CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 20 settembre 2018
61.
XVIII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Finanze (VI)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

5-00047 Foti: Trattamento fiscale delle diverse tipologie di concordato preventivo nell'ambito delle procedure fallimentari.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento di sindacato in esame, l'Onorevole interrogante chiede di sapere se nell'ambito delle procedure concorsuali di concordato con continuità «esterna» – nelle quali la continuazione dell'attività aziendale è operata da un terzo e non direttamente dal debitore – le sopravvenienze attive derivanti dallo stralcio di debiti siano detassate totalmente (come avviene, ex articolo 88, comma 4-ter, del TUIR, nell'ambito dei concordati preventivi liquidatori) o solo parzialmente (così come prescritto dalla citata norma del Testo Unico nei casi di «concordato di risanamento»).
  Al riguardo, sentiti i competenti Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
  L'articolo 13, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147 ha profondamente riformato la disciplina delle sopravvenienze attive, modificando l'articolo 88, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 introducendo i commi A-bis e 4-ter.
  Il citato comma 4-ter dell'articolo 88 dispone che «non si considerano ...sopravvenienze attive le riduzioni dei debiti dell'impresa in sede di concordato fallimentare o preventivo liquidatorio (.). In caso di concordato di risanamento, di accordo di ristrutturazione dei debiti... ovvero di un piano attestato... la riduzione dei debiti dell'impresa non costituisce sopravvenienza attiva per la parte che eccede le perdite, pregresse e di periodo, di cui all'articolo 84, senza considerare il limite dell'ottanta per cento, e gli interessi passivi e gli oneri finanziari assimilati di cui al comma 4 dell'articolo 96». La disposizione si applica a decorrere dal periodo di imposta successivo al 7 ottobre 2015.
  La novella normativa introdotta con il nuovo comma 4-ter distingue, pertanto, il trattamento delle riduzioni di debito tra le procedure di concordato fallimentare o preventivo liquidatorio (con detassazione integrale della sopravvenienza) e le procedure di «concordato di risanamento» (con detassazione limitata).
  Di fatto, qualora la procedura sia finalizzata alla prosecuzione dell'attività aziendale, il Legislatore ha inteso sì riconoscere al debitore un beneficio fiscale, ma nella misura strettamente necessaria ad evitare che la riduzione dei debiti determini il sorgere di quelle imposte che, in assenza delle stesse procedure di risanamento, non sarebbero dovute.
  La logica sottesa a tale disposizione è, cioè, da una parte, quella di evitare che l'effetto positivo conseguente alla riduzione dei debiti sia parzialmente vanificato dall'emersione di un corrispondente debito fiscale, e dall'altra, di impedire che l'impresa destinata a proseguire l'attività, oltre al beneficio della non imponibilità del componente positivo, possa continuare ad utilizzare, a compensazione dei redditi futuri, le perdite di cui all'articolo 84 del TUIR (e le altre deduzioni richiamate dall'articolo 88) formatesi negli anni della crisi.
  Tanto premesso, l'Onorevole interrogante, nel suo quesito, fa riferimento all'articolo 186-bis della legge fallimentare, Pag. 18vale a dire ai piani concordatari che prevedono la prosecuzione dell'attività aziendale e che si articolano in:
   piani concordatari con continuità interna o diretta, nei quali la prosecuzione dell'attività avviene a opera del debitore;
   piani concordatari con continuità esterna o indiretta, che prevedono la cessione dell'azienda in esercizio ovvero il suo conferimento in una o più società, anche di nuova costituzione; in questi casi, dunque, l'attività prosegue a opera di un soggetto terzo rispetto al debitore.

  Se nessun dubbio sussiste sulla riconducibilità dei piani concordatari con continuità diretta fra quelli «non liquidatori» (per i quali, dunque, opera la detassazione parziale delle eventuali sopravvenienze attive derivanti dallo stralcio di debiti), più problematico appare l'inquadramento dei concordati con continuità indiretta.
  Ai nostri fini, occorre muovere dalla ratio della norma fiscale che, come sopra argomentato, prevede la detassazione solo parziale nei casi in cui, altrimenti, alla sterilizzazione integrale del componente positivo di reddito (la sopravvenienza) si aggiungerebbe – in considerazione della prosecuzione dell'attività – anche il successivo utilizzo delle perdite pregresse ad abbattimento degli eventuali imponibili futuri, trasformandosi, così, in una doppia agevolazione.
  L'attrazione dei piani concordatari con continuità indiretta nella categoria delle procedure liquidatorie o fra quelle non liquidatorie (con le relative conseguenze fiscali) non può che far seguito a una valutazione tendente a verificare la ratio della norma come sopra descritta nei casi di proseguimento o meno dell'attività d'impresa in capo al cedente/conferente (continuità «soggettiva»). Così, se per effetto del piano in questione l'imprenditore cesserà di essere tale, le eventuali sopravvenienze saranno integralmente detassate, dal momento che non potrà verificarsi quell'utilizzo futuro delle perdite pregresse che la norma vuole scongiurare.

