CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 29 giugno 2021
613.
XVIII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Finanze (VI)
ALLEGATO
Pag. 92

ALLEGATO

Indagine conoscitiva sulla riforma dell'imposta sul reddito
delle persone fisiche e altri aspetti del sistema tributario.

PROPOSTA DI DOCUMENTO CONCLUSIVO

INTRODUZIONE

  1. GLI OBIETTIVI

  1.1. Crescita
  1.2. Semplificazione e certezza

   a) La codificazione delle norme fiscali

   b) Elevazione al rango costituzionale di alcune parti dello Statuto del contribuente

   c) Cancellazione tributi minori

   d) Avvicinamento tra bilancio fiscale e bilancio civilistico

  2. LE MISURE

  2.1. La scelta del modello di imposta sui redditi
  2.2. La scelta dell'unità impositiva dell'imposta sui redditi
  2.3. Gli indirizzi del Tax re-design Irpef
  2.4. Le addizionali locali
  2.5. Il regime forfettario
  2.6. Le modalità di versamento delle imposte dirette per il lavoro autonomo
  2.7. L'Imposta sul Reddito di Impresa (IRI)
  2.8. La tassazione dei redditi finanziari
  2.9. Il superamento dell'Imposta Regionale Attività Produttive (IRAP)
  2.10. La semplificazione dell'Imposta sul Reddito delle Società (IRES)
  2.11. Le misure a favore dell'ambiente
  2.12. L'Imposta sul Valore Aggiunto (IVA)
  2.13. Riordino della tassazione patrimoniale a parità di gettito
  2.14. Il contrasto all'evasione fiscale e il rapporto fisco-contribuente
  2.15. Uno sguardo internazionale

CONCLUSIONI

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INTRODUZIONE

«Una struttura tributaria adeguata per certe situazioni può diventare inadeguata per altre. E non cambiano solo le condizioni economiche ma anche i giudizi di valore comuni»

H.F. Lydall (1964)

  L'attuale assetto del nostro sistema tributario – dalla principale imposta diretta (IRPEF) alla principale imposta indiretta (IVA) passando per la principale imposta sulle imprese (IRPEG, dal 2004 IRES) – ha origine da un articolato lavoro di riflessione(1) occorso durante buona parte degli anni Sessanta del secolo scorso, e che trovò uno sbocco legislativo nell'approvazione di un disegno di legge delega da parte del Governo Rumor il 20 giugno 1969. L'iter legislativo proseguì negli anni seguenti(2) per poi far debuttare il nuovo sistema il 1° gennaio 1974.
  Non sarebbe corretto affermare che da allora non vi siano state riforme o cambiamenti – anche significativi, come quello alla fine degli anni Novanta – rispetto a quel contesto. Tuttavia, essi sono facilmente catalogabili in due distinte categorie: in un caso, hanno riguardato interventi puntuali, senza un chiaro disegno di ristrutturazione sistemica; nell'altro, si sono fermati allo stadio dell'approvazione di una legge delega, per la maggior parte rimasta poi priva dei necessari decreti legislativi, e pertanto non produttiva di effetti pratici.
  Si può quindi affermare, sostanzialmente, che il sistema tributario italiano non ha conosciuto interventi strutturali di riforma organica nell'ultimo mezzo secolo.
  In questo lasso di tempo il contesto economico ha sperimentato cambiamenti di intensità probabilmente superiore a quelli osservati nei due secoli precedenti: la dimensione dei mercati, il ruolo dello stato nazionale, la struttura produttiva, le nuove tecnologie, la divisione del lavoro, le dinamiche della vita familiare, il peso relativo del lavoro dipendente, la mobilità dei fattori produttivi. Queste sono solo alcune delle principali dimensioni che, essendo profondamente mutate rispetto ad allora, hanno radicalmente cambiato il contesto all'interno del quale il sistema fiscale opera nonché la validità dell'obiettivo che persegue.
  Su questa base, la VI Commissione Finanze della Camera e la 6a Commissione Finanze e Tesoro del Senato hanno condotto una indagine conoscitiva sulla riforma dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e altri aspetti del sistema tributario, nell'ambito della quale sono state svolte 61 audizioni, dall'11 gennaio al 9 maggio 2021.
  Successivamente, è seguita una fase di discussione generale al termine della quale tutti i gruppi parlamentari hanno depositato documenti in cui hanno espresso la loro posizione politica sulla desiderabilità di una riforma fiscale complessiva e sulle caratteristiche principali della stessa.
  Al termine di questo percorso, la Commissione ha approvato il presente documento conclusivo, affinché possa fungere da indirizzo politico al Governo per la predisposizione della legge delega sulla riforma fiscale, che l'Esecutivo si è impegnato a presentare entro il 31 luglio 2021.
  Questo documento è articolato in due capitoli.
  Il primo contiene gli obiettivi dell'intervento di riforma: stimolare l'incremento del tasso di crescita potenziale dell'economia italiana e rendere il sistema fiscale più semplice e certo; con riguardo a questo secondo obiettivo, nel paragrafo 1.2. sono elencate quattro misure specifiche.
  Il secondo capitolo contiene le misure riguardanti i principali segmenti del nostro sistema tributario, dall'Imposta sui Redditi delle Persone Fisiche fino alla tassazione di impresa, dall'Imposta sul Valore Aggiunto al trattamento fiscale dei redditi finanziari, passando per le specificità proprie del mondo del lavoro autonomo e per le tematiche connesse al potenziamento della lotta Pag. 94all'evasione fiscale e al miglioramento del rapporto tra fisco e contribuente.
  Seguono poi delle brevi conclusioni.

1. GLI OBIETTIVI

  La Commissione ritiene che l'intervento di riforma debba essere guidato da due obiettivi fondamentali, a cui ogni misura specifica debba preventivamente conformarsi: crescita dell'economia e semplificazione del sistema tributario.
  I prossimi due paragrafi dettagliano ciascuno di essi.

1.1. Crescita

  Il problema principale dell'economia italiana, da cui derivano molte delle altre criticità, è un tasso di crescita del Pil sostanzialmente inferiore a quello dei paesi dell'area-euro.
  Negli ultimi vent'anni (1999-2019) il tasso di crescita annuale medio del Pil reale in Italia (0,46%) è risultato inferiore esattamente di un punto percentuale a quello dell'area euro (1,46%). Un gap che si riduce solo marginalmente se si allarga l'analisi agli ultimi trent'anni (0,85% vs 1.75%)(3).
  Tutte le analisi macroeconomiche concordano nell'includere il mal funzionamento del sistema fiscale tra le principali determinanti del nostro problema di crescita, tramite un suo effetto negativo non solo sul tasso di crescita attuale ma anche su quello potenziale.
  La Commissione ritiene pertanto che l'obiettivo principale di un intervento di riforma debba essere quello di favorire un incremento strutturale del tasso di crescita dell'economia italiana.
  Ci sono almeno tre dimensioni in cui l'attuale assetto del nostro sistema tributario pone ormai un serio ostacolo alla crescita economica:

  1) Il peso sui fattori produttivi

  In Italia la tassazione su entrambi i fattori produttivi – la cui accumulazione, assieme alla dinamica della produttività totale dei fattori, è la determinante della crescita economica – è nettamente superiore alla media dell'area euro.
  In particolare(4), l'aliquota implicita di tassazione sul lavoro è pari al 42,7% (la terza più alta), a fronte di una media dell'area euro pari al 38,6% e di una media UE-27 pari al 38,2%(5). L'eccessivo carico tributario sul lavoro è un problema anche in virtù del trend di riduzione della quota di redditi da lavoro sul Pil, passata dal 68% del 1970 al 57% del 2010. La letteratura economica è concorde nel considerare un'elevata aliquota implicita sul lavoro un ostacolo fondamentale alla crescita economica e all'occupazione, poiché tende a scoraggiare la partecipazione al mercato del lavoro, soprattutto da parte dei percettori di redditi più bassi e da parte dei secondi percettori di reddito nelle famiglie.
  L'aliquota implicita di tassazione sul capitale (= quella che si ottiene rapportando tutte le imposte sul capitale – redditi e stock, famiglie e imprese – sul totale dei redditi da capitale) è in Italia il 29,2%, contro la media europea del 23%(6). Un'aliquota così elevata tende a scoraggiare il risparmio e a ridurre nel lungo termine l'accumulazione di capitale.

