CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 18 novembre 2020
474.
XVIII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
ALLEGATO
Pag. 111

ALLEGATO 1

DL n. 125/2020, recante misure urgenti connesse con la proroga della dichiarazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19 e per la continuità operativa del sistema di allerta COVID, nonché per l'attuazione della direttiva (UE) 2020/739 del 3 giugno 2020. C. 2779 Governo, approvato dal Senato.

PROPOSTA DI PARERE

  La II Commissione,

   esaminato, per le parti di competenza, il disegno di legge di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 ottobre 2020, n. 125, recante misure urgenti connesse con la proroga della dichiarazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19 e per la continuità operativa del sistema di allerta COVID, nonché per l'attuazione della direttiva (UE) 2020/739 del 3 giugno 2020 (A.C. 2779 Governo);

   considerato che:

    l'articolo 1, comma 1, lettera b), introducendo la lettera hh-bis) al comma 2 dell'articolo 1 del decreto-legge n. 19 del 2020, stabilisce – tra le misure adottabili secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio o sulla totalità di esso – l'obbligo, con specifiche esclusioni, di avere sempre con sé dispositivi di protezione delle vie respiratorie, con possibilità di prevederne l'obbligatorietà dell'utilizzo nei luoghi al chiuso (diversi dalle abitazioni private) e in tutti i luoghi all'aperto;

    per quanto riguarda il regime sanzionatorio, si considera applicabile la disciplina posta dall'articolo 4 del medesimo decreto-legge n. 19 del 2020 che, al comma 1, punisce, salvo che il fatto costituisca reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 400 a euro 1.000;

    come stabilito dal richiamato decreto-legge n. 19 del 2020, non si applicano le sanzioni contravvenzionali previste dall'articolo 650 del codice penale o da ogni altra disposizione di legge attributiva di poteri per ragioni di sanità, con ciò evitando tra l'altro di contribuire ad un ulteriore aggravamento degli oneri a carico del nostro sistema giudiziario;

    il comma 1-bis dell'articolo 3, introdotto dal Senato, interviene sulla disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa, di cui al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, con l'obiettivo di agevolare le imprese nel corso delle procedure di concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti;

    tale modifica, che si configura come una risposta alla crisi economica e sociale scatenata dall'emergenza sanitaria in corso, dovrebbe consentire a molte imprese in difficoltà di evitare il fallimento, percorrendo a determinate condizioni soluzioni alternative, dato che consente ai tribunali di omologare il concordato preventivo o gli accordi di ristrutturazione dei debiti anche se la mancata adesione da parte dell'amministrazione finanziaria o degli enti previdenziali o assistenziali determini il mancato raggiungimento delle relative percentuali minime. In tal caso è sufficiente che dalla relazione del professionista designato dal debitore risulti che la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti previdenziali o assistenziali sia conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria;

    l'articolo 5-bis, introdotto nel corso dell'esame da parte del Senato, modificando Pag. 112 l'articolo 66, sesto comma, delle disposizioni di attuazione del codice civile, interviene sul quorum necessario per consentire la partecipazione alle assemblee condominiali in modalità di videoconferenza, stabilendo che a tal fine non è più richiesta l'unanimità dei condomini (come precedentemente previsto dalla modifica introdotta con il comma 1-bis dell'articolo 63 del decreto-legge n. 104 del 2020 convertito nella legge n. 126 del 2020). è sufficiente ora il consenso della maggioranza dei condomini;

    la disposizione è quindi finalizzata a semplificare e a rendere possibile, specialmente nel periodo emergenziale, lo svolgimento delle assemblee condominiali e conseguentemente a favorire l'adozione di delibere condominiali che possano dare il via a lavori edilizi spesso bloccati per le difficoltà che gli amministratori hanno incontrato nell'emergenza COVID nel convocare le assemblee. Tutto questo dovrebbe avere forti ricadute sull'economia del Paese;

    tale norma, pur introdotta in ragione dell'emergenza, ha carattere di stabilità, non essendo previsto un termine di efficacia per la sua applicazione, e quindi potrà rappresentare uno strumento utile anche per il futuro consentendo di limitare l'utilizzo di deleghe da parte di quei proprietari che per varie ragioni non hanno la possibilità di raggiungere la location fisica in cui si svolge un'assemblea condominiale,

  esprime

PARERE FAVOREVOLE.

Pag. 113

ALLEGATO 2

DL 130/2020: Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, modifiche agli articoli 131-bis, 391-bis, 391-ter e 588 del codice penale, nonché misure in materia di divieto di accesso agli esercizi pubblici ed ai locali di pubblico trattenimento, di contrasto all'utilizzo distorto del web e di disciplina del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale. C. 2727 Governo.

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE PRESENTATA DAL GRUPPO LEGA

  La II Commissione,

   premesso che il decreto in conversione presenta palesi caratteri di incostituzionalità, quantomeno sotto il profilo della eterogeneità per materia. A fianco di norme in tema di immigrazione, si inseriscono modifiche sostanziali al codice penale, (articolo 131-bis, articolo 391-bis in relazione all'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 – Ordinamento Penitenziario), alla normativa sul Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà;

   considerato che:

    l'articolo 7 modifica l'articolo 131-bis del codice penale, prevedendo che l'esclusione della specifica causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto sia circoscritta al reato commesso nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell'esercizio delle proprie funzioni e non più nei confronti di tutti i pubblici ufficiali. L'esclusione viene, invece, estesa ai casi di oltraggio a un magistrato in udienza (articolo 343 del codice penale);

