CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 6 luglio 2021
618.
XVIII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni (I)
COMUNICATO
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COMITATO PERMANENTE PER I PARERI

  Martedì 6 luglio 2021. — Presidenza del vicepresidente Fausto RACITI.

  La seduta comincia alle 15.

Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali.
C. 3179 e abb.
(Parere alla II Commissione).
(Esame e conclusione – Parere favorevole con osservazioni).

  Il Comitato inizia l'esame del provvedimento.

  Fausto RACITI, presidente e relatore, rileva come il Comitato permanente per i pareri della I Commissione sia chiamato a esaminare, ai fini del parere alla II Commissione Giustizia, la proposta di legge C. 3179 Meloni, recante disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali, adottata quale testo base dalla II Commissione in sede referente, alla quale sono abbinate le proposte di legge C. 301 Meloni, C. 1979 Mandelli, C. 2192 Morrone, C. 2741 Bitonci e C. 3058 Di Sarno.
  Illustrando la proposta di legge, che si compone di 10 articoli, evidenzia come l'articolo 1 contenga la definizione di equo compenso.
  A tale fine, ribadendo quanto già previsto nella normativa vigente, la disposizione specifica che per essere considerato equo il compenso deve essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, nonché conforme ai compensi previsti, per gli avvocati, dal decreto del Ministro della Giustizia per la determinazione del compenso dell'avvocato per ogni ipotesi di mancata determinazione consensuale e liquidazione giudiziale, e, per gli altri professionisti, ai compensi definiti da specifici decreti ministeriali emanati in attuazione dell'articolo 9 del decreto-legge n. 1 del 2012.
  Al riguardo ricorda che la disciplina dell'equo compenso è stata introdotta, nella scorsa Legislatura, per porre rimedio a situazioni di squilibrio nei rapporti contrattuali Pag. 30 tra professionisti e clienti «forti», individuati nelle imprese bancarie e assicurative nonché nelle imprese diverse dalle PMI.
  Sono stati infatti approvati, in rapida successione, l'articolo 19-quaterdecies del decreto-legge n. 148 del 2017 e l'articolo 1, commi 487 e 488, della legge n. 205 del 2017 (legge di bilancio 2018), che hanno disciplinato l'equo compenso per le prestazioni professionali degli avvocati, poi esteso anche alle altre professioni regolamentate e nell'ambito del lavoro autonomo.
  In particolare, l'articolo 19-quaterdecies del decreto-legge n. 148 del 2017 ha disciplinato il compenso degli avvocati nei rapporti professionali con imprese bancarie e assicurative, nonché con imprese diverse dalle microimprese e dalle piccole e medie imprese, quando il rapporto professionale sia regolato da una convenzione. Il legislatore ha introdotto una disciplina del compenso e ha richiesto che tale compenso sia equo, presupponendo che la convenzione sia stata predisposta unilateralmente dal cliente «forte» a svantaggio del professionista. A tal fine, il decreto-legge ha introdotto nella legge professionale forense (legge n. 247 del 2012) l'articolo 13-bis, poi modificato dalla legge di bilancio 2018, che definisce equo il compenso dell'avvocato determinato nelle convenzioni quando esso sia «proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto» e «al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale», nonché conforme ai parametri determinati dal decreto del Ministro della Giustizia per la determinazione del compenso dell'avvocato per ogni ipotesi di mancata determinazione consensuale e liquidazione giudiziale.
  Il comma 2 dell'articolo 19-quaterdecies, inoltre, ha esteso il diritto all'equo compenso previsto per la professione forense, in quanto compatibile, anche a tutti i rapporti di lavoro autonomo che interessano professionisti, iscritti o meno agli ordini e collegi, i cui parametri sono definiti dai decreti ministeriali di attuazione del decreto-legge n. 1 del 2012, il quale, con esclusivo riferimento alle professioni ordinistiche, ha soppresso le tariffe professionali e ha introdotto i parametri per la liquidazione giudiziale dei compensi in caso di mancato accordo tra le parti.
  A tale proposito rammenta, peraltro, che in data 22 novembre 2017 l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nell'esercizio dei poteri di cui all'articolo 22 della legge n. 287 del 1990, ha deliberato l'invio di una segnalazione ai presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, nonché al Presidente del Consiglio dei ministri, avente ad oggetto alcune disposizioni previste nel decreto – legge n. 148 del 2017.
  In primo luogo, è stata segnalata la contrarietà ai principi concorrenziali di quanto previsto dall'articolo 19-quaterdecies in tema di «equo compenso» per le professioni, che introduce il principio generale per cui le clausole contrattuali tra i professionisti e alcune categorie di clienti, che fissino un compenso a livello inferiore rispetto ai valori stabiliti in parametri individuati da decreti ministeriali, sono da considerarsi vessatorie e quindi nulle. Secondo l'Autorità, la disposizione, nella misura in cui collega l'equità del compenso a parametri tariffari contenuti nei decreti anzidetti, reintroduce di fatto i minimi tariffari, con l'effetto di ostacolare la concorrenza di prezzo tra professionisti nelle relazioni commerciali con alcune tipologie di clienti cosiddetti «forti» e ricomprende anche la Pubblica Amministrazione.
  L'Autorità ha sottolineato come, secondo i consolidati principi antitrust nazionali e comunitari, le tariffe professionali fisse e minime costituiscano una grave restrizione della concorrenza, in quanto impediscono ai professionisti di adottare comportamenti economici indipendenti e, quindi, di utilizzare il più importante strumento concorrenziale, ossia il prezzo della prestazione. L'Autorità ha quindi concluso che «l'articolo 19-quaterdecies, in quanto idoneo a reintrodurre nell'Ordinamento un sistema di tariffe minime, peraltro esteso all'intero settore dei servizi professionali, non risponde ai principi di proporzionalità concorrenziale, oltre a porsi in stridente controtendenza con i processi di liberalizzazione che, negli anni più recenti, hanno Pag. 31interessato il nostro ordinamento anche nel settore delle professioni regolamentate».
  L'articolo 2 definisce, al comma 1, l'ambito di intervento della proposta di legge che si applica al compenso del professionista in relazione a tutte le attività professionali che:

   trovano fondamento in convenzioni;

   sono svolte in favore di imprese bancarie e assicurative, nonché di imprese che nel triennio precedente al conferimento dell'incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di 60 lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro.

  Rispetto alla normativa vigente, la proposta amplia l'ambito applicativo della disciplina sull'equo compenso, delineando, in relazione alla realtà produttiva italiana, le caratteristiche che deve avere l'impresa per poter essere considerata, rispetto al professionista, un contraente «forte».
  Rammenta al riguardo che attualmente, infatti, secondo l'articolo 13-bis, comma 1, della legge n. 247 del 2012, la quale reca la disciplina sull'equo compenso, si applica, oltre che in relazione alle imprese bancarie e assicurative, anche in tutti i rapporti basati su convenzioni tra professionista e impresa diversa dalla micro, piccola e media impresa, come definite dalla raccomandazione 2003/361CE della Commissione, del 6 maggio 2003.
  In base ai parametri europei, «la categoria delle microimprese, delle piccole imprese e delle medie imprese (PMI) è costituita da imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro».
  Il comma 2 specifica che le disposizioni sull'equo compenso si applicano ad ogni tipo di accordo preparatorio o definitivo, purché vincolante per il professionista le cui clausole siano unilateralmente predisposte o utilizzate dalle predette imprese; al riguardo anticipa che l'articolo 4, comma 1, della proposta di legge specifica che gli accordi, purché vincolanti per il professionista, tra quest'ultimo e le imprese della tipologia sopraindicata si presumono unilateralmente predisposti dalle stesse, salvo prova contraria.
  Il comma 3 estende l'applicazione della disciplina dell'equo compenso alle prestazioni rese dal professionista nei confronti della pubblica amministrazione e degli agenti della riscossione.
  Ricorda che il già citato articolo 19-quaterdecies del decreto-legge n. 148 del 2017 prevede attualmente, al comma 3, che la pubblica amministrazione, in attuazione dei princìpi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell'equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti.
  Il medesimo articolo 19-quaterdecies, al comma 4-bis esclude dall'applicazione della disciplina sull'equo compenso gli agenti della riscossione, i quali devono garantire, comunque, al momento del conferimento dell'incarico professionale, la pattuizione di compensi adeguati all'importanza dell'opera, tenendo conto, in ogni caso, dell'eventuale ripetitività delle prestazioni richieste.
  L'articolo 3 detta la disciplina delle clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato per lo svolgimento di attività professionali.
  Più in dettaglio, la disposizione aggiunge nove nuovi commi nell'articolo 2233 del codice civile, il quale, dettando la disciplina del compenso nelle professioni intellettuali, nella formulazione vigente stabilisce che il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, sentito il parere dell'associazione professionale a cui il professionista appartiene. Tale disposizione pone dunque una gerarchia di carattere preferenziale tra i criteri di determinazione dell'onorario del professionista, considerando prima di tutto l'accordo delle parti e, solo in sua mancanza, le tariffe professionali, gli usi e la decisione del giudice, con la conseguenza che, assumendo le tariffe massime un ruolo sussidiario Pag. 32 e recessivo, esse continuano ad essere obbligatorie solo nel caso in cui non sia concluso alcun patto tra avvocato e cliente.
  La disposizione specifica inoltre che in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione e che sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali.
  Al riguardo rileva come le modifiche al codice siano destinate ad avere una portata generale e a trovare applicazione per tutte le prestazioni d'opera intellettuale, dunque oltre l'ambito previsto dall'articolo 2 della proposta di legge, che fa riferimento ai rapporti professionali con contraenti forti basati su convenzioni: segnala quindi l'opportunità di un coordinamento tra le due disposizioni.
  In particolare, l'articolo 3 della proposta di legge, inserendo un nuovo quarto comma nell'articolo 2233 del codice civile, prevede la nullità delle clausole che non stabiliscono un compenso equo e proporzionato all'opera prestata, con riguardo anche ai costi sostenuti dal prestatore d'opera; la proposta specifica quindi che sono nulle le pattuizioni di un compenso inferiore:

   agli importi stabiliti dai parametri o dalle tariffe per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati con decreto ministeriale;

   ai parametri determinati con decreto ministeriale, per la professione forense.