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ALLEGATO 2

5-00394 Fragomeli: Esenzione dal pagamento della tassa di occupazione degli spazi ed aree pubbliche (TOSAP).

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame gli Onorevoli interroganti chiedono di sapere se non si ritenga utile esplicitare che l'esenzione della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP) sia da applicarsi anche per l'occupazione di suolo pubblico da parte di società a capitale interamente pubblico che svolgono servizi pubblici per opere di manutenzione mantenendo la società in house il carattere pubblicistico come i consorzi che risultano essere già esonerati dall'imposta ai sensi dell'articolo 49 del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507.
  Al riguardo, sentiti gli uffici competenti, si rappresenta quanto segue.
  L'articolo 49 in questione prevede al comma 1, lettera a), espressamente l'esenzione dalla TOSAP «per le occupazioni effettuate dallo Stato, dalle regioni, province, comuni e loro consorzi...». Risulta, così, evidente che la norma di esenzione agisce nei casi in cui l'ente locale effettui l'occupazione nel territorio di un altro ente locale, poiché solo in questo caso si realizza il presupposto impositivo della tassa di cui all'articolo 38 del Decreto legislativo n. 507 del 1993.
  Si deve ricordare che secondo l'ormai consolidato orientamento giurisprudenziale non è dovuta la TOSAP neanche nel caso in cui l'occupazione di spazi ed aree pubbliche avvenga da parte di un'impresa edile appaltatrice di lavori per conto o comunque nell'interesse del comune così come nei casi in cui l'occupazione sia strumentale rispetto ai lavori da eseguire trattandosi, infatti, di un'occupazione necessitata dall'esecuzione di un'opera che l'ente locale, se avesse la capacità tecnica e organizzativa, avrebbe dovuto eseguire direttamente in proprio.
  Pertanto, alla luce di tali considerazioni, si ritiene che alla stessa conclusione si debba, a maggior ragione, pervenire anche nel caso di società in house dovendosi per tali intendersi quelle costituite da uno o più Enti pubblici per l'esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente i medesimi Enti possano essere soci, che statutariamente esplichino la propria attività prevalente in favore degli Enti partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggetta a forme di controllo analoghe a quello esercitato dagli Enti pubblici sui propri uffici. Con riferimento, poi, all'individuazione dei requisiti necessari affinché una società possa essere definita in house si rinvia alla sentenza della Corte di Cassazione del 24 ottobre 2014, n. 22609, in cui si puntualizza altresì che solo se vengono rispettati i requisiti richiesti è superata l'autonomia della personalità giuridica rispetto all'Ente pubblico.
  In ultimo, si fa presente che le precisazioni sin qui delineate potrebbero essere oggetto di un apposito documento di prassi amministrativa.

