XVIII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni

Resoconto stenografico



Seduta n. 12 di Giovedì 25 giugno 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 3 

Audizione di rappresentanti dell'Università di Trieste:
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 3 
Di Lenarda Roberto , Magnifico Rettore dell'Università di Trieste ... 3 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 4 
Sclip Giorgio  ... 4 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 7 
Negro Corrado  ... 7 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 9 
Di Lenarda Roberto , Magnifico Rettore dell'Università di Trieste ... 9 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 9

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ERASMO PALAZZOTTO

  La seduta comincia alle 14.20

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche tramite impianto audiovisivo a circuito chiuso.

Audizione di rappresentanti dell'Università di Trieste.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dei rappresentanti dell'Università degli studi di Trieste che sono presenti in videoconferenza. Saluto il Magnifico Rettore, professor Roberto Di Lenarda, e i professori Giorgio Sclip e Corrado Negro. L'audizione verterà sul tema della sicurezza dei ricercatori italiani all'estero che l'Università degli studi di Trieste ha approfondito in modo particolare, istituendo un gruppo di studio e svolgendo un convegno di cui sono stati pubblicati gli atti. Tale impegno costituisce un'ulteriore testimonianza della profonda sensibilità dimostrata verso Giulio Regeni da tutto l'Ateneo giuliano che ha subito aderito alla campagna di Amnesty International, collocando sulla facciata della sua sede centrale lo striscione giallo che reclama «Verità e giustizia per Giulio». Segnalo che la seduta odierna si svolge nelle forme dell'audizione libera e che eventuali contributi per cui si rendesse necessaria la forma segreta potranno essere resi in altra seduta, ovvero per iscritto.
  Invito il Rettore Di Lenarda a introdurre il tema dell'audizione.

  ROBERTO DI LENARDA, Magnifico Rettore dell'Università di Trieste. Grazie, presidente. Buongiorno a tutti. Grazie anche della sensibilità e dell'opportunità che ci date per poter presentare brevemente l'esperienza e il percorso che come università abbiamo sviluppato in questi anni. Non c'è dubbio che la vicenda di Giulio, come ben noto tragicamente scomparso ormai più di quattro anni fa in Egitto, abbia avuto l'effetto, in fondo positivo nella sua tragicità, di porre in modo inedito l'attenzione sulla realtà molto viva dei ricercatori che conducono i propri studi in zone instabili del globo. Oggi viviamo in un'epoca di cambiamenti assolutamente rilevanti a tutti i livelli: politico, economico, sociale. Gli equilibri cambiano molto rapidamente, aree geografiche che un tempo ritenevamo sicure, oggi non lo sono più. A volte non lo sono nella realtà effettiva, a volte non lo sono nella realtà percepita. In entrambi i casi il tema è rilevante, ma spesso lo dimentichiamo. Anche aree che in modo non corretto consideriamo sicure al 100 per cento a volte non lo sono. La mobilità internazionale è un tema assolutamente rilevante per tutto il mondo della ricerca, ma anche della didattica e dello sviluppo tecnologico. Fino alla riduzione di cui abbiamo avuto evidenza per effetto della pandemia, questa mobilità internazionale negli anni è sempre cresciuta. Non possiamo che ritenere positivo questo elemento perché solo dalla contaminazione dei saperi e delle conoscenze, possiamo pensare di fare vera crescita culturale. Oggi siamo quindi di fronte a nuove opportunità, ma anche a nuovi rischi. Per avere un ordine di grandezza dei numeri di cui stiamo parlando – tra l'altro mi preme sottolineare che su questo punto tornerò nel mio brevissimo intervento a conclusione dell'audizione – Pag. 4noi oggi non abbiamo contezza precisa del numero dei nostri ricercatori che vanno all'estero e in parte non l'abbiamo dei nostri studenti che vanno all'estero. Questo tema è assolutamente rilevante anche in termini di programmazione e di gestione della sicurezza.
