XVIII Legislatura

Commissioni Riunite (V Camera e 5a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta antimeridiana n. 1 di Martedì 9 ottobre 2018

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Borghi Claudio , Presidente ... 3 

Audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Giovanni Tria (Attività conoscitiva preliminare all'esame della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2018, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Borghi Claudio , Presidente ... 3 
Tria Giovanni , Ministro dell'economia e delle finanze ... 3 
Borghi Claudio , Presidente ... 9 
Boccia Francesco (PD)  ... 9 
Borghi Claudio , Presidente ... 9 
Boccia Francesco (PD)  ... 9 
Borghi Claudio , Presidente ... 9 
Marattin Luigi (PD)  ... 10 
Borghi Claudio , Presidente ... 10 
Raduzzi Raphael (M5S)  ... 10 
Padoan Pietro Carlo (PD)  ... 10 
Cestari Emanuele (LEGA)  ... 11 
Brunetta Renato (FI)  ... 11 
Crosetto Guido (FDI)  ... 12 
Fassina Stefano (LeU)  ... 14 
Borghi Claudio , Presidente ... 16 
Lorenzin Beatrice (Misto-CP-A-PS-A)  ... 16 
Turco Mario  ... 18 
Misiani Antonio  ... 18 
Ferrero Roberta  ... 19 
Pichetto Fratin Gilberto  ... 19 
Lucaselli Ylenja (FDI)  ... 20 
Lupi Maurizio (Misto-NcI-USEI)  ... 20 
Marattin Luigi (PD)  ... 21 
Rivolta Erica  ... 23 
D'Attis Mauro (FI)  ... 24 
Dell'Olio Gianmauro  ... 24 
Manca Daniele  ... 25 
Frassini Rebecca (LEGA)  ... 25 
Fantetti Raffaele  ... 25 
Pella Roberto (FI)  ... 26 
Borghi Claudio , Presidente ... 26 
Tria Giovanni , Ministro dell'economia e delle finanze ... 27 
Marattin Luigi (PD)  ... 27 
Tria Giovanni , Ministro dell'economia e delle finanze ... 27 
Brunetta Renato (FI)  ... 30 
Tria Giovanni , Ministro dell'economia e delle finanze ... 30 
Brunetta Renato (FI)  ... 32 
Tria Giovanni , Ministro dell'economia e delle finanze ... 32 
Brunetta Renato (FI)  ... 32 
Tria Giovanni , Ministro dell'economia e delle finanze ... 32 
Prestigiacomo Stefania (FI)  ... 33 
Tria Giovanni , Ministro dell'economia e delle finanze ... 33 
Borghi Claudio , Presidente ... 33 

Audizione di rappresentanti della Banca d'Italia (Attività conoscitiva preliminare all'esame della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2018, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Borghi Claudio , Presidente ... 33 
Signorini Luigi Federico , vicedirettore generale della Banca d'Italia ... 34 
Borghi Claudio , Presidente ... 40 
Tomasi Maura (LEGA)  ... 40 
Marattin Luigi (PD)  ... 40 
Pella Roberto (FI)  ... 41 
Crosetto Guido (FDI)  ... 43 
Lorenzin Beatrice (Misto-CP-A-PS-A)  ... 43 
Marino Mauro Maria  ... 44 
Pretto Erik Umberto (LEGA)  ... 45 
Damiani Dario  ... 45 
Pesco Daniele  ... 45 
Borghi Claudio , Presidente ... 46 
Signorini Luigi Federico , vicedirettore generale della Banca d'Italia ... 46 
Borghi Claudio , Presidente ... 48 

(La seduta, sospesa alle 14, riprende alle 14.20) ... 48 

Audizione di rappresentanti dell'ISTAT (Attività conoscitiva preliminare all'esame della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2018, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Borghi Claudio , Presidente ... 48 
Franzini Maurizio , presidente dell'ISTAT ... 48 
Borghi Claudio , Presidente ... 57 
Ferrero Roberta  ... 57 
Fantetti Raffaele  ... 57 
Borghi Claudio , Presidente ... 57 
Franzini Maurizio , presidente dell'ISTAT ... 57 
Oneto Gian Paolo , direttore della Direzione centrale per la contabilità nazionale dell'ISTAT ... 58 
Franzini Maurizio , presidente dell'ISTAT ... 58 
Ferrero Roberta  ... 58 
Oneto Gian Paolo , direttore della Direzione centrale per la contabilità nazionale dell'ISTAT ... 58 
Borghi Claudio , Presidente ... 59 

Audizione di rappresentanti della Corte dei conti (Attività conoscitiva preliminare all'esame della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2018, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Borghi Claudio , Presidente ... 59 
Buscema Angelo , presidente della Corte dei conti ... 59 
Borghi Claudio , Presidente ... 66 
Marattin Luigi (PD)  ... 66 
Borghi Claudio , Presidente ... 66 
Marattin Luigi (PD)  ... 67 
Mandelli Andrea (FI)  ... 67 
Presutto Vincenzo  ... 67 
Borghi Claudio , Presidente ... 68 
Presutto Vincenzo  ... 68 
Borghi Claudio , Presidente ... 68 
Presutto Vincenzo  ... 68 
Marattin Luigi (PD)  ... 68 
Borghi Claudio , Presidente ... 68 
Presutto Vincenzo  ... 68 
Borghi Claudio , Presidente ... 68 
Buscema Angelo , presidente della Corte dei conti ... 68 
Borghi Claudio , Presidente ... 69

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia: Misto-NcI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA V COMMISSIONE
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
CLAUDIO BORGHI

  La seduta comincia alle 10.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Giovanni Tria.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Giovanni Tria, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato.
  Al fine di assicurare un ordinato svolgimento dei lavori delle Commissioni, avverto che, dopo l'intervento del Ministro Tria, sono previsti interventi per ciascun gruppo fino a un massimo di quattro.
  Invito quindi i rappresentanti degli omologhi gruppi di Camera e Senato, d'intesa tra loro, a far pervenire al banco della presidenza, durante lo svolgimento della relazione da parte del Ministro, i nominativi dei componenti del proprio gruppo designati ad intervenire.
  Non voglio fissare una tempistica definita, perché voglio dare modo a tutti di poter esprimere le proprie opinioni e le proprie domande – più domande che opinioni – in un tempo necessario. Indicativamente, tenete presente che stiamo parlando, proprio per una questione di economia di tempi per le prossime audizioni, di 8-10 minuti per gruppo, ovviamente come somma degli interventi. Cercate di regolarvi su quello. Non voglio però essere rigido. Vediamo di essere un po’ flessibili, ma venitemi incontro.
  Nel dare la parola al Ministro dell'economia e delle finanze Giovanni Tria, lo ringrazio per la partecipazione alla seduta odierna.

  GIOVANNI TRIA, Ministro dell'economia e delle finanze. Signor presidente Borghi, signor presidente Pesco, onorevoli deputati e senatori, la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2018 che mi accingo a illustrarvi riveste un'importanza particolare, in quanto è il primo atto di programmazione economica che mette a sistema le priorità del Governo. La Nota di aggiornamento ambisce a dare risposte alle richieste dei cittadini e delle imprese in termini di crescita e occupazione, di inclusione sociale e welfare, di minor tassazione e di maggior sicurezza.
  È, altresì, essenziale inquadrare fin da subito questa mia illustrazione in un contesto, quello europeo, che ci vede in ritardo rispetto alla crescita dell'economia e dell'occupazione, un ritardo non più accettabile a dieci anni dall'inizio della crisi.
  Il prodotto in termini reali dell'economia non ha ancora recuperato il livello pre-crisi: gli ultimi dati relativi al 2017 mostrano, infatti, un valore inferiore di circa 4 punti percentuali rispetto al 2008. Nello stesso periodo i divari territoriali tra Nord, Centro e Sud si sono ampliati. La quota di PIL generata nel Nord è aumentata di 1,2 punti percentuali, mentre quella del Sud e delle isole è diminuita di 0,9 punti percentuali. Pag. 4
  È anche aumentato il numero di persone che si trovano in condizioni di povertà, deprivate materialmente o appartenenti a famiglie a bassa intensità di lavoro, passato dai 15 milioni circa del 2008 agli oltre 17,4 milioni del 2017.
  Tale risultato ci allontana di quasi 4,5 milioni dall'obiettivo fissato nella strategia Europa 2020, un obiettivo – vorrei ricordarlo – concordato anch'esso in sede europea e che dovremmo raggiungere nei prossimi due anni.
  Questi risultati di crescita non hanno consentito nel passato decennio di ridurre il debito pubblico che, al contrario, è costantemente aumentato anche in rapporto al PIL. A tal proposito, il Governo si è posto l'obiettivo di ridurre sensibilmente, entro i primi due anni della legislatura, il divario di crescita rispetto all'Eurozona e, in tal modo, conseguire una prima diminuzione significativa del rapporto debito/PIL nell'arco del prossimo triennio.
  Prima di entrare nel vivo dell'analisi del contenuto programmatico della Nota di aggiornamento, mi soffermo sul quadro macroeconomico sottostante, segnalando e sottolineando come questo sia profondamente mutato rispetto allo scenario che il Paese aveva di fronte solamente sei mesi fa, e quindi come questa differenza abbia portato l'intero Esecutivo a individuare un nuovo punto di equilibrio tra le priorità di politica economica e quelle settoriali.
  Nell'aprile scorso, la previsione di crescita del PIL reale pubblicata nel DEF era dell'1,5 per cento per il 2018, dell'1,4 per il 2019, dell'1,3 per il 2020, per poi scendere all'1,2 per cento negli anni successivi. Il profilo di crescita tendenziale che abbiamo di fronte oggi è ampiamente mutato, collocandosi su di un livello più basso: 1,2 per cento nel 2018, 0,9 nel 2019 e 1,1 nel biennio 2020-2021.
  Tale drastica revisione risente dell'indebolimento del commercio mondiale e della produzione industriale. La cosiddetta «guerra dei dazi» ha probabilmente influito su aspettative e decisioni di investimento in scorte e beni capitali da parte delle imprese, con complessi effetti tramite le catene del valore. Anche le prospettive non sono positive.
  Le previsioni più aggiornate relative al 2019 registrano una decelerazione per i Paesi avanzati, in particolare per le grandi economie europee. Per i prossimi anni, i rischi associati a un ulteriore deterioramento del quadro internazionale restano elevati.
  Le misure in tema di commercio estero annunciate e attuate dagli Stati Uniti a partire dai primi mesi di quest'anno e le contromisure adottate dai partner commerciali coinvolti, in particolare la Cina, hanno aumentato le probabilità di una escalation protezionistica, che potrebbe spiazzare la ripresa mondiale e deprimere le prospettive di crescita di medio-lungo termine.
  Alla luce di questi dati e scenari, riportando l'attenzione sul nostro Paese, si evidenzia come la crescita osservata nella prima metà del 2018 sia stata sostenuta principalmente dalla domanda interna e dalle scorte. Il tasso di disoccupazione, sebbene continui a mostrare una tendenza alla riduzione, è stimato ancora su livelli non accettabili. Nelle previsioni tendenziali per il 2018 si parla del 10,6 per cento.
  Se allarghiamo l'analisi al periodo 2008-2017, si osserva che all'aumento degli occupati, tornati su livelli confrontabili a quelli pre-crisi, non è corrisposto un analogo incremento delle ore lavorate, che sono inferiori di 5 punti percentuali al dato del 2008. Il tasso di disoccupazione giovanile resta su livelli preoccupanti ed elevati, pari a circa il 30,8 per cento.
  Per quanto riguarda i prossimi mesi, le informazioni quantitative e qualitative attualmente a disposizione segnalano l'indebolimento del clima di fiducia delle imprese manifatturiere, per il peggioramento dei giudizi sugli ordini e delle attese sulla produzione.
  Nello stesso periodo, anche l'indice relativo alle piccole e medie imprese del settore manifatturiero si è indebolito, superando di poco la soglia di espansione, per effetto sia di una minore produzione che di una flessione dei nuovi ordini. Questi ultimi risultano penalizzati soprattutto dalla componente domestica, mentre quelli dall'estero Pag. 5 continuano ad aumentare, seppure a un ritmo più debole rispetto ai mesi precedenti.
  Al fine di contrastare le tendenze in atto e soprattutto perseguire l'obiettivo di riduzione del gap di crescita con gli altri Paesi dell'area dell'euro, rimasto pressoché costante per tutto l'arco del passato decennio, è stato definito un quadro programmatico, di cui dirò nel dettaglio più avanti, che incorpora gli effetti sull'economia e sulla finanza pubblica degli interventi che il Governo intende presentare al Parlamento con il disegno di legge di bilancio per il 2019.
  Per quanto riguarda la finanza pubblica, la minore crescita del PIL è uno dei fattori che hanno comportato, già per l'anno in corso, una revisione automatica al rialzo dell'indebitamento netto, collocandolo all'1,8 per cento di PIL a fronte dell'1,6 per cento dello scorso DEF.
  È fondamentale, però, guardare alla dinamica del rapporto debito/PIL, tema collegato alla sostenibilità della finanza pubblica.
  Ormai da trent'anni, il peso del debito pubblico vincola le politiche economiche e sociali del Paese. Pertanto, a prescindere dalle regole di bilancio europee, esso va affrontato al fine di liberare spazi di bilancio e ridurre la pressione fiscale.
  Nonostante negli ultimi anni la politica di bilancio in Italia abbia avuto come obiettivo prioritario la riduzione del rapporto debito/PIL, i dati ISTAT mostrano che il rapporto è rimasto sostanzialmente stabile negli ultimi anni su valori di poco superiori al 131 per cento. Più in dettaglio, la riduzione di appena 0,6 punti percentuali di PIL registrata tra il dato del 2014 e quello del 2017 è ascrivibile unicamente alla revisione ISTAT dei conti nazionali.
  Onorevoli deputati e onorevoli senatori, è del tutto evidente che la strategia di contenimento attuata finora non è risultata efficace, nonostante i costi finanziari, economici e sociali elevati. Occorre, quindi, spostare l'obiettivo dal numeratore al denominatore del rapporto. Solo attraverso una strategia che abbia al centro il tasso di crescita dell'economia è infatti possibile conseguire un significativo miglioramento degli indicatori di finanza pubblica.
  L'esperienza degli anni passati ha dimostrato che una politica di stimoli graduali e limitati a un orizzonte annuale non è stata sufficiente a rilanciare appieno l'economia e ad avviare un percorso chiaro di riduzione del rapporto debito/PIL.
  Per tale ragione, il Governo, sentita la Commissione europea, ha inteso ridefinire il percorso di convergenza verso l'obiettivo di medio termine (MTO). Combinando responsabilità fiscale e stimolo alla crescita, al fine di dedicare risorse appropriate al sostegno della crescita economica e della coesione sociale, il Governo ha fissato per il 2019 un obiettivo di indebitamento netto al 2,4 per cento, superiore di 6 decimi di punto al valore stimato per il 2018. Tale valore consentirà, tra l'altro, la disattivazione dell'aumento dell'IVA per il 2019 previsto dalla legislazione vigente.
  Per gli anni 2020-2021 l'obiettivo di deficit è pari, rispettivamente, al 2,1 e all'1,8 per cento del PIL. All'interno di tali obiettivi troverà spazio, anche qui, la riduzione degli aumenti dell'IVA previsti a legislazione vigente, rispettivamente per 5,5 miliardi e 4 miliardi di euro nei due anni 2020-2021. In termini strutturali, l'indebitamento netto si collocherà all'1,7 per cento nel 2019. Ciò corrisponde a un peggioramento del saldo strutturale di 0,8 punti percentuali nel 2019. Il saldo resterà stabile su questo livello sia nel 2020 sia nel 2021.
  In questo scenario, il sostanziale raggiungimento dell'MTO, ovvero il pareggio di bilancio in termini strutturali, sarà raggiunto gradualmente negli anni a seguire. Tuttavia, una volta raggiunti i livelli di PIL e di disoccupazione prossimi ai livelli pre-crisi del 2008, che ci aspettiamo nel corso del triennio di previsione, la ripresa del processo di aggiustamento strutturale potrà essere anticipata.
  Per quanto riguarda la riduzione del debito pubblico, lo scenario programmatico prospettato dalla Nota di aggiornamento, pur con previsioni di crescita prudenziali e di rendimenti sui titoli di Stato elevati, traccia in ogni caso un percorso di Pag. 6significativa riduzione del rapporto debito/PIL, che dal 131,2 per cento del 2017 scenderà al 126,7 nel 2021, risultato che intendo sottolineare, perché sarebbe la prima volta. Una riduzione ancor più accentuata sarà possibile, ovviamente, se si realizzerà la maggior crescita a cui il Governo punta come obiettivo prioritario.
  In altri termini, non si intende far seguire una politica favorevole alla crescita nel 2019 da una brusca frenata negli anni seguenti. Il sentiero di miglioramento del saldo strutturale riprenderà, come già detto, quando il PIL e l'occupazione torneranno ai livelli antecedenti la crisi.
  È noto che la Commissione europea, prendendo atto delle intenzioni del Governo, ha espresso preoccupazione circa la modifica del percorso programmatico di finanza pubblica. Si apre adesso la fase di confronto costruttivo con la Commissione, che potrà valutare le fondate ragioni della strategia di crescita del Governo delineata dalla manovra.
  In questo confronto costruttivo vorrei dichiarare il mio accordo con quanto detto dal Presidente della Camera circa la necessità di abbassare i toni. Ricordo anche l'intenzione del Governo di chiedere alla Commissione europea il riconoscimento della flessibilità di bilancio per un piano straordinario ed eccezionale di messa in sicurezza e manutenzione della rete infrastrutturale italiana, che, come il crollo del ponte Morandi a Genova ha tragicamente dimostrato, deve essere affrontato con urgenza.
  La strategia del Governo per affrontare le questioni economiche e sociali ereditate dalla lunga recessione poggia su quattro pilastri: investimenti pubblici, fisco, rete di protezione sociale, vale a dire lotta alla povertà, ed infine pensioni.
  Obiettivo del Governo è riportare gli investimenti pubblici al livello pre-crisi del 3 per cento del PIL, non solo attraverso un aumento delle risorse, ma mettendo in campo anche iniziative tese ad aumentare l'efficienza della spesa pubblica, nonché a promuovere le competenze tecniche della pubblica amministrazione. L'aumento degli investimenti pubblici come leva endogena di crescita si sostanzierà nel dedicare più risorse agli investimenti pubblici: 15 miliardi di euro per i prossimi tre anni, che si sommano ai quasi 6 miliardi di maggiori stanziamenti già previsti a legislazione vigente. Non solo: ci preoccuperemo affinché queste risorse siano spese efficacemente.
  Questa attività avrà anche un impatto positivo sugli investimenti privati, che beneficeranno anche di incentivi dedicati. Come è noto, gli investimenti pubblici, determinando il livello e la qualità delle infrastrutture materiali e immateriali del Paese, sono un fattore cruciale del rendimento anche del capitale privato e, quindi, un elemento determinante per gli investimenti privati, il grado di competitività del sistema produttivo italiano e l'attrattività degli investimenti esteri.
  L'importanza dell'azione sugli investimenti è denunciata dal livello della spesa registrato nel 2017 e dal confronto con i valori di dieci anni fa. La spesa nel 2017 ha segnato un nuovo calo, attestandosi a circa 33,8 miliardi di euro, inferiore di oltre 20 miliardi al dato del 2009. Nel 2018 gli investimenti pubblici sono stimati ridursi ulteriormente a circa 33 miliardi di euro.
  Nella consapevolezza che non è sufficiente stanziare i fondi, il Governo intende adottare una serie di azioni ad ampio raggio, che coinvolgano tutti i livelli delle amministrazioni pubbliche e le società partecipate o titolari di concessioni pubbliche, attraverso un'attività diffusa di supporto alla gestione dei progetti e di semplificazione amministrativa e giuridica.
  In particolare, è necessario favorire la collaborazione con i privati, semplificando l'interazione tra le amministrazioni e il Codice degli appalti. È inoltre strategico potenziare le autonomie locali affinché diventino il motore dello sviluppo territoriale.
  A tal fine, riprendendo anche le esperienze di altri Paesi che hanno affrontato con successo problematiche di investimenti pubblici e di gap infrastrutturali simili a quelli italiani, si creerà un centro di competenze operativo a livello nazionale volto ad offrire, sia alle amministrazioni centrali sia a quelle locali, servizi e assistenza tecnica, Pag. 7 in modo da assicurare nell'immediato elevati standard di qualità per la preparazione, la progettazione, la valutazione di progetti e di programmi di investimento da parte delle amministrazioni pubbliche centrali e periferiche.
  Questa azione permetterà anche di creare nel tempo un insieme di capacità professionali interne alla pubblica amministrazione nell'intera gamma di competenze, tipologie e dimensioni della progettazione tecnica ed economica degli investimenti pubblici.
  Lo sforzo di rilancio degli investimenti e di sviluppo delle infrastrutture dovrà coinvolgere non solo tutti i livelli delle amministrazioni pubbliche, ma, come ho già richiamato, anche le società partecipate o titolari di concessioni pubbliche che hanno, in numerosi casi, beneficiato di un regime di bassi canoni ed elevate tariffe.
  Gli opportuni cambiamenti organizzativi e regolatori saranno prontamente introdotti per rimuovere gli ostacoli che hanno frenato le opere pubbliche, assicurando al contempo congrui livelli di investimento da parte delle società concessionarie, nonché un riequilibrio del regime dei canoni.
  Tutte queste azioni consentiranno di rendere operative le ingenti risorse che il Governo destinerà nei prossimi tre anni agli investimenti pubblici.
  Per quanto riguarda il fisco, la riduzione del carico fiscale verrà realizzata fin dal 2019, evitando l'aumento delle imposte indirette per circa 12,5 miliardi di euro. Sul fronte delle imposte dirette si interverrà con una riduzione del prelievo a favore dei lavoratori autonomi e delle piccole e medie imprese, oltre che delle società che reinvestiranno gli utili in macchinari e occupazione. Si opererà in direzione della semplificazione del sistema di tassazione diretta e indiretta, riducendo allo stesso tempo la pressione fiscale, come più volte raccomandato anche dalle istituzioni internazionali.
  Per ciò che riguarda il contrasto alla povertà, il rafforzamento della protezione sociale e le politiche attive del lavoro, nel 2019 verrà introdotto il reddito di cittadinanza e si ristruttureranno e potenzieranno i centri per l'impiego, uno strumento per sostenere le categorie vulnerabili che hanno sofferto la crisi e più in generale sono interessate dalla transizione tecnologica che le nostre economie stanno affrontando.
  Il disegno della misura deve partire dalle istanze sociali e tener conto degli effetti sul mercato del lavoro e del benessere sociale e personale dei cittadini. In questo senso, il reddito di cittadinanza è un investimento di cittadinanza: un investimento della società sulle sue componenti più vulnerabili per far sì che queste tornino a partecipare in modo attivo nel mercato del lavoro e nella società.
  Lo strumento del reddito di cittadinanza ha il duplice scopo di garantire la necessaria mobilità del lavoro e un reddito per coloro che nelle complicate fasi di transizione, determinate dai processi di innovazione, si trovano in difficoltà.
  Tale misura eliminerà al tempo stesso sacche di povertà non accettabili nel settimo Paese più industrializzato del mondo. Intervenire con decisione su questo piano è la condizione necessaria per evitare il rafforzarsi di sentimenti contrari al libero commercio e al mantenimento dei mercati competitivi e l'insorgere di sentimenti contrari all'Europa. Non si può stare nei mercati globali senza un rafforzamento delle reti di protezione per i perdenti e senza la capacità di governare le transizioni anche dal punto di vista sociale.
  Il trade-off tra stabilità finanziaria e stabilità sociale è quindi mal posto, nella misura in cui mette in contrasto istanze legittime e che si autosostengono. Sarebbe un trade-off negativo sia per l'Italia che per l'Unione europea nel suo insieme.
  Anche il quarto pilastro della nostra strategia, quello concernente le pensioni, va nella stessa direzione di governo delle transizioni. La temporanea ridefinizione delle condizioni di pensionamento, la creazione di finestre specifiche per consentire alle imprese di assumere nuove persone con nuovi profili professionali deve essere intesa come un mezzo per affrontare le sfide dell'economia di oggi e di domani, la cui Pag. 8dipendenza dalle evoluzioni tecnologiche è estremamente elevata.
  È, infatti, necessario un intervento sul sistema pensionistico allo scopo di promuovere il rinnovo delle competenze professionali utili a supportare il processo di innovazione. L'attuale regime, infatti, pur garantendo la stabilità finanziaria del sistema previdenziale nel lungo periodo, nel breve e medio periodo frena il fisiologico turnover delle risorse umane impiegate dalle imprese.
  Per consentire al mercato del lavoro di stare al passo con i progressi tecnologici è oggi necessario accelerare, invece di ritardare, questo processo e dare spazio alle nuove generazioni interrompendo il paradosso per il quale giovani, anche con elevata istruzione, rimangono fuori dal mondo produttivo, mentre le generazioni più anziane non possono uscirne.
  Per concludere sul profilo di questa strategia, dobbiamo dire che scommettere sui suoi cittadini non è solo un modo nuovo, ma anche un modo coraggioso per affrontare la situazione attuale in Italia. Coraggioso, però, non significa impavido, o, peggio, irresponsabile. Il nostro obiettivo è quello di avere stabilità finanziaria e sociale e queste due forme di stabilità sono fortemente e inevitabilmente collegate. Quello che il Governo sta dicendo con questa strategia è che la stabilità finanziaria non può essere raggiunta senza la stabilità sociale. È il momento di prendere decisioni coraggiose, superando gli errori precedenti.
  Il cambiamento di strategia di politica economica a sostegno della crescita richiede, infatti, di creare le condizioni favorevoli a un rapido processo di ristrutturazione e ammodernamento della nostra struttura produttiva. Questo appare ancora più necessario a fronte dell'esigenza di porsi al passo con l'innovazione tecnologica e i mutamenti imposti dall'economia digitale e dalle nuove dimensioni della competizione globale.
  Il Governo si impegnerà, inoltre, a promuovere la liberalizzazione nei settori ancora caratterizzati da rendite monopolistiche e da ostacoli alla concorrenza, con risultati benefici sul fronte dei prezzi, dell'efficienza e degli incentivi all'innovazione.
  Settori strategici per la crescita su cui il Governo punterà anche per realizzare opportune sinergie pubblico-privato sono quelli della ricerca scientifica e tecnologica, della formazione di capitale umano, dell'innovazione e delle infrastrutture, in quanto portatori di effetti rilevanti e duraturi sulla produzione e la capacità del Paese di creare valore.
  Mi accingo a concludere la mia illustrazione dimostrando come la composizione di questa manovra si traduca negli obiettivi di crescita del PIL indicati nel quadro programmatico: l'1,5 per cento per il 2019, l'1,6 per il 2020 e l'1,4 per il 2021.
  Premetto che il quadro programmatico è stato costruito sulla base di simulazioni effettuate con i modelli econometrici del Ministero dell'economia e delle finanze. Partendo dallo scenario tendenziale, si sono calcolati gli impatti sul PIL delle misure contenute in ciascun ambito della manovra di finanza pubblica 2019-2021. Le relative stime sono riportate nella tabella allegata al testo della presente audizione.
  Nei giorni scorsi diversi commentatori hanno sostenuto come le previsioni programmatiche del Governo siano eccessivamente ottimistiche, in termini sia di crescita, sia di saldi di bilancio. Vorrei, a questo proposito, sottolineare che le stime di finanza pubblica programmatiche sono ispirate a un approccio prudenziale: infatti, esse non includono gli effetti di retroazione della maggiore crescita del PIL programmatico sui saldi di finanza pubblica.
  Si sono, inoltre, utilizzati livelli di rendimento sui titoli di Stato calcolati sulla media di dati di mercato che comprendono giornate in cui si sono verificate forti tensioni sullo spread. La previsione si basa, quindi, su ipotesi caute, se non addirittura pessimistiche, circa i livelli dei rendimenti sui titoli di Stato e dei tassi d'interesse sui prestiti bancari.
  Ciò detto, ritengo che le previsioni economiche programmatiche formulate nella Nota di aggiornamento del DEF possano essere ampiamente oltrepassate, per almeno due motivi. Pag. 9
  In primo luogo, le azioni che il Governo ha già intrapreso per rimuovere gli ostacoli agli investimenti cominceranno a dispiegare i loro effetti sul PIL già nel 2019. Per esempio, sono state recentemente approvate le prime misure per consentire l'utilizzo degli avanzi da parte delle amministrazioni territoriali.
  Inoltre, una rilevazione interna presso un campione rappresentativo di grandi aziende delle infrastrutture e dell'energia indica che l'attuazione delle misure di sostegno agli investimenti che abbiamo in programma porterebbe ad aumentare il loro livello di investimenti di oltre il 10 per cento.
  In secondo luogo, i recenti livelli dei rendimenti sui titoli di Stato su cui ci si è basati per formulare le previsioni programmatiche di crescita e di finanza pubblica non riflettono i dati fondamentali del Paese: surplus di bilancio primario della pubblica amministrazione da oltre vent'anni, surplus di partite correnti della bilancia dei pagamenti, basso debito privato, solido sistema bancario.
  Confidiamo che, una volta che il programma di politica economica del Governo sarà approvato dal Parlamento, si dissolverà l'incertezza che ha gravato sul mercato dei titoli di Stato negli ultimi mesi. Con livelli dei rendimenti più allineati ai dati fondamentali, le proiezioni di crescita economica e di finanza pubblica potranno migliorare significativamente.
  Concludo ribadendo che il programma descritto nella Nota di aggiornamento del DEF mira a rilanciare l'economia italiana, a rispondere all'aumento della povertà registrato dalla crisi in poi, soprattutto tra i giovani e le famiglie numerose e nelle regioni meridionali del Paese, e a consentire, come sopra ricordato, una maggiore flessibilità nei pensionamenti anticipati, creando maggiore spazio per l'occupazione giovanile.
  Il programma intende conseguire una significativa riduzione del rapporto debito/PIL nel prossimo triennio. Ciò consentirà di combinare in una strategia coerente le istanze di cambiamento e le aspettative degli italiani con i vincoli economici e finanziari.
  Confido che la presente Nota di aggiornamento ponga le basi per una proficua sessione di bilancio e, cosa più importante, per una vera ripresa dell'Italia nei prossimi anni. Grazie (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Lega-Salvini Premier).

  PRESIDENTE. Ringrazio veramente il Ministro per l'esposizione.

  FRANCESCO BOCCIA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  FRANCESCO BOCCIA. Presidente Borghi, mi scusi, intervengo sull'ordine dei lavori. Lo devo a lei, a me, alla nostra storia, alla storia di questa Commissione e lo dico ai colleghi: non ho mai sentito un applauso per una relazione. Lo dico perché siamo dentro istituzioni che dovremmo tutelare e difendere tutti; non siamo in Aula, e glielo voglio dire, presidente Borghi, perché le affido la cura di questa Commissione e di questa istituzione.
  Non è vietato, ma non è normale che questo avvenga, altrimenti trasformiamo un luogo in cui si lavora in maniche di camicia, e si lavora in maniche di camicia nel merito dei provvedimenti, in un luogo in cui si fa altro. Lo chiedo a lei e lo chiedo al presidente Pesco, che in questa Commissione ha passato con noi nella scorsa legislatura giornate e nottate, e lo dico soprattutto per il futuro.
  Ovviamente la mia non era una critica implicita al Ministro Tria, giacché il confronto avverrà dopo, ma lo dico semplicemente per tutelare la credibilità di questa Commissione. Grazie.

  PRESIDENTE. Onorevole Boccia, non l'ha affidata lei a me la Commissione, l'hanno affidata gli onorevoli deputati che mi hanno votato. D'altra parte, come può immaginare, io non posso bloccare preventivamente i movimenti degli arti degli onorevoli deputati, ma effettivamente non è il Pag. 10caso di applaudire, perché siamo in una sessione di lavoro.

  LUIGI MARATTIN. Applaudiremo l'Ufficio parlamentare di bilancio questa sera.

  PRESIDENTE. Va bene, applaudirete l'Ufficio parlamentare di bilancio, comunque ricordo che è una sessione di lavoro e quindi, non essendo in Aula, non è opportuno applaudire. Detto questo, l'applauso è terminato nel momento stesso in cui io mi apprestavo a dare la parola al collega.
  Do ora la parola ai colleghi che desiderano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  RAPHAEL RADUZZI. Ringrazio il Ministro per la sua relazione, sottoponendogli una domanda molto rapida. Notavo in una tabella della Nota di aggiornamento che il debito pubblico, al netto dei sostegni, sarebbe di oltre 3 punti percentuali inferiore al dato attuale, corrispondenti a circa 60 miliardi di euro che l'Italia ha versato al Fondo «salva-Stati» o come prestiti bilaterali negli ultimi anni.
  Alla luce di questo dato volevo chiederle se possa fornirci delle indicazioni in merito alla natura di questi prestiti e se voglia dare un commento in merito alla conseguenza che tali prestiti hanno avuto sul rapporto debito/PIL.

