XVIII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta pomeridiana n. 21 di Mercoledì 17 luglio 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Invernizzi Cristian , Presidente ... 3 

Audizione di rappresentanti della Corte dei conti su attuazione e prospettive del federalismo fiscale e sulle procedure in atto per la definizione delle intese ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione:
Invernizzi Cristian , Presidente ... 3 
Graffeo Maurizio , Presidente di Sezione della Corte dei conti – Sezione delle Autonomie ... 3 
Grasselli Alfredo , Consigliere della Corte dei conti ... 5 
Corsetti Adelisa , Consigliere della Corte dei conti ... 8 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 10 
De Menech Roger (PD)  ... 10 
Modena Fiammetta  ... 10 
Fragomeli Gian Mario (PD)  ... 10 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 11 
Graffeo Maurizio , Presidente di Sezione della Corte dei conti – Sezione delle Autonomie ... 11 
Corsetti Adelisa , Consigliere della Corte dei conti ... 12 
Grasselli Alfredo , Consigliere della Corte dei conti ... 12 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 13 

ALLEGATO: Documentazione presentata dalla Corte dei conti – Sezione delle Autonomie ... 14

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
CRISTIAN INVERNIZZI

  La seduta comincia alle 9.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della Corte dei conti su attuazione e prospettive del federalismo fiscale e sulle procedure in atto per la definizione delle intese ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, di rappresentanti della Corte dei conti, su attuazione e prospettive del federalismo fiscale e sulle procedure in atto per la definizione delle intese ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
  Oggi sono presenti, in rappresentanza della Corte dei conti, il Presidente Maurizio Graffeo, Presidente di Sezione della Corte dei conti – Sezione delle Autonomie con funzioni di coordinamento, i consiglieri Adelisa Corsetti e Alfredo Grasselli, e Andrea Petrella.
  Ringrazio il presidente e i consiglieri per essere presenti. Ricordo che, ovviamente, questa non può che essere una ricognizione di carattere generale. Ci riserviamo, sempre approfittando anche della disponibilità della Corte dei conti, di organizzare un'altra audizione nel prosieguo dell'attività della nostra Commissione quando emergeranno altri atti su cui poter discutere.
  Ringrazio ancora il presidente e i suoi accompagnatori per la disponibilità dimostrata e gli cedo immediatamente la parola.