  Se parliamo di studenti, come Università di Trieste abbiamo circa mille studenti all'anno che vanno in Erasmus su un totale complessivo statale di circa cinquantamila, quindi sono numeri importanti. I ricercatori che si muovono nel breve periodo sono praticamente tutti, i ricercatori che si muovono per un periodo di almeno un mese sono tra il 5 e il 10 per cento della popolazione complessiva. Anche in ingresso, solo per fare un esempio, abbiamo studenti che arrivano da più di trentacinque paesi. Ecco quindi che Trieste, città di confine, ma anche università di confine storicamente e intellettualmente sempre aperta rispetto ai mondi vicini, ha sviluppato questa sensibilità che si estrinseca in primis in una profonda convinzione di come l'allocazione dei rischi e la necessità di formazione, oltre che di sicurezza sanitaria, come ci dirà il professor Negro, siano assolutamente fondamentali.
  Ultima nota: oggi abbiamo persone di età sempre inferiore che si spostano. Non dobbiamo solamente limitarci al ruolo giuridico del ricercatore universitario, ma di tutta quell'ampia platea di personale dedicato, ripeto, alla didattica e alla ricerca che si reca all'estero e che deve poter continuare a farlo in sicurezza. Credo che l'università possa e debba svolgere un ruolo importante nello sviluppo di questa consapevolezza e di questi protocolli per cui, ribadendo il ringraziamento a voi per l'attenzione che ci avete dimostrato, credo che gli interventi del dottor Sclip e del professor Negro potranno dare un inquadramento specifico su alcuni dei temi centrali. Io poi chiuderò molto rapidamente con una chiosa finale, credo e spero riassuntiva.

  PRESIDENTE. Grazie mille. Do la parola al professor Sclip per la sua relazione.

  GIORGIO SCLIP. Buongiorno presidente, buongiorno a tutti. La mia esperienza personale nell'affrontare il tema di cui stiamo parlando, il tema della sicurezza dei ricercatori in aree a rischio geopolitico, nasce quando, come docente, sono stato coinvolto in un corso sulla sicurezza sul lavoro rivolto al Dipartimento di scienze politiche e sociali della mia università, solo pochi mesi prima della tragica fine di Giulio Regeni in Egitto, giovane dottorando dell'Università di Cambridge. Questo è stato un fatto che, oltre che ovviamente da un punto di vista umano, è stato drammatico e sconvolgente anche da un punto di vista professionale per chi come me operava per la gestione della salute e della sicurezza in un'istituzione universitaria. Durante il corso di formazione, alcuni docenti mi hanno confermato che nel loro ambito di studio e di ricerca contesti simili a quelli in cui operava Giulio sono abbastanza comuni in realtà, anche nella nostra università e in generale negli enti di ricerca. Da qui la volontà di capire e approfondire come fare per aiutare e proteggere chi dedica la propria vita alla ricerca in paesi a rischio, per contribuire a evitare che fatti simili possano, per quanto possibile, ripetersi. Fino alla fine degli anni novanta, l'attività di ricerca godeva di una sorta di immunità e protezione derivante dalla percezione di neutralità e di un ruolo sopra le parti, per così dire, associati universalmente o quasi universalmente alla figura del ricercatore.
  Oggi lo scenario è senz'altro notevolmente cambiato, tanto che in alcuni Paesi le autorità considerano le università e gli enti di ricerca un obiettivo di indagine permanente, tale da tenere i ricercatori sotto sorveglianza fin dal loro ingresso nel Paese, perché sospettati di essere non alla ricerca di approfondimenti culturali, ma sostanzialmente di informazioni che poi possono e spesso di fatto sono oggetto di pubblicazione e quindi di divulgazione pubblica. A fronte di questa situazione diventa pressante, oltre che per i diretti interessati, anche per l'organizzazione di cui la persona fa parte, oggi più che un tempo, rispondere concretamente alla previsione normativa dell'obbligo di tutela. Molto chiara Pag. 5in proposito è la risposta a un interpello del Ministero del lavoro del 25 ottobre 2016 che, cito testualmente, ritiene che «il datore di lavoro debba valutare tutti i rischi, compresi i potenziali e i peculiari rischi ambientali, legati alle caratteristiche del Paese in cui la prestazione lavorativa dovrà essere svolta; tra cui, a titolo esemplificativo, i cosiddetti rischi generici aggravati legati alla situazione geopolitica del Paese e alle condizioni sanitarie del contesto geografico di riferimento che abbiano la ragionevole possibilità di manifestarsi». L'obbligo di tutela di cui dicevo prima si riferisce quindi non solo agli aspetti tecnici che potremmo definire tradizionali e consolidati, legati ai locali, agli ambienti di lavoro, alle macchine, agli agenti chimici, fisici o biologici utilizzati, ma chiede di prendere in considerazione e valutare i rischi legati ad aspetti nuovi o comunque abitualmente non indagati, come appunto i rischi geopolitici. A questo punto è chiaro che la valutazione del rischio non può limitarsi al solo laboratorio, inteso come luogo ospitato fisicamente entro il perimetro di un campus universitario o di un ente di ricerca, ma deve comprendere anche i rischi specifici associati ai luoghi o agli ambienti dove si svolgono queste attività, anche fuori dell'area edificata della sede. Si pensi, ad esempio, alle campagne archeologiche, geologiche o marittime.