  PIETRO CARLO PADOAN. Signor presidente, ringrazio il Ministro. Nello spirito dell'invito del Ministro ad abbassare i toni, ripeto che secondo me andava ricordato che l'applauso, per quanto non ne giudichi il contenuto o la direzione, non risulta essere nella tradizione di questa Commissione.
  Io ho delle domande generali e cercherò di essere rapidissimo, perché la sensazione che si ha ascoltando il Ministro e leggendo la Nota di aggiornamento del DEF è quella di una situazione di estrema incertezza e confusione, e quindi di rischio.
  Provo ad elencare alcuni degli elementi di confusione che non sono stati sciolti dalle parole del Ministro. Innanzitutto, segnalo la questione della crescita più bassa. Sappiamo tutti del nuovo ambiente internazionale e il Fondo monetario l'ha ribadito ieri. Questo va bene, ma c'è un elemento ulteriore, che è l'incertezza domestica, che si collega al percorso dei tassi di interesse sui titoli di Stato che si è alzato in modo non episodico, bensì irreversibile, come sembra indicare il mercato negli ultimi mesi, e che quindi, se riflette i fondamentali, ci dice che i fondamentali del Paese sono peggiorati.
  Ho seri dubbi che questa risalita permanente di molte decine di punti base possa essere ripresa semplicemente ascoltando le misure di politiche economiche, e adesso ne dirò il perché. Quindi c'è un primo effetto che non è affatto convincente e c'è un effetto di retroazione dei tassi di interesse sull'attività economica che deve essere preso in considerazione, così come si suggerisce da parte del Ministro di prendere in considerazione gli effetti di secondo ordine sulla crescita delle misure espansive.
  In secondo luogo, il Ministro auspica di spostare l'obiettivo dal numeratore al denominatore, prestando cioè più attenzione alla crescita e meno attenzione all'andamento delle variabili fiscali. Se guardiamo alla storia del debito pubblico italiano in questi anni, vediamo che nei pochi momenti della sua storia in cui il debito è sceso si registravano sia il contributo della crescita, sia il contributo del surplus primario. Non dimentichiamoci che un Paese come il nostro non può assolutamente permettersi un surplus primario che si indebolisce, perché questa è la prima grandezza a cui guardano i mercati.
  Il saldo strutturale viene esplicitamente fatto peggiorare e si dice che non si muoverà – ma questo lo vedremo – nei prossimi due anni. Si dice anche che l'aggiustamento strutturale sulla base di accordi con la Commissione europea – ed anche questo lo vedremo – sarà ripreso quando il reddito e il PIL saranno ritornati su livelli accettabili. Questo è un elemento di estrema incertezza, di estrema confusione, che si aggiunge al problema delle aspettative cui prima accennavo. Pag. 11
  Alla relazione che ci è stata presentata oggi è allegata una tabella che in qualche modo – non ho fatto i conti e me ne scuso – reca elementi di dettaglio rispetto alla tavola II.3 della Nota di aggiornamento del DEF, in cui ricordo che c'è una valutazione per il 2019 delle misure espansive per la crescita e l'innovazione pari a ben 0,7 punti percentuali. Questo è un numero gigantesco se si considera l'impatto su – immagino – il PIL potenziale, visto che stiamo parlando di innovazione e misure espansive.
  Quello che però stupisce di più è come questo avvenga subito nel primo anno e poi vada a scendere. Sappiamo tutti quanti che il problema è una produttività che non cresce, anzi si indebolisce: in Italia è stato così per decenni, è un problema strutturale che va affrontato e francamente sono sorpreso da questi numeri che, per quanto si voglia essere ottimisti, sono decisamente molto elevati.
  Infine, il Ministro ci ha elencato come i capisaldi della strategia – investimenti, fisco, reddito di cittadinanza e pensioni – contribuiranno alla crescita. Sugli investimenti dico subito che sono molto d'accordo sull'enfasi posta sulle procedure e quindi auspico per il bene del Paese che si possano in questo campo realizzare dei passi in avanti. Sul fisco francamente devo ancora capire come le misure, che tra l'altro prevedono forme non ancora chiare ma evidenti di condono fiscale, possano avere un impatto determinante sulla crescita di lungo termine.
  Il reddito di cittadinanza così come è stato descritto allude semplicemente alla sostituzione di un trade-off all'altro, ma nulla ci è dato di sapere sul sistema di meccanismi che consentirà l'utilizzo delle risorse, degli incentivi e quant'altro, quindi per adesso non vedo come il reddito di cittadinanza possa essere considerato uno strumento di crescita.
  Infine, veniamo agli interventi sulle pensioni. Francamente dire che lo strumento di creazione dell'occupazione da parte del Governo è la riforma pensionistica fa sorridere: infatti, non è assolutamente vero che, se si accelera l'età pensionabile e quindi si permette di andare in pensione prima, aumenta l'occupazione dei giovani che entrano nel mercato del lavoro. Casomai, l'evidenza indica il contrario: laddove l'età pensionabile è più bassa, la disoccupazione giovanile è più elevata.
  Francamente, se l'occupazione deve essere al centro delle preoccupazioni di un'azione di governo – e io sarei d'accordo – parliamo di cose serie.

  EMANUELE CESTARI. Buongiorno, Ministro. Vorrei chiederle quali sarebbero stati gli aumenti IVA previsti se non vi fosse stato l'aumento maggiore del deficit.

  RENATO BRUNETTA. Signor Ministro, mentre lei leggeva la sua relazione i mercati continuavano – anzi, continuano – a dare un segno drammatico sulla situazione italiana. Tutto il sistema bancario sta scontando una grande incertezza e una grande tensione. Il BTP decennale sta veleggiando verso il 4 per cento di rendimento. Questo è una sorta di valore simbolico, cui corrisponde la necessità per tutto il sistema bancario di ricapitalizzare.
  Lei sa cosa vuol dire questo? Vuol dire che il sistema bancario non potrà più svolgere la sua funzione di offerta di liquidità, perché dovrà in primo luogo pensare a se stesso e ricapitalizzare, togliendo così liquidità al sistema. Questo inficia totalmente, dalla base, qualsiasi ragionamento sulla crescita, perché, se il sistema bancario riduce la sua offerta di liquidità, ne soffriranno l'intero sistema produttivo italiano e l'intero sistema dei consumi.
  Signor Ministro, la situazione è drammatica, ma ciò non traspare dalla sua relazione, che è totalmente diversa dalle sue affermazioni prima di quella fatidica riunione del Consiglio dei ministri che potremmo definire «del balcone».
  I suoi orientamenti per la sequenza di deficit e per le strategie di politica economica, secondo le sue indicazioni, apparivano totalmente diversi da quelli che ci ha illustrato ed erano tali da rassicurare i mercati. Con quella decisione del Consiglio dei ministri è cambiato completamente lo scenario e i risultati li stiamo vedendo giorno dopo giorno, ora dopo ora. Pag. 12
  Le chiedo, signor Ministro, come possa pensare seriamente di inanellare una sequenza temporale di tassi di crescita come quelli da lei indicati senza avere un sussulto di coerenza e di responsabilità rispetto a quello che sta succedendo sui mercati e al nostro sistema bancario. Non solo i tassi di crescita che sono stati indicati anche ieri dal Fondo monetario internazionale sono molto lontani da quelli indicati da lei, ma quei livelli non saranno neanche raggiunti, perché, con il collasso del sistema bancario, collassa l'intera economia.
  Incertezza e mancanza di credibilità sono i mali di questo nostro Paese, che vengono certamente da lontano, ma che questo Governo ha accentuato con la sua azione. Non vorrei che lei, signor Ministro, fosse la foglia di fico per coprire una strategia di politica economica disastrosa per il nostro Paese solo a fini di acquisizione nel breve periodo del consenso, come stanno a indicare tutti gli osservatori nazionali e internazionali.
  Vale la pena, signor Ministro, che per vincere le elezioni europee questa compagine di Governo distrugga l'economia del nostro Paese? Ed è accettabile che questo avvenga con la sua firma, quando abbiamo saputo da lei, prima di quella fatidica riunione del Consiglio dei ministri, che lei non era affatto d'accordo su questa linea?
  Signor Ministro, contano i comportamenti e conta la credibilità. Che dialogo ci può essere con la Commissione europea se non c'è un impegno preciso sul pareggio di bilancio, ma questo piuttosto viene lasciato indeterminato? Se la sequenza dei deficit, alla luce di quello che sta succedendo alla nostra congiuntura e ai nostri mercati, è una sequenza al rialzo e non al ribasso?
  Io credo che dobbiamo tutti farci seriamente carico di un grande senso di responsabilità. Le ore che viviamo sono drammatiche e i giorni che abbiamo di fronte saranno sempre più drammatici, ivi compresa la votazione che avrà luogo giovedì prossimo in questo ramo del Parlamento non solo sulla risoluzione con cui si approva la Nota di aggiornamento del DEF 2018, ma ancor prima sulla risoluzione, da deliberare a maggioranza assoluta dei componenti di quest'Assemblea, con la quale si approva la Relazione presentata ai sensi dell'articolo 6, comma 5, della legge n. 243 del 2012, annessa alla Nota medesima, che segnerà l'irreversibilità delle decisioni prese.
  Se ci arriveremo, come purtroppo sembra, con i mercati assolutamente in fibrillazione, sarà quello il segno che il Governo non intende fare marcia indietro e che, a quel punto, non ci sarà più nulla da fare.
  Lei è d'accordo sul «non ci sarà più nulla da fare»? E ci porterà alla votazione di giovedì prossimo?

  GUIDO CROSETTO. Signor Ministro, io non mi sono mai posto in maniera pregiudiziale nei confronti degli atti di questo Governo, ma ora siamo di fronte a un documento fondamentale, non tanto per la sorte dei partiti che rappresentano la maggioranza o l'opposizione, quanto per quella del Paese.
  Non mi sono mai formalizzato sul 2,4, 2,3 o 2,6 per cento, perché ho notato negli anni che lo spread e il pareggio di bilancio diventano rilevanti quando si è all'opposizione, mentre quando si governa si tende sempre ad aumentare lo spread e a contrattare con l'Europa margini di manovra e ci si rende conto che quello che era possibile quando si era all'opposizione diventa quasi impossibile quando si è in maggioranza.
  Siccome non mi piace giocare a seconda della maglietta che indosso, la penso sempre allo stesso modo, così come ho un mio giudizio su come aumenta lo spread, avendolo patito sulla mia pelle, come il collega Brunetta, nel 2008, e avendo visto cosa è successo e poi perché è calato rispetto a quei dati di bilancio.
  Ciò detto, come il collega Brunetta, sono preoccupato di quello che sta accadendo per gli impatti che avrà su di me, sulla mia famiglia, su questo Paese. Allora cerco di capire perché alcune persone, non strumentalmente, sono spaventate da questa Nota di aggiornamento del DEF e da quello che essa indica.
  Voi dite: aumentiamo la spesa e ciò farà crescere il PIL molto più di quanto avevamo calcolato. Come lo farà crescere? Pag. 13Attraverso il reddito di cittadinanza. A tale proposito, si pone però un problema tutt'altro che irrilevante circa la tempistica di attuazione. In primo luogo, infatti, occorre approvare la legge, perché ho notato che il reddito di cittadinanza non sarà contenuto nella manovra ma in un collegato, il che significa in un disegno di legge che sarà presentato alle Camere a gennaio e con un iter normale sarà approvato, nella migliore delle ipotesi, a fine marzo.
  Una volta approvato il disegno di legge sul reddito di cittadinanza, si sistemeranno da marzo – in un mese, un mese e mezzo, due mesi? – tutti i centri per l'impiego italiani. Io sono lì ad aspettare. A meno che non si utilizzi il napalm, sarà difficile trasformare i centri per l'impiego italiani in due mesi, ma comunque ammettiamo pure che a maggio saranno sistemati. Da maggio in poi, saranno verificate 6 milioni di domande e saranno erogati 780 euro al mese a 6 milioni di persone. Perché il reddito di cittadinanza abbia un impatto sul PIL, deve essere erogato, e per essere erogato bisogna che questi passaggi siano fatti.
  Se questi passaggi, per assurdo, fossero fatti a luglio, avremmo forse qualche effetto del reddito di cittadinanza dal mese di agosto, quindi l'impatto del reddito di cittadinanza, che è la prima manovra per impatto economico contenuta nella vostra previsione, sarà praticamente nullo sul PIL del prossimo anno, mentre secondo voi avrà un impatto fortissimo sulla crescita del PIL, che è quello che ci aiuta ad abbassare, come diceva lei, il denominatore.
  L'altra questione riguarda gli investimenti pubblici. La grande rivoluzione degli investimenti pubblici equivale allo 0,2 per cento. Nel senso che, rispetto agli investimenti pubblici che il collega Padoan aveva programmato, questa manovra li aumenta dello 0,2 per cento, ma rimangono tutte le critiche che io ho sentito fare da questa maggioranza agli investimenti del collega Padoan: in pratica, noi stanziamo risorse per investimenti che poi non diventano investimenti. E sappiamo bene tutti perché non diventano investimenti, se solo si pone mente al fatto che per fare un appalto in Italia ci vogliono anni.
  Questa situazione come cambierà? Quali sono gli atti attraverso i quali una cifra stanziata da questo Governo dovrebbe avere effetti diversi da quelle stanziate da tutti i Governi precedenti in termini di velocità di impatto sull'economia reale e sul PIL?
  Ho letto sui social – questo non era contenuto nella manovra – che si sbloccheranno gli avanzi di amministrazione. Ben venga, ma non trovo la norma. Voglio una norma che li sblocchi e voglio una quantificazione, perché ho sentito dichiarazioni solo sui social. Ben venga, io sono convinto che probabilmente le piccole opere sono l'unico modo per avere un impatto immediato sul PIL, perché gli unici veloci sono i comuni – più piccoli sono e più sono veloci – con piccole opere. Non l'ho letto però e, se non lo leggo io, nessuno può pensare che ci sia un impatto sul PIL che possa far sì che le vostre cifre siano vere.
  Inoltre, siccome non vivo di quello che leggo nella Nota di aggiornamento del DEF o negli atti parlamentari, ma vivo nel mondo, mi accorgo degli impatti reali che questo Governo sta in qualche modo determinando. Mi accorgo cioè che il Ministero dello sviluppo economico ha bloccato qualunque tipo di investimento programmato nelle industrie ad alta tecnologia, anche se sono di proprietà dello Stato, pensando forse che questo possa servire per accantonare i soldi per qualcosa. Quando io sono abituato ad avere investimenti in alta tecnologia in aziende italiane che hanno un moltiplicatore pari a tre, se io non investo un miliardo, l'anno dopo non mi manca un miliardo di PIL: se il moltiplicatore è pari a tre, me ne mancano quattro. Se io blocco quegli investimenti, il prossimo anno me ne mancano quattro.
  So che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha bloccato qualunque realizzazione di centrali che non siano solari, dal momento che la linea dominante è quella del solare. È così, basta chiedere agli operatori del settore. E mi riferisco ad investimenti realizzati con risorse finanziarie dei privati. Io capisco che noi qui dobbiamo portare linee politiche, ma se noi portiamo qui pregiudizi e se l'attività di Governo si svolge attraverso Pag. 14un'idea di mondo che è diverso rispetto a quello in cui viviamo, difficilmente gli impatti sul PIL dell'attività del Governo potranno essere positivi.
  Inoltre, Ministro, lei ha affermato che si è tenuto conto anche dei possibili effetti negativi dovuti al rialzo dei tassi d'interesse, mentre io leggevo prima una tabella – però magari l'ho letta male io – in cui, nel quadro delle analisi che il Ministero fa degli effetti sul PIL derivanti dagli scenari di rischio futuri, voi dite che la crisi del commercio mondiale impatterà in negativo per uno 0,2 per cento, che il tasso di cambio nominale impatterà in negativo per un altro 0,2 per cento e che il prezzo del petrolio impatterà in negativo per uno 0,2 per cento ulteriore, ma poi trovo che ipotesi di migliori condizioni finanziarie impatteranno per uno 0,2 per cento in positivo.
  Io trovo veramente pericolosa questa previsione perché, stante quello che diceva il collega Brunetta e quello che stiamo vedendo accadere sui mercati finanziari, difficilmente noi potremo godere complessivamente, sia come sistema Paese sia come titoli di Stato, di un impatto positivo sul nostro sistema finanziario nel prossimo anno.
  Perché dico questo? Non per criticare, per invitarla alle dimissioni o per prendere atto della differenza tra ciò che diceva prima e ciò che lei ora sostiene. Lo dico semplicemente perché questa manovra dà l'idea di essere un collage, che non sta insieme, di idee diverse su come questo Paese può uscire dalla crisi.
  Io condivido la premessa da lei svolta. Voi avete detto: «Noi usciamo se iniziamo a crescere come gli altri Paesi europei». Tuttavia, non vedo – e vorrei che lei me li ribadisse – quali sono gli elementi che ci consentiranno di crescere più di quanto siamo cresciuti negli ultimi anni e quali sono gli elementi che troveremo magari nella manovra – e che qui ancora non ci sono – e che segnerebbero una discontinuità rispetto a ciò che succedeva fino all'anno scorso, ad esempio nel settore degli investimenti, dal momento che si vedrà l'impatto degli investimenti.

  STEFANO FASSINA. Signor Ministro, vorrei tornare su alcune valutazioni che lei ha fatto nella parte iniziale del suo intervento. Credo sia difficile fare una valutazione seria della manovra, che viene prospettata come se fossimo all'anno zero e avessimo davanti un quadro in cui le opzioni vengono valutate solo sulla base di astratte teorie.
  Come lei ha ricordato, siamo a valle di una lunga fase in cui è stato evidente che le raccomandazioni e l'adozione di manovre restrittive di finanza pubblica non hanno funzionato. Non hanno funzionato non solo in Italia, ma in generale, per quanto non c'è ora tempo per entrare maggiormente nel merito.
  Vorrei invitare tutti i colleghi a leggere l'intervento e le slide che ha presentato qualche giorno fa a Londra l'ex vicepresidente della Banca centrale europea, Vítor Constâncio, che non è un pericoloso keynesiano, a proposito degli errori commessi in questi anni nelle raccomandazioni adottate dalla Commissione europea. Credo sia un osservatore attendibile.
  Qui, invece, sento continuare a insistere su interventi restrittivi, come se avessero prodotto risultati, come se il debito pubblico in questi vent'anni si fosse ridotto, come se le condizioni dell'occupazione fossero migliorate in termini qualitativi, al di là degli effetti quantitativi che conosciamo.
  A mio avviso – ed è il punto che ho sostenuto anche nella scorsa legislatura – è necessaria una radicale correzione di rotta di politica economica, non perché siamo indifferenti al livello del debito pubblico, ma perché vogliamo ridurre il debito pubblico e l'unica strada per farlo è quella di intervenire sul denominatore.
  Vorrei invitare i colleghi a vedere gli effetti della manovra combinata dell'ultimo Governo Berlusconi nel 2011 e poi del Governo Monti: essi ammontano a circa 60 miliardi di euro in termini di correzione. Il debito pubblico nel biennio successivo è aumentato di 12 punti percentuali. Cito i dati. Credo che questo background di effetti reali di politiche sbagliate vada tenuto in considerazione nel momento in cui si valuta Pag. 15 la correzione di rotta contenuta nella proposta di manovra che è stata illustrata.
  Vorrei anche invitare i colleghi a considerare quale sarebbe stato il risultato, sulla base del track record che ho ricordato, se il Governo avesse tentato di perseguire gli obiettivi di finanza pubblica indicati nel tendenziale e coerenti col fiscal compact.
  In una fase di decelerazione della congiuntura, che non è dovuta a questo Governo, perché, come sapete, era già prevista nei mesi addietro, fare quella manovra così pesantemente restrittiva, coerente con gli obiettivi del fiscal compact e prevista nel tendenziale, avrebbe portato a un ulteriore aumento del debito pubblico.
  Questa non è ideologia, bensì una banale previsione sulla base di fatti che sono avvenuti. Io considero la revisione al rialzo dell'obiettivo di deficit condizione necessaria per ridurre il debito pubblico, oltre che per lenire la sofferenza sociale, che non è una variabile irrilevante per chi fa politica economica e per chi governa un Paese. È condizione necessaria, ma evidentemente non sufficiente, perché, affinché la condizione necessaria produca i risultati previsti, c'è bisogno di un'altra serie di condizioni. Costituisce, però, senz'altro una condizione necessaria.
  Vorrei invitare tutti a guardare agli effetti dei moltiplicatori, a quali sono i moltiplicatori. I moltiplicatori sono quelli coerenti con il modello del DEF e non sono particolarmente ambiziosi.
  Vi è poi la questione dello spread, che ovviamente rileva, ma guardiamo ora alle variabili di finanza pubblica e ai loro effetti sull'economia reale. Se tu lasci nell'economia 22-23 miliardi in più nel 2019, è ragionevole aspettarsi che 10 di questi 22-23 miliardi diventino crescita effettiva; non è un estremismo keynesiano assumere che meno della metà delle maggiori risorse lasciate all'economia si trasformi in prodotto, dopodiché è evidente che dipende da tutta un'altra serie di questioni.
  Vorrei anche sottolineare a quelli che sbrigativamente, come ho sentito in queste settimane, considerano assistenzialistica tutta la spesa corrente, secondo un'equazione per cui la spesa corrente equivarrebbe all'assistenzialismo, che nutro tanti dubbi su quello che viene chiamato reddito di cittadinanza, e vedremo infatti come verrà definito quando ci sarà presentata la norma; ma se fai un intervento di spesa corrente che effettivamente finisce ai nuclei familiari più poveri, non stai facendo assistenzialismo, stai facendo un'operazione giusta in termini di politiche sociali ed utile in termini di aumento dei consumi.
  Non ho capito perché quando si danno 80 euro anche a nuclei familiari con redditi molto elevati, posto che l'ISTAT ci ha spiegato qual è stata la distribuzione di quegli 80 euro, si prevede un effetto significativo sui consumi, mentre quando si concentrano risorse sui nuclei che hanno la massima propensione al consumo, allora si fa assistenzialismo. Sono valutazioni che facevo negli anni scorsi in questa Commissione e che voglio in questa sede ripetere.
  A me preoccupano le scarse risorse aggiuntive destinate agli investimenti pubblici, perché tra le condizioni che consentono di far diventare quell'allentamento, di cui dicevo prima, necessario ma anche sufficiente a produrre effetti positivi vi è quella di concentrare le risorse sugli investimenti pubblici. C'è uno squilibrio tra la maggiore spesa corrente e le maggiori spese per investimenti, mentre a mio avviso questo rapporto andrebbe riequilibrato affinché ci siano quegli effetti positivi che sono stati ricordati, in particolare nel Mezzogiorno.
  La Nota di aggiornamento non presta infatti alcuna attenzione al Mezzogiorno, che viene richiamato solamente due volte, una sul turismo e una in riferimento ad un altro aspetto, mentre occorre prestare un'attenzione speciale al Mezzogiorno, prevedendo una concentrazione di quelle maggiori risorse destinate agli investimenti proprio in tale area. È vero che gli avanzi di amministrazione sono stati liberati grazie all'intervento sul Fondo per le periferie, ma ciò ha determinato una ricomposizione a favore del Centro-Nord e un decremento delle risorse finalizzate al Mezzogiorno.
  Questo intervento sbilanciato va riequilibrato: mi aspetto pertanto una programmazione di maggiori investimenti concentrata nel Mezzogiorno sia per quanto riguarda Pag. 16 gli investimenti pubblici, sia per quanto riguarda gli investimenti delle società a partecipazione pubblica. Ci vuole anche a tale riguardo un intervento che abbia questa differenziazione.
  Credo infine che nessuna persona di buonsenso si possa aspettare effetti significativi in termini di maggiore occupazione dall'intervento sui centri per l'impiego. L'occupazione infatti, in particolare quella nel Mezzogiorno, non è un problema di mismatching fra la domanda e l'offerta, dal momento che nel Mezzogiorno manca una domanda di lavoro, quindi o la domanda di lavoro la creano gli investimenti, in particolare quelli pubblici, oppure si può anche portare il centro per l'impiego di Amsterdam a Reggio Calabria, ma temo che i risultati incrementali sarebbero comunque piuttosto modesti. Anche a tale riguardo, quindi, occorrono investimenti pubblici e assunzioni mirate nella pubblica amministrazione per innalzare la qualità dell'occupazione pubblica, anche al fine di migliorare le condizioni per gli investimenti medesimi.
  Concludo con due domande. Cosa c'è in quello 0,4 per cento in rapporto al PIL di minori spese previste nel 2019 e in quello 0,4 per cento di maggiori entrate previste per il 2019? Sono quantità importanti: tagliare 8 miliardi di euro alla spesa corrente nel quadro in cui ci troviamo comporta infatti effetti molto rilevanti. Mi preoccupa il potenziale gioco delle tre carte che sta dietro questa tabella, perché da una parte si dà, dall'altra si toglie. Ma dove si toglie, e con quali effetti redistributivi?
  Un analogo discorso riguarda il versante delle maggiori entrate. Si tratta di tagli alle detrazioni, ma alle detrazioni di chi? La composizione sociale di questi interventi è estremamente rilevante e impatta sull'efficacia di quella condizione necessaria che ho richiamato all'inizio.

  PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Fassina e ricordo che gli ho lasciato un tempo maggiore non per l'interesse alle cose che diceva, che pure è evidente, ma perché è l'unico iscritto del suo gruppo. Il motivo è quello, gli altri si attengano invece, se possibile, ai tempi stabiliti.

  BEATRICE LORENZIN. Considerando che abbiamo aperto questa relazione con un applauso da tifoseria, voglio dire subito una cosa: io tifo per l'Italia e credo che tutti stiamo tifando per l'Italia, e non per le prossime elezioni europee e la vittoria di questo o quell'altro partito.
  Per chi tifa Italia devo dire che la relazione che lei oggi, signor Ministro, ci ha illustrato non ci tranquillizza per niente, già solo ascoltando le sue parole, leggendo con attenzione quello che ha scritto e soprattutto mettendolo a confronto con quello che altri suoi colleghi di Governo stanno sostenendo nelle assisi più disparate in Italia e in Europa, così come con quello che lei stesso ha affermato più volte prima della presentazione di questa relazione, contraddicendosi in alcuni punti.
  Poiché stiamo parlando di cose concrete, lascio ai colleghi che seguiranno il mio intervento e agli altri che mi hanno preceduto il compito di entrare nel merito di disquisizioni più tecniche, mentre io vorrei farle delle domande semplici, a cui però questa volta spero, Ministro, di avere risposte precise, perché nel corso della sua ultima audizione le risposte sono state ovviamente più ampie. Mi rendo conto che le domande sono tante, ma siccome quelle che le sottoporrò io sono semplici, le chiedo di poterci fornire una risposta.
  Si tratta di domande semplici e facili. La prima è la seguente. Lei parla a fronte di un andamento generale in ipotesi estremamente negativo, dai dazi alla diminuzione dell’export – su cui voi ci fornite dei dati, mentre Confindustria pochi giorni fa ci ha messo il carico da novanta –, nonché di un andamento generale della finanza pubblica che certamente non può essere agevolato dalla crescita dello spread, quindi mi chiedo: in base a quali calcoli voi avete sostenuto che questa è una manovra espansiva, in base a quali calcoli il reddito di cittadinanza impatta sull'espansione della nostra economia, come e quanto?
  Come è stato ribadito prima dall'onorevole Fassina, si può chiamare assistenza o investimento sociale, però non è un provvedimento che si pensa possa avere un'azione meno che marginale sull'espansione; Pag. 17poi possiamo decidere se sia giusto o meno farlo, ma parliamo della fase espansiva del nostro Paese, cioè di come e quanto cresciamo.
  La seconda domanda è sull'impatto fiscale. Noi abbiamo visto all'inizio di questo Governo una parte degli azionisti della sua maggioranza parlamentare portare una ricetta, secondo cui per far crescere l'economia italiana occorre abbassare le tasse. Avevamo quindi la flat tax, ma ora non c'è più, perché la flat tax è una tassa, flat, non è un appartamento è un'altra cosa.
  Assistiamo però a un intervento che riguarda una piccola nicchia costituita dai lavoratori autonomi, dalle partite IVA. Io ho scritto nel mio programma che dovevamo abbassare le tasse ai lavoratori autonomi, quindi si figuri quanto sono contenta, però mi chiedo come questa misura, che è marginale nei numeri, possa portare ad una fase di espansione economica.
  Veniamo ora al capitolo relativo alle pensioni, l'altro pezzo importante della manovra, rappresentato in particolare dall'abbassamento dell'età pensionabile. Fermo restando che ai convegni e ai seminari di studio a cui ho partecipato, con lei presente, da quando avevo i pantaloncini corti abbiamo sempre detto che non c'era automatismo tra il pensionamento e la creazione di nuovi posti di lavoro né tantomeno la sostituzione, mi chiedo, al di là della misura sociale, in base a quali calcoli sono stati quantificati gli effetti espansivi della misura stessa.
  Mi chiedo come possa la sommatoria di tutti questi interventi realizzare il 3 per cento in più di PIL che il Ministro Savona è andato in giro per l'Europa a dire ottimisticamente che conseguiremo nei prossimi mesi, atteso l'impatto di queste azioni e il tempo occorrente per realizzarle.
  Così come ha detto l'onorevole Crosetto, per chi conosce un poco il funzionamento della macchina amministrativa, anche se i nostri centri per l'impiego diventassero improvvisamente un'altra cosa e improvvisamente avessimo migliaia di assistenti sociali, di cui nelle grandi aree urbane siamo purtroppo sprovvisti da anni, in grado di accompagnare i singoli beneficiari del reddito di cittadinanza e di fare loro da tutor, queste misure per queste stesse persone produrranno effetti solo tra moltissimi mesi.
  A questo punto, c'è la parte sugli investimenti, cui voi attribuite un significativo effetto di volano giacché, come da voi affermato, intendete costituire una task force che vi permetterà di accompagnare l'efficienza della spesa. Ricordo che negli anni Ottanta ci si è provato ma non ci si è riusciti, perché c'è una cosa che si chiama competenza concorrente. I tentativi ci sono già stati nella storia d'Italia e non sono andati molto bene.
  Non trovo nulla sulla formazione, né sull'occupazione. L'1,2 per cento è il tasso di crescita del Nord, come è stato giustamente precisato da lei nella relazione, mentre lo 0,9 per cento è quello del Sud. Dove sono gli investimenti per l'innovazione, gli investimenti sul lavoro, gli investimenti per creare occupazione, gli investimenti sulla formazione, che non sono briciole?
  Passando al contrasto della povertà, voi avete affrontato il tema della povertà con il reddito di cittadinanza, ma che ne è di tutti gli altri, delle persone che non si trovano in una condizione di povertà assoluta, ma una volta erano il ceto medio italiano?
  Penso alla sanità. Sapete quanto costa ogni prestazione sanitaria per le persone anziane? Non c'è nulla sulla demografia. Questa avrebbe potuto essere la grande occasione, visto che tutti hanno condiviso una simile esigenza nel corso dell'ultima campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento, per stanziare 3 miliardi di euro da destinare agli incentivi demografici. Tali risorse avrebbero potuto rappresentare un effettivo volano e un aiuto alle famiglie, in particolare a quelle che non sono povere, che non vogliono diventarlo e che possono avere dei bambini. Tutta questa parte di crescita o di un diverso modo di concepire il welfare e l'assistenza manca assolutamente in questa manovra.
  L'ultima parola – e concludo – è sullo spread. Quanto abbiamo bruciato di spread? Ho sentito dire che siete disposti a reggere fino a 400 punti. Di questa mole di denaro messa in questa manovra a deficit quanto è stato già bruciato dallo spread ad oggi e Pag. 18quanto verrà bruciato nelle prossime settimane? Vedo che la Ragioneria generale dello Stato e il Ministero dell'economia e delle finanze sono diventati improvvisamente e incredibilmente, come lei ha scritto, certificatori di azioni che a chi prima ha governato e veniva a chiedere dicevano ben altro. Vorrei sapere esattamente in questa azione dei nostri tecnici quanto incide e quanto inciderà nei prossimi giorni lo spread su questa manovra e sul sistema bancario italiano.

  MARIO TURCO. Signor Ministro, la tematica su cui richiamo la sua attenzione è il reddito di cittadinanza e, in particolare, il sistema dei controlli che si intendono attuare, dato che nella Nota di aggiornamento del DEF 2018 si rinvia a un disegno di legge specifico.
  Per quanto riguarda i controlli ci sono dati sconcertanti relativi all'attività e al sistema introdotto dal precedente Governo, sia in tema di reddito di inclusione (REI), sia in tema di ticket sanitari. Con riferimento a quest'ultimo aspetto, in base a un'indagine svolta anche dal Sole 24 Ore su dati forniti dalla Guardia di finanza, addirittura il 90 per cento dei controlli ha fatto emergere delle irregolarità. Sono, invece, confortanti i dati sulle prestazioni sociali, grazie alla rimodulazione della procedura ISEE. Attraverso i dati sui conti correnti e sulle disponibilità finanziarie, le irregolarità infatti sono sensibilmente diminuite.
  Le chiedo se ci può anticipare le misure che si intendono introdurre per il contrasto alle irregolarità in tema di reddito di cittadinanza.

  ANTONIO MISIANI. Signor Ministro, la Nota di aggiornamento che ci ha presentato fornisce un quadro programmatico radicalmente diverso rispetto a quanto ci aveva anticipato nell'audizione del 3 luglio scorso. La relazione presentata al Parlamento ai sensi dell'articolo 6, comma 5, della legge n. 243 del 2012, peraltro, non presenta un vero piano di rientro, perché, in realtà, il raggiungimento dell'obiettivo di medio termine è rinviato sine die e non viene indicata una data precisa.
  Ciò detto, il deficit non è un tabù, ma un legittimo strumento di politica economica. Così ci hanno insegnato i grandi maestri dell'economia. Il problema, al limite, è quale deficit si debba fare per stimolare la crescita economica.
  Noi crediamo che il deficit prodotto da questa manovra sia un deficit di sapore fortemente elettoralistico, con una composizione della manovra fortemente ed eccessivamente sbilanciata sulla parte corrente. Gli investimenti valgono il 10 per cento della manovra lorda – 0,2 punti percentuali su 2 punti di PIL nel 2019 – , vale a dire un sesto della manovra netta. La stragrande maggioranza consiste in misure di parte corrente a basso moltiplicatore ed è questo, a nostro giudizio, ciò che rende poco credibili le vostre stime programmatiche di crescita economica.
  Segnalo che la Confindustria prevede lo 0,9 per cento nel 2019 e il Fondo monetario l'1 per cento. Quelle previsioni incorporano già un pezzo della vostra manovra, perché incorporano lo stop all'aumento dell'IVA. Questo rende ancora più problematica, a mio giudizio, la valutazione ottimistica che voi fate della crescita economica.
  Credo che una diversa composizione della manovra e di quel deficit, molto più focalizzata sugli investimenti, sulla scuola, sulla ricerca, sull'innovazione, sulla transizione ecologica, sul Mezzogiorno, cioè su tutte le tematiche che mancano nelle misure che avete preannunciato, riceverebbe oggi un giudizio diverso dai mercati e renderebbe molto più solida la situazione del nostro Paese che, invece, è oggettivamente messa a rischio da questo tipo di manovra che voi oggi ci presentate.
  Come secondo punto, ho una domanda sulle pensioni. Ho letto, signor Ministro, che lei ha usato l'aggettivo «temporanea» per «quota 100». Noi vorremmo capire, perché si pone un tema di sostenibilità del sistema pensionistico prospettico, se «quota 100» e l'uscita anticipata costituiscono una misura permanente o una misura speciale e temporanea.
  Vorremmo capire anche che fine faranno l'APE sociale, che era stata introdotta dal Governo precedente, e l'adeguamento Pag. 19 dell'età di pensionamento alla speranza di vita, che è un elemento importante, come tutti sanno, per la sostenibilità futura del sistema.
  Vengo ora al terzo punto e concludo. I dati sullo spread sono stati ricordati e non costituiscono un tema ristretto ai mercati finanziari, perché impattano sulla vita quotidiana delle famiglie e delle imprese. Quello spread produce 18 miliardi di euro di spesa aggiuntiva per interessi, secondo il vostro quadro programmatico. Si tratta di 18 miliardi di euro in più che andiamo a spendere e che sono sottratti agli investimenti e alla spesa sociale, altro che i mercati finanziari.
  Il Vicepremier ha detto, dannunzianamente, che lui se ne frega dell'Europa. Noi abbiamo apprezzato, invece, la presa di distanza o quantomeno la sollecitazione che lei, signor Ministro, ha fatto nella direzione di un abbassamento dei toni. Ricordiamo sommessamente, però, che a nostro giudizio il problema non è tanto la Commissione europea, quanto la risposta dei risparmiatori, che per il 70 per cento sono italiani e detengono il nostro debito pubblico, a questo tipo di politica economica e – ahinoi – la risposta e la valutazione delle agenzie di rating, che saranno pure brutte o cattive, ma un peso ce l'hanno.
  Il 26 e il 31 ottobre due agenzie di rating valuteranno il debito pubblico italiano. Noi vorremmo capire – con tutti gli scongiuri del caso, perché facciamo il tifo per l'Italia – qualora quella valutazione non andasse nella direzione auspicata, che cosa succederebbe, signor Ministro. La manovra rimarrebbe uguale a se stessa, come se nulla fosse, o il Governo si impegnerebbe a cambiare la politica economica per introdurre maggiori elementi di stabilità?

