CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 20 settembre 2018
61.
XVIII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Cultura, scienza e istruzione (VII)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

5-00484 Marrocco: Sugli interventi a sostegno della professione di giornalista e poligrafico.

TESTO INTEGRALE DELLA RISPOSTA

  Come si può immaginare che azioni palesemente finalizzate all'efficienza e uguaglianza del sistema dell'editoria e dell'informazione, che ad oggi non garantisce minimamente pluralismo ideologico e libertà di manifestazione del pensiero, possa ledere il nostro Stato democratico violando un diritto fondamentale della Costituzione (articolo 21) ?
  Anche nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, all'articolo 19 si riconosce ad ogni individuo il diritto di ricercare informazioni e notizie servendosi di qualsiasi mezzo.
  La libertà d'informazione, dunque, così come sancita dall'articolo 21 della Costituzione, non è altro che un'articolazione dei diritti fondamentali di informare, di informarsi e di essere informati.
  Questi sono i principi che ci hanno ispirato e che tuteleremo in ogni scelta normativa !
  Non capisco quindi come si possa definire «incontrastato» il flusso di informazioni provenienti dal web, quasi a voler suggerire che si debba contrastare il flusso di informazioni del web.
  Con riferimento ai tetti sulla raccolta pubblicitaria, non ho introdotto un tema nuovo, ma è un tema che è al centro del dibattito da almeno 30 anni, che non riguarda uno specifico soggetto imprenditoriale, come invece nel dibattito giornalistico si è voluto cavalcare, ma credo che si debba riprendere, nelle aule parlamentari, un equilibrato dibattito sul tema, affinché le risorse pubblicitarie possano essere distribuite con una logica che garantisca il pluralismo e attenui le posizioni dominanti.
  Ma non è nel contratto di governo e mi auguro, come ho già detto, che possa essere oggetto di ampia e partecipata discussione parlamentare.
  In merito ai fondi pubblici all'editoria, mi permetto di sottolineare, come ho già avuto modo di fare, che il fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione deve essere preservato, ma finalizzato e realmente utile a preservare e a supportare un settore di pubblica utilità nella sua interezza, aiutando l'intera filiera coinvolta a esplicare nel migliore dei modi il proprio operato a garanzia di pluralismo, innovazione e libertà dell'informazione. Ad oggi, tutto questo non si è realizzato, in quanto lo stesso Fondo pubblico è servito, più che altro, a finanziare i singoli Editori, in particolare quelle tre, quattro testate ..., che da sole ricevono la grande parte dei fondi (es. 2017 – Avvenire euro 5.990.900, Libero euro 5.276.103, Italia Oggi euro 4.844.749, Manifesto euro 3.064.804,00, Quotidiano del Sud euro 2.820.030), generando disparità con altre testate giornalistiche altrettanto meritevoli e quindi non garantendo né pluralismo né libertà dell'informazione.
  Ribadisco e confermo quanto detto in merito ad alcune testate, a tiratura nazionale, che a mio avviso creano una distorsione nel pluralismo, in quanto hanno una evidente condizione di vantaggio nei confronti degli altri giornali che arrivano allo stesso pubblico, e drenando una enorme quantità di risorse le sottraggono a finalità più utili all'intero sistema editoriale.
  Credo che, nelle more del superamento del contributo diretto, almeno un tetto Pag. 35massimo alla quantità di contributi che una singola testata possa ricevere sia auspicabile.