  Non solo, ma in quest'ottica, ad esempio, anche un'indagine di tipo sociologico come quella che effettuava Giulio Regeni sul campo rientra, a mio avviso, a pieno titolo tra le attività soggette all'obbligo di valutazione e gestione del rischio. La mia esperienza mi porta a dire che fino a qualche anno fa questo aspetto non era così chiaro e che sul tema c'è stata fino a ora una generale sottovalutazione. Anche come ateneo eravamo certamente impreparati fino a qualche anno fa, pur essendo l'Università di Trieste un'università a forte vocazione internazionale. Oggi le cose sono certamente un po' migliori, ma il lavoro da fare è ancora tanto ed è necessario affrontare questi aspetti con la dovuta serietà, trovando risposte concrete e strumenti operativi adeguati. L'obiettivo cruciale è molto chiaro e irrinunciabile per un ricercatore inviato in una zona a rischio e anche per l'ateneo per cui lavora ed è quello di sapere di potersi muovere in sicurezza o di sapere come muoversi in sicurezza. In tale ottica si colloca lo sviluppo dei criteri legati a quella che potremmo definire un'operatività consapevole in aree a rischio che, in forza dell'instabilità crescente di cui diceva il Magnifico Rettore in apertura, dovrà trovare sempre più spazio in parallelo alle attività di ricerca. Avere una grande libertà, ma senza una chiara cornice di riferimento entro la quale muoversi, può risultare paralizzante, al punto da non permettere nemmeno di sfruttare tale libertà. Al contrario, avere molta sicurezza implica rinunciare a gran parte della libertà, con il risultato di rimanere ingabbiati. L'obiettivo che come università ci siamo posti è quello di cercare di trovare il giusto equilibrio tra libertà e sicurezza, così da mettere il ricercatore nelle condizioni di assolvere il compito assegnato, riducendo al massimo la possibilità di spiacevoli conseguenze.