  ROBERTA FERRERO. Ringrazio il Ministro per la sua relazione, che mette in risalto come, dopo anni di politiche depressive, finalmente si cambia strategia in favore di politiche espansive.
  In tema di politiche fiscali e di sistema di tassazione diretta e indiretta, questo Governo dimostra la volontà di dare un forte segnale alle partite IVA, alle micro e alle piccole imprese. Si ricorda che le micro e piccole imprese rappresentano il motore dell'economia italiana e che, con i giusti stimoli, contribuiranno alla crescita del denominatore del rapporto debito/PIL. Chiedo quindi a lei, signor Ministro, come funzionerà questa semplificazione per le partite IVA e le piccole imprese.

  GILBERTO PICHETTO FRATIN. Grazie, Ministro, intendo innanzitutto esprimere un ragionamento di condivisione su quella che può essere l'impostazione che è stata data di questa manovra espansiva, e quindi di una crescita del denominatore rispetto al numeratore nel rapporto debito/PIL, ancorché i numeri specifici non vadano nella direzione, almeno nell'immediato, di quello che è stato condiviso dal nostro Paese anche con l'Unione europea.
  Il dubbio emerge quando si guarda alle azioni volte a favorire la crescita del prodotto interno lordo. Le azioni per la crescita del prodotto interno lordo vengono ricondotte, signor Ministro, a quattro grandi campi d'intervento: investimenti, fisco, pensioni e reddito di cittadinanza.
  Noi sappiamo che il prodotto interno lordo reale cresce davvero se ci sono gli investimenti, se c'è l'aumento del livello della produzione e della produttività, se c'è innovazione, mentre invece ci troviamo gli investimenti a un livello minimo, col fatto che addirittura vengono bloccati sia quelli pubblici già avviati sia, come qualcuno ha già citato, una parte di quelli privati. Questa, probabilmente, è la difficoltà nell'avvio del nuovo motore del Governo.
  L'altra linea di azione, però, è quella di permettere al sistema privato di investire. Tuttavia, al di là dell'apprezzabilissimo intervento consistente nella tassazione al 15 per cento degli utili di impresa reinvestiti, la proposta del Governo rispetto alla flat tax, che rientrava nel programma del centrodestra che abbiamo sottoscritto, è ancora molto timida.
  Certamente, invece, avranno riflesso sul PIL le pensioni e il reddito di cittadinanza, ma si tratta di un reddito indotto. Permettetemi: siamo tra l'aumento reale e l'aumento indotto. Quello di cui ha bisogno il nostro Paese è l'aumento reale, l'unico che può creare nuova occupazione. Pag. 20
  Come si può – è, a questo punto, la mia domanda – accelerare anche una serie di azioni previste nei disegni di legge collegati perché questa crescita possa diventare davvero reale? Io sono convinto che possa diventare reale in parte attraverso il reddito di cittadinanza, che stimola i consumi e la produzione, però dobbiamo anche evitare che si verifichi quello che è successo negli ultimi quattro anni, quando il debito pubblico è aumentato di 180 miliardi di euro mentre il PIL è aumentato solo di 107 miliardi di euro, ossia di circa la metà, con uno spreco pubblico pari al 50 per cento.

  YLENJA LUCASELLI. Buongiorno, Ministro, ho due domande. La prima serve per capire se questo Governo ha un'immagine proiettiva sul futuro. Come tutti sappiamo, a fine mese arriveranno le valutazioni di Moody's, di S&P e di tutte le altre agenzie di rating, e, come altresì noto, il premio al rischio non cresce in maniera lineare, dal momento che su di esso in realtà pesa molto anche l’outlook, ossia la nostra capacità di far fronte agli obblighi che abbiamo assunto.
  Le valutazioni che verranno fatte a fine mese avranno un impatto sul tipo di acquirenti che avremo rispetto al nostro debito, perché ci può essere un restringimento del mercato e una modifica dei nostri interlocutori, quindi potremmo perdere gli acquirenti affidabili, potremmo perdere i fondi pensione, potremmo perdere tutti quegli investitori che hanno nel loro statuto un limite obbligatorio, che è quello di non realizzare investimenti rischiosi.
  Dal momento che l’outlook già dalle prime indiscrezioni non pare essere positivo, proprio perché questa Nota di aggiornamento incentra la crescita sui consumi, ai quali dovrebbe fare da volano il reddito di cittadinanza, non si sa bene né come né perché, mentre non sono previsti investimenti produttivi, vorrei capire come il Governo pensa di poter affrontare, ove dovesse succedere, l'abbassamento e il taglio del rating.
  Passo quindi alla seconda domanda e concludo. Oggi ho sentito parlare di una «quota 100» temporanea, quindi vorrei capire se il senso è proprio questo, cioè approvare una «quota 100» immediata di carattere temporaneo che valga per qualche migliaio di persone e poi scaricare il costo di tutta questa operazione sulle generazioni future.

  MAURIZIO LUPI. Porrò in maniera molto sintetica alcune domande, partendo da un passaggio della relazione del Ministro che non era ovviamente nel testo e che, stimando io molto il Ministro, ritengo non sia stato fatto a caso presso le presenti Commissioni bilancio di Camera e Senato e in un momento come questo: il riferimento, fuori testo, ad abbassare i toni.
  È evidente che, se c'è un riferimento ad abbassare i toni, la situazione in cui noi stiamo vivendo e stiamo discutendo questa manovra finanziaria è molto critica. La prima domanda è esattamente questa: abbassare i toni nell'interesse del Paese? Ma il Vicepresidente del Consiglio dei ministri, Luigi Di Maio, ha affermato: «Non mi interessa assolutamente nulla di quello che ci dice l'Europa, tanto a maggio cambierà tutto». Cambierà anche tutto, ma nel frattempo noi dobbiamo approvare una manovra di bilancio oggi, con questa Commissione europea – fino a maggio ci sono ancora cinque mesi del nuovo anno – e con un giudizio dei mercati e dell'Unione europea, quindi dobbiamo ragionare sull'oggi, non su quello che accadrà dopo il mese di maggio prossimo.
  È evidente che quello che sta accadendo anche in questo momento, con uno spread a 307-310 punti, è tutto influenzato, comprese le parole che lei dice o la stessa Nota di aggiornamento del DEF 2018 che approveremo giovedì prossimo in Assemblea.
  Dunque, le pongo una prima domanda. Nella Nota di aggiornamento si è pensato a uno spread a 240 punti, ma oggi, ancora prima di giovedì in Aula, lo spread segna oltre 300 punti. Ciò premesso, a quali interventi pensa – nel mentre che si fa la manovra, cioè dal momento in cui giovedì il Parlamento approverà la Nota di aggiornamento, considerato che entro il 20 ottobre si deve presentare il disegno di legge di bilancio, da approvare entro il 31 dicembre – qualora lo spread stesso dovesse stabilizzarsi anche oltre il predetto livello, viste le Pag. 21scelte politiche che questo Governo sta facendo? Lei invita ad abbassare i toni, mentre il Vicepresidente del Consiglio dei ministri, Luigi Di Maio, non abbassa i toni e continua a dire che non gliene frega assolutamente nulla dell'Europa e di quello che dirà.
  Quali interventi pensate di fare a correzione di una legge di bilancio che, a quel punto, evidentemente non starebbe più in piedi? Infatti, se passiamo da 240 a 340 punti di spread c'è qualcosa che non funziona. Questa è la prima domanda.
  Passo ora alla seconda domanda. Io sono assolutamente d'accordo con lei e l'ho sempre detto: il problema non è il 2,4 o il 2,1 per cento, ma quello che si sta valutando e che tutti stanno valutando è il contenuto. Dal momento che ci stiamo indebitando, a chi ci presta i soldi – considerato che non ce li abbiamo e li stiamo chiedendo in prestito, ossia che stiamo facendo una manovra solo grazie al fatto che qualcuno ci dà i soldi – dovremo pur far giudicare come li spendiamo? Bene, a me sembra che ci stiano dicendo che non gli piace come li spendiamo, quindi o noi ci troviamo i nostri soldi o, se non li abbiamo, dobbiamo fare i conti con chi ce li presta.
  Lei ha parlato di liberalizzazioni e quindi di apertura al mercato, di investimenti privati, interni ed esterni. Come concilia le dichiarazioni del Vicepresidente del Consiglio dei ministri, Luigi Di Maio, e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti in Aula, che dicono che i privati sono la mangiatoia e che bisogna tornare alla nazionalizzazione e alla statalizzazione, con quanto lei invece afferma nella sua relazione in materia di liberalizzazioni? Se si liberalizza, si liberalizza ciò che lo Stato ha, non ciò che non ha, quindi c'è un principio di politica economica che dice che alcuni servizi pubblici possono essere gestiti – giustamente va fatto, questo lo condivido – a condizioni diverse anche dai privati, ma questo è comunque in contraddizione.
  Ho una domanda anche sugli investimenti pubblici. Lei sa come me che un euro investito oggi in un investimento pubblico non produce un effetto immediato, bensì determina un risultato fra due o tre anni: siccome ho visto che l'impatto macroeconomico di maggiori investimenti pubblici viene stimato intorno allo 0,2 per cento, come concilia questa affermazione, assolutamente condivisa, con la linea del Governo che, come diceva il collega Crosetto, è quella di bloccare tutti gli investimenti pubblici che sono già cantierati? Ad esempio, le opere relative al Terzo valico valgono 6 miliardi di euro in termini di investimenti, con 5 lotti già approvati, i cantieri aperti per 4 lotti e le risorse per il quinto lotto già stanziate e pubblicate in Gazzetta Ufficiale, ma i cantieri non vengono aperti perché il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti – legittimamente, secondo una coerenza di linea politica – ha dato l'ordine di bloccare tutto.
  Questo vuol dire che i cantieri non vanno avanti, quindi come si fa crescere se do più soldi alle infrastrutture e questi soldi aggiuntivi avranno un impatto non nel 2019, ma nel 2020 o nel 2021? Come fate a conciliare queste due cose? Vuol dire almeno che il Governo porta avanti i cantieri già aperti, in modo che non si licenzino le persone e i lavori possano proseguire?
  Ho un'ultima domanda sulle imprese, che è legata ad una domanda passata in secondo ordine da parte del collega Fassina. Le coperture valgono 13 miliardi di euro, suddivisi tra 6,5 miliardi di tagli alla spesa e 6,5 miliardi di entrate: ma questi 6,5 miliardi di euro di nuove entrate sono nuove tasse? È vera la voce che abbiamo letto secondo cui si chiederà alle imprese di ritornare all'anticipo del versamento delle tasse dell'anno successivo, come è già stato fatto e come tutti noi abbiamo detto che non doveva più essere fatto? Mi sembra che sul tema delle coperture sarebbe utile che lei ci fornisse qualche dettaglio ulteriore, sia in merito ai tagli di spesa che alle entrate, o almeno ci indicasse la linea di tendenza del Governo.

  LUIGI MARATTIN. Buongiorno, signor Ministro. Inizio con una segnalazione, o meglio una piccola correzione, perché evidentemente il suo staff si è confuso: l'indice PMI non è l'indice delle piccole e medie imprese, è l'indice del Purchasing manager Pag. 22index, ma evidentemente la nota del suo staff è stata confusa.
  Lei, signor Ministro, nella sua relazione ha posto molta attenzione – direi quasi esclusiva, se non enfatica – sulla riduzione del rapporto debito/PIL, e lo ha fatto – non è una novità, perché è il pilastro fondamentale da mesi, se non da anni, di questa maggioranza, anche prima di divenire maggioranza – nella convinzione che il rapporto debito/PIL si riduca sostanzialmente attraverso un unico modo, cioè spingendo sul famoso denominatore.
  La prima domanda che le voglio fare, essendo lei un illustre accademico, è se lei o qualche suo collega di maggioranza mi sappia citare un caso, un case study, di politica economica, in cui il peggioramento marcato della fiscal stance abbia portato a una riduzione del rapporto debito/PIL. Non le sto chiedendo di citarmi i periodi storici in cui ciò è avvenuto contemporaneamente, le sto solo chiedendo di citarmi l'esistenza documentata, nel suo nesso causale, del concetto secondo cui per ridurre il rapporto debito/PIL bisogna sostanzialmente spendere di più, perché io non ne ho mai trovato traccia.
  Qualora fosse così, vi chiederei su cosa basate questo ritornello che da anni ci ripetete – non solo voi, abbiamo sentito il collega Fassina che condivide sostanzialmente questa impostazione – e questa idea secondo cui per ridurre il rapporto debito/PIL occorra spendere di più.
  Io però la seguo anche su questo, facciamo pure finta che esista questo legame certificato. Vedo nella Nota di aggiornamento del DEF 2018 il fondato sospetto – non voglio certamente usare termini impropri – che vi siano previsioni veramente troppo ottimistiche su questa famosa crescita, che voi considerate l'unica panacea per ridurre il rapporto debito/PIL.
  Non le cito neanche il fatto che voi stessi nella Nota di aggiornamento lamentate un marcato peggioramento della congiuntura internazionale, ma ciononostante dite che magicamente la crescita tornerà solo in questo Paese. Tra l'altro, sulla crescita per il 2019 voi fate una stima più alta del 50 per cento rispetto a quella del Fondo monetario internazionale e nella Nota di aggiornamento scrivete che nel 2019 la produttività, che notoriamente è una variabile piuttosto sluggish, nel senso che raramente fa registrare dei salti discreti, raddoppierà dallo 0,3 allo 0,6 per cento, per poi magicamente tornare allo 0,4 per cento nel 2020. Ma come fa la produttività a raddoppiare in un anno e in forza di quali misure di politica economica sul lato dell'offerta che voi avete scritto nella Nota di aggiornamento del DEF, visto che non ne avete scritta praticamente nessuna?
  Sottolineo un punto ulteriore, che peraltro già hanno segnalato anche i colleghi Padoan e Lupi: lei ha parlato di troppa prudenza per l'assenza di effetti di retroazione di questa famosa maggiore crescita sul gettito fiscale e quindi sull'andamento delle variabili di finanza pubblica, ma a me risulta che ci sia un altro effetto di retroazione che non avete considerato. Questa Nota di aggiornamento è difatti costruita su uno spread a 240 punti, ma mentre parliamo lo spread ha già sfondato quota 310 punti: voi ve la cavate dicendo che, una volta che vedranno il disegno di legge di bilancio, i mercati si rassicureranno, ma, in caso non si rassicurino, questo effetto di retroazione, soprattutto sugli investimenti privati, l'avete considerato?
  L'altra strategia di riduzione del debito – anche in questo mi ripeto rispetto a quanto già evidenziato dal collega Lupi – è un'ambiziosa strategia di dismissioni patrimoniali, che voi cifrate allo 0,9 per cento del PIL nei prossimi tre anni. Voi state cioè sostenendo che venderete – leggendo la relazione, non si capisce se si tratta di partite mobiliari o immobiliari – circa 15 miliardi di euro di patrimonio nei prossimi tre anni da destinare all'abbattimento del debito, e che il raggiungimento di quota 126,4 per cento nel rapporto debito/PIL, di cui lei va così fiero in prospettiva, è anche dovuto a questa strategia.
  Ripeto: come si concilia la strategia di far cassa per 15 miliardi di euro vendendo partecipazioni, soprattutto mobiliari, presumibilmente, con l'atteggiamento di politica economica che questa maggioranza continua ad enunciare da mesi sul fatto anzi di Pag. 23dover riacquisire a patrimonio dello Stato beni mobili e immobili, soprattutto partecipazioni azionarie, a quanto mi è dato di capire attualmente in mano ai privati?
  Vengo ora alla penultima domanda. Come si concilia il suo numero, quei 15 miliardi di euro di investimenti pubblici in più nel triennio, con la cifra che invece abbiamo nella Nota di aggiornamento, che – qualcuno mi corregga se sbaglio – è pari allo 0,2 per cento nel 2019, equivalente quindi a 3,4 miliardi di euro, ed arriva fino allo 0,3 per cento a fine triennio? Quindici miliardi di euro rappresentano lo 0,9 per cento del PIL, non lo 0,3. Stiamo forse dicendo che state considerando come vostri una parte degli investimenti – parlo di quota di indebitamento netto, quindi di spesa – stanziati dal precedente Governo?
  Ultime due considerazioni rapidissime, signor Ministro. Assieme alla Nota di aggiornamento voi dovrete chiedere al Parlamento l'autorizzazione allo scostamento dall'obiettivo di medio termine, in forza dell'articolo 6 della legge n. 243 del 2012 che, in attuazione dell'articolo 81 della Costituzione – quella Costituzione che i partiti che la supportano hanno difeso strenuamente dai tentativi di riforma degli scorsi anni, la Costituzione più bella del mondo –, impone di giustificare uno scostamento così marcato del deficit strutturale – parliamo infatti di un punto percentuale di PIL – sulla base o di gravi recessioni o di eventi calamitosi.
  Io le chiedo, signor Ministro: lei pensa veramente che dire che il PIL non è ancora tornato ai livelli pre-crisi sia configurabile come grave recessione o evento calamitoso e terribile? Lei mi insegna che «recessione» significa due trimestri consecutivi di crescita negativa, non significa trimestri consecutivi di crescita non pari a quella del 2008. Io ho una mia definizione di quale sia l'evento calamitoso e terribile che l'Italia sta affrontando in questi mesi, ma per evitare polemiche è meglio che non la dica.
  Un'ultima e conclusiva domanda. Signor Ministro, lei ci dice che nei prossimi tre anni il deficit strutturale rimarrà all'1,7 del PIL. Nel frattempo, l’output gap, secondo le vostre proiezioni, si chiude. A dire il vero, se non sbaglio sta allo 0,2 per cento nel 2021. Ciò vuol dire che anche con un output gap pari a zero, cioè con un PIL reale pari al PIL potenziale, con l'Italia che cresce in linea con le sue caratteristiche strutturali senza pressioni inflazionistiche, voi mantenete un grosso sbilancio della fiscal stance pari all'1,7 per cento del PIL.
  A tale riguardo, come accademico, prima che come Ministro, le chiedo: lei si rende conto che questa è una fortissima politica fiscale prociclica, contraria a tutte le prescrizioni di politica economica, che invece la vedono anticiclica, ma non perché ci sia qualcuno a Bruxelles che ci ha detto che bisogna fare una politica anticiclica? Il semplice motivo è che, se sbilanciamo così tanto la fiscal stance quando l’output gap è pari a zero, se arriva un'altra recessione, e prima o poi arriverà negli Stati Uniti – il ciclo è ormai lungo nove anni, quindi evidentemente affronteremo una recessione nell'arco del prossimo triennio e oltre –, con quali munizioni affronteremo quella recessione visto che avete portato il deficit strutturale all'1,7 del PIL quando l'economia andava bene? Come si fa a conciliare questo atteggiamento con la necessità che avremo invece nei prossimi anni di spendere e di spendere in deficit quando il ciclo tornerà negativo?

  ERICA RIVOLTA. Signor Ministro, buongiorno. Vorrei anzitutto svolgere una velocissima considerazione per dirle che condivido pienamente quanto contenuto nella Nota di aggiornamento, soprattutto in termini di espansione della crescita, da conseguire in particolare attraverso misure di maggiore spesa. Ritengo strategico, e dal mio punto di vista prioritario, l'obiettivo della modernizzazione della pubblica amministrazione, ponendo al primo posto il raggiungimento di un elevato standard di efficienza. Solo con una pubblica amministrazione che sappia fornire risposte tempestive ai cittadini e alle imprese può esserci un impulso e una maggiore credibilità in vista di una maggiore crescita.
  Vengo ora alla mia domanda puntuale, che riguarda i cosiddetti risparmiatori truffati dalle banche. Le vorrei chiedere un chiarimento in merito alla tempistica dei Pag. 24risarcimenti nonché all'ammontare delle risorse destinate all'incremento dei fondi a disposizione proprio per riparare a questa ferita immensa.

  MAURO D'ATTIS. Buongiorno, signor Ministro. Intanto, simpaticamente vorrei dirle che il suo appello alla responsabilità, che ci era stato anticipato – ripeto simpaticamente – in una rappresentazione dell'attore Maurizio Crozza nei giorni scorsi, pare non aver avuto esito. Condividiamo questo appello alla responsabilità, sia ben chiaro, date anche le dichiarazioni di oggi.
  Ora farò solo delle domande. In una parte del programma di Governo scrivete che il contratto firmato dai leader della coalizione che ha dato vita al Governo è stato approvato dal Parlamento. Lo notavamo con i colleghi Mandelli e D'Ettore: il contratto firmato dai leader della coalizione non è stato approvato dal Parlamento, ma ad essere approvate sono state solo le linee programmatiche. Per una questione anche di igiene istituzionale, le chiederei se non ritenga quindi di dovere sostituire quel passaggio.
  Le segnalo che nella Nota di aggiornamento non c'è una parola significativa sul Sud. Con la collega più esperta, la vicepresidente Prestigiacomo, ci siamo messi a cercarla, la parola «Sud», e abbiamo visto che a pagina 4, in una noticina, è prevista nella parte della Corea; a pagina 73, sulle piste ciclabili; a pagina 108, sul turismo; a pagina 118, sul prosieguo dell'attuazione dei patti per il Sud.
  La collega Prestigiacomo diceva «Mauro, forse devi cercare la parola Mezzogiorno» e allora abbiamo cercato anche «Mezzogiorno», che è citato solo due volte, a pagina 109 nel capitolo relativo ai beni culturali, dove si descrive un generico impegno a rafforzare la capacità di gestire progetti culturali. Insomma, poca roba.
  Per quanto riguarda le infrastrutture, nella Nota di aggiornamento del DEF 2018 ci dite che state pensando a una rete di piccole opere diffuse, quindi ne deduco che abbiamo abbandonato l'espressione «grandi infrastrutture», che al Sud è molto cara. Peraltro, non abbiamo notizie, neanche nella Nota di aggiornamento, della fatidica applicazione del vincolo della clausola del 34 per cento della spesa a favore del Sud da parte dei vari dicasteri. Inoltre, riprendo una sua affermazione su Repubblica. Parlando di «Via della seta», lei stesso ha detto che la «Via della seta» rappresenta un'importante opportunità – e probabilmente lo sarà – per i porti del nord Tirreno e del nord Adriatico, in tale modo escludendo completamente la possibilità che i porti del Sud siano compresi nel business importante della «Via della seta». Peraltro, oggi lei ci ha informati che il reddito di cittadinanza, che ovviamente pare interessare prevalentemente il Sud, è un investimento. Lo abbiamo scoperto questa mattina.
  Pertanto le chiedo, signor Ministro: cosa c'è concretamente e non a chiacchiere per il Sud, considerato tutto ciò che ho riepilogato? Sarà rispettato per il Sud il vincolo riservato di spesa del 34 per cento sugli investimenti della spesa corrente? Ritiene che il reddito di cittadinanza sia la ricetta di investimento per assicurare al Sud la crescita del PIL che si attende? Infine, quali sono le tax expenditures che voi intendete sacrificare, e in particolare quelle che riguardano il Sud?
  Caro signor Ministro, queste risposte non le pretendiamo soltanto per noi, ma soprattutto per la sua collega Lezzi, la Ministra per il Sud, che parla di decontribuzione al 100 per cento per chi assume al Sud. Su questo era stata prevista una decontribuzione al 100 per cento solo per il Sud o era già estesa a tutto il Paese, come pare essere? Delle due l'una, signor Ministro e signor presidente della Commissione: o la sua collega, la Ministra Lezzi, ha detto una bugia, oppure la Lega in questo caso ha soppiantato le intenzioni della Ministra appartenente al MoVimento 5 Stelle.

  GIANMAURO DELL'OLIO. Signor Ministro, nella Nota di aggiornamento del DEF 2018 è scritto testualmente che le stime di finanza pubblica non comprendono gli effetti finanziari di retroazione della maggiore crescita sul saldo di bilancio.
  Dunque, se interpreto correttamente, le variazioni sulle entrate fiscali o sulle minori spese sociali stanziate in precedenza Pag. 25indotte dalla nuova manovra finanziaria non sono inserite nella Nota di aggiornamento e, pertanto, porteranno benefici in bilancio sotto forma di nuove entrate fiscali a posteriori. Questo fa parte di quell'ipotesi, che anche oggi lei ci ha confermato in chiusura del suo discorso, per cui le proiezioni di crescita economica e di finanza pubblica potrebbero migliorare significativamente.
  Potrebbe fornirci un'idea del presumibile – ancorché ovviamente non certificabile, altrimenti l'avreste inserito in manovra – impatto di questo range di aumento di tali benefici?

  DANIELE MANCA. Grazie, Ministro. Preliminarmente vorrei sottolineare un quadro di forte instabilità all'interno del quale questa Nota di aggiornamento si colloca. Mi piacerebbe ascoltare da parte del Ministro, nella sua replica, quali sono le azioni che intende adottare per trasformare un quadro che rischia di essere instabile per i contenuti di questa manovra e rischia di essere instabile sul versante dell'extradeficit e di una eccessiva crescita preventivata, che produce un'instabilità che i mercati recepiscono in questo modo. Infatti, non è evidente a tutti che uno spread a 310 punti rischia di consumare molte delle risorse delle famiglie e delle imprese e rischia di mettere seriamente in difficoltà anche l'accesso al credito necessario per far ripartire questo Paese e motivare e stimolare gli investimenti.
  Tuttavia, mi preme sottolineare un punto molto importante, che intendo chiarire e sul quale vorrei avere una risposta. Se è vera la previsione, qui contenuta, del 3 per cento degli investimenti sul PIL, obiettivo penso condiviso – continuo infatti a pensare che, se c'è un elemento negativo all'interno di queste previsioni, sia un utilizzo dell'extradeficit totalmente orientato sulla forma assistenziale e sulla spesa corrente e poco rivolto agli investimenti – quali sono le azioni che intendete adottare?
  Ci sono inoltre contraddizioni evidenti. Anche quest'obiettivo rischia infatti di essere un obiettivo irrealistico, la cui non realizzazione sarebbe pericolosa per la crescita e per l'occupazione. Quali azioni intendete dunque adottare per stimolare la ripresa degli investimenti?
  Noi assistiamo ogni giorno, all'interno del Governo, a un blocco degli investimenti. Non sono stati ancora ripartiti i 38 miliardi di euro precedentemente destinati nei confronti dei sistemi regionali. Siamo di fronte anche al blocco degli investimenti relativi alle periferie. Quali sono le azioni che si intendono adottare?
  Siamo altresì all'interno di un conflitto pericolosissimo tra Stato, regioni ed enti locali. Non dimentichiamo che l'ANCI non sta partecipando alla Conferenza unificata. Io non vedo alcuna possibilità di rimettere in moto gli investimenti, se non si lavora sulle stazioni appaltanti e, dunque, su una nuova visione di relazioni tra i sistemi territoriali, lo Stato e le regioni. Con quali azioni concrete, ripeto, intendete muovervi per rilanciare gli investimenti?

  REBECCA FRASSINI. Grazie, signor Ministro. Come più volte detto durante l'audizione, l'obiettivo del Governo è quello di ridurre sensibilmente il divario di crescita con l'area dell'euro, che permane da oltre un decennio. La politica economica, l'azione di riforma e il dialogo con imprese e cittadini saranno, quindi, rivolti a conseguire una crescita del PIL di almeno l'1,5 per cento nel 2019 e l'1,6 per cento nel 2020, come indicato nel nuovo quadro programmatico. Questi obiettivi di crescita economica sono ambiziosi ma realistici e potrebbero essere anche oltrepassati, qualora si faccia realmente leva sugli investimenti pubblici.
  A tale riguardo le chiedo, signor Ministro, in merito alle recenti misure già approvate dal Governo per consentire l'utilizzo degli avanzi da parte delle amministrazioni territoriali, quali potranno essere le modalità attuative di queste e – concludendo – se fosse possibile specificare la tipologia degli investimenti per i quali i comuni potranno utilizzare l'avanzo di amministrazione.

  RAFFAELE FANTETTI. Signor Ministro, c'è un'attenzione spasmodica al dato Pag. 26dello spread, cioè del differenziale tra il titolo a dieci anni italiano e quello tedesco. A fronte degli attuali 352 punti che noi paghiamo rispetto al nostro titolo, si registrano i 320 punti che pagano gli Stati Uniti rispetto all'equivalente obbligazione decennale. Sui mercati c'è tantissima liquidità, c'è una grandissima offerta di titoli e c'è una situazione che va a terminare, quella del quantitative easing europeo, che segue un'operazione simile di espansione monetaria negli Stati Uniti.
  Questo fa sì che i tassi di interesse cresceranno. Non bisognerebbe avere, quindi, questa spasmodica attenzione solo a quel dato, ma piuttosto al fatto che all'interno dell'Unione europea noi non cresciamo. Lei ha detto bene: quattro Governi consecutivi di centrosinistra non eletti hanno condotto a una situazione unica in Europa, nella quale noi siamo l'unico Paese nell'Unione europea che non ha ancora recuperato i livelli pre-crisi del 2008. È, quindi, meritorio il tentativo di arrivare a ridurre questo differenziale.
  Lei ha anche detto – e sostanzialmente siamo tutti d'accordo – che non ci può essere stabilità finanziaria senza stabilità sociale. Da ciò ne deriva il sostegno alla domanda e le misure che voi proponete. Le facciamo notare rispettosamente, però, che non ci può essere stabilità finanziaria senza crescita. A questo punto, sorgono due considerazioni e due domande. Saranno solo due.
  In primo luogo, c'è una situazione temporanea di sostanziale esaltazione dei mercati che fa sì che il nostro spread continui a salire e che emergano timori da parte degli investitori – i quali, ripeto, hanno tantissime possibilità di investire altrove, per non parlare dei mercati emergenti, compreso quello degli Stati Uniti – che ci sia una sorta di «piano B». Mi riferisco al timore che, alla fine, qualcuno, a fronte di questo spread a 350 punti, venga ripagato con una moneta di valore diverso.
  Mi chiedo se, come fece Mario Draghi con quella sua affermazione forte «whatever it takes», il Governo nella sua collegialità – sarà poi valutato dagli investitori in base alla credibilità che avete sui mercati – e quindi tutti insieme il Presidente del Consiglio dei ministri, i due Vicepresidenti e lei, come Ministro dell'economia e delle finanze, non ritenga opportuno, se non necessario, per calmare la situazione che si è venuta a creare sui mercati, fare un'affermazione pubblica definitiva su questo aspetto.
  In secondo luogo, le chiedo se non ritenga che, purtroppo, rispetto alla ricetta con la quale il centrodestra si è presentato alle elezioni, quella cioè di una sostanziale deregolamentazione e liberalizzazione del mercato italiano, condizionato comunque da un'economia ingolfata e che per questo non cresce, ci sia troppo poca deregolamentazione in questo disegno tale da poter garantire i tassi di crescita auspicabili che questa manovra prevede.

  ROBERTO PELLA. Intervengo solamente per domandare, se me lo sa dire, signor Ministro, dove, nella Nota di aggiornamento del DEF 2018 o in un altro documento, è prevista l'assegnazione al comparto dei comuni dei 580 milioni di euro che spettano loro nel 2019 per il venir meno del taglio disposto dal decreto-legge n. 66 del 2014. Sono risorse che sappiamo essere importanti e che sono state, invece, previste per le province. Peraltro, nell'intervento che lei ha fatto, a pagina 8, si afferma testualmente che «è, inoltre, strategico potenziare le autonomie locali affinché diventino il motore dello sviluppo territoriale».
  Visto che si parla molto di liberalizzare l'utilizzo degli avanzi di amministrazione, osservo che la circolare adottata nel 2018 ha dato una lettura molto restrittiva delle sentenze della Corte costituzionale. Per questo motivo l'ANCI ha rappresentato al Ministero dell'economia e delle finanze l'esigenza di rivedere tale orientamento. Le chiedo pertanto come lei abbia intenzione di riconsiderare tale orientamento, anche e soprattutto con riferimento all'utilizzo delle spese correnti.

  PRESIDENTE. Ringrazio tutti i colleghi per gli interventi. Siamo andati un po’ lunghi con i tempi, ma ciò è comprensibile, Pag. 27vista l'importanza del tema. Do ora la parola al Ministro per la replica.