  MAURIZIO GRAFFEO, Presidente di Sezione della Corte dei conti – Sezione delle Autonomie. Naturalmente, porto i saluti del presidente Buscema, il presidente della Corte dei conti, e ringrazio la Commissione per l'invito a partecipare ai lavori che sta portando avanti su tematiche complesse ma di grande rilievo istituzionale, come quella dell'attuazione dell'articolo 116 della Costituzione, e sui procedimenti avviati da Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, tematiche sulle quali la Corte intende fornire tutti i profili di propria competenza attinenti alla materia finanziaria della contabilità pubblica e il richiesto contributo.
  Devo dire che l'Istituto ha sempre riservato grande attenzione ai processi di modernizzazione del Paese, a quelli che possono accrescere l'efficienza e l'efficacia delle gestioni pubbliche potenziando il raccordo tra utilizzo delle risorse e le specifiche e peculiari esigenze delle comunità locali. Tali processi, infatti, possono da un lato considerare il rapporto tra cittadini con le istituzioni; dall'altro, attivare un controllo più efficace sulla gestione delle risorse, in altri termini più democratico.
  Ed è con questo spirito che la Corte, che già ha avuto occasione di seguire la lunga definizione dei provvedimenti attuativi della legge n. 42 del 2009, si accinge oggi a fornire il proprio apporto formativo su tali aspetti. Pag. 4
  Le sue parole, presidente, mi confortano. Abbiamo avuto il primo contatto la settimana scorsa, e lei comprende che queste tematiche che voi avete diviso nel tempo, noi abbiamo dovuto concentrarle in una settimana, compresi il sabato e la domenica, e anzi devo ringraziare i colleghi, che veramente si sono resi disponibili. La consideriamo come un'audizione ponte per il futuro. Qualsiasi necessità, cercheremo di soddisfarla.
  Le bozze d'intesa tra Governo e le regioni Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna diffuse nello scorso febbraio dal dipartimento degli affari regionali rappresentano in effetti l'unico riferimento al momento disponibile per valutare il processo di riconoscimento alle tre regioni delle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia.
  Tali bozze, però, forniscono un'informazione parziale. Se possibile, infatti, danno un elenco delle materie generali su cui saranno riconosciute a ciascuna regione forme di autonomia rafforzata. Non è dato, invece, conoscere ancora i contenuti effettivi delle specifiche funzione conferite.
  Stando sempre a tali bozze, il perimetro delle ulteriori forme e condizioni particolari dell'autonomia dovrebbe riguardare tutte le funzioni legislative incluse nei cataloghi di materia di legislazione concorrente e un ulteriore limitato numero di materie di competenza esclusiva dello Stato: organizzazione della giustizia di pace, norme generali sull'istruzione e tutela dell'ambiente.
  Tale processo si fonda sul principio di sussidiarietà in una prospettiva che l'ente più vicino alla popolazione, avendone la possibilità e la capacità, sia in grado di meglio soddisfarne le esigenze. L'attribuzione di ulteriori funzioni e competenze dovrebbe pertanto essere riconosciuta alle regioni che si dimostrino in grado di esercitarle con un grado di efficienza operativa superiore rispetto alla gestione accentrata.
  Questa prospettiva, muovendo nell'interesse dei cittadini a vedere meglio soddisfatte le proprie esigenze e trovando presidi a livello costituzionale, appare condivisibile alla Corte nelle linee generali.
  Dall'esame dei testi disponibili emerge, tuttavia, che le questioni si presentano più complesse rispetto a una mera elencazione di materie. Le richieste delle regioni sono finalizzate, infatti, ad estendere la potestà legislativa regionale sugli ambiti di competenza concorrente sostanzialmente per rinegoziare nuovi spazi di intervento.
  Per di più, talune materie di competenza sia concorrente sia esclusiva non sembrano facilmente spacchettabili. Faccio l'esempio del coordinamento della finanza pubblica del sistema tributario. In tal senso, appare necessaria una riflessione attenta su questo profilo.
  È necessario, poi, esaminare ad avviso della Corte come in concreto nel percorso che si sta delineando venga attuato il principio di sussidiarietà al fine di verificarne la compatibilità con altri preminenti princìpi costituzionali.
  Resta, inoltre, da valutare quali possono essere gli impatti delle iniziative progettate sulla finanza pubblica, e quindi verificare la loro effettiva sostenibilità.
  In attesa di poter valutare i caratteri particolari delle materie oggetto delle richieste regionali, oggi ci soffermiamo su quegli aspetti del disegno proposto che, in diretto rapporto con i nostri compiti, riguardano il complesso tema del coordinamento tra i livelli di governo della finanza pubblica.
  Le questioni che il regionalismo differenziato pone sul piano della gestione finanziaria sono numerose, ma in questa sede se ne affronteranno tre – se il presidente poi mi consente, passerei la parola ai colleghi che sono stati sul pezzo – che si giudicano di maggiore rilievo: le modalità di raccordo del nuovo impianto attuativo del 116 con quello definito mediante la n. 42 del 2009 e il decreto legislativo m. 68 del 2011; l'incidenza che dalla differenziazione può derivare per l'azione della tutela dei conti pubblici; le condizioni che devono essere rispettate ove si voglia evitare l'emergere di aggravi di oneri in termini di strutture dedicate alle nuove funzioni decentrate rispetto a quelle esistenti a livello centrale. Pag. 5
  Voglio rassicurare questa Commissione e tutto il mondo interessato a questi profili che la Corte non si troverà impreparata rispetto a questi profondi e complessi cambiamenti ordinamentali derivanti dal regionalismo differenziato. La Corte non mancherà di fornire il proprio contributo con le proprie analisi, i propri atti di controllo, e su tale terreno è chiamata a offrire un fondamentale contributo proprio per monitorare l'effettiva realizzabilità e sostenibilità del nuovo disegno ordinamentale ancora in fieri.
  L'Istituto, infatti, quale organo di rilevanza costituzionale – non sono parole mie, ma della Corte costituzionale – è garante imparziale dell'equilibrio economico finanziario dell'intero settore pubblico, equidistante e neutrale. Non siamo l'organo di controllo statale sulle regioni e sulle autonomie locali. Siamo la Corte dei conti della Repubblica, e quindi equidistanti e neutrali rispetto ai vari livelli di governo della Repubblica.
  Su molti aspetti, pertanto, un organo radicato a rete sul territorio, qual è la Corte dei conti, attraverso le sezioni regionali di controllo, potrà intervenire anche per accompagnare questi processi e per consentire una valutazione organica degli andamenti e un attento monitoraggio dei costi e delle prestazioni rese ai cittadini nelle diverse realtà territoriali, profili sui quali la Sezione delle Autonomie comunque si riserva di riferire al Parlamento a processo avviato.
  Se lei consente, presidente, lascerei la parola al consigliere Grasselli.