  Vengo ora a una breve lista di strumenti di prevenzione che abbiamo messo a punto nella nostra università. Il primo è legato alla valutazione dei rischi, cioè in ateneo è stata definita una procedura da utilizzare prima di ogni spostamento all'estero per esaminare e valutare i rischi, pianificando così le attività da svolgere. Per tale attività si è scelto di coinvolgere e responsabilizzare in primis il ricercatore interessato, il medico competente e il suo supervisore o referente scientifico. Allo scopo, il regolamento di ateneo per le missioni è stato recentemente aggiornato e prevede, in caso di missioni all'estero per attività di ricerca e formazione sul campo in zone a rischio, l'obbligo di compilare una modulistica che sostanzialmente è una lista di controllo che obbliga a occuparsi di vari aspetti. Al ricercatore, ad esempio, è chiesto di inserire i dati personali e quelli del responsabile della ricerca; i dati sulla ricerca, quindi l'ambito disciplinare, il tipo di attività e l'argomento, il Paese in cui si svolgerà la ricerca e la metodologia della ricerca. È importante anche il fatto di inserire i dati sulla domiciliazione durante la permanenza,Pag. 6 quindi i riferimenti del tutor locale che ospiterà il ricercatore in un altro Paese; quando si svolgerà la missione e che durata avrà; un'analisi sui documenti richiesti nel Paese di destinazione, come ad esempio il visto. Poi c'è un elenco che contribuisce a identificare i rischi derivanti sia dal contesto sia dalla specifica natura della ricerca. Rischi climatici e ambientali, rischi sanitari, rischi legati all'oggetto della ricerca oppure anche alla vulnerabilità del ricercatore nel Paese ospitante in conseguenza del genere, della religione, dello status giuridico; rischi legati ad aspetti logistici, come ad esempio gli spostamenti, l'alloggio oppure anche la conservazione e la trasmissione dei dati raccolti; rischi dovuti al contesto socio-politico oppure di criminalità o di terrorismo. Segue una parte in cui viene chiesto, a fronte dei rischi individuati, di individuare gli accorgimenti per mitigare i rischi presenti. Al ricercatore è richiesto di aver seguito i corsi sulla sicurezza organizzati dall'ateneo e di aver effettuato la profilassi richiesta in caso di rischio sanitario di cui vi dirà poi meglio il professor Negro. Il medico competente ha il compito sostanzialmente di verificare che il richiedente abbia espletato tutti i passaggi necessari alla tutela sanitaria. L'ultima parola spetta al responsabile della ricerca che ha il compito di collaborare all'individuazione e alla valutazione dei rischi e degli accorgimenti di riduzione del rischio e, alla fine, di approvare o respingere la missione. Sì, perché la missione potrebbe anche venire respinta per motivi di sicurezza.
  Il secondo punto su cui abbiamo cercato di lavorare è la formazione. Ovviamente come università la formazione è un aspetto irrinunciabile. C'è da dire che chi è nato e vive da sempre in Italia potrebbe non avere la reale percezione dei possibili rischi associati a una missione all'estero, anche se di studio e ricerca. La facilità con cui oggi è possibile raggiungere ogni angolo del mondo può rappresentare un ulteriore elemento di sottovalutazione. La conoscenza storica e politica del luogo aiuta a comprendere relazioni e problematiche che intercorrono tra le persone, ma anche a guardare se stessi dal punto di vista di qualcun altro, per cercare di valutare come gli altri potrebbero vederci. Muoversi per motivi di studio e di ricerca in Paesi instabili, in aree di crisi umanitaria o colpite da conflitti, in zone con un alto tasso di criminalità o violenza, richiede una seria e completa preparazione. Oggi più che in passato è di fondamentale importanza conoscere il Paese in cui ci si deve recare ed essere preparati ad affrontare situazioni inconsuete, maturando una consapevolezza del ruolo che si è chiamati a svolgere. È necessario essere a conoscenza di situazioni e modalità comportamentali, ma anche di processi da mettere in atto durante il viaggio e nei periodi di permanenza. La formazione riveste certamente un ruolo centrale per creare o rafforzare la coscienza informativa di ciascuno, cioè un atteggiamento discreto ma di costante osservazione, capace di cogliere gli indicatori di pericolo e di assumere comportamenti adeguati. In assenza di adeguata preparazione il ricercatore è esposto a tutta una serie di pericoli che possono manifestarsi nel momento meno opportuno e con modalità particolari non sempre prevedibili.