    il decreto-legge introduce una differenziazione fra i pubblici ufficiali coinvolti perché introduce una disparità di trattamento rispetto ad altri pubblici ufficiali, in quanto il riferimento ad una mera qualità soggettiva è elemento del tutto estrinseco rispetto alla logica della non punibilità. Escludere la forza pubblica dalla clausola di non punibilità equivale ad ammettere che, quando le condotte – anche di solo oltraggio – si dirigono contro ufficiali od agenti di pubblica sicurezza, il danno/pericolo per il bene protetto deve sempre essere affermato in via presuntiva;

    quanto al reato previsto dall'articolo 343, viene ora ad essere ricompreso fra le eccezioni alla non punibilità, dunque a costituire un'ipotesi in cui il fatto non potrebbe mai esser considerato lieve. Ma questa previsione – cioè appunto l'esclusione dal «beneficio» di cui all'articolo 131-bis del codice penale – sarebbe ragionevole se un'analoga esclusione fosse mantenuta anche per l'articolo 341-bis (che pure disciplina un caso di oltraggio a pubblico ufficiale);

    viene, quindi, introdotta una discriminazione irragionevole, perché risulterebbe maggiormente «tutelato» il soggetto (istituzionale) che ha invece maggiori strumenti di reazione al medesimo tipo di fatti offensivi;

    all'articolo 7 sarebbe indispensabile la soppressione dell'articolo stesso con il contestuale ripristino della normativa in materia di reati commessi nei confronti di un pubblico ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni per i quali non opera l'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall'articolo 131-bis del codice penale. In subordine si dovrebbe ripristinare la versione originaria dell'articolo 131-bis, ante 2019, eliminando del tutto il riferimento ai pubblici ufficiali. In alternativa, escludere la tenuità solo nel caso di condotte violente o Pag. 114minacciose nei confronti di ufficiali e agenti della forza pubblica;

    nell'ambito della normativa sul Garante, si proroga, in modo incomprensibile e illogico, il mandato dell'attuale titolare di ben 2 anni, oltre a consentire, al medesimo, mediante modifica dell'articolo 7 del decreto-legge 146 del 2013, di delegare le proprie prerogative a non meglio identificati «garanti territoriali» senza ben precisare se si tratti di garanti comunali, provinciali, o regionali. Non si precisa se i poteri siano attribuiti in via alternativa o congiunta e non si precisa quali siano i criteri di selezione di questi ultimi. Il tutto senza valutare le molteplici implicazioni che tale allargamento, potrà avere;

    in conseguenza delle nuove misure, il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale viene ridenominato «Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale» e ne viene sancita l'operatività come meccanismo nazionale di prevenzione della tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, in coerenza con l'obbligo previsto dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti, fatto a New York il 18 dicembre 2002;

    il decreto-legge vorrebbe, secondo la relazione illustrativa, non trascurare il rafforzamento dei dispositivi a garanzia della sicurezza pubblica, rendendo più severe le norme in materia di agevolazione delle comunicazioni dei detenuti sottoposti al regime previsto dall'articolo 41-bis dell'ordinamento Penitenziario;

    a tal fine introduce, all'articolo 9, una nuova figura di reato, di cui all'articolo 391-ter del codice penale, mediante la quale sono sanzionate l'introduzione e la detenzione, all'interno degli istituti penitenziari, di telefoni cellulari e di dispositivi idonei a consentire la comunicazione con l'esterno;

    nonostante l'importanza e l'esigenza della norma che mira ad impedire l'introduzione o l'utilizzo abusivo di cellulari clandestini in istituti penitenziari, si interviene alzando al di sopra del ragionevole la misura delle previsioni edittali. Infatti non solo si punisce ogni azione finalizzata alla «comunicazione» con altri – laddove prima si parlava di «agevolazioni» in favore di detenuti al regime speciale del 41-bis (già oggetto di censure sia da Corti italiane che europee), ma lo si fa con pene sproporzionate (fino a 6 anni, a soggetti peraltro, non di rado, già gravati da ergastolo e condanne di diversi lustri, spesso ultra 65/70enni), indipendentemente dalla natura della comunicazione: far arrivare a chi di dovere un «pizzino» in cui si ordina un omicidio, ovvero un biglietto con scritto solo «buon natale» potrà, comunque, costare da 2 a 6 anni di carcere, laddove la precedente punizione (da 1 a 4 e da 2 a 5 ove il complice fosse un pubblico ufficiale) appariva già congrua;

    all'articolo 9, si ritiene opportuno ricomprendere nel disposto del primo comma anche, quale oggetto strumentale o mediato, che dir si voglia, del reato, le sim card, linguisticamente da intendersi come schede atte a permettere l'interscambio di dati ovvero comunicazioni vocali (laddove genericamente si fa riferimento oggidì ai soli dispositivi materiali, che interpretativamente potrebbero essere riferiti ai soli apparecchi fisici);

   preso atto che:

    vengono aggravate le sanzioni penali previste per il reato di rissa, di cui all'articolo 588 e vengono previste le misure del divieto di ingresso nei pubblici esercizi e nei locali di pubblico trattenimento o nelle loro adiacenze (rafforzando la capacità preventiva sul cosiddetto «DASPO urbano»), nonché ulteriori misure di contrasto del fenomeno dello spaccio di stupefacenti attraverso l'oscuramento dei siti web che, sulla base di elementi oggettivi, devono ritenersi utilizzati per la commissione di reati in materia di stupefacenti;

    la norma sulle risse, peraltro non innovativa, è, in linea di principio teorico, positiva, ma rischia non solo di essere assolutamente sproporzionata (fino a 6 anni di carcere per una situazione nella quale, non di rado, si è coinvolti senza colpa o Pag. 115nella quale si è intervenuti per difendere qualcuno;