  GIOVANNI TRIA, Ministro dell'economia e delle finanze. Considerata la mia esperienza, dopo tutte queste domande, presupponevo di avere circa 3-4 ore per le risposte. In genere sono abituato a rispondere alle questioni che mi vengono poste. Evidentemente non ho questo tempo, ma comunque cercherò di dare alcune risposte.
  Mi pare che la prima domanda fosse una richiesta di dati da parte dell'onorevole Raduzzi sul peso dei prestiti del Fondo «salva-Stati» sul nostro debito. Come si sa, la partecipazione dell'Italia alle azioni di salvataggio che, attraverso i vari strumenti in Europa, sono rivolte nei confronti degli altri Paesi è proporzionale alla nostra quota di partecipazione alla Banca centrale europea, che, a sua volta, è proporzionale al nostro PIL. Grossomodo, le quote di competenza dell'Italia pesano per circa 3 punti percentuali di PIL e si riferiscono al contributo del Fondo europeo di stabilità e al Meccanismo europeo di stabilità. Ci sono comunque delle precisazioni nella Nota di aggiornamento del DEF 2018 che forniscono maggiori dettagli.
  Vorrei rispondere all'onorevole Padoan, il quale mi pone dei problemi di carattere generale. Dopo tutto questo bombardamento di domande, del quale sono contento, cerco di ricapitolare.
  Il problema è questo: si dice che le poche volte in cui il debito è sceso sono state quando il numeratore del rapporto è sceso. Intanto, voglio richiamare che, per esempio, nel 2017, in una situazione di crescita molto più favorevole, il deficit era del 2,4 per cento.
  Ora, come si fa a dire, per esempio, che l'aumento dei tassi d'interesse riflette il peggioramento dei fondamentali? Ci sono un po’ di contraddizioni nell'analisi: o i fondamentali sono peggiorati in questo periodo in cui si è puntato su una politica differente oppure non sono peggiorati. Poiché nessun atto è stato compiuto attualmente dal Governo, a che cosa si devono questi fondamentali peggiorati che dovrebbero aver portato a un aumento dei tassi di interesse?

  LUIGI MARATTIN. Alle aspettative.

  GIOVANNI TRIA, Ministro dell'economia e delle finanze. Allora, la questione è che, quando io affermo che c'è un divario tra i fondamentali e i tassi di interesse che oggi stanno prevalendo, già c'era un divario anche prima, e adesso sono peggiorati questi divari con i fondamentali. Ed è chiaro che questo è determinato da condizioni di incertezza e da aspettative. Su questo ritornerò, ma è chiaro che stiamo facendo una discussione intorno non al problema della qualità della manovra. Stiamo parlando piuttosto, poiché i tassi di interesse sono saliti anche prima della manovra, di una situazione di incertezza che permane e che dipende da varie aspettative.
  Una delle questioni era stata posta in una delle ultime domande, ovvero se vi sia o meno una sorta di «piano B», ed è stata chiarita fino in fondo. Collegialmente il Governo lo ha già dichiarato.
  Ora, quanto alle misure espansive, pari allo 0,7 per cento del PIL, le nostre stime si basano considerando l'impatto delle varie misure della manovra su un tendenziale di crescita del PIL stimato allo 0,9 per cento. Per arrivare all'1,5 per cento c'è un più 0,6, in una situazione in cui il deficit aumenta rispetto al deficit stimato su una diminuzione delle previsioni, quindi sullo 0,9 per cento di crescita, per cui dallo 0,9 all'1,5 per cento abbiamo un differenziale dello 0,6, con un deficit aggiuntivo dell'1,2 per cento, di cui una parte è costituita dagli investimenti.
  È stato detto da altri che lo 0,2 per cento è poco, ma lo 0,2 è un'addizionale rispetto agli abbondanti stanziamenti. Qui bisogna mettersi d'accordo: da una parte, si dice che già ci sono troppi investimenti nel bilancio che poi non verranno fatti; dall'altra, si sostiene che se si aggiunge lo 0,2 per cento, è comunque poco. Io non lo considero poca cosa, perché lo 0,2 per cento già implica un impatto su questo 0,6 per cento in più di crescita che preventiviamo. Pensiamo soltanto – per anticipare una risposta Pag. 28 alle tante domande – che le nuove politiche di spesa sociale e di riduzione delle imposte ci danno circa lo 0,34 per cento di impatto sulla crescita nel 2019. La neutralizzazione dell'aumento dell'IVA determina un impatto dello 0,2 per cento sulla crescita, mentre i maggiori investimenti pubblici impattano per circa uno 0,2 per cento. Ecco così che si arriva rapidamente allo 0,8 per cento. Non mi pare che la previsione di queste misure espansive sia così strana.
  Certamente, poi si dice: non riuscirete a spendere per il reddito di cittadinanza, e quindi mancherà il sostegno ai consumi; non riuscirete altresì a spendere per gli investimenti, e quindi non ci sarà l'impatto degli investimenti. Queste, però, sono solo ipotesi. Oltretutto, se non si spende per il reddito di cittadinanza e se non si spende per investimenti, il deficit evidentemente non sarà al 2,4 per cento ma molto più basso, e quindi faremo contenti coloro che dicono che bisogna operare soltanto sul lato del numeratore.
  Tra l'altro, non sostengo l'idea che non sia importante tenere sotto controllo il numeratore, tant'è vero che il profilo di deficit che noi proponiamo non mi pare così strabiliante. Molti analisti hanno fatto stime su quale sarebbe stato l'aumento di spesa di questo Governo in base alle linee programmatiche o al contratto di Governo, comunque vogliamo chiamarlo. Mi pare che poi con il 2,4 per cento non ci sia tutta questa esplosione.
  Ripeto, nel 2017, con un ambiente di crescita molto favorevole e in espansione, la crescita era all'1,5 per cento e il deficit al 2,4 per cento. Noi ci siamo trovati, tra l'altro, a ereditare un deficit che, una volta mutate le prospettive di crescita, era già automaticamente all'1,2 per cento. Con l'aspettativa di tutti di disattivare le clausole IVA, che vengono prima previste per poi essere eliminate, si arrivava a circa il 2 per cento. A questo punto avremmo potuto risparmiarci lo 0,2 per cento in più di investimenti per non arrivare al 2,2. Poi è iniziata la vera manovra per trovare spazi per rispondere alle esigenze indicate nelle linee programmatiche.
  Mi pare che non ci sia un mancato controllo del numeratore. La vera questione è aver deciso di non fare una manovra fortemente restrittiva in una fase di forte decelerazione dell'economia che non segue ad una situazione di dieci anni consecutivi di stabilità ed espansione, e in ogni caso non di crollo dell'economia, che è stato poi permanente, perché siamo ancora sotto lo 0,5 per cento.
  Noi avremmo dovuto fare, per arrivare a livelli di deficit che avrebbero forse accontentato l'opposizione, una forte manovra restrittiva. Non l'abbiamo fatta. È stata una scelta, da questo punto di vista. La spiegheremo con calma alla Commissione europea. Ribadisco che con toni bassi queste cose si possono spiegare. C'è un dialogo costruttivo in questo senso.
  Passo quindi all'osservazione riguardante l’output gap. Unisco così un po’ di domande per argomenti. Si dice che non siamo più in una fase di decelerazione e che siamo a posto, perché stiamo andando verso il prodotto potenziale. Si restringe, quindi, l’output gap e, dunque, non è vero che dobbiamo fare politiche anticicliche.
  Credo che i ministri che mi hanno preceduto abbiano condotto loro stessi una grande battaglia presso la Commissione europea per affrontare l'idea di ancorare le politiche economiche a questa nozione di output gap, ossia al prodotto potenziale. Il prodotto potenziale, essendo una stima statistica – ma non intendo addentrarmi in questioni di natura tecnica – è una grandezza che riflette l'andamento del passato. Se abbiamo fatto delle politiche recessive, che sono state probabilmente adottate perché necessarie in alcuni momenti di crisi, come il 2011 o il 2012, avendo determinato per un lungo periodo la permanenza della recessione e la mancata crescita, l’output gap si riduce non perché aumenti il tasso di crescita, ma semplicemente perché si riduce il prodotto potenziale nel tempo.
  Ancorandoci a un prodotto potenziale per cui, a mano a mano che va avanti la recessione, possiamo produrre sempre meno perché quello è il nostro potenziale, arriviamo a una situazione in cui strutturalmente le politiche orientate da questo concetto Pag. 29 portano a politiche recessive e, quindi, autorealizzantesi.
  Questo è un problema su cui non voglio insistere, perché attiene prevalentemente ad una discussione tra economisti. Voglio dire soltanto che non sappiamo ancora il disegno del reddito di cittadinanza. Si sta delineando e si sta cercando di far sì che questo disegno risponda agli obiettivi di cui ho detto.
  Per quanto riguarda la questione delle pensioni, non è che ci sia un'automatica uscita di pensionati e un automatico ingresso di giovani – come del resto non c'è mai stato. Non si può porre la questione in termini generali. Io sostengo e noi sosteniamo che in questa particolare fase, in cui è necessario un rapido rinnovamento delle competenze delle imprese, non bisogna ritardare il turnover. Nel corso delle mie discussioni con le medie e grandi imprese in questo periodo, tutte chiedono di poter rinnovare le competenze. Si sa che questo è il problema: siamo in una fase di rapido progresso tecnologico e servono nelle imprese nuove competenze mentre devono uscire le competenze obsolete. Non è, quindi, un'automatica sostituzione, ma è una policy. Probabilmente in alcune imprese uscendo degli anziani entreranno più giovani, in altre invece questo non accadrà, ma il problema di rinnovare le competenze nelle imprese è reale. La riforma Fornero ha creato una diga per un certo periodo, quindi c'è un grosso problema di transizione.
  Rispondo anche alla domanda sulla natura permanente o meno dell'intervento. È chiaro che noi abbiamo messo in bilancio i fondi per un intervento permanente, ma un Governo consapevole quando introduce delle nuove misure, che in parte sono anche sperimentali, deve prima valutare l'effetto prodotto e, in base ad esso, definire come questa azione dovrà continuare, in quale forma e in quale misura.
  L'onorevole Cestari chiedeva quali aumenti IVA erano programmati. Nel 2019 erano programmati 12 miliardi di euro in più di IVA, con un passaggio nella clausola di salvaguardia delle due aliquote IVA rispettivamente dal 10 all'11,5 per cento e dal 22 al 24,2 per cento. Per gli anni successivi l'importo di IVA che stava nella clausola di salvaguardia a legislazione vigente, quindi prima di quello che faremo noi, era di circa 19-20 miliardi di euro. Rimarranno in parte, ma saranno ridotte.
  Cerco di andare oltre e rispondere al mio amico Brunetta. Onorevole Brunetta, posso dire con la massima stima che il suo discorso è un po’ assiomatico? Dico che è un discorso assiomatico perché lei non parte da un'analisi della manovra e del profilo di deficit che noi abbiamo pensato di poter sostenere per evitare il forte rallentamento della crescita. Piuttosto, lei dice: «Andiamo verso una crisi finanziaria e a questo punto nulla si può fare».
  È evidente che se c'è una crisi finanziaria qualcosa salta, ma il problema è dire se la crisi finanziaria è il prodotto di questa manovra. È su questo che non sono d'accordo, perché una gran parte di questa incertezza viene da questo dubbio del famoso «piano B», che stiamo ripetendo. Pertanto, pensiamo che spiegando in maniera argomentata la manovra possa nuovamente scendere anche lo spread, che ai livelli attuali non è accettabile, ma che in ogni caso noi pensiamo possa scendere a livelli normali. Finora non c'è stata un'esplosione come alcuni paventavano, ma ovviamente noi siamo preoccupati e un Governo responsabile si preoccupa per ora di spiegare la manovra e, quindi, di guidare negli incontri gli investitori a una tranquillizzazione dei mercati e, quindi, far scendere lo spread. Se uno ipotizza catastrofi, ovviamente il Governo farà quello che sarà necessario.
  Ciò che bisognerebbe forse tutti spiegare ai mercati è che andare al 2,4 per cento di deficit, cercare cioè di utilizzare, come qualcuno ha detto, il deficit in una misura comunque limitata – infatti, programmare il deficit massimo al 2,4 per cento nel primo anno è una misura in fondo limitata, al di là dei processi di aggiustamento strutturale concordati con la Commissione europea – può sostenere la crescita. Pertanto, sappiamo che ciò è necessario anche per dare una prospettiva agli investitori che non si fidano, tant'è vero Pag. 30che anche prima di questo Governo, certamente in modo più limitato, si registrava comunque un grande differenziale dello spread tra l'Italia e Paesi come la Spagna e il Portogallo, che sono più deboli e sono entrati nei programmi di stabilizzazione.
  D'altra parte, quando si accenna ai miei presunti cambiamenti di opinione, quanto alla critica dell’austerity, che io ho portato avanti per molti anni, e spesso abbiamo scritto anche delle cose insieme su questo, onorevole Brunetta, da questo punto di vista non mi pare di aver cambiato visione. Ovviamente, queste visioni non possono essere portate avanti in modo irresponsabile. Il nostro è un quadro, quindi, programmatico.
  Quanto agli avanzi degli enti locali per il 2018-2019, sono stati già sbloccati a legislazione vigente. Con la manovra si sbloccheranno per tutti gli enti territoriali, incluse le regioni, e lo sblocco sarà a regime, quindi ci saranno nuove regole che andranno in questo senso.
  Nell'anno, l'ammontare dello sblocco si stima a regime di oltre 1,5 miliardi di euro, e si tratta di risorse immediatamente disponibili e spendibili dagli enti locali, ma continuo a dire, rispondendo anche ad altre domande: stiamo attenti quando parliamo di investimenti, di quanti vanno al Sud e via dicendo. La questione non è quanti fondi hanno a disposizione le amministrazioni, e l'abbiamo detto finora, gli enti locali o i comuni. Il problema è che non riescono a spenderli, perché in questo periodo è stata distrutta la capacità tecnica delle amministrazioni centrali, ma ancora di più degli enti locali.
  I comuni, i provveditorati non sono in grado di scrivere dei progetti. Devono andare a gara per trovare il progettista, e già là si bloccano. La questione è che mancano i progetti. Non è un problema di quanto daremo ai comuni o alle amministrazioni del Mezzogiorno. Il problema è che nel Mezzogiorno, ancor di più che al Nord, non ci sono le capacità di progettare, di scrivere progetti, e non per le grandi opere, che evidentemente procedono lungo un'altra strada, ma per fare scuole, ospedali, manutenzione, infrastrutture semplici.
  È su questo che intendiamo intervenire, e non interverremo soltanto sulla regolamentazione, sul codice degli appalti, su tutto ciò che rende difficile la parte esecutiva dei progetti e rende anche incerti e timorosi gli amministratori. Interverremo, ed è questa la novità, creando le strutture per progettare, cioè quelle strutture che debbono sostituire quello che una volta era il Genio civile, non per sostituirsi alle autonomie, ma per dare loro la possibilità di rivolgersi a questa struttura e chiedere assistenza sin dalla fase della progettazione, altrimenti non si arriva neppure agli appalti. Ci sono fondi ovunque e nulla si muove per questo motivo.
  Una volta si diceva che bisognava fare i nuclei di valutazione: ma nuclei di valutazione di che cosa, se non ci sono i progetti? Bisogna partire a monte. È questo che stiamo preparando, e questo nuovo strumento entrerà già nel disegno di legge di bilancio, con fondi adeguati, perché sono i fondi adeguati che abbiamo messo nella quota degli investimenti pubblici, evidentemente, altrimenti è inutile mettere a bilancio fondi di investimento se non ci sono a bilancio anche i fondi necessari per creare delle strutture in grado di spenderli.
  È una grossa scommessa. Sarà una grande novità. Certamente è una scommessa, ma possiamo attestarci a dire che rinunciamo solo perché finora non abbiamo speso o solo perché finora, in modo molto corretto, i Governi precedenti hanno stanziato, e lo riconosco, molti fondi per gli investimenti, che poi però non sono andati avanti? Se finora ci sono stati abusi nell'utilizzo degli interventi di protezione sociale, nel reddito di inclusione e in tanti altri benefici, bisogna intervenire sugli abusi, oppure non facciamo niente perché ci saranno gli abusi? È chiaro che non solo cercheremo di disegnare lo strumento in modo che lo stesso non si presti ad abusi, ma bisognerà anche puntare a un elemento repressivo.

  RENATO BRUNETTA. Come le Olimpiadi a Roma?

  GIOVANNI TRIA, Ministro dell'economia e delle finanze. Allora c'è stata una Pag. 31polemica sul fatto di non tenere più le Olimpiadi a Roma, perché c'è il pericolo degli abusi. Certo che ci sono stati abusi nelle vecchie Olimpiadi, ma non possiamo rinunciare a fare investimenti o a stanziare fondi e attivare nuove reti di protezione sociale e di sostegno ai redditi per paura degli abusi.
  Ovviamente, essendo responsabile personalmente – come ho già detto – ho attivato la Guardia di finanza, che ha già preparato tutti i piani di controllo finalizzati a combattere gli abusi, tant'è vero che alcuni dati di questi giorni sono stati prodotti proprio dalla Guardia di finanza. Questo dovrà essere fatto.
  Parlando di rendimenti con impatto positivo, cui accennava l'onorevole Crosetto, nelle stime abbiamo un aumento. La domanda riguardava, in particolare, che cosa ci consentirà di crescere. Ci consentirà di crescere, come ho detto, l'impatto rispetto alla legislazione vigente derivante dalla neutralizzazione dell'aumento IVA. Sono 12 miliardi di euro in meno di tasse. Qualche impatto sulla crescita questa misura l'avrà o non l'avrà?
  Si aggiungono poi nuove politiche di spesa sociale e deduzioni di imposta, un'altra manovra che in percentuale di PIL ammonta allo 0,9 per cento di maggior spesa: avrà un impatto sulla crescita almeno per lo 0,3 per cento?
  Ci saranno maggiori investimenti pubblici, che in genere determinano un effetto uno a uno. L'impatto degli investimenti pubblici sul lato del rendimento degli investimenti privati è dilazionato, ma c'è un impatto immediato anche dal lato della domanda, se questi investimenti vengono portati avanti.
  È chiaro che si arriva in tale modo a questo incremento di crescita, che non mi pare poi tanto strano. Qualcuno ha parlato, anche tra i membri del Governo, di un 3 per cento. Ma quello è un altro tipo di previsione, che non è contenuto nella manovra e nella Nota di aggiornamento del DEF 2018, bensì riguarda la fiducia per cui tutta questa operazione attiverà molto di più gli investimenti privati. Quando andiamo a discutere di un quadro macroeconomico che rappresenta il contorno, la base delle prospettive di finanza pubblica, sono state utilizzate stime precauzionali basate su modelli econometrici che sono sempre stati adottati, fino ad oggi, dal Ministero dell'economia e delle finanze.
  Vi posso assicurare che questi modelli non sono stati cambiati né sono stati cambiati ad arte i coefficienti, cosa che altrimenti sarebbe un insulto a coloro che li utilizzano, anche se io li critico e ritengo che dovremmo cambiarli, perché non solo non prevedono retroazioni di alcun tipo, ma sono anche molto cautelativi e tendono sempre a suggerire delle policy tendenzialmente restrittive.
  L'onorevole Lorenzin mi ha chiesto come impatti il reddito di cittadinanza sulla crescita. Su questo mi pare di aver risposto. Parliamo non del 3 per cento di crescita, ma solo dell'1,5, il che significa lo 0,6 di aumento rispetto al tendenziale. Questo dice la manovra e non si può fare altrimenti.
  Evidentemente, qualcuno potrebbe dire che, se andassimo alla recessione globale e nel mondo avessimo una situazione tipo quella del 2008, il commercio internazionale collassasse e il tendenziale fosse allo 0,1 per cento, la crescita conseguente al quadro programmatico sarebbe diversa, ma questo mi pare abbastanza ovvio.
  Sui mutamenti normativi per far sì che gli investimenti vadano anche alle autonomie il punto principale, a parte quelli che ho già citato, è creare quegli strumenti di aiuto alle autonomie, ovviamente facoltativi. Vorrei che tanti comuni, regioni e province fossero in grado di presentare bei progetti e spendere i fondi che hanno a disposizione, ma, se non lo fossero, tramite convenzione possono rivolgersi a uno strumento centrale che offra loro questo supporto.
  Spread a 400 punti? Spread a 500 punti? Noi siamo impegnati a cercare di far convergere lo spread che abbiamo verso i fondamentali, creando fiducia. È chiaro, se c'è uno spread a 500 punti, un Governo fa quello che deve fare di fronte a una crisi inaspettata, dal momento che noi non ce la aspettiamo. Farà quello che deve fare, ma Pag. 32adesso l'impegno è far scendere lo spread, perché non lo consideriamo giustificato rispetto ai fondamentali italiani che, ripeto, da vent'anni è l'unico Paese europeo che, tranne per un anno, ha registrato un surplus primario positivo. Noi ereditiamo dagli anni Ottanta il nostro deficit, calante, ma dal 2008 in poi, applicando una serie di ricette, il nostro rapporto debito/PIL è di molto aumentato, ed è aumentato fino ad oggi.
  L'onorevole Marattin mi chiedeva: ci può portare un episodio in cui, aumentando il numeratore, che non aumentiamo di molto, c'è una riduzione del rapporto debito/PIL? Io posso chiedere: mi porti la prova contraria in Italia di che cosa è accaduto dal 2008 a oggi. Abbiamo la prova che, agendo soltanto sul numeratore, il rapporto debito/PIL sia sceso? Ma non solo nel rapporto con il PIL, il debito è aumentato anche in valore assoluto.
  Senza criminalizzare le politiche portate avanti fino ad oggi, il fatto che sia necessario un aggiustamento era chiaro agli economisti di ogni tendenza anche prima di questo Governo, e di questo stiamo parlando e ci prendiamo la responsabilità.
  Il senatore Pichetto Fratin parlava di azioni per la crescita e di investimenti. Non è che devo rispondere. Credo di aver già risposto.
  Posso solo aggiungere che non ci sono investimenti se ci si aspetta bassa crescita. Gli investimenti pubblici sono crollati del 33 per cento, anzi ancora di più contando l'ultimo anno, rispetto al 2008, ma anche gli investimenti privati in tutto questo periodo hanno avuto una bassissima crescita, e ciò non solo in Italia.
  Gli investitori si fidano e valutano la sostenibilità di lungo periodo di un debito guardando soprattutto al tasso di crescita e alla capacità di attrarre investimenti con un tasso di crescita più elevato, per quanto ovviamente anche a politiche finanziarie o fiscali irresponsabili, ma non è questo il caso. Guardano anche alla stabilità sociale, che può portare a provvedimenti contrari al libero mercato. Guardano anche alla stabilità politica. È al complesso di queste cose che guardano coloro che debbono mettere i loro soldi in un'obbligazione qualunque o anche nei titoli di Stato.

  RENATO BRUNETTA. Se tutti vendono? C'è qualcosa che non va.

  GIOVANNI TRIA, Ministro dell'economia e delle finanze. Oggi non tutti vendono. Se tutti vendono, avremo un deflusso di capitali, di depositi. Se tutti vendono, si dovrà affrontare la situazione, ovviamente.
  Se si pone il problema di che cosa farà il Governo se ci sarà una crisi economica generale o una crisi finanziaria, la risposta è che il Governo farà quello che deve fare, come ha fatto Draghi quando ha preso posizione.

  RENATO BRUNETTA. Questo è apodittico.

  GIOVANNI TRIA, Ministro dell'economia e delle finanze. Certo, ma la risposta è apodittica perché questa è l'unica risposta che si può dare.
  In merito agli interventi sulle pensioni, di carattere temporaneo o meno, ho già risposto.
  Riprendo il richiamo dell'onorevole Lupi ad abbassare i toni, innanzitutto perché credo che sia sempre bene usare toni bassi, ma anche perché entriamo in un periodo di dialogo costruttivo con la Commissione europea, come ho scritto nella mia lettera inviata alla Commissione medesima e come ha scritto alla fine della sua lettera, nella sua risposta, la Commissione stessa.
  Per quanto concerne l'atteggiamento rispetto ai privati, mangiatoia o no, io giudico dai provvedimenti ed i provvedimenti che si stanno preparando non vanno in questa direzione.
  Ho risposto già che la spesa è immediata dal lato della domanda, anche se poi chiaramente ci sono gli effetti di lungo periodo, ovvero gli investimenti e il tipo di spesa che aiutano l'occupazione dei giovani oggi e l'occupazione dei giovani domani. È per questo che noi dobbiamo puntare sugli investimenti, non solo mettendo fondi, ma cercando anche di affrontare di petto i problemi che ci sono stati su questo piano. Pag. 33
  Uno Stato, un Governo, amministrazioni locali che non siano in grado di fare investimenti pubblici, di dare le infrastrutture necessarie a un'economia moderna e a coloro che vogliono fare investimenti reali nel nostro territorio si votano al fallimento.
  Credo di aver risposto alle principali domande dell'onorevole Marattin. Quando parla della stima di uno spread a 240 punti, rammento che quest'ultimo era il livello elevato che c'era, secondo le convenzioni di stima, al momento delle stime con i nostri modelli econometrici.
  L'azione di vendita di beni dello Stato pari allo 0,9 per cento del PIL che viene considerata incredibile è spalmata in tre anni, ovvero 0,3 per cento all'anno, né più né meno di quanto è avvenuto negli anni passati. Io sto commentando quello che abbiamo messo nella Nota di aggiornamento del DEF 2018, quindi quello che pensiamo che sarà fatto a sostegno della riduzione del debito.
  Tuttavia, voglio far notare che la riduzione del debito non dipende da forme di privatizzazione o di intervento sullo stock del debito di questo tipo, ma dal fatto che le variabili fondamentali che determinano la decrescita del debito sono tali da far decrescere il debito. Mi riferisco al tasso di crescita nominale, al tasso medio implicito sul debito e al surplus primario. Queste sono le variabili, le eventuali privatizzazioni sono semplicemente un di più.
  Anche i 15 miliardi di euro sono nei tre anni, sono il cumulo dei maggiori investimenti nel 2019, nel 2020 e nel 2021. Poiché questi investimenti rappresentano un aumento di capitale e, quindi, di stock, è corretto dire che alla fine del periodo ci sono 15 miliardi di euro in più di stock di capitale, se ovviamente verranno fatti.
  Sul Sud è chiaro che del reddito di cittadinanza usufruirà molto più il Mezzogiorno che il Nord, quindi di per sé è un provvedimento a favore del Mezzogiorno. Il problema è che questo tipo di sostegno della domanda al Sud è da vedere insieme agli altri provvedimenti, cioè agli investimenti nel Mezzogiorno che possono creare l'ambiente favorevole a nuove iniziative imprenditoriali.
  Sono d'accordo che quando il lavoro non c'è è inutile tentare di far coincidere meglio domanda e offerta di lavoro, ma bisogna essenzialmente crearlo. Questi sono i presupposti. D'altra parte, non mi pare che finora le vecchie politiche abbiano portato dei progressi in questa direzione. Noi andremo in questo senso.
  Ovviamente siamo consapevoli delle regole costituzionali, quindi da questo punto di vista cercheremo di spiegare l'eccezionalità del momento che noi consideriamo e poi ovviamente non spetterà a noi giudicare su questo punto, ma ci sono delle regole istituzionali e costituzionali.
  Sul deficit strutturale che rimane fisso e sul problema dell’output gap mi pare di aver già risposto.

  STEFANIA PRESTIGIACOMO. Il bando periferie ci sarà?

  GIOVANNI TRIA, Ministro dell'economia e delle finanze. Guardi, tra poco verrà presentato il disegno di legge di bilancio, nel quale saranno indicati in modo più specifico i provvedimenti, e su quei provvedimenti e su come sono disegnati si potrà discutere. Qui stiamo discutendo del quadro macroeconomico e del quadro di finanza pubblica entro il quale verranno inserite le varie misure che saranno presentate al Parlamento con il disegno di legge di bilancio.

  PRESIDENTE. Ringrazio molto il Ministro per le risposte. Le domande sono state tante e c'è stato bisogno necessariamente di una sintesi.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti
della Banca d'Italia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2018, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, Pag. 34 di rappresentanti della Banca d'Italia.
  Al fine di assicurare l'ordinato svolgimento dei lavori delle Commissioni, avverto che dopo l'intervento dei rappresentanti della Banca d'Italia sono previsti interventi per ciascun gruppo fino a un massimo di due. Invito, quindi, i rappresentanti degli omologhi gruppi di Camera e Senato, d'intesa fra loro, a far pervenire al banco della presidenza durante lo svolgimento della relazione i nominativi dei componenti del proprio gruppo designati a intervenire.
  Nel dare la parola al dottor Luigi Federico Signorini, vicedirettore generale della Banca d'Italia, lo ringrazio per la partecipazione alla seduta odierna.