  Presso l'Università degli studi di Trieste, la formazione in questo specifico ambito si svolge su diversi canali, compreso quello che potremmo definire divulgativo, legato alla formazione obbligatoria, e i percorsi di alta formazione. Gli eventi divulgativi certamente hanno lo scopo di contribuire a creare e a consolidare una cultura su questi temi, primo tra tutti l'appuntamento del 18 ottobre 2016, la giornata di studio sulla sicurezza sul lavoro dei ricercatori in zone a rischio geopolitico. Il 18 ottobre 2019 c'è stata un'altra giornata di studio dal titolo: «Studio, ricerca, volontariato e lavoro all'estero. Quale sicurezza?», dove si sono affrontati alcuni temi non trattati nella precedente giornata, come ad esempio un focus molto interessante sugli aspetti assicurativi. L'8 aprile 2020, quindi parliamo di cose molto recenti, c'è stata un'altra giornata di studio sul tema: «Donne all'estero e sicurezza», per approfondire la possibile maggiore esposizione al rischio in relazione al genere nei diversi contesti di destinazione.Pag. 7 Dalla giornata di studio del 2016 è nato il volume edito dalle Edizioni Università Trieste, dedicato a Giulio Regeni, di cui è stato detto all'inizio dal presidente, presentato a livello locale a Trieste e anche a livello nazionale il 25 ottobre 2017. Anche delle altre giornate di studio è prevista una pubblicazione con i contenuti principali. Ci sono stati altri eventi che abbiamo promosso: ad esempio, abbiamo parlato di sicurezza dei ricercatori all'estero durante la «Notte europea dei ricercatori» nell'ambito della manifestazione «Trieste Next» nel settembre del 2019. Un altro evento è previsto il 29 agosto di quest'anno nell'ambito dell'iniziativa ESOF «Trieste Capitale Europea della Scienza». La manifestazione sarà focalizzata sul dibattito tra scienza, tecnologia, società e politica ed è prevista una conferenza dal titolo: «La sicurezza ai tempi del coronavirus, come cambia la ricerca», che costituirà un approfondimento, crediamo utile, su come alcuni cambiamenti imposti dalla pandemia che stiamo vivendo potranno essere anche in futuro utili soluzioni per la riduzione del rischio nella ricerca svolta anche all'estero.
  A questo si somma la formazione obbligatoria. Conosciamo tutti il decreto legislativo n. 81 del 2008 che prevede dei percorsi obbligatori. Nel nostro ateneo sono attivi da tre anni percorsi formativi per direttori di dipartimento, referenti per la mobilità internazionale, per ricercatori e dottorandi, per studenti in partenza nell'ambito del progetto Erasmus. Specifici moduli di formazione online sono anche previsti per dirigenti che trattano questo tema. Inoltre l'esperienza maturata in questi anni e i numerosi e qualificati docenti con cui siamo entrati in contatto e ci siamo confrontati hanno portato a considerare l'ipotesi di organizzare dei corsi di alta formazione.
  Il terzo elemento su cui abbiamo lavorato è la stesura di linee guida per la sicurezza all'estero. Il documento è attualmente in via di perfezionamento ed è diretto a rendere edotti i ricercatori in partenza delle misure da adottare prima di partire, durante la missione e in caso di emergenza. Tale documento serve anche a condividere l'impegno dell'università in questa direzione, oltre a chiedere e accertarsi di avere la piena collaborazione. Questa è un'attività importante che fa parte della responsabilità sociale d'impresa e ne valorizza la reputazione a livello nazionale e internazionale.
  Il quarto strumento che abbiamo realizzato è un semplice video che adesso chiedo se è possibile mandare in onda e mostrare a tutti voi. In tre minuti riassume i principali comportamenti da seguire per la sicurezza all'estero. Con questo ho concluso il mio intervento. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, professor Sclip. Chiedo di trasmettere il video, che viene acquisito agli atti della Commissione. Ringrazio il professor Sclip. Prego il professor Negro di svolgere la sua relazione ricordando che noi, per esigenze legate ai lavori dell'Assemblea, dobbiamo chiudere la seduta entro le 15.

  CORRADO NEGRO. Buongiorno, vi ringrazio per avermi chiamato a questa audizione. Cercherò di essere molto breve. È stato già detto che nel settore della ricerca e nel settore dell'università la mobilità è una cosa molto importante a tutti i livelli: dai docenti ai dottorandi, agli studenti, al personale tecnico e amministrativo.
