CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 13 febbraio 2020
324.
XVIII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Finanze (VI)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

5-03574 Cattaneo: Applicazione dell'IVA sulle prestazioni didattiche per il conseguimento della patente di guida di tipo A.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame gli Onorevoli interroganti, con riferimento al trattamento fiscale degli insegnamenti volti a consentire l'acquisizione delle patenti di categoria A, chiedono chiarimenti in merito al fatto se anche queste ultime debbano considerarsi esenti dall'imponibilità IVA. Ciò a seguito delle interpretazioni fornite dall'Agenzia delle Entrate nel corso di Telefisco 2020, in apparente contraddizione con la normativa vigente.
  Al riguardo, sentiti gli uffici competenti, si rappresenta quanto segue.
  L'articolo 32 del decreto-legge n. 124 del 2019 ha modificato l'articolo 10, comma 1, numero 20), del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, al fine di adeguarlo alla normativa unionale, come interpretata dalla Corte di Giustizia UE, con la sentenza 14 marzo 2019, C-449/17. Tale sentenza chiarisce che l'insegnamento della guida automobilistica, impartito da una scuola guida per l'ottenimento delle patenti delle categorie B e C1, non è esente da IVA in quanto, trattandosi di un insegnamento specialistico, non rientra nella nozione di «insegnamento scolastico o universitario».
  Resta ferma, invece, l'applicabilità del regime di esenzione da IVA per «la formazione, l'aggiornamento e la riqualificazione e riconversione professionale, rese da istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni e da ONLUS», non modificato dalla novella legislativa.
  Nonostante la questione esaminata dalla Corte avesse specificamente ad oggetto i corsi per il conseguimento delle patenti B e C1, la citata pronuncia esclude, in via generale, l'insegnamento di tipo specialistico dall'ambito dell'insegnamento scolastico o universitario esente da IVA.
  Nelle Conclusioni relative a tale sentenza, inoltre, l'Avvocato generale ha evidenziato che i soli corsi per il conseguimento della patente C1 – e non anche quelli per la patente B – potranno beneficiare dell'esenzione, solo qualora costituiscano parte integrante di una «formazione professionale», intesa come attività volta all'acquisizione di conoscenze e competenze utilizzate esclusivamente o principalmente ai fini dell'attività professionale (vedi punti 42-43).
  Non si ravvisa, pertanto, alcun contrasto tra l'interpretazione della norma nazionale fornita dall'amministrazione finanziaria e la norma unionale, come interpretata dalla Corte di Giustizia.
  Si conferma quindi che, al pari dei corsi per il conseguimento della patente di categoria B, a decorrere dal 1o gennaio 2020, anche i corsi per l'ottenimento delle patenti di categoria A, sono da considerarsi imponibili ai fini IVA, in quanto costituiscono un insegnamento di tipo specialistico e non possono essere ricondotti nell'ambito della «formazione professionale».

