XVIII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Mercoledì 30 ottobre 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Grande Marta , Presidente ... 3 

Audizione della Viceministra per gli affari esteri e la cooperazione internazionale, Marina Sereni, sulla situazione in Cile (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento) :
Grande Marta , Presidente ... 3 
Sereni Marina , Viceministra per gli affari esteri e la cooperazione internazionale ... 4 
Grande Marta , Presidente ... 8 
Cabras Pino (M5S)  ... 8 
Boldrini Laura (PD)  ... 8 
Di San Martino Lorenzato Di Ivrea Luis Roberto (LEGA)  ... 9 
Palazzotto Erasmo (LeU)  ... 9 
Migliore Gennaro (IV)  ... 11 
Di Stasio Iolanda (M5S)  ... 11 
Comencini Vito (LEGA)  ... 12 
Ehm Yana Chiara (M5S)  ... 12 
Grande Marta , Presidente ... 13 
Sereni Marina , Viceministra per gli affari esteri e la cooperazione internazionale ... 13 
Grande Marta , Presidente ... 14

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Cambiamo!-10 Volte Meglio: Misto-C10VM;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MARTA GRANDE

  La seduta comincia alle 13.55.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione della Viceministra per gli affari esteri e la cooperazione internazionale, Marina Sereni, sulla situazione in Cile.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione della Viceministra per gli affari esteri e la cooperazione internazionale, Marina Sereni, sulla situazione in Cile. Do il benvenuto alla Viceministra, che ringrazio per la sua disponibilità a prendere parte ai nostri lavori.
  Come noto, non cessa la protesta, iniziata il 18 ottobre scorso, di decine di migliaia di cittadini cileni contro il Governo del Presidente Piñera, al quale è richiesto un ripensamento profondo della politica economica e sociale.
  La profonda crisi che sta scuotendo il Cile, innescata dall'aumento del costo del trasporto pubblico locale, ha avuto prodromi in diversi focolai di protesta negli ultimi anni e si radica nel profondo malcontento sociale legato al continuo aumento del costo della vita e alle diseguaglianze esasperate che caratterizzano la società cilena.
  In un Paese storicamente segnato da una delle dittature più autoritarie e sanguinarie del secolo breve, quale fu la vicenda del regime del generale Pinochet, i diversi governi che si sono succeduti in Cile, dal ritorno della democrazia nel 1990, sono stati caratterizzati da politiche di privatizzazione estrema in settori vitali quali salute, educazione e pensioni.
  Il modello economico ispirato da Washington aveva anche sortito effetti virtuosi, trasformando il Cile in uno dei Paesi a migliore e più stabile crescita del Sud America. L'incremento medio annuale del PIL è stato del 3 per cento negli ultimi dieci anni e l'inflazione è stata intorno al 3,1 per cento. Anche il debito pubblico è molto basso: il Fondo Monetario Internazionale stima che alla fine del 2019 sarà pari al 27,2 per cento del PIL. Anche il tasso di povertà è stato formalmente ridotto, passando dal 30 al 6,7 per cento della popolazione. Eppure, lo sviluppo economico ha anche prodotto insostenibili livelli di disuguaglianza: l'1 per cento della popolazione detiene il 26,5 per cento della ricchezza; il 50 per cento più povero detiene solo il 2 per cento. Ciò è il frutto di un regime fiscale regressivo in cui lo Stato abiura al suo ruolo equilibratore di garante del patto sociale.
  L'istruzione, tanto secondaria come universitaria, è tra le più costose dell'America Latina, agendo come un potente catalizzatore delle disuguaglianze esistenti, invece di promuovere mobilità sociale. Solo l'11 per cento degli studenti provenienti dai settori più poveri della popolazione riesce ad ottenere un titolo universitario, contro l'84 per cento degli studenti più abbienti.
  Sia il sistema sanitario sia il sistema previdenziale pubblici sono limitati nella copertura e nella qualità delle prestazioni, con il risultato che prosperano le assicurazioni private costosissime e non alla portata delle classi meno abbienti. Pag. 4
  L'aumento costante del costo della vita ha, inoltre, determinato la crescita dell'indebitamento privato, che coinvolge il 70 per cento della popolazione (circa dodici milioni di persone su un totale di diciotto milioni), con oltre quattro milioni di cittadini che versano in stato di mora.
  In sintesi, il gap crescente tra la brillante prestazione macro-economica di questi anni e gli altissimi costi sociali del modello ereditato dalla dittatura ha finito per lacerare il patto sociale che stava alla base della transizione democratica cilena, fino a determinare il malcontento di queste ultime settimane. A questo riguardo, dopo gli scontri, gli incendi, i tafferugli, in cui hanno perso la vita una ventina di persone, si registrano moltissimi feriti e migliaia di arresti. I media internazionali iniziano a documentare reiterate testimonianze di violazione dei diritti umani da parte dell'esercito e delle forze dell'ordine incaricate dal Presidente Piñera della gestione straordinaria della protesta popolare. Anche sulla base di queste informazioni, la stessa Alta Commissaria per i diritti umani ed ex Presidente del Cile, Michelle Bachelet, ha annunciato che invierà una missione di verifica in Cile.
  All'indomani dell'imponente manifestazione svoltasi venerdì scorso, che ha visto la partecipazione di oltre un milione di persone, il Presidente Piñera ha annunciato la revoca dello stato d'emergenza, a partire dalle ventiquattro di domenica scorsa, un profondo rimpasto di Governo e una serie di provvedimenti volti ad incrementare i redditi da lavoro e le pensioni, nonché a stabilizzare il prezzo dei servizi di base, come l'elettricità e l'acqua.
  Occorre segnalare, infine, che la crisi cilena si inquadra nell'instabile contesto regionale sudamericano, minato non solo dalla crisi venezuelana, ma anche dalle gravi incertezze politiche ed economiche che attanagliano gran parte dei Paesi vicini: Perù, Argentina, Bolivia, Ecuador e Brasile.