  2) Livello e dinamica delle aliquote marginali effettive

  Le aliquote marginali effettive misurano la percentuale dell'incremento di reddito lordo guadagnato che deve essere versato come imposta o che viene compensato da una diminuzione di benefici.
  Aliquote marginali troppo alte e troppo superiori all'aliquota media pongono problemi di incentivi all'offerta di lavoro ed amplificano le distorsioni del sistema di tassazione individuale in termini soprattutto di equità orizzontale. Pag. 95
  È ragionevole ritenere, inoltre, che, da un lato, aliquote marginali effettive elevate o altamente variabili possono spingere i contribuenti di alcune fasce di reddito a sottrarre reddito all'imposizione fiscale o a svolgere la propria attività interamente in nero, determinando in entrambi i casi un danno al sistema economico.
  Il ciclo di audizioni ha confermato in maniera chiara e inequivocabile che la struttura delle aliquote marginali effettive presenti nel nostro sistema imposte-benefici è altamente inefficiente nonché dannosa per la crescita economica.
  Oltre il 20% dei lavoratori dipendenti occupati da almeno 12 mesi ha aliquote marginali effettive superiori a quella massima legale (43%), e appartiene alla categoria dei contribuenti dal reddito medio-basso.
  Quasi il 15% dei contribuenti, che ha un reddito medio di 31.000 euro e un'aliquota media del 19,8%, ricade nella fascia 45%-50% di aliquota marginale effettiva.
  Nella fascia oltre il 60% di aliquota marginale effettiva c'è più del 5% dei contribuenti, i quali però hanno un reddito medio di circa 36.000 euro e un'aliquota media che non supera il 25%.
  La media delle aliquote marginali effettive si attesta intorno al 38% (di cui 8 per contributi sociali, 26 per Irpef e poco meno di 2 per bonus Irpef e altri trasferimenti sociali).
  Per i soli lavoratori dipendenti, la media delle aliquote marginali effettive supera il 40% già intorno ai 17 mila euro di reddito.

  3) La complessità

  Come già richiamato nell'introduzione, in questi cinquant'anni il sistema tributario è stato oggetto di interventi per la maggior parte asistematici e scoordinati, con l'effetto di produrre una stratificazione di norme e meccanismi che hanno elevato a dismisura il grado di complessità del sistema. Le istruzioni per la compilazione del Modello Redditi Persone Fisiche hanno raggiunto le 341 pagine, quelle per il modello 730 invece 136 pagine. L'Irpef attuale è caratterizzata da ben 54 parametri, tra aliquote marginali legali, limiti degli scaglioni e la giungla di parametri che determinano la struttura dell'imposta. Analoghe complessità sono riscontrabili nella tassazione di impresa, con una crescente divaricazione tra criteri per la redazione del bilancio civilistico rispetto a quelli fiscali, e per la compilazione della dichiarazione Irap.
  Un sistema fiscale complesso ha un ovvio effetto negativo sulla crescita e sugli investimenti, provoca un incremento della struttura dei costi (monetari e non) per famiglie e imprese a cui, peraltro, non corrisponde ceteris paribus un incremento dei servizi forniti dalla pubblica amministrazione.
  Affermare che il sistema tributario italiano debba virare in maniera decisa verso lo stimolo alla crescita economica non equivale a minare il prezioso dettato costituzionale – che all'art. 53 prescrive chiaramente il suo carattere progressivo – né sminuire l'essenziale ruolo redistributivo svolto dall'imposta personale sui redditi. Le audizioni hanno evidenziato in modo netto che essa svolge un ruolo redistributivo superiore rispetto alla media degli altri Paesi Ocse, con circa tre quinti della riduzione della disparità di reddito disponibile ascritti ai trasferimenti e due quinti dovuti all'Irpef (rispetto ai tre quarti e un quarto, rispettivamente, nei Paesi Ocse)(7). Un risultato confermato anche utilizzando i redditi equivalenti familiari anziché quelli individuali(8).
  Le audizioni hanno anche confermato non solo un buon grado di progressività dell'imposta sul reddito (l'aliquota media effettiva cresce dal 15% del limite superiore Pag. 96del secondo scaglione (28.000) al 33% del limite inferiore dell'ultimo scaglione (75.000)(9) e l'elasticità dell'imposta al reddito personale è stimata di poco inferiore al 2%, in linea con la media Ocse(10)) ma anche un sostanzialmente aumento della progressività negli ultimi decenni. Questo accade sia perché è aumentata la sua incidenza sui redditi familiari, sia perché – soprattutto – è cambiata l'inclinazione dell'aliquota media effettiva rispetto al reddito(11). Il grado di progressività è inoltre aumentato, rispetto al 1975, a parità di livello di reddito, per gli scaglioni di reddito superiori al secondo(12).
  Può aiutare ad inquadrare ulteriormente la questione, inoltre, la considerazione che la metà dell'Irpef è pagata da una ristretta minoranza di contribuenti (8% del totale) che rappresentano il 28% dell'imponibile. Quasi la metà dei contribuenti si colloca nel primo scaglione, rappresenta il 15% dell'imponibile e paga meno del 5% dell'imposta totale(13).
  La Commissione ritiene dunque che l'obiettivo principale di una riforma complessiva del nostro sistema tributario debba essere quello di rendere meno distorsivo il trattamento fiscale dei fattori produttivi e, per questa via, contribuire ad innalzare il potenziale di crescita della nostra economia. Il conseguimento di tale obiettivo richiede una drastica semplificazione e razionalizzazione del sistema fiscale, nonché una accentuata riduzione del carico fiscale su capitale e lavoro nell'ambito di una complessiva riduzione della pressione fiscale. Mentre si conferma la piena adesione al precetto costituzionale di progressività del sistema fiscale, si sottolinea che il conseguimento dell'obiettivo redistributivo (oggi largamente affidato all'imposta personale sui redditi) può avvenire non solo tramite l'operare dei tributi ma anche sul lato delle uscite pubbliche. Ciò avrebbe altresì il vantaggio di tenere esplicitamente conto della situazione patrimoniale e reddituale del nucleo familiare, rafforzando quindi l'aspetto relativo all'equità.

1.2. Semplificazione e certezza

  Il paragrafo precedente ha esplicitamente menzionato la complessità del nostro sistema tributario come uno dei maggiori ostacoli alla crescita economica. In questo paragrafo la Commissione concorda su quattro punti su cui l'azione di semplificazione possa concretamente esplicitarsi.