    all'articolo 7, si ritiene che la preclusione all'applicazione della causa di non punibilità per la «particolare tenuità del fatto» di cui al disposto dell'art. 131-bis del codice penale debba riguardare anche le ipotesi di violenza e minaccia ad un incaricato di pubblico servizio nell'esercizio delle proprie funzioni. Così da proteggere, stante vieppiù il carattere deterrenziale della norma penale, anche soggetti che pur non essendo pubblici ufficiali esercitano comunque una funzione pubblica ex articolo 358 del codice penale (si pensi ai collaboratori scolastici o ai farmacisti, spesso oggetto di episodi di violenza e minaccia);

    la parte, normata con l'articolo 11, relativa al c.d. «Daspo Urbano» è, di fatto, di difficile applicazione e facilmente aggirabile, e, quindi, sostanzialmente inutile. Infatti, se da un lato è apprezzabile l'intento di impedire che a soggetti anche solo denunciati o condannati in via non definitiva per taluni reati, sia vietato frequentare certi luoghi, è altrettanto evidente che se l'interessato spacciava in un certo locale, una volta inibitogli l'accesso a quel luogo, lungi dal tornare sulla retta via, troverà più semplice cambiare locale;

    per poter aumentare la protezione della tranquillità degli esercizi pubblici e dei locali di pubblico trattenimento, ad oggetto della norma, l'applicabilità del divieto di accesso de quo dovrebbe essere estesa a tutte le persone condannate, anche con sentenza non definitiva, ovvero sottoposte ad indagini preliminari e riguardate da misure cautelari personali nell'ultimo triennio per qualsivoglia delitto non colposo contro la persona o il patrimonio ovvero afferente alla vendita o alla cessione di sostanze stupefacenti o psicotrope, di cui al disposto dell'articolo 73 del testo unico emanato con decreto del Presidente della Repubblica 09 ottobre 1990 n. 309, ancorché aggravato ai sensi dell'articolo 604-ter del Codice Penale, senza distinzione di luoghi. Ciò consentirebbe altresì di risolvere il contrasto (attualmente presente nel testo in analisi) tra la mera sussistenza di una o più denunce quale presupposto della comminabilità del divieto medesimo e i provvedimenti dell'autorità giudiziaria da valutarsi in prospettiva dell'effettiva sua comminazione, laddove la stessa mera sussistenza di una o più denunce non seguita dall'instaurazione di un procedimento penale con applicazione di misure cautelari risulterebbe irragionevole;

    parimenti velleitario è il lodevole tentativo, destinato a rimanere tale, di poter oscurare siti web utilizzati per commettere reati: la gran parte dei traffici di stupefacenti – quelli gestiti dalla Criminalità Organizzata Nazionale e Straniera – non passa attraverso il web, e pertanto non risulta chiaro quale portata pratica avrà la norma. Non è di facile intuizione come si potranno «oscurare» siti basati in altri Stati, che operano con comunicazioni criptate che si svolgono, almeno per i «professionisti» del settore, nel «dark web». Una norma poco chiara che conduce verso la liberalizzazione di fatto di qualsiasi ingresso o permanenza futura di immigrati irregolari sul territorio nazionale;

    vieppiù, l'articolo 13 potrebbe annoverare un ultimo comma, contemplativo della più aspra sanzione della reclusione da sei mesi a due anni e della multa da euro 8.000,00 (ottomila/00) ad euro 20.000,00 (ventimila/00) nei casi di violazione di divieti e delle prescrizioni di cui alle disposizioni dei commi primo e terzo;

    numerose perplessità del gruppo parlamentare Lega per Salvini Premier, gravano sul provvedimento de quo, con il quale si intende evidentemente smantellare un sistema normativo di protezione nazionale rispetto a fenomeni migratori massivi;

    si tratta, nella sostanza, di un provvedimento ispirato, più che da una sincera volontà di affrontare e contenere il problema della immigrazione irregolare, dalla volontà politica, ideologica di cancellare il decreto-legge 4 ottobre 2013 n. 113 convertito in legge 1° dicembre 2013, n. 132, e il decreto-legge 14 giugno 2019 n. 53, convertito in legge 8 agosto 2019, noti come «Decreti Salvini», che pure avevano dimostrato, Pag. 116 nei numeri, di coniugare in modo equilibrato accoglienza verso chi realmente ne aveva titolo, sicurezza verso le fasce più fragili dei richiedenti asilo – minori in primis – e meno tolleranza verso chi, sotto mendaci e presunte motivazioni umanitarie, altri non è che un migrante economico, destinato, assai spesso, nella migliore delle ipotesi, a venire sfruttato per lavori «in nero», in quella intermedia a perseguire con ogni mezzo il proprio illecito arricchimento con spaccio di droga, prostituzione, estorsione verso connazionali, et similia, anche sfruttando le maglie della legge generalmente meno rigide nel nostro Paese rispetto a quelle dei Paesi di provenienza e, nella peggiore, ad implementare i ranghi di nuove organizzazioni mafiose straniere o cellule terroristiche;

    il convincimento negativo sul provvedimento in oggetto, si basa, tra le tante altre, sulle seguenti riscontrate criticità:

     articolo 1, comma 1, lettera a): al mero fine di non dar luogo ad incertezze applicative a risoluzione delle quali si offrirebbe all'interprete lata discrezionalità, ed al fine di evitare le migrazioni meramente economiche, si reputa opportuno indicare le fattispecie in sussistenza delle quali lo straniero possa esser fatto destinatario di permesso di soggiorno per ragioni meramente «tutelative». Appare di prioritario interesse riformulare il disposto del comma 6 dell'articolo 5 del decreto legislativo n.286 del 1998 mediante modifica del disposto della lettera a) del comma 1 dell'articolo 1 in modo da inserire, dopo le parole «Stati contraenti», «nel rispetto delle disposizioni del diritto sovranazionale in materia di riconoscibilità dello status di rifugiato ovvero protezione sussidiaria»;

     articolo 1, comma 1, lettera b): un punto critico del testo in esame è quello della convertibilità del permesso di soggiorno per protezione speciale in permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Il permesso di soggiorno per protezione speciale deve essere espunto dall'ordinamento giuridico, essendo esso connotato dal presupposto del carattere umanitario e rappresentando un intollerabile incentivo all'adempimento (imposto indistintamente a tutti i consociati dell'ordinamento giuridico nazionale medesimo, indi anche agli stranieri, dall'articolo 2 della Costituzione) dei doveri inderogabili di solidarietà sociale; diversamente opinando, infatti, lo straniero entrato illegittimamente nel territorio dello Stato e fatto destinatario di un permesso per protezione speciale potrebbe grazie ad esso ottenere un permesso per motivi di lavoro e regolarizzare così una situazione ab origine contra legem;

     articolo 1, comma 1, lettera c): è indispensabile inserire una norma che limiti – a discrezione del Ministro dell'Interno quale autorità nazionale di pubblica sicurezza – la possibilità, per le persone salvate a seguito delle operazioni di soccorso e curabili a bordo delle imbarcazioni coinvolte in tali operazioni, di accedere alla terraferma, così pure da essere identificate agevolmente senza pericolo di fuga. La ratio della proposta è quella di evitare il pericolo di fughe incontrollate prima dell'identificazione e della valutazione della sussistenza dei motivi di proteggibilità alla stregua delle fonti di diritto sovranazionale;

    il presupposto di questa proposta è che non esiste nel sistema ordinamentale di qualunque Stato alcuna norma che permetta ad un cittadino di entrare in un Paese senza i titoli di espatrio, ed ogni Stato sovrano ha il diritto dovere di manifestare la propria legittima capacità di interdizione al fenomeno. Il legislatore del '42 creò una norma che permette al Ministero infrastrutture e trasporti di fermare o disciplinare la navigazione marittima di concerto con il Ministero dell'Ambiente anche per ragioni di tutela dell'ambiente marino. Proponiamo l'inserimento, tra queste facoltà, anche dell'ipotesi di intervento per ragioni di sicurezza sanitaria, sentito il Ministero della Salute. Questo tipo di interdizione non sarebbe sbagliato, potendo inserire la previsione nell'articolo 1, al secondo comma della proposta in esame;

   considerato ancora che:

    l'articolo 98 della convenzione internazionale ONU sul Diritto del mare afferma Pag. 117 che ogni Stato si deve organizzare per creare un idoneo servizio di soccorso e salvataggio, esattamente affermando; «promuova la costituzione e funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di soccorso per la tutela marittima ed aerea e, quando le circostanze lo richiedono, collabora con altri stati». Questo tipo di operatività deve rimanere di esclusiva spettanza dello Stato e non può essere autonomamente gestito da onlus prive di qualunque coordinamento con le autorità statali nei cui mari pretendono di operare e sui cui territori pretendono di sbarcare;

    il presente decreto è una occasione, seppur nel negativo contesto di demolizione del sistema di prevenzione in essere rispetto al fenomeno dell'immigrazione massiva, per recare modificazioni alla parte delle «Disposizioni penali e Disciplinari» del Codice della Navigazione e, precisamente, attraverso l'inserimento di due nuove previsioni normative che vadano ad arricchire la portata del Titolo II del Libro I «Delle disposizioni penali»;

    in particolare, con l'inserimento degli articoli 1099-bis e 1100-bis, proposti con emendamenti del gruppo della Lega, si darebbe certa rilevanza penale alle gravi condotte, quali la disobbedienza o la resistenza alle unità in pattugliamento nelle acque costiere, commesse contro qualunque imbarcazione militare od appartenente a Corpi od organi deputati a controlli marittimi, così superando la storica e datata definizione di «nave da guerra» di cui agli articoli 1099 e 1100 del Codice. Tale proposta va anche nel senso di armonizzare il Codice della navigazione all'evoluzione compiuta dalla normativa internazionale rispetto alla natura ed alla funzione dei natanti che non fossero espressamente destinati al compimento di attività militari, circostanza sulla quale la definizione del nostro codice parrebbe ad oggi lasciare aperti dei dubbi in alcuni settori dell'opinione pubblica o, peggio, dei giudici di merito, pur del tutto erroneamente;

    le due fattispecie di reato di disobbedienza a nave da guerra di cui all'articolo 1099 del codice della navigazione e di resistenza o di violenza contro nave da guerra di cui al pedissequo articolo 1100 del codice della navigazione hanno recentemente dimostrato di potersi prestare a queste restrittive e non opportune visioni interpretative. Si fa riferimento al caso della Comandante Karola Rackete. Ciò a dispetto di quelle che risultano essere le tendenze evolutive del diritto internazionale marittimo, maggiormente attente all'attuale contesto geopolitico. Infatti, alla globalizzazione dei mercati ed alla mondializzazione dell'economia lecita, si accompagnano fenomeni di criminalità transnazionale di vario tipo, (riciclaggio di denaro sporco, contrabbando, traffico internazionale di armi, di droga, di esseri umani), con la conseguente necessità di predisporre opportune azioni di contrasto anche al di là dei confini dei singoli Stati, con mezzi e strumentazioni di diversa natura e consistenza;

    con l'approvazione delle proposte emendative del gruppo della Lega, i soggetti autori di condotte di reati di disobbedienza e di resistenza, dovranno così rispondere rispetto alla disobbedienza od anche alla resistenza, quando si trovino ad affrontare gli ordini impartiti da una nave equipaggiata con personale militare di polizia o appartenente a un corpo di Polizia;

