, delle infrastrutture tradizionali e innovative e della scuola potranno essere particolarmente rilevanti al Sud. Nelle regioni meridionali deve innanzitutto migliorare l'ambiente in cui operano le imprese, in primo luogo con riferimento alla tutela della legalità, ma è anche più ampio il ritardo tecnologico da colmare, inferiore l'efficacia delle politiche pubbliche e più difficoltoso il completamento degli investimenti.
  Mi avvio a concludere e vorrei riassumere brevemente le principali considerazioni che ho svolto e aggiungerne qualcuna brevemente, di respiro un po' più generale. Ho cercato di chiarire che una stima puntuale dei benefici finanziari di Next Generation EU per i Paesi dell'Unione Europea non è possibile allo stato attuale, data l'incompletezza Pag. 8 dell'informazione sui meccanismi di ripartizione dei trasferimenti e delle risorse da destinare al rimborso del debito dell'Unione. Ho cercato però anche di chiarire che si può affermare con ragionevole certezza che tali benefici potranno essere molto rilevanti per il nostro Paese. In ogni caso ritengo che l'accordo raggiunto nel Consiglio europeo dello scorso luglio non sia l'esito di un gioco a somma zero, in cui al guadagno di un Paese corrisponde la perdita di un altro. Come ha detto il Governatore Visco, quello che conta è che per la prima volta nella sua storia l'Unione europea si è dotata di una sostanziale capacità di indebitamento comune da utilizzare per contrastare shock economici avversi e per raggiungere obiettivi concordati. Un'architettura comune più solida e adeguata è evidentemente un vantaggio per tutti; lo testimonia il fatto stesso che l'accordo sia stato votato all'unanimità. Al di là degli aspetti finanziari, i benefici effettivi che l'Italia potrà ottenere dall'utilizzo dei fondi dipenderanno dalla capacità del Paese di proporre interventi che siano in grado di contribuire a rafforzare il potenziale di crescita economica, coerenti con gli obiettivi e i requisiti del programma, e di attuarli in tempi rapidi e senza sprechi. Il Piano nazionale per la ripresa e la resilienza deve fondarsi anche sull'obiettivo imprescindibile di conseguire un sostanziale, progressivo e continuo riequilibrio dei conti pubblici. A questo può contribuire soprattutto il rilancio della crescita, che sarà possibile solo se le risorse saranno impiegate in maniera produttiva. In caso contrario i problemi del Paese non sarebbero alleviati dal maggiore indebitamento, ma ne sarebbero accresciuti. Uno sforzo straordinario nell'attività di programmazione e una capacità di realizzazione che non sempre il Paese ha mostrato di possedere dovranno accompagnare l'aumento delle risorse disponibili. L'impatto sull'economia dipenderà anche dal miglioramento del contesto in cui si svolge l'attività di impresa. Sarebbe rischioso assumere che la disponibilità di maggiori risorse possa automaticamente tradursi in una crescita economica sostenuta e duratura senza un impegno continuo per il miglioramento della qualità dell'azione pubblica.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Balassone e do la parola ai colleghi che intendano intervenire.

  STEFANO FASSINA. Ringrazio il dottor Balassone per la relazione davvero interessante e ricca di valore aggiunto. Ho una domanda e una considerazione. È utile – benché, come lei ha sottolineato, non ci siano informazioni per poter fare una simulazione particolarmente puntuale – la simulazione che avete proposto per capire gli ordini di grandezza. La mia domanda riguarda l'aggettivo «aggiuntivi», perché il punto, che ho provato a sollevare anche nel corso dell'audizione del Commissario Gentiloni, riguarda proprio l'aggiuntività. «Aggiuntivi» vuol dire che c'è una qualche golden rule in attesa per la parte prestiti che consenta di rendere meno vincolante l'obiettivo di deficit? Ora le norme sono sospese, lo sappiamo; ci sono discussioni in corso. Poi c'è la capacità di implementazione delle pubbliche amministrazioni; ma facciamo finta che nel primo caso che voi avete simulato la pubblica amministrazione funzioni e sia in grado di attuare al 100 per cento, come voi avete previsto in quello scenario positivo. Dopodiché c'è un problema macro, perché se non c'è una sorta di golden rule – ovviamente sulla parte prestiti, non sulla parte grants – è chiaro che bisogna tagliare da qualche altra parte. Allora quegli effetti vengono meno, perché o riduco gli investimenti programmati, o intervengo sulla spesa corrente, o aumento le entrate; comunque delle variabili, delle misure compensative che hanno un effetto macroeconomico di segno opposto a quello previsto. Questo è un punto importante, anche per le previsioni di crescita.