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ALLEGATO 3

5-00395 Cancelleri: Compensazione delle somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo con crediti maturati nei confronti delle pubbliche amministrazioni.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame, gli Onorevoli interroganti fanno riferimento alla disciplina stabilita nell'articolo 28-quater del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 in materia di compensazione dei crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, maturati nei confronti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, n. 165 per somministrazione, forniture e appalti, con le somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo, previa presentazione della certificazione prevista dall'articolo 9, comma 3-bis del decreto-legge n. 185 del 2008 rilasciata, su richiesta del creditore, mediante l'apposita piattaforma elettronica.
  In particolare, gli interroganti chiedono se non si ritenga opportuno «assumere iniziative, anche di natura normativa, al fine di consentire il pagamento di somme dovute mediante compensazione con crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili maturati nei confronti delle amministrazioni pubbliche – anche qualora l'iscrizione a ruolo delle somme dovute sia effettuata in data successiva a quella prevista per il pagamento ma antecedente l'incasso effettivo del credito».
  Al riguardo, sentiti i competenti Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si fa presente quanto segue.
  Come evidenziato dagli Onorevoli interroganti, i crediti, muniti di apposita certificazione, possono essere utilizzati per il pagamento, totale o parziale, delle somme dovute per cartelle di pagamento e atti di cui agli articoli 29 (avvisi di accertamento esecutivi) e 30 (avvisi di addebito) del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito con modificazioni dalla legge n. 122/2010, per tributi erariali, tributi regionali e locali, contributi assistenziali e previdenziali, premi per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali o altre entrate dovute alla stessa amministrazione che ha rilasciato la certificazione.
  Per rendere concretamente operativa la compensazione in parola sono stati emanati nel tempo diversi decreti ministeriali che ne hanno disposto l'applicazione limitatamente al pagamento delle «somme dovute a seguito di iscrizioni a ruolo (..) notificate» entro il termine del 30 aprile 2012; termine differito successivamente al 30 settembre 2013 (cfr. articolo 9, comma 2, del decreto-legge n. 35 del 2013 come modificato dall'articolo 40, comma 1, del decreto-legge n. 66 del 2014).
  In questo contesto, il legislatore, con l'articolo 12, comma 7-bis, del decreto-legge n. 145 del 2013, a partire dall'anno 2014, ha riconosciuto la possibilità di compensare le cartelle di pagamento in favore delle imprese titolari di crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, per somministrazione, forniture, appalti e servizi, anche professionali, maturati nei confronti della pubblica amministrazione e debitamente certificati.
  Tale ultima forma di compensazione è stata estesa anche agli anni successivi al 2014.
  Da ultimo, l'articolo 12-bis del decreto-legge n. 87 del 2018 (c.d. decreto-legge dignità) introdotto in sede di conversione (legge 9 agosto 2018, n. 96), rubricato Pag. 21«Compensazione delle cartelle esattoriali in favore di imprese e professionisti titolari di crediti nei confronti della pubblica amministrazione», stabilisce che le «disposizioni di cui all'articolo 12, comma 7-bis, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145 (...) si applicano, con le modalità previste dal decreto del Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministro dello sviluppo economico 24 settembre 2014 (...), anche per l'anno 2018, con riferimento ai carichi affidati agli agenti della Riscossione entro il 31 dicembre 2017».
  Pertanto, diversamente dalle precedenti norme di estensione temporale della compensazione, per il 2018 la disposizione è immediatamente operativa, in quanto non si rinvia a un successivo decreto ministeriale di attuazione, il legislatore, infatti, ha espressamente previsto l'applicazione delle modalità operative indicate dal decreto ministeriale 24 settembre 2014. La compensazione è applicabile con riferimento ai carichi affidati agli agenti della riscossione entro il 31 dicembre 2017 a prescindere dalla data di notifica della cartella.
  In base al citato articolo 28-quater, l'estinzione del debito a ruolo è condizionata alla verifica dell'esistenza e validità della certificazione. A questo fine, le certificazioni dei crediti, recanti la data prevista per il pagamento, emesse mediante l'apposita piattaforma elettronica, sono utilizzate, a richiesta del creditore, per il pagamento, totale o parziale, delle somme dovute a seguito dell'iscrizione a ruolo effettuato in data antecedente quella prevista per il pagamento del credito.
  Ciò posto, le vigenti disposizioni in materia di pagamento delle somme iscritte a ruolo mediante compensazione con crediti certi, liquidi ed esigibili nei confronti della P.A. non prevedono che tale istituto possa essere utilizzato soltanto per il versamento «totale o parziale delle somme dovute a seguito dell'iscrizione a ruolo, effettuato in data antecedente a quella prevista per il pagamento del credito». Tali disposizioni, infatti, stabiliscono, all'attualità, che siano compensabili nell'anno 2018 i carichi consegnati all'agente della riscossione fino al 31 dicembre 2017 e, quindi, anche se il carico (ruolo) sia stato formato e consegnato successivamente alla data prevista per il pagamento del credito da parte della PA.
  In merito alla proposta di adozione di iniziative volte a permettere l'utilizzazione della compensazione in parola anche per pagare somme dovute sulla base di carichi consegnati all'agente della riscossione dopo il 31 dicembre 2017, la Ragioneria Generale dello Stato ha evidenziato che, al fine di garantire gli equilibri di finanza pubblica, la disciplina vigente prevede che possano essere soggetti a compensazione solo i ruoli emessi (o meglio i carichi affidati agli agenti della riscossione come precisato nella normativa più recente) entro una data sufficientemente risalente nel tempo.
  Allo stato pertanto, la fissazione di un termine successivo, o a maggior ragione l'estensione ai carichi affidati correntemente, determinerebbe infatti effetti negativi per la finanza pubblica, in termini di minore gettito per gli enti impositori, per cui sarebbe necessario individuare idonei mezzi di copertura finanziaria.