  LUIGI FEDERICO SIGNORINI, vicedirettore generale della Banca d'Italia. Grazie a lei, presidente. Il mio ringraziamento va alle Commissioni bilancio della Camera e del Senato per aver offerto ancora una volta alla Banca d'Italia la possibilità e l'occasione di fornire le proprie valutazioni tecniche nell'ambito delle consultazioni sulla Nota di aggiornamento.
  Comincio come di consueto dal quadro macroeconomico per fare alcuni cenni molto rapidi. Dopo la profonda crisi degli anni che vanno dal 2008 al 2013 e la doppia recessione di quegli anni, l'economia italiana è ormai in ripresa da oltre cinque anni. L'anno scorso la crescita del prodotto è stata dell'1,6 per cento. Vi hanno contribuito tutte le componenti della domanda interna ed estera.
  Nel 2018 la crescita si è progressivamente attenuata, nonostante la sostanziale tenuta della domanda interna, risentendo soprattutto del rallentamento del commercio mondiale. Le vendite al di fuori dell'Unione europea sono tuttavia tornate a crescere in agosto.
  Il timore di un ulteriore acuirsi delle tensioni commerciali sembra aver intaccato la fiducia delle imprese a livello internazionale e rischia di riflettersi sull'attività economica, anche al di là dell'impatto diretto sugli scambi commerciali delle misure protezionistiche finora attuate. La situazione resta incerta. L'economia italiana è molto aperta al commercio con l'estero e, dunque, esposta ai relativi rischi.
  Venendo alla congiuntura interna, la produzione industriale è diminuita fortemente in luglio, secondo l'ultimo dato diffuso dall'ISTAT. Recentemente la variabilità statistica dell'indice si è accentuata, dunque il significato di un singolo dato non deve essere sopravvalutato. Secondo le nostre stime, naturalmente molto preliminari, che sono basate sulle informazioni più aggiornate sui consumi di energia e sui movimenti di merci, nei due mesi successivi potrebbe esserci stato un recupero. Resta comunque probabile un ristagno complessivo della produzione industriale nel terzo trimestre. L'andamento del quarto, appena iniziato, condizionerà la crescita della produzione che si riuscirà a conseguire nel 2019, fissandone il punto di partenza. Anche l'indice basato sulle valutazioni dei responsabili degli acquisti delle imprese, le famose piccole e medie imprese del settore industriale, è sceso nei mesi estivi.
  I segnali congiunturali più recenti sono, invece, migliori nel settore dei servizi. Secondo la nostra indagine trimestrale condotta in settembre, le imprese continuano a prevedere un aumento degli investimenti nel 2018, anche se in misura meno accentuata di quanto atteso sei mesi fa.
  I dati sul mercato del lavoro restano nel complesso positivi. Il numero degli occupati in agosto era di 300.000 unità più elevato che alla fine dello scorso anno, riflettendo soprattutto l'incremento dei dipendenti a tempo determinato. Si conferma, quindi, l'elevata intensità di occupazione della ripresa.
  Nelle ultime settimane si sono accentuati i segnali di tensione sui mercati finanziari e i rendimenti dei titoli di Stato – non vi do una notizia – sono tornati a salire. Ne hanno risentito le condizioni di raccolta e le valutazioni di mercato delle banche. Agli inizi di ottobre le quotazioni azionarie del comparto bancario risultavano in marcato calo e i premi sui credit default swap dei principali istituti in forte aumento rispetto alla prima parte dell'anno. Pag. 35
  Quanto alle prospettive, una prosecuzione della crescita congiunturale, sebbene alquanto rallentata, rimane a tutt'oggi la previsione centrale. Nel Bollettino economico di luglio prefiguravamo un aumento del PIL pari all'1,3 per cento quest'anno, senza correggere per il numero delle giornate lavorative – faccio questa precisazione perché quando discutiamo di numeri piccoli anche il numero di giornate lavorative fa una certa differenza, con la conseguenza che, qualora corretto per effetto di tale variabile, l'aumento del PIL sarebbe pari all'1,2 – e all'1 per cento nel 2019, ipotizzando in questa previsione la completa disattivazione delle clausole di salvaguardia relative alle imposte indirette.
  Le informazioni più recenti suggeriscono che, a parità di ipotesi sulle politiche economiche, la crescita dovrebbe essere leggermente inferiore sia quest'anno sia il prossimo.
  Si sono acuiti i rischi legati soprattutto all'andamento del commercio mondiale e alle condizioni dei mercati finanziari, in particolare in Italia. L'accentuazione degli orientamenti protezionistici delle politiche commerciali, le perduranti tensioni geopolitiche in diverse aree e le relative ripercussioni sulla fiducia delle imprese potrebbero indebolire l'attività economica mondiale nel prossimo anno attenuando l'impulso fin qui fornito dal contesto internazionale alla nostra economia. Il commercio internazionale ha già rallentato. Sul piano interno, un protrarsi delle tensioni sul mercato finanziario avrebbe effetti avversi sulle condizioni di finanziamento di famiglie e imprese e sulla domanda interna.
  Il quadro macroeconomico tendenziale del Governo, che non sconta la disattivazione delle clausole di salvaguardia sulle imposte indirette, prefigura una crescita del PIL pari all'1,2 per cento quest'anno e allo 0,9 il prossimo. Questo valore è all'interno dell'intervallo delle stime attualmente disponibili, anche se si basa, per quanto riguarda in particolare il futuro, su ipotesi sulle variabili esogene relativamente favorevoli rispetto agli ultimi andamenti. Nel biennio 2020-2021, il PIL aumenterebbe dell'1,1 per cento.
  Il quadro programmatico innalza le previsioni di crescita del PIL all'1,5 per cento l'anno prossimo, all'1,6 nel 2020 e all'1,4 nel 2021, grazie all'effetto dei provvedimenti inclusi nella manovra.
  L'impatto previsto di questi ultimi è elevato. La stima del Governo presuppone che i valori dei moltiplicatori delle misure espansive siano superiori a quanto generalmente stimato per l'Italia e che le misure delineate nella Nota forniscano uno stimolo all'attività già fin dai primissimi mesi dell'anno. Per una valutazione più compiuta occorrerebbero dettagli non ancora disponibili sulla composizione, sul disegno e sulle modalità di attuazione delle misure, incluse le relative coperture.
  Mentre per il 2019 gli aumenti dell'IVA previsti dalle clausole di salvaguardia vengono aboliti, per il 2020 e il 2021 il quadro programmatico continua a includerle almeno per una parte. Esso comporta, quindi, un futuro aumento delle imposte dirette, la cui struttura e dimensione non sono indicate nella Nota. Credo che il Ministro dell'economia e delle finanze abbia fornito qualche dettaglio durante l'audizione che mi ha preceduto. Il Governo ha, però, già annunciato che non intende dare effettiva attuazione a quest'aumento e che lo sostituirà con altri interventi di riduzione della spesa e di potenziamento dell'attività di riscossione delle imposte, anch'essi al momento non precisati.
  Accanto all'effetto diretto della manovra sull'attività economica, occorre considerare quello sulla fiducia dei risparmiatori e del mercato. Tornerò su questo punto nella parte conclusiva del mio intervento.
  La Nota di aggiornamento rivede la stima dell'indebitamento netto per il 2018, portandola all'1,8 per cento del PIL rispetto all'1,6 indicato nel DEF dello scorso aprile. La revisione è dovuta a una riduzione delle entrate per 3,9 miliardi di euro, connessa anche con il peggioramento della crescita attesa del prodotto e a un aumento della spesa per interessi per 1,9 miliardi di euro.
  Rispetto al 2017 l'indebitamento netto diminuirebbe di oltre mezzo punto percentuale Pag. 36 del prodotto per effetto dell'aumento dell'avanzo primario, in misura pari a 0,4 punti, e del calo della spesa per interessi, in misura pari a 0,2 punti. La pressione fiscale si ridurrebbe dal 42,2 per cento dell'anno scorso al 41,9, soprattutto per effetto della dinamica delle imposte dirette.
  I dati finora osservati sull'andamento del fabbisogno e degli incassi del bilancio dello Stato appaiono in linea con una riduzione dell'indebitamento netto nell'anno in corso.
  Nel quadro programmatico il disavanzo strutturale, ossia al netto degli effetti del ciclo economico e delle misure temporanee, si porterebbe allo 0,9 per cento del prodotto. Secondo la Nota, quest'anno l'incidenza del debito sul prodotto diminuirà leggermente, dal 131,2 per cento della fine del 2017 al 130,9. La riduzione è di quasi un punto inferiore a quella stimata in aprile a causa del più elevato indebitamento netto atteso e, soprattutto, della minor crescita del PIL nominale.
  Veniamo ai saldi di finanza pubblica negli anni 2019-2021, cominciando, come di consueto, dal quadro cosiddetto tendenziale, ossia più propriamente dalle previsioni a legislazione vigente.
  La Nota rivede le previsioni di indebitamento netto a legislazione vigente rispetto al DEF di aprile nel triennio 2019-2021, cioè l'orizzonte di programmazione, alzandole di 0,4 punti percentuali del PIL per il prossimo anno e di 0,7 punti percentuali in ciascuno dei due anni successivi. La revisione tiene conto di un peggioramento delle prospettive di crescita del prodotto e di una maggiore spesa per interessi, in misura pari a oltre un decimo di punto in più nel 2019, a due decimi nel 2020 e a tre nel 2021.
  Nonostante questa revisione, l'indebitamento netto tendenziale continuerebbe a diminuire, anche grazie alle clausole di salvaguardia, il cui effetto è pari a sette decimi di punto percentuale del prodotto nel 2019 e a un punto dal 2020. In rapporto al PIL esso scenderebbe all'1,2 per cento nel 2019, allo 0,7 nel 2020 e allo 0,5 nel 2021.
  Il pareggio nominale di bilancio, che sarebbe stato raggiunto nel 2020 secondo il DEF di aprile, non verrebbe più conseguito neppure nel 2021. L'avanzo primario, pur aumentando gradualmente fino al 3,3 per cento del PIL nel 2021, sarebbe inferiore alla stima dello scorso aprile di quattro decimi di punto percentuale in media all'anno.
  La spesa per interessi aumenterebbe costantemente fino a raggiungere il 3,8 per cento del PIL nell'ultimo anno considerato. Il maggiore onere per interessi rispetto alle stime di aprile, basate sui tassi d'interesse allora prevedibili, sarebbe di circa 3 miliardi di euro nel 2019, quasi 4 nel 2020 e 4,5 nel 2021. Se le tensioni registrate nelle ultime due settimane e acuitesi negli ultimi giorni non rientrassero, la spesa per interessi potrebbe risultare più elevata di quanto prefigurato nella Nota.
  Rispetto al quadro tendenziale, il Governo nello scenario programmatico prevede di accrescere l'indebitamento netto del 2019 di oltre un punto percentuale, fissandolo al 2,4 per cento del PIL. Nel biennio successivo il disavanzo tornerebbe a calare. Vi contribuirebbe anche la parziale attivazione delle clausole di salvaguardia, con un aumento dell'IVA. L'entità di quest'ultima previsione non è specificata nella Nota e, come ho già osservato, il Governo ha già annunciato di non volervi ricorrere.
  In passato le clausole di salvaguardia servivano a prefigurare, se attivate o sostituite con misure equivalenti, il conseguimento del pareggio di bilancio nel periodo di programmazione. Nella Nota esse contribuiscono solo a riportare il disavanzo, alla fine dell'orizzonte di previsione, più o meno alla situazione di partenza del 2018. La Nota non prevede in effetti una riduzione del disavanzo strutturale; essa ne programma, anzi, un aumento di 0,8 punti percentuali del prodotto l'anno prossimo, portandolo all'1,7 per cento, e l'invarianza nel biennio seguente.
  Il Governo annuncia l'intenzione di riprendere il processo di consolidamento nel 2022, primo anno successivo all'orizzonte di programmazione. Il percorso sarebbe Pag. 37anticipato solo nel caso in cui entro il 2021 il prodotto e l'occupazione tornassero ai livelli precedenti la crisi.
  Il disavanzo strutturale resterebbe su un livello elevato per un Paese caratterizzato da un alto debito e non lascerebbe molti margini di azione nel caso in cui si rendesse necessario fronteggiare una nuova situazione di rallentamento ciclico.
  Come ho già ricordato, nelle stime del Governo l'orientamento espansivo della manovra di bilancio innalza le previsioni di crescita del prodotto reale di circa mezzo punto percentuale all'anno, all'1,5 per cento in media nel prossimo triennio. Gli effetti macroeconomici della manovra dipendono dalla sua composizione e dal disegno delle singole misure. Una valutazione sarà, quindi, possibile solo quando i dettagli saranno noti.
  La Nota anticipa comunque le principali aree di intervento. Innanzitutto, verrebbero completamente disattivate le clausole di salvaguardia sulle imposte indirette previste per il prossimo anno e rimodulate quelle degli anni seguenti.
  Nelle nostre valutazioni, basate sul modello econometrico trimestrale della Banca d'Italia, l'effetto espansivo di tale intervento dovrebbe essere limitato. Questa valutazione, del resto, è in linea con le stime del Governo riportate nella Nota. L'impatto potrebbe essere ancora inferiore, o addirittura nullo, se il mancato aumento dell'IVA fosse già stato incorporato nelle aspettative delle famiglie.
  Contestualmente verrebbe ampliata la platea dei beneficiari del regime semplificato di imposizione su piccole imprese, professionisti e artigiani.
  Il Governo ha annunciato l'intenzione di introdurre nel 2019 un nuovo strumento di contrasto alla povertà, il reddito di cittadinanza, e di modificare i requisiti per il pensionamento, rendendoli meno stringenti.
  L'aumento dei trasferimenti correnti, quali quelli connessi con la spesa sociale, così come gli sgravi fiscali, tendono ad avere effetti congiunturali relativamente modesti e graduali nel tempo. Stimiamo che il moltiplicatore del reddito associato a questi interventi sia appunto contenuto.
  Con riferimento al reddito di cittadinanza, il perseguimento dell'obiettivo di protezione sociale non deve disincentivare l'offerta di lavoro. Determinante a questo fine è innanzitutto il livello del beneficio rispetto al salario potenziale che il lavoratore sarebbe in grado di guadagnare sul mercato. Possono essere studiate, anche sulla scorta di esperienze di altri Paesi, forme opportune di modulazione.
  La questione è importante non solo per valutare l'impatto congiunturale della misura sul prodotto e sull'occupazione, ma anche, e io forse direi soprattutto, per affinare lo strumento in una prospettiva di più lungo termine.
  Gli elementi di condizionalità a cui il beneficio dovrebbe essere legato, in particolare la sua decadenza dopo un certo numero di offerte di lavoro, non potranno operare efficacemente se non con un adeguato potenziamento dei centri per l'impiego.
  In ambito previdenziale, verrebbero resi meno stringenti i requisiti per il pensionamento. I dettagli dovrebbero essere precisati in seguito. Abbiamo spesso ricordato che, nell'introdurre maggiore flessibilità circa l'età del pensionamento, è necessario garantire l'equivalenza attuariale dei trattamenti previsti se si intende preservare la sostenibilità a lungo termine del sistema pensionistico, oggi un fondamentale elemento di forza delle finanze pubbliche italiane. Adopero il termine «fondamentale» non a caso.
  Il Governo intende, inoltre, stanziare risorse aggiuntive per gli investimenti pubblici per un importo pari a due decimi di punto percentuale del PIL nel 2019, per arrivare a oltre tre decimi nel 2021, invertendo la tendenza degli ultimi anni. A partire dal 2010, infatti, gli investimenti pubblici sono costantemente diminuiti in rapporto al PIL. Il valore del 2017 era il 2 per cento rispetto al PIL, mentre quasi il 3 per cento era stata la media del decennio precedente.
  La spesa per investimenti può avere un impatto significativo sulla crescita del prodotto. Pag. 38 Mi permetto di ricordare quello che altre volte ho ricordato in questa sede, cioè che la spesa per investimenti comporta un impulso alla domanda, quindi un impulso di tipo congiunturale; se, però, ben scelta, ben fatta, comporta anche un consolidamento della struttura economica dell'offerta, la cosa più importante nel lungo periodo, sempreché, appunto, gli investimenti concorrano ad accrescere strutturalmente la capacità produttiva.
  L'enfasi che il Governo pone sulla ripresa di un significativo programma di investimenti è, dunque, condivisibile.
  L'efficacia di tale programma dipende da caratteristiche che nel nostro Paese non sono scontate: la rapida attuazione, e sentivo il Ministro prima parlare, in particolare, della necessità di disporre a tutti i livelli, centrale e locale, di competenze tecniche per l'effettiva attuazione, per l'effettivo avvio degli investimenti finanziati e decisi; l'efficienza degli interventi; l'attenta selezione dei programmi per individuare quelli in grado di determinare un effettivo incremento qualitativo e quantitativo del capitale pubblico.
  Data la contrazione dell'ultimo periodo, è ben verosimile che esistano ampi margini per investimenti profittevoli, ma solo se opportunamente selezionati ed efficientemente attuati, essi potranno determinare esternalità positive per lo sviluppo dell'economia. Mi permetto qui di rinviare a un recente intervento sull'argomento che ha fatto il Governatore della Banca d'Italia, Visco.
  Dati i tempi richiesti per individuare gli interventi e portare a termine le fasi progettuali e di assegnazione dei lavori, l'effettivo incremento della spesa potrebbe tardare a manifestarsi, riducendo l'apporto degli investimenti all'impulso congiunturale, perlomeno nel breve o brevissimo periodo.
  Infine, la valutazione degli effetti della manovra, in termini sia di stimolo alla crescita sia con riferimento ai saldi della finanza pubblica, richiederà un esame attento delle coperture una volta che queste saranno compiutamente definite.
  Secondo i programmi del Governo, l'incidenza del debito sul PIL, che si prevede raggiunga il 130,9 per cento alla fine dell'anno in corso, nel prossimo triennio si ridurrebbe in media di 1,4 punti percentuali all'anno, portandosi nel 2021 al 126,7 per cento. Rispetto al quadro tendenziale, il calo annuale del quadro programmatico sarebbe inferiore in media di circa 0,7 punti. L'ampliamento dell'indebitamento netto – 1,3 punti percentuali in media all'anno – sarebbe compensato, ma solo in parte, dalla maggior crescita del prodotto nominale.
  La dinamica del rapporto tra il debito e il PIL per il prossimo triennio sconta una lieve riduzione delle disponibilità liquide del Tesoro di circa un decimo di punto percentuale del PIL all'anno. Si basa, inoltre, su proventi attesi da dismissioni stimati in 0,3 punti percentuali del prodotto all'anno nel 2019 e nel 2020, un valore in linea con quello previsto nei documenti programmatici degli ultimi due anni.
  L'evoluzione del rapporto tra debito e prodotto dipende dal livello dell'avanzo primario e dal divario tra l'onere medio degli interessi sul debito e il tasso di crescita dell'economia. L'espressione «R-G» che spesso si sente dire indica esattamente questa cosa. L'andamento dei tassi d'interesse ha effetti considerevoli.
  A differenza dell'anno scorso, la Nota non contiene un'analisi di sensibilità della dinamica del rapporto a fronte di shock alla crescita e ai tassi d'interessi, né scenari alternativi nel medio periodo.
  Il debito pubblico italiano ha una vita media residua elevata, che è cresciuta abbastanza significativamente negli ultimi tempi, superiore oggi a sette anni, il che rende graduale nel tempo l'effetto di un aumento dei tassi all'emissione sull'onere medio del debito. Ciò nonostante, si può stimare che, ai tassi attuali, già nel 2021 la spesa per interessi sarebbe superiore di circa 0,6 punti percentuali del prodotto rispetto alle previsioni fatte in aprile.
  Come la Banca d'Italia ha ricordato in più occasioni, il contenimento del debito nel lungo periodo presuppone anche la capacità della finanza pubblica di fare fronte Pag. 39all'aumento della spesa determinato dall'invecchiamento della popolazione.
  La Nota sottolinea giustamente che le riforme pensionistiche introdotte negli ultimi vent'anni hanno significativamente migliorato sia la sostenibilità sia l'equità intergenerazionale del sistema pensionistico italiano. Consentitemi di dire che è fondamentale non tornare indietro su questi due fronti, soprattutto quando, come viene messo in evidenza dalle ultime previsioni di lungo periodo della Commissione europea sulla spesa connessa all'invecchiamento della popolazione, i rischi per la sostenibilità dei conti pubblici aumentano anche a causa del peggioramento delle proiezioni demografiche.
  Il ritorno dell'economia italiana a uno sviluppo economico sostenuto è questione strutturale e dipende dalla prosecuzione delle riforme di tutti quegli aspetti dell'azione pubblica e del funzionamento dell'economia e della società che influenzano la competitività delle imprese.
  Molta strada è stata percorsa: il prodotto interno lordo, seppure ancora inferiore a quello di prima della crisi, è cresciuto di oltre 5 punti dal minimo del 2013 e gli investimenti di quasi 15 punti; il numero degli occupati è salito di oltre un milione di unità e ha raggiunto in questo modo un massimo storico; il tessuto produttivo del Paese si è rafforzato, specie nel settore delle imprese esportatrici; le difficoltà del sistema bancario si sono alleviate, col miglioramento dell'economia reale e con la riduzione delle esposizioni deteriorate; la bilancia dei pagamenti, sempre a proposito dei fondamentali, registra un avanzo del conto corrente dal 2013; a giugno la posizione debitoria netta del nostro Paese era pari al 3,4 per cento del PIL, cioè quasi 20 punti percentuali in meno rispetto al 2013.
  Sono tuttavia ancora elevati gli squilibri nel mercato del lavoro, ampia la perdita di reddito accumulata rispetto a dieci anni fa, acuti i problemi di povertà e di esclusione sociale. Sebbene i momenti drammatici della passata crisi siano ormai da anni alle nostre spalle, c'è ancora molto da fare per porre l'economia italiana su un sentiero stabile di maggiore crescita. Creare più ricchezza e più lavoro è essenziale anche per aiutare chi è più vulnerabile.
  Occorre innalzare l'efficienza dei servizi pubblici, accrescere il capitale umano, rafforzare i meccanismi della concorrenza. Sono questioni che attengono a misure di carattere strutturale su cui negli interventi della Banca d'Italia siamo tornati molte volte.
  Resta, inoltre, da piegare con decisione verso il basso l'incidenza del debito sul prodotto. Il debito è per l'Italia il grande moltiplicatore delle turbolenze. Data la sua mole e la necessità di finanziarne ogni anno un ammontare non indifferente – conoscete questa cifra di circa 400 miliardi di euro – la minaccia di innescare un circolo vizioso tra costo e incidenza del debito, con ripercussioni sull'economia reale, è sempre presente.
  Il debito, come è stato ricordato anche nella discussione precedente, è oggi detenuto per circa due terzi da soggetti e istituzioni italiane, ma ciò non lo isola dalla logica del mercato, che cerca il rendimento e fugge l'incertezza. Le oscillazioni del suo valore esercitano i propri effetti anche sui soggetti italiani – famiglie, imprese e istituzioni finanziarie – che lo detengono. In ultima analisi, al debito pubblico fa riferimento una parte importante del nostro risparmio. Una minore valutazione dei titoli di Stato in portafoglio incide sui requisiti patrimoniali delle banche e, oltre certi limiti, può ridurne la capacità di offrire credito all'economia.
  La Nota di aggiornamento programma un significativo stimolo congiunturale all'economia in conseguenza dell'aumento del disavanzo. Per conseguirlo, è necessario ipotizzare moltiplicatori elevati, che non possono darsi per scontati. Ma l'efficacia delle politiche di bilancio nel sostenere l'economia dipende anche dalla capacità dell'azione del Governo di mantenere la fiducia dei risparmiatori e dei mercati nel percorso di risanamento delle finanze pubbliche.
  Pur considerando un pieno dispiegarsi degli effetti espansivi previsti nella Nota di aggiornamento del DEF in conseguenza della Pag. 40manovra, la Nota medesima prefigura una diminuzione più lenta, rispetto sia all'andamento tendenziale sia alle possibilità offerte dall'attuale congiuntura, del rapporto tra debito e prodotto e rinvia a una data imprecisata il conseguimento dell'equilibrio di bilancio.
  Dato l'elevato ammontare di titoli di debito che lo Stato italiano deve periodicamente collocare sul mercato, la possibilità dell'insorgere, anche improvviso, di turbolenze finanziarie richiede che si dia chiarezza e certezza al percorso di rientro. La credibilità si alimenta da sé: consolidando la fiducia di risparmiatori e investitori, si fa scendere il premio al rischio sul debito della Repubblica, si agevola il percorso e lo si mette in sicurezza.
  Altro elemento di attenzione sono le coperture della manovra. Nel precisare in dettaglio gli interventi previsti, sarà opportuno evitare, a mio avviso, che a misure espansive permanenti facciano fronte anticipi di entrate, coperture temporanee o clausole di incerta applicazione.
  Ridurre il divario di crescita rispetto all'Europa, come è scritto nella Nota, è un obiettivo fondamentale. È necessario anche per mettere sotto controllo il rapporto tra debito e prodotto. Una crescita più sostenuta e una maggiore coesione sociale non sono in contrasto con la disciplina di bilancio. Risultati duraturi si possono conseguire percorrendo la strada della ricomposizione del bilancio pubblico, con una più alta quota degli investimenti produttivi, una più equa ripartizione del carico fiscale, una maggiore capacità perequativa dei trasferimenti pubblici.
  Tali risultati presuppongono anche interventi strutturali, per incidere sulla capacità di fondo dell'economia italiana di crescere di più e sulla crescita del potenziale dell'economia, al di là delle oscillazioni congiunturali, al di là quindi anche degli stimoli di breve durata.
  Ogni miglioramento conseguito, grazie all'intervento pubblico, sul fronte del reddito e della sua distribuzione sarà tanto più solido quanto più fondato su solide coperture di bilancio e quanto più accuratamente disegnato per tenere conto degli incentivi a creare reddito e lavoro, che è la via più certa per combattere la diffusione della povertà. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio il vicedirettore Signorini per l'esposizione.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MAURA TOMASI. Ringrazio il vicedirettore generale. Vorrei porre un quesito e chiedere a quanto ammontano gli interessi che saranno incassati sui titoli di Stato ricomprati con il quantitative easing e che cosa si intenda fare con questi denari.

  LUIGI MARATTIN. Buongiorno, vicedirettore. Pongo alcune questioni.
  Le prime due sono in realtà richieste di delucidazioni a queste Commissioni, cioè se lei e l'istituzione che autorevolmente rappresenta, come in parte ha già fatto nella relazione, può fornire evidenza empirica del verificarsi di due eventi che credo siano fondamentali e che sottendono alla strategia di politica economica di questo Governo.
  Il Ministro Tria ci ha confermato poco fa che gran parte di questa manovra, se non tutta, si basa su due convinzioni. La prima è che la via maestra per ridurre il rapporto debito/PIL non sia, come dice lei nella relazione, il conseguire avanzi primari stabili e duraturi nel tempo, bensì produrre una crescita congiunturale del PIL peggiorando la fiscal stance.
  Ho chiesto al Ministro, senza avere una risposta, e chiedo quindi ora a lei se può fornire alle Commissioni l'esistenza di un caso – ne basta anche solo uno – di un'esperienza storica in cui un Paese sia riuscito a ridurre il debito pubblico peggiorando in maniera strutturale e duratura la fiscal stance.
  La seconda cosa che le chiedo è di dire alle Commissioni – giacché anche tale elemento rappresenta un pilastro dell'azione di politica economica di questo Governo – se vi siano evidenze che l'abbassamento dell'età di pensionamento nel mercato del lavoro migliori il tasso di disoccupazione Pag. 41giovanile o se non vi siano piuttosto evidenze del contrario. Ci viene infatti ripetuto ormai quotidianamente che l'unico modo per far entrare i giovani nel mercato del lavoro è abbassare l'età di pensionamento.
  Le pongo inoltre una terza domanda. Sono quasi costretto, visto quello che lei affermava poco fa riguardo ai moltiplicatori sottesi a questa manovra. Le chiederei di farci avere, se vuole anche in via scritta in un momento successivo, il dettaglio della divaricazione che la Banca d'Italia ritiene vi sia fra la stima dei moltiplicatori di politica fiscale sottesi ai saldi di finanza pubblica presentati dal Governo e quelli che voi ritenete, invece, normali. Infatti, mi sembra diciate in maniera abbastanza chiara, a pagina 5, che «la stima del Governo presuppone che i valori dei moltiplicatori delle misure espansive siano superiori a quanto generalmente stimato per l'Italia». Chiederei, quindi, di far conoscere alle Commissioni la dimensione della sovrastima dei moltiplicatori secondo il vostro giudizio.
  Le ultime due questioni sono due richieste di opinioni da parte sua su due preoccupazioni che per lo meno noi abbiamo in maniera forte. Abbiamo già espresso la prima al signor Ministro poco fa, anche in quel caso senza avere grosse rassicurazioni, e la vediamo citata nella sua relazione. Mi riferisco al peggioramento del deficit strutturale per tre anni fino al 2021, che dall'attuale 0,9 passerebbe all'1,7 per cento del PIL, in un periodo in cui l’output gap sarà chiuso, cioè sarà portato a zero.
  Non ritiene che il perseguimento di questa politica fiscale così marcatamente prociclica esporrà l'Italia a gravi rischi, una volta che nel 2021 vi sarà la probabilità di un'inversione del ciclo? Ricordiamo che il ciclo degli Stati Uniti, ad esempio, sta vivendo il suo periodo più lungo, registrando più di nove anni di espansione ininterrotta, che fatalmente, prima o poi, si interromperà. Non ritiene che la decisione di peggiorare il deficit strutturale di così tanto e così a lungo, anche quando le condizioni cicliche saranno tornate pienamente in linea col prodotto potenziale, esponga l'economia italiana a un grave rischio, quello cioè di trovarsi senza munizioni per combattere un futuro, probabile indebolimento del ciclo?
  L'ultima richiesta di lenire, se possibile, le nostre preoccupazioni riguarda il circolo vizioso fra il deterioramento della finanza pubblica e, quindi, del valore dei titoli di Stato e il deterioramento della capitalizzazione degli istituti di credito. Il Ministro Tria poco fa, prima di uscire, ha ripetuto che anche uno spread a 400 punti non desterebbe preoccupazioni in quanto la durata media dei titoli di Stato, pari a circa sette anni, come richiamato anche nella vostra relazione, rende il meccanismo di trasmissione sul costo medio del debito piuttosto lento.
  Noi ribattiamo che, invece, il rischio immediato di uno spread a 400 punti c'è, ma proviene da un altro canale, nel senso che uno spread a 400 punti od oltre significa un deprezzamento molto rapido del valore dei titoli di Stato e un rapido deterioramento dell'attivo patrimoniale dei nostri istituti di credito, che sarebbe ancora più rapido qualora, malauguratamente, fra qualche settimana avvenisse un declassamento da parte delle agenzie di rating.
  Dunque, la mia domanda è: che opinione vi siete fatti sull'effetto finale di questo possibile avvitamento? La patrimonializzazione del sistema bancario italiano sarebbe a rischio nel caso di uno spread che superi determinati valori, generando in tal modo una perdita in conto capitale sui bilanci bancari? Che effetti ritenete che questo possa avere sull'economia italiana in questa fase ciclica?

  ROBERTO PELLA. Parto da una serie di considerazioni che sicuramente – invitando i colleghi della maggioranza a prestare in ciò particolare attenzione – oggi il vicedirettore Signorini ci ha messo in luce. In primo luogo, il pareggio strutturale di bilancio, che doveva essere raggiunto nel 2020 secondo il Documento di economia e finanza dello scorso aprile, non verrebbe conseguito neanche nel 2021.
  La Nota prevede per il triennio 2019-2021 un indebitamento netto in aumento rispetto al DEF 2018 dello 0,4 per cento per Pag. 42il prossimo anno e dello 0,7 per cento in ciascuno degli anni successivi. Inoltre, c'è una questione estremamente grave: nonostante il debito pubblico abbia una vita media residua elevata, si può stimare che, ai tassi attuali, già nel 2021 la spesa per interessi sarebbe superiore di circa 0,6 punti percentuali rispetto al prodotto interno lordo.
  Questi dati ci fanno ben comprendere che le preoccupazioni e i timori che oggi arrivano dai banchi dell'opposizione sono molto fondati anche negli ambienti della Banca d'Italia e, quindi, a differenza di ciò che è stato enunciato nel corso di questi giorni, si vede che dette preoccupazioni arrivano anzi e soprattutto dal mondo della Banca d'Italia.
  Peraltro, apprendo con stupore – e vorrei sapere dai colleghi presenti se hanno inteso la stessa versione – che il Ministro Tria ci ha garantito che la sterilizzazione dell'IVA era assicurata per tutti gli anni a venire. Dalla relazione che leggo del vicedirettore Signorini, invece, sembra che indubbiamente l'aumento delle aliquote IVA è sterilizzato per il 2019, ma non completamente per quello che riguarda il 2020 e il 2021. Credo che questo sia un ulteriore elemento di difficoltà, che ovviamente ci troveremo poi di fronte.
  Arrivo alle domande. In primo luogo, vicedirettore Signorini, visto che in questi giorni parliamo principalmente del differenziale tra l'Italia e la Germania e durante gli interventi di questa mattina lo spread ha fatto segnare valori pari a 310, 315 punti o chissà quanto ancora, le chiedo: non preoccupa, piuttosto, il raffronto tra il nostro spread e quello dei Paesi cosiddetti PIGS, in modo particolare Spagna, Portogallo e Grecia, che sono i nostri maggiori competitor al ribasso e registrano valori estremamente più bassi? Infatti, abbiamo una Spagna che oscilla sui 105 punti, un Portogallo sui 140, quindi comunque molto lontani dai 300 punti italiani, e soprattutto una Grecia vicino a 400. Spaventano questi dati, anche alla luce di quel rischio che fortunatamente non è ancora arrivato in Portogallo e in Spagna, ma che invece si è poi avuto in modo particolare in Grecia?
  Arrivo alla seconda domanda. Come il collega Marattin, non voglio obbligarla a rispondere in questo momento, ma credo che sarà opportuno far conoscere a tutti noi, anche nella discussione dei prossimi mesi, la percentuale del debito pubblico delle diverse amministrazioni. Dato che sono anche un sindaco e spesso si parla di amministrazioni nel loro complesso, io vorrei chiedere ai rappresentanti della Banca d'Italia se si possa avere una differenziazione precisa e chiara dell'indebitamento delle pubbliche amministrazioni suddiviso tra ministeri, regioni, province e comuni.
  In ciò mi ricollego anche a quello che ha affermato il Ministro Tria circa la necessità di promuovere il rilancio del Paese, in modo particolare sostenendo la spesa attraverso i comuni. Ricordo in proposito che purtroppo viene a mancare uno dei progetti già avviati, vale a dire il bando per le periferie. Vorrei capire questo indebitamento, anche perché credo che probabilmente la maggior parte dei tagli andrebbe operata più sui dicasteri che sui territori. Chiedo anche a lei se, per quanto compete alla Banca d'Italia, credete più in un investimento che produca PIL immediato sugli enti locali oppure a livello governativo sui ministeri.
  Infine, abbiamo una terza preoccupazione, visto che molti dei BTP sono presenti nei fondi di investimento, ma soprattutto nei portafogli delle banche, dei fondi pensioni e anche nei TFR e nelle assicurazioni sulla vita. Questi risparmi incideranno probabilmente un po’ meno sullo spread, perché come sappiamo i mutui vanno poi a incidere nei mesi successivi, ma questa è una grossa preoccupazione, quindi chiedo a lei quant'è l'incidenza oggi del nostro debito pubblico. Lei parlava di due terzi detenuti da soggetti e istituzioni italiane e di un terzo da stranieri. Quanto di questo debito pubblico è oggi in pancia alle assicurazioni, in modo particolare nei fondi pensione, che sono sicuramente argomento d'incidenza?
  Arrivo all'ultima domanda. Visto che lei stesso esprime in più di un punto la preoccupazione sul possibile aumento dello spread e, quindi, sulla possibilità che molte Pag. 43banche non forniscano più credito alle imprese, vorrei capire qual è il rischio reale, qual è lo spread ipotetico che potrebbe oggi portare nuovamente a una stagione di ricapitalizzazione delle nostre banche, che obiettivamente non potrebbe essere supportata né da investitori italiani né da investitori stranieri.
  Non le chiedo i nomi e cognomi delle singole banche, ma le chiedo secondo lei nel macrosistema bancario italiano quale potrebbe essere l'effettiva soglia di rischio oggi – non a un giorno, a due giorni, a una settimana o a un mese – che potrebbe portare a un aumento reale di capitale da parte delle banche.

  GUIDO CROSETTO. Ho una domanda molto semplice. Leggo nella relazione che voi stimate che il moltiplicatore del reddito associato a interventi come il reddito di cittadinanza sia molto contenuto. Avete ipotizzato una cifra?

  BEATRICE LORENZIN. Ho qualche domanda, perché sinceramente ci sono rimasti alcuni dubbi dalla precedente relazione del Ministro Tria, quindi forse lei potrà fornirci dei dati, se non subito anche facendoceli pervenire per scritto, che, come diceva prima l'onorevole Marattin, ci possano un po’ tranquillizzare rispetto alla portata della manovra.
  Innanzitutto, partendo dalle analisi sul mercato italiano e sull'andamento post-crisi, voi stessi affermate che l'uscita dalla recessione c'è stata e siamo in una fase nuovamente positiva dell'economia che ha portato più lavoro, ma permangono ancora moltissimi squilibri sociali e soprattutto un impoverimento del ceto medio, che ha sofferto sicuramente in modo enorme la crisi economica. Dite inoltre che la ricetta è creare più ricchezza e più lavoro, proprio per aiutare chi è più vulnerabile ed aumentare la crescita del Paese.
  Da questo punto di vista, questa manovra, che è stata definita dallo stesso Ministro Tria e da altri esponenti del Governo come una manovra espansiva, è effettivamente una manovra espansiva o no? L'impatto del reddito di cittadinanza è aggiuntivo rispetto alle misure fiscali che sono ancora un po’ nebulose? Per esempio, non sappiamo esattamente che cosa accadrà alle detrazioni.
  Dal punto di vista dell'accesso al credito ci sarà un peggioramento, in base anche all'andamento di stabilità generale dei mercati per quanto riguarda il ricollocamento dei nostri BOT? Ci sarà più difficoltà per le famiglie ad accedere ai mutui? I mutui avranno un tasso che crescerà, secondo voi, con questo andamento dello spread oppure no? Nel caso che non aumenti, le detrazioni sui mutui che sono previste fino a oggi verranno meno o no in questa manovra e come impatteranno sulla vita delle famiglie e delle aziende che devono accedere al credito per altri versi?
  La domanda è volta a cercare di comprendere fino a che punto è espansiva questa manovra dal punto di vista della crescita e dello sviluppo e quanto non lo è, nonché per quanto tempo l'aumento dello spread è sostenibile dal sistema.
  Noi abbiamo sentito dire più volte qualcosa di totalmente nuovo per gli ascoltatori, non soltanto per gli esperti di economia – e io sicuramente non lo sono – ma anche per i cittadini, cioè che noi possiamo sostenere lo spread per un certo periodo, come se questo non incidesse sull'andamento della nostra economia, ribaltandosi sul pagamento di interessi futuri e via dicendo.
  Io vorrei capire se questa cosa è vera e fino a che punto. Abbiamo sentito dire che possiamo reggere uno spread fino a 400 punti. È vero o no? Per quante settimane? Quanto capitale è stato già sprecato in questa turbolenza finanziaria che dura da mesi e quanto incide sulla manovra prevista dalla Nota di aggiornamento del DEF 2018? Quante di queste risorse non ci sono già più perché ci dobbiamo pagare gli interessi?
  Lei stesso dice che la maggior parte del nostro debito è detenuto dalle famiglie, che hanno comprato i BOT e hanno avuto fiducia nello Stato e nelle istituzioni italiane. Qualora la situazione dovesse peggiorare, che cosa accadrebbe ai risparmiatori italiani, cioè alle famiglie e alle nostre Pag. 44istituzioni che hanno comprato e continuano a comprare il nostro debito, con il quale noi paghiamo i nostri stipendi?
  L'ultima domanda è sempre sul futuro, cioè sulle pensioni. Non le rivolgo la domanda che abbiamo fatto al Ministro Tria, cioè se oggettivamente, come sostiene il Governo, ci può essere un aumento dei posti di lavoro e dell'occupazione dovuto ai pensionamenti e quanto questo sia un fattore automatico. Vorrei invece avere da lei un parere circa la sostenibilità del sistema pensionistico nell'ottica della nostra finanza pubblica, della nostra disponibilità a pagare le pensioni e rispetto anche all'andamento demografico del Paese.