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ALLEGATO 2

5-03575 Fragomeli: Estensione dell'ambito di applicazione del regime forfettario di tassazione.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame gli Onorevoli interroganti evidenziano che con la legge di bilancio per il 2020 è stata ripristinata la causa di esclusione dal regime forfetario, di cui all'articolo 1, commi da 54 a 89, della legge n. 190 del 2014, che riguarda i soggetti che nell'anno precedente hanno percepito redditi di lavoro dipendente e assimilati eccedenti l'importo di 30.000 euro (articolo 1, comma 57, lettera d-ter, legge n. 190 del 2014.
  Gli Onorevoli segnalano che, alla luce della formulazione della norma, la percezione nel 2019 dei predetti redditi di ammontare superiore a 30.000 euro determinerebbe la fuoriuscita dal regime già dal 2020.
  Pertanto, gli Onorevoli chiedono chiarimenti in merito alla decorrenza della nuova causa di esclusione da parte dell'Agenzia delle Entrate «per aiutare i titolari di partita IVA a scegliere il corretto regime fiscale da adottare dal 2020».
  Inoltre, gli Onorevoli auspicano la possibilità di introdurre margini di flessibilità al regime forfetario «concedendo l'accesso anche ai professionisti già pensionati, che non superano nel complesso “quota 95” ovvero qualora il totale dei redditi da pensione e dei redditi professionali percepiti nell'anno non supera i 95.000 euro, con un limite massimo di reddito da pensione comunque non eccedente i 40.000 euro, a tal fine anche fornendo una stima dell'onere».
  Al riguardo, sentiti i competenti Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
  Giova preliminarmente richiamare il quadro normativo di riferimento.
  Le modifiche al regime forfetario, di cui all'articolo 1, commi da 54 a 89, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, introdotte dalla legge 27 dicembre 2019, n. 160 (legge di bilancio 2020) riguardano sia i requisiti di accesso, che le cause di esclusione dal regime forfetario.
  Con riferimento ai requisiti di accesso, il comma 692, lettera a), ha sostituito l'articolo 1, comma 54, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, prevedendo che i contribuenti persone fisiche esercenti attività d'impresa, arti o professioni applicano il regime forfetario se, al contempo, nell'anno precedente, hanno conseguito ricavi ovvero percepito compensi, ragguagliati ad anno, non superiori a euro 65.000, e se hanno sostenuto spese per il personale e per lavoro accessorio non superiori a 20.000 euro.
  Il comma 692, lettera d), ha previsto, come causa di esclusione dall'applicazione del regime forfetario, l'ipotesi in cui, nel periodo d'imposta precedente, il soggetto abbia percepito redditi di lavoro dipendente o assimilati di importo lordo superiore a 30.000 euro.
  In merito alla decorrenza dell'efficacia dei nuovi requisiti e delle cause di esclusione dal regime forfetario, si evidenzia che, con risoluzione n. 7 dell'11 febbraio 2020, l'Agenzia delle entrate ha fornito i chiarimenti richiesti.
  In particolare, la predetta risoluzione ha precisato che, come si evince dall'espressa formulazione normativa del novellato comma 54, il limite delle spese, di cui alla lettera b) del nuovo comma 54, deve essere verificato con riferimento all'anno precedente all'applicazione del regime forfetario. Pag. 44Di conseguenza, i contribuenti che nel 2019 hanno superato i limiti previsti dal comma 54 in commento non potranno accedere al regime forfetario nel 2020.
  Anche per la causa di esclusione prevista dal comma 57, lettera d-ter), introdotta dal comma 692, lettera d), dell'articolo 1 della legge di bilancio 2020, in base al tenore letterale della norma, si evidenzia che la stessa opera già dal periodo d'imposta 2020, se i contribuenti, nel periodo d'imposta 2019, hanno conseguito redditi di lavoro dipendente e/o assimilati in misura superiore a 30.000 euro.
  Per quanto concerne la valutazione della possibilità di introdurre margini di flessibilità al regime forfetario, secondo le modalità prospettate dagli Onorevoli interroganti, si osserva che impregiudicate le valutazioni di ordine politico, il limite attualmente vigente di euro 65.000 si riferisce ai ricavi/compensi c non già ai redditi conseguiti e, pertanto, non appare corretto considerare un limite complessivo di euro 95.000 costituito dalla somma di due entità tra loro non omogenee (65.000 di ricavi/compensi e 30.000 di redditi lavoro dipendente e assimilati).

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ALLEGATO 3

5-03576 Centemero: Applicazione di un regime fiscale speciale per l'investimento nei Fondi d'investimento europei a lungo termine (ELTIF).