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ALLEGATO 4

5-00396 Mandelli: Termine di presentazione della Comunicazione trimestrale delle liquidazioni IVA relativa al secondo trimestre 2018.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame gli Onorevoli interroganti sollecitano un chiarimento urgente in merito alla scadenza per la trasmissione della comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche Iva relativa al 2o trimestre 2018. Sussiste, infatti, incertezza tra gli operatori del settore circa il termine ultimo entro cui tale adempimento deve essere assolto: se entro il prossimo 17 settembre 2018 (termine prorogato in quanto il 16 settembre è domenica) oppure entro il 1o ottobre 2018 (termine prorogato in quanto il 30 settembre è domenica).
  Al riguardo, sentiti gli uffici dell'Agenzia delle entrate, si fa presente quanto segue.
  L'articolo 21-bis del decreto-legge n. 78 del 2010 stabilisce che le comunicazioni dei dati delle liquidazioni periodiche Iva sono trasmesse «negli stessi termini» fissati dal precedente articolo 21 per le comunicazioni dei dati delle fatture emesse e ricevute.
  Il citato articolo 21, nella versione attualmente vigente, stabilisce che «La comunicazione relativa al secondo trimestre è effettuata entro il 16 settembre».
  Inoltre, l'articolo 1, comma 932, della legge n. 205 del 2017 (legge di bilancio per il 2018), dispone che: «Al fine di evitare la sovrapposizione di adempimenti, per gli anni in cui si applicano le disposizioni di cui all'articolo 21 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 [...], il termine del 16 settembre di cui al comma 1 dello stesso articolo 21 è fissato al 30 settembre [...]».
  Tale ultima disposizione, senza modificare direttamente l'articolo 21 del decreto-legge n. 78, stabilisce che il termine ordinario del 16 settembre, previsto per la comunicazione dei dati relativi al 2o trimestre, è temporaneamente fissato al 30 settembre, «al fine di evitare la sovrapposizione di adempimenti».
  Proprio la finalità espressa dal legislatore (evitare la sovrapposizione di adempimenti), lascia intendere che la disposizione si riferisca unicamente alla comunicazione dei dati delle fatture, prevista dall'articolo 21, e non anche alla comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche, prevista dall'articolo 21-bis. Diversamente, infatti, si verificherebbe di nuovo quella sovrapposizione di adempimenti in uno stesso giorno (30 settembre anziché 16 settembre) che la norma vuole invece esplicitamente scongiurare.
  Si evidenzia, infine, che la volontà di non riferire la proroga anche alla comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche sembra risultare anche dai lavori parlamentari e dai documenti prodotti dai servizi studi e bilancio del Senato e della Camera, che nel commentare il citato comma 932 della legge di bilancio richiamano solamente la comunicazione dei dati delle fatture (vedi allegato).
  Per le motivazioni sopra esposte, nello scadenzario pubblicato sul sito internet dell'Agenzia delle Entrate è indicato, quale termine per trasmettere la comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche Iva, la data del 17 settembre 2018.
  Relativamente agli aspetti di natura finanziaria si segnala che, per conseguire gli obiettivi di gettito previsti in relazione alle comunicazioni delle liquidazioni periodiche IVA relative al 2o trimestre 2018, è necessario che l'intero «ciclo» di lavorazione Pag. 23(elaborazioni delle comunicazioni pervenute, messa a disposizione delle lettere di invito all'adempimento spontaneo, previsione di un congruo termine per il ravvedimento, predisposizione e invio delle comunicazioni di irregolarità in tempo utile affinché il termine di 30 giorni per il pagamento ricada entro il 2018) si chiuda entro il 2018.
  Un eventuale slittamento del termine di presentazione della comunicazione della liquidazione periodica di 15 giorni (dal 16 al 30 settembre) comporterebbe il rischio di non incamerare il gettito previsto nella relazione tecnica di accompagnamento al Disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 193 del 2016 (1,4 mld di euro per il 2018).