  MAURO MARIA MARINO. Ringrazio il vicedirettore Signorini per l'analisi lucida e puntuale che è stata fatta, in linea con quelle a cui ci ha abituato la Banca d'Italia, e oltretutto per le parole di verità. Per noi, è infatti molto utile sia quando c'è il richiamo all'esame attento delle coperture, sia quando viene evidenziato che non ci sono scenari alternativi di medio periodo – questo faceva parte anche dell'interlocuzione che si era sviluppata prima con il Ministro Tria – sia, soprattutto, quando c'è il passaggio che riguarda in maniera precisa e puntuale la minor valutazione dei titoli di Stato. Partendo da queste premesse, farò tre domande precise e puntuali.
  La minore valutazione dei titoli di Stato, e quindi l'aumento generale dello spread, può incidere in maniera significativa sull'accelerazione del processo di creazione del terzo pilastro dell'Unione bancaria europea, cioè quello della mutualizzazione del debito?
  Vengo alla seconda domanda, su un tema già sviluppato dai colleghi Marattin, Pella e Lorenzin, ma io la formulo in maniera diversa.
  Noi abbiamo fatto come Paese una serie di interventi precisi e puntuali, in linea con quanto ci aveva richiesto l'Unione europea, per far sì che ci fosse una accelerazione, ad esempio, dal punto di vista dell'ordinamento giudiziario e dello svolgimento dei processi. Abbiamo fatto una serie di compiti. Naturalmente, adesso il tema che hanno sollevato gli altri colleghi è il seguente: qual è il livello dello spread oltre il quale alcune banche, più o meno significative, potrebbero vedere scendere i loro indici di patrimonializzazione sotto i requisiti minimi? Voi avete un'idea del livello, cioè di quale sia quest'asticella, e del numero delle banche coinvolte?
  A nessuno di noi sfugge che, più si alza il livello, più è elevato il numero delle banche coinvolte, però per capire: in questo momento, in relazione a questa variabile, qual è la solidità del sistema? Vorrei capire se la Banca d'Italia ha fatto un'analisi su questo tema.
  La terza è una questione che io trovo particolarmente delicata e che nella Nota di aggiornamento del DEF 2018 viene richiamata nella parte relativa ai disegni di legge collegati. Si fa riferimento in maniera precisa e puntuale al disegno di legge recante misure a favore dei soggetti coinvolti dalla crisi del sistema bancario, che è il cosiddetto fondo di ristoro a favore dei soggetti truffati, su cui c'è stato un grandissimo parlare sui giornali – si sono ipotizzati 1,5 miliardi di euro – che non ha niente a che fare con i tre fondi attualmente esistenti. Sull'ultimo si è intervenuti anche con il decreto-legge cosiddetto Milleproroghe, spostando i 25 milioni di euro, che permettono di accedere anche alle controversie fatte tramite Consob.
  Io ho memoria che, per fortuna, pur dopo l'entrata in vigore della direttiva BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive), siamo riusciti in tre diverse occasioni a intervenire con tre strumenti diversi, ma senza mai applicare il bail-in. C'è stata una trattativa importante e significativa tra il nostro Paese e la Commissione europea per far sì che ci fossero meccanismi di ristoro ancorati tendenzialmente al duplice parametro di 35.000 euro e di 100.000 euro, in riferimento rispettivamente al reddito e al rimborso. Oltre a quello, però, ci veniva detto che si sarebbe incorsi in una procedura di infrazione in maniera palese, proprio perché c'era la direttiva BRRD, che rappresentava un nuovo passaggio.
  Vorrei capire se avete la percezione di quelli che possono essere gli ulteriori spazi Pag. 45che permettano il ristoro di coloro che non hanno subìto delle truffe o delle ingiustizie, rispetto ai vincoli precedentemente fissati dalla Commissione europea.

  ERIK UMBERTO PRETTO. È più volte accaduto che la Germania abbia adottato uno specifico meccanismo di collocamento dei titoli pubblici, che l'hanno distinta rispetto agli altri Paesi dell'Eurozona. In modo particolare, faccio riferimento ai titoli di Stato emessi ma non sottoscritti dai partecipanti all'asta, quindi accantonati per operazioni sul mercato secondario, un'operazione evidentemente possibile solo attraverso l'intervento della Bundesbank.
  Per quale motivo non si ipotizza anche per il nostro Paese, mediante l'intervento della Banca d'Italia, di trattenere parte dei titoli di Stato emessi in asta per poi metterli in vendita in un secondo momento?

  DARIO DAMIANI. Ringrazio il vicedirettore Signorini. Sottacendo alcune domande già poste in merito ad alcuni argomenti, mi vorrei soffermare rapidamente, per poi comporre la domanda, sul quadro economico, che viene anche enunciato nella sua relazione, che oggi si fonda assolutamente su dati certi, nonché sul quadro programmatico, che invece innalza le previsioni del PIL, come anche qui viene riportato, ma avevamo ascoltato prima anche il Ministro Tria, all'1,5 per cento nel 2019, all'1,6 per cento nel 2020 e all'1,4 per cento nel 2021.
  Quello che voglio chiedere al vicedirettore Signorini riguarda, in merito alla stessa relazione, la spesa per investimenti, che, come si dice, può avere un impatto significativo sulla crescita. Abbiamo, quindi, un quadro economico fatto di dati certi, una previsione su un quadro tendenziale e la spesa per investimenti che incide sulla crescita. Nella sua stessa relazione, la Banca d'Italia dice che in pratica sulla spesa per investimenti parliamo solo di enfasi del Governo.
  La domanda che le voglio porre è: come è possibile oggi avallare una previsione di crescita del PIL così elevata a fronte delle incertezze future del quadro economico, enunciate questa mattina anche dal Fondo monetario internazionale?
  Per quanto riguarda l'ultimo quesito, già posto, sul tema della sterilizzazione degli aumenti IVA, questa mattina abbiamo anche appreso, ma la notizia era abbastanza nota, che le risorse sono previste esclusivamente per quanto riguarda il 2019. Quello che, quindi, chiedo a questo punto è: qual è l'impegno economico e finanziario per il futuro, quindi per gli anni 2020-2021? Se non è previsto, bisognerà certamente anche prevedere, se è intenzione del Governo sterilizzare gli aumenti disposti a legislazione vigente, quale può essere l'impegno economico-finanziario che si deve concentrare su quegli anni per la sterilizzazione dell'IVA.

  DANIELE PESCO. Ringrazio il vicedirettore Signorini, a cui vorrei rivolgere una domanda in merito a un punto secondo me importante della Nota di aggiornamento del DEF 2018 in cui si parla delle famose garanzie dello Stato sulle cartolarizzazioni di crediti classificati come sofferenze (GACS) e sugli unlikely to pay (UTP), comunemente detti incagli.
  Premesso quanto è successo e quanto sta succedendo con le famose garanzie sui crediti in sofferenza, e quindi sui fondi che hanno una finalità prettamente liquidatoria sulle sofferenze, potrebbe essere utile, nel caso delle GACS sugli incagli, dividere questa finalità che può essere prettamente di liquidazione, da una che potrebbe essere utile per far riprendere quantomeno gli incagli che hanno comunque la possibilità di andare avanti? Può essere utile adottare misure di sostegno delle economie reali, magari proprio attraverso queste cartolarizzazioni, che comunque portano liquidità e possono quindi portare un sostegno all'economia e alla vitalità di alcune aziende che magari si trovano in questo momento in sofferenza?
  Allo stesso tempo, vorrei chiedere se possa essere utile sfruttare questa grande liquidità dei fondi internazionali che attualmente stanno investendo sulle GACS. Purtroppo, però, dobbiamo ricordare che, facendo utili sulle GACS, si va a depauperare la ricchezza del Paese, perché alla fine Pag. 46i beni all'asta venduti a basso prezzo comunque depauperano la ricchezza del nostro Paese. Non potrebbe essere utile pensare di utilizzare l'enorme liquidità di questi fondi per misure invece espansive, quindi di sostegno all'economia reale?

  PRESIDENTE. Do la parola al vicedirettore Signorini per la replica.

  LUIGI FEDERICO SIGNORINI, vicedirettore generale della Banca d'Italia. Come al solito, le domande sono varie e impegnative. Non so se riuscirò a rispondere a tutto ma, se mi permette, darei qualche elemento di risposta perlomeno all'ultima domanda del presidente Pesco, che riguarda argomenti in parte differenti.
  Certamente il corretto trattamento degli unlikely to pay, degli incagli che possono ritornare in bonis, dal punto di vista della supervisione rappresenta un argomento molto rilevante. Dal punto di vista sia del rapporto tra il finanziamento bancario e l'economia sia dell'effettivo, corretto trattamento prudenziale di questi strumenti, è opportuno avere la massima attenzione. Certamente nel trattamento delle varie categorie di questa sigla che ormai si conosce in tutto il mondo, NPL, relativa ai non performing loans, cioè ai crediti non in bonis, è opportuno che una corretta distinzione, un corretto trattamento venga fatto per tutte queste cose.
  Quanto ai fondi che investono negli NPL italiani, naturalmente considero questa una circostanza positiva. Essendo stati considerati gli NPL italiani un importante, forse anche eccessivamente, problema di stabilità – ma certamente erano un problema che andava affrontato e andava affrontato anche eliminando gli stock –, il fatto che ci sia stato un interesse da parte di investitori privati in questo mercato ha certamente rappresentato uno sviluppo positivo degli ultimi o ultimissimi tempi.
  Naturalmente, i fondi investono per ottenere un ritorno – questo è normale – ma il mercato si è sviluppato rispetto a una situazione iniziale, in cui era un mercato solo dei venditori, solo di banche che volevano disfarsi di sofferenze o di altri crediti difficili e c'erano pochissimi compratori, quindi con un potere di mercato molto sbilanciato. Questa situazione è un po’ cambiata nel corso del tempo e credo che ciò sia importante.
  Il ruolo dei fondi di investimento o, in generale, dell'intermediazione non bancaria nel sostenere lo sviluppo costituisce un argomento molto rilevante che meriterebbe una trattazione ben più ampia.
  A un'altra domanda credo di poter dare una risposta circoscritta, ed è quella iniziale dell'onorevole Tomasi sull'ammontare complessivo dei proventi dell'Eurosistema con riferimento ai titoli di Stato. Questo non glielo saprei citare a memoria. Dove vadano a finire questi soldi dipende, naturalmente, dagli ordinamenti dei vari Paesi. Come lei sa, gli utili della Banca d'Italia, dopo una distribuzione ai partecipanti, vanno al bilancio dello Stato.
  Relativamente allo spread, qualcuno ha menzionato confronti. Io credo che la cosa importante sia, come ho detto nella presentazione, quella di dare certezza. Molti aspetti dei fondamentali italiani sono, se non ideali – la strada da percorrere è infatti ancora lunga –, certamente molto migliorati negli ultimi tempi. Ho menzionato la crescita, seppure ancora insufficiente, del prodotto; ho menzionato la crescita degli investimenti; ho menzionato i rapporti con l'estero, che costituiscono a mio avviso una questione particolarmente importante, oltre al fatto che l'Italia non abbia più un debito estero netto significativo.
  L'altro grande fattore di vulnerabilità di questo Paese certamente è stato rappresentato negli ultimi anni, ed è rappresentato tuttora, dal debito. Io ho usato l'espressione «moltiplicatore delle turbolenze»: tutte le volte che esiste a livello internazionale un cambiamento nell'atteggiamento degli investitori nei confronti del rischio, è chiaro che questo cambiamento non tocca in misura identica tutti i potenziali emettitori di strumenti. Quelli che sono considerati più vulnerabili sono toccati più facilmente. Per questo, si tratta di un problema da affrontare e credo che dare certezze su un percorso Pag. 47 chiaro di rientro rappresenti un elemento essenziale.
  Ho fatto un accenno, nella mia introduzione, agli effetti sulle banche. Desidero, prima di tutto, chiarire che le banche italiane negli ultimi anni hanno rafforzato in maniera cospicua il proprio capitale, la propria posizione patrimoniale, quindi non si pone un problema di solidità patrimoniale generale. Naturalmente, il sistema è complesso.
  Esistono dei livelli oltre cui qualche banca potrebbe trovarsi nella necessità di rivolgersi al mercato dei capitali. Tuttavia, senza evocare situazioni molto improbabili di crisi catastrofica, a me pare che la cosa più importante, su cui occorre concentrare l'attenzione, è che un livello elevato e un'elevata volatilità – anche questo è importante – dei tassi fa sì che le banche, che ovviamente devono tenere conto di questo nelle loro strategie e anche nelle loro politiche di erogazione del credito, considerando l'effetto sul proprio portafoglio dell'andamento dei tassi sui titoli di Stato, l'effetto sulle condizioni di finanziamento e sulle condizioni di provvista sul mercato, a lungo andare, oltre certi limiti, possano ridurre la loro capacità di fare credito. Non occorre immaginare scenari catastrofici per questo, è una cosa che fa parte dell'ambiente economico-finanziario.
  Dunque, ribadisco che ridare certezza, ridurre la volatilità, ridurre l'eccesso di premio di rischio che attualmente l'Italia ha nei confronti di altri Paesi comparabili è estremamente importante per tanti motivi, che riguardano l'economia dello Stato e naturalmente la finanza pubblica in primo luogo, l'economia e gli investimenti, ma riguardano anche il sistema bancario. È importante che queste cose siano tenute nella giusta considerazione.
  Per quanto concerne i moltiplicatori, mi è stato chiesto da diversi intervenuti di dare dei numeri precisi su quanto dovrebbero essere o quanto non dovrebbero essere. Mi riesce un po’ difficile dirlo, in parte per un motivo di carattere generale: i moltiplicatori sono difatti facili da definire in teoria, nei libri di testo del primo anno di economia, ma in pratica nella stima cambiano abbastanza, in quanto ci sono intervalli di stime, a seconda dell'epoca, delle condizioni e dei Paesi, ma soprattutto cambiano, anche in maniera potenzialmente molto cospicua, a seconda delle modalità effettive degli interventi.
  Se il presidente crede, posso eventualmente chiedere al collega Stefano Siviero di dire qualcosa in più sugli aspetti tecnici. Tuttavia, devo dire che forse l'occasione in cui entrare più in dettaglio su questi argomenti potrà essere la prossima presentazione del disegno di legge di bilancio, in cui alcuni interventi saranno meglio precisati, perché a quel punto sarà un po’ più agevole eventualmente entrare nel merito.
  Sull'IVA credo si sia chiarito, almeno per quello che io capisco, che l'intenzione dichiarata del Governo è quella di non fare scattare le clausole di salvaguardia nel 2020 e nel 2021. Anche su questo credo che oggi il Ministro Tria abbia fornito qualche dettaglio in più, però lo scenario programmatico continua ad avere nel 2020 e nel 2021 una parte, a mia conoscenza, non ancora chiaramente precisata rispetto agli aumenti dell'IVA previsti originariamente dalle clausole di salvaguardia. Forse sulla base delle ulteriori informazioni che verranno fornite e magari di quelle che sono state date oggi stesso, sarà possibile rispondere a domande quantitative su questo punto su cui, al momento, sarei in difficoltà a rispondere con numeri precisi.
  Che non ci sia un trade-off tra l'età di pensionamento e la disoccupazione giovanile è una cosa che mi pare di avere illustrato nella relazione introduttiva. Naturalmente su questo c'è un'ampia letteratura empirica, che si riferisce sia a studi di carattere macroeconomico, che sono forse quelli più rilevanti dal punto di vista di questa discussione, sia microeconomico, cioè andando a vedere le singole imprese. I risultati sono complessi e naturalmente adesso non potrei fare una disamina dettagliata. Nella mia introduzione c'è un riferimento in nota a una survey dell'OCSE, che fa a sua volta riferimento a una serie di indagini empiriche. Dirò anche che a un certo punto avevo chiesto ai miei colleghi di mettere nel testo dell'intervento una serie Pag. 48di riferimenti empirici. Era venuta più di mezza pagina di note a piè di pagina e ho detto: «No, troppa grazia, non esageriamo». Tuttavia, abbiamo messo almeno un riferimento a questa indagine dell'OCSE, che a sua volta può servire come survey.
  Le conclusioni sono quelle che ho detto: non esiste evidenza che aumentare l'età pensionabile riduca l'occupazione giovanile. Non esiste naturalmente in linea di massima. Il balance dei risultati empirici è che si trova ben poca evidenza di una cosa di questo genere. In alcuni casi si trovano addirittura delle complementarità tra l'occupazione giovanile e quella delle persone più anziane.
  Detto questo, sono d'accordo con coloro tra gli intervenuti che hanno detto che è comunque molto importante, come ho affermato nella mia relazione introduttiva, che il sistema pensionistico mantenga la sua caratteristica di equità attuariale. Ho sottolineato nella mia presentazione la parola «fondamentale», che era usata come sinonimo di molto importante, però è anche uno dei fondamentali dell'economia il fatto che le finanze pubbliche italiane, pur gravate dal peso di un debito pubblico finanziario molto rilevante, sono adesso in una condizione di sostenibilità di lungo periodo, che viene riconosciuta – questo è molto importante – per esempio nelle elaborazioni della Commissione europea, che è ben nota e che è un patrimonio comune.
  Pertanto, qualora si desideri intervenire sulla flessibilità dell'età di pensionamento, com'è ben legittimo fare, è importante che lo si faccia tenendo sempre presente la necessità di assicurare questa equità attuariale, quindi la sostenibilità del sistema pensionistico anche nel lungo e nel lunghissimo periodo.
  C'è una domanda tecnica che è stata posta sulle modalità di collocamento dei titoli pubblici tedeschi alla quale non sarei in grado di rispondere. Forse il collega è in grado di dare una risposta tecnica, però credo che sia opportuno precisare che si tratta comunque di modalità tecniche di collocamento. In nessun caso in Europa, per regole comuni o per trattato, le banche centrali hanno la possibilità di intervenire effettivamente sul mercato primario e sul collocamento dei titoli di Stato. Questo riguarda ognuno dei Paesi dell'Unione europea, anche al di là dell'Unione monetaria.
  Io credo di aver esaurito almeno i grandi temi. Se ci sono alcune altre cose, possiamo eventualmente affrontarle in sede separata o, se è il caso, in una successiva sede. Mi pare con questo, presidente, di poter concludere.

  PRESIDENTE. Ringrazio il vicedirettore Signorini e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta, sospesa alle 14, riprende alle 14.20.

Audizione di rappresentanti dell'ISTAT.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2018, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti dell'ISTAT.
  Al fine di assicurare un ordinato svolgimento dei lavori della Commissione, avverto che dopo l'intervento dei rappresentanti dell'ISTAT sono previsti interventi per ciascun gruppo fino a un massimo di due. Invito, quindi, i rappresentanti degli omologhi gruppi di Camera e Senato, d'intesa fra loro, a far pervenire al banco della presidenza, durante lo svolgimento della relazione, i nominativi dei componenti del proprio gruppo designati a intervenire.
  Nel dare la parola al dottor Franzini, lo ringrazio per la partecipazione alla seduta odierna.