    è interesse del legislatore fornire al corpo normativo dello Stato italiano un testo di lettura univoco, rispettoso dell'evoluzione tecnologica e commerciale in atto e non più interpretabile rispetto alla esatta portata del concetto di nave da guerra. Come la stessa Corte di Cassazione aveva in passato confermato: «Il riferimento testuale alle navi da guerra non può quindi essere interpretato in senso riduttivo ma, nel suo più ampio ed esteso significato, alla luce delle modificazioni storiche avvenute dalla data di emanazione del codice». Senza affrontare i diversi motivi per i quali, ancor più recentemente, la Corte di Cassazione ha espressamente stabilito che lo specifico reato di resistenza a «nave da guerra» previsto dal codice della navigazione sarebbe comunque da escludersi dal ritenuto adempimento del dovere di soccorso in mare («L'obbligo di prestare soccorso non si esaurisce nell'atto di sottrarre i naufraghi Pag. 118 al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l'obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro»), non possiamo giustificare od occultare dietro gesti di umanità verso persone bisognose di soccorso l'altrettanto prioritaria necessità che lo Stato mantenga la propria autorevolezza nella gestione di tutti i traffici marittimi che avvengano nella propria giurisdizione;

    infine ma non meno importante; adeguare le norme di cui agli articoli 1099 e 1100 del Codice navigazione per cui chi disobbedisce o fa resistenza ad una nave militare o di forze di polizia, considerando le persone imbarcate alla stregua di una nave militare, subirà pari trattamento sanzionatorio. Se uno disobbedisce ad una nave appartenente alle forze di polizia deve essere punito evitando disquisizioni ormai superate sulla natura di nave da guerra o meno;

   considerato infine che:

    laddove l'attuale pandemia da COVID19 avrebbe dovuto indurre ad una maggiore vigilanza e repressione – rectius: «dissuasione subliminale preventiva» – di nuovi arrivi, il Governo e la maggioranza cancellano ogni forma di sostanziale tutela e possibilità di selezione verso chi arriva nel nostro Paese in modo irregolare, con l'ulteriore aggravante di fingere di ignorare che, ormai, i più arrivano da Paesi, quali ad esempio la Tunisia, dove non vi è alcuna situazione di guerra, carestia, calamità naturale. Basterà arrivare in Italia per poter restare, sanando di fatto anche le situazioni pregresse;

    ma il tratto saliente del provvedimento è il tentativo di non farne percepire la reale portata, a tal proposito, l'articolo 1, comma 2, che, oltre a ridurre in modo molto significativo le sanzioni economiche prima previste, ne muta la natura giuridica, da amministrativa a penale, cosa che, ne diminuisce – di fatto – la efficacia deterrente. Questo depotenziamento è aggravato ulteriormente dalla cancellazione del sequestro finalizzato alla confisca della nave, alla responsabilità solidale per l'armatore col comandante, e dalla possibilità di confisca del natante in taluni casi;

    si introducono tante e tali tipologie di situazioni legittimanti la permanenza in Italia che, di fatto, emergeranno difficoltà o impossibilità di accertamenti sulla reale situazione individuale di provenienza, ed inoltre si manifesterà maggiormente la scarsezza di personale amministrativo e giudiziario che dovrà gestire gli innumerevoli contenziosi indotti;

    motivi che spaziano dalla fuga da calamità non meglio circostanziate e, dunque, identificabili, per residenza elettiva, per acquisto di cittadinanza, per attività sportiva, per ragioni familiari o religiose, per assistenza a minori, per protezione speciale, per «fondati motivi» (difficilmente verificabili in concreto) che inducano a ritenere che esista il rischio di trattamenti inumani o degradanti (pure questi non meglio specificati nella tipologia e nel «quantum». Si aggiunge addirittura la possibilità di restare in Italia allorché l'allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione al diritto al rispetto della propria vita privata e familiare. Norma che, che per genericità ed elasticità consentirà, praticamente a chiunque, di restare nel nostro paese: «l'allontanamento dal territorio nazionale...» sarà considerato «lesivo del radicamento» e quindi inattuabile. L'illegittimità dell'ingresso e della permanenza divengono causa di legittimazione successiva della stessa;

    occorre precisare e sottolineare le parole del presidente del Tribunale di Venezia «...è bene ribadire che la richiesta di strumenti che consentano di rendere più agile e celere il rito non è soltanto dovuta – e ciò sarebbe bastevole – all'esigenza di affrancare i tribunali distrettuali da un numero insostenibile di procedimenti in materia di protezione internazionale, che costringono a sacrificare oltre ogni misura la tutela dei diritti dei cittadini, ma anche ad assicurare in tempi ragionevoli, e tali da essere conformi ai principi di cui all'articolo 111 Cost, i diritti dei richiedenti asilo...;»,

  esprime

PARERE CONTRARIO.

Pag. 119

ALLEGATO 3

DL 130/2020: Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, modifiche agli articoli 131-bis, 391-bis, 391-ter e 588 del codice penale, nonché misure in materia di divieto di accesso agli esercizi pubblici ed ai locali di pubblico trattenimento, di contrasto all'utilizzo distorto del web e di disciplina del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale. C. 2727 Governo.