  Con riguardo all'impugnazione degli accordi, il nuovo quinto comma dell'articolo 2233 specifica che per far valere la nullità della pattuizione e chiedere la rideterminazione giudiziale del compenso per l'attività professionale prestata, il solo professionista può impugnare – innanzi al tribunale del luogo ove egli ha la residenza o il domicilio – l'accordo di qualsiasi tipo (convenzione, contratto, esito della gara, predisposizione di un elenco di fiduciari etc.) che preveda un compenso inferiore ai predetti parametri.
  Secondo quanto previsto dal nuovo sesto comma dell'articolo 2233, che riproduce sostanzialmente la normativa vigente, il tribunale procede alla rideterminazione del compenso secondo i parametri o le tariffe ministeriali in vigore relativi alle attività svolte dal professionista, tenendo conto dell'opera effettivamente prestata.
  È inoltre introdotta la possibilità per il tribunale di richiedere al professionista di acquisire il parere di congruità dell'ordine o del collegio professionale. Al riguardo si specifica:

   che il parere di congruità costituisce piena prova in merito alle caratteristiche dell'attività prestata, all'importanza, natura, difficoltà e valore dell'affare, alle condizioni soggettive del cliente, ai risultati conseguiti, al numero e alla complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate;

   che il tribunale non possa avvalersi, nel procedimento di rideterminazione del compenso, di consulenze tecniche.

  Il nuovo settimo comma dell'articolo 2233 prevede altresì la nullità di qualsiasi pattuizione:

   che vieti allo stesso professionista di pretendere acconti nel corso della prestazione;

   che imponga allo stesso l'anticipazione di spese;

   che – comunque – attribuisca al committente o cliente vantaggi sproporzionati rispetto alla quantità e alla qualità del lavoro svolto o del servizio reso.

  I nuovi commi da ottavo a dodicesimo dell'articolo 2233 qualificano come vessatorie alcune clausole che, laddove inserite nelle convenzioni tra cliente e professionista, sono da considerarsi nulle, specificando al riguardo (al nuovo decimo comma dell'articolo 2233) che la presunzione ha Pag. 33carattere assoluto e opera anche quando il contenuto della clausola sia stato oggetto di specifica trattativa.
  In particolare, si presumono vessatorie le clausole che consistono:

   nella riserva al cliente della facoltà di modificare unilateralmente le condizioni del contratto;

   nell'attribuzione al cliente della facoltà di rifiutare la stipulazione in forma scritta degli elementi essenziali del contratto;

   nell'attribuzione al cliente della facoltà di pretendere prestazioni aggiuntive che l'avvocato deve esercitare a titolo gratuito;

   nell'anticipazione delle spese della controversia a carico dell'avvocato;

   nella previsione di clausole che impongono all'avvocato la rinuncia al rimborso delle spese;

   nella previsione di termini di pagamento superiori a sessanta giorni dalla data di ricevimento da parte del cliente della fattura o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente;

   nella previsione, nell'ipotesi di liquidazione delle spese di lite in favore del cliente, che all'avvocato sia riconosciuto solo il minor importo previsto nella convenzione, anche nel caso che le spese liquidate siano state in tutto o in parte corrisposte o recuperate dalla parte;

   nella previsione che, in caso di nuova convenzione sostitutiva di altra precedentemente stipulata con il medesimo cliente, la nuova disciplina sui compensi si applichi, se comporta compensi inferiori a quelli previsti nella precedente convenzione, anche agli incarichi pendenti o, comunque, non ancora definiti o fatturati;

   nella previsione che il compenso pattuito per l'assistenza e la consulenza in materia contrattuale spetti solo in caso di sottoscrizione del contratto.

  Rileva come tali disposizioni riproducano largamente il contenuto della disciplina vigente, atteso che l'articolo 13-bis della legge professionale forense, qualifica come «vessatorie» le clausole contenute nelle convenzioni che determinano, anche in ragione della non equità del compenso pattuito, un significativo squilibrio contrattuale a carico dell'avvocato e presume, in particolare, la natura vessatoria di alcune specifiche ed elencate clausole. Si tratta delle medesime clausole riprodotte nella proposta di legge in esame, salva l'unica differenza consistente nella specificazione, presente nella disciplina vigente (all'articolo 13-bis, comma 6, della legge professionale forense) che le clausole elencate (al comma 5) si presumono vessatorie, fatta eccezione di quella relativa alla previsione di termini di pagamento superiori a sessanta giorni dalla data di ricevimento da parte del cliente della fattura o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente.
  Così come nella proposta di legge in esame, il richiamato articolo 13-bis, al comma 6, prevede che la presunzione determina la nullità delle clausole stesse e, al comma 8, specifica che le clausole vessatorie sono nulle, mentre il contratto rimane valido per il resto; inoltre, la nullità opera soltanto a vantaggio dell'avvocato.
  Inoltre, con previsioni innovative rispetto alla disciplina vigente, la proposta di legge:

   al nuovo comma nono dell'articolo 2233 esclude la natura vessatoria delle clausole che riproducono disposizioni di legge o che attuano princìpi contenuti in convenzioni internazionali;

   al secondo periodo del nuovo dodicesimo comma dell'articolo 2233 prevede che la nullità delle clausole vessatorie, pur rilevabile d'ufficio, possa essere oggetto di rinuncia da parte del professionista, che dovrà pronunciarsi in merito in modo espresso e irrevocabile.