  Fatta questa premessa, do ora la parola alla Viceministra affinché possa svolgere il suo intervento. Grazie.

  MARINA SERENI, Viceministra per gli affari esteri e la cooperazione internazionale. Grazie, Presidente. Onorevoli deputati, fa effetto vedere i carri armati tornati per la strada in Cile, per la prima volta, trent'anni dopo la fine della dittatura di Pinochet, specialmente a chi – come me – quegli anni li ha vissuti, benché abbastanza giovane, e ricorda molto bene cosa abbiano significato per intere generazioni e per la lotta per la democrazia. Un significato particolare anche per i rapporti tra Italia e Cile, perché in quel periodo il nostro Paese fu esemplarmente vicino a chi si opponeva alla dittatura, anche attraverso l'ospitalità data a centinaia di perseguitati nella nostra Ambasciata a Santiago. Si tratta di una storia vera, una testimonianza di vicinanza e solidarietà – recentemente ricordata anche in un docu-film di Nanni Moretti, «Santiago, Italia» – che ha segnato indelebilmente i rapporti tra i due popoli negli anni a venire e posto le basi della ricostruzione delle relazioni bilaterali dopo il ritorno della democrazia nel Paese sudamericano. Ma il Cile di oggi non è quello di Pinochet. Vorrei essere da subito molto chiara su questo, perché vedo, in talune ricostruzioni giornalistiche, la tentazione di fare parallelismi fuori luogo e dai quali il Governo prende le distanze. Il Cile è una democrazia ormai consolidata, che ha visto un'esemplare alternanza tra governi di orientamento diverso, dopo la fine della dittatura. È un Paese con il quale abbiamo sviluppato intensi rapporti in tutti i settori, sia a livello bilaterale sia come Unione europea. È un attore che svolge un ruolo crescente a livello internazionale. Siamo quindi stati tutti presi di sorpresa, dentro e fuori il Paese, perché abituati a vedere il Cile come oasi di stabilità: un'economia che cresce a ritmi sostenuti, in cui il livello di povertà relativa, dopo la fine della dittatura, è sceso dal 40 per cento del 1990 all'8 per cento del 2018 e che, da allora, non è stato colpito dalle turbolenze che hanno caratterizzato altri Paesi del continente. Non a caso, un grande quotidiano cileno, includendo significativamente i media tra coloro che devono fare mea culpa, titolava: «La crisi che nessuno aveva previsto». Pag. 5
  A dodici giorni dallo scoppio della protesta, la situazione rimane fluida. Venerdì scorso ha avuto luogo a Santiago una grande manifestazione pacifica, la più grande dal ritorno della democrazia, con 1,2 milioni di persone in piazza, in larga misura giovani. Sembrava essere il momento di svolta della crisi, con il passaggio a forme di protesta pacifiche, premessa per riportare le rivendicazioni nell'alveo istituzionale.
  Lunedì è stata dichiarata la fine dello stato di emergenza e i militari sono tornati nelle caserme. Purtroppo, nello stesso pomeriggio di lunedì, alcune manifestazioni sono degenerate in violenti disordini nel centro di Santiago, a Concepción e in altre città minori, con incendi e saccheggi. Si ha l'impressione che le dimostrazioni che nascono spontaneamente su internet, senza una leadership, vengano facilmente infiltrate da gruppi violenti e incappucciati che seminano distruzione. Il rischio è che questi fenomeni delegittimino il movimento di protesta presso l'opinione pubblica.
  Ma quali sono i fattori profondi alla base delle proteste? E che cosa è successo dal 18 ottobre scorso? Proviamo a ricostruire. Nella settimana dal 14 ottobre il rialzo del costo del trasporto pubblico a Santiago aveva dato vita a un ampio movimento, prevalentemente spontaneo, di disobbedienza, caratterizzato da un hashtag sulle reti sociali: «#evasióntodoeldía». Molti si servivano del trasporto pubblico senza pagare il biglietto, saltando e forzando gli accessi. Da giovedì 17 ottobre cominciavano a verificarsi i primi danneggiamenti ai tornelli delle stazioni della metro. Il Governo cileno prende quindi la decisione di non revocare l'aumento del prezzo della metro e di applicare la legge di sicurezza dello Stato per contrastare il fenomeno dell'evasione. Ma nella serata di venerdì 18 si verifica una rapida e inattesa esplosione di violenza, con incendi a infrastrutture di trasporto pubblico e saccheggi di esercizi commerciali. Colpisce la vastità di questa escalation e il carattere simultaneo e distruttivo degli attacchi. Nella sola metropolitana di Santiago vengono colpiti settantotto obiettivi quasi contemporaneamente, mentre vengono bruciati sedici autobus; viene appiccato il fuoco anche alla sede centrale dell'Enel, principale utility del Cile. Il fuoco si estende lungo tutta la scala di emergenza esterna, alta diciassette piani, e brucia anche un paio di piani alti dell'edificio: settantacinque impiegati e dirigenti Enel, presenti nell'edificio al momento del fatto, vengono tratti in salvo, grazie al pronto intervento dei vigili del fuoco. Nello stesso arco di tempo vanno a fuoco anche diversi supermercati e altri sono saccheggiati. Poco dopo la mezzanotte, nelle prime ore di sabato 19 ottobre, il Presidente Piñera annuncia alla tv di aver decretato lo stato di emergenza, con il dispiegamento dell'esercito nella capitale, a fronte del precipitare della situazione e della prospettiva del diffondersi della violenza. Lo stesso giorno, il 19 ottobre, l'esplosione di violenza si estende però a macchia d'olio in diverse città del Cile, per cui il Governo dichiara il coprifuoco notturno in alcune città. I disordini continuano intensi fino a lunedì 21. Da martedì 22 la situazione si muove verso una lenta normalizzazione, con la ripresa del trasporto urbano e l'apertura degli esercizi commerciali. Le manifestazioni assumono il carattere di marce pacifiche, con il rumore delle pentole («cacerolazo»). Rimangono, purtroppo, diffusi fenomeni di sciacallaggio nei quartieri periferici, che nulla hanno a che vedere con i motivi della protesta e che hanno generato fenomeni di autodifesa da parte dei negozianti.