   a) La codificazione delle norme fiscali

  L'esigenza di giungere ad una codificazione della normativa fiscale è addirittura riscontrabile in uno scritto di Ezio Vanoni del 1938: «in un sistema tributario come quello italiano nel quale si trovano molte e diverse imposte, senza che nessuna di esse si ponga praticamente e concettualmente al di sopra delle altre, il metodo della codificazione della parte generale è il solo rispondente al bisogno di rendere chiaro, semplice e razionale l'ordinamento dei tributi»(14).
  Come rilevato recentemente dalla Commissione Europea l'obiettivo di semplificazione e di chiara formulazione della normativa fiscale non può essere realizzato fintanto che innumerevoli disposizioni, modificate a più riprese e spesso in modo sostanziale, rimangono sparse, costringendo chi le voglia consultare a ricercarle sia nell'atto originario sia negli atti di modifica. L'individuazione delle norme vigenti richiede, infatti, al cittadino un notevole impegno di ricerca e di comparazione di diversi atti. Appare quindi fondamentale semplificare e razionalizzare il quadro normativo, per garantire certezza nell'applicazione delle norme e coerenza dell'impianto impositivo, nonché per assicurare che il Pag. 97sistema tributario sia percepito come equo, affidabile e trasparente e, infine, per ridurre l'elevato contenzioso.
  Per tale motivo è indispensabile codificare le disposizioni, se si vuole che la normativa fiscale di un Paese sia chiara e trasparente.
  Nei decenni si sono succedute numerose altre iniziative volte a realizzare un riordino sistematico della materia; tuttavia, una compiuta codificazione della disciplina non è stata ancora introdotta, anzi l'incertezza e la complessità legislativa è andata aumentando, non favorendo tra l'altro la compliance dei contribuenti. La necessità di un intervento di riordino e razionalizzazione appare oggi ancora più auspicabile alla luce del moltiplicarsi delle misure introdotte in materia di regimi speciali nonché di agevolazioni fiscali.
  La Commissione ritiene sia necessario racchiudere i testi unici esistenti e le altre norme tributarie, dopo averli opportunamente trasformati da compilativi in innovativi al fine di poter recepire le auspicate ulteriori semplificazioni, in un Codice Tributario strutturato nelle tre seguenti parti:

   1) Principi generali di diritto tributario, anche con riferimento al diritto dell'Unione Europea

   2) Procedura tributaria e sanzioni:

    - Testo unico degli adempimenti e accertamento
    - Testo unico delle sanzioni amministrative
    - Testo unico della giustizia tributaria
    - Testo unico della riscossione coattiva

   3) Parte speciale, con titoli distinti per le singole imposte e tasse, contenenti eventualmente norme procedurali specifiche per i singoli prelievi.

    - Testo unico delle imposte sui redditi
    - Testo unico dell'IVA
    - Testo unico delle imposte di registro, ipotecaria, catastale, sulle successioni, donazioni e bollo
    - Testo unico dei tributi erariali minori
    - Testo unico in materia doganale, di accise e di giochi
    - Testo unico dei tributi regionali e locali
    - Testo unico delle agevolazioni transitorie

   b) Elevazione al rango costituzionale di alcune parti dello Statuto del contribuente

  La maggior parte dei vigenti principi normativi in materia tributaria è raccolta nello Statuto del Contribuente. Si tratta di una legge ordinaria, n. 212/2000, nata da un disegno di legge governativo approvato dal Consiglio dei Ministri in data 8 agosto 1996. Nelle intenzioni del legislatore, tale norma avrebbe dovuto rendere più trasparente il rapporto tra fisco e contribuente, a garanzia di quest'ultimo.
  È purtroppo però un fatto largamente accertato che lo Statuto del Contribuente sia la norma meno rispettata del nostro ordinamento giuridico.
  Pertanto, l'unica soluzione per renderlo realmente cogente è considerare l'opzione di elevare a rango costituzionale alcune sue parti, e nella fattispecie quelle relative ai principi di chiarezza, semplicità e irretroattività, delle disposizioni tributarie.

   c) Cancellazione tributi minori

  Accanto alle questioni più generali relative alle imposte sui redditi, nell'ottica di semplificazione e razionalizzazione del sistema tributario, la Commissione ha condotto una specifica riflessione sui cosiddetti micro prelievi (imposte, tasse, diritti), erariali e territoriali, introdotti nel tempo.
  Il gettito di tali prelievi, singolarmente, è stato quantificato come inferiore allo 0,01% del totale delle entrate tributarie per lo Stato e allo 0,1% per le Regioni e i Comuni.
  Tali forme di imposizione indubbiamente contribuiscono alla complessità del sistema e, dall'altro lato, presentano costi gestionali elevati, con onerose procedure di accertamento e riscossione a fronte dell'irrisorietà del gettito prodotto.
  A titolo esemplificativo, tra i micro-prelievi oggetto di riflessione vi sono: il cd. Superbollo, la tassa di laurea, le tasse di pubblico insegnamento, l'imposta sugli intrattenimenti, Pag. 98 la maggiorazione del tributo comunale sui rifiuti, la tassa regionale di abilitazione all'esercizio professionale, l'addizionale regionale sui canoni per le utenze di acque pubbliche, i diritti di licenza sulle accise, l'imposta erariale sui voli dei passeggeri di aerotaxi e sugli aeromobili privati, la tassa sulle emissioni di anidride solforosa e ossidi di azoto, l'imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili civili.
  Al riguardo la Commissione ha espresso considerazioni di carattere generale, anche in riferimento ai documenti pervenuti dall'Amministrazione finanziaria nel corso dell'indagine, volte alla soppressione di tali tributi minori, ovvero a una rivisitazione completa della disciplina, in chiave di razionalizzazione normativa e di semplificazione.
  Si propone pertanto un'opera di sfoltimento sistematico che includa la soppressione di prelievi quali quelli citati, garantendo – qualora fossero di competenza di enti territoriali – l'invarianza di risorse per quei livelli di governo.

   d) Avvicinamento tra bilancio fiscale e bilancio civilistico

  La divaricazione tra criteri di redazione del bilancio d'esercizio a fini civilistici e quella a fini fiscali è un fattore di confusione e complessità del sistema, e comporta rilevanti oneri di gestione a carico delle realtà produttive, in particolare quelle medio-piccole.
  Mentre è certamente irrealistica e non auspicabile la completa identificazione tra i due criteri (sia per ragioni di stabilità del gettito fiscale che per ragioni di garanzia della neutralità del sistema impositivo), la Commissione ritiene necessario proseguire con decisione il percorso di razionalizzazione del sistema e di avvicinamento tra i due criteri (già avviato con gli IAS), al fine di ridurre la complessità e favorire la stabilità delle regole.

2. LE MISURE

2.1. La scelta del modello di imposta sui redditi

  I modelli prevalenti per quanto concerne la determinazione della base imponibile dell'imposta sui redditi personali sono essenzialmente due:

   a) Comprehensive Income Taxation (CIT): prevede l'inclusione di tutti i redditi nella base imponibile sottoposta a tassazione progressiva;

   b) Dual Income Taxation (DIT)(15): prevede l'applicazione di un'imposta proporzionale su tutti i redditi da capitale, di solito coincidente con la prima aliquota di quella progressiva sui redditi da lavoro.