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame gli Onorevoli chiedono chiarimenti in merito allo stato di attuazione del regime fiscale di favore per gli investimenti negli ELTIF – European Long Term Investment Funds, introdotto dall'articolo 36-bis del decreto-legge n. 34 del 2019.
  Al riguardo, sentiti i competenti Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si fa presente quanto segue.
  Gli ELTIF – strumenti finanziari affacciatisi sul mercato italiano a seguito dell'emanazione del regolamento UE 2015/760 – sono stati considerati dal menzionato articolo 36-bis del decreto-legge n. 34 del 2019 (cosiddetto Decreto Crescita) meritevoli di uno speciale regime fiscale di vantaggio, relativamente agli investimenti effettuati nel 2020 e che tale regime deve essere attuato, previo ottenimento di apposito provvedimento autorizzatorio rilasciato dalla Commissione UE, attraverso apposito decreto ministeriale.
  L'agevolazione introdotta consiste in un'esenzione per i proventi, percepiti da persone fisiche residenti nel territorio dello Stato, derivanti dagli ELTIF che investono almeno il 70 per cento dell'attivo in attività ammissibili ai sensi dell'articolo 10 del regolamento n. 2015/760/UE, che disciplina i cennati ELTIF, riferibili a imprese, ammissibili ai sensi dell'articolo 11 del medesimo regolamento, residenti nel territorio dello Stato o in uno Stato membro dell'Unione europea o in uno Stato aderente all'Accordo sullo spazio economico europeo con stabile organizzazione in Italia.
  Ai sensi dell'articolo 11 del regolamento n. 2015/760/UE le imprese di portafoglio ammissibili devono possedere le seguenti caratteristiche:
   non sono imprese finanziarie;
   non sono quotate su mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione, o, se quotate in una delle predette sedi di negoziazione, hanno una capitalizzazione di mercato inferiore a 500 milioni di euro.

  Le attività ammissibili, ai sensi dell'articolo 10 del citato regolamento n. 2015/760/UE, sono:
   strumenti rappresentativi di equity e quasi-equity emessi da imprese ammissibili, o da imprese che possiedono la maggioranza del capitale dell'impresa di portafoglio ammissibile;
   strumenti di debito emessi da un'impresa di portafoglio ammissibile;
   prestiti erogati dall'ELTIF a un'impresa di portafoglio ammissibile;
   partecipazioni dirette o indirette, tramite imprese di portafoglio ammissibili, in singole attività reali.

  Tanto premesso, in considerazione dei possibili profili di selettività, sia al livello degli intermediari, potendo gli investimenti in questione effettuarsi esclusivamente tramite gli stessi ELTIF ovvero tramite OICR il cui patrimonio sia interamente investito in ELTIF, sia con riferimento alle imprese target (tra cui si annoverano anche Pag. 46le PMI quotate aventi una capitalizzazione limitata a 500 milioni di euro) è stata prevista al comma 10 del citato articolo 36-bis, una clausola di standstill che condiziona l'efficacia della misura all'autorizzazione della Commissione europea.
  Tenuto conto dei predetti possibili profili di selettività della misura sopra evidenziata si è ritenuto opportuno avviare un dialogo informale con i competenti Servizi della Commissione, al fine di consentire una valutazione preliminare degli aspetti problematici che sarebbero emersi in sede di notifica formale della misura pregiudicandone i possibili esiti.
  In tale occasione si è osservato, da parte italiana, che la misura in questione non sembra trovare base giuridica nel Regolamento (UE) n. 651/2014, sugli aiuti di Stato esenti da notifica, né negli orientamenti della Commissione europea sugli aiuti al capitale di rischio (2014/C 19/04), anche se l'imminente introduzione della disciplina sugli ELTIF era stata annunciata dalla stessa Commissione nei predetti orientamenti.
  È stata segnalata la improcrastinabilità di una riflessione sull'utilizzo di tale strumento mediante incentivi, tenuto conto altresì che il tema riguarda profili assai più ampi connessi alla tematica del finanziamento dell'economia reale.
  Su detti aspetti è in corso una riflessione da parte dei Servizi della Commissione.
  Pertanto, in relazione alle richieste degli Onorevoli interroganti si rappresenta che sono in corso interlocuzioni con gli uffici della Commissione UE focalizzati a verificare la sussistenza dei presupposti per l'ottenimento dell'autorizzazione richiesta dalla legge.
  L’iter di approvazione del decreto di attuazione è influenzato, nei tempi e nelle modalità di predisposizione, dagli esiti dei predetti colloqui in corso in sede europea.