PARERE APPROVATO

  La II Commissione,

   esaminato il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 130 del 2020, recante «Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, modifiche agli articoli 131-bis, 391-bis, 391-ter e 588 del codice penale, nonché misure in materia di divieto di accesso agli esercizi pubblici ed ai locali di pubblico trattenimento, di contrasto all'utilizzo distorto del web e di disciplina del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale»;

   considerato che:

    il decreto-legge in esame interviene per correggere e superare gli aspetti più critici e ritenuti incostituzionali dei decreti-legge n. 113 del 2018 e n. 53 del 2019;

    il provvedimento risponde all'esigenza di dare seguito alle osservazioni formulate dal Presidente della Repubblica in sede di emanazione del decreto-legge n. 113 del 2018 e di promulgazione della legge n. 77 del 2019, che ha convertito in legge il decreto-legge n. 53 del 2019, stante che, a seguito dell'entrata in vigore di tali disposizioni e della loro prima applicazione, si è manifestata – come si legge nella relazione illustrativa del decreto-legge in esame – la straordinaria necessità e urgenza di chiarirne alcuni profili, tramite una loro rimodulazione che tenga conto dei princìpi costituzionali e di diritto internazionale vigenti in materia e di porre rimedio ad alcuni aspetti funzionali che avevano generato difficoltà applicative;

    il 9 luglio 2020 la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la norma che esclude i richiedenti asilo dall'iscrizione anagrafica, abolendo una delle parti più contestate del decreto-legge n. 113 del 2018, per due ordini di motivazioni: la norma è «irrazionale», perché non serve a controllare il territorio che è la finalità dichiarata dal decreto, e determina «irragionevole disparità di trattamento», visto che rende più difficile ai richiedenti asilo l'accesso ai servizi ad essi garantiti;

    i precedenti decreti-legge, invece di garantire la sicurezza nei territori e nelle comunità, hanno stressato il sistema di accoglienza al punto da renderlo inefficace perché, di fatto, sono stati esclusi dai centri moltissimi immigrati finiti poi in condizioni di precarietà e clandestinità;

   premesso che:

    il decreto-legge in esame segna indubbiamente un miglioramento nella gestione del fenomeno immigratorio nel nostro Paese, che non può e non deve essere ispirata solo da logiche emergenziali e da risposte securitarie;

    il fenomeno dei flussi migratori, che è epocale e molto complesso, deve essere affrontato non con la propaganda ma con una visione che duri negli anni e che preveda innanzitutto una risposta europea insieme ad altri strumenti, quali gli accordi bilaterali con i Paesi di provenienza, canali legali di ingresso in Europa, migliori politiche di integrazione e di riconoscimento della protezione umanitaria;

Pag. 120

   rilevato che:

    l'articolo 1 modifica il quadro dei divieti e dei limiti di navigazione per le imbarcazioni, prevedendo una deroga al divieto o limite di navigazione quando si tratta di navi che abbiano effettuato soccorso a norma delle convenzioni internazionali e che abbiano comunicato le operazioni alle autorità competenti nazionali o del loro Stato di bandiera;

    in particolare il comma 2 dell'articolo 1 disciplina soltanto il transito e la sosta, senza più fare riferimento all'ingresso della nave nel mare territoriale, escludendo dalla previsione normativa le operazioni di soccorso immediatamente comunicate al centro di coordinamento competente e allo Stato di bandiera ed effettuate nel rispetto delle indicazioni della competente autorità per la ricerca e soccorso in mare, emesse in base ad obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali in materia di diritto del mare nonché dello statuto dei rifugiati;

    nei casi di inosservanza del divieto o del limite posto la pena della multa è da euro 10.000 ad euro 50.000 (che si aggiunge alla reclusione fino a due anni già prevista per le violazioni all'articolo 83 del codice della navigazione);

    sono contestualmente abrogate (articolo 1, comma 1, lettera c)) le disposizioni introdotte dal decreto-legge n. 53 del 2019 che prevedevano, in particolare, una sanzione amministrativa da 150.000 euro a 1.000.000 di euro, la responsabilità solidale dell'armatore con il comandante e la confisca obbligatoria della nave e l'eventuale distruzione dell'imbarcazione;

    il riferimento all'adempimento delle indicazioni della competente autorità dovrebbe escludere esplicitamente l'ipotesi che le autorità competenti diano indicazioni contrarie al diritto internazionale, evitando che le navi che abbiano osservato gli obblighi internazionali di soccorrere le persone in mare debbano anche obbedire a centri di coordinamento diversi da quello italiano, che potrebbero ordinare di portare le persone soccorse in mare in Paesi in cui avvengono violazioni dei diritti umani, certificate dalle organizzazioni delle Nazioni Unite o da altre organizzazioni umanitarie;

    sarebbe pertanto utile prevedere che l'articolo 1, comma 2, non si applichi nei confronti di navi che abbiano prestato soccorso in mare, anche rifiutandosi di rispettare indicazioni di coordinamento incompatibili con la salvaguardia della vita e della sicurezza in mare, oppure che abbiano agito in assenza di coordinamento in ragione del rifiuto di prendere in carico la situazione da parte di tutte le autorità potenzialmente competenti;

    l'articolo 2 interviene sulla procedura di esame delle domande di protezione internazionale, sulla relativa decisione e sulle procedure di impugnazione, attraverso alcune modifiche al decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, di attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato;

    in particolare il comma 1, lettera f), dell'articolo 2, incide sulla disciplina delle controversie in materia di decisioni di riconoscimento della protezione internazionale, recata dall'articolo 35-bis del decreto legislativo n. 25 del 2008, intervenendo sulle ipotesi di sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato e specificatamente sui casi di sospensione in presenza di «gravi e circostanziate ragioni e assunte ove occorrano sommarie informazioni» nel caso di ricorsi presentati: da parte di un soggetto nei cui confronti è stato adottato un provvedimento di trattenimento in un hotspot o un centro di permanenza e rimpatrio; contro il provvedimento di inammissibilità; avverso il provvedimento di rigetto per manifesta infondatezza; avverso un provvedimento adottato nei confronti di un soggetto proveniente da un Paese designato di origine sicuro, o fermato in condizioni di soggiorno irregolare, o che ha presentato domanda direttamente alla frontiera dopo aver eluso i controlli di frontiera;