  Al momento la situazione italiana può più propriamente essere descritta come una PIT: Plural Income Taxation. Esiste infatti una elevata frammentazione delle tipologie di reddito che sono sottoposte a diversi regimi sostitutivi quasi mai tra di loro correlati, con una molteplicità di trattamenti fiscali soggetti ad aliquota proporzionale, tutti differenti tra loro, accanto ad un'imposta progressiva sui redditi di lavoro (soprattutto dipendente) e sulle pensioni.
  Questa situazione è una delle principali fonti di incertezza e complessità del nostro sistema tributario, determinandone la natura sostanzialmente ibrida rispetto ai modelli teorici di imposizione sul reddito e alimentando asistematicità e precarietà del quadro complessivo, disuguaglianza, inefficienza, disincentivi al lavoro e ostacoli alla produzione.
  La crescente estensione dei regimi di tassazione sostitutiva infatti determina un carico fiscale diseguale tra le varie fonti di reddito, generando una violazione del principio di equità orizzontale e incidendo negativamente sulla capacità redistributiva dell'imposta, anche in considerazione della mancata applicazione a tali redditi delle Pag. 99addizionali comunali e regionali. Nel complesso, in Italia l'applicazione ai redditi di regimi sostitutivi proporzionali riduce la base imponibile dell'Irpef di circa un decimo, effetto in gran parte riconducibile alla tassazione dei redditi finanziari, dei redditi d'impresa e dei redditi da lavoro autonomo, soprattutto dopo l'estensione del prelievo proporzionale ai soggetti con ricavi non superiori a 65 mila euro.
  Le deroghe ai principi di generalità e progressività dell'imposizione, dunque, non sono state «limitate nella maggior possibile misura», come raccomandava la legge delega per la riforma tributaria del 1971, bensì estese in ogni direzione, inseguendo di volta in volta ragioni di tecnica impositiva, finalità di contrasto all'evasione, intendimenti agevolativi o di anticipazione del gettito, politiche di attrattività, obiettivi di canalizzazione del risparmio e altri ancora.
  Anche se ricondurre il sistema italiano al modello CIT (a cui il nostro sistema non si è mai pienamente conformato neanche nelle fasi iniziali) avrebbe indubbi vantaggi in termini di equità orizzontale, tale opzione presenta numerose conseguenze di tipo economico e politico, in quanto implicherebbe l'incremento anche sostanziale della tassazione su diverse categorie reddituali(16).
  Pertanto la Commissione concorda che il sistema di imposizione sul reddito dovrebbe evolvere verso un modello tendenzialmente duale, in cui il livello delle aliquote sui redditi da capitale (nonché degli regimi sostitutivi cedolari) sia sufficientemente prossimo all'aliquota applicata al primo scaglione Irpef. Tale impostazione non pregiudica, ex-ante, i regimi cedolari la cui aliquota sia attualmente inferiore al livello della prima aliquota Irpef nel nuovo regime, in quanto sono possibili interventi perequativi in relazione alla determinazione della base imponibile tali per cui l'imposta netta rimane costante.

2.2. La scelta dell'unità impositiva dell'imposta sui redditi

  Esistono ragioni ben definite per motivare la scelta tra l'individuo o la famiglia come unità impositiva di un'imposta sul reddito.
  La scelta dell'individuo presuppone che la sua capacità contributiva sia indipendente dalle scelte personali in merito alla composizione del nucleo familiare. La scelta della famiglia invece presuppone l'esistenza di economie di scala e che le decisioni degli individui vengano prese in base al flusso di reddito complessivo del nucleo familiare.
  Il nostro sistema, fin dal 1976, è basato sul reddito individuale.
  I correttivi finalizzati a considerare in modo più compiuto il nucleo familiare (come lo splitting – utilizzato in Germania, Irlanda e USA – o il quoziente familiare, utilizzato in Francia) hanno il vantaggio di ridurre o eliminare la discriminazione nei confronti dei nuclei familiari in cui la ripartizione del reddito sia molto sperequata (fino, al limite, ai nuclei monoreddito), che in un sistema progressivo pagano di più rispetto a una famiglia in cui lo stesso reddito aggregato sia ripartito più equamente tra i coniugi.
  Tuttavia, tali sistemi comportano il rischio di disincentivare l'offerta di lavoro del secondo percettore di reddito, che solitamente nel nostro Paese è di sesso femminile.
  Ogni scelta in tal senso, pertanto, deve essere fatta sulla base dell'obiettivo di fondo. Se si consideri, cioè, più grave il trattamento differenziato tra nuclei monoreddito e nuclei bi-reddito, o il problema della scarsa convenienza all'offerta di lavoro femminile.
  I dati Eurostat mostrano che nel periodo 2005-2019 il tasso medio di occupazione femminile in Italia è stato inferiore di 12,2 punti a quello medio dell'area euro (50,6% contro 62,8%) e il tasso medio di attività è stato inferiore di 8,4 punti (63,5% contro 71,9%). La maggior parte delle analisi economiche concorda che questo gap sia – insieme alla scarsa crescita della produttività totale dei fattori – uno dei principali responsabili del gap di crescita Pag. 100strutturale che l'economia italiana ha mostrato negli ultimi vent'anni rispetto alla media europea.
  Inoltre, la risoluzione del Parlamento europeo sull'uguaglianza di genere e politiche fiscali del 15 gennaio 2019 ribadisce che la tassazione individuale sia da preferire a qualsiasi alternativa su base familiare, a causa della sua caratteristica di neutralità nei confronti dell'offerta di lavoro del secondo percettore di reddito. Nell'adottare tale risoluzione, quindi, il Parlamento europeo incentiva gli Stati membri che non hanno questo sistema ad un passaggio graduale.
  Alla luce di quanto precede, la Commissione concorda sia opportuno mantenere il reddito individuale come unità impositiva dell'imposta personale sui redditi. In aggiunta, nel rispetto dell'obiettivo di stimolo alla crescita, occorre considerare la modifica degli istituti che disincentivano l'offerta di lavoro con riferimento al margine estensivo del secondo percettore di reddito (la detrazione per il coniuge a carico) e l'introduzione di specifici incentivi in tal senso, al fine di sfruttare la maggiore elasticità dell'offerta di lavoro del secondo percettore di reddito all'interno del nucleo familiare. A tal proposito, si propone di considerare l'introduzione di una tassazione agevolata temporanea in caso di ingresso al lavoro del secondo percettore di reddito, il cui ammontare sia congruamente superiore alla detrazione per familiare a carico.

2.3. Gli indirizzi del Tax re-design Irpef

  La Commissione concorda che la struttura dell'Irpef vada sostanzialmente ridefinita, in accordo con i richiamati obiettivi generali di semplificazione e stimolo alla crescita, adottando in particolare i seguenti obiettivi specifici:

   1) l'abbassamento dell'aliquota media effettiva con particolare riferimento ai contribuenti nella fascia di reddito 28.000-55.000;

   2) la modifica della dinamica delle aliquote marginali effettive, eliminando le discontinuità più brusche.

  La modalità con cui raggiungere questi obiettivi è individuata preferenzialmente in un deciso intervento semplificatore sul combinato disposto di scaglioni, aliquote e detrazioni per tipologia di reddito, incluso l'assorbimento degli interventi del 2014 e del 2020 riguardanti il lavoro dipendente; in subordine tramite un sistema ad aliquota continua limitato alle fasce di reddito medie. Inoltre dovrebbe essere prevista l'introduzione di un minimo esente senza obbligo di dichiarazione per i contribuenti che si collochino sotto la relativa soglia. Tale minimo esente dovrebbe preferenzialmente essere inteso come una maxi-deduzione a valere su tutta la distribuzione dei redditi (o su parte di essa) adeguando corrispondentemente il livello delle aliquote; in subordine, qualora il costo di questo intervento dovesse risultare incompatibile con gli equilibri di finanza pubblica, dovrebbe essere introdotto con la sola finalità di ridurre il carico burocratico sui contribuenti.
  Per quanto concerne le spese fiscali relative al consumo di particolari beni o servizi, la Commissione ritiene indispensabile che il disegno di legge delega contenga le necessarie premesse per una azione volta al raggiungimento di tre obiettivi:

   a) una riduzione della loro numerosità;

   b) una semplificazione del sistema;

   c) il reperimento di risorse da destinare al raggiungimento dell'obiettivo di riduzione dell'aliquota media effettiva, in particolare sull'attuale terzo scaglione.

  Le modalità attraverso cui raggiungere i sopra citati obiettivi sono così individuate:

   a) l'eliminazione di quelle spese fiscali il cui beneficio pro-capite medio (ovvero il numero di beneficiari) sia inferiore ad una soglia appositamente determinata;

   b) il passaggio (completo o parziale) del complesso delle agevolazioni sul lato delle uscite pubbliche, istituendo un meccanismo volontario di erogazione diretta del beneficio – a fronte del pagamento con Pag. 101strumenti tracciabili – con l'ausilio degli strumenti tecnologici a disposizione;

   c) una riduzione graduale e selettiva dell'ammontare percentuale del beneficio.