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ALLEGATO 5

5-00480 Bignami: Misure riguardanti le accise sui carburanti.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame, gli Onorevoli interroganti, nel lamentare il rilevante aumento del prezzo dei carburanti nel nostro Paese – in particolare gasolio e benzina – a fronte dell'invarianza del costo del petrolio negli ultimi cinque anni, chiedono di sapere se e quando si intenda procedere al taglio delle componenti fiscali della benzina ed, in caso affermativo, con quali tempistiche.
  Al riguardo, sentiti gli uffici competenti, si rappresenta quanto segue.
  Va preliminarmente osservato che l'accisa costituisce una delle componenti del prezzo finale dei carburanti e concorre alla sua formazione unitamente all'IVA, all'imposta regionale, limitatamente alla benzina qualora istituita, e ovviamente al costo industriale. Il prezzo finale dei carburanti è comunque liberamente determinato dalle compagnie petrolifere e, in conseguenza, la «leva fiscale» non costituisce uno strumento determinante per la variazione del prezzo di vendita dei carburanti: ad una riduzione della componente tributaria non necessariamente corrisponde una riduzione di pari valore del prezzo finale del prodotto, come, d'altro canto, da un incremento della fiscalità non deriva un eguale aumento del prezzo finale.
  Ciò posto, come rilevato dagli stessi Onorevoli interroganti, occorre premettere che l'accisa è un'imposta armonizzata nell'ambito dei Paesi dell'Unione europea; ciò sta a significare che la relativa disciplina trova fondamento in apposite direttive comunitarie che individuano i prodotti sui quali essa debba gravare e le relative modalità di applicazione – inclusi i livelli minimi – al di sotto dei quali non è possibile fissare le relative aliquote. In particolare benzina e gasolio, impiegati come carburanti per autotrazione, sono sottoposti al regime armonizzato dell'accisa ai sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (testo unico delle accise); le aliquote di accisa sui carburanti predetti sono attualmente stabilite nell'Allegato I al medesimo testo unico.
  In concomitanza con il recepimento nell'ordinamento nazionale delle direttive in materia di accise, a decorrere dal 1o gennaio 1993 le preesistenti imposte di fabbricazione sui prodotti petroliferi (in cui i carburanti erano ricompresi) sono venute a cessare e sono state integralmente sostituite dalle accise sugli oli minerali, categoria poi confluita nei prodotti energetici, le cui aliquote sono state stabilite dal legislatore nazionale, nel rispetto, naturalmente, dei livelli minimi comunitari, attualmente fissati dalla direttiva 2003/96/CE.
  Successivamente all'armonizzazione comunitaria si sono succedute, soprattutto nel periodo 2011-2014, una serie di disposizioni legislative che hanno previsto incrementi delle aliquote di accisa sui carburanti – in particolare benzina e gasolio per autotrazione – per far fronte ad esigenze di bilancio a copertura di oneri aventi carattere permanente o temporaneo e ciò, talvolta, anche allo scopo di finanziare eventi straordinari o imprevisti, come, ad esempio, calamità naturali.
  I vari provvedimenti normativi volti ad incrementare le predette aliquote hanno quindi rideterminato, ogni volta, le aliquote stesse che pertanto risultano, nel valore stabilito con tali provvedimenti di Pag. 25aumento, del tutto indipendenti dalla storia e dalla cronologia degli aumenti precedentemente, a vario titolo, intervenuti.
  In particolare, l'ultima di tali variazioni di tassazione è stata introdotta con l'articolo 1, comma 487, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità per l'anno 2013). Con tale disposizione, il legislatore ha confermato le aliquote di accisa sul gasolio e sulla benzina, impiegati come carburanti, nelle misure precedentemente fissate dalla determinazione del Direttore dell'Agenzia delle dogane 9 agosto 2012, n. 88789, (adottata ai sensi dell'articolo 33, comma 30, della legge 12 novembre 2011, n. 183 – legge di stabilità per l'anno 2012).
  In questo contesto va, dunque, sottolineato che le aliquote di accisa rideterminate in aumento per un periodo predeterminato di tempo sono state rese permanenti con apposite disposizione di legge ovviamente per far fronte ad esigenze di bilancio.
  Solamente in un caso le aliquote di accisa fissate su benzina e gasolio usato come carburante, con determinazione del Direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli n. 145733 del 23 dicembre 2013, per il periodo dal 1o marzo al 31 dicembre 2014, hanno cessato di avere efficacia il 31 dicembre 2014.
  Ciò ha comportato la reviviscenza, a decorrere dal 1o gennaio 2015, delle minori aliquote di cui al citato articolo 1, comma 487, della legge n. 228 del 2012, che – tuttora in vigore – sono pari per la benzina ad euro 728,40 per mille litri di prodotto e per il gasolio usato come carburante ad euro 617,40 per mille litri di prodotto.
  In questo quadro risulta palese che l'accisa, inclusa quella che grava su benzina e gasolio, non è costituita da una serie di componenti, ma ovviamente il tributo è uno solo e la sua aliquota aumenta o diminuisce sulla base di espressa previsione di legge. In tal senso, quindi, non sono ravvisabili «componenti dell'aliquota delle accise» riferibili a situazioni straordinarie ora cessate.
  Per quanto attiene invece alla possibilità di stabilire eventuali riduzioni delle aliquote di accisa sui predetti carburanti, così come specificamente richiesto dagli Onorevoli interroganti, si evidenzia che le stesse risulterebbero fattibili dal punto di vista tecnico purché le aliquote, rideterminate, risultino comunque superiori alle aliquote minime unionali indicate nella direttiva 2003/96/CE. Parimenti occorre tenere conto che dalle predette riduzioni deriverebbero ingenti minori entrate per l'erario, proporzionali direttamente all'entità delle riduzioni praticate e che potrebbero essere quantificate soltanto in sede di elaborazione di una puntuale proposta normativa.
  In ultimo, corre l'obbligo di segnalare che l'articolo 19, comma 3, lettera b), del decreto-legge n. 91/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 116/2014, ha previsto, a copertura di oneri derivanti da interventi volti a finanziare il meccanismo di aiuto alla crescita economica (ACE), un aumento, a decorrere dal 1o gennaio 2019, dell'aliquota di accisa sulla benzina e sulla benzina con piombo, nonché del gasolio usato come carburante, da adottare con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli entro il 30 novembre 2018, in misura tale da determinare maggiori entrate nette non inferiori a 140,7 milioni di euro nel 2019, 146,4 milioni di euro nel 2020 e 148,3 milioni di euro a decorrere dal 2021.
  Pertanto, perdurando sulla base della descritta previsione normativa, occorrerà procedere all'emanazione di una determinazione direttoriale che rimoduli in aumento le aliquote di accisa sui menzionati prodotti.