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ALLEGATO 4

5-03577 Currò: Cumulo delle agevolazioni fiscali per PMI e Start-up.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame l'Onorevole interrogante chiede di chiarire se esiste la possibilità per le imprese Start-up e PMI di cumulare le agevolazioni derivanti dal decreto del Ministro dello sviluppo economico 24 settembre 2014, così come successivamente modificato ed integrato, con il credito d'imposta, introdotto e disciplinato dalla legge 27 dicembre 2019, n. 160 (legge di bilancio 2020), per investimenti in ricerca e sviluppo, in transizione ecologica, in innovazione tecnologica 4.0 e altre attività innovative.
  A tal riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziarie e il Ministero dello Sviluppo economico, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente, deve precisarsi che lo strumento agevolativo previsto dal decreto del Ministro dello sviluppo economico per le imprese Start-up e PMI non ha natura fiscale.
  In merito alla cumulabilità del credito di imposta per gli investimenti in ricerca e sviluppo, in transizione ecologica, in innovazione tecnologica 4.0 con altre misure agevolative, la legge n. 160 del 2019 prevede – al comma 203 – che la base di calcolo del credito d'imposta è «assunta al netto delle altre sovvenzioni o dei contributi a qualunque titolo ricevuti per le stesse spese ammissibili» e – al comma 204 – che «il credito d'imposta è cumulabile con altre agevolazioni che abbiano ad oggetto i medesimi costi, a condizione che tale cumulo, tenuto conto anche della non concorrenza alla formazione del reddito e della base imponibile dell'imposta regionale sulle attività produttive ..., non porti al superamento del costo sostenuto».
  In base alle citate disposizioni, pertanto, il citato credito d'imposta, introdotto dalla legge di bilancio per il 2020, deve ritenersi fruibile anche in presenza di altre misure di favore, salvo che le norme disciplinanti le altre misure non dispongano diversamente.

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ALLEGATO 5

5-03578 Osnato: Chiarimenti sull'applicazione delle disposizioni in materia di contratti di locazione immobiliari.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame l'Onorevole interrogante, con riferimento all'applicazione della cosiddetta «cedolare secca», chiede chiarimenti in merito al fatto se il requisito soggettivo richiesto dalla normativa in materia per poter optare per tale regime non sia stato arbitrariamente esteso dall'Agenzia delle entrate alla figura del conduttore.
  Al riguardo, sentiti gli uffici competenti, si rappresenta quanto segue.
  L'articolo 3 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, ha introdotto la possibilità per i possessori di immobili locati ad uso abitativo (persone fisiche titolari del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento di unità immobiliari abitative locate, che non agiscono nell'esercizio di un'attività di impresa o di arti e professioni), di optare per l'applicazione della «cedolare secca» sugli affitti. L'imposta applicata nella forma della «cedolare secca» sostituisce l'imposta sul reddito delle persone fisiche e le relative addizionali sul reddito fondiario prodotto dall'immobile locato, nonché le imposte di registro e di bollo dovute sul contratto di locazione.
  Il comma 6 del citato articolo 3 del decreto legislativo n. 23 del 2011 prevede, tra l'altro, che le disposizioni in materia di «cedolare secca» «non si applicano alle locazioni di unità immobiliari ad uso abitativo effettuate nell'esercizio di un'attività d'impresa, o di arti e professioni».
  Tenuto conto che la norma consente l'applicazione del regime in esame solo per gli immobili abitativi locati con finalità abitative, escludendo quelle effettuate nell'esercizio di un'attività d'impresa o di lavoro autonomo, con la circolare dell'Agenzia delle entrate del 1o giugno 2011, n. 26/E è stato chiarito che, per l'applicazione della «cedolare secca», occorre porre rilievo anche all'attività del conduttore restando esclusi dal regime i contratti conclusi con conduttori che agiscono nell'esercizio di attività di impresa o di lavoro autonomo, ancorché detti immobili vengano utilizzati dal locatario per soddisfare le esigenze abitative dei propri collaboratori o dipendenti.
  Tale interpretazione è confermata da ultimo dagli interventi normativi introdotti dal legislatore.
  In particolare, si rappresenta che l'articolo 9, comma 2, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, ha inserito nell'articolo 3 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, dopo il comma 6, il seguente comma 6-bis, ai sensi del quale «l'opzione di cui al comma 1 può essere esercitata anche per le unità immobiliari abitative locate nei confronti di cooperative edilizie per la locazione o enti senza scopo di lucro di cui al libro I, titolo II del codice civile, purché sublocate a studenti universitari e date a disposizione dei comuni con rinuncia all'aggiornamento del canone di locazione o assegnazione».
  Come chiarito con la circolare dell'Agenzia delle entrate dell'8 aprile 2016, n. 12/E, la citata disposizione pone in rilievo l'effettiva destinazione abitativa dell'immobile e, pertanto, nel caso in cui l'immobile venga utilizzato per soddisfare le finalità abitative degli studenti universitari, Pag. 49può accedere al regime anche il contratto di locazione stipulato dal locatore con le cooperative edilizie o con gli enti senza scopo di lucro.
  Come, però, rappresentato dall'Onorevole interrogante, la predetta interpretazione – che si ritiene comunque coerente alla ratio delle modifiche normative che si sono succedute nel tempo – ha dato vita ad un filone di contenzioso, in parte anche con esiti favorevoli all'Agenzia delle entrate.
  Al momento, si è in attesa del primo pronunciamento della Cassazione alla quale la questione interpretativa è stata recentemente sottoposta.