2.4. Le addizionali locali

  Il quadro attuale contempla la possibilità per le regioni e i comuni di applicare addizionali alla base imponibile dell'Irpef, scegliendo tra l'applicazione di un'aliquota proporzionale e l'utilizzo degli stessi scaglioni dell'imposta erariale. In questo secondo caso, oltre alla frammentarietà di imposizioni finali sul reddito, si registra una alterazione della struttura della progressività prevista a livello nazionale(17).
  La Commissione ritiene opportuno raccomandare una trasformazione di entrambi gli strumenti tributari locali in sovraimposte – aventi quindi come base imponibile il debito di imposta erariale, e non la stessa base imponibile Irpef) – la cui manovrabilità all'interno di un range predefinito rimarrebbe in capo all'ente territoriale.
  La Commissione ritiene sia tuttavia opportuno non archiviare un'aspirazione riformatrice più completa, in grado di rivedere strutturalmente la legge delega 42/2009 sul federalismo fiscale, al fine sia di adeguarne i principi ispiratori ai pilastri di autonomia e responsabilità, che di prevederne una completa attuazione.

2.5. Il regime forfettario

NODO POLITICO DA CHIARIRE.

2.6. Le modalità di versamento delle imposte dirette per il lavoro autonomo

  L'attuale sistema di versamento delle imposte dirette da parte dei lavoratori autonomi prevede il 30 giugno il versamento del saldo dell'anno precedente insieme al primo acconto dell'anno in corso e il 30 novembre il versamento del secondo acconto. Tale sistema ha evidenziato più di una criticità durante il ciclo di audizioni, soprattutto collegate alla inefficiente gestione della liquidità a danno dei contribuenti.
  La Commissione concorda sulla necessità di istituire un meccanismo di rateizzazione opzionale, destinato alle persone fisiche, società di persone o di capitali ovvero associazioni previste dall'articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 tenute al versamento di saldo e acconto con riferimento alla dichiarazione dei redditi e alla dichiarazione dell'imposta regionale sulle attività produttive (ai sensi all'articolo 17 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 dicembre 2001, n. 435).
  La rateizzazione prevede il versamento del saldo e del primo acconto in sei rate mensili di uguale importo da luglio a dicembre dello stesso anno; inoltre, il versamento del secondo acconto o in un'unica soluzione entro il 31 gennaio dell'anno seguente o in sei rate mensili di pari importo da gennaio a giugno dell'anno seguente. I versamenti avverrebbero ovviamente senza l'applicazione di alcuna sanzione e/o interesse.
  Sulla base di una interlocuzione preliminare che la Commissione ha avuto con Istat, la misura non ha impatti sulla finanza pubblica in termini di indebitamento netto.
  Tale misura sarebbe poi accompagnata dalla contestuale eliminazione o sostanziale riduzione della ritenuta d'acconto.

2.7. L'Imposta sul Reddito di Impresa (IRI)

  Il ciclo di audizioni ha evidenziato la non-neutralità – tra società di persone e imprese individuali in contabilità ordinaria da una parte e società di capitali dall'altra – del trattamento fiscale per quanto concerne gli utili non distribuiti.
  Attualmente, infatti, per le società di capitali e le persone fisiche esercenti attività Pag. 102 di impresa in contabilità ordinaria il rendimento ordinario del capitale investito – sotto forma di incrementi netti di capitale proprio – viene dedotto dalla base imponibile (di Ires o Irpef).
  Il reddito di impresa che eccede il rendimento ordinario del capitale investito riceve invece un trattamento differente a seconda della forma giuridica scelta. Il prelievo fiscale sull'imprenditore individuale (o socio di una società di persone) dipende dall'aliquota marginale e quindi dal reddito complessivo Irpef. Sulla società di capitale, invece, insiste un prelievo proporzionale attualmente fissato al 24%.
  La Commissione ritiene che tale trattamento differenziato sia contrario alla crescita dimensionale delle realtà produttive più piccole e pertanto all'obiettivo di incremento del tasso di crescita dell'economia italiana.
  Pertanto la Commissione raccomanda la re-introduzione del regime opzionale IRI (imposta sul reddito di impresa, introdotta dall'articolo 1, comma 1063 della legge n. 2015 del 27 dicembre 2017, legge di bilancio 2018, successivamente abrogata senza essere mai applicata) che comporta per le imprese individuali e le società di persone in contabilità ordinaria la possibilità di optare per l'applicazione di un'aliquota proporzionale a condizione che l'utile prodotto sia re-investito in azienda, ferma restando la possibilità di dedurre dal reddito di impresa le somme prelevate dai soci per la distribuzione, a sua volta tassata ordinariamente in Irpef.

2.8. La tassazione dei redditi finanziari

  Le decisioni relative alla tassazione dei redditi di natura finanziaria sono cruciali per la crescita economica di lungo periodo in quanto influiscono sulla combinazione rischio-rendimento di un investimento finanziario e sulle scelte di allocazione del risparmio – e quindi di formazione del capitale – da parte degli agenti economici.
  Queste tipologie di reddito sono – nella maggioranza dei casi – sottoposti ad un'aliquota sostitutiva proporzionale attualmente fissata al 26%. A seguito dell'impostazione stabilita nella sezione 2, tale aliquota andrebbe allineata alla prima aliquota progressiva sui redditi da lavoro e uniformemente applicata, al netto delle esenzioni stabilite dal policy-maker per fondati motivi(18).
  Vi sono poi due fronti su cui è utile impostare una possibile linea di azione al fine di riordinare e razionalizzare il sistema e fornire un maggior stimolo alla crescita (in conformità a quanto stabilito nel paragrafo 1.2):

   a) La creazione di un'unica categoria «redditi finanziari»;

   b) L'unificazione del criterio e la modifica della tassazione della previdenza complementare.

   a) La creazione di un'unica categoria «redditi finanziari»

  Nel nostro ordinamento vige una distinzione – quella tra «redditi da capitale» e «redditi diversi di natura finanziaria» – che costituisce una peculiarità in ambito internazionale, oltre a non avere sostanziali motivazioni economiche legate alla diversa natura o funzione dei redditi.
  I redditi da capitale (art. 44 TUIR) ricomprendono la remunerazione dell'impiego del risparmio, vale a dire interessi e dividendi.
  I redditi diversi di natura finanziaria (art. 67, comma 1, lettere da c) a c-quinquies) del TUIR) ricomprendono le plusvalenze derivate dalla negoziazione delle attività finanziarie, nonché i prodotti derivati(19).
  Mentre i redditi da capitale sono tassati al lordo (sia delle spese sia delle minusvalenze), i redditi diversi di natura finanziaria sono tassati al netto di entrambe le componenti (le minusvalenze eccedenti sono deducibili dalle plusvalenze entro i quattro Pag. 103periodi di imposta successivi a quello di realizzo).
  Questa situazione genera notevoli distorsioni che pregiudicano l'efficienza del mercato dei capitali e non sono coerenti con un'impostazione pro-crescita.
  In particolare, non potendo compensare le componenti di reddito positive di una categoria (interessi) con quelle negative di un'altra (le minusvalenze), il contribuente che ha subito pesanti perdite in conto capitale su uno strumento finanziario è costretto comunque a pagare le imposte se quello stesso strumento ha corrisposto cedole, anche di bassa entità.
  Inoltre, si corre il rischio di incentivare comportamenti elusivi, come l'utilizzo di derivati per trasformare i redditi da capitale in plusvalenze, a cui il contribuente può applicare minusvalenze, pagando così meno tasse di quanto avrebbe altrimenti fatto.
  Infine, la situazione vigente incentiva implicitamente gli investimenti privi di rischio (quelli che proteggono il capitale da possibili minusvalenze ma che lo remunerano con un interesse modesto ma ragionevolmente sicuro), quando invece un'impostazione pro-crescita dovrebbe quantomeno essere neutrale rispetto a investimenti maggiormente in grado di convogliare il risparmio privato nell'economia reale.

   b) L'unificazione del criterio e la modifica della tassazione della previdenza complementare.