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  In merito alla previsione del secondo periodo del nuovo dodicesimo comma dell'articolo 2233 segnala come il nuovo quinto comma dell'articolo 2233 rechi la previsione secondo cui gli accordi che prevedano un compenso non equo, possano essere impugnati solo dal professionista: rileva quindi al riguardo l'opportunità di coordinare le diverse disposizioni normative.
  Il nuovo undicesimo comma dell'articolo 2233 conferma la specificazione, contenuta già nella normativa vigente (all'articolo 13-bis, comma 7, della legge professionale forense) relativa al fatto che non costituiscono prova della specifica trattativa ed approvazione le dichiarazioni contenute nelle convenzioni che attestano genericamente l'avvenuto svolgimento delle trattative senza specifica indicazione delle modalità con le quali le medesime sono state svolte.
  Rispetto alla disciplina attuale il nuovo comma undicesimo dell'articolo 2233, precisa tuttavia che tale disposizione si applica alle attività professionali in favore di imprese bancarie e assicurative, nonché delle imprese che nel triennio precedente al conferimento dell'incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di 60 lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro.
  Segnala peraltro che, come sopra indicato, il nuovo comma decimo dell'articolo 2233, introdotto dall'articolo 3, statuisce la presunzione assoluta di vessatorietà delle clausole elencate al nuovo comma ottavo del medesimo articolo 2233, anche se oggetto di trattativa. Si dovrebbe quindi ritenere che la specificazione di cui al nuovo comma undicesimo faccia riferimento alla trattativa per le clausole che non sono vessatorie per definizione di legge.
  L'articolo 4, al comma 1 specifica che gli accordi, vincolanti per il professionista, conclusi tra quest'ultimo e le imprese bancarie e assicurative, nonché le imprese che nel triennio precedente al conferimento dell'incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di 60 lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro, si presumono unilateralmente predisposti dalle imprese stesse, salvo prova contraria;
  Il comma 2 riproduce in parte la disciplina vigente, con riguardo all'attività del giudice, che, accertata la non equità del compenso, lo ridetermina applicando i parametri previsti dai decreti ministeriali (la disciplina vigente – all'articolo 13-bis, comma 10 – demanda al giudice di «tenere conto» dei suddetti parametri) e dichiara la nullità della clausola vessatoria;
  Segnala, al riguardo, come la disciplina dell'attività del giudice relativa alla rideterminazione del compenso sia contenuta altresì nell'articolo 3, nei nuovi commi quinto e sesto dell'articolo 2233 del codice civile: rileva quindi l'opportunità di coordinare le diverse disposizioni.
  Il comma 3 individua in 10 anni il termine di prescrizione del diritto al compenso da parte del professionista e specifica che – in caso di pluralità di prestazioni a seguito di un unico incarico – il termine decorre dall'ultima prestazione.
  L'articolo 5 prevede la possibilità che il parere di congruità emesso dall'ordine o dal collegio, in alternativa alle procedure di ingiunzione di pagamento (di cui agli articoli 633 e seguenti del codice di procedura civile) e a quelle specifiche delle controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato (di cui all'articolo 14 del decreto legislativo n. 150 del 2011) acquisti l'efficacia di titolo esecutivo per il professionista, se rilasciato nel rispetto delle procedure, e se il debitore non abbia proposto opposizione ai sensi dell'articolo 702-bis del codice di procedura civile davanti all'autorità giudiziaria, entro 40 giorni dalla notificazione del parere stesso a cura del professionista.
  Come ha precisato la giurisprudenza, mentre ai fini dell'emissione del decreto ingiuntivo a norma dell'articolo 636 del codice di procedura civile, la prova dell'espletamento dell'opera e dell'entità delle prestazioni può essere utilmente fornita con la produzione della parcella e del relativo parere della competente associazione professionale, tale documentazione non è più sufficiente nel giudizio di opposizione, il quale si svolge secondo le regole ordinarie Pag. 35 della cognizione e impone al professionista, nella sua qualità di attore, di fornire gli elementi dimostrativi della pretesa, per consentire al giudice di merito di verificare le singole prestazioni svolte dal professionista stesso e la loro corrispondenza con le voci e gli importi indicati nella parcella (richiama al riguardo la sentenza della Cassazione Civile n. 18775/2005, nonché l'ordinanza della Cassazione Civile 15 gennaio 2018, n. 712).