  Faccio poi una considerazione più che una domanda: lei ha sintetizzato un concetto in modo molto efficace quando ha affermato che i ritardi di produttività accumulati non possono essere colmati con politiche monetarie e di bilancio espansive. Poi ha illustrato questa affermazione, sulla Pag. 9quale si può essere d'accordo; però è chiaro che una politica monetaria espansiva è condizione necessaria. Noi non abbiamo un problema di inflazione da stabilizzare, ma un problema contrario: questa inflazione, anzi «deflazione», è troppo stabile; abbiamo un problema di inflazione da aumentare. So bene che questo punto non è condizione sufficiente, ma è condizione necessaria, perché se quel punto viene meno poi tutto il resto non funziona.

  PIETRO CARLO PADOAN. Grazie, dottor Balassone, per la solita molto utile presentazione. Io ho due domande che sono molto simili ai temi toccati dall'onorevole Fassina, anche se devo dire che sono un po' diverse come enfasi, e riguardano la questione della sostenibilità del debito e la questione della produttività.
  Riguardo alla prima mi rendo conto che è un tema molto delicato, quindi non la forzerò più di tanto; però sarebbe interessante avere qualche idea in più sui sentieri di sostenibilità che sono sottostanti agli scenari che avete simulato, sia quelli che ci ha presentato sia quelli che non ci avete presentato; ma non ne faccio una colpa, anche perché uno dei problemi tutt'ora pendenti dal punto di vista del dibattito politico è quando e in che modo le regole fiscali in Europa saranno rimesse, non dico in ordine, ma rimesse a posto; magari totalmente cambiate. Comunque adesso siamo senza regole e avremmo bisogno di qualche regola. Dietro questi scenari essenzialmente incoraggianti, al di là dei singoli casi, c'è una preoccupazione – a rischio di essere tacciati di una cattiva propensione – che è inevitabilmente da prendere in considerazione, anche perché se non si fa così i mercati, che fino adesso stanno rispondendo molto positivamente a questo scenario, potrebbero cambiare idea su un Paese come il nostro. La prima domanda è: ci può dire qualcosa in più sugli scenari di sostenibilità del debito, al di là dell'orizzonte di breve e medio termine?
  Ora la seconda domanda. Sono totalmente d'accordo con l'enfasi che lei pone, e che del resto Banca d'Italia ha sempre posto, sulla questione della produttività e degli investimenti in «riforme» per aumentarla. Mi chiedo: sarebbe secondo lei utile traslare questo criterio essenzialmente macroeconomico a livello microeconomico nella valutazione dei singoli progetti? Perché è di questo che ci dobbiamo occupare, in Parlamento questa settimana e poi il Governo in primo luogo. Come si fa a selezionare un progetto se due progetti sono simili o insistono sulla stessa tematica? È possibile adottare la produttività come uno dei criteri per selezionare i progetti e quindi aiutare in questo modo il difficile lavoro di scelta da parte del Governo e in parte anche del Parlamento?

  BRUNO TABACCI. Sono veramente grato al dottor Balassone per questa relazione così intensa e carica di proposte e di indicazioni, secondo la tradizione della Banca d'Italia. I due scenari che vengono proposti sono della serie «di che cosa stiamo discutendo». Se le risorse vengono utilizzate per attuare interventi aggiuntivi che riguardano progetti di investimento, si può arrivare fino a tre punti percentuali in più del PIL nel 2025; se questo non si fa, invece di crescere fino a tre punti in più si cresce di meno o molto di meno. Con questo la discussione dovrebbe essere già conclusa, perché è evidente che qualsiasi altra azione il Governo e il Parlamento facciano che si discosti da questa indicazione non porta al risultato sperato, con conseguenze che poi sono a cascata sulla gestione del debito o sulle attese del contesto generale. Il punto centrale che viene qui richiamato è il tema di una forte discontinuità rispetto alle esperienze che abbiamo vissuto nell'arco di questi ultimi 20-30 anni, e cioè il richiamo a un cambiamento profondo della pubblica amministrazione. Chi ha avuto la fortuna di conoscere e di attraversare le vicende della struttura della nostra pubblica amministrazione nel corso di questi anni ha tutte le ragioni per ritenere che siamo andati verso un peggioramento rilevante delle strutture amministrative e che la forza delle amministrazioni dei Ministeri come potevano essere in campo 20 o 30 anni fa non è neppure lontanamente paragonabile a quella di oggi.