  Nel complesso, il bilancio – com'è già stato ricordato dalla Presidente – è di venti morti, feriti, incendi, saccheggi e scontri con i militari e le forze dell'ordine. Si è avuto l'arresto di più di 3.500 persone e il ferimento di 1.132 persone. In questo contesto, oltre alla perdita di vite umane, non sono mancate numerose denunce di altri eccessi commessi da parte di carabineros ed esercito, che hanno provocato indignazione a livello sia interno che internazionale. L'Istituto nazionale per i diritti umani del Cile, un'organizzazione indipendente prevista dall'ordinamento cileno, ha avviato centoventi azioni giudiziali, di cui settantasei denunce alla magistratura per Pag. 6torture o trattamenti degradanti, quindici per violenza sessuale e cinque per omicidio.
  Se il rincaro del costo del biglietto della metro di Santiago è stato il casus belli che ha provocato le manifestazioni, soprattutto da parte di giovani e studenti, le origini della protesta hanno radici ben più profonde. Ne ha accennato la Presidente e mi ci soffermo un po’. La radice del malcontento appare il modello economico iperliberista in cui concorrono sanità, istruzione e previdenza prevalentemente privati, basse retribuzioni e un costo della vita in continua crescita. Alla forte crescita economica non ha corrisposto uno sforzo di redistribuzione della ricchezza. La maggior parte dei commentatori concordano sul fatto che il Cile si è avvicinato al punto di rottura sociale, senza che la classe politica cilena sia riuscita, negli anni, a ridurre la profonda diseguaglianza socio-economica della società; una colpa, evidentemente, che non ricade solo sulle spalle del Governo in carica, tanto che c'è stata una generale mancata comprensione di ciò che stava avvenendo nella nuova classe media cilena e soprattutto tra i giovani sotto i trent'anni.
  Il drastico abbassamento del livello di povertà relativa, che citavo in apertura, rappresentava per l’establishment un elemento incontrovertibile di rassicurazione, ovvero la convinzione che l'arrivo in scena di una nuova fascia di cittadini in grado di entrare a pieno titolo nella società dei consumi, fosse sufficiente a garantire la stabilità del sistema. Si trascurava, tuttavia, il fatto che l'arrivo di una parte importante della popolazione nella società dei consumi porta con sé le tensioni e le frustrazioni proprie delle società più avanzate. La nuova classe media, soprattutto i giovani, non usa come termine di paragone la povertà del passato, quanto piuttosto lo standard di vita delle classi agiate. Bombardata dai messaggi della società consumista, ma ancorata a salari assai modesti e con limitate reti di protezione dello stato sociale, la nuova classe media ha covato, negli ultimi anni, un crescente sentimento di frustrazione e di rabbia e l'ha espresso al di fuori dei canali di comunicazione tradizionali tramite le reti sociali. Un monitoraggio delle reti sociali, nei mesi scorsi, dava la misura di una pressione crescente e di un senso di scollamento rispetto alla classe dirigente.
  La grande manifestazione pacifica di venerdì scorso è stato il momento in cui le richieste della popolazione hanno trovato l'espressione più compiuta. Autoconvocata tramite le reti sociali, senza leader riconosciuti, la piazza ha mostrato il volto di una nuova generazione di cileni, che chiede innanzitutto più equità nella distribuzione della ricchezza, ma esige anche dignità e inclusione in una società nella quale le leve del potere sono, ancora oggi, concentrate in una élite socialmente ben identificabile. Questo desiderio di cambiamento si esprime nella richiesta di una nuova Costituzione e di un nuovo Patto sociale.
  La manifestazione ha colpito gli osservatori, che hanno usato spesso due termini per descrivere lo stato d'animo dei manifestanti: felicità e speranza. Si coglie una volontà profonda di cambiamento, che è anche cambiamento culturale. Si avverte uno scollamento con la classe politica, che investe tanto il Governo, quanto la maggior parte delle forze di opposizione.
  Il Presidente e le istituzioni tutte si trovano, dunque, davanti alla sfida di rispondere alle esigenze che emergono dalle manifestazioni, riportandole nei canali della democrazia rappresentativa.
  Il Presidente Piñera se n'è reso conto e non sta lesinando occasione per mostrare empatia nei confronti dei manifestanti non violenti, giungendo anche a chiedere perdono per non aver compreso la drammaticità della situazione sociale esistente in Cile. Lasciatemi sottolineare questo gesto, che in politica, invero, non è assai frequente. Non potendo le scuse, di per sé, essere sufficienti, il Presidente ha anche annunciato una serie di proposte per un'agenda sociale di unità nazionale, facendo appello a tutte le forze politiche affinché la approvino in uno spirito di unità nazionale. Al primo punto dell'agenda vi è l'aumento del 20 per cento della pensione di base solidale e del 20 per cento del contributo previdenziale Pag. 7solidale; misure che dovrebbero restituire un minimo di dignità a quei pensionati che vivono in condizioni di indigenza (oltre 1,5 milioni). In secondo luogo è prevista l'istituzione di un plafond per la spesa in sanità delle famiglie, superato il quale interverrà lo Stato. Il salario minimo verrà portato a 350 mila pesos mensili (poco meno di 450 euro al mese); qualora la retribuzione dovesse essere inferiore, essa verrà integrata dallo Stato. Anche il Fisco verrà rivisto nel senso di una maggiore equità: per i redditi superiori a 8 milioni di pesos mensili (circa 10 mila euro) l'aliquota sale dal 32 al 40 per cento. Altre misure riguardano un fondo perequativo per i Comuni meno abbienti; il congelamento delle tariffe elettriche (era previsto, invece, un rialzo del 9,2 per cento); un piano di ricostruzione dell'infrastruttura danneggiata o distrutta; la riduzione delle retribuzioni dei parlamentari e dei gradi apicali della pubblica amministrazione; la creazione di una Defensoría pubblica per assistere le vittime della criminalità; infine, l'accelerazione dell’iter parlamentare di alcuni disegni di legge in campo sociale, già in discussione.