  È inoltre precisato che il giudizio di opposizione si svolge davanti al giudice competente per materia e per valore del luogo nel cui circondario ha sede l'ordine o il collegio professionale che ha emesso il parere di conformità.
  L'articolo 6 interviene sulla disciplina del termine di decorrenza della prescrizione dell'azione di responsabilità professionale, individuando nel giorno del compimento della prestazione da parte del professionista iscritto all'ordine o al collegio professionale, il relativo dies a quo.
  Tale disposizione si pone in correlazione con la regola generale di cui all'articolo 2935 del codice civile, in base alla quale «la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere», valorizzando l'elemento dell'attuazione della prestazione come momento determinante per il calcolo del termine prescrizionale.
  La giurisprudenza, in sede di interpretazione del principio generale stabilito dal citato articolo 2935 del codice civile, ha sviluppato due orientamenti distinti.
  Il primo orientamento (tra le molte, richiama la sentenza della Corte di Cassazione, 28 gennaio 2004, n. 1547, e la sentenza della Corte d'Appello di Napoli, 13 aprile 2015, n. 1688) tende appunto a far coincidere la decorrenza del termine di prescrizione con la violazione dell'obbligo contrattuale anziché con il manifestarsi del danno nella sfera giuridica del soggetto leso, mentre l'altro orientamento (per cui richiama le sentenze della Corte di Cassazione, a sezioni unite, 11 gennaio 2008 nn. 576-581; nonché le sentenze della Corte di Cassazione 15 luglio 2009, n. 16463 e 23 settembre 2013, n. 21715), risulta di segno opposto.
  L'articolo 7 consente la tutela dei diritti individuali omogenei dei professionisti attraverso l'azione di classe, proposta dal consiglio nazionale dell'ordine.
  La disposizione richiama sia la disciplina vigente dell'azione di classe contenuta nel Titolo VIII-bis del libro quarto del codice civile entrata in vigore a partire dal 19 maggio 2021 a seguito della riforma operata dalla legge n. 31 del 2019, sia quella contenuta nell'articolo 140-bis del codice del consumo di cui al decreto legislativo n. 206 del 2005, che tuttavia risulta ormai abrogato a partire dall'entrata in vigore della richiamata nuova disciplina sull'azione di classe.
  In merito rileva l'opportunità di sopprimere il riferimento alla disciplina, già abrogata, del codice del consumo.
  L'articolo 8, al comma 1 istituisce presso il Ministero della giustizia l'Osservatorio nazionale sull'equo compenso, con il compito di vigilare sul rispetto della legge, esprimere pareri o formulare proposte sugli atti normativi che intervenissero sui criteri di determinazione dell'equo compenso o disciplinassero le convenzioni e segnalare al Ministro pratiche elusive delle disposizioni sull'equo compenso.
  L'osservatorio, nominato per 3 anni con decreto del Ministro della giustizia, che lo presiede (potendo comunque individuare un suo delegato), dovrà essere composto, ai sensi del comma 2, da un rappresentante per ciascuno dei Consigli nazionali degli ordini professionali.
  Rileva al riguardo l'opportunità di chiarire se la disposizione intenda inserire nell'Osservatorio esclusivamente i rappresentanti degli ordini professionali vigilati dal Ministero della giustizia.
  L'articolo 9 contiene una disposizione transitoria in base alle quali le norme introdotte dal provvedimento legislativo si applicano, per le prestazioni rese dopo la data di entrata in vigore della legge, anche alle convenzioni sottoscritte prima di tale data e in corso alla stessa data.
  Con riguardo alle prestazioni in corso collegate alle convenzioni sottoscritte prima della data di entrata in vigore della legge, la proposta introduce un obbligo del professionista Pag. 36 di avvisare l'altro contraente dell'applicazione delle nuove disposizioni. Si specifica tuttavia che l'inadempimento dell'obbligo è sanzionabile soltanto sul piano deontologico in via disciplinare.
  L'articolo 10, abroga:

   l'articolo 13-bis della legge professionale forense;

   l'articolo 19-quaterdecies del decreto-legge n. 148 del 2017;

   l'articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto-legge n. 223 del 2006 (cosiddetto decreto Bersani), che a sua volta dispone l'abrogazione delle norme che prevedevano l'obbligatorietà delle tariffe fisse o minime con riferimento alle attività libero-professionali e intellettuali.

   A tale ultimo riguardo ricorda che l'abrogazione di disposizioni abrogative non provoca automaticamente la reviviscenza delle norme abrogate, come affermato dalla Circolare sulla formulazione tecnica dei testi legislativi del Presidente della Camera del 20 aprile 2001 e, successivamente, anche dalla Corte costituzionale (con la sentenza n. 13 del 2012).
   Con riguardo all'abrogazione delle disposizioni di abrogazione delle norme che prevedevano l'obbligatorietà delle tariffe fisse o minime, ricorda che nel nostro ordinamento il compenso del professionista è stato a lungo commisurato in base a un sistema tariffario obbligatorio.
   Sulla materia è intervenuta la cosiddetta legge Bersani (legge n. 248 del 2006, di conversione del decreto-legge n. 223 del 2006) che, all'articolo 2, in conformità al principio comunitario di libera concorrenza e a quello di libertà di circolazione delle persone e dei servizi, nonché al fine di assicurare agli utenti un'effettiva facoltà di scelta nell'esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono l'obbligatorietà dei minimi tariffari.
   Il definitivo superamento del sistema tariffario è stato successivamente operato dall'articolo 9 del decreto-legge n. 1 del 2012, che ha previsto l'abrogazione definitiva delle tariffe delle professioni regolamentate (oltre ai minimi, vengono meno anche i massimi tariffari), introducendo una nuova disciplina del compenso professionale, secondo la quale il professionista può liberamente pattuire qualunque compenso con il cliente, purché adeguato all'importanza dell'opera.
   Inoltre, l'articolo 9 del decreto-legge n. 1 del 2012 ha previsto che, in caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, la determinazione del compenso professionale debba essere effettuata con riferimento a parametri tariffari stabiliti con decreto del Ministro vigilante.
   Con particolare riferimento alla professione forense, la legge professionale (legge n. 247 del 2012) all'articolo 13 ha stabilito per i compensi la possibile pattuizione a tempo, in misura forfetaria, per convenzione avente ad oggetto uno o più affari, in base all'assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l'intera attività, a percentuale sul valore dell'affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale, il destinatario della prestazione.
   A richiesta, l'avvocato è altresì tenuto a comunicare in forma scritta al cliente la prevedibile misura del compenso, distinguendo fra oneri, spese, anche forfetarie, e compenso professionale.
   L'articolo 13 della legge professionale forense ha previsto l'aggiornamento ogni 2 anni dei parametri per la liquidazione dei compensi indicati nel DM giustizia, su proposta del CNF.
   Per la professione forense, i parametri trovano applicazione: quando il giudice liquida le spese al termine dei giudizi; quando avvocato e cliente non hanno determinato il compenso in forma scritta; quando avvocato e cliente non hanno determinato il compenso consensualmente.
   Per quanto attiene al rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite rileva come la proposta di legge intervenga sulla materia ordinamento civile, attribuita alla competenza legislativa Pag. 37esclusiva dello Stato dall'articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.
   La proposta incide inoltre sulla materia professioni, attribuita alla competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni.
   Con riferimento alla materia delle professioni, la Corte costituzionale, con costante giurisprudenza, ha riconosciuto che per i profili ordinamentali che non hanno uno specifico collegamento con la realtà regionale – da cui la Corte fa derivare la natura concorrente – si giustifica una uniforme regolamentazione sul piano nazionale.
   Formula quindi una proposta di parere favorevole con alcune osservazioni (vedi allegato 1), che illustra.

  Il Comitato approva la proposta di parere del relatore.

Modifiche all'articolo 46 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, in materia di rapporto sulla situazione del personale.
Nuovo testo unificato C. 522 e abb.
(Parere alla XI Commissione).
(Esame e conclusione – Parere favorevole con osservazione).

  Il Comitato inizia l'esame del provvedimento.

  Fausto RACITI, presidente, rileva come il Comitato permanente per i pareri della I Commissione sia chiamato a esaminare, ai fini del parere alla XI Commissione Lavoro, il nuovo testo unificato delle proposte di legge C. 522 Ciprini, C. 615 Gribaudo, C. 1320 Boldrini, C. 1345 Benedetti, C. 1675 Gelmini, C. 1732 Vizzini, C. 1925 CNEL, C. 2338 Carfagna, C. 2424 Fusacchia e C. 2454 Carfagna, recante modifiche all'articolo 46 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, in materia di rapporto sulla situazione del personale, come risultante degli emendamenti approvati dalla XI Commissione in sede referente.

  Elisa TRIPODI (M5S), relatrice, illustrando il contenuto del provvedimento, rileva innanzitutto come l'articolo 1 del nuovo testo unificato disponga che la relazione biennale relativa ai risultati del monitoraggio sull'applicazione della legislazione in materia di parità e pari opportunità nel lavoro e sulla valutazione degli effetti delle disposizioni del Codice delle pari opportunità sia presentata al Parlamento dalla consigliera o dal consigliere nazionale di parità – e non, come attualmente previsto dall'articolo 20 del decreto legislativo n. 198 del 2006 (recante il Codice delle pari opportunità tra uomo e donna), dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali – anche sulla base del rapporto che i medesimi soggetti elaborano entro il 31 marzo di ogni anno sulla propria attività e su quella dalla Conferenza nazionale delle consigliere e dei consiglieri di parità, nonché, come già previsto, sulla base delle indicazioni fornite dal Comitato nazionale per l'attuazione dei principi di parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici.
  L'articolo 2 integra la nozione di discriminazione indiretta di cui all'articolo 25 del citato decreto legislativo n. 198 del 2006.
  In particolare, la lettera a) inserisce, tra le fattispecie che danno luogo a discriminazione indiretta, anche gli atti di natura organizzativa e oraria che, modificando l'organizzazione delle condizioni e il tempo del lavoro, mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell'altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell'attività lavorativa, purché l'obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.
  Conseguentemente, alla lettera b) – attraverso la sostituzione del comma 2-bis del richiamato articolo 25 – viene ridefinito il contenuto dell'atto discriminatorio, disponendo che costituisce discriminazione ogni trattamento o modifica dell'organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che, in ragione del sesso, dell'età anagrafica, delle esigenze di cura personale Pag. 38o familiare, dello stato di gravidanza nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell'esercizio dei relativi diritti, pone o può porre il lavoratore in almeno una delle seguenti condizioni:

   posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori;

   limitazione delle opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali;

   limitazione dell'accesso ai meccanismi di avanzamento e di progressione nella carriera.

  Rispetto alla formulazione attuale del richiamato comma 2-bis, l'articolo 2 del provvedimento, da un lato estende la discriminazione anche alle modifiche dell'organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro, nonché ai trattamenti che possono generare situazioni di svantaggio in relazione al sesso e all'età anagrafica (e non solo allo stato di gravidanza o di maternità e paternità, anche adottive, come attualmente previsto), ma, dall'altro, dispone che tale discriminazione ricorre solo quando pone il lavoratore in almeno una delle suddette condizioni.
  Con riferimento alla formulazione della lettera a), segnala l'opportunità di sostituire la dizione atti «di natura oraria» con altra più chiara.
  L'articolo 3 interviene sulle modalità di redazione del rapporto biennale relativo alla situazione del personale e ai diversi aspetti inerenti le pari opportunità sul luogo di lavoro – che in base alla normativa vigente deve essere presentato dalle aziende con più di cento dipendenti –, nonché sulle sanzioni in caso di inottemperanza all'obbligo di presentazione del predetto rapporto.
  In particolare:

   si estende l'obbligo di redazione del suddetto rapporto biennale anche alle aziende (pubbliche e private) che impiegano più di 50 dipendenti (in luogo degli oltre 100 attualmente previsti);

   viene stabilita la cadenza biennale del rapporto, in luogo dell'attuale previsione in base alla quale il rapporto deve essere redatto almeno ogni due anni;

   si riconosce la possibilità di redigere il suddetto rapporto anche alle aziende che occupano fino a cinquanta dipendenti;

   si prevede che la redazione avvenga in modalità esclusivamente telematica, contestualmente ampliando il novero dei soggetti destinatari della trasmissione del rapporto medesimo, il quale deve essere trasmesso dalla consigliera e dal consigliere regionale di parità anche alle sedi territoriali dell'Ispettorato nazionale del lavoro e al CNEL, oltre che, come attualmente previsto, alla consigliera o al consigliere nazionale di parità, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Dipartimento delle pari opportunità;

   si prevede la pubblicazione da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in un'apposita sezione del proprio sito internet istituzionale, dell'elenco delle aziende che hanno trasmesso il rapporto e di quelle che non lo hanno trasmesso;

   si prevede che il rapporto sia redatto sulla base di quanto disposto da apposito decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro delegato per le pari opportunità.

  Il predetto decreto ministeriale definisce:

   le indicazioni per la redazione del rapporto, comprendenti il numero dei lavoratori occupati distinti per sesso, il numero degli eventuali lavoratori distinti per sesso assunti nel corso dell'anno, le differenze tra le retribuzioni iniziali dei lavoratori di ciascun sesso, l'inquadramento contrattuale e la funzione svolta da ciascun lavoratore occupato (anche con riferimento alla distribuzione fra i lavoratori dei contratti a tempo pieno e a tempo parziale), l'importo della retribuzione complessiva corrisposta, delle componenti accessorie del Pag. 39salario, delle indennità, anche collegate al risultato, dei bonus e di ogni altro beneficio in natura ovvero di qualsiasi altra erogazione che abbia eventualmente riconosciuto a ciascun lavoratore; i predetti dati non devono indicare l'identità del lavoratore;

   le modalità di accesso al rapporto da parte dei dipendenti e delle rappresentanze sindacali dell'azienda interessata, nel rispetto della tutela dei dati personali, al fine di usufruire della tutela giudiziaria prevista dal provvedimento in esame;

   l'obbligo di inserire nel rapporto informazioni e dati sui processi di selezione e di reclutamento, sulle procedure utilizzate per l'accesso alla qualificazione professionale e alla formazione manageriale, sugli strumenti e sulle misure resi disponibili per promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, sulla presenza di politiche aziendali a garanzia di un ambiente di lavoro inclusivo e rispettoso e sui criteri adottati per le progressioni di carriera;

   le modalità di trasmissione alla consigliera o al consigliere nazionale di parità, entro il 31 dicembre di ogni anno, dell'elenco, redatto su base regionale, delle aziende con più di 50 dipendenti tenute all'obbligo di redazione del rapporto, nonché le modalità di trasmissione alle consigliere e ai consiglieri regionali di parità competenti, entro il medesimo termine, degli elenchi regionali.