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ALLEGATO 6

5-00481 Fregolent: Assoggettamento all'imposta municipale unica delle piattaforme di rigassificazione ubicate in acque territoriali.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento di sindacato ispettivo in esame, gli Onorevoli interroganti chiedono il Governo non ritenga di assumere le necessarie iniziative volte a dare attuazione all'articolo 1, comma 728 della legge n. 205 del 2017, «ponendo termine ad un contenzioso tributario avviato da numerosi anni tra concessionari di impianti in acque territoriali e comuni costieri, evitando ingiustificate penalizzazioni a danno degli enti locali interessati».
  Al riguardo, sentiti i competenti Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
  La cennata disposizione di cui all'articolo 1, comma 728, delle legge di bilancio per il 2018 disciplina una particolare fattispecie, poiché stabilisce che «Le disposizioni di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, all'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nonché all'articolo 1, commi 639 e seguenti, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, si interpretano, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, nel senso che per i manufatti ubicati nel mare territoriale destinati all'esercizio dell'attività di rigassificazione del gas naturale liquefatto, di cui all'articolo 46 del decreto-legge 1o ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, aventi una propria autonomia funzionale e reddituale che non dipende dallo sfruttamento del sottofondo marino, rientra nella nozione di fabbricato assoggettabile ad imposizione la sola porzione del manufatto destinata ad uso abitativo e di servizi civili».
  Pertanto, deve preliminarmente osservarsi che la norma riguarda esclusivamente i rigassificatori, i quali però non possono essere equiparati per caratteristiche strutturali e funzionali alle piattaforme petrolifere nel cui novero rientrano anche quelle oggetto della QT in esame.
  Allo stato attuale, non esistono ulteriori norme che disciplinano la tassazione di altri manufatti siti nel mare territoriale.
  Per quanto concerne gli aspetti di ordine catastale, il Dipartimento delle Finanze e l'Agenzia delle entrate hanno già espresso con propri documenti di prassi l'avviso che, a legislazione vigente, non è possibile assoggettare ad IMU le piattaforme petrolifere, dal momento che la disciplina del tributo escludeva detti manufatti dal presupposto impositivo dell'IMU.
  Le ragioni di tale assunto devono essere ricercate nella circostanza che gli stessi non possono essere accatastati a meno di uno specifico intervento normativo, poiché «è l'Istituto idrografico della Marina» e non «l'Amministrazione del catasto e dei servizi tecnici erariali» di cui alla legge 2 febbraio 1960, n. 68, «l'Organo Cartografico dello Stato designato al rilievo sistematico dei mari italiani». (cfr. Ris.3/DF del 1o giugno 2016).
  Questo orientamento interpretativo è stato condiviso dalla Commissione tributaria di Forlì che ha comunque ritenuto di non dover seguire l'orientamento espresso dalla Suprema Corte di Cassazione e, quindi, di escludere dalla tassazione le piattaforme petrolifere antistanti il territorio comunale di Cesenatico.
  Deve, altresì, evidenziarsi che la presunta perdita di gettito vantata dal Comune in questione Pag. 27non appare, allo stato attuale, in alcun modo verificabile anche perché manca l'esatta riferibilità del manufatto al comune di Cesenatico non essendo stati prestabiliti i necessari criteri di georeferenziazione.
  A tal riguardo, date le accennate criticità, presso il Dipartimento delle Finanze è stato istituito un tavolo tecnico per l'esame delle tematiche coinvolte dalle pronunce della giurisprudenza sulle tematiche di cui si discute, assumendo come compito pregiudiziale proprio quello di individuare i predetti criteri di georeferenziazione.