  Al momento il nostro ordinamento(20) prevede tre diversi regimi per il trattamento fiscale dei redditi diversi di natura finanziaria:

   - il regime della dichiarazione: il contribuente applica direttamente l'imposta sostitutiva nella dichiarazione relativa al periodo di imposta in cui si è verificato il realizzo della plusvalenza;

   - il regime del risparmio amministrato: l'intermediario con cui il contribuente ha un rapporto stabile applica alla fonte l'imposta sostitutiva nel momento del realizzo delle plusvalenze;

   - il regime del risparmio gestito, destinato agli intermediari che prestano il servizio di gestione individuale di portafogli. Questo regime ha due particolarità:

    a) permette, a differenza degli altri, la compensazione con i redditi da capitale realizzati;

    b) determina la base imponibile sulla base del risultato maturato (e non realizzato), vale a dire la differenza tra il valore del patrimonio gestito al termine di ciascun anno solare e il valore dello stesso patrimonio all'inizio del medesimo anno.

  È evidente, dunque, che tale situazione costituisce una disomogeneità piuttosto rilevante che rende più opaco il trattamento fiscale e rischia di distorcere le scelte di investimento, con potenziali conseguenze sull'allocazione del capitale, un fattore cruciale ai fini della crescita di lungo periodo.
  Il passaggio dal criterio del maturato a quello del realizzato è un percorso che il legislatore ha condotto con estrema lentezza ma con costanza negli ultimi vent'anni. Dapprima il decreto-legge n. 350 del 2001 (che abolì il meccanismo correttivo volto a correggere la tassazione per realizzo) e poi il decreto-legge n. 225 del 2010 (che ha previsto il passaggio al sistema del realizzato per i fondi comuni di investimento) hanno gradualmente uniformato il sistema, che tuttavia presenta ancora elementi significativi valutati «per competenza» (= maturato) anziché per cassa (= realizzato). Oltre al risparmio gestito, ad esempio, vi è il regime previsto per la previdenza complementare. Al momento infatti i rendimenti degli investimenti finanziari relativi alle forme di previdenza complementare si uniformano al cosiddetto modello ETT:

   - Esenti (parzialmente) nella fase di accumulazione (i contributi sono infatti deducibili entro il limite massimo annuale di 5.164,7 euro)

   - Tassati nella fase di maturazione con una tassazione sostitutiva pari al 20% Pag. 104
   - Tassati nella fase di prestazione con un meccanismo molto complesso(21).

  Il modello adottato in Europa (tranne in Danimarca e Svezia) tuttavia è quello EET, in cui ad essere esente è anche la fase di maturazione. Questo modello permetterebbe di accrescere la redditività degli investimenti finalizzati alla costituzione di un trattamento previdenziale complementare, determinando in ultima analisi un suo aumento. Nel contempo ovviamente andrebbe uniformata la tassazione in fase di prestazione, considerando la tassazione secondo le aliquote Irpef ordinarie. Tale modello permetterebbe altresì di incentivare l'adesione alla previdenza complementare, con ovvi vantaggi in termini di sostenibilità del sistema pensionistico; infine, uniformarsi al modello prevalente in Europa faciliterebbe l'armonizzazione della trattazione della previdenza complementare a livello continentale evitando i rischi di doppie tassazioni e favorendo il decollo delle forme di risparmio previdenziale integrativo europeo.
  La Commissione concorda che, nel rispetto delle compatibilità finanziarie, sia importante considerare un pacchetto organico che includa i seguenti interventi:

   - l'accorpamento delle categorie «redditi da capitale» e «redditi diversi» in un'unica categoria denominata «redditi finanziari»;

   - l'estensione al risparmio gestito del criterio di determinazione della base imponibile sulla base dei risultati realizzati;

   - l'applicazione alla previdenza complementare del modello che prevede l'esenzione dall'imposta sostitutiva sul risultato netto maturato, considerando al contempo la modifica del regime di tassazione per la fase di erogazione delle prestazioni.

2.9. Il superamento dell'Imposta Regionale Attività Produttive (IRAP)

  Nell'ottica di una semplificazione del sistema tributario, e all'interno di un complessivo quadro di riforma per cui valutare gli aspetti di redistribuzione del carico fiscale, la Commissione concorda sulla necessità di una riforma che porti al superamento dell'Imposta Regionale sulle Attività Produttive.
  Tale imposta fu introdotta negli Anni Novanta come, essa stessa, strumento di razionalizzazione e semplificazione del sistema tributario. Tuttavia, nel corso del tempo alcune scelte di politica economica (come il riconoscimento, nel 2015, della deduzione integrale del costo del lavoro a tempo indeterminato) o di natura macroeconomica (il forte abbassamento del costo dell'indebitamento) hanno avvicinato notevolmente la base imponibile dell'Irap a quella di altre imposte (l'utile di bilancio per le imprese in contabilità ordinaria, il reddito da lavoro autonomo o d'impresa per le imprese in contabilità semplificata). E comunque sia, anche volendo considerare le residue differenze, una riforma che si ponga come principale obiettivo lo stimolo alla crescita non può esimersi dal considerare in modo critico una imposta che, nonostante quanto detto in precedenza, ha come base imponibile la remunerazione dei fattori produttivi, la cui accumulazione è – insieme alla dinamica della produttività totale dei fattori – la determinante della crescita economica.
  Pertanto, la Commissione raccomanda un riassorbimento del gettito Irap nei tributi attualmente esistenti, preservando la manovrabilità da parte degli enti territoriali e il livello di finanziamento del servizio sanitario nazionale.

2.10. La semplificazione dell'Imposta sul Reddito delle Società (IRES)

  La Commissione ha già espresso l'esigenza di avviare una complessiva opera di Pag. 105semplificazione dell'Imposta sul Reddito delle Società (IRES) al fine di avvicinare i criteri di redazione del bilancio ai fini fiscali a quelli del bilancio a fini civilistici (paragrafo 1.2, punto d).
  Nell'ambito della razionalizzazione della struttura del prelievo Ires, la Commissione ritiene sia importante concentrare tre tipologie di incentivi di particolare rilievo per la politica economica:

   a) gli incentivi a comportamenti in linea con la transizione ecologica;

   b) gli incentivi alle aggregazioni di realtà imprenditoriali di dimensioni minori(22);

   c) gli incentivi al re-investimento dell'utile in investimenti atti a migliorare la produttività a livello di azienda.

  Gli incentivi di cui sopra possono prendere la forma, alternativamente, di una riduzione dell'aliquota applicata o della base imponibile, e dovrebbero riassumere le altre tipologie di incentivo attualmente presenti, al fine di ottenere un quadro chiaro e semplificato dei comportamenti virtuosi che la politica economica intende incentivare.
  Al fine di operare una semplificazione del sistema – e consentire un beneficio più immediato per l'impresa – la Commissione ritiene altresì sia utile considerare l'introduzione del meccanismo cosiddetto «carry back», in virtù del quale consentire la deducibilità delle perdite maturate in un determinato esercizio non solo dagli esercizi successivi (come attualmente previsto dall'art. 84 del TUIR) ma anche dall'esercizio immediatamente precedente.

2.11. Le misure a favore dell'ambiente

  La misura a) nel punto precedente non può certamente esaurire gli interventi che la riforma fiscale prevede in merito alla promozione della transizione ecologica, essendo essa – assieme alla transizione digitale e al rafforzamento della competitività delle economie nazionali – al centro del programma Next Generation EU e, conseguentemente, del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che la cui attuazione influenzerà in modo decisivo la politica economica italiana nei prossimi anni.
  In particolare, la Commissione ritiene necessario considerare un pacchetto di policy che includa i seguenti interventi:

   a) Il riordino, la semplificazione e la stabilizzazione per la rigenerazione energetica e sismica degli edifici privati, al fine di fornire un quadro certo e chiaro agli agenti economici.

   b) Una progressiva riduzione dei sussidi dannosi per l'ambiente, vincolando le risorse risparmiate alla riduzione generalizzata dell'aliquota Ires.

   c) Una rimodulazione dell'imposizione indiretta in funzione delle emissioni di CO2 in attuazione del principio «chi inquina paga».

   d) Un aumento del limite alla detraibilità dell'IVA (attualmente fissato al 40%) per tutti i veicoli a basse emissioni.

   e) Al fine di evitare effetti regressi per le persone fisiche e penalizzanti per le imprese, prevedere adeguati meccanismi temporanei di compensazioni in grado di accompagnare le famiglie e imprese più vulnerabili nel processo di aggiustamento di comportamenti e costi.