  ALFREDO GRASSELLI, Consigliere della Corte dei conti. Il primo passaggio di quest'analisi riguarda inevitabilmente lo stato di attuazione delle norme sul federalismo fiscale e i raccordi con l'impianto attuativo dell'articolo 116 della Costituzione.
  A partire dalla riforma costituzionale del 2001, è stato avviato un percorso per l'attribuzione di una maggiore autonomia agli enti decentrati volto al superamento di modelli di finanziamento fondati sulla spesa storica mediante l'introduzione di criteri fondati sulla determinazione di costi standard e dei livelli essenziali di prestazioni nonché l'inserimento di meccanismi perequativi.
  Lo spostamento dell'asse della finanza pubblica verso gli enti di autonomia territoriale ha comportato l'esigenza di potenziare correlativamente gli strumenti necessari ad assicurare il coordinamento di finanza pubblica tra i diversi livelli di governo.
  L'effettiva realizzazione di questi princìpi è stata affidata alla legge delega n. 42 del 2009, che ha perseguito il fine principale di ridisegnare il sistema di finanziamento per gli enti decentrati, riconoscendo loro maggiore autonomia, in modo da responsabilizzare gli amministratori nell'assicurare la corrispondenza tra oneri tributari imposti e quantità e qualità dei servizi ricevuti.
  Questo processo si è sviluppato attraverso una serie di decreti delegati.
  In particolare, con riferimento alla finanza regionale, il decreto legislativo n. 68 del 2011 ha posto le basi per un modello di finanziamento che prevede la copertura integrale della differenza tra le entrate e le spese standardizzate per le funzioni fondamentali (sanità, assistenza, istruzione). I livelli essenziali delle prestazioni, cosiddetti LEP, cui corrispondono i fabbisogni standard necessari alla loro copertura, devono essere definiti dallo Stato e garantiti su tutto il territorio nazionale.
  Tale sistema, nel quale è riconosciuta alle regioni una più ampia possibilità di attuare politiche economiche e sociali, assicurando spazi di manovrabilità tramite i tributi propri derivati, a oggi non ha trovato compiuta attuazione.
  Si sottolinea a tal fine che la Costituzione ha rimesso alla competenza esclusiva dello Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.
  Senonché i LEP, pur previsti dall'articolo 13 del decreto legislativo n. 68 del 2011, non sono stati ancora definiti, mentre solo per il finanziamento del Servizio sanitario nazionale opera un sistema fondato sui livelli essenziali di assistenza, cosiddetti Pag. 6LEA, che comunque presenta ancora margini di criticità.
  Su questo profilo abbiamo allegato alla relazione una breve sintesi delle osservazioni e degli esiti nelle nostre analisi nei referti al Parlamento sui servizi sanitari regionali nonché di quanto è stato osservato dalla Corte in precedenti audizioni su questa tematica.
  Ad avviso della Corte, appare prioritario che il procedimento di finanziamento delle regioni trovi un suo adeguato assestamento con l'attuazione del complesso sistema di finanziamento e perequazione delle regioni a statuto ordinario nelle materie diverse dalla sanità, in particolare assistenza, istruzione e trasporto pubblico locale, nonché con il consolidamento della perequazione, compresa quella infrastrutturale.
  Soprattutto, appare necessaria la definizione degli schemi di perequazione regionale distinti tra spese LEP, fondate sui fabbisogni standard, e spese non LEP, basate sulla capacità fiscale, in quanto condizione propedeutica per la completa ed effettiva realizzazione del federalismo fiscale.
  L'attuazione del decreto legislativo n. 68 del 2011, pur se definita dal sottosegretario alla Presidenza in occasione di precedente audizione come un passaggio fondamentale per la ristrutturazione istituzionale del nostro Paese e oltre a essere uno specifico punto del programma di Governo, tuttavia è stata più volte differita, da ultimo al 2020.
  In questo quadro, che, come si è osservato, attende ancora di essere definito, si inserisce il tema dell'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, che consente a determinate condizioni il conferimento di ulteriore materia alla competenza delle regioni introducendo un modello di federalismo a geometria variabile.
  Il sistema delle intese Stato-regioni è, in linea generale, una manifestazione del principio di leale collaborazione più volte evocato dalla Corte costituzionale e di recente ha avuto sviluppo con riferimento ai rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali, che infatti sono stati regolati attraverso specifici accordi.
  Queste intese, tuttavia, non rappresentano ex se una fonte di produzione normativa, ma devono poi trovare attuazione con l'emanazione di norme affidate agli strumenti ordinamentali adeguati allo scopo.
  Nel delineare le modalità di finanziamento del regionalismo differenziato, pertanto, appare indispensabile un raccordo con quanto previsto dalla legge n. 42 del 2009, istitutiva del federalismo fiscale, e dal decreto attuativo n. 68 del 2011, che definisce il funzionamento in tema di federalismo regionale, ancorché le relative disposizioni non siano richiamate tra le premesse delle intese formalizzate il 25 febbraio 2019.
  Lo stesso articolo 116, comma 3, nel prevedere che le forme di autonomia rafforzata debbano essere coerenti con i princìpi dell'articolo 119 della Costituzione, come osservato da altri soggetti già sentiti da questa Commissione, non sembra consentire una diversa modalità di finanziamento delle materie aggiuntive né la loro sottrazione al meccanismo di perequazione interregionale previsto dalla legge nazionale.