  Sicuramente la vicenda di Giulio Regeni ha aperto per noi uno scenario nuovo e inaspettato che ci ha fatto riflettere su quali potevano essere le strategie e le risposte organizzative per prevenire eventi così gravi. D'altra parte anche la recente pandemia che ha bruscamente arrestato lo scambio delle persone ci ha posto di fronte a uno scenario assolutamente inedito. Sicuramente le moderne tecnologie ci hanno permesso la comunicazione scientifica, però alcune attività come in particolare la didattica all'estero si sono sostanzialmente interrotte. Dal punto di vista della sorveglianza sanitaria, il medico competente è sempre stato in prima linea per la mobilità all'estero. La sorveglianza sanitaria è obbligatoria in caso di esposizione ai rischi lavorativi previsti dal decreto legislativo n. 81 del 2008, come ad esempio quelli Pag. 8chimici, fisici, biologici. Lo Statuto dei lavoratori impedisce al datore di lavoro di sottoporre i lavoratori ad accertamenti riguardo alla salute quando non sussiste un'esposizione a un rischio normato.
  L'obiettivo della sorveglianza sanitaria è di stabilire la compatibilità tra lo stato di salute del lavoratore e il rischio specifico, con finalità di tipo preventivo. Nel caso del rischio geopolitico ci siamo trovati imbarazzati nel prevedere una specifica sorveglianza sanitaria e in questi casi il medico competente svolge una attività di consulente riguardo ai problemi della salute del lavoratore sia all'interno sia all'estero.
  Quando parliamo di gestione del rischio dei lavoratori all'estero, la nostra finalità è di intervenire rimuovendo i fattori di rischio, migliorando l'ambiente di lavoro, aumentando i livelli di prevenzione, in modo da rendere compatibile tali tipi di attività anche ove le condizioni di salute dei lavoratori non siano perfette. Quindi le misure organizzative e procedurali svolgono un ruolo importante. Bisogna avere procedure certe, verificare la loro adozione, creare una comunicazione efficiente e poi stabilire se possiamo raggiungere un miglioramento. Sicuramente quello che abbiamo in atto è l'analisi del rischio, basata sul documento della didattica e della ricerca, che viene approvato e prodotto dagli organi di ateneo. Questo progetto deve contenere anche le basi di formazione, valutazione del rischio e sorveglianza sanitaria. Tutti questi progetti hanno una base convenzionale tra enti di ricerca e atenei. Ciò permette che le attività di valutazione del rischio, sorveglianza e formazione vengano condivise e distribuite in maniera adeguata nell'ateneo di partenza e nell'ateneo di arrivo. Risulta evidente che una documentazione di questo tipo rende efficace ed efficiente la tutela del lavoratore all'estero, almeno per i rischi classici.
  Più complessa risulta la gestione del rischio di chi opera in contesti difficili, tra cui si può considerare il rischio geopolitico. La sorveglianza si fonda sulla conoscenza antropologica, sociale e politica della destinazione. Su questa base si può predisporre un adeguato protocollo, non solo sanitario, che viene condiviso su base convenzionale. Molto spesso ci troviamo di fronte a richieste con tempi stretti, invece è molto importante organizzare la tempistica in modo da completare il programma molto prima della partenza.
  Sicuramente l'informazione sanitaria diretta al lavoratore che va all'estero è cruciale. Nel fornire tali indicazioni il medico competente si può avvalere anche della consulenza di esperti, come infettivologi e altri specialisti. Le informazioni riguardano, oltre alle vaccinazioni, gli eventuali farmaci che il lavoratore assume normalmente per assicurarne la disponibilità in alcuni Paesi, le indicazioni terapeutiche per evenienze anche frequenti come ad esempio la diarrea del viaggiatore e infine la necessità di assumere farmaci di profilassi, come ad esempio gli antimalarici. Si prevede di compilare il libretto di viaggio con una scheda clinica e con i riferimenti per i farmaci. Il giudizio di idoneità è basato sul rischio dell'attività prevista, sull'itinerario e sulle condizioni di salute del lavoratore che si reca all'estero. Molto importante è l'organizzazione della sorveglianza sanitaria per gli ingressi o per il rientro dal viaggio. In particolare, è necessario che il lavoratore comunichi l'eventuale presenza di sintomi, sia all'andata sia al ritorno dai Paesi esteri. Dobbiamo inoltre considerare le condizioni di ipersuscettibilità, come ad esempio l'attività in laboratorio, con la possibilità di esposizione a irritanti respiratori in soggetti asmatici.