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ALLEGATO 6

5-03076 Carelli: Definizione delle controversie aventi ad oggetto atti impositivi.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame gli Onorevoli interroganti segnalano sussistenza di dubbi interpretativi in merito all'articolo 6, comma 1, del decreto-legge n. 119 del 2018, in tema di definizione agevolata delle controversie tributarie – con particolare riferimento all'individuazione specifica degli atti imponibili su cui devono vertere le controversie definibili e chiedono al Ministro «... se non intenda fornire opportuni chiarimenti, al fine di garantire, per i contribuenti che hanno presentato istanze di definizione delle liti sull'imposta di registro su atti giudiziari, una corretta valutazione della concreta natura degli atti impugnati,».
  Al riguardo, sentiti i competenti Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
  L'articolo 6, comma 1, del decreto-legge n. 119 del 2018 prevede che «le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l'Agenzia delle entrate, aventi ad oggetto atti impositivi pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in Cassazione e anche a seguito di rinvio, possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l'atto introduttivo del giudizio o di chi vi è subentrato o ne ha la legittimazione, con il pagamento di un importo pari al valore della controversia».
  Con la circolare n. 6 del 1o aprile 2019 l'Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti sull'applicazione della definizione agevolata delle liti.
  In particolare, in relazione agli avvisi di liquidazione dell'imposta di registro è stato precisato che, conformemente ad una consolidata giurisprudenza di legittimità, gli stessi non presuppongono operazioni di rettifica delle dichiarazioni presentate dai contribuenti.
  In definitiva, nella citata circolare si è affermato che è opportuno anche con riferimento agli atti di liquidazione dell'imposta di registro valutare caso per caso la natura dell'atto impugnato, precisando che «nel caso in cui l'Ufficio si limiti a determinare l'entità del tributo dovuto, secondo i dati dichiarati dal contribuente stesso, la lite sull'avviso di liquidazione non è definibile».
  In coerenza con tali indicazioni, la successiva circolare n. 10 del 15 maggio 2019, nel rispondere ad alcuni quesiti formulati dalle strutture territoriali, ha esaminato le ipotesi di impugnazione di avvisi di liquidazione relativi alla tassazione di sentenze civili o decreti ingiuntivi. Nella risposta a tale quesito si è precisato che tali atti «non sono definibili ai sensi dell'articolo 6, avendo essenzialmente una funzione di riscossione dell'imposta».
  Conformemente a quanto statuito dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza 24 giugno 2016 n. 13136, citata dagli Onorevoli interroganti, deve ritenersi che gli avvisi di liquidazione in argomento presentino una funzione riscossiva e la relativa lite non è definibile, laddove l'ufficio applichi l'imposta «sulla base di elementi e parametri economici desumibili ictu oculi dall'atto stesso, in assenza di qualsivoglia valutazione discrezionale da parte dell'Amministrazione».
  Tale impostazione non risulta in contraddizione con il principio generale espresso nella citata circolare n. 6 – secondo la quale, ancorché di norma la Pag. 51tipologia di atto in questione svolge una funzione riscossiva, ai fini della definizione, rileva la natura sostanziale dell'atto impugnato, dovendosi prescindere dal «nomen iuris» utilizzato nella specie.
  Questo principio resta fermo e impone comunque agli Uffici un esame in concreto e caso per caso delle istanze di definizione delle liti pendenti ai fini della verifica della loro ammissibilità, sulla base dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui «il carattere meramente liquidatorio, e non impositivo, dell'atto deve essere desunto dal contenuto sostanziale e dalla funzione di quest'ultimo, non già dalla sua rubricazione nominale e qualificazione formale». (cfr. Cass. 20731/10).