  Un altro punto importante nella disamina di questo primo approccio al percorso verso l'autonomia differenziale riguarda il rapporto tra il principio di sussidiarietà e gli altri princìpi costituzionali che vengono in gioco in questa fase.
  L'articolo 5 della Costituzione presidia il riconoscimento e la promozione delle autonomie territoriali, ruolo riconosciuto nel Titolo V della Costituzione, che deve essere valutato nel più ampio contesto costituzionale e considerando che il governo complessivo dei conti dello Stato italiano è un tema di evidente rilevanza, anche perché coinvolge il rispetto dei patti assunti in sede comunitaria.
  Il riconoscimento di ulteriori livelli di autonomia deve avvenire nel rispetto della cornice dei princìpi costituzionali a condizione di preservare gli equilibri e la sostenibilità della finanza pubblica come declinati negli articoli 81, 97 e 119 della Costituzione nella riformulazione della legge costituzionale n. 1 del 2012.
  Altro principio fondamentale da tenere presente è quello del coordinamento della Pag. 7finanza pubblica, già prima richiamato dal presidente Graffeo, richiamato allo scopo di evidenziare la difficoltà di ipotizzarne la devoluzione alla competenza legislativa regionale.
  La locuzione coniata dalla normativa di attuazione del disegno di decentramento istituzionale nel regolare i rapporti tra Governo centrale e autonomie territoriali in base al DPR n. 616 del 1977 è stata valorizzata dalle riforme successive.
  Con riferimento al Titolo V, la Consulta, con sentenza n. 274 del 2003, ha osservato che la novella costituzionale, pur introducendo la pari dignità orizzontale tra le componenti territoriali della Repubblica, non comporta una totale equiparazione dello Stato agli altri organismi, in quanto lo stesso continua a essere investito di peculiari funzioni non altrimenti esercitabili.
  E, invero, mentre in nome del coordinamento della finanza pubblica sono stati rafforzati i controlli della Corte dei conti sugli enti territoriali, vedi da ultimo il decreto-legge n. 174 del 2012, la Corte costituzionale ha anche osservato che tale principio può trovare concreta attuazione solo in presenza di una disciplina contabile unitaria, e si richiamano le sentenze n. 70 del 2012 e n. 40 del 2014.
  Peraltro, il tema dell'armonizzazione dei bilanci pubblici costituisce diretta attuazione del federalismo fiscale, perché si tratta della codificazione di una lingua comune tra i bilanci dei diversi livelli di governo territoriale al fine di assicurare reale conoscibilità della situazione economico-finanziaria e assicurare l'efficace utilizzo degli strumenti di coordinamento della finanza pubblica, come riconosciuto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 80 del 2017.
  Di conseguenza, le istanze regionali devono risultare coerenti con i princìpi costituzionali che si riferiscono alle materie oggetto delle bozze d'intesa, princìpi che, come riferito, vanno dal coordinamento della finanza pubblica all'equilibrio di bilancio, al riparto di competenze.
  Il disposto costituzionale inderogabile non consente che possano essere oggetto di attribuzione talune materie riservate allo Stato.
  In particolare, non può essere scalfito l'articolo 117, secondo comma, lettera e), che attribuisce a quest'ultimo la competenza legislativa esclusiva in materia di sistema tributario e contabile dello Stato nonché di perequazione delle risorse finanziarie.
  Imprescindibile, poi, è il richiamo al principio di uguaglianza, di cui all'articolo 3 della Costituzione, il cui effettivo rispetto comporta che almeno per le prestazioni essenziali ai cittadini siano garantite su tutto il territorio nazionale pari condizioni in termini di accesso, qualità e costi.
  Va segnalato che l'esperienza mostra come proprio in riferimento al più rilevante servizio, quello relativo alla salute, pur essendo stati posti in essere efficaci strumenti di monitoraggio, ancora permangano differenziazioni territoriali.
  Da ultimo, ma di basilare importanza, è il tema delle conseguenze del trasferimento delle ulteriori competenze sulle funzioni dello Stato.
  Nella prospettiva dell'unità e indivisibilità della Repubblica e alla luce dei criteri individuati dalla Corte costituzionale con la richiamata sentenza n. 274 del 2003, appare dubbio che si possa trattare di un completo azzeramento delle competenze e che non residui in capo allo Stato un margine di intervento sia pure nel rispetto del principio di leale collaborazione. Non dovrebbe, infatti, venir meno un momento di coordinamento e di sintesi degli interessi generali dell'intero Paese.
  La bozza d'intesa relativa alla regione Emilia-Romagna prevede, a differenza che per le altre regioni richiedenti, anche il riconoscimento di una competenza complementare in ordine all'organizzazione dell'esercizio delle funzioni amministrative locali riferite alla materia oggetto della presente intesa, articolo 2, comma 2.
  Di particolare rilievo, poi, è il disposto del comma successivo: «L'esercizio delle competenze attribuite nelle materie indicate ai commi 1 e 2 è subordinato al rispetto da parte della regione Emilia-Romagna dei princìpi generali dell'ordinamento Pag. 8 giuridico, dell'unità giuridica ed economica, delle competenze legislative statali di cui all'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, e in particolare quelle riferite alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni nonché dei princìpi fondamentali espressamente richiamati nelle disposizioni contenute nel Titolo II della presente intesa». Si tratta di una disposizione che dovrebbe essere messa a fattor comune, in quanto denota l'esigenza del rispetto dei princìpi fondanti della Costituzione.