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    la disposizione richiamata del decreto-legge specifica che il provvedimento di sospensione per gravi motivi deve essere adottato ai sensi dell'articolo 3, comma 4-bis, del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, a norma della quale tutte le controversie aventi ad oggetto l'impugnazione dei provvedimenti delle commissioni territoriali e della commissione nazionale per diritto di asilo, anche relative al mancato riconoscimento dei presupposti per la protezione speciale, e quelle aventi ad oggetto l'impugnazione dei provvedimenti adottati dall'autorità preposta alla determinazione dello Stato competente all'esame della domanda di protezione internazionale, sono decise dal tribunale in composizione collegiale;

    non ci si nasconde che la garanzia della collegialità, prevista in via eccezionale nelle controversie di primo grado, rischia di determinare un aggravio pesante per strutture già sottoposte ad un carico di lavoro straordinario, con la conseguenza di rendere più difficile e lento il lavoro dei giudici di primo grado e di vanificare i risultati ottenuti in termini di smaltimento dell'arretrato nel settore civile grazie alle riforme introdotte negli ultimi anni con l'introduzione degli istituti deflattivi e del processo telematico;

    d'altra parte il ricorso alla composizione collegiale nello svolgimento del contenzioso in materia di protezione internazionale rappresenta una garanzia indispensabile circa una maggiore obiettività delle decisioni, ancora più importante quando, come in questo caso, si tratta di diritti umani fondamentali e dove, soprattutto, si è abolito il grado di appello, proprio per favorire una maggiore speditezza delle decisioni;

    il comma 1, lettera f), numero 4), dell'articolo 2, novellando il comma 5 dell'articolo 35-bis del decreto legislativo n. 25 del 2008, dispone che la mera proposizione del ricorso sospende anche l'efficacia esecutiva del provvedimento che dichiari inammissibile una reiterata domanda di riconoscimento della protezione internazionale ex articolo 29, comma 1, lettera b) (nuova domanda dopo rigetto da Commissione territoriale senza addurre nuovi elementi), introducendo la mancata applicazione dell'automatico effetto cautelare solo per la seconda dichiarazione di inammissibilità;

    si determina così l'ampliamento di un istituto, quale quello relativo alla sospensione automatica del provvedimento contestato, in controtendenza rispetto alla normazione processual-amministrativa più recente, volta ad introdurre deterrenti all'utilizzo strumentale di mezzi processuali;

    andrebbe quindi valutata l'opportunità di modificare la novella di cui all'articolo 2, comma 1, lettera f), numero 4), eliminando l'ipotesi della sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento che dichiari inammissibile una reiterata domanda di riconoscimento della protezione internazionale ex articolo 29, comma 1, lettera b);

    l'articolo 15 introduce alcune disposizioni transitorie finalizzate a stabilire l'applicazione di alcune modifiche introdotte con il decreto-legge in esame anche ai procedimenti in corso, nella fase sia amministrativa sia giurisdizionale, in particolare prevedendo, al comma 1, l'applicazione ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del decreto (22 ottobre 2020) delle disposizioni introdotte dall'articolo 1, comma 1, di cui alla: lettera a), che prevede che il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno non possano essere adottati quando ricorrano seri motivi derivanti dal rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato; lettera e), che estende l'ambito di applicazione del divieto di respingimento o espulsione o estradizione di una persona verso uno Stato ai sensi dell'articolo 19 del testo unico in materia di immigrazione; lettera f), che riformula le previsioni in materia di permesso di soggiorno per calamità;

    l'applicabilità immediata riguarda i procedimenti in corso di natura amministrativa, ossia dinanzi alle commissioni territoriali e al questore, nonché di natura giurisdizionale, ossia i procedimenti dinanzi alle sezioni specializzate dei tribunali, Pag. 122 escludendosi esplicitamente l'applicabilità immediata delle disposizioni richiamate con riferimento ai procedimenti giurisdizionali pendenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge, nei quali si stia svolgendo il giudizio di rinvio a seguito di annullamento da parte della Corte di cassazione ai sensi dell'articolo 384, comma secondo, del codice di procedura civile;

    lo stesso articolo 15, al comma 2, dispone in ordine all'applicazione delle disposizioni in materia di procedure per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui all'articolo 2 del decreto-legge, anche ai procedimenti pendenti davanti alle commissioni territoriali alla data di entrata in vigore del decreto-legge, ossia al 22 ottobre 2020;

    eventuali modifiche parlamentari alle disposizioni richiamate nell'articolo 15 potrebbero dar luogo a tre diversi regimi per la medesima fattispecie; quello applicabile ai procedimenti conclusi prima dell'entrata in vigore del decreto; quello applicabile ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del decreto ma conclusi prima della conversione e quello applicabile ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della legge di conversione,

  esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti osservazioni:

   a) all'articolo 1, comma 2, si valuti l'opportunità di non applicare la previsione normativa alle navi che abbiano prestato soccorso in mare, anche rifiutandosi di rispettare indicazioni di coordinamento incompatibili con la salvaguardia della vita e della sicurezza in mare, oppure che abbiano agito in assenza di coordinamento in ragione del rifiuto di prendere in carico la situazione da parte di tutte le autorità potenzialmente competenti;

   b) all'articolo 2, comma 1, lettera f), numero 4), si valuti l'opportunità di eliminare l'ipotesi della sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento che dichiari inammissibile una reiterata domanda di riconoscimento della protezione internazionale ex articolo 29, comma 1, lettera b);

   c) si valuti l'opportunità di rivedere la disposizione transitoria di cui all'articolo 15.