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ALLEGATO 7

5-00482 Trano: Applicazione della quota variabile della TARI sulle pertinenze delle abitazioni catastalmente distinte.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame, gli Onorevoli interroganti, chiedono di conoscere quali soluzioni possano essere adottate dai Comuni che, a seguito dell'interpretazione fornita dalla circolare del Ministero dell'economia e della finanze n. 1/DF del 20 novembre 2017 in ordine all'applicazione della tassa sui rifiuti (TARI) alle pertinenze delle abitazioni, si trovino a dover affrontare la problematica relativa al ricalcolo delle tariffe per gli anni 2014-2015-2016-2017 con conseguente richiesta della differenza a conguaglio ovvero rimborso dell'eccedenza versata per singola utenza. Nell'ottica di voler garantire la copertura integrale dei costi del servizio e la neutralità dell'operazione, gli Onorevoli interroganti chiedono pertanto di sapere se le somme da rimborsare potrebbero trovare piena compensazione con le maggiori entrate incassate dai soggetti che hanno indebitamente fruito di una tassazione inferiore.
  Al riguardo, sentiti gli uffici competenti, si rappresenta quanto segue.
  Va anzitutto preliminarmente osservato che con la citata circolare n. 1/DF non sono stati diffusi «nuovi criteri applicativi» e che i pareri e i chiarimenti offerti hanno la funzione di fornire un'interpretazione univoca delle norme tributarie per tutto il territorio nazionale. Tuttavia, essendo riferiti a tributi per i quali la potestà impositiva è propria di un Ente locale, tali documenti non sono strettamente vincolanti per i Comuni, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, atteso peraltro che il Ministero rispetto al Comune, non si pone in posizione di superiorità gerarchica.
  Ciò premesso, si rammenta che la problematica concernente il calcolo della parte variabile della TARI relativa alle utenze domestiche ha avuto origine, come specificato anche nella predetta circolare, dalla risposta fornita all'interrogazione in Commissione n. 5-10764 dell'On.le L'Abbate – Chiarimenti circa le modalità di calcolo della quota variabile della tariffa rifiuti (TARI) – ripresa nella risposta a un quesito posto nell'ambito di Telefisco 2018.
  In tali occasioni è stato chiarito che «se un comune ha effettivamente coperto con il gettito della tassa esattamente il costo del servizio, le modalità con cui i singoli enti locali procedono alla copertura delle somme rimborsate ai contribuenti rientrano nella sfera di autonomia degli stessi».
  Per quanto riguarda in particolare il riferimento all'espressa richiesta formulata nell'interrogazione in esame, nei documenti innanzi citati è stato affermato che «l'operazione prospettata deve essere contenuta nei limiti consentiti dai principi di generali in materia di autotutela amministrativa sanciti dalla legge n. 241 del 1990 e precisati dalla giurisprudenza amministrativa. Occorrerà in particolare tenere nella debita considerazione che la delibera che ridetermina le tariffe della TARI, come osservato nel quesito, comporterebbe in molti casi la richiesta di conguagli a carico dei soggetti privi di unità pertinenziali, i quali però hanno fatto legittimo affidamento su un calcolo effettuato dal comune in base al quale hanno corrisposto un minore importo della TARI. Quindi nell'ipotesi prospettata Pag. 29nella domanda occorre ponderare l'interesse pubblico a ripristinare la corretta applicazione dell'entrata con l'interesse dei singoli contribuenti che hanno fatto legittimo affidamento sull'esatto adempimento dell'obbligazione tributaria liquidata e richiesta dallo stesso comune».
  Con riferimento alla possibilità di individuare altre soluzioni non si può far altro che rinviare alla possibilità di far fronte ai rimborsi attraverso la copertura a carico del bilancio generale del comune. Tale possibilità si evince da quanto affermato dalla Corte dei conti Sezione regionale di controllo per la Toscana nella deliberazione n. 73 del 2015 e da quanto di recente ribadito dalla Sezione Regionale di Controllo per la Lombardia nella delibera n. 139 del 9 maggio 2018 laddove si legge che «qualora il Comune, a partire dall'anno 2014, dovesse avviare una procedura di rimborso (d'ufficio o su istanza di parte) della quota variabile applicata alle autorimesse, la sua copertura finanziaria non deve necessariamente trovare integrale copertura nel piano finanziario della Tari come “costo del servizio”». Dunque, in risposta al secondo quesito formulato dall'ente, questa Sezione esprime il seguente principio di diritto: «il rimborso della quota variabile della TARI non dovuta e di competenza di esercizi finanziari precedenti, può trovare copertura in entrate ascrivibili alla fiscalità generale».
  Pertanto, allo stato attuale, continua a non essere praticabile l'altra soluzione anch'essa prospettata in occasione di Telefisco 2018 di «riportare nel nuovo Piano finanziario lo scostamento negativo tra gettito preventivato e quello effettivamente risultante a consuntivo, ipotesi questa che si verificherebbe, tra l'altro, laddove il comune procedesse al rimborso della TARI non dovuta» poiché è possibile riportare per intero solo l'eccedenza di gettito.