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ALLEGATO 7

5-03501 Cassese: Tassazione immobiliare dei terreni agricoli edificabili.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame, l'Onorevole interrogante, nel rilevare un eccessivo carico fiscale sui terreni riconosciuti come aree edificabili in base agli strumenti urbanistici deliberati dal comune anche in assenza di approvazione della Regione ovvero di adozione dei relativi strumenti attuativi, chiede di conoscere quali iniziative si intendano intraprendere a livello normativo, quali siano i dati in merito alla estensione delle aree agricole presenti sul territorio divenute edificabili e in cui mancano gli strumenti attuativi ed, in ultimo, quali siano i dati in merito alla tassazione immobiliare gravante sui predetti terreni.
  Al riguardo, sentiti gli uffici competenti, si rappresenta quanto segue.
  L'applicazione dell'articolo 36, comma 2, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, secondo l'Onorevole interrogante, ha comportato un notevole aumento della tassazione immobiliare sui terreni divenuti edificabili, ai sensi della predetta norma.
  A tal proposito, occorre anzitutto precisare che il presupposto impositivo dell'imposta municipale propria (IMU) è rimasto invariato anche a seguito della riforma ad opera della Legge di bilancio 2020 che ha riguardato tale tributo.
  In linea con la precedente disciplina dell'IMU di cui all'articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011, l'articolo 1, comma 741, lettera d), della legge 27 dicembre 2019, n. 160, nel definire l'area fabbricale ai fini della predetta imposta come l'area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi, richiama proprio il citato articolo 36, comma 2, del decreto-legge n. 223 del 2006. Tuttavia, per la determinazione della base imponibile del tributo in questione è necessario considerare anche il disposto del comma 746 dell'articolo 1 della stessa legge n. 160 del 2019 a norma del quale «il valore è costituito da quello venale in comune commercio al 1o gennaio dell'anno di imposizione, o a far data dall'adozione degli strumenti urbanistici, avendo riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all'indice di edificabilità, alla destinazione d'uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche».
  Pertanto, la determinazione dell'onere tributario effettivo che grava sugli immobili in discorso non tiene conto esclusivamente dello strumento urbanistico generale adottato dal comune – indipendentemente dall'approvazione della regione e dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo – ma anche di tutte le altre condizioni previste dalla disposizione da ultimo citata.
  Va precisato che su tale argomento sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, nella sentenza n. 25506 del 30 novembre 2006, hanno affermato – in riferimento all'ICI ma le medesime considerazioni valgono anche per l'IMU – che «a seguito dell'entrata in vigore dell'articolo 11-quaterdecies, comma sedicesimo, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito con modificazioni dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, e dell'articolo 36, comma secondo, del decreto-legge Pag. 534 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, che hanno fornito l'interpretazione autentica dell'articolo 2, comma primo, lettera b), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, l'edificabilità di un'area, ai fini dell'applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, dev'essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall'approvazione dello stesso da parte della Regione e dall'adozione di strumenti urbanistici attuativi. L'inizio del procedimento di trasformazione urbanistica è infatti sufficiente a far lievitare il valore venale dell'immobile, le cui eventuali oscillazioni, in dipendenza dell'andamento del mercato, dello stato di attuazione delle procedure incidenti sullo «ius aedificandi» o di modifiche del piano regolatore che si traducano in una diversa classificazione del suolo, possono giustificare soltanto una variazione del prelievo nel periodo d'imposta, conformemente alla natura periodica del tributo in questione ... L'inapplicabilità del criterio fondato sul valore catastale dell'immobile impone peraltro di tener conto, nella determinazione della base imponibile, della maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, nonché della possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione sul valore dello stesso in comune commercio».
  Pertanto, l'edificabilità o non edificabilità di un'area deve desumersi dalla disciplina integrata urbanistico-paesaggistica complessivamente considerata, cosicché quando la normativa prevede che un terreno sia considerato edificatorio sia quando la edificabilità risulti dagli strumenti urbanistici generali o attuativi, sia quando, per lo stesso terreno, esistano possibilità effettive di costruzione, viene a delinearsi una nozione di area edificabile ampia e ispirata alla mera potenzialità edificatoria. L'esistenza di vincoli sull'area incide soltanto sulla concreta valutazione del relativo valore venale e, conseguentemente, sulla base imponibile.
  A questo proposito, vale la pena di richiamare anche la sentenza n. 10669 del 2018 sempre della stessa Corte di Cassazione la quale afferma che, data la nozione di area edificabile ampia ed ispirata alla mera potenzialità edificatoria, questa non può essere esclusa dalla ricorrenza dei vincoli o destinazioni urbanistiche che condizionino, in concreto, l'edificabilità del suolo, giacché tali limiti, incidendo sulle facoltà dominicali connesse alla possibilità di trasformazione urbanistico edilizia del suolo medesimo, ne presuppongono la vocazione edificatoria. Ne discende che la presenza dei suddetti vincoli non sottrae le aree su cui insistono al regime fiscale proprio dei suoli edificabili, ma incide soltanto sulla concreta valutazione del relativo valore venale e, conseguentemente, sulla base imponibile (Cass. n. 9510 del 2008; Cass. n. 9778 del 2010; Cass. n. 5161 del 2014).
  Giova, inoltre, far presente che un intervento normativo che limiti la tassazione dei terreni divenuti edificabili rispetto alla legislazione vigente, come auspicato dall'Onorevole interrogante, comporterebbe una perdita di gettito per i comuni che dovrebbe essere in ogni caso compensata.
  A tale proposito, a mero titolo informativo, si riportano nella tabella che segue i dati complessivi di gettito IMU/TASI per gli anni 2018 e 2019 sul complesso delle aree fabbricabili imponibili:

