Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVIII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 24 marzo 2021

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto legislativo n. 31 del 15 febbraio 2010 ha stabilito la predisposizione di una proposta di Carta nazionale delle aree, potenzialmente idonee (Cnapi) per la localizzazione di un deposito unico nazionale delle scorie nucleari da parte della Sogin s.p.a.;

    il suddetto decreto legislativo definisce le norme per l'individuazione del sito e della successiva costruzione del parco tecnologico e del deposito nazionale per lo stoccaggio definitivo dei materiali a bassa e media radioattività, e lo stoccaggio temporaneo di lunga durata dei rifiuti ad alta radioattività provenienti dalla attività di decommissioning delle centrali nucleari italiane dismesse e dalle attività industriali e sanitarie prodotti nel nostro Paese;

    il deposito nazionale e il parco tecnologico dovranno essere realizzati in un'area di circa 150 ettari, di cui 110 destinati al deposito e 40 al parco;

    con decreto interministeriale del Ministero dello sviluppo economico e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (oggi Ministero della transizione ecologica) del 30 dicembre 2020, la Sogin s.p.a. ha pubblicato la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) ai fini della realizzazione del deposito nazionale per il combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi;

    la Cnapi comprende 67 aree, con priorità differenti, dislocate nelle regioni Piemonte (8 zone), Toscana e Lazio (24 zone), Basilicata e Puglia (17 zone), Sardegna (14 aree), Sicilia (4 aree); risultano 12 aree in classe A1, 11 aree in classe A2, 15 aree in classe B e 29 aree in classe C; le aree in classe A1, ossia con la massima priorità, sono ubicate: 2 in provincia di Torino, 5 in provincia di Alessandria e 5 in provincia di Viterbo;

    la procedura per l'individuazione dell'area dove sarà realizzato il deposito nazionale prevede un dibattito pubblico e successivamente un seminario nazionale al quale parteciperanno gli enti territoriali, associazioni di categoria, sindacali, università ed enti di ricerca, per approfondire tutti gli aspetti, inclusi i possibili benefìci economici e di sviluppo territoriale connessi alla realizzazione delle opere;

    in base alle osservazioni e alla discussione nel seminario nazionale, la Sogin elaborerà una proposta di una nuova Cnapi. Questa fase prevede che il Ministero dello sviluppo economico approvi, su parere tecnico dell'ente di controllo Isin, la versione definitiva della Cnapi, che sarà il risultato dell'applicazione dei criteri di localizzazione e dei contributi emersi e concordati nelle diverse fasi della consultazione pubblica. Pubblicata la Cnapi, la Sogin provvederà a raccogliere le manifestazioni di interesse da parte delle regioni e degli enti locali nei cui territori ricadono le aree idonee;

    a tal proposito, si ricorda che l'articolo 27 del decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31, al comma 3, stabiliva in 60 giorni il tempo massimo per poter presentare le osservazioni, mentre il comma 4 stabiliva che entro 120 giorni dal termine delle osservazioni si doveva promuovere il seminario nazionale;

    questi termini sono stati prorogati, attraverso modifiche apportate all'articolo 27 del decreto legislativo n. 31 del 2010, con il decreto-legge «milleproroghe», convertito dalla legge 26 febbraio 2021, n. 2, passando da sessanta giorni a centottanta giorni per presentare le osservazioni e da centoventi giorni a duecentoquaranta giorni per il promuovere il seminario nazionale;

    lo smaltimento in sicurezza dei nostri rifiuti radioattivi è fondamentale per mettere la parola fine alla stagione del nucleare italiano e per gestire i rifiuti di origine medica, industriale e della ricerca che produciamo ancora oggi. La partita è aperta da tempo, non è semplice, ma è urgente trovare una soluzione, visto che questi rifiuti sono da decenni in tanti depositi temporanei disseminati in tutta Italia;

    fin dal 2015 è stato più volte denunciato, dalle associazioni ambientaliste il ritardo da parte dei Ministeri competenti nella pubblicazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee. Ora è necessario che si attivi un vero percorso partecipato, che è mancato finora, per individuare l'area in cui realizzare un unico deposito nazionale, che ospiti esclusivamente le nostre scorie di bassa e media intensità, che l'Italia continua a produrre, mentre i rifiuti ad alta attività, lascito delle centrali ormai spente grazie al referendum che vide la vittoria del fronte contrario al nucleare nel 1987, devono essere collocate in un deposito europeo, deciso a livello dell'Unione, su cui è urgente trovare un accordo;

    già nel 1999 con il dossier «L'eredità radioattiva» di Legambiente era stato evidenziato