  In merito all'abolizione dell'Ordine dei Giornalisti, premesso che non ho mai detto che tali funzioni debbano essere svolte dai social media manager, ritengo comunque che l'avvento di un nuovo modo di comunicare presuppone la definizione di nuovi modelli professionali, e quindi limitarsi a definire i «giornalisti» in quanto iscritti all'ordine come unici tenutari della capacità di fare informazione di qualità e, come sostiene l'interrogante, «fondamentale argine ad una deriva culturale e sociale» mi sembra abbastanza anacronistico, vuol dire non vedere il mondo che cambia.
  Premesso questo, l'Ordine dei giornalisti, così come ad oggi strutturato, si è rivelato inefficiente e inadeguato ai cambiamenti e alle dinamicità tipici di una professione in continua e rapida evoluzione, e le uniche modifiche effettuate sono state rivolte esclusivamente a ridefinire la governance, peraltro con risultati non soddisfacenti.
  È diventato sempre più necessario liberare energie che rafforzino i principi costituzionali di garanzia democratica. E per farlo riteniamo sia sempre più necessario adeguare l'Italia alla maggior parte dei paesi del mondo dove la figura professionale del giornalista è libera da Ordini e condizionamenti, ma solamente regole che garantiscano piena autonomia e indipendenza sul lavoro.
  In Francia la fonte principale dell'ordinamento professionale del giornalista è la legge del 29 marzo 1935 che sancisce il criterio della prevalenza: può definirsi giornalista colui che deriva la maggior parte del suo reddito dall'esercizio della professione giornalistica.
  Nel Regno Unito vige un liberismo quasi assoluto: non esiste un contratto collettivo di lavoro per i giornalisti, né l'obbligo di registrazione di una testata e neppure particolari requisiti per fare il direttore di testata e così via.
  Dunque, l'abolizione dell'Ordine è un tema all'ordine del giorno del governo e la legislazione italiana prevede già strumenti adeguati a disciplinare le categorie professionali per le quali non esiste un albo professionale, ed è la legge sulle professioni non regolamentate (legge n. 4 del 14 gennaio 2013), e renderebbe il sistema più libero, efficiente, riducendo precariato e disoccupazione, oltre ad aprire a nuovi scenari che si possano adattare con più flessibilità al mondo dell'informazione che cambia radicalmente e velocemente.
  Infine, con riferimento alle fake news, condividiamo le preoccupazioni espresse con riferimento alla potenziale lesione del diritto dei cittadini ad avere una corretta informazione. Ma dobbiamo tuttavia constatare che si tratta di un fenomeno comune a carta stampata e rete, cambiando solo la loro capacità di penetrazione al pubblico, quindi l'essere giornalista, di per sé, non è garanzia di esenzione dalla possibilità di veicolare fake news.
  Il principale strumento per contrastare le fake news è l'educazione, la cultura, la capacità di saper leggere una informazione, valutarne l'attendibilità (e oggi la rete offre uno strumento più rapido anche nel contrasto alle fake news, rendendo accessibile il fact checking a chiunque in modo semplice e rapido).
  Ecco perché immaginare un sostegno all'editoria che passi dal finanziamento all'offerta al finanziamento della domanda, incentivando l'accesso ad un più ampio spettro di organi di informazione potrebbe costituire un significativo strumento di supporto a tale processo culturale.