2.12. L'Imposta sul Valore Aggiunto (IVA)

  La Commissione ritiene opportuno che l'annunciato disegno di legge in materia fiscale contenga una specifica delega al Governo per la ridefinizione della disciplina Pag. 106 Iva ai fini di una sua opportuna semplificazione e di possibile riduzione dell'aliquota ordinaria attualmente applicata.

2.13. Riordino della tassazione patrimoniale a parità di gettito

NODO POLITICO DA SCIOGLIERE

2.14. Il contrasto all'evasione fiscale e il rapporto fisco-contribuente

  La riforma fiscale deve cogliere l'occasione per innestare in modo deciso e irreversibile un cambio di paradigma nei rapporti tra amministrazione fiscale e contribuente. Probabilmente vi è il bisogno di un'evoluzione culturale da ambo le parti: ciascuna di esse deve allo stesso tempo mutare i propri comportamenti in senso virtuoso e abbandonare i pregiudizi nei confronti della «controparte» (che tale non è, in quanto lo Stato altro non è che l'insieme dei contribuenti stessi). Lo Stato deve allontanare ogni tendenza a considerare il contribuente un «evasore che ancora non è stato scoperto» (semi-cit), e al contempo efficientare i propri comportamenti, non solo quelli relativi all'amministrazione finanziaria ma anche quelli inerenti l'efficiente utilizzo delle risorse pubbliche raccolte con la tassazione. Il contribuente, d'altro canto, deve pienamente internalizzare il beneficio collettivo che deriva dal pagamento dei tributi (in termini di erogazione di beni e servizi pubblici).
  Questi, e non altri, possono essere i pilastri di un nuovo Patto Fiscale tra Stato e cittadini, che è stato a lungo evocato, a tratti accennato, ma non sempre perseguito come un obiettivo vero verso la cui realizzazione mobilitare tutte le energie disponibili.
  La Commissione ritiene che il perseguimento di tale strategia sia un processo di natura culturale che travalica, e non di poco, i confini di un documento di indirizzo, e forse persino di ogni atto normativo. Tuttavia vi sono alcuni elementi di merito di cui si raccomanda fortemente la considerazione, al fine di creare le condizioni per la costruzione – e mantenimento – del sopra citato Patto:

   - La «chiusura del perimetro» dell'obbligo di fatturazione elettronica, estendendolo a tutti i soggetti attualmente esentati(23) e l'esclusione di possibili eccezioni all'obbligo di memorizzazione elettronica e trasmissione telematica dei corrispettivi giornalieri (che sostituisce gli obblighi di registrazione dei corrispettivi). La Commissione ritiene infatti che la digitalizzazione del fisco sia stato lo strumento maggiormente efficace nel contrasto all'evasione fiscale, e supportano l'approccio strategico esplicitamente contenuto nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che vede nella digitalizzazione l'investimento più potenzialmente redditizio all'interno dell'Amministrazione Finanziaria, assieme a quello volto a dotarla delle competenze tecniche necessarie per metterlo adeguatamente a valore.

   - Lo scambio tra digitalizzazione e riduzione degli adempimenti per i professionisti, imprese e intermediari deve essere un vincolo ineludibile e strutturale. A questo riguardo, andrebbe in particolare considerato attentamente il meccanismo del cosiddetto «reverse charge», valutando attentamente il suo effettivo impatto sul recupero del gettito evaso.

   - A fronte dei numerosi episodi in cui il pieno dispiegamento dei benefici della digitalizzazione è stato impedito da considerazioni inerenti il rispetto della tutela della privacy, la Commissione ritiene non sia più rinviabile una riflessione inerente un nuovo contemperamento dei principi di tutela della privacy con quelli di contrasto all'evasione fiscale, finalizzato a rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno realizzarsi dei vantaggi derivanti dalla crescente digitalizzazione degli adempimenti fiscali. In particolare la riforma fiscale dovrà essere conforme ai principi e alle disposizioni Pag. 107 del Regolamento (UE) n. 2016/679 (GDPR) sulla protezione delle persone fisiche con riguardo ai dati personali, pur potendo introdurre misure di limitazione proporzionate e volte a salvaguardare importanti obiettivi di interesse pubblico generale e purché le limitazioni rispettino l'essenza di detti diritti, secondo quanto stabilito dall'art. 23 del Regolamento. Tra gli importanti obiettivi di interesse pubblico ivi contemplati è esplicitamente ricompresa anche la materia tributaria (previsione recepita dal legislatore nazionale con gli artt. 2-sexies e 2-undecies del d.lgs. n. 196/2003 cosiddetto Codice della Privacy). Finalità che, a livello costituzionale, rimanda ai principi di universalità dell'imposta e capacità contributiva (art. 53), nonché di uguaglianza (art. 3). È infatti dalle entrate tributarie che lo Stato attinge larga parte delle risorse finanziarie necessarie per assicurare ai singoli e alla collettività i servizi e le provvidenze di cui necessitano, servizi che a loro volta sono preordinati a garantire diritti fondamentali riconosciuti dalla carta costituzionale, quali quello alla salute (art. 32), all'istruzione (art. 34), alla giustizia e alla difesa per i non abbienti (art. 24). Diritti che possono essere effettivamente garantiti solo attraverso un sistema fiscale più equo, ma anche più semplice e più efficiente, attraverso l'utilizzo delle più evolute tecnologie.

   - Elemento fondamentale del nuovo Patto sopra accennato è un meccanismo strutturale di premialità per i contribuenti leali, che non ha avuto adeguata realizzazione, per citare solo un esempio, nel caso degli Indici Sintetici di Affidabilità Fiscale (ISA). La Commissione raccomanda meccanismi più cogenti, che includono la concessione di forme di certificazione del rispetto delle obbligazioni tributarie in base alle quali riconoscere in maniera automatica benefici quali, a titolo esemplificativo, riduzioni dei termini di controllo e accertamento e dei tempi di rimborso fiscale.

   - L'apparato sanzionatorio dovrebbe esplicitamente escludere i casi di omesso versamento per errore o per grave carenza di liquidità.

   - L'attività di riscossione deve andare incontro ad una vera e propria «rivoluzione manageriale», in grado di superare l'approccio meramente formale e virare verso una gestione del processo produttivo interamente concentrata su efficienza ed efficacia.

   - Le esperienze di «rottamazione» delle cartelle esattoriali, in base al quale al contribuente è riconosciuta la possibilità di rateizzare il debito di imposta originario con esclusione di sanzioni e interessi, sono da considerarsi positive e utili in un'ottica di favorire l'adempimento. Ogni ulteriore e più esteso passo è da legarsi alla dimensione strutturale della riforma fiscale in discussione: quanto più essa sarà in grado di inaugurare un sistema fiscale radicalmente e strutturalmente diverso, tanto più saranno possibili interventi sui debiti fiscali in essere.