  In questo momento il Congresso sta analizzando un ampio numero di proposte volte a riformare il sistema.
  La pressione della piazza sembra, peraltro, mirare alle dimissioni del Presidente e a ripensare al contratto sociale tra cittadini e istituzioni, a partire da una nuova Costituzione.
  Il Parlamento, nel quale il Governo non ha la maggioranza, è chiamato in queste ore a dibattere forme, contenuti ed ambizioni del cambiamento da imprimere al sistema.
  Onorevoli deputati, il Governo italiano ha seguito e continua a seguire con grande attenzione, interesse e preoccupazione gli sviluppi della delicata situazione che sta attraversando il Cile. La protesta sociale all'interno dei dettami della legge è certamente legittima, ma essa deve rimanere pacifica, per cui deploriamo l’escalation di violenze verificatasi nel Paese, in particolare la morte di venti persone coinvolte nelle proteste.
  Occorre fare chiarezza sulla perdita di vite umane e su altri abusi che sarebbero stati commessi dalle forze dell'ordine in questi giorni. È un fatto molto positivo che sia stato lo stesso Governo cileno a invitare l'Alta Commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani ad inviare nel Paese una missione di verifica sulle denunce di violazione dei diritti umani durante le proteste del Paese; invito che è stato immediatamente colto dall'Alta Commissaria Bachelet. Il Governo italiano sostiene il lavoro di questa missione e confida nella piena collaborazione che presteranno le autorità cilene, oltre che nel lavoro della giustizia cilena.
  Salutiamo con favore i segnali di apertura giunti dal Governo e dal Congresso, a seguito delle proteste, per venire incontro alle istanze dei manifestanti pacifici, per cercare di attuare un'agenda sociale, con l'obiettivo di migliorare la qualità di vita dei cittadini cileni. Auspichiamo che le forze politiche del Cile siano unite nel condannare le devastazioni attuate dalle frange violente del movimento di protesta, che possono togliere legittimità e vigore alle richieste di cambiamento della popolazione.
  Per quanto riguarda la sicurezza dei nostri concittadini in Cile, sia dei turisti sia dei circa 71 mila iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero, l'Unità di crisi, in stretto contatto con l'Ambasciata, sin dalle prime ore nelle quali si sono verificate le manifestazioni, ha predisposto una serie di avvisi informativi al pubblico, mettendo a disposizione i numeri di reperibilità h24 per l'assistenza consolare. In particolare, sono stati pubblicati e costantemente aggiornati specifici avvisi, in evidenza sul portale «Viaggiare sicuri» e sono stati inviati con cadenza quotidiana, dall'inizio delle manifestazioni, sms a tutti i connazionali registrati sul sito istituzionale «Dove siamo nel mondo», per informarli direttamente sull'evolversi della situazione (orari del coprifuoco, zone da evitare, eccetera). Coloro che usufruiscono della app dell'Unità di crisi, scaricabile gratuitamente, hanno ricevuto tali informazioni sul proprio telefono tramite notifica push. Pag. 8
  Gli aspetti di sicurezza sono stati gestiti in loco dall'Ambasciata che, in contatto con le autorità di polizia e di sicurezza, ha fornito assistenza diretta ai connazionali che ne hanno fatto richiesta. Non sono state registrate, dall'Unità di crisi, situazioni di particolare criticità, pur con le difficoltà oggettive che hanno coinvolto tutta la popolazione per le conseguenze degli scioperi e delle successive misure di sicurezza adottate.
  Sono operativi in Cile tre enti assistenziali per i nostri connazionali più bisognosi, che hanno ricevuto, in totale, finanziamenti per 23.400 euro nel 2019, ma al momento l'Ambasciata che fornisce sussidi e ha stipulato da tempo convenzioni con le farmacie per i connazionali che hanno necessità, non ha segnalato particolari esigenze finanziarie legate agli eventi in corso.
  Onorevoli deputati, a conferma della grande attenzione e preoccupazione con la quale seguiamo le vicende cilene su cui vi ho riferito, io stessa andrò appositamente a Santiago la settimana prossima e potrò rendermi conto meglio di persona della situazione, parlando sia con gli interlocutori istituzionali sia con le realtà italiane presenti in Cile.
  Desidero concludere assicurando che l'Italia e l'Europa non mancheranno di sostenere il Cile nella non più eludibile vera sfida di fondo che, in misure diverse, tutte le società devono affrontare: la lotta alle eccessive diseguaglianze sociali. Vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie. Abbiamo ora una serie di colleghi che si sono iscritti a parlare. Ricordo che, purtroppo, non avremo molto tempo per questa audizione, dato che poi ne seguirà un'altra. Chiedo quindi ai colleghi di esseri brevi, in modo che la Viceministra possa avere modo di replicare.