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ALLEGATO 2

5-00485 Di Giorgi: Sulla tutela della libertà di stampa e di informazione.

TESTO INTEGRALE DELLA RISPOSTA

  Non entriamo nel merito delle scelte politiche dei Governi precedenti. I fatti parlano da sé. Basterebbe citare un solo giornale... l'Unità, per rappresentare la dimensione di quanto queste misure siano state molto efficaci.
  Partiamo invece dal Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione.
  Premesso che proprio una delle fonti di alimentazione di questo fondo, e cioè il contributo di solidarietà a carica dei concessionari della pubblicità, pur essendo stato introdotto nella legge non è mai stato applicato per mancanza del decreto attuativo, è stato chiamato «fondo al pluralismo» ma in realtà è stato semplicemente cambiato il nome, nascondendo dietro questo nome altisonante e di effetto «pluralismo», a ciò che di fatto è, finanziamento pubblico a quotidiani e periodici, infatti la grande maggioranza delle risorse sono destinate a perpetuare il finanziamento pubblico diretto ai giornali.
  Ciò crea inevitabilmente un rapporto di diretta dipendenza tra molte testate che percepiscono i contributi e la politica che li dispone, li reitera e in un certo qual modo li garantisce. Abbiamo utilizzato il termine «dipendenza», perché se questo contributo dovesse venire a mancare, molte testate farebbero fatica a restare in piedi. In altre parole è proprio il vincolo di dipendenza dalla politica a mettere a rischio la libertà di stampa, non il suo contrario.
  Il Presidente Mattarella, che ringrazio per il suo autorevole intervento di qualche giorno fa, purtroppo a mio avviso usato e strumentalizzato impropriamente, ebbe a dichiarare: «Una stampa credibile, sgombra da condizionamenti di poteri pubblici e privati (...), sono strumenti importanti a tutela della democrazia». Credo che su questo non si possa che essere tutti concordi. Ma è legittimo chiedersi se non sia il finanziamento pubblico, naturalmente così come è stato concepito, a costituire un fattore di condizionamento nei confronti dei giornali, piuttosto che rappresentare un elemento di garanzia e di tutela dell'informazione.
  È quando parlo di finanziamento pubblico, mi riferisco a tutto il sistema di finanziamento, che passa dai contributi diretti, dai rimborsi per le spese telefoniche, alle agevolazioni postali, al sostegno ai prepensionamenti e alle ristrutturazioni industriali, al credito d'imposta, insomma fonti di finanziamento ce ne sono tante,
  Questo Governo intende tutelare pienamente la libertà di stampa e d'informazione nel nostro Paese. La tutela della libertà di stampa non ha nulla a che vedere con il finanziamento pubblico ai giornali.
  E proprio per questo motivo intendiamo portare avanti iniziative volte a tutelare la libertà di stampa, la libertà dei giornalisti di svolgere il proprio lavoro.
  Innanzitutto con iniziative legislative volte a tutelare i giornalisti dalle querele per diffamazione a scopo intimidatorio, che tutela anche le testate spesso corresponsabili della pubblicazione di contenuti ritenuti diffamatori, e a tutelare le fonti degli stessi giornalisti.
  Vogliamo intervenire perché siano superate le forme di precariato nel giornalismo, per farlo serve lo sforzo di tutti anche da parte della categoria. Pag. 37
  Quando ho fatto riferimento ai tetti pubblicitari, non intendevo assolutamente immaginare una azione punitiva o lesiva di alcune imprese, quella è stata una libera interpretazione dell'intervistatore al quale ho infatti risposto «non è il mio linguaggio». È però vero che oggi la maggiore sofferenza lamentata da molte testate è la scarsa raccolta pubblicitaria, spesso drenata da circuiti diversi non sempre motivatamente. Quindi intervenire perché le risorse messe a disposizione dalla raccolta pubblicitaria siano redistribuite, anche intervenendo sulla effettiva attuazione del contributo di solidarietà, sarebbe un vero incentivo al pluralismo.
  È poi mia intenzione valutare iniziative volte a spostare i contributi dall'offerta alla domanda, cioè dal sostegno diretto agli editori, al sostegno diretto ai cittadini, che intendono acquistare un abbonamento ad un quotidiano.
  La trasparenza degli inserzionisti pubblicitari. Lo stesso articolo 21 della Costituzione, citato dagli interroganti, prevede la possibilità di stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa. Ed in quest'ottica può anche essere letto l'obbligo per gli editori di pubblicare nel dettaglio l'assetto societario che controlla la testata, rendendo espliciti i detentori dei pacchetti di controllo. È una questione di trasparenza: il lettore deve sapere quando legge a chi riferisce la proprietà del giornale.
  Ma la esistenza di un giornale spesso dipende anche da chi investe in inserzioni pubblicitarie. Nel momento in cui alcuni investitori pubblicitari hanno un ruolo determinante nel complesso della raccolta pubblicitaria, possono essere definiti soci di fatto. Anche in questo caso la trasparenza credo che sia dovuta ai lettori.
  Con riferimento infine all'informazione primaria, abbiamo allo studio un meccanismo mediante il quale le agenzie di stampa siano stimolate a porre in essere piani industriali basati in primis sullo sviluppo del digitale, allo scopo di accrescere la loro capacità di stare sul mercato.

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ALLEGATO 3

5-00486 Lattanzio: Sulle misure a tutela degli autori in previsione dell'approvazione della direttiva europea sul copyright.