  ADELISA CORSETTI, Consigliere della Corte dei conti. Trattiamo ora dei profili finanziari.
  Gli schemi di intesa resi pubblici il 25 febbraio scorso si limitano a indicare un quadro generale di riferimento, mentre manca una definizione degli effetti in termini di risorse finanziarie e la conseguente valutazione della possibilità di ricadute sulla destinazione del personale e sulle risorse strumentali.
  In particolare, si prevede che il finanziamento delle funzioni trasferite, fermo restando il principio di invarianza della spesa, sarà determinato dalla Commissione paritetica Stato-regione in base ai criteri specificati nell'articolo 5 di ciascuna bozza d'intesa.
  Emerge che in sede di prima applicazione sarà considerata la spesa storica dello Stato nel territorio regionale, mentre a regime il criterio guida sarà costituito dai fabbisogni standard, che dovranno essere determinati per ciascuna materia da un comitato nazionale entro un anno dall'entrata in vigore dei decreti attuativi.
  Come norma di chiusura, nel caso di mancata determinazione dei fabbisogni standard, decorsi tre anni dall'intesa, è previsto che il finanziamento sarà fissato a un livello non inferiore della media pro capite della spesa corrispondente alle funzioni attribuite.
  È appena il caso di osservare che, al verificarsi dell'ultima ipotesi, la spesa media pro capite in assenza di determinazione dei fabbisogni standard, le risorse finanziarie che lo Stato dovrebbe trasferire alle regioni ad autonomia differenziata potrebbero risultare superiori a quelle attualmente spese sui territori.
  Su questo alleghiamo una tavola, l'allegato 2. Sono tavole prese dall'ultimo Referto sanità, da cui è assolutamente evidente che per due missioni, la 20 e la 22, le regioni ad autonomia differenziata hanno un pro capite decisamente inferiore a quello della media nazionale.
  Va poi valutato il rischio che dall'operazione si producano extracosti a parità di livello del servizio erogato, mentre risulta difficile valutare, in assenza della definizione dei livelli delle prestazioni, se a fronte di un efficientamento del trasferimento della funzione si possano generare miglioramenti nel livello dei servizi erogati.
  Non di minore rilievo è, infine, il tema di una corretta quantificazione delle risorse da attribuire alle regioni richiedenti per le competenze aggiuntive in termini di spesa storica nel territorio regionale.
  Le fonti disponibili presentano limiti consistenti. La regionalizzazione della spesa statale condotta dalla Ragioneria generale dello Stato attraverso i pagamenti non presenta, infatti, un dettaglio adeguato, come è stato di recente rilevato dalla Corte nelle analisi che sono confluite nel rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2018.
  Le difficoltà incontrate nell'attuare gli accordi con le autonomie speciali dovrebbero, inoltre, indurre a ritenere che una generalizzazione, anche se su scala minore, del modello di finanziamento attualmente adottato per le regioni a statuto speciale non appare sostenibile per la finanza pubblica, tenuto conto dell'elevato debito pubblico, degli obiettivi nazionali di riequilibrio e delle inevitabili esigenze di coordinamento.
  Su quest'ultimo fronte una particolare riflessione richiede la mancanza nelle bozze d'intesa di riferimenti alla solidità delle finanze e alla capacità amministrativa delle regioni richiedenti quali criteri di accesso a ulteriori forme di differenziazione. Sotto questo profilo, manca il supporto di una legge quadro, e ciò potrebbe rendere difficile limitare ulteriori richieste anche di realtà territoriali in squilibrio economico Pag. 9finanziario che presentino particolari difficoltà.
  Un generale ampliamento dei soggetti ammessi a forme di autonomia differenziata non presidiato da tali criteri rischia, in definitiva, di incidere negativamente sulla qualità delle prestazioni rese a livello territoriale e di accrescere gli squilibri esistenti.
  Non possono, infine, essere trascurate nelle attuali condizioni della finanza pubblica le difficoltà che possono derivare dalla riorganizzazione necessaria per il passaggio alle regioni richiedenti di materie oggi gestite a livello centrale.
  Al di là della formula di stile dell'invarianza della spesa, è di tutta evidenza che, se si tratta di una ristrutturazione organizzativa, questa ristrutturazione, per avere il successo sperato, comporterà una reingegnerizzazione amministrativa di non poco momento, da cui scaturiranno inevitabilmente impegni sul versante della spesa, e quindi perlomeno dovrebbe essere fatta una preventiva analisi costi/benefici.
  In ogni caso, è necessario che sia previsto un adeguato sistema di monitoraggio e di rendicontazione che garantisca in modo oggettivo la trasparenza delle attività svolte e i risultati conseguiti.
  Uno strumento di verifica di cui si è constatata l'efficacia è quello previsto dal patto per la salute.
  Andiamo ora agli effetti che queste intese produrrebbero o potrebbero produrre sulla programmazione statale.
  In questo caso, va infatti considerato che l'ordinamento regionale è incardinato in un sistema sostanzialmente accentrato, il quale non prevede in questa fase legata al primo avvio del federalismo differenziato un ridisegno delle strutture amministrative centrali che tenga conto degli eventuali cambiamenti causati dal trasferimento delle funzioni.
  L'attribuzione di ulteriori spazi di autonomia solo ad alcune regioni finirebbe, infatti, per generale relazioni a loro volta differenziate tra regioni e singoli ministeri e solo su specifici settori di intervento.
  È evidente che questo rende necessaria l'istituzione di nuove forme e modalità di coordinamento anche per le strutture statali, che senza la ridefinizione di un'adeguata cornice perderebbero funzioni, spazi di azioni e risorse finanziarie in modo asimmetrico e disfunzionale. Potrebbe essere l'intero sistema delle relazioni centro/periferia, già fortemente caratterizzato da sovrapposizioni e differenze, ad andare incontro a significative criticità nel momento in cui alle regioni a statuto speciale si aggiungeranno nuove forme di autonomia differenziata senza un chiaro disegno strategico.
  Il dibattito in corso potrebbe trovare un elemento di bilanciamento tra le diverse istanze solo se fosse proiettato in un disegno più ampio di riforma del funzionamento del sistema amministrativo nel suo complesso.
  Il quadro dei compiti, delle funzioni e degli strumenti affidati ai ministeri è stato, del resto, interessato negli ultimi anni da cambiamenti che hanno inciso anche sui profili del coordinamento della finanza pubblica. L'esigenza di contenimento della spesa, le relazioni con l'Europa e i rapporti con le autonomie territoriali hanno riorientato il loro ruolo verso più qualificate funzioni di coordinamento, di regolazione e di controllo di attività svolte al di fuori delle loro strutture.
  L'introduzione di nuovi strumenti di programmazione esercitati dai ministeri ha investito soprattutto quei settori delle politiche pubbliche in cui i processi di decentramento amministrativo sono stati più incisivi. Parliamo di istruzione universitaria, sanità, sviluppo economico e trasporti. Ed è stato proprio in queste aree che si è avvertita l'esigenza di governare le attività attraverso una più robusta regia centralizzata, che si è tradotta nella predisposizione di strumenti di programmazione, di linee guida, di procedure e di metodologie generali.
  In definitiva, l'apparato centrale dello Stato, avendo già visto in passato modificare in modo significativo il proprio assetto diversificando i propri contenuti funzionali e individuando innovativi spazi e competenze per rispondere a nuove attività di pianificazione, controllo e vigilanza, potrebbe Pag. 10 in effetti rispondere alle sollecitazioni del federalismo differenziato disegnando più moderni profili di coordinamento.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ROGER DE MENECH. Io ho una domanda di carattere assolutamente generale, che riguarda l'organizzazione e la funzionalità della Corte dei conti, non tanto l'autonomia.
  Credo che il tema centrale sia capire in prospettiva se, a prescindere dall'assetto nazionale delle funzioni e delle competenze, il fatto che anche nella vostra organizzazione ci siano le sedi regionali che hanno una grande indipendenza rispetto ai controlli degli enti locali abbia un suo senso dal punto di vista organizzativo.
  L'autonomia e il 116 sono questa sfida. Oggi, siamo abituati a ragionare su alcune funzioni – le abbiamo dette – tipiche dell'organizzazione statale con un modello organizzativo, ma non è detto che un altro modello organizzativo non possa esistere. Ho sentito un passaggio, soprattutto dall'ultima relazione, sui possibili aumenti dei costi per la riorganizzazione funzionale dell'avvicinamento dei servizi al cittadino.
  È anche vero, però, che io credo che l'avvicinamento possa produrre maggiore efficienza e maggior controllo. Anche voi avete le sedi regionali, e sono quelle il braccio operativo della Corte, giustamente, che dimostrano sempre una vicinanza al territorio, un'efficienza e un grado di possibilità operativa più alta.
  Lo dico, ovviamente, per stimolare la discussione anche all'interno di un organismo come la Corte dei conti, che naturalmente non ha una competenza diretta su queste funzioni, ma che credo possa dare il suo contributo nell'interpretare al meglio quel famoso 116. Ahimè, il dibattito politico è perennemente viziato dall'approccio ideologico iniziale di alcune parti politiche in particolar modo.
  Siccome sono un federalista convinto, credo invece che la riorganizzazione possa produrre un'efficienza, un'efficacia e un miglioramento dei servizi, anche efficientandoli, e quindi migliorandone i saldi.
  La questione che vi pongo è quindi se nella vostra organizzazione usate le strutture regionali per avvicinare un istituto centrale come la Corte dei conti nazionale al cittadino, in questo caso all'amministratore, alla funzione pubblica e così via. Su questo credo che si debba aprire la riflessione più vera.