  In merito alle sanzioni in caso di inottemperanza all'obbligo di presentazione e di redazione del predetto rapporto, se l'inottemperanza si protrae per oltre dodici mesi rispetto al termine di 60 giorni entro cui le aziende che non hanno adempiuto all'obbligo di redazione del rapporto sono tenute a provvedere, si dispone l'applicazione della sanzione, attualmente prevista invece come facoltativa, della sospensione per un anno dei benefici contributivi eventualmente goduti dall'azienda.
  La verifica della veridicità dei rapporti è affidata all'Ispettorato nazionale del lavoro, nell'ambito delle sue attività. Nel caso di rapporto mendace si applicano, a seconda del tipo di inosservanza, la sanzione amministrativa da 516 a 2.582 euro o la pena dell'arresto fino a un mese o dell'ammenda fino a 413 euro.
  L'articolo 4, comma 1, prevede l'istituzione, a decorrere dal 1° gennaio 2022, della certificazione della parità di genere, al fine di riconoscere le misure adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità.
  Il comma 2 demanda ad uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri – da adottarsi su proposta del Ministro con delega alle pari opportunità, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro dello sviluppo economico – la definizione:

   dei parametri minimi per il conseguimento della certificazione della parità di genere da parte delle aziende con più o meno di 50 dipendenti, a cui sono attribuiti, sulla base delle modifiche introdotte dal provvedimento, rispettivamente, l'obbligo o la facoltà di redigere il rapporto sulla situazione del personale; tali parametri devono riferirsi in particolare alla retribuzione corrisposta, alle opportunità di progressione in carriera e alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro;

   delle modalità di acquisizione e di monitoraggio dei dati trasmessi dai datori di lavoro e resi disponibili dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali;

   delle modalità di coinvolgimento delle rappresentanze sindacali aziendali e delle consigliere e dei consiglieri territoriali e regionali di parità nel controllo e nella verifica del rispetto dei suddetti parametri;

   delle forme di pubblicità della certificazione della parità di genere.

  Il comma 3 prevede, altresì, l'istituzione di un Comitato tecnico permanente sulla Pag. 40certificazione di genere nelle imprese, costituito da rappresentanti del Dipartimento per le pari opportunità, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero dello sviluppo economico, delle consigliere e dei consiglieri di parità, da rappresentanti sindacali ed esperti, individuati secondo modalità definite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro delegato per le pari opportunità, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro dello sviluppo economico.
  L'articolo 5, comma 1, riconosce a regime uno sgravio contributivo parziale – ferma restando l'aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche – ai datori di lavoro privati in possesso, al 31 dicembre dell'anno precedente, della predetta certificazione di pari opportunità.
  Ai sensi del comma 2 lo sgravio, operativo dal 1° gennaio 2022, è determinato annualmente in misura non superiore all'1 per cento e nel limite massimo di 50.000 euro annui per ciascuna azienda, riparametrato e applicato su base mensile, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali (di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro delegato per le pari opportunità) da adottare entro il 31 gennaio di ciascun anno, assicurando il rispetto del limite di spesa di 50 milioni di euro annui a decorrere dal 2022.
  Ai relativi oneri, pari a 50 milioni di euro annui dal 2022, il comma 3 provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del Fondo sociale per occupazione e formazione.
  L'articolo 6 intende incentivare l'equilibrio di genere negli organi amministrativi delle società pubbliche non quotate, prevedendo che a tali società si applichino le norme in tema di equilibrio di genere nell'organo di amministrazione disposte dall'articolo 147-ter, comma 1-ter, del Testo unico dell'intermediazione finanziaria (di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998).
  Più in dettaglio, si dispone l'estensione del criterio di riparto degli amministratori delle società quotate volto ad assicurare l'equilibrio tra i generi, che trova applicazione per sei mandati consecutivi e in base al quale il genere meno rappresentato deve ottenere almeno due quinti degli amministratori eletti (ossia il 40 per cento, ex articolo 147-ter, comma 1-ter, del citato testo unico) – anche alle società, costituite in Italia, controllate da pubbliche amministrazioni e non quotate in mercati regolamentati.
  Per quanto concerne il rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite, rileva come il principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione, di cui alle disposizioni del provvedimento, costituisca specifica attuazione delle disposizioni sui diritti fondamentali dell'individuo, di cui agli articoli 3, 4, 37 e 51 della Costituzione e, pertanto, informi di sé l'ordinamento giuridico generale, rappresentando uniforme parametro di riferimento dell'attività legislativa degli organi della Repubblica, come dimostrano le previsioni di cui agli articoli 51 («...la Repubblica promuove con propri provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini») e 117, settimo comma («le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisca la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra uomini e donne alle cariche elettive»), della Costituzione.
  Formula quindi una proposta di parere favorevole con un'osservazione (vedi allegato 2), che illustra.

  Il Comitato approva la proposta di parere della relatrice.

  La seduta termina alle 15.10.