TESTO INTEGRALE DELLA RISPOSTA

  Innanzitutto mi permetta di sottolineare che la posizione contraria a questa direttiva ha motivazioni profonde che non hanno nulla a che vedere con la difesa delle posizioni dominanti degli over the top.
  La riforma del Copyright approvata dal Parlamento europeo non tiene conto della sempre maggiore velocità del progresso tecnologico.
  Una regolamentazione che forse sarebbe stata utile 10 anni fa nasce adesso già fuori dal tempo, e i tempi prevedibili per una sua eventuale approvazione definitiva lasciano intravedere che sarà già vecchia e inapplicabile.
  Desta particolare preoccupazione l'articolo 13 che, mirando ad introdurre una responsabilità per le piattaforme, determinerà l'introduzione di un meccanismo di filtraggio preventivo (in autotutela) dei contenuti caricati dagli utenti, e conseguentemente alla limitazione della libera circolazione dei contenuti in rete.
  Appare paradossale che proprio i sostenitori di questa direttiva, da una parte invochino limitazioni allo strapotere dei cosiddetti «over the top» e dall'altra conferiscano loro la facoltà di decidere se e quale contenuto possa essere caricato in rete.
  Nello specifico il Governo si impegnerà nelle trattative che si svolgeranno presso gli organi europei a ciò deputati, affinché siano stralciati i discussi articoli 11 e 13 della direttiva o comunque modificati limitandone la portata.
  Qualora dovesse essere approvata, chiaramente la discrezionalità del Governo sarà limitata, pertanto non potremmo che attivarci per recepirla cercando di attutirne gli effetti collaterali con particolare riferimento:
   al pluralismo dell'informazione cercando di ridurre le conseguenze negative che si avrebbero per i piccoli editori dall'applicazione dell'articolo 11;
   alla libera circolazione dei contenuti in rete, scongiurando il rischio che i gestori delle piattaforme di intermediazione, per sottrarsi alle nuove responsabilità che la Direttiva potrebbe imporre loro, restringano sensibilmente la possibilità per gli utenti di pubblicare contenuti online garantendo, ad esempio, che la rimozione di contenuti che meriterebbero di restare online (falsi positivi) costituiscano una condotta illecita almeno quanto non rimuovere un contenuto pubblicato in violazione del diritto d'autore.

  Restiamo, peraltro, perplessi sulla compatibilità della Direttiva con la Carta europea dei diritti fondamentali e, quindi, qualora le sue disposizioni fossero contestate dinanzi al Tribunale e/o alla Corte di Giustizia la posizione del Governo sarebbe, coerentemente, con quella sin qui tenuta, quella di chi non ritiene che la proposta di direttiva costituisca un compromesso ragionevole tra libertà di informazione e tutela della proprietà intellettuale.
  Non è attribuendo la responsabilità alle piattaforme della veicolazione di contenuti illegali che si curano gli interessi degli autori (con repertori più o meno commerciali). Pag. 39
  Occorre innanzitutto rendere più trasparente e libero il mercato dell'intermediazione dei diritti, intervenendo sulle regole che ancora oggi rendono la Siae come soggetto monopolista di fatto che agisce sia come soggetto privato, in regime teorico di concorrenza, che come soggetto che esercita una funzione pubblica.
  È proprio la libera circolazione in rete di contenuti che ha permesso a giovani autori, a giovani artisti, di sprigionare tutte le proprie potenzialità, anche al di là delle logiche classiche di intermediazione.
  Bisogna poi avviare un percorso educativo (e in questo la scuola potrebbe giocare un ruolo determinante) verso utenti e imprese nella filiera, al «valore dell'opera culturale» anche nella sua dimensione digitale.
  La sfida si vince se si riesce a far capire alla gente che produrre informazione e opere creative costa e che se si tiene alle prime bisogna rispettare i diritti di chi – editori e autori – contribuisce alla loro produzione e distribuzione.
  Senza educazione non c’è misura di enforcement che sia in grado di garantire per davvero i titolari dei diritti. Decenni di enforcement esasperato hanno, purtroppo, contrapposto autori e editori al loro pubblico.
  Quanto sta accadendo nell'industria musicale online – con piattaforme che si avvicinano al pubblico con servizi sempre più user friendly e accessibili (51 milioni di utenti paganti alle piattaforme di streaming musicale solo negli Usa) – è la conferma che gli utenti non sono geneticamente pirati e sono disponibili a pagare per la buona musica e, probabilmente, anche per la buona informazione, purché le testate giornalistiche si adeguino alle nuove modalità di fruizione da parte degli utenti, che devono essere semplici, innovative e a costi ragionevoli.
  Quindi il Governo interverrà a sostenere ogni iniziativa volta a generare idee innovative, per far incontrare da una parte chi genera contenuti autoriali (con il diritto di veder riconosciuto il valore della propria opera) e dall'altra utenti sempre più consapevoli del valore della produzione creativa.