  Abbiamo prima sentito la Cassa depositi e prestiti. Mi è venuta in mente una riflessione Pag. 10 molto semplice. La relazione che hanno svolto era di buon livello, però mi è venuto da riflettere su quella che poteva essere la struttura portante di un IRI o di un ENI e l'affiancamento che era in grado di fare tale politica dello Stato rispetto alle indicazioni che vengono da una struttura come quella di Cassa depositi e prestiti; e aggiungo, sullo sfondo, che la politica che abbiamo portato avanti nell'arco di questi decenni, quella di una retrocessione dello Stato dalla presenza sistemica all'interno della struttura economica del Paese – una scelta peraltro incontrovertibile, per molti aspetti necessitata – ha finito però per indebolire quel ruolo dello Stato che attraverso le sue Autorità indipendenti fissava le regole del gioco, e molte di queste Autorità sono state catturate dai nuovi protagonisti che sono entrati al posto dello Stato nella gestione dei comparti decisivi. Oggi noi dobbiamo fare i conti con eventi di questa natura. Non c'è solo la vicenda di Autostrade; ci sarebbe una lunga rassegna di esperienze di questa natura.
  Tutto ciò premesso, è chiaro che il lavoro che voi avete fatto rispetto ai due scenari si presta comunque – e l'avete messo in evidenza – a molti elementi di incertezza, primo fra tutti la qualità del livello statuale e la qualità della pubblica amministrazione, che è il braccio operativo del livello statuale. Lo si vede anche nel mutamento di qualità delle rappresentanze politiche che hanno accompagnato il processo in questi ultimi decenni. È chiaro che tutto si tiene, dalla politica alle strutture dello Stato. Io mi auguro che questa grande occasione non venga sciupata, però non mi faccio molte illusioni sul fatto che o l'Italia riesce a incamerare la responsabilità di un passaggio di questa natura o altrimenti le cose diventano oggettivamente difficili; ma penso che questa sia l'ultima chiamata e che non ci sarà poi un'altra chance.

  SILVANA ANDREINA COMAROLI. Anch'io ringrazio il dottor Balassone per la sua relazione. In modo particolare penso che essa si riconduca a tre questioni fondamentali: utilizzare le risorse in modo produttivo, in tempi rapidi e senza sprechi. Queste tre questioni sono quelle che fanno un po' il sunto di come dobbiamo agire; però è certo che sicuramente noi abbiamo bisogno anche di un metodo, perché abbiamo visto nel nostro passato, per esempio, come molte volte, pur essendoci risorse, non si riesca a spenderle bene e in modo veloce. Pensiamo alla difficoltà, in alcune zone del Mezzogiorno, dovuta al fatto che, come ha detto nella sua relazione, dove c'erano i fondi europei non si riusciva a spenderli; pensiamo alle difficoltà legate ad altre tematiche, come per esempio può essere la realizzazione della TAV con tutte le difficoltà connesse. Abbiamo anche esempi che invece sono andati bene, come la recente realizzazione del nuovo ponte di Genova. Di fronte a questo sicuramente è necessario un metodo, e perciò le chiedo se lei ha dei suggerimenti sulla metodologia da usare. Ciò è collegato anche al fatto che non dobbiamo dimenticarci che noi abbiamo un elevato debito pubblico, ed è proprio per questo che è fondamentale capire la metodologia da usare. Perché noi riusciremo a ridurre il nostro debito pubblico, oltre che aumentando il PIL, anche aumentando l'avanzo primario, Quindi, se lei ha qualche suggerimento anche da questo punto di vista, le sarei molto grata.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Balassone per la replica.

  FABRIZIO BALASSONE, Capo del Servizio struttura economica del Dipartimento economia e statistica della Banca d'Italia. Grazie innanzitutto per le domande e per l'apprezzamento che in realtà poi nascondeva domande difficilissime. Non potrò essere esaustivo: l'onorevole Padoan ha già spiegato perché nella sua domanda; però cercherò di essere il più chiaro possibile.
  L'onorevole Fassina mi chiedeva il significato del termine «aggiuntivo». Come ha detto lei nella domanda, onorevole, per i trasferimenti questo problema non si pone; si pone per i prestiti. I prestiti possono essere erogati nei prossimi cinque anni; quindi abbiamo davanti a noi un orizzonte temporale di cinque anni, orizzonte che è un po' più lungo di quello che normalmente c'è dentro il Documento di economia Pag. 11e finanza – DEF e nella relativa Nota di aggiornamento – NADEF. Il Governo ha promesso di includere in questi documenti anche un Piano di rientro dal debito e quindi direi che da questo punto di vista dobbiamo aspettare di vedere cosa ci sarà in questi documenti. Sulle regole europee c'è, come lei sa, l'idea forte di provare a riscriverle, a rivederle. Adesso onestamente io non ho informazioni su quanto profonda sarà questa riscrittura, quindi non sono in grado di darle una risposta sulla possibilità di avere più margini. È vero però che i trasferimenti in qualche misura, non andando a incidere sul disavanzo, creano un po' di spazio anche per i prestiti. Quanto non lo sappiamo ed è per questo che poi i due scenari sono fatti avendo a mente una proporzione diversa di interventi aggiuntivi o meno.