  PINO CABRAS. Il Cile è stato a lungo un Paese molto leggibile dall'Italia: addirittura c'è stata una fase della sua storia del Novecento in cui quasi si sovrapponevano i sistemi politici, perché i primi tre partiti del Cile, a suo tempo, erano Democrazia Cristiana, Partito Comunista e Partito Socialista, esattamente come in Italia; avevano nomi che rimandavano al Novecento come a una storia comune. Questa esperienza fu interrotta molto bruscamente quando la democrazia cilena si scontrò con dinamiche continentali in cui, sostanzialmente, gli Stati Uniti non gradivano il moltiplicarsi di sistemi che osavano sfidare gli equilibri continentali, soprattutto dal punto di vista economico. E fu oggetto anche di un esperimento molto drastico dal punto di vista economico, in cui sono stati sperimentati in anticipo dei modelli che poi si sono estesi nel continente sudamericano, ma direi anche in altre aree del pianeta, essenzialmente un modello neoliberista senza mediazioni.
  Quello che sta accadendo oggi in Cile si colloca all'interno della crisi di un modello neoliberista che riguarda anche altri Paesi del Sud America, quindi potremmo leggere una crisi comune sudamericana segnata dalla fine di certi modelli. Ci può riguardare molto da vicino, perché l'Europa può essere un modello equilibrante dal punto di vista dell'economia mista, può essere la sponda economica e politica per un modello diverso da quello neoliberista, nonché un'alternativa rispetto alla Cina, che ha un altro approccio ancora dal punto di vista economico, sicuramente rispetto agli Stati Uniti, che hanno cercato di favorire una parte revanscista del vecchio sistema politico, chiudendosi alle istanze sociali in questi anni. Si registra anche in Venezuela la divisione fra due blocchi sociali con due riferimenti internazionali diversi. In questo quadro, ripeto, l'Europa potrebbe essere un elemento equilibratore e quindi deve guardare con molto interesse e molta vicinanza alle vicende del Cile.

  LAURA BOLDRINI. Io volevo ringraziare Lei, Presidente, per l'introduzione che ha fatto, e la Viceministra per come ha relazionato sulla situazione in Cile, inquadrando il tema e facendo un'analisi molto condivisibile sui malesseri che sono alla base di quanto accaduto: evidentemente non potevano essere pochi centesimi di aumento del biglietto dei trasporti a scatenare questa rabbia sociale, dovuta – come Pag. 9è stato detto – a un sistema che ha fatto crescere la ricchezza, ma sempre di più nelle mani di pochi, omettendo completamente un sistema redistributivo che dà concretezza alla democrazia. La democrazia riesce ad avere un senso per le persone se consente di avere un ascensore sociale e una chance di vita. Si chiamavano «i giaguari dell'America Latina» e, invece, purtroppo, erano qualcos'altro, quindi è una parabola un po’ triste.
  Noi accogliamo sicuramente con favore la missione dell'Alta Commissaria Bachelet a verificare se ci sono stati abusi – a seguire le cronache, sembrerebbe proprio di sì – specialmente violenze sessuali a danno delle ragazze manifestanti e questo lo trovo assolutamente preoccupante e disgustoso, se è possibile. Dunque, è giusto andare fino in fondo.
  Lei ci ha ricordato che abbiamo qualche decina di migliaia di connazionali (oltre 60 mila), dunque, ritengo anche molto opportuna la sua missione in questa circostanza. Ritengo che si debba andare nei posti quando accadono gli eventi, non quando è tutto tranquillo, bisogna testimoniare i cambiamenti. Quindi mi sembra un'ottima occasione per fare questa missione e, anzi, mi auguro che Lei possa anche riferirci in merito agli esiti del suo viaggio. Credo che l'Italia debba svolgere un'azione politica: il Cile è un Paese amico, come è stato ricordato, verso il quale noi abbiamo potuto anche esercitare una forma di sostegno diretto negli anni della dittatura. Ricordo che l'Italia non aveva ancora una procedura d'asilo, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati si occupava dell'eleggibilità in Italia e mi ricordo che i miei ex colleghi dicevano che i cileni chiedevano asilo in Italia, creando code che da via Caroncini, a Roma, arrivavano fino a piazza Santiago del Cile. Questo fu possibile perché il nostro Paese volle dare un segnale di sostegno. Anche oggi, quando mi è capitato di visitare l'Ambasciata in occasioni ufficiali, ho ricevuto ringraziamenti per quegli anni, perché gli amici si vedono nei momenti difficili.
  Dunque, aprire le porte, cari colleghi e care colleghe, non è un esercizio buonista, è un dovere di solidarietà previsto dalla nostra Costituzione e, peraltro, è anche un comportamento che, prima o poi, viene sempre ricompensato.

  LUIS ROBERTO DI SAN MARTINO LORENZATO DI IVREA. Grazie, Presidente e signora Viceministra. Io sono stato eletto in quella circoscrizione e vorrei solo leggere una notizia di stampa estera, da cui risulta che il Segretario Generale dell'Organizzazione degli Stati americani, Luis Almagro, ha nuovamente parlato di quello che considera uno schema di azione del Venezuela e di Cuba nelle rivolte in Cile e nei diversi Paesi dell'America Latina, che prevede l'intervento di terroristi a pagamento.
  Cosa pensa il Governo italiano di questa grave denuncia fatta dalla più alta autorità di un organismo internazionale? Voglio anche ricordare che Bachelet appartiene a uno schieramento politico diverso da quello del Presidente Piñera, e bisogna capire bene, perché tutta questa preoccupazione sarebbe più giustificata se fosse rivolta verso il Venezuela: lì veramente la gente muore di fame, non protesta contro un aumento di pochi centesimi per il trasporto pubblico. È un movimento politico di sinistra pericoloso, denunciato dal Segretario Generale dell'Organizzazione degli Stati americani. Io vorrei capire cosa ne pensa il Governo italiano. Grazie.

  ERASMO PALAZZOTTO. Grazie, Presidente. Grazie, Viceministra. Io ho solo alcune osservazioni, che si uniscono a quelle fatte dai colleghi. Il Cile non è un caso isolato. Noi ci troviamo davanti a una condizione in cui, su scala planetaria, la crescita a dismisura delle disuguaglianze e delle ingiustizie sociali che si producono, stanno determinando una serie di movimenti straordinari dal punto di vista della partecipazione popolare, ma anche molto complessi dal punto di vista della loro lettura.