Aree fabbricabili 2018 2019
IMU 857,6 800,3
TASI 47,7 47,7
Totale 905,3 848

mln di euro

  Quanto, poi, alla richiesta di dati sull'estensione di terreni divenuti edificabili in zone in cui mancano gli strumenti attuativi non si hanno elementi informativi da fornire atteso che si tratta di dati non fiscali. Ugualmente in merito alla tassazione gravante sui predetti terreni, non possono essere fornite informazioni atteso che gli stessi non sono puntualmente identificabili.Pag. 54
  In ultimo, con riferimento ai contenziosi fiscali pendenti ed alle morosità, sulla base dei dati a disposizione risultano pendenti contenziosi aventi ad oggetto avvisi di accertamento con i quali, nel presupposto della natura edificabile dei terreni risultante dal Piano Regolatore Generale (PRG), indipendentemente dall'approvazione della Regione e dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo PRG, vengono recuperate maggiori imposte indirette dovute, ovvero vengono accertate le plusvalenze non dichiarate ai fini delle imposte dirette.
  Le controversie pendenti risultano essere complessivamente 51, di cui 19 incardinate in Corte di Cassazione. Si tratta, tuttavia, di un dato che potrebbe risultare non ricognitivo di tutte le controversie vertenti sulla specifica questione.