  FIAMMETTA MODENA. Riagganciandomi un attimo a quello che stava dicendo prima il collega, vorrei capire – bisognerebbe vedere come si svolgono le cose in pratica – se il principio di cosiddetta leale collaborazione, una volta che c'è stata una serie di riforme, abbia visto un'applicazione regione per regione, immagino, da parte delle sezioni controllo.
  C'è un monitoraggio dell'esperienza del rapporto tra le sezioni controllo e gli enti regionali? C'è qualcosa che può dare una sintesi per capire se eventualmente ci può essere questa collaborazione di cui parlava il collega? Non so se sia stata fatta dagli uffici.

  GIAN MARIO FRAGOMELI. Vorrei semplicemente aggiungere una questione relativa ai profili finanziari, in particolare all'ultimo intervento, quello che ci ha sollecitato di più.
  Ho già posto questa domanda all'Ufficio parlamentare di bilancio e ad altri auditi. Capisco che non è un compito prettamente attinente a quelli della Corte dei conti, ma, come diceva il collega, avete anche, attraverso le vostre strutture regionali, misurato negli anni e avete potuto valutare il funzionamento di quella che è già stata un'anticipazione di forme di federalismo differenziato. La sanità ha sotto certi punti di vista già visto uno Stato regolatore rispetto alle regioni, che chiaramente sono i reali organizzatori di questo sistema sanitario regionalizzato.
  Al netto del fatto che siamo ancora in attesa di capire quando sarà dato un incarico agli enti preposti, a SOSE, quando saranno costruiti i fabbisogni standard, Pag. 11quando si entrerà in profili un po’ più approfonditi, dal vostro punto di vista, relativamente a quello che si diceva specialmente nell'ultima relazione, di questo Stato che si riorganizza e diventa più regolatore – mi passi il termine – rispetto a una funzione amministrativa più preminente della regione in determinate materie, quelle più importanti, a partire dall'istruzione, qual è il perimetro che si può circoscrivere prendendo spunto da quello che è accaduto nel sistema sanitario di competenze, per cui lo Stato è solo regolatore e la gestione e l'organizzazione del servizio è preminentemente regionale?
  Anche per altri settori, come si può esportare il modello sanitario e porre un limite? Continuiamo a sentir parlare – non voglio banalizzare – docenti sì e docenti no. La Corte dei conti tutti i giorni valuta un rapporto costi/benefici, efficienza ed efficacia dell'amministrazione pubblica: secondo voi, in questa sorta di riorganizzazione, fino a che punto si può arrivare a ridefinire le competenze dello Stato con le regioni, almeno delle materie più importanti?
  Per avere qualcosa in più da discutere, visto che le bozze tardano a essere esplicate, che strumenti finanziari come i fabbisogni – non parlo neanche dei LEP – sono lontani, vorrei almeno capire in un quadro generale la vostra opinione come Corte dei conti, che in tema, torno a dire, di risparmio ed efficientamento ha spinto molto negli anni.