  MAURIZIO FRANZINI, presidente dell'ISTAT. Grazie, signor presidente. Per iniziare, vorrei rivolgere un saluto a tutti i parlamentari presenti e un augurio di molto buon lavoro, perché mi pare che sia indispensabile.
  Questo è il mio primo impegno istituzionale come presidente dell'ISTAT. Sono Pag. 49un presidente a termine, nel senso che lo sarò fin quando non verrà nominato il nuovo presidente e questo richiede la conclusione dell'iter di nomina, che speriamo non richieda molto tempo. Il mio mestiere è fare il professore di politica economica all'Università La Sapienza di Roma e sono membro del collegio dell'ISTAT da qualche anno. Il collegio è l'organo di indirizzo e di controllo dell'Istituto.
  Nel mio intervento mi soffermerò, basandomi sul patrimonio informativo dell'ISTAT, su aspetti di andamento recente e prospettico dell'economia italiana sotto vari punti di vista, facendo riferimento anche al contesto internazionale in una misura essenziale. Utilizzerò sia gli indicatori più attendibili di tipo congiunturale sia gli indicatori anticipatori dell'andamento dell'economia che hanno mostrato di avere una maggiore capacità previsiva, per poter in qualche modo capire qual è la direzione di marcia, non soltanto nell'aggregato, ma anche rispetto a segmenti più specifici dell'economia. Non svolgerò considerazioni specifiche riguardo agli effetti degli interventi descritti nella Nota che viene oggi discussa, perché per fare queste operazioni precise occorre un ammontare di informazioni e di dettagli molto maggiore di quello di cui disponiamo. L'ISTAT, come al solito, potrà fare queste osservazioni in sede di valutazione del disegno di legge di bilancio tra poche settimane. Darò, invece, qualche dato sulla platea dei potenziali destinatari di alcune delle misure delineate nel provvedimento.
  Comincio con il quadro internazionale e in particolare dagli Stati Uniti, ricordando che nel secondo trimestre di quest'anno il PIL degli Stati Uniti ha continuato a crescere in misura dell'1 per cento circa e a settembre, quindi molto recentemente, si stima che gli occupati nei settori non agricoli siano aumentati di 134.000 unità, determinando una riduzione del tasso di disoccupazione a un livello molto basso, che è quello del 3,7 per cento.
  Anche gli indicatori a breve termine sulle prospettive dell'economia statunitense, in particolare quello elaborato dal Conference Board nel mese di agosto, segnalano la continuazione di questo trend positivo di crescita. In qualche modo segnali positivi vengono anche a settembre dall'indice di fiducia dei consumatori.
  Venendo al contesto internazionale, è da tenere presente il dato relativo all'andamento del commercio internazionale. Secondo i dati del Central Planbureau, a luglio il dato congiunturale segnala un aumento del commercio internazionale dell'ordine dell'1,1 per cento, che però proviene da andamenti molto diversi del commercio relativo ai Paesi sviluppati, dove si registra una diminuzione dello 0,5 per cento, e un aumento molto più forte del commercio dei Paesi emergenti, con un incremento del 3,4 per cento.
  Nel complesso, questi segnali delineano una situazione sostanzialmente positiva nell'immediato. Tuttavia, non si possono sottovalutare elementi di incertezza, che possono preludere a una potenziale riduzione dell'efficacia dei tradizionali canali di trasmissione degli impulsi positivi da un Paese all'altro. Mi riferisco anche alle difficoltà di ordine internazionale riguardo al grado di cooperazione tra i Paesi.
  Nel valutare la situazione internazionale, è importante tenere presente due sviluppi recenti significativi: uno è relativo al deprezzamento dell'euro nei confronti del dollaro, iniziato ormai dal secondo trimestre dell'anno e proseguito anche a settembre, con un deprezzamento dell'ordine dell'1,1 per cento; l'altro elemento rilevante è l'andamento del prezzo del petrolio, del brent, cresciuto a settembre del 9,4 per cento, raggiungendo, come valore medio del periodo, 78,9 dollari a barile, valore piuttosto elevato.
  Per quanto riguarda l'area dell'euro, nel secondo trimestre di quest'anno si è avuto un rallentamento della crescita, che rimane positiva, e che raggiunge lo 0,4 per cento. Questo rallentamento della crescita non ha impedito che ad agosto si verificasse comunque un miglioramento della situazione della disoccupazione, scesa in media nell'area dell'euro all'8,1 per cento, che è un valore buono, basso.
  Facendo riferimento agli indici anticipatori del ciclo economico, vediamo che da Pag. 50questi indicatori vengono segnali eterogenei in un qualche senso. L’economic sentiment indicator registra un lieve peggioramento nel mese di settembre rispetto al mese precedente, soprattutto per effetto dei giudizi negativi dei consumatori e delle imprese manifatturiere. Viceversa, l'indicatore EuroCOIN, anticipatore anch'esso, rimane stabile, dopo che nei mesi precedenti era leggermente diminuito.
  Veniamo adesso all'economia italiana. Nel primo semestre del 2018, la crescita dell'economia italiana, come è ben noto, è proseguita, anche se a ritmi rallentati. È interessante osservare quali sono le componenti della domanda aggregata che hanno determinato questo risultato.
  Il maggior contributo a questa crescita, che è stata dello 0,3 per cento nel primo trimestre, dello 0,2 per cento nel secondo trimestre e che ha portato a una crescita dell'anno consolidata acquisita dello 0,9 per cento e su base annua dell'1,1 per cento, è venuto, come è noto, dagli investimenti fissi lordi, che hanno contribuito per 0,5 punti percentuali alla crescita complessiva. Gli investimenti fissi lordi sono aumentati nel secondo trimestre del 2,8 per cento dopo una caduta dell'1,1 nel primo trimestre.
  Un contributo positivo viene anche dalle scorte, che includono in realtà anche le discrepanze statistiche, quindi vanno prese con una certa cautela, mentre nessun contributo alla crescita è venuto dai consumi, e addirittura un contributo negativo è venuto dalla domanda estera netta, cioè da esportazioni e importazioni nel loro insieme, contributo negativo valutabile in 0,5 punti percentuali. L'aumento degli investimenti è largamente trainato dagli investimenti in impianti, macchinari e armamenti, con una variazione congiunturale dell'ordine del 7 per cento.
  Quanto al contributo negativo della domanda estera, occorre rilevare che le importazioni in volume sono cresciute nel secondo trimestre dell'1,6 per cento, crescita significativa dopo la diminuzione del 2,6 per cento del trimestre precedente. Le esportazioni sono, invece, rimaste sostanzialmente stazionarie. Tornerò dopo in maggior dettaglio su queste dinamiche del commercio internazionale.
  Per quello che riguarda il consumo, come vi dicevo sostanzialmente stagnante, questo dato è rilevante anche alla luce della considerazione che il reddito disponibile delle famiglie consumatrici a prezzi correnti nel secondo trimestre è aumentato dell'1,3 per cento, in accelerazione rispetto ai trimestri precedenti. A determinare questa dinamica sono soprattutto gli incrementi retributivi del pubblico impiego e l'aumento di occupazione, di cui dirò meglio tra poco.
  Questo ha provocato un aumento del potere d'acquisto delle famiglie, grazie anche alla dinamica ridotta del deflatore, alla dinamica dei prezzi. Il fatto che il reddito disponibile sia aumentato, mentre il consumo è rimasto sostanzialmente stabile, implica che è notevolmente aumentata la propensione al risparmio delle famiglie, che è salita all'8,6 per cento contro valori molto più bassi. Questo dato dell'aumento della propensione al risparmio è, quindi, un dato al quale prestare attenzione.
  Quanto ai settori in cui si è creato valore aggiunto, il settore che ha maggiormente contribuito è quello delle costruzioni, seguito da quello dei servizi, mentre c'è un regresso nell'agricoltura e una sostanziale stagnazione nell'industria in senso stretto.
  Riguardo al lavoro, un dato da tenere presente è che i dati trimestrali di contabilità nazionale relativi al secondo trimestre indicano un aumento congiunturale dello 0,7 per cento delle ore lavorate e dello 0,4 per cento delle unità di lavoro. Questi aumenti sono entrambi superiori a quelli del PIL, il che ha inevitabilmente riflessi sulla dinamica della produttività del lavoro, che tende in qualche modo a declinare, determinando un'inversione di tendenza rispetto al trend dei trimestri precedenti.
  Per quello che riguarda la produzione industriale, a luglio si è rilevata una flessione dell'1,8 per cento rispetto al mese precedente. Questo è un dato comune a tutti i comparti industriali, se si escludono Pag. 51le costruzioni, che sono l'unico comparto in crescita.
  Nella media del trimestre maggio-luglio, quindi non soltanto nel mese di luglio, ma considerando il trimestre, la produzione è leggermente diminuita, mentre sono in controtendenza i beni strumentali. Come già ho detto, segnali positivi vengono dal settore delle costruzioni, dove la produzione è aumentata nel trimestre maggio-luglio dell'1,7 per cento rispetto al trimestre precedente. Nella stessa direzione va l'indice dei prezzi delle abitazioni, acquistate dalle famiglie tanto per scopo abitativo quanto per scopo di investimento, che segnala un aumento dello 0,8 per cento, più marcato per le abitazioni nuove rispetto a quelle già esistenti.
  Riguardo alle prospettive future, un elemento da tenere presente è che nel trimestre maggio-luglio è rimasto positivo il profilo degli ordinativi per le imprese, con un aumento più pronunciato della componente interna rispetto a quella estera. Per comprendere meglio anche gli aspetti strutturali di queste dinamiche, è utile fare riferimento agli indici di diffusione della crescita, che danno un'idea della percentuale dei settori in espansione rispetto al totale dei settori, quindi se la crescita è diffusa in vari settori o è concentrata.
  Rispetto agli anni precedenti, rispetto al 2015, all'inizio del 2018 questo indice di diffusione ha registrato una significativa diminuzione, cioè la crescita tende a essere meno diffusa di quanto non fosse in precedenza, e quindi la flessione dell'attività industriale di cui ho detto prima si associa a una minore pervasività delle spinte alla crescita tra i diversi comparti produttivi.
  Con riferimento al settore dei servizi, questo indice di diffusione mostra tendenze alla stabilizzazione su livelli piuttosto elevati. I vari settori dei servizi tendono a muoversi in maniera più concertata, e quindi a generare meno asimmetria, se così posso dire.
  Nell'analisi di questi fenomeni, è importante tenere presente che questa flessione dell'attività industriale segue un periodo di vivace dinamica, quindi è una piccola inversione di tendenza. In quel periodo, si è avuto un miglioramento della posizione competitiva sui mercati internazionali e, come ho già detto, una significativa crescita degli investimenti produttivi.
  Questa flessione è, però, contestuale a un aumento della propensione innovativa delle imprese – questi sono elementi su cui riflettere – in particolare da parte delle imprese di dimensioni medie e piccole, con probabili vantaggi futuri del potenziale competitivo della nostra industria manifatturiera.
  Quanto al settore dei servizi, va tenuto presente che l'espansione, anche se di entità modesta, è trainata dai comparti più tradizionali – commercio, attività di alloggio e ristorazione –, mentre languono un po’ i settori a maggiore intensità di valore aggiunto, legati in particolare alla domanda di servizi da parte delle imprese. Lì c'è una mancanza di trasmissione degli effetti espansivi. Questo sembra segnalare un problema di fondo, che è quello del grado di interdipendenza tra manifattura e servizi, che nell'economia italiana è basso, e lo è soprattutto se facciamo confronti con vari Paesi, tra cui in particolare la Germania.
  Di rilievo è anche la ridotta capacità competitiva sui mercati internazionali dei servizi italiani, che, da un lato, riduce la trasmissione intersettoriale delle spinte derivanti dalla crescita che provengono dalla manifattura e, dall'altro, sembra lasciare alla sola manifattura il compito di tenere elevate le spinte verso l'aumento dell’output e della produttività.
  Veniamo ora al lavoro. Nel secondo trimestre del 2018, il dato destagionalizzato sul totale degli occupati è di 23.318.000 occupati. Rispetto al primo trimestre, c'è un aumento di 203.000 unità, che rappresenta lo 0,9 per cento. È interessante il dettaglio di questi 203.000: 89.000 in più sono gli indipendenti; i dipendenti in più sono 114.000 e, all'interno di questi dipendenti, 107.000 – quindi tutti meno 7.000 – sono contratti a tempo determinato.
  Questa crescente incidenza dei lavoratori a termine sul totale dei dipendenti deriva anche dal diverso peso che questi lavoratori hanno, naturalmente, nelle assunzioni e nelle cessazioni. Sulla base dei Pag. 52dati derivanti dalle comunicazioni obbligatorie, nel secondo trimestre del 2018 i rapporti a termine hanno rappresentato il 79,8 per cento delle attivazioni e il 77 per cento delle cessazioni. Le prime, le attivazioni, sono aumentate di 9 punti; le seconde, di 4 punti. Naturalmente questa diversa dinamica dei flussi si riflette sugli stock e quindi fa in modo che lo stock di occupati a termine tenda ad aumentare.
  A livello territoriale, la dinamica occupazionale è stata più vivace in questo periodo al Centro e al Mezzogiorno, con aumenti dell'1,1 per cento, piuttosto che nel Nord, con aumenti dello 0,7 per cento.
  La domanda di lavoro, naturalmente, è proseguita nella sua crescita in quel periodo, aumentando le posizioni lavorative dipendenti dello 0,4 per cento sia nel settore dei servizi sia in quello dell'industria.
  Va, però, osservato che si è verificata, nel secondo semestre, una flessione delle ore lavorate per dipendente. Nell'industria, ha riguardato quasi esclusivamente il comparto delle costruzioni, mentre nei servizi ha toccato una varietà di comparti, in particolare alloggio e ristorazione, noleggio e servizi alle imprese.
  Nel mese di agosto – questo è un dato che va oltre i trimestri a cui mi sono riferito – le stime mostrano un ulteriore incremento dell'occupazione: 69.000 occupati in più rispetto al mese precedente, di cui 26.000 uomini e 43.000 donne. Questa crescita, però, è concentrata prevalentemente tra individui di età superiore ai 35 anni.
  L'effetto di questa dinamica del tasso di occupazione è anche quello di permettere, appunto, di raggiungere un valore storicamente elevato, il 59 per cento. È la prima volta che si raggiunge questo valore da quando esistono le serie mensili e le serie trimestrali dei dati a cui mi sto riferendo.
  Nel mese di agosto, parallelamente, è disceso il tasso di disoccupazione, che è andato per la prima volta, dal febbraio del 2012, al di sotto del 10 per cento, esattamente al 9,7 per cento. Nel mese di agosto questa riduzione, a differenza di quanto è accaduto nel trimestre, si è accompagnata a una crescita degli inattivi. Nel trimestre, gli inattivi erano diminuiti, mentre ad agosto gli inattivi sono aumentati di 46.000 unità rispetto al mese precedente. Sono cresciuti tra gli inattivi gli uomini e, soprattutto, gli ultracinquantenni. Si sono ritirati dal mercato del lavoro.
  Veniamo ora alle questioni dell'inflazione e della dinamica dei prezzi.
  La crescita dei prezzi al consumo si è sostanzialmente consolidata nel corso dell'estate. L'indicatore dell'inflazione relativo all'indice nazionale dei prezzi al consumo per l'intera collettività, uno degli indici che l'ISTAT stima, ha registrato un'accelerazione, raggiungendo un tasso di incremento tendenziale dell'1,6 per cento nel mese di agosto. A settembre è sceso di poco, all'1,5 per cento.
  Dietro questo incremento, c'è in primo luogo il rincaro del prezzo internazionale del petrolio, che è stato amplificato nei suoi effetti dal deprezzamento dell'euro, secondo un meccanismo abbastanza tradizionale.
  Invece, i meccanismi endogeni di diffusione dell'inflazione sono risultati in generale piuttosto deboli, sia per effetto di una dinamica retributiva contenuta sia per la cautela delle imprese a trasferire i costi sui prezzi in presenza di una domanda di consumo debole, che ha riguardato molte componenti della domanda di consumo.
  È interessante osservare che la maggior parte della crescita dei prezzi al consumo va ascritta alle componenti più volatili, quali i prodotti energetici e i prodotti alimentari non lavorati, soprattutto se facciamo riferimento all'anno. Parliamo di aumenti annuali dell'ordine del 7,7 e del 3 per cento. Se eliminiamo questi fattori che spingono verso l'alto, le pressioni all'interno del sistema economico restano modeste, con un incremento dell'indicatore di core inflation dello 0,8 per cento nel terzo trimestre dell'anno.
  All'interno di questa dinamica limitata, le spinte maggiori provengono dal settore dei servizi, che hanno una dinamica in aumento dell'1 per cento nel terzo trimestre, mentre per i beni industriali non energetici prosegue la fase deflattiva. Pag. 53
  Va tenuto presente che la dinamica dei prezzi italiani resta in ogni caso inferiore a quella media dell'area dell'euro, sia per quello che riguarda la core inflation sia per quello che riguarda l'indice complessivo. Questi due indici sono rispettivamente del +1,2 e del +2,1 a livello di area dell'euro, mentre da noi sono più bassi: +0,8 e +1,6.
  L'analisi della dinamica dei prezzi lungo la catena dell'offerta indica che le pressioni maggiori al rialzo si hanno nei settori che sono più condizionati dagli andamenti delle materie prime e questo è abbastanza ovvio.
  A luglio la crescita tendenziale dei prezzi all'importazione è stata pari al 4,3 per cento, ma solo lo 0,5 per cento al netto dei prodotti energetici; quindi, se eliminiamo i prodotti energetici, l'andamento è molto meno inflattivo. Pertanto, la crescita è del 4,3, ma al netto dei prodotti energetici è dello 0,5.
  Quanto alle prospettive di inflazione, i due indicatori che abbiamo sono quelli relativi alle aspettative delle imprese che producono beni destinati al consumo, la maggior parte delle quali prevede revisioni in rialzo dei propri listini. Per quello che riguarda, invece, i consumatori, una percentuale crescente di consumatori si attende incrementi dei prezzi nei prossimi mesi.
  Veniamo ora al commercio internazionale. Nel 2017 – quindi non oggi ma lo scorso anno – le esportazioni di beni e servizi italiani espresse in valori concatenati, quindi facendo riferimento ai prezzi del periodo precedente, sono cresciute con un'intensità più elevata di quelle dell'area dell'euro e dei principali Paesi: 5,7 per cento in Italia, 5,4 per cento nell'area dell'euro e 4,6 per cento in Germania. Con questa dinamica positiva, il contributo delle esportazioni all'aumento alla crescita è stato naturalmente positivo, pari a 0,3 punti percentuali.
  Questa tendenza si è interrotta nel primo semestre del 2018, in parte in linea con il rallentamento del commercio mondiale. Nel primo trimestre la contrazione delle esportazioni ha interessato praticamente tutti i Paesi europei, ma in Italia è stata più accentuata: la diminuzione è stata del 2,4 per cento, mentre in Germania è stata solo dello 0,7. Anche nel secondo trimestre c'è stata una flessione, che risulta maggiormente divaricata, se così possiamo dire, rispetto all'area dell'euro e alla Germania, dove si è avuto un aumento dello 0,6 per cento, mentre da noi c'è stata una diminuzione dello 0,2 per cento.
  Queste esportazioni in calo derivano in buona parte dalla flessione delle vendite di beni strumentali nei mercati extraeuropei. Tuttavia, i dati più aggiornati sugli scambi commerciali con l'estero danno segnali di recupero delle nostre esportazioni. In particolare, ad agosto le esportazioni di merci verso i Paesi extraeuropei hanno conosciuto un significativo aumento del 3,6 per cento rispetto al mese di luglio, che ha contribuito ad ampliare la positiva dinamica dell’export nel complessivo trimestre giugno-agosto rispetto al trimestre precedente. Dunque, nel complesso abbiamo avuto andamenti non positivi, ma con tendenze nell'ultimo periodo a una leggera inversione.
  Il punto è che le importazioni nel frattempo sono aumentate del 4,7 per cento. Questo spiega il contributo negativo alla crescita, di cui dicevo prima, della domanda netta.
  Se allarghiamo lo sguardo alle tendenze un po’ più di lungo periodo, il tasso di crescita tendenziale delle nostre esportazioni nel periodo gennaio-luglio è del 4,2 per cento, inferiore a quello di Germania e Francia, ma superiore a quello della Spagna. La dinamica dell’export è più sostenuta nei confronti dei Paesi dell'Unione europea, ovvero del 5,6 per cento in aumento, che è più del doppio del corrispondente dato nei confronti dei Paesi extra UE. È da notare che una dinamica simile presentano le esportazioni tedesche, le quali hanno un divario tra mercati dell'Unione europea e mercati extra UE simile al nostro.
  Sempre su un orizzonte temporale analogo a quello precedente, nei sette mesi dell'anno, l'avanzo commerciale nel complesso si è ridotto da 25,6 miliardi a 24,7 miliardi di euro, largamente dovuti al disavanzo energetico nel complesso. Al netto Pag. 54della componente energetica, il surplus commerciale crescerebbe da 45,3 a 47,6 miliardi di euro.
  Vengo ora alle prospettive a breve termine per l'area dell'euro e per l'economia italiana. Disponiamo delle previsioni di consenso dei tre principali istituti congiunturali europei, secondo le quali nella seconda parte del 2018 la crescita economica nell'area dell'euro sarà analoga a quella verificatasi nei primi due trimestri dell'anno: 0,4 per cento sia nel primo sia nel secondo. La spinta principale a questo aumento dovrebbe di nuovo provenire dagli investimenti fissi lordi, che crescerebbero dello 0,7 per cento nel terzo e nel quarto trimestre, mentre si prevede che le spese per consumi crescano dello 0,3 per cento nel terzo e dello 0,4 per cento nei trimestri successivi.
  Quanto agli indici di fiducia, quello relativo al clima di fiducia delle famiglie e dei consumatori segnala una sostanziale tenuta nell'ultimo semestre, con un leggero miglioramento nel mese di settembre. Questo miglioramento sembra essere dovuto soprattutto a valutazioni più positive relativamente alla situazione economica e alle prospettive del Paese. In particolare le aspettative sull'occupazione e sul risparmio potrebbero spiegare questo atteggiamento.
  Vi è, però, anche un segnale di segno opposto che riguarda il clima di fiducia delle imprese, il quale è peggiorato nei mesi estivi, anche se vi sono notevoli eterogeneità: un certo miglioramento si ha nel settore della manifattura, per la prima volta dal mese di febbraio, mentre rimane sostanzialmente ferma la fiducia nel settore del dettaglio e nel settore delle costruzioni.
  Per quello che riguarda le esportazioni, gli imprenditori prevedono un miglioramento del fatturato nel terzo trimestre, ma un ridimensionamento nel trimestre successivo. È da notare che, in seguito a queste dinamiche, tende a cambiare anche il rapporto tra i prezzi all’export e i prezzi interni.
  L'ISTAT dispone di un indicatore di stima, un indicatore anticipatore a breve termine dell'economia, e gli esiti relativamente all'applicazione di questo indicatore non sono particolarmente favorevoli. Negli ultimi mesi, infatti, questo indicatore ha seguito un andamento discendente e ciò lascia prevedere che la fase di crescita economica contenuta possa prolungarsi.
  Gli elementi che ho richiamato risultano coerenti con quanto è contenuto nella Nota di aggiornamento, in particolare circa la previsione di una crescita nel secondo semestre su ritmi analoghi a quelli del secondo trimestre.
  Veniamo ora agli obiettivi di finanza pubblica. L'ISTAT, come è consuetudine, procede alla revisione degli aggregati di contabilità nazionale per il trimestre precedente sulla base delle nuove informazioni che si rendono disponibili con un certo ritardo e che, secondo le prassi consolidate in tutti i Paesi, vanno tenuti in conto per la revisione dei dati relativi al PIL e a tutto quello che è in qualche modo ad esso connesso.
  Questa revisione, i cui esiti sono stati resi noti il 21 settembre, ha portato a rivedere al rialzo il PIL nominale del 2016 per 8,8 miliardi di euro. Questo significa che il tasso di crescita per il 2016 è stato rivalutato di 0,6 punti percentuali. La revisione al rialzo del PIL del 2017 è di misura analoga, 8 miliardi di euro, e di conseguenza il tasso di crescita del 2017 non si è modificato.
  Una conseguenza di queste revisioni è quella di una valutazione dell'indebitamento netto rivista, con una maggiorazione dell'indebitamento per il 2016 e per il 2017 rispettivamente di 1,299 e 1,369 miliardi di euro. Di conseguenza, soltanto per il 2017, cambia il rapporto indebitamento/PIL, con un peggioramento di 0,1 punti percentuali, dal 2,3 al 2,4 per cento.
  Veniamo ora agli obiettivi di finanza pubblica sulla base dei nuovi scenari economici, illustrati anche nel documento oggi in discussione. Si prevede un indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche pari all'1,8 per cento, con un miglioramento di 0,6 punti percentuali rispetto al 2017. L'avanzo primario sarebbe dell'1,8 per cento.
  Sulla base dei dati trimestrali delle amministrazioni pubbliche diffusi pochi giorni Pag. 55fa, il 3 ottobre, nella media dei primi due trimestri del 2018 il rapporto deficit/PIL è stato dell'1,9 per cento, in miglioramento di 1,1 punti percentuali rispetto al 3 per cento del corrispondente periodo del 2017. Si tenga presente che nel secondo trimestre del 2017 è stato contabilizzato il trasferimento in conto capitale per l'intervento sulla crisi delle banche venete e questo determina tale differenza.
  Nei primi sei mesi del 2018 il saldo primario è risultato positivo, con un aumento dell'1,7 per cento rispetto allo stesso periodo del 2017. Il rapporto deficit/PIL negli anni 2019-2021, come ben sapete, dovrebbe seguire la positiva evoluzione tendenziale e attestarsi allo 0,5 per cento nel 2021, in peggioramento di 0,7 punti percentuali rispetto a quanto previsto nel Documento di economia e finanza 2018, in cui era previsto un avanzo dello 0,2 per cento.
  Rispetto a un indebitamento netto dell'1,8 per cento nel 2018, la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia, di cui mi pare abbiate già abbondantemente parlato, contenuta nel disegno di legge di bilancio in esame, che è completa per il 2019 e parziale per il 2020-2021, unitamente ad altre misure di politica economica previste, porta a un peggioramento dello stesso nel 2019, attestandosi al 2,4 per cento, a un graduale rientro nel 2020, attestandosi 2,1 per cento, mentre nel 2021 si dovrebbe tornare allo stesso livello di quest'anno.
  In questo scenario, l'indebitamento strutturale è dello 0,9 per cento per quest'anno e dell'1,7 per il triennio successivo. Questo comporta un peggioramento della variazione strutturale di 0,8 punti percentuali nel 2019 e nulla nei due anni successivi. Tutto ciò prefigura il non raggiungimento del pareggio strutturale di bilancio nel periodo considerato.
  Le nuove stime di cui ho detto hanno portato anche a una revisione del rapporto debito/PIL, che è pari al 131,2 per cento, invece che al 131,8 come era stato precedentemente stimato nel Documento di economia e finanza. Per l'anno in corso è prevista una riduzione del rapporto debito/PIL di 0,3 punti percentuali, grazie ai proventi delle dismissioni e ad altre entrate che affluiscono al Fondo di ammortamento del debito pubblico. Dalle dismissioni si prevede un apporto analogo anche per i due anni successivi 2019-2020. La riduzione del rapporto debito/PIL è complessivamente stimata in 0,9 punti percentuali nel 2019, 1,9 nel 2020 e 1,3 nel 2021, quando si raggiungerebbe il 123,8 per cento.
  Come vi dicevo, non presento stime degli effetti della manovra, perché mancano elementi essenziali per potersi esprimere con precisione su questi effetti. Viceversa, concludo questo mio intervento richiamando alcuni dati sulle platee di potenziali destinatari delle misure previste dal Governo.
  Parliamo della povertà e degli interventi di contrasto alla povertà. Nel 2017, i poveri assoluti erano 1.778.000 famiglie e 5.058.000 individui, pari al 6,9 per cento delle famiglie e all'8,4 per cento della popolazione. Questo vi dà l'idea che la povertà è concentrata nelle famiglie più numerose. Si tratta della povertà assoluta e si tratta del dato più alto dal 2005, sia come numero di famiglie sia come singoli individui.
  Ricordo, ma non ce n'è bisogno, che la condizione di povertà assoluta si riferisce a una situazione in cui ci si trova allorché la spesa per consumi è inferiore a una soglia, stimata come minima per acquisire un paniere di beni e servizi, che, nel contesto italiano e per una famiglia italiana, è considerato essenziale a uno standard di vita minimamente decente.
  Questa è la soglia della povertà assoluta e l'ISTAT calcola tante soglie di povertà assoluta, combinando: 38 tipologie di famiglie a seconda della numerosità, dell'età e così via; tre tipologie di comuni di residenza (centro, periferia e così via) e tre macroaree geografiche del Paese. Le soglie oscillano, quindi, da meno di 500 euro se si vive da soli in periferia al Sud e si è anziani, a più di 2.000 euro se si è una famiglia con cinque membri e si vive al centro di una città metropolitana.
  Questi dati sottendono notevoli differenze a livello geografico, di composizione delle famiglie nonché di altri elementi che ora vi dico. Pag. 56
  Distinguendo tra italiani e stranieri, il fenomeno povertà nel 2017 ha interessato il 6,2 per cento dei cittadini italiani – ricordate che il totale era dell'8,4 – e il 32,3 per cento degli stranieri, che sono naturalmente in valore assoluto molti di meno. Gli italiani sono 3.449.000, mentre gli stranieri, pur essendo in percentuale molti di più, sono 1.609.000.
  Rispetto al 2016, la povertà assoluta è aumentata di 0,5 punti percentuali, dal 7,9 per cento all'8,4 per cento, e questo deriva dalla combinazione di una crescita di 0,7 punti percentuali per quanto riguarda gli italiani e di una riduzione di 1,7 punti percentuali per quanto riguarda gli stranieri. Naturalmente, essendo gli italiani più consistenti come gruppo, la crescita di 0,7 punti percentuali determina un incremento del dato complessivo.
  A livello territoriale, come ben sappiamo, i poveri sono concentrati soprattutto nel Mezzogiorno, dove rappresentano l'11,4 per cento della popolazione. Al Centro e al Nord, ammontano rispettivamente a poco più del 5,1 e del 5,4 per cento. Nel Mezzogiorno, il 10,2 per cento di italiani è povero mentre il 40 per cento, che però sono pochi in valore assoluto, sono gli stranieri poveri.
  Passo adesso a un'altra potenziale platea, e mi avvio a concludere, che è quella dei lavoratori autonomi.
  Come è ben noto, la componente del lavoro indipendente dell'occupazione in Italia ha conosciuto un notevole ridimensionamento durante gli anni della crisi, ma ha continuato a incontrare difficoltà anche quando il mercato del lavoro ha dato segnali di ripresa, cioè più di recente.
  Nel secondo trimestre del 2018, il 23 per cento dei lavoratori era lavoratore indipendente, e il 15,8 di questi lavoratori è senza dipendenti, quindi è un unico individuo lavoratore indipendente. La media dell'Unione europea è del 15,4 per cento, contro il nostro 23; la media dell'Unione europea senza dipendenti è del 10,3 per cento, mentre noi siamo al 15,8.
  Confrontando il secondo trimestre 2008, dieci anni fa, e il secondo trimestre del 2018, l'occupazione indipendente è diminuita del 10,2 per cento, cifrando 613.000 unità in meno, mentre l'aumento complessivo di lavoratori alle dipendenze è stato del 4,7 per cento. Il calo più accentuato, naturalmente, si è avuto tra gli indipendenti con personale alle dipendenze.
  Soltanto a partire dal 2018, in particolare dal secondo semestre, il numero degli indipendenti mostra un leggero aumento, più 1,7 per cento rispetto al primo trimestre, e più 0,6 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
  Vi informo che l'ISTAT sta per pubblicare i risultati di un approfondimento tematico sul lavoro indipendente relativo al secondo trimestre del 2017, quindi a breve saranno disponibili tutti i dati.
  Una questione su cui richiamo in conclusione l'attenzione è quella che riguarda le difficoltà a tracciare una chiara distinzione tra lavoro dipendente e lavoro autonomo lungo linee consolidate di interpretazione di queste due modalità di lavoro.
  Il problema sorge dal fatto che vi è un'ampia gamma crescente di profili professionali con gradi molto diversi di autonomia, da quella massima degli imprenditori, che naturalmente rientrano in questa categoria, a quella minima, per non dire assente, dei collaboratori monocommittenti.
  L'analisi dei dati consente di individuare tre tipologie specifiche di lavoro autonomo: gli autonomi con dipendenti, ossia i datori di lavoro; gli autonomi puri senza dipendenti; i lavoratori parzialmente autonomi, ovvero che mostrano elementi di subordinazione, quali la dipendenza da un committente principale, vincoli di orario e di luogo, il mancato possesso degli strumenti del lavoro, l'impossibilità di assumere dipendenti, tutti elementi che vanno cioè nella direzione di una non autonomia.
  I dati che abbiamo ci dicono che, a fronte di 1.400.000 lavoratori autonomi con dipendenti e di circa 3.300.000 autonomi puri senza dipendenti, quelli parzialmente autonomi ammontano a 338.000, il 9,3 per cento del totale degli autonomi. Questo fenomeno è collegato anche al diffondersi del lavoro con le piattaforme. Pag. 57
  Concludo ricordando che naturalmente l'Istituto è pronto a rispondere a eventuali richieste di approfondimento sulla base dei dati e delle informazioni di cui dispone. Siamo qui anche per rispondere a eventuali domande. Vi ringrazio molto per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il dottor Franzini
  Do la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ROBERTA FERRERO. Non si è parlato nel dettaglio di PIL nominale e PIL reale nell'esposizione, perché comunque è un dato di dettaglio, ma effettivamente, andando a vedere la Nota di aggiornamento del DEF, si può osservare come un PIL nominale, che si vede in crescita tra il 2017 e il 2019, corretto poi dal deflatore del PIL, dia come risultato un PIL reale in diminuzione. È un numerino, ma è un numerino molto importante.
  Vorrei sapere se può darmi qualche dettaglio su quest'indicatore, non dico di addentrarsi nei calcoli, ma qualche dettaglio in più, soprattutto per quanto riguarda la previsione, cioè l'aspetto tendenziale. Vedo, ad esempio, che sul 2018, ovviamente non ancora concluso, abbiamo un deflatore del PIL dell'1,3 per cento, che coincide con il deflatore dei consumi. Vorrei capire come vengono gestiti questi dati.

  RAFFAELE FANTETTI. Dall'interessantissima esposizione del dottor Franzini il dato specifico del settore del commercio estero risulta piuttosto preoccupante. Le esportazioni italiane, che crescevano intorno al 5,7 per cento nel 2017, registrano una flessione del 2,4, quindi un dato intorno al 3,3 per cento, a fronte di importazioni che resistono intorno al 4,3 per cento.
  Viene sempre citata, anche precedentemente nella relazione del Ministro Tria, una flessione del commercio internazionale nei mercati in generale, che però noi, sulla base di dati OCSE e WTO, non riscontriamo. È vero che, a seguito del forte impulso del commercio internazionale causato dall'entrata nel WTO della Cina, i tassi di incremento del commercio internazionale erano tripli rispetto a quelli del PIL, mentre adesso tornano a essere fisiologici, però una crescita viene pur sempre registrata. I Paesi del G20, per esempio, cresceranno quest'anno, da stime dell'OCSE, intorno al 5,8 per cento.
  Quanto è ancora credibile questa causa della perdita di competitività delle esportazioni italiane nel mercato internazionale rispetto, piuttosto, ad altri fattori? Noi pensiamo in primis alla disorganizzazione delle istituzioni all'uopo dedicate dallo Stato italiano, con una frammentazione di istituti che fanno troppe cose comuni.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Franzini per la replica.

  MAURIZIO FRANZINI, presidente dell'ISTAT. Direi, se possibile, che rispondo introduttivamente, poi per le questioni più legate al PIL darei la parola al dottor Gian Paolo Oneto, il nostro esperto di contabilità, che quindi potrà essere molto più preciso di me.
  Per quello che riguarda i dati sulle esportazioni, come ho detto in precedenza, un elemento che abbiamo è il rallentamento della dinamica del commercio internazionale dei Paesi sviluppati, a fronte di una dinamica sostenuta dei Paesi emergenti. Questo, naturalmente, incide molto sulle dinamiche dei singoli Paesi a seconda dell'importanza che hanno quei Paesi sulle nostre esportazioni. Come dicevo prima, le dinamiche delle esportazioni italiane sono orientate molto diversamente tra i Paesi dell'Unione europea e i Paesi che non fanno parte dell'Unione europea.
  Il warning, l'avvertimento che comunque avevo dato è: guardate che ci sono dei segnali di incertezza molto forti sulle dinamiche future anche del commercio internazionale, legate anche a quello che sta avvenendo nelle politiche tariffarie, che possono avere un impatto abbastanza dirompente.
  Quello che lei diceva sulla frammentazione è sicuramente un problema che si Pag. 58può tenere presente, che si può migliorare, però tra le cose che potrebbero avere un impatto positivo nel breve termine, sarebbe da tenere presente il fatto che abbiamo dati di innovazione delle piccole e medie imprese, che potrebbero riflettersi in un miglioramento della loro capacità competitiva. Questa è una buona notizia, potrebbe essere una buona notizia, perché consente di competere senza dover intervenire necessariamente sul costo del lavoro, per intenderci. La risposta alla sua domanda, quindi, è che ci sono molti elementi per essere mixed feelings, come dicono gli inglesi.
  A questo punto, darei la parola, se posso permettermi, al dottor Oneto.

  GIAN PAOLO ONETO, direttore della Direzione centrale per la contabilità nazionale dell'ISTAT. Buonasera a tutti. Cercherò di essere molto veloce in merito alla domanda riguardante il rapporto tra PIL reale e PIL nominale, che spesso ci vediamo rivolta, perché effettivamente ci sono dei tecnicismi notevoli.
  Detto in termini molto semplici, quella del PIL nominale è la dinamica del reddito del Paese appunto in termini nominali, inclusa la spinta dei prezzi. È importante tra i parametri macroeconomici, soprattutto dal punto di vista del calcolo dei rapporti e, prima di tutto e soprattutto, del rapporto tra debito e PIL: essendo il debito una grandezza molto ampia, nel caso italiano superiore a quella del PIL nominale, è molto sensibile al denominatore, quindi una dinamica del PIL nominale aiuta l'abbattimento del rapporto; più il PIL nominale cresce, più si abbatte il rapporto. Naturalmente ci possono essere altre ragioni per cui la crescita nominale ha, invece, delle controindicazioni.
  Dalla crescita nominale poi si detraggono, con un sistema di calcolo che veramente non è il caso di accennare in questa sede, tutte le componenti di prezzo della domanda e dell'offerta. In particolare, può accadere che la dinamica del deflatore del PIL sia maggiore o minore di quella dei consumi. L'inflazione al consumo, come sapete, è quella che normalmente tutti percepiscono, però non ha un rapporto uno a uno con la dinamica del deflatore del PIL, perché dipende da come si muovono le componenti, soprattutto estere, e in particolare da come i prezzi all’import si trasferiscono all'interno.
  Pertanto, detratte queste componenti di prezzo, resta la crescita reale, quella che tutti noi chiamiamo «la crescita del PIL reale», che è la crescita effettiva al netto dell'effetto dei prezzi sull'economia, che naturalmente è in genere una quantità decisamente più bassa rispetto alla crescita nominale. Spero di aver dato qualche elemento.

  MAURIZIO FRANZINI, presidente dell'ISTAT. Le ha risposto?

  ROBERTA FERRERO. No, questo lo sapevo già. Sono cose che già si sanno. La mia domanda era più orientata a capire quali sono i tecnicismi sottostanti alla dinamica, anche nel futuro, cioè come viene calcolato il dato tendenziale, la previsione.

  GIAN PAOLO ONETO, direttore della Direzione centrale per la contabilità nazionale dell'ISTAT. Naturalmente la previsione che sta nel quadro tendenziale e programmatico non è fatta da noi. Normalmente nei modelli di previsione si tiene conto della dinamica dei prezzi per misurare la dinamica del deflatore del PIL.
  Segnalo che la dinamica del deflatore del PIL nei primi due trimestri del 2018 è stata rispettivamente, in termini tendenziali, dello 0,8 per cento e dell'1,4 per cento, quindi nella prima metà dell'anno, con una media un po’ approssimata, la dinamica è stata dell'1,2 per cento, da questo punto di vista abbastanza vicina a quella che è stata poi messa nel quadro tendenziale, che riporta una crescita dell'1,3 per cento. Da questo punto di vista, si ipotizza nella seconda parte dell'anno una crescita del deflatore del PIL simile a quella già realizzata nel primo trimestre.
  Posso dire che nel caso dei consumi, invece, il deflatore che è stato messo nel quadro macroeconomico del Documento di economia e finanza è pari all'1,3 per cento, decisamente più alto rispetto a quello che Pag. 59in questo momento vediamo, che in termini tendenziali è dell'ordine dello 0,8 per cento. Questo indicherebbe una spinta dei prezzi al consumo maggiore nella seconda parte dell'anno. L'ipotesi tecnica che è stata inserita nel quadro del Documento di economia e finanza è di un'accelerazione dell'inflazione al consumo, ma non dell'inflazione che poi si misura sul PIL.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Franzini, il dottor Oneto e i tecnici dell'ISTAT e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti
della Corte dei conti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2018, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti della Corte dei conti.
  Al fine di assicurare un ordinato svolgimento dei lavori della Commissione, avverto che dopo l'intervento dei rappresentanti della Corte dei conti sono previsti interventi per ciascun gruppo fino a un massimo di due. Invito, quindi, i rappresentanti dei gruppi a far pervenire al banco della presidenza i nominativi dei deputati e dei senatori che intendono intervenire.
  Nel dare la parola al presidente Buscema, lo ringrazio sentitamente per la partecipazione alla seduta odierna.