  Ci troviamo davanti a una condizione in cui si unisce la rabbia dei poveri con la frustrazione di un ceto medio che si è impoverito; una condizione che non è lontana Pag. 10 da quello che sta accadendo, in maniera e in misura diversa, nella nostra società.
  Il Cile segue l'Ecuador, che a sua volta è stato seguito dal Libano. Le notizie di questi giorni ci parlano anche di un movimento molto forte di protesta in Iraq, in un contesto molto difficile, in cui le nuove generazioni stanno scendendo in piazza per protestare contro una condizione che, ovviamente, è molto più grave di quella cilena.
  Le rivendicazioni di quel movimento, nel loro spontaneismo, nel loro non avere leadership, ma nei linguaggi e nelle parole d'ordine che si sono dati, ci raccontano molto. Lo slogan principale delle manifestazioni è «non sono trenta centesimi, sono trent'anni». Sono trent'anni di aspettative tradite da un processo democratico che doveva garantire una compartecipazione popolare alla crescita della ricchezza, dopo anni in cui il regime di Pinochet, oltre alle violenze inaudite, aveva anche saccheggiato quel Paese e accumulato un'ingentissima ricchezza per lui e per i gerarchi che, ancora oggi, spesso sono alla guida di quel Paese e ne controllano l'economia. E i dati che vengono forniti oggi, ci raccontano come, a una crescita della ricchezza, non corrisponde una diminuzione dei poveri, anzi. Questo è il punto di crisi in cui noi oggi ci troviamo.
  In Cile c'è il 70 per cento delle famiglie che vive intorno alla soglia di povertà e il 26 per cento che vive al di sotto della soglia di povertà assoluta.
  I debiti contratti dagli studenti: anche qui c'è un punto, lo diceva l'onorevole Cabras. Le politiche economiche neoliberiste, applicate senza alcun limite o vincolo, fanno sì che tutti i servizi pubblici e i diritti fondamentali siano sostanzialmente gestiti da un privato, che massimizza il profitto. I mezzi di trasporto, che sono stati oggetto dell'inizio delle proteste, sono sovraffollati, perché così le aziende di trasporto possono massimizzare i profitti; gli studenti cileni sono indebitati per 7,6 miliardi di dollari per potersi permettere l'istruzione; il 40 per cento degli studenti cileni in questo momento è in regime di morosità, ovvero non riesce più a pagare i debiti contratti per poter studiare.
  È chiaro che davanti a una situazione di questo tipo, prima o poi, la bomba esplode. E quando esplode – questo lo dico perché per noi le parole sono importanti – io sono sempre per condannare la violenza, però non ci può essere lo stesso metro di misura tra la violenza di gruppi autonomi e autorganizzati – che spesso trovano la loro radice nella parte di estrema povertà delle popolazioni, che quindi si manifesta in questo modo – e la violenza dello Stato. Quello a cui abbiamo assistito – lo ricordava Lei, signora Viceministra – rispetto al ritorno dei carri armati nelle strade di Santiago è una cosa che non riguarda più il contrasto a forme di violenza che sono esplose, ma è diventato, con il coprifuoco, una forma di violenza diffusa e generalizzata nei confronti di tutta la popolazione. Tant'è che i casi di violenza che oggi sono sotto i riflettori anche delle autorità cilene, sono casi che non si sono verificati durante gli scontri di piazza, ma durante i controlli per il coprifuoco; si sono verificati in una stazione della metropolitana, dove si registra ci sia stata una camera delle torture, con anche degli stupri. Quindi si sono riversati nei confronti della cittadinanza, perché è chiaro che se uno reagisce a una forma di protesta di questo tipo con altrettanta violenza, si produce questo risultato. Per cui, pur essendo giustificabile il fatto che si condanni ogni forma di violenza, farei attenzione, perché altrimenti sembra che, a causa di alcuni episodi di violenza, si stigmatizza un intero movimento popolare, che – vorrei sottolineare al collega Di San Martino Lorenzato – non ha un imprinting di sinistra: ci sono ampi strati popolari – tradizionalmente legati alla destra – che oggi sono in piazza, dentro un movimento magmatico che ha, in questo momento, una rivendicazione di giustizia sociale totalmente trasversale e non ideologica.
  Io penso che il nostro Governo dovrebbe richiamare un po’ di più l'attenzione sul fatto che il Governo cileno non adoperi strumenti come lo stato d'emergenza, o strumenti legati al controllo dell'ordine pubblico, con i militari che si oppongono a un Pag. 11movimento di questo tipo. Ho trovato una sproporzione nella condanna della violenza di alcuni manifestanti, da una parte e, dall'altra, una certa indulgenza per la risposta messa in atto dal Governo cileno.

  GENNARO MIGLIORE. Grazie, signora Presidente e Viceministra Sereni, per le vostre introduzioni, che condivido largamente. Sono state prodotte molte analisi anche dagli interventi che mi hanno preceduto. Per questo cercherò di essere quanto più sintetico possibile.
  La questione per me fondamentale è quella di comprendere la reazione che il nostro Paese, sia dal punto di vista nazionale, sia nel contesto dell'Unione europea, sta proponendo.
  In primo luogo, vorrei chiedere se è stata prevista la convocazione dell'Ambasciatore cileno per un chiarimento relativo ad alcune certificate violenze che sono state anche qui raccontate, e se questo atto formale precederà anche la più che opportuna missione della Viceministra.
  La seconda domanda – siccome la Viceministra ha indicato la necessità di incontrare soggetti istituzionali e ovviamente la comunità italiana – è se sono in programma anche incontri con le organizzazioni della società civile, perché mi pare evidente che in questo momento sia fondamentale anche ascoltare quella voce.