  Com'è stato messo in grande evidenza nell'ultima pandemia, ci sono misure di profilassi, test specifici da prevedere ed eventuali misure di quarantena. Nell'attuale fase di ripresa la gestione degli scambi internazionali in presenza pone sicuramente ancora delle incertezze. È necessario tenere conto del dato epidemico della zona di provenienza e della zona di arrivo e della disponibilità di vaccinazioni e di terapia che speriamo possano essere presto disponibili.
  Per concludere direi che la sorveglianza sanitaria nella ricerca e nella didattica risulta sicuramente complessa e articolata per moltissime variabili presenti rispetto Pag. 9alle attività che si vanno a svolgere. Ci possono essere attività per cui si deve rimanere all'estero per mesi a svolgere una ricerca, ma possono esserci anche attività che durano solo alcuni giorni, per esempio per partecipare a un meeting. Un'adeguata metodologia applicativa consente di attuare interventi preventivi che rappresentano strumenti di tutela del lavoratore viaggiatore. Nella realtà attuale la possibilità di eventi inaspettati purtroppo non è impossibile, non solo in Paesi dove ci sono conflitti civili o etnici in atto, ma anche in Paesi del Primo mondo, come ha giustamente detto il Rettore, che possono essere interessati da eventi terroristici o, come recentemente abbiamo visto, da epidemie.
  È molto importante affermare che per il rischio geopolitico non si può prevedere una vera e propria sorveglianza sanitaria e non esistono criteri di idoneità specifici. Però il medico competente può svolgere un'importante funzione di consulenza per il lavoratore, per il datore di lavoro e per i tutor che seguono il lavoratore all'estero. La gestione di questi rischi con misure organizzative che prevedono procedure certe, comunicate e condivise è una base preventiva fondamentale.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Do nuovamente la parola al Magnifico Rettore Di Lenarda per concludere l'audizione.

  ROBERTO DI LENARDA, Magnifico Rettore dell'Università di Trieste. Grazie presidente, ringrazio anche i colleghi che sono intervenuti. Credo che possiamo dire come sia evidente la necessità di avere un'adeguata preparazione prima di intraprendere qualunque attività in Paesi cosiddetti difficili, sebbene sia emerso chiaramente che non ne esistono di facili. L'università deve svolgere un ruolo fondamentale in questo senso e deve attrezzarsi per conoscere, valutare, gestire e formare alla gestione di questi rischi. Le aziende sono più avanti in questo percorso, le università e gli enti di ricerca forse lo sono un po' meno. Operativamente la proposta che ci sentiamo di fare è di istituire un gruppo di lavoro nazionale che si può e si deve confrontare anche a livello internazionale – e la nostra università sicuramente si mette a disposizione – per coordinare e supportare il lavoro di università ed enti di ricerca sul tema della sicurezza all'estero.
  Le possibili attività si possono forse condensare in tre punti. Il primo è una definizione di linee guida nazionali per la sicurezza all'estero. Tutti noi dobbiamo sapere che cosa dovremmo fare e come farlo. Il secondo punto consiste nell'organizzare e mettere a disposizione di tutti eventi e corsi di formazione che aumentino complessivamente la consapevolezza, ma anche gli strumenti per gestire il rischio. Terzo punto, altrettanto importante, occorre creare un database nazionale che raccolga le informazioni delle persone e dei ricercatori che sono all'estero e che possa recuperare come feedback positivo, le esperienze che fonti affidabili quali i ricercatori ci riportano come insegnamento dalla loro esperienza all'estero. Questo quadro credo che possa aiutarci ed è un passo avanti significativo nella gestione e nella costruzione di un sistema di sicurezza. Non esisterà mai il rischio zero, ma dobbiamo e possiamo lavorare per ridurlo al massimo. Grazie molte.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Rettore Di Lenarda, il professor Negro e il professor Sclip per l'importante contributo reso a questa Commissione. Purtroppo, per ragioni di tempo, non posso dare la parola ai commissari per eventuali domande che, qualora lo ritenessero, potranno essere inoltrate per iscritto ai nostri auditi in modo che le eventuali risposte possano essere acquisite agli atti della Commissione. Vi ringrazio ancora per il prezioso contributo e per il vostro lavoro.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.00