  ANGELO BUSCEMA, presidente della Corte dei conti. Come di consueto, il mio intervento si basa su un documento approvato ufficialmente dalla Corte, di cui do lettura e che è stato distribuito ai commissari. Per una questione di brevità non darò lettura di alcune parti del documento, che sono comunque a disposizione della Commissione.
  In questa audizione sono accompagnato da rappresentanti esperti della Corte: il consigliere Chiorazzo, il consigliere Flaccadoro, il presidente Pala e il presidente di coordinamento delle Sezioni riunite in sede di controllo Granelli.
  La Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2018 espone già in premessa i tratti innovativi del documento, che sono sia di forma che di sostanza. Nella forma, il contesto politico in atto nella scorsa primavera al momento la presentazione del Documento di economia e finanza 2018 aveva spinto il Governo allora in carica a costruire un documento basato solo su proiezioni tendenziali dell'economia e della finanza pubblica, senza alcuna indicazione sul disegno per il prossimo triennio. Di conseguenza, la Nota di aggiornamento oggi all'esame del Parlamento viene a rappresentare il primo documento programmatico per il 2019 e per gli anni successivi.
  Nel merito, la Nota riflette l'intenzione del nuovo Governo di imprimere alla politica economica e alla politica di bilancio un mutamento profondo di strategia, con riflessi non marginali sui livelli dei saldi di bilancio, per i quali la Nota prefigura un futuro riassestamento, indotto soprattutto dal rilancio della crescita dell'economia.
  Ad avviso della Corte, le due novità segnalate avrebbero richiesto un rafforzamento della struttura della Nota, al fine di consentire al Parlamento verifiche più approfondite sulla definizione e sulla quantificazione degli obiettivi programmati. Sotto questo aspetto, invece, il documento risulta privo di alcune informazioni ed elaborazioni che abitualmente corredano il Documento di economia e finanza e che permettono di esprimere un giudizio sull'attendibilità delle proiezioni proposte, in particolare in materia di sostenibilità del debito.
  Passo direttamente al secondo capitolo relativo al contesto economico. Il quadro economico generale in cui si iscrivono le scelte di fiscal policy nel quadro della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza si presenta meno favorevole di quanto non lo fosse lo scorso aprile. I dati ora a disposizione mostrano che durante la prima metà dell'anno la crescita del PIL ha perso vigore in tutta l'area dell'euro, risentendo soprattutto delle avverse Pag. 60 conseguenze che fattori economici e geopolitici stanno producendo sugli scambi internazionali.
  Il rallentamento osservato nel complesso dell'area dell'euro è stato registrato anche in Italia, dove il tasso di crescita congiunturale del PIL reale è sceso allo 0,2 per cento nel secondo trimestre dell'anno (0,4 per cento e 0,3 per cento nei precedenti quarti). Secondo i dati dell'ISTAT, nei primi sei mesi del 2018 il PIL è cresciuto dell'1,3 per cento su base annua e di mezzo punto percentuale rispetto al secondo semestre 2017.
  La Nota dà conto del cambiamento di scenario e ricalibra il quadro macroeconomico generale, rivedendo verso il ribasso di tre decimi di punto la crescita del 2018, in considerazione di un radicale aggiustamento delle esportazioni, che, in luogo del 5,2 per cento previsto nel Documento di economia e finanza 2018, crescerebbero solo dello 0,4 per cento.
  La riarticolazione del quadro macroeconomico 2018 appare in linea con la lettura che si riscontra nella maggior parte delle valutazioni internazionali e non sollecita particolari rilievi.
  Per quello che riguarda il triennio di previsione 2019-2021, nell'analisi del quadro tendenziale offerto dalla Nota il rallentamento in corso si protrarrebbe senza sostanziali recuperi e si tradurrebbe in una riduzione della crescita stimata nel Documento di economia e finanza dello scorso aprile di tre decimi di punto in ognuno dei tre anni considerati nella media del triennio: 1 per cento contro 1,3 per cento.
  Lo scenario programmatico sconta un sensibile effetto delle manovre annunciate e finanziate in parte significativa in deficit. Per il 2019 si fissa un tasso di sviluppo dell'1,5 per cento, quindi di sei decimi di punto più elevato rispetto a quello previsto a legislazione vigente, e per il successivo biennio rispettivamente dell'1,6 e dell'1,4 per cento. Gli effetti sulla crescita, pur attenuandosi, permarrebbero negli anni successivi.
  Il quadro macroeconomico programmatico appare ottimistico alla luce delle attuali tendenze del ciclo economico internazionale. Esso sconta un marcato abbattimento dello scarto negativo, osservato prima della crisi e ancora nel recente passato, tra tasso di crescita dell'Italia e tasso di sviluppo del resto dell'area dell'euro.
  Se l'effetto sulla crescita economica del maggiore deficit rispetto al tendenziale ipotizzato nella Nota appare in linea con le stime degli anni passati (nell'ultimo quadriennio il rapporto tra impulso fiscale e maggior crescita del PIL assunto nel passaggio dal quadro tendenziale a quello programmatico è stato pari in media a 0,5, lo stesso valore ora prefigurato), desta perplessità che l'effetto della politica di bilancio in termini di maggiore crescita del PIL permanga dopo il 2019, allorquando la fiscal stance, così come misurata dalla variazione annua del saldo e dell'avanzo primario strutturali, torna a essere neutrale o lievemente restrittiva.
  Le evidenze empiriche fornite dalle ricerche in materia di moltiplicatori fiscali, pur segnalando situazioni diversificate in ragione di una serie di aspetti, suggeriscono che è opportuno assegnare valori pronunciati, anche sensibilmente superiori all'unità, solo agli investimenti pubblici di carattere infrastrutturale, mentre quelli associati ai trasferimenti presentano valori pari a meno di un terzo di quelli relativi agli investimenti e tra i più bassi nell'ambito delle diverse voci di spesa pubblica. Peraltro, gli stessi moltiplicatori della spesa per investimenti sono tendenzialmente elevati solo quando si è in presenza di alta efficienza e qualità dei progetti, caratteristiche che purtroppo non sempre si riscontrano nell'esperienza italiana.
  Quanto all'efficacia del disegno di politica economica descritto nella Nota, va considerato che gli effetti di stimolo della domanda derivanti dai provvedimenti proposti si esplicheranno nei confronti di una porzione comunque limitata dell'ampia platea di famiglie e imprese. Non può, dunque, essere sottovalutata l'eventualità che il resto degli operatori, di gran lunga prevalente, reagisca in modo difforme alle prospettive finanziarie, connesse soprattutto all'andamento del debito pubblico e dei tassi di interesse: le imprese rinviando i Pag. 61programmi di investimento (anche per i riflessi sul funzionamento del circuito creditizio), le famiglie traducendo le incertezze sulle aspettative in una riduzione della propensione al consumo.
  Venendo al quadro tendenziale di finanza pubblica, la Nota di aggiornamento presenta un quadro di finanza pubblica mutato rispetto al Documento di economia e finanza, in ragione delle modifiche registrate nel quadro economico e della revisione operata sui dati di consuntivo dell'ultimo biennio e resa nota dall'ISTAT il 21 settembre scorso. A dette variazioni si aggiungono quelle dovute all'aggiornamento delle stime sulla base del monitoraggio.
  Per il 2018 il nuovo quadro tendenziale evidenzia un peggioramento dei conti. La spesa per interessi si conferma in riduzione rispetto al 2017, ma registra un aumento rispetto a quanto previsto nel Documento di economia e finanza di circa 2 miliardi di euro. La spesa corrente primaria si assesta sui livelli previsti, seppur con alcuni mutamenti nel contributo atteso dalle sue principali componenti. La ripresa dei consumi intermedi oltre le attese trova compensazione in prevalenza nella revisione delle stime per prestazioni sociali, di pressoché pari importo tra pensioni e altre prestazioni sociali.
  La nuova consistente revisione al ribasso degli investimenti (-1,5 miliardi di euro rispetto al Documento di economia e finanza) consente di mantenere l'impatto sulla spesa complessiva al di sotto dei 500 milioni di euro.
  Ben più rilevante è, invece, la revisione sul fronte delle entrate, che si concentra prevalentemente sulle imposte: quelle dirette registrano un calo di 3,9 miliardi di euro rispetto alle previsioni dello scorso aprile. A questo si aggiunge una flessione di quelle indirette (-1,5 miliardi di euro) e dei contributi sociali. Nel complesso, tali andamenti portano a un peggioramento del risultato atteso in termini di indebitamento di oltre due decimi di punto (da 1,59 a 1,85 per cento del PIL) e a una riduzione dell'avanzo primario dall'1,95 all'1,81 per cento: un risultato che non sembra riconducibile esclusivamente al rallentamento della crescita, giacché almeno per il 2018 il dato relativo al PIL nominale è rivisto in crescita di oltre 1,3 miliardi di euro, oltre alla revisione apportata dall'ISTAT di oltre 8 miliardi di euro annui per gli esercizi 2016 e 2017.
  Il peggioramento dei conti si accentua guardando al triennio 2019-2021. Rispetto al Documento di economia e finanza, la Nota rivede al rialzo, in media di 3 decimi di punto all'anno, le previsioni di indebitamento netto. La revisione riflette sia una minore crescita del prodotto sia una maggiore spesa per interessi. Quest'ultima è basata sull'attesa di maggiori rendimenti attualmente incorporata nella struttura a termine dei tassi. L'indebitamento crescerebbe all'1,2 per cento del PIL nel 2019 e allo 0,7 per cento nell'anno successivo. Nell'anno terminale, non sarebbe più consentito il pareggio nominale di bilancio, ma un disavanzo di mezzo punto percentuale.
  L'avanzo primario continuerebbe a crescere nel tempo per effetto dell'aumento delle imposte indirette (clausole di salvaguardia), mantenendosi, però, inferiore di 3 decimi di punto nel 2019 e di 4 decimi di punto nel biennio successivo rispetto alle stime del Documento di economia e finanza dello scorso aprile. La spesa per interessi tornerebbe a crescere in valore assoluto e in termini di prodotto di circa 0,2 punti percentuali del prodotto in media nel triennio, risalendo nel 2021 al 3,8 per cento del PIL. La revisione dei tassi rispetto al Documento di economia e finanza comporta un onere di oltre 3 miliardi di euro nel 2019, sempre rispetto a quanto previsto, e di 4,6 miliardi di euro nell'anno terminale della previsione.
  La spesa corrente primaria presenta variazioni in aumento di fatto contenute: 1,5 miliardi di euro nel 2019 e 1,6 miliardi di euro nel 2020. La revisione al ribasso della spesa per investimenti (meno 1,7 miliardi di euro nel 2019 e meno 1,1 miliardi di euro nel biennio successivo) consentirebbe di annullare o contenere la crescita della spesa finale primaria, non impedendo tuttavia un aumento di quella complessiva in termini di prodotto di poco meno di mezzo punto percentuale in media nel triennio. Pag. 62
  Il rallentamento del prodotto si riverbera anche sulle entrate, che sono riviste in riduzione di 6 miliardi di euro nel 2019 e di poco meno di 10 miliardi di euro a fine periodo. Si tratta di una flessione che riguarda soprattutto le entrate dirette (-4,5 miliardi di euro) e, nel biennio 2020-2021, quelle indirette per 2,5 miliardi di euro.
  Passando al percorso programmatico 2019-2021, il Governo prevede, nel quadro programmatico, una sospensione della manovra di consolidamento fiscale scontata nel quadro tendenziale per il 2019, per riavviare dal 2020 il percorso di riassorbimento del disavanzo, una scelta ritenuta coerente nell'impostazione del Governo con l'obiettivo di miglioramento delle prospettive di crescita e di superamento della debolezza delle condizioni cicliche.
  Le misure previste nel programma, che dovranno trovare una concreta definizione nella prossima manovra, punterebbero a sostenere il reddito delle fasce della popolazione maggiormente colpita dalla recessione, misure che, associate a quelle per le imprese, il Governo ritiene idonee a favorire una più sostenuta ripresa della produzione e ad aumentare il potenziale di crescita. Migliorando le aspettative delle imprese, esse dovrebbero, in tale ottica, portare a una più decisa ripresa degli investimenti privati attraverso un'accelerazione della domanda interna, che si ritiene possa così tornare a tassi di crescita confrontabili con quelli dei maggiori Paesi europei.
  Gli interventi di sostegno dei redditi e quelli volti a consentire un pensionamento anticipato punterebbero anche a incidere sul mercato del lavoro, fornendo un nuovo impulso alla domanda d'impiego, offrendo ulteriori opportunità per le fasce più giovani della popolazione e consentendo alle imprese di ringiovanire la forza lavoro.
  A ciò si dovrebbe accompagnare un programma straordinario di investimenti e manutenzione delle infrastrutture rivolto alla messa in sicurezza del Paese.
  Il Governo conferma, infine, la volontà di disattivare nel 2019 la restante quota delle clausole di salvaguardia previste a legislazione vigente e il conseguente aumento di imposte indirette.
  Per attuare tale strategia, viene definito un andamento programmatico dei saldi fortemente peggiorativo rispetto ai valori tendenziali aggiornati. L'indebitamento netto passa dall'1,2 per cento al 2,4 per cento nel 2019. Nel biennio successivo, il percorso di riduzione riprende, mantenendosi, però, ben al di sopra del dato tendenziale: 2,1 per cento, rispetto allo 0,7, nel 2020, 1,8 per cento, rispetto allo 0,5, nel 2021.
  Minore è la correzione nel caso del saldo primario, la grandezza che misura le scelte discrezionali delle politiche di bilancio.
  La Nota prefigura una riduzione dell'avanzo dal 2,4 all'1,3 per cento del PIL nel 2019 e un'ulteriore flessione nel biennio successivo fino al 2,1 per cento del PIL contro il 3,3 del quadro tendenziale.
  L'eliminazione nel prossimo anno della parte residua della clausola di salvaguardia e l'avvio di gran parte delle misure previste dal programma di Governo, oltre che il maggior onere connesso all'aumento della spesa per interessi, porterebbero a un incremento del disavanzo di poco meno di 22 miliardi di euro. Tale scostamento rispetto al quadro tendenziale cresce, rispettivamente, a 26,4 e a 25,3 miliardi di euro nel 2020 e nel 2021, quando tuttavia l'importo delle clausole che il Governo prevede di assorbire sale da 12,4 miliardi di euro del 2019 a circa 20 miliardi.
  Ciò, a parità di altre condizioni e pur considerando la crescita prevista, potrebbe porre la necessità di individuare nuove risorse. Si tratta di una scelta particolarmente impegnativa, la cui valutazione in termini di congruenza e di realizzabilità delle coperture potrà essere fatta solo al momento della presentazione della legge di bilancio. Tale impostazione deve essere letta alla luce sia di un quadro tendenziale che, come già si è osservato in occasione dell'esame del Documento di economia e finanza, sconta un profilo di riduzione significativo della spesa in comparti determinanti per i servizi ai cittadini, sia degli obblighi imposti dal rispetto di accordi europei, e soprattutto di quelli di riassorbimento del debito, che più di ogni altro elemento continua a condizionare le scelte Pag. 63di bilancio del nostro Paese e a esporlo a rischi di instabilità finanziaria.
  Salterei il capitolo relativo ai saldi strutturali e andrei direttamente al capitolo riguardante il debito, rinviando al testo scritto. Dopo essere cresciuto di ben 32 punti di PIL tra il 2007 e il 2014, pari a oltre 530 miliardi di euro, a partire dal 2015 il rapporto debito/PIL ha registrato una timida discesa, passando dal 131,8 al 131,2 per cento. Secondo la valutazione di preconsuntivo contenuta nella Nota, il lento processo di recupero sarebbe continuato nel 2018 (130,9 per cento). Tra il 2015 e l'anno in corso, il debito è rimasto sostanzialmente stabile in Francia, intorno al 96 per cento, ed è sceso di 11 punti in Germania e altrettanto nell'insieme dei Paesi che con l'Italia hanno condiviso nel 2011 le difficoltà di finanza pubblica (Spagna, Irlanda, Portogallo e Grecia).
  In Italia, nel passato recente e meno recente, anche per l'insorgere di esigenze impreviste e a carattere non permanente, come quelle connesse agli interventi nel settore bancario, il rapporto in questione non è stato mai ridotto nella misura inizialmente programmata. L'obiettivo per il 2018, posto per la prima volta con il Documento di economia e finanza 2014, era pari al 120,4 per cento del PIL (2.155 miliardi di euro in valore assoluto, contro i 2.314 miliardi di euro ora stimati). In definitiva, nell'ultimo quadriennio, in luogo di una discesa che in punto di regole europee avrebbe dovuto cifrarsi ai 12-13 punti di prodotto, siamo stati in grado di assicurare un rientro misurabile solo in 8 decimi di punto.
  Per il triennio 2019-2021, in coerenza con il complessivo riorientamento della politica di bilancio, la Nota ridisegna il percorso programmatico del debito pubblico e prospetta una dinamica del rapporto debito/PIL che, pur se in discesa, si discosta considerevolmente dai documenti precedenti e da quanto richiesto dagli impegni europei. Secondo la Nota, nel quadro tendenziale il rapporto debito/PIL rifletterebbe una velocità via via maggiore, fino a raggiungere nel 2021 il 124,6 per cento (122 per cento nel Documento di economia e finanza di aprile).
  La decisione di intervenire con misure di segno espansivo, ma finanziate principalmente in deficit, comporta, nonostante la prevista maggiore crescita nominale e reale, un peggioramento della tendenza al rientro (126,7 per cento a fine periodo), con il risultato finale di una riduzione, tra il 2018 e il 2021, pari a 4,2 punti di prodotto. Una tale flessione si gioverebbe per circa 5,1 punti del crescente avanzo primario e per 9 decimi di punto dell'eccezionale circostanza che dovrebbe vedere la crescita dell'economia superare l'onere medio sul debito.
  Di contro, nel triennio considerato si aggiungeranno alla fonte primaria di incremento del debito, ossia il nuovo deficit, 1,8 punti per operazioni sotto la linea, circa 34 miliardi di euro dopo i 19 miliardi previsti per l'anno in corso.
  La traiettoria disegnata nel quadro programmatico della Nota non appare rassicurante. Secondo quanto riportato nello stesso documento, il profilo di riduzione del rapporto debito/PIL non è in linea con la regola del debito, come del resto già avveniva nel quadro del DEF dello scorso aprile e come si è verificato in misura minore gli anni scorsi. Per quest'anno ed il prossimo il quadro tendenziale se ne scosterebbe di 3,1 e 2,4 punti, mentre quello programmatico di 4,2 e 3,9 punti prendendo a riferimento il cosiddetto criterio forward looking.
  Diversamente dal passato, la Nota non ha presentato quest'anno un'analisi di sensitività decennale di base. Una valutazione basata sugli stessi approcci metodologici indicati dalla Commissione e generalmente utilizzati nei documenti programmatici ufficiali spinge a ritenere come siano limitati i margini di sicurezza che circondano il profilo discendente del rapporto debito/PIL.
  Al di là, però, dei possibili riflessi di eventuali scenari sulla crescita del PIL e su tassi di interesse meno favorevoli, occorre tener conto che le analisi di carattere probabilistico legate all'incertezza che circonda ogni scenario di previsione segnalano come, nella revisione al rialzo della traiettoria del rapporto debito/PIL, siano cresciute le probabilità che già nel secondo Pag. 64anno di previsione si abbia una risalita del rapporto in luogo della programmata riduzione. Tale probabilità, che appare nel DEF di aprile al 17 per cento, si può valutare ora compresa tra il 35 e il 40 per cento.
  Non appare superfluo ribadire che il rapporto debito/PIL è un indicatore cruciale. Se è discutibile il ruolo che l'indebitamento può giocare nel breve termine, vi è consenso a ritenere che nel lungo periodo la crescita del debito danneggia l'economia, mina la fiducia di famiglie e imprese e riduce gli investimenti, stante il permanente rischio di instabilità finanziaria.
  Anche di recente, in questa stessa sede, la Corte ha rimarcato l'esigenza di cogliere le favorevoli circostanze macrofinanziarie di questa fase (costo medio del debito storicamente basso) per imprimere una spinta al lento processo di recupero ora in atto. È da auspicare che si possa presto essere nelle condizioni di accelerare sensibilmente lungo il percorso designato, talché possano aprirsi concrete prospettive per più duraturi ed elevati livelli di crescita effettiva e potenziale, condizione essenziale per non esporre lo stesso risparmio delle famiglie italiane al rischio dell'instabilità.
  Vengo ora alle considerazioni conclusive. Nel valutare il quadro macroeconomico di finanza pubblica di medio periodo offerto dal Documento di economia e finanza 2018, che si limitava a descrivere proiezioni tendenziali in attesa che un nuovo Governo proponesse gli indirizzi programmatici da sottoporre al Parlamento, la Corte, nell'aprile scorso, aveva osservato come si trattasse di uno scenario che conteneva allo stesso tempo indicazioni favorevoli e rassicuranti, ma anche elementi critici, che provenivano sia dal quadro internazionale sia dall'emergere di nuove fragilità sulle tendenze, anche di medio-lungo periodo, dei nostri conti pubblici.
  Il quadro portava ad auspicare la necessità di programmare il futuro sulla base di scelte molto caute e di interventi di politica economica selettivi, e ciò anche alla luce degli scenari demografici, che in particolare in Italia potrebbero comportare nel medio-lungo periodo un crescente assorbimento di risorse pubbliche per far fronte alle esigenze connesse all'invecchiamento della popolazione per previdenza, assistenza e sanità, e al tasso di dipendenza di anziani, che crescerà nei prossimi anni in misura ragguardevole.
  Le incertezze che caratterizzavano la congiuntura si sono tradotte nei mesi intercorsi in un peggioramento delle previsioni economiche internazionali. Il quadro macroeconomico ha confermato gli effetti di rallentamento, che si paventavano, conseguenti alla politica commerciale degli Stati Uniti su dazi e restrizioni all'ingresso. Ciò ha comportato un rallentamento della domanda per le nostre esportazioni e un aumento del costo delle importazioni nonché ripercussioni sul tasso di cambio a medio termine.
  Il definitivo annuncio del graduale esaurimento della politica monetaria accomodante e le nuove tensioni sui tassi, soprattutto nel nostro Paese, hanno contribuito a tale peggioramento. Con riguardo alla finanza pubblica, gli effetti degli andamenti macroeconomici e delle misure già contenute nell'azione vigente determinerebbero, secondo la Nota, un peggioramento dei saldi di bilancio in termini sia nominali sia strutturali e del rapporto debito/PIL. Si tratta di un quadro su cui incide l'aumento della spesa per il servizio del debito. L'insuccesso che finora hanno segnato i tentativi di recuperare livelli più adeguati di investimenti pubblici, fattore importante per il sostegno della crescita economica, ha tuttavia consentito di contenere l'effetto peggiorativo dei saldi.
  In questo quadro, oltre all'impegno finanziario che richiederà la sostituzione delle clausole di salvaguardia IVA, non va trascurato che il tendenziale continua a scontare un profilo della spesa in riduzione dei principali comparti dei servizi: flette ancora la quota del prodotto destinato alla sanità e si restringe lo spazio riservato alle amministrazioni locali per spesa non sanitaria, quella destinata ai servizi più vicini ai cittadini (trasporti locali, servizi alla persona e così via).
  Nel valutare tali andamenti, già anticipati nel Documento di economia e finanza dello scorso aprile, la Corte osservava come Pag. 65ciò rendesse necessario che la revisione della spesa fosse orientata verso una maggiore efficienza nella gestione delle risorse pubbliche attraverso un attento screening della qualità dei servizi resi e una più penetrante capacità di misurazione dei risultati raggiunti dai diversi programmi, ma anche che venissero adottate scelte selettive, in assenza delle quali vi era il rischio di un graduale spostamento della spesa verso quella a carico dei cittadini.
  Il percorso programmatico delineato nella Nota si discosta in misura significativa dal sentiero di graduale rientro del disavanzo allora tracciato. Esso punta, invece, sugli effetti di stimolo alla crescita che nel nuovo quadro deriverebbero da un significativo aumento della spesa pubblica, volta, non solo a imprimere un'accelerazione agli interventi infrastrutturali, ma anche ad accrescere le risorse trasferite alle famiglie e a rivedere i meccanismi che regolano i tempi di accesso alla pensione.
  Interventi a favore dei trattamenti previdenziali e delle politiche di assistenza che puntino al contrasto della povertà devono essere adottati senza mettere a rischio la sostenibilità finanziaria del sistema. Da ciò deriva l'esigenza che questo avvenga sempre salvaguardando gli equilibri già conseguiti in singoli comparti e gestendo l'accesso alle prestazioni assistenziali in una logica di unitarietà, con un'attenta analisi e verifica della correlazione tra i servizi resi e le condizioni economiche e sociali complessive delle famiglie che li richiedono.
  Anche sul fronte delle entrate, si ribadisce la necessità di una più strutturale rivisitazione del sistema impositivo, per renderlo coerente con una maggiore equità e con un più favorevole ambiente per la crescita. Il ripetersi di modalità di prelievo (sanatorie fiscali o mitigazioni del prelievo su limitate tipologie di soggetti), pur dettate dall'intento di riequilibrare e, ove possibile, alleggerire l'onere fiscale, può incidere sulla stessa percezione di equità fiscale o introdurre nuove distorsioni nelle scelte adottate nel mondo del lavoro.
  Resta poi imprescindibile la necessità di ridurre – e in prospettiva di rimuovere – l'inevitabile pressione che un elevato debito pubblico pone sui tassi di interesse e sulla complessiva stabilità finanziaria del Paese e, dunque, in definitiva, sulle potenzialità di crescita.
  Su questo fronte un indebolimento delle riforme che hanno contribuito a una maggiore sostenibilità del nostro sistema non può non destare preoccupazione.
  In conclusione, il tratto distintivo della Nota 2018 è l'abbandono della precedente impostazione, che tendeva a conciliare l'esigenza di un recupero di tassi di crescita economica più elevati con il mantenimento di condizioni di sicurezza nella gestione della finanza pubblica; una scelta, quella assunta oggi, che si fonda, invece, sulla convinzione che l'accelerazione dei processi di riforma alla base del programma di Governo possa tradursi in un vigoroso impulso alla crescita.
  Con la legge costituzionale n. 1 del 2012 e, in attuazione di essa, con la legge rinforzata n. 243 del 2012, il nostro Paese ha scelto di recepire a livello costituzionale le indicazioni della disciplina europea del fiscal compact, individuando l'obiettivo di medio termine nell'equilibrio di bilancio delle amministrazioni pubbliche, misurato in termini di saldo strutturale.
  Va, peraltro, ricordato, come già avvenuto in precedenti occasioni, che scostamenti temporanei dal percorso verso tale equilibrio possono essere ammessi solo in caso di eventi eccezionali, che la legge rinforzata individua nelle tre fattispecie delle gravi recessioni economiche, delle crisi finanziarie e delle gravi calamità naturali. L'eventuale scostamento relativo al saldo di bilancio di uno specifico anno deve poi essere autorizzato dalle Camere a maggioranza assoluta, con piano di rientro decorrente fin dall'esercizio successivo.
  Il riferimento all'intero perimetro delle amministrazioni pubbliche fa sì che la verifica sul rispetto del principio dell'equilibrio dei conti può essere effettuata in sede preventiva solo con riguardo ai documenti programmatici, come il Documento di economia e finanza e la Nota di aggiornamento, che espongono, per l'appunto, i quadri di finanza pubblica relativi al conto consolidato delle amministrazioni pubbliche Pag. 66 e ai conti dei principali sottosettori che lo compongono (amministrazioni centrali, amministrazioni locali ed enti di previdenza). A consuntivo, invece, tali conti, elaborati dall'ISTAT, sono presentati dal Governo all'Unione europea.
  La Nota 2018, mentre assume, dopo la forte accelerazione decisa per il 2019, un profilo di graduale riduzione dell'indebitamento nominale, presenta un quadro programmatico che, con riguardo al saldo strutturale, collocherebbe l'Italia in una posizione non coerente con l'obiettivo di medio termine concordato in sede europea. La deviazione è particolarmente ampia per il 2019: a un miglioramento richiesto dello 0,6 per cento del PIL si contrappone un peggioramento previsto dello 0,8 per cento, con una differenza, dunque, di 1,4 punti. Né il recupero del sentiero di convergenza è programmato per i due anni successivi, quando invece il saldo strutturale si confermerebbe sul livello del 2019.
  Va considerato poi che la stima della componente ciclica del saldo di bilancio che la Nota propone appare più elevata rispetto ad altre valutazioni effettuate per lo stesso aggregato. Ne emerge uno scenario programmatico dai margini molto ristretti, come rilevato dallo stesso quadro previsionale contenuto nella Nota.
  Infine, la Corte sottolinea, ancora una volta, l'importanza che la manovra dia il segnale che si intende procedere con decisione verso più solide condizioni di crescita, migliorando la qualità della spesa, portando a compimento le riforme avviate e affrontando le ragioni della bassa crescita del PIL potenziale in Italia. Una valutazione più completa potrà essere espressa quando saranno noti i contenuti effettivi degli interventi proposti.
  Tuttavia, sulla realizzabilità degli effetti positivi associati al quadro previsionale pesa la circostanza che una quota assai significativa degli incrementi di spesa assume la forma di trasferimenti alle famiglie, componente che presenta bassi valori dei moltiplicatori.
  È essenziale che fin da ora sia chiara l'irrinunciabilità di interventi di razionalizzazione della spesa pubblica per liberare risorse in grado di riqualificarla, sostenendo progetti di investimento, puntando al miglioramento dell'efficienza della pubblica amministrazione, realizzando sistemi e livelli di istruzione e formazione all'altezza dei nostri partner, nonché sostenendo con politiche attive del lavoro la ricerca di occupazione dei giovani, ma contando su strutture adeguate da costruire e da cui non si può prescindere.
  Tale esigenza è resa più forte anche dalla circostanza che già in fase di programmazione i margini per garantire un percorso di seppur lenta riduzione del debito risultano molto contenuti, ponendo il Paese su un crinale particolarmente stretto. A fronte delle inevitabili incertezze connaturate a qualsivoglia quadro previsivo, va posta particolare attenzione ai contenuti margini di sicurezza rispetto a uno scenario di possibile risalita del rapporto debito/PIL. Questo rappresenta un rischio, al di là del mancato rispetto della regola del fiscal compact.
  Ho concluso la mia relazione e sono a disposizione per eventuali domande.

  PRESIDENTE. Grazie mille. Anche in questo caso mi sembra che l'esposizione sia stata assolutamente esaustiva, perché non mi pare di vedere richieste di intervento, a parte quella dell'onorevole Marattin, cui do la parola.

  LUIGI MARATTIN. Mi aspettavo che qualche esponente della maggioranza intervenisse, visto che questa audizione demolisce quasi completamente l'impianto di politica economica di questa Nota di aggiornamento. Sarei curioso di sapere (Commenti dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Lega-Salvini Premier)...
  Probabilmente i colleghi non sanno di cosa si discute, è per quello che (Commenti dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Lega-Salvini Premier)... Parlate, allora. Non vi sento mai parlare. Voi ogni tanto leggete un foglio che vi danno, ma dubito che lo capiate fino in fondo. Dimostratemi il contrario, fate un intervento, rispondete (Commenti dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Lega-Salvini Premier)...

  PRESIDENTE. Non è un dibattito. Arrivi alla domanda.

Pag. 67

  LUIGI MARATTIN. Questa sarà arroganza, la vostra è ignoranza, sempre in «-anza» finisce. Presidente, vorrei farle una domanda a questo punto, visto che non abbiamo possibilità di discutere nel merito. Io sono d'accordo con quello che ho ascoltato in questa audizione. Non so se lo sono anche i colleghi di maggioranza.
  Le vorrei chiedere, a fronte soprattutto delle ultime cose dette, che opinione si è fatto su come il Governo possa giustificare una palese violazione del dettato costituzionale. Infatti, lei stesso ci ricorda che la deviazione dal sentiero di convergenza verso l'obiettivo di medio termine, secondo quanto stabilisce la nostra Costituzione, può essere autorizzata solo in due casi: una grave recessione economica, che si definisce come due trimestri consecutivi di crescita negativa, o gravi calamità naturali, non includendo nella definizione di calamità naturale avere al Governo gente che non sa quello che fa, evidentemente, altrimenti quella sarebbe probabilmente una giustificazione coerente.
  A fronte di questo, il Governo nelle ultime ore continua ad affermare che in realtà la giustificazione sta nel fatto che il tasso di crescita dell'economia non è ancora quello desiderato, definendo desiderato un tasso di crescita precedente alla crisi. Ovviamente questa definizione di crisi finanziaria o crisi economica non è quella che esiste nei dizionari della lingua italiana.
  Dunque, secondo lei, come è possibile giustificare una così palese deviazione dal dettato costituzionale? Infatti, la legge n. 243 del 2012, all'articolo 6, dà attuazione all'articolo 81 della Costituzione e, quindi, richiama direttamente un principio contenuto nella nostra stessa Costituzione.

  ANDREA MANDELLI. Presidente, faccio solo due piccole annotazioni. Al di là del fatto che credo davvero che il documento della Corte dei conti getti parecchi dubbi sulla Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza e che ci lasci tanti spunti di riflessione, al di là dello stesso incipit, che sostanzialmente pungola il Governo a dare più tempo e a cercare di avere un dibattito più obiettivo e oggettivo con le Commissioni, due sono i punti che io considero come più preoccupanti, tra i tanti segnalati in questa relazione. Il primo è una stima del PIL non troppo coerente con quello che ci si può aspettare e il secondo è il tema delle clausole di salvaguardia, che sono un po’ modulate per cercare di far tornare i conti al Governo. Sono i due punti su cui credo ci siano le ombre più profonde gettate da questa relazione.
  Chiedo, quindi, al presidente se pensa che, così com'è, questa Nota di aggiornamento sia coerente con gli obiettivi che ci si pone per il Paese oppure se tutte le minacce e preoccupazioni che voi esponete oggi sono assolutamente fuorvianti rispetto ai temi contenuti in questa manovra.

  VINCENZO PRESUTTO. Sappiamo leggere le carte, ma non soltanto quelle che vengono riferite durante le relazioni in Aula. Io ho avuto il piacere di essere relatore del disegno di legge recante il rendiconto generale dell'Amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2017. Faccio il commercialista nella vita, sono revisore per gli enti locali e interagisco anche professionalmente in altri ambiti con la Corte dei conti. Ho seguito con attenzione la relazione della Corte dei conti e mi ha colpito un punto in particolare. Sono sicuramente importanti i differenziali, però quando valutiamo la situazione economico-finanziaria del Paese è anche molto importante valutare la situazione patrimoniale finanziaria.
  Quando ho relazionato sul disegno di legge recante il rendiconto del 2017 e il PD in modo particolare si è concentrato sui differenziali, ho sottolineato proprio al collega Misiani l'importanza e anche la qualità di quei valori positivi, però ho riscontrato una sistematica tendenza negativa sull'accrescimento dei valori finanziari passivi. Abbiamo 2.800 miliardi di euro, bilanciati da uno «pseudo-credito attivo» di circa 900 miliardi di euro. Per quella cifra particolarmente importante abbiamo una capacità di riscossione, indicata dai documenti presentati proprio dalla Corte dei conti – se ricordo bene –, di 50 miliardi di euro.
  Allora mi sono chiesto: se per caso quel deficit finanziario da 1.800 miliardi di euro non fosse bilanciato da quelle poste correttive Pag. 68 e creditizie, cosa accadrebbe alla situazione economico-finanziaria?
  Ho sentito finora tante belle parole su come si gestisce lo Stato. Mi perdoni, presidente, in seguito porrò anche una domanda molto mirata al rappresentante della Corte dei conti. Ci si dovrebbe chiedere: «Forse sono stato io colpevole di questa situazione? Probabilmente ho gestito male lo Stato». Infatti, chi oggi sta evidenziando delle criticità negative ha gestito lo Stato, il Governo e il Parlamento negli ultimi dieci-venti anni.
  Io mi sono posto anche un'altra domanda, perché ho guardato con molta attenzione la legge sulla contabilità dello Stato. Nei comuni è stata applicata e ci siamo posti più volte questa domanda. Il presidente è stato anche presente quando abbiamo valutato l'applicazione della contabilità tipica dell'armonizzazione allo Stato. Ci siamo chiesti: cosa accadrà ai conti dello Stato quando applicheremo la finanza potenziata?
  Dico ai colleghi: siete stati bravi a portarci in queste condizioni, adesso dateci modo di provare, perché (Commenti del deputato Marattin)...

  PRESIDENTE. Collega Marattin, lasci finire l'intervento.

  VINCENZO PRESUTTO. Presidente Borghi, chiedo un po’ di rispetto da parte del collega.

  PRESIDENTE. Ha ragione. Non posso entrare nel merito Non è un dibattito tra di voi (Commenti del deputato Marattin).... Onorevole Marattin, la prego.

  VINCENZO PRESUTTO. Noi non abbiamo bisogno di offendere gli altri, abbiamo le nostre conoscenze e le nostre competenze. Presidente, vorrei chiedere una cosa. Rispetto alla situazione finanziaria dello Stato (Commenti del deputato Marattin)......
  Mi dispiace, ma lei si innervosisce. Forse perché abbiamo dimostrato che non siamo ignoranti? Le cose le conosciamo. Noi lavoriamo, non studiamo (Commenti del deputato Marattin)....

  LUIGI MARATTIN. Confondete lo stato patrimoniale con il conto economico...

  PRESIDENTE. Basta, onorevole Marattin.

  VINCENZO PRESUTTO. Lo stato patrimoniale è una componente. Io l'ho letta relazionata nel rendiconto di gestione. Scusate, avete sbagliato? Per caso, il Parlamento ha sbagliato a darmi il documento? Abbiamo approvato il disegno di legge.
  Conosciamo i dati. La situazione è molto preoccupante, più di quello che forse le stesse informazioni danno. Allora, chiedo al presidente che cosa accadrà, secondo lei, da un punto di vista tecnico, perché è la materia che vi compete, se per caso verrà applicata integralmente una modalità di tenuta della contabilità dello Stato a questa condizione, così come oggi appare.

  PRESIDENTE. Do la parola al presidente Buscema per la replica.

  ANGELO BUSCEMA, presidente della Corte dei conti. Cercherò di dare delle risposte alle domande che sono state poste. Anche se chi le ha poste è andato via, sento il dovere di dare delle risposte, anche per rispetto al Parlamento e ai suoi rappresentanti.
  Per quanto riguarda la deviazione rispetto all'equilibrio, abbiamo ricordato la possibilità da parte del Parlamento di procedere attraverso una ridefinizione. Abbiamo richiamato la norma, la legge costituzionale, che è una regola che il Parlamento si è dato, prevedendo alcune fattispecie, che – ripeto – sono gravi recessioni economiche, crisi finanziarie e gravi calamità naturali. Questo è quello che la legge costituzionale prevede per quanto riguarda la deviazione.
  Abbiamo ricordato che è previsto consentire questa deviazione, ma è una scelta che assume il Parlamento. È una forma attraverso la quale il Parlamento si è in qualche modo voluto limitare nella possibilità di riequilibrio, Pag. 69 prevedendo la necessità di una maggioranza qualificata. Il nostro compito è quello di richiamare. Noi siamo dei tecnici, cerchiamo di ricordare le regole. Non siamo noi a suggerire le regole, ma richiamiamo le regole che già esistono. Ci siamo permessi di farlo perché chiaramente il quadro meritava di essere ricordato.
  Ovviamente, rispetto agli obiettivi, la nostra valutazione è contenuta nel documento che ho descritto e depositato agli atti della Commissione. Tra l'altro, i numeri che abbiamo richiamato non sono nostri, ma sono contenuti nella Nota di aggiornamento. Non si tratta di una nostra valutazione, ma di un richiamo al quadro che dalla Nota di aggiornamento deriva. Non abbiamo espresso nostre valutazioni.
  Abbiamo, tuttavia, richiamato l'attenzione su un cambio di scelta di politica economica. Si è passati da una politica economica che tendeva verso un riequilibrio, sia pure con risultati ancora non significativi, a una scelta diversa. Allora, abbiamo rimarcato questo cambiamento, ovviamente rinviando ogni valutazione ai provvedimenti attuativi. La Nota di aggiornamento pone delle indicazioni che potranno essere poi concretamente realizzate quando gli interventi correttivi attuativi saranno realizzati.
  È chiaro, quindi, che abbiamo delineato uno scenario di insieme, fotografando i numeri, e abbiamo cercato di rimarcare il cambio di politica economica attraverso l'intervento sulla crisi tramite i trasferimenti alle famiglie, segnalando ovviamente anche che il trasferimento alle famiglie dal punto di vista del moltiplicatore ha un valore più basso rispetto alle altre misure. Questo è un fatto noto. Abbiamo rimarcato questa prospettiva.
  Per quanto riguarda l'altra domanda, dovremo conoscere la legge di bilancio. La Nota di aggiornamento non può ancora darci dei risultati rispetto a questa prospettazione. I numeri della legge di bilancio potranno darci delle indicazioni su come il bilancio verrà costruito. Soltanto in quel momento si potrà avere un quadro d'insieme.
  Oggi, la Nota di aggiornamento aggiorna, modifica e prospetta diversamente degli aggregati. Noi ci siamo limitati a segnalarli. I nostri sono richiami che abbiamo cercato di porre all'attenzione, ma, d'altra parte, c'è già l'attenzione del Parlamento su questo punto. Ovviamente, noi siamo stati auditi per ultimi rispetto ad altre autorità che sono state audite da queste Commissioni. Il nostro è un po’ un richiamo all'attenzione del Parlamento.
  Certamente, la contabilità dello Stato è sottoposta a regole diverse rispetto a quella degli enti locali. L'abbiamo potuto verificare in altre occasioni. Forse, come si ricordava, in quelle occasioni abbiamo rimarcato che, per quanto riguarda la contabilità dello Stato, ci sono modalità diverse, applicazioni diverse, ma queste sono scelte che chiaramente il Parlamento ben conosce.
  Certamente, credo che non si possa d'emblée applicare agli enti locali regole dell'amministrazione dello Stato. C'è bisogno, forse, di trovare delle modalità comuni di connessione tra il bilancio dello Stato e quello delle amministrazioni locali: abbiamo, ad esempio, il conto consolidato delle pubbliche amministrazioni e tante altre forme, ma probabilmente alcune regole è bene che siano ben diverse da quelle valide per lo Stato.
  Quello che si diceva sicuramente è interessante, ma probabilmente necessiterebbe di un approfondimento. Non è questa la sede per discutere del problema tecnico del bilancio dello Stato.

  PRESIDENTE. La ringrazio, presidente Buscema. Abbiamo concluso questa fase delle audizioni. Resta da audire il presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.