  Il dibattito sulla violenza è molto complesso. Personalmente sono un non violento, quindi ho un approccio molto severo su questo aspetto. C'è una differenza – come è evidente – tra una violenza che può essere anche sanzionata e repressa dalle autorità statali nel momento in cui avviene, e una violenza esercitata da attori dello Stato, che invece non può essere sanzionata, se non a livello internazionale. Su questo punto il Governo intende esprimere un elemento di condanna? E su questa linea si sono espressi anche altri Paesi? In particolare, chiedo se è nota la posizione ufficiale in sede europea della Spagna e dei Paesi che, come il nostro, hanno consolidati rapporti con il Cile.

  IOLANDA DI STASIO. Grazie, Presidente, e grazie alla Viceministra per aver riferito su questo tema, che ci consente di porre l'attenzione su quello che sta avvenendo un po’ in tutto il panorama dell'America Latina.
  Sono d'accordo con quanto affermato anche dai miei colleghi: non è un episodio riferibile semplicemente a quello che sta avvenendo in Cile, ma un po’ in tutta l'America Latina, perché abbiamo visto che le proteste nate in Bolivia e in Ecuador hanno una matrice comune, che è quella della protesta popolare, quindi di studenti e di una parte del ceto medio, sceso in piazza per manifestare contro alcune politiche del Governo. Nel caso particolare del Cile parliamo di un Paese considerato il primo produttore al mondo di rame; un Paese che ha un reddito pro-capite paragonabile a quello di alcuni Paesi europei (Croazia e Romania), in cui a un osservatore esterno può venire difficile ravvedere una pericolosa instabilità anche a livello politico. Un Paese che registra una crescita media del PIL del 2,5 per cento, che, apparentemente, rispetta i princìpi basilari della distribuzione della ricchezza, eppure abbiamo visto che non è assolutamente così, tant'è che le diseguaglianze hanno fatto in modo che ci sia una forte distanza tra le classi sociali: quanto avvenuto per la questione dell'aumento del biglietto è semplicemente un casus belli, la protesta ha radici ben più profonde.
  Sono rimasta particolarmente colpita da un passaggio, perché è un'analisi che stavo facendo anch'io: la scelta del presidente Piñera di usare la polizia per caricare i manifestanti, come facevano vecchi regimi, e un successivo passaggio in cui lui stesso chiedeva scusa per non aver capito le rivendicazioni della piazza e le sue vere ragioni. È altamente significativo della distanza tra la classe dirigente e il popolo, ed è anche per questo che sono state annunciate misure come l'aumento del salario minimo e il taglio degli stipendi dei parlamentari e di una parte della classe dirigente: una richiesta che viene dal basso, dal popolo.
  Nonostante l'America Latina sia una regione vista come distante, per me è molto importante che questo Governo possa diminuire Pag. 12 quella distanza che c'è anche a livello politico, perché credo ci siano numerose opportunità in quelle regioni e quindi auspico, anche da parte di questo Governo e dell'Unione europea, una particolare attenzione ai movimenti politici e a quelli popolari che si stanno affacciando in quelle realtà, per studiare le cause prima di subirne gli effetti.

  VITO COMENCINI. Cercherò di essere veloce, anche in considerazione dei tempi stretti che abbiamo.
  Ho sentito parlare di ingiustizia sociale. Innanzitutto, credo che se c'è un'ingiustizia sociale creato dai governi che si sono succeduti in Cile, va ribadito che essa non giustifica la violenza o il terrorismo: incendiare un palazzo delle istituzioni, saccheggiare supermercati o assaltare le case, non sono una forma di protesta e di libertà; si tratta di violenza, se non addirittura di terrorismo.
  Giustizia sociale e redistribuzione del reddito. Mi fa un po’ sorridere sentire una maggioranza che dice questo, come se in altri Paesi – dove non ci sono le proteste, come in Cina – ci fosse una grande redistribuzione del reddito. Non mi sembra che in Cina ci sia una grande redistribuzione del reddito! Mi sembra, al contrario, che ci sia una piccola percentuale di super-ricchi e una grande percentuale di super-poveri. Eppure lì nessuno dice niente e siccome non ci sono le proteste, va bene così! E siccome succede qualcosa a Hong Kong, là non serve andare a verificare cosa accade? No, là non serve, va bene così! Anzi, bisogna rispettare la Cina, perché è un Paese che ha un'evoluzione diversa dalla nostra, un'evoluzione comunista. Ma lasciamo perdere!
  Invece, non ho sentito parlare di un'altra cosa, che evidentemente è legata alle problematiche di questi Paesi del Sud America: il Fondo Monetario Internazionale, che ha fatto evidentemente dei prestiti, sta facendo delle pressioni su questi Paesi che hanno applicato delle politica di austerità, politiche probabilmente molto simili a quelle della nostra Unione europea. Evidentemente è più comodo dire che semplicemente in quei Paesi non è stato redistribuito il reddito, che poi non ho ben capito cosa voglia dire: bisogna togliere alle aziende, farle chiudere, bisogna togliere ai più ricchi e dare ai più poveri e in quella maniera riparte l'economia? Non penso sia questa la soluzione. Evidentemente, a vostro avviso, il problema non è chi cerca di imporre queste politiche di austerità che portano la gente a protestare, ma il problema è la redistribuzione del reddito! Non credo sia così, perché altrimenti sarebbe troppo comodo dire che là c'è la polizia che carica i manifestanti (che poi bisogna vedere, perché se sono violenti noi stiamo dalla parte della polizia che si difende, caso mai). Invece, in Francia, con i «gilet gialli» non caricano? La polizia gli tira i fiori! Mi sembra che carichino anche lì. La Francia è vicino a noi e lì va tutto bene, perché è un alleato di questo Governo. Mi sembra un atteggiamento quanto meno contraddittorio.