2.15. Uno sguardo internazionale

  La Commissione guarda con molto favore ai passi avanti fatti al recente G7 in Gran Bretagna in merito al rafforzamento della cooperazione internazionale in materia di fiscalità di impresa, la cui mancanza ha costituito negli ultimi decenni forse l'esempio più marcato degli insufficienti sforzi della politica – e delle istituzioni che essa governa – nel tenere il passo con i cambiamenti globali. Entrambi i pilastri dell'accordo di massima raggiunto al G7 – e di cui auspichiamo un rapido percorso di approvazione in seno alle istituzioni internazionali – contribuirebbero a diminuire in maniera probabilmente sostanziale il fenomeno dell'erosione della base imponibile e dello spostamento dei profitti, con il risultato di mettere a disposizione dei governi nazionali un ammontare non banale di risorse, che la Commissione ritiene debbano essere destinate alla riduzione del carico fiscale sul lavoro e sui redditi da impresa.
  La Commissione auspica che il Governo italiano, che presiede attualmente il G20, possa farsi promotore dell'iniziativa politica decisiva al fine di accelerare il pur complicato processo di costruzione del consenso Pag. 108 e di implementazione pratica di questa iniziativa.

CONCLUSIONI

  Federico Caffè amava ripetere che «fare politica economica significa tre cose: analisi della realtà, rifiuto delle sue deformazioni, impiego delle nostre conoscenze per sanarle». Una citazione che si accompagna perfettamente al noto motto di Luigi Einaudi, secondo cui occorre «conoscere per deliberare».
  Nell'Italia di quegli anni, che attraversava la fase di sviluppo più impetuosa passando da economia sostanzialmente agricola allo stadio industriale (e per giunta nell'entusiasmo del dopo-guerra), probabilmente entrambi ancora non conoscevano la rigidità che ha poi iniziato a caratterizzare il policy-making italiano nella fase della deliberazione, o addirittura in quella successiva di implementazione degli atti normativi (eventualmente) approvati.
  Le Commissioni Finanze di Camera e Senato hanno inteso innanzitutto rispettare il motto di quei due grandi intellettuali, compiendo un percorso di sei mesi di analisi della realtà, di rifiuto delle sue deformazioni, di acquisizione di conoscenze e del loro impiego rivolo alla soluzione dei problemi esistenti. Il tutto applicato al campo della politica, non solo economica, in cui è maggiormente visibile il contratto sociale e il patto tra rappresentanti e rappresentati, vale a dire il sistema fiscale.
  Questo documento conclusivo, che il Governo stesso ha inteso essere un indirizzo per i successivi passi del cammino di una riforma fiscale organica e strutturale, si chiude con la speranza e la fiducia che tale cammino possa partire col piede giusto e proseguire nell'interesse esclusivo della Nazione.

  (1) Gran parte della riflessione si basò sui lavori della Commissione Cosciani, i cui risultati furono pubblicati nel 1964 («Sullo stato dei lavori della Commissione per lo studio della riforma tributaria»).

  (2) La legge delega fu definitivamente approvata dal Parlamento il 9 ottobre 1971, i relativi decreti legislativi furono emanati tra il 1972 e il 1973.

  (3) Fonte: World Bank National Accounts Data.

  (4) Dati 2018.

  (5) Scomponendo tale aliquota implicita nella parte relativa all'Irpef (14,1%) e in quella relativa ai contributi sociali (28,6%) troviamo per entrambe le dimensioni valori più alti rispetto alla media.

  (6) Considerando la sola tassazione societaria, l'aliquota effettiva media è il 24,6% a fronte di una media del 21,7% dell'area euro (se includiamo i dividendi, 36% contro la media 30,2%).

  (7) Memoria dell'Ocse, pag. 2.

  (8) All'operare dell'Irpef infatti è riconducibile più di un quarto della riduzione della disuguaglianza nella distribuzione dei redditi che avviene nel passaggio dai redditi pre- a quelli post- intervento pubblico (mentre l'effetto redistributivo di tutti gli altri tributi, complessivamente, è circa quattro volte inferiore a quello dell'Irpef). Nel passaggio dai redditi di mercato a quelli disponibili, infatti, l'indice di Gini si riduce di circa 15 punti, così suddivisi: 10 per l'operare dei trasferimenti (sette per le pensioni, tre per gli altri trasferimenti), 4 per l'Irpef, e 1 per i contributi sociali e gli altri tributi esclusa l'Iva (si veda N. Curci, P. Rizza, M. Romanelli e M. Savegnano «Irpef, (in)equità e (in)efficienza: un'analisi strutturale basata sul modello di microsimulazione BIMic», Questioni di Economia e Finanza n. 546, 2020 – Banca d'Italia, pag.10, figura 2.

  (9) Si veda la memoria del prof. Massimo Bordignon.

  (10) R. Price, Thai-Thanh Dang e J. Botev (2015), «Adjusting fiscal balances for the business cycle: New tax and expenditure elasticity estimates for OECD countries», OECD Economics Department Working Papers 1275, OECD.

  (11) Si veda M. Baldini e L. Rizzo (2019), «Flat tax. Parti uguali tra disuguali?», Bologna, Il Mulino e memoria di Massimo Baldini.

  (12) Si veda la memoria dell'UPB, figura 4, pag. 16.

  (13) Si veda la memoria dell'UPB, figura 10, pag.26.

  (14) E.Vanoni (1938), Il problema della codificazione tributaria in Riv.Dir. Fin.Sc. Fin, 1938, I, 361 e spec.391, citato nell'audizione Prof. Corasaniti, 12 marzo 2021.

  (15) Per i fondamenti teorici della DIT si veda P.B. Sorensen (2005), «Dual Income Taxation: Why and How», FinanzArchiv, 61.

  (16) Audizione del Prof. Dario Stevanato, pag. 7.

  (17) Per il solo caso regionale, abbiamo nel primo scaglione una dispersione di un punto percentuale tra l'aliquota minima e quella massima applicata dalle varie amministrazioni locali, che sale a 1,5 punti nel secondo scaglione, 1,7 nel terzo, e 2,1 nel quarto e quinto (fonte: audizione Paolo Liberati, pag.72, figura 10 panel B).

  (18) Attualmente sono esentate da tassazione i redditi derivanti dai Piani Individuali di Risparmio se sussistono determinate condizioni. I rendimenti dei titoli pubblici invece sono assoggettati ad un'aliquota del 12,5%.

  (19) Le plusvalenze riferibili a titoli pubblici sono imponibili in misura ridotta, in coerenza con un'aliquota effettiva del 12,5%.

  (20) Decreto legislativo n. 461 del 1997.

  (21) In particolare, la tassazione della fase di prestazione è differente a seconda della componente che viene erogata. Quella relativa alla restituzione del capitale versato sotto forma di contributi è assoggettata ad un'imposta sostitutiva del 15% (ulteriormente ridotta di 0,3% per ogni anno di versamento oltre il quindicesimo); la componente relativa ai rendimenti accumulati nella fase di maturazione è tassata in Irpef; la componente relativa ai rendimenti maturati nella fase di prestazione è tassata come reddito di capitale, con un'aliquota al 26%.

  (22) Attualmente le misure fiscalmente incentivanti all'aggregazione di impresa (contenute nel Dl 34/2019 e nella legge 178/2020, queste ultime poi modificate dal DL. 73/2021) hanno la caratteristica della temporaneità e della limitata applicabilità soggettiva. Attesa la necessità di rifondare il sistema fiscale in un'ottica pro crescita, anche attraverso meccanismi che rendano la tassazione delle imprese neutrale rispetto alla forma giuridica dell'attività svolta, la Commissione ritiene opportuno che il legislatore della riforma introduca meccanismi fiscali di incentivazione fiscale, che si concentrino su una disciplina specifica inserita nel sistema delle imposte sui redditi, che abbiano carattere strutturale e investano una platea quanto più ampia di soggetti esercenti attività economica.

  (23) Operatori che rientrano nel regime forfettario, associazioni e società sportive dilettantistiche che nel periodo precedente abbiano conseguito proventi da attività commerciali per un importo non eccedente i 65.000 euro, le operazioni di natura sanitaria.