  PRESIDENTE. Non essendoci altri interventi, do la parola agli auditi per la replica.

  MAURIZIO GRAFFEO, Presidente di Sezione della Corte dei conti – Sezione delle Autonomie. Intervengo relativamente ai due quesiti connessi.
  La Sezione delle autonomie, dove noi tre lavoriamo, per regolamento nostro è espressione delle sezioni regionali di controllo. Il problema forte che abbiamo avuto nel predisporre quest'audizione è che io sto venendo a parlare di questioni che abbiamo affrontato. Non abbiamo osato superare questi limiti, perché noi dobbiamo interpellare la sezione controllo Lombardia, la sezione controllo Veneto e la sezione controllo Emilia-Romagna.
  Il rapporto forte di controllo è tra le sezioni regionali e le singole amministrazioni regionali, fermo restando che in ogni collegio – stiamo parlando di collegi di magistrati, quindi non si può imporre dall'alto le nostre opinioni – si va a dei programmi, programmi che vengono approvati dalle sezioni regionali di controllo.
  Devo dire che il tema del federalismo differenziato che già avevamo approcciato a livello teorico ha avuto una velocizzazione, ultimamente, che ripeto non ci trova impreparati. Per attivare, però, tutto questo raccordo, a fine anno approveremo un programma, ma se è necessario intervenire prima lo faremo senz'altro, perché l'ordinamento ci consente di integrare i programmi, per avere delle condivisioni con le varie sezioni regionali di controllo interessate su questa tematica.
  La nostra funzione è, da una parte, di coordinare il tutto, che è il modello di cui abbiamo parlato per l'attuazione del federalismo differenziale, cioè ci vuole una struttura centrale che, ripeto, fermi restando i rapporti tra magistrati, trovi un campo comune e condiviso sul quale agire. Dopodiché, sempre alla Sezione delle autonomie, oltre a questo fattore di coordinamento, c'è un fattore di referto al Parlamento.
  Ogni anno, ci rompiamo la testa perché facciamo un referto sulle regioni, un referto sugli enti locali, un referto sulla sanità. Le tabelle che abbiamo portato vengono proprio dal referto sanità, approvato di recente. Abbiamo fatto questo in parte con indagini nostre autonome, ma le singole osservazioni sulle singole regioni e sui sistemi sanitari regionali derivano da come ha operato la sezione regionale competente, e con il D.L. n. 174 è stata rinforzata tutta questa serie di controlli. Si è passati da quelli che una volta erano, a mio parere sbagliando, i cosiddetti controlli carezzevoli, i controlli collaborativi, a controlli che hanno degli effetti di un certo peso, che per quanto riguarda gli enti locali possono portare Pag. 12 anche a una dichiarazione di dissesto. In più, c'è la parificazione che è stata estesa dalle regioni a statuto speciale a tutte le regioni. La nostra forza è la nostra preparazione per affrontare questi compiti molto delicati.
  Nel processo di armonizzazione contabile, che veramente è stato una rivoluzione, come sezioni regionali e come Sezione autonomie abbiamo accompagnato gli enti, non abbiamo semplicemente ex cathedra fatto i severi censori. Li abbiamo accompagnati, tirando le orecchie dove era necessario. E ci proponiamo di svolgere le stesse funzioni con un federalismo asimmetrico o come lo vogliamo chiamare, differenziato, nel momento in cui si avvierà, evidentemente dando in questo momento un contributo preventivo secondo noi negli snodi fondamentali, elaborando una relazione sull'esito dei controlli.
  Ricordo che ci sono state audizioni, con il presidente Giorgetti, ma anche nella Commissione per gli affari regionali, in cui sono stati convocati presidenti di sezioni regionali di controllo, ma il rapporto con il Parlamento, come vedete in questo momento, è delle Sezioni centrali. La Sezione autonomie per legge riferisce al Parlamento. Il riferimento delle sezioni regionali, invece, la loro veste ausiliaria è nei confronti dei consigli regionali.
  Nel momento in cui opereranno tutte queste istanze alle sezioni regionali, che siano tre, che siano cinque – speriamo che siano tutte – si provvederà nelle singole sedi regionali, e poi noi faremo un rapporto di coordinamento del tutto.