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ALLEGATO 4

DL n. 125/2020, recante misure urgenti connesse con la proroga della dichiarazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19 e per la continuità operativa del sistema di allerta COVID, nonché per l'attuazione della direttiva (UE) 2020/739 del 3 giugno 2020. C. 2779 Governo, approvato dal Senato.

PARERE APPROVATO

  La II Commissione,

   esaminato, per le parti di competenza, il disegno di legge di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 ottobre 2020, n. 125, recante misure urgenti connesse con la proroga della dichiarazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19 e per la continuità operativa del sistema di allerta COVID, nonché per l'attuazione della direttiva (UE) 2020/739 del 3 giugno 2020 (A.C. 2779 Governo);

   considerato che:

   l'articolo 1, comma 1, lettera b), introducendo la lettera hh-bis) al comma 2 dell'articolo 1 del decreto-legge n. 19 del 2020, stabilisce – tra le misure adottabili secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio o sulla totalità di esso – l'obbligo, con specifiche esclusioni, di avere sempre con sé dispositivi di protezione delle vie respiratorie, con possibilità di prevederne l'obbligatorietà dell'utilizzo nei luoghi al chiuso (diversi dalle abitazioni private) e in tutti i luoghi all'aperto;

   per quanto riguarda il regime sanzionatorio, si considera applicabile la disciplina posta dall'articolo 4 del medesimo decreto-legge n. 19 del 2020 che, al comma 1, punisce, salvo che il fatto costituisca reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 400 a euro 1.000;

   come stabilito dal richiamato decreto-legge n. 19 del 2020, non si applicano le sanzioni contravvenzionali previste dall'articolo 650 del codice penale o da ogni altra disposizione di legge attributiva di poteri per ragioni di sanità, con ciò evitando tra l'altro di contribuire ad un ulteriore aggravamento degli oneri a carico del nostro sistema giudiziario;

   il comma 1-bis dell'articolo 3, introdotto dal Senato, interviene sulla disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa, di cui al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, con l'obiettivo di agevolare le imprese nel corso delle procedure di concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti;

   tale modifica, che si configura come una risposta alla crisi economica e sociale scatenata dall'emergenza sanitaria in corso, dovrebbe consentire a molte imprese in difficoltà di evitare il fallimento, percorrendo a determinate condizioni soluzioni alternative, dato che consente ai tribunali di omologare il concordato preventivo o gli accordi di ristrutturazione dei debiti anche se la mancata adesione da parte dell'amministrazione finanziaria o degli enti previdenziali o assistenziali determini il mancato raggiungimento delle relative percentuali minime. In tal caso è sufficiente che dalla relazione del professionista designato dal debitore risulti che la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti previdenziali o assistenziali sia conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria;

   il decreto-legge non esplicita se le disposizioni di cui all'articolo 3, comma 1-bis si applichino anche alle procedure in corso;

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   sarebbe peraltro auspicabile valutare l'opportunità di introdurre, in un apposito provvedimento, un limite temporale all'espressione dell'assenso o del diniego da parte dell'amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali o assistenziali, nell'ambito delle procedure di accordo di ristrutturazione dei debiti, superato il quale il silenzio venga considerato silenzio-diniego;

   l'articolo 5-bis, introdotto nel corso dell'esame da parte del Senato, modificando l'articolo 66, sesto comma, delle disposizioni di attuazione del codice civile, interviene sul quorum necessario per consentire la partecipazione alle assemblee condominiali in modalità di videoconferenza, stabilendo che a tal fine non è più richiesta l'unanimità dei condomini (come precedentemente previsto dalla modifica introdotta con il comma 1-bis dell'articolo 63 del decreto-legge n. 104 del 2020 convertito nella legge n. 126 del 2020). è sufficiente ora il consenso della maggioranza dei condomini;

   la disposizione è quindi finalizzata a semplificare e a rendere possibile, specialmente nel periodo emergenziale, lo svolgimento delle assemblee condominiali e conseguentemente a favorire l'adozione di delibere condominiali che possano dare il via a lavori edilizi spesso bloccati per le difficoltà che gli amministratori hanno incontrato nell'emergenza COVID nel convocare le assemblee. Tutto questo dovrebbe avere forti ricadute sull'economia del paese;

   tale norma, pur introdotta in ragione dell'emergenza, ha carattere di stabilità, non essendo previsto un termine di efficacia per la sua applicazione, e quindi potrà rappresentare uno strumento utile anche per il futuro consentendo di limitare l'utilizzo di deleghe da parte di quei proprietari che per varie ragioni non hanno la possibilità di raggiungere la location fisica in cui si svolge un'assemblea condominiale,

  esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con la seguente osservazione:

   valuti la Commissione di merito l'opportunità di meglio esplicitare l'ambito applicativo delle disposizioni di cui all'articolo 3, comma 1-bis chiarendo se le stesse siano applicabili alle procedure in corso.