  Sulla politica monetaria e sulla politica di bilancio espansiva ha ragione; lì manca la parola «solo»: non può essere ottenuta «solo» con una politica di bilancio e una politica monetaria espansiva. Sono condizioni necessarie. La politica monetaria è espansiva e ci sono tutte le premesse affinché lo resti a lungo, per la durata necessaria a vedere gli effetti e a lasciare che l'impiego delle risorse di Next Generation EU esplichi i suoi effetti; quindi su questo sono assolutamente d'accordo. Il punto che cercavo di sottolineare era che non possiamo pensare che, continuando ad adottare una politica monetaria espansiva, risolviamo i nostri problemi, perché sono problemi anche di economia reale.
  L'onorevole Padoan parlava della sostenibilità del debito. In parte, come dicevo rispondendo all'onorevole Fassina, dobbiamo un po' aspettare anche quello che ci dirà il Governo tra qualche settimana; però rispetto alle sue preoccupazioni – mi pare che ne abbiamo discusso già in un'altra occasione – vedo sostanzialmente due aspetti positivi. Il primo è che abbiamo un debito che comunque ha una durata media residua di sette anni, il che vuol dire che i tassi bassi che stiamo sperimentando in questo periodo restano dentro il debito per un periodo abbastanza lungo, anche quando non dovessero essere più quelli di mercato; cioè i titoli sono stati emessi a quei tassi bassi e restano lì per un periodo medio di sette anni. In più questo programma europeo ci dà dei trasferimenti. Per quanto nell'oceano del debito pubblico italiano perfino queste cifre, perfino questi 200 miliardi, sembrano una lagrima, però sono 200 miliardi a tasso molto basso o negativo, per la parte di prestiti, e molto negativo per la parte di trasferimenti; quindi anche questo contribuisce a tenere basso il costo medio del debito. Per quanto il nostro debito sia cresciuto in valore assoluto e anche in rapporto al PIL, non è detto che l'onere medio della spesa per interessi annua segua lo stesso percorso.
  Produttività e microeconomia: è difficilissimo; noi abbiamo sempre sostenuto che quello che si può fare a livello micro è prevedere gli incentivi, o meglio, fornire gli incentivi e predisporre poi le risorse necessarie alle imprese per effettuare quegli investimenti che possono aumentare la produttività; non può essere la spesa pubblica diretta a entrare nei meccanismi di produzione. Tutti quei programmi che sono stati attuati anche negli ultimi anni e molti che sono dentro il quadro finanziario pluriennale dell'Unione europea, quei programmi che sono volti a spingere le imprese a innovare sia nel processo sia nel prodotto, sono programmi che vale la pena di perseguire. Poi c'è una grande azione, secondo me, di contesto, che è quella che cercavo di descrivere nella relazione: se l'ambiente migliora, anche le imprese sono spinte a migliorare; se si chiede alle imprese di contribuire a degli investimenti che sono ad alta tecnologia, che migliorano l'efficienza delle pubbliche amministrazioni o migliorano l'efficienza dei servizi da queste fornite, forse le imprese stesse devono poi stare al passo. Per quanto riguarda il nesso macro-micro per la selezione dei progetti, onestamente bisognerebbe valutare caso per caso; non riesco a immaginare una soluzione che valga per ogni situazione in cui si pongano due progetti alternativi e si debba fare una scelta.
  L'onorevole Tabacci mi chiedeva se sono possibili la discontinuità e il cambiamento. Io ho parlato di sforzo straordinario. Evidentemente Pag. 12 non è un'impresa facile, però è anche vero che per migliorare il modo in cui le amministrazioni lavorano non abbiamo bisogno di sostituire tutto il corpo dei dipendenti pubblici; servono degli inserimenti, anche contenuti nei numeri assoluti, di persone però con competenze che siano adeguate alle sfide. Per quanto riguarda il ruolo diretto dello Stato, l'IRI, l'ENI versus quello che c'è ora: la situazione storica è completamente diversa; quell'esperienza si è conclusa in modo non particolarmente positivo, pur avendo dato risultati positivi all'inizio, e come lei ha detto, ci sono dei vincoli anche in ambito europeo.
  Infine, le due domande dell'onorevole Comaroli. Del debito pubblico abbiamo già parlato. È difficile individuare un metodo; credo che bisognerebbe pensare a una situazione. Se dovessi essere proprio costretto a pensare a un metodo, io penserei all'individuazione di grandi linee di intervento, per esempio quelle che ho cercato di illustrare oggi, e poi chiederei alle amministrazioni di portare idee che siano coerenti con quelle linee; quindi un processo che vada dall'alto verso il basso chiedendo contributi e poi dal basso verso l'alto, e quindi eviterei sicuramente una sorta di ricerca di idee casualmente messe insieme. Ci vuole un'idea guida, un progetto per migliorare la situazione.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Balassone e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.55.