  ADELISA CORSETTI, Consigliere della Corte dei conti. Interverrei, per poi, col permesso del presidente, passare la parola al collega che più di me si occupa dei profili della sanità.
  Noi abbiamo voluto puntare l'attenzione su due aspetti. Uno è l'attuazione ancora incompleta del n. 68 del 2011, fondamentale perché si possa procedere a ulteriori forme di autonomia differenziata, perché è la base di partenza. Purtroppo, questo profilo è ancora incompiuto. Ne sentiamo tutti l'esigenza, cioè dobbiamo definire quali sono i livelli essenziali delle prestazioni.
  Il secondo punto, richiamato dal presidente Graffeo, è quello dei profili di controllo, di monitoraggio e di coordinamento della finanza pubblica, sempre essenziali in qualsiasi situazione di decentramento, di federalismo, come lo si chiami. È la situazione che viviamo anche noi tutti i giorni, anche in Corte dei conti, nel rapporto con le sezioni regionali.
  Facciamo l'esempio dell'attività consultiva: pur nell'autonomia magistratuale riconosciuta dalla Costituzione, è comunque percepito come una criticità il fatto che ci siano pareri discordanti in sede regionale, per cui ogni tanto deve intervenire la Sezione autonomie su input delle sezioni regionali ed emana la delibera di orientamento, Sezioni autonomie, talora Sezioni riunite in sede di controllo. I profili di autonomia sono sempre correlati con l'esigenza anche di un coordinamento. Anche se noi siamo una magistratura, l'esigenza di un coordinamento è sentita anche al nostro interno.
  Per completare anche il discorso del presidente Graffeo, ha fatto un richiamo all'armonizzazione dei bilanci pubblici, agli enti territoriali. Questo è proprio un fattore, un esempio emblematico della necessità di mettere a fattor comune i conti pubblici, cioè le modalità di contabilizzazione e le modalità di rappresentazione contabile.
  Il lavoro che è stato fatto con il n. 118 del 2011 e poi perfezionato con il n. 126 del 2014 ha portato a uno sforzo molto importante, che è quello di pervenire a una rappresentazione unitaria dei fenomeni. La Corte costituzionale ha detto chiaramente che l'armonizzazione è anche un fattore di coordinamento, ma comunque è un elemento essenziale della nostra Costituzione. Parlare di autonomie e di libertà di manovra nei singoli territori e però non privilegiare questi profili di unitarietà, quindi, può comportare dei rischi.

  ALFREDO GRASSELLI, Consigliere della Corte dei conti. Prima, si chiedeva dell'eventuale esportabilità del modello per il settore attualmente vigente e collaudato della sanità in altri settori. Pag. 13
  Sicuramente, quello sanitario è l'ambito gestionale più studiato, più monitorato, e quindi in questo momento credo sia il modello al quale poter fare riferimento, anche se proprio il fatto che già da anni è in essere e ha portato a grandi risultati... Nel 2006, avevamo un deficit di 6 miliardi, oggi quasi, e sottolineo il «quasi»... C'è un problema anche di differenziazione tra regioni a statuto ordinario e regioni a statuto speciale. Lì qualche problemino in tema sia di chiarezza dei conti sia di accumulo di qualche deficit eccessivo si sta verificando, come abbiamo riportato nell'ultimo referto e sintetizzato nell'allegato alla relazione.
  Se possiamo fare riferimento a questo modello, tenendo conto anche dei problemi che sono emersi proprio in questo modello, non è che però possiamo stabilire noi il perimetro dei settori gestionali cui far riferimento.
  Innanzitutto, siamo in una fase assolutamente iniziale, per cui c'è un elenco di materie, ma poi credo che ogni settore vada studiato e indagato per vedere quali sono gli impatti dal punto di vista organizzativo, della sostenibilità dei costi e della compatibilità con i princìpi di rilievo costituzionale. Qui il primo problema è di carattere politico, gli ambiti di intervento non li stabilisce la Corte dei conti. Questo attiene alle decisioni politiche.
  Noi possiamo osservare gli effetti di queste decisioni e, eventualmente, come ricordava il presidente Graffeo, accompagnare il percorso con la nostra normale attività di monitoraggio, che ovviamente dovrà essere integrata nei nostri programmi di attività una volta che questo percorso prenda forma.
  Ci sarà il problema di verificare poi la compatibilità di determinati settori con altri. Abbiamo parlato del problema del coordinamento della finanza pubblica, che è l'ambito che ci tocca più direttamente, oggettivamente molto delicato. Lo Stato unitariamente inteso è anche un'unità economica e un'unità che dobbiamo anche rappresentare all'esterno, abbiamo dei problemi, dei rapporti con l'Unione europea, quindi questo è un settore molto delicato.
  Anche altri settori, però, anche se sono devolvibili, dovranno essere messi in rapporto con le esigenze di consentire la realizzazione anche degli interessi generali in determinati settori. Se c'è un'opera strategica per il Paese, anche se quel settore è stato devoluto alle regioni, quali saranno le relazioni e le interrelazioni tra Stato e regione? Lo Stato potrà comunque portare avanti quel programma, sempre fermo restando il principio di leale collaborazione, e quindi raggiungendo intese? O c'è una spogliazione totale, c'è un diritto di veto, per cui si corre il rischio di portare al blocco di determinate situazioni?
  Sono tutte situazioni che vanno studiate ambito per ambito. La decisione, alla fine, non può essere che di tipo politico, fermo restando che sopra tutti noi, sia gli organi politici sia gli organi di controllo, ci sono i princìpi costituzionali, ai quali dobbiamo far riferimento.

  PRESIDENTE. Vi ringrazio per la disponibilità dimostrata. Dispongo che la documentazione prodotta sia allegata al resoconto stenografico della seduta odierna.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.55.

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