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ALLEGATO 8

5-00483 Centemero: Normativa in materia di riporto delle perdite per le imprese in regime di contabilità semplificata.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame, gli Onorevoli interroganti fanno riferimento alle novità introdotte dall'articolo 1, comma 17 e seguenti, della legge n. 232 del 2016 (legge di bilancio per il 2017), che riguardano la possibilità per le imprese in regime di contabilità semplificata di imputare integralmente il costo dell'importo delle rimanenze iniziali nel primo esercizio in cui il reddito è determinato secondo il principio di cassa (posto che nel nuovo regime non assumono più rilevanza le rimanenze iniziali e finali).
  Tenuto conto che l'eventuale perdita d'esercizio per le imprese che adottano tale regime non può essere riportata negli anni successivi, detta modifica normativa può comportare gravi conseguenze per le imprese con rimanenze finali di ammontare elevato, e pertanto gli Onorevoli interroganti chiedono «quali iniziative intenda adottare per scongiurare il rischio di fallimento di due milioni di imprese eventualmente introducendo una norma correttiva, che, in caso di perdite, consenta il riporto delle stesse negli anni successivi, senza limitazione alcuna».
  Al riguardo, sentiti i competenti Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si evidenzia quanto segue.
  In base alla disciplina della contabilità semplificata, quale risulta dalle modifiche apportate dalla legge di bilancio per il 2017, nella determinazione del reddito, essendo stato introdotto il criterio di cassa, non assumono più rilevanza le rimanenze iniziali e finali di cui agli articoli 92, 93 e 94 del TUIR.
  Tuttavia, per evitare la doppia imposizione, nel primo anno di applicazione del principio di cassa, il reddito del periodo di imposta in cui si applica il regime semplificato in base al nuovo criterio va ridotto dell'importo delle rimanenze finali che hanno concorso a formare il reddito dell'esercizio precedente secondo il principio della competenza.
  Con riferimento alle perdite, invece, la legge di bilancio per il 2017 non ha modificato la disciplina dettata dall'articolo 8 del TUIR. Ai sensi di tale disposizione le perdite delle imprese in contabilità semplificata sono sottratte agli altri redditi eventualmente posseduti senza, tuttavia, possibilità di riporto dell'eventuale eccedenza negli anni successivi.
  Resta ferma la possibilità di optare per il regime ordinario qualora il contribuente non dovesse trovare conveniente il regime di cassa. L'articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, come sostituito dall'articolo 1, comma 22, della legge di bilancio per il 2017, infatti, dispone, comunque, al comma 8, la facoltà per il contribuente di optare per un triennio per il regime ordinario.
  Ciò premesso, dopo l'entrata in vigore della nuova disciplina è stata valutata, nel corso di tavoli tecnici e attraverso contatti con le associazioni di categoria, la possibilità di apportare correttivi alle disposizioni sulle imprese minori.
  In esito a questi incontri sono state vagliate le diverse soluzioni volte a risolvere le criticità in tema di riporto delle perdite per le imprese minori.
  Dette ipotesi sono allo studio di questo Governo che si propone di intervenire, compatibilmente con i vincoli di bilancio, nel senso auspicato dagli Onorevoli interroganti.