  Per concludere, vorrei chiedere se, vista la visita in Cile – che ritengo opportuna e giusta, al di là delle differenze di visione – con l'occasione farà anche una visita in Venezuela, per verificare come stanno i nostri italiani. O ce ne freghiamo adesso di quello che è successo in Venezuela e di come stanno vivendo in nostri connazionali in quel Paese? Mi auguro che venga organizzata una visita anche in quel Paese, o dobbiamo aspettare che scoppino altre proteste? Spero di no.

  YANA CHIARA EHM. Solo una brevissima nota. Prendo spunto dal collega Comencini. Posso essere d'accordo sul fatto che forse, quando si arriva alle proteste, non dico che sia troppo tardi, ma sicuramente è simbolo del fatto che c'è effettivamente un malessere. Non solo in Cile, ma in tutto il mondo, attualmente, si registra un disagio abbastanza evidente. Mi viene in mente il Libano, l'esempio più eclatante di come le proteste non hanno soltanto fatto vedere il malessere, ma anche come questo disagio si sia protratto per troppo tempo. Di qui la necessità non soltanto di avere dal Presidente Hariri delle parole di conforto, ma un cambiamento radicale, com'è effettivamente accaduto Pag. 13 con le dimissioni del Presidente stesso.
  Volevo fare un accenno a un aspetto che ritengo molto importante, non solo riguardo alla questione cilena, ma a tutte le proteste che hanno come fulcro il malessere sociale e la necessità di un ritorno a quello che la popolazione chiede e che molto spesso non viene ascoltato fino in fondo: la partecipazione e la posizione dei giovani. Voglio allargare la questione a uno spettro più ampio, guardando alle proteste che ci sono state in tutto il Sud America, ma anche in Iraq e in Libano, dove c'è stata una grandissima partecipazione delle nuove generazioni, che forse non hanno vissuto taluni eventi storici: in Iraq non hanno vissuto l'invasione americana, ma hanno vissuto Daesh; in Libano, semplicemente rivendicano maggiore equità sociale e una nuova era. Credo che questo sia un aspetto molto importante, da tenere sempre in debita considerazione anche nelle relazioni con i nostri partner internazionali, per far sì che ci sia sempre di più la necessaria attenzione verso queste aree di crisi. In questo momento storico, la vicenda cilena e quelle analoghe che citavo sono un'opportunità affinché si possa ascoltare quello che le nuove generazioni chiedono. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola alla Viceministra per la replica.

  MARINA SERENI, Viceministra per gli affari esteri e la cooperazione internazionale. Grazie a tutti i deputati e le deputate che hanno preso la parola. Io prenderei da subito l'impegno a ritornare dopo la missione della prossima settimana, in modo da continuare il dibattito anche alla luce delle impressioni e degli incontri che avrò potuto svolgere in Cile.
  Mi preme dire che tutte le situazioni sono, allo stesso tempo, uguali e diverse, quindi tenderei ad evitare di fare un'unica riflessione sull'America Latina, o sulle mobilitazioni. Se c'è interesse, ovviamente, il Governo è disponibile, ma proprio per le caratteristiche delle mobilitazioni che stiamo vedendo in questo momento in alcuni Paesi, è bene che ci sia, per ciascun Paese, un'attenzione specifica.
  Il Cile è un Paese amico. La missione del Governo italiano in Cile non è di parte, è la missione di un Governo che va in un Paese amico. Intanto, siamo amici del popolo cileno, auspichiamo un dialogo pacifico tra le parti, quindi tra il Governo e i soggetti che in questo momento sono i protagonisti della mobilitazione.
  L'onorevole Migliore chiedeva che tipo di incontri avremo: tenteremo di avere il maggior numero di incontri possibili (il programma, in questo momento, è in fase di definizione da parte del nostro Ambasciatore). Ovviamente, ci interessa interloquire con le istituzioni, quindi anche con il Parlamento, non solo con il Governo; ci interessa interloquire con i soggetti che possono aiutarci a comprendere la condizione e la situazione attuali.
  Sottolineo quello che ha detto l'onorevole Boldrini: anch'io penso sia nostro dovere esserci ora, aiutare in questo momento un Paese amico a trovare, se è possibile, la strada di questo dialogo.
  Non ci risulta – per rispondere all'onorevole Di San Martino Lorenzato di Ivrea – una dichiarazione di Luis Almagro che faccia riferimento, in particolare, a delle violenze provocate da soggetti esterni. Mi permetto di dire che le violenze, per quanto ci riguarda, sono sempre da condannare e di sottolineare anche che registriamo in modo positivo il fatto che siano le istituzioni cilene a voler approfondire i casi di un uso improprio della violenza da parte delle forze dell'ordine o dell'esercito.
  Infine, riguardo alle reazioni di Unione europea e Spagna, segnalo che non c'è stata ancora una presa di posizione formale a livello europeo, mentre c'è una dichiarazione del 27 ottobre del Ministero degli esteri spagnolo – la trovate nei siti – e mi sembra una posizione molto simile a quella del Governo italiano: una posizione di attenzione, di preoccupazione, di vicinanza, ma anche di auspicio di un dialogo che possa portare alle riforme necessarie e rispondere Pag. 14 alla domanda di cambiamento che emerge dalle manifestazioni.
  Considero un fatto di maturità che il Governo cileno abbia condiviso con l'Alta Commissaria Bachelet l'invio di una missione, proprio perché stiamo parlando di una personalità che ha esercitato in Cile un ruolo diverso; oggi Michelle Bachelet è espressione di un'Agenzia importante delle Nazioni Unite e il fatto che la visita sia stata voluta e concordata con il Governo cileno mi sembra un'altra testimonianza di maturità e un altro segnale che noi dobbiamo cogliere positivamente. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio la Viceministra per aver risposto tempestivamente al nostro invito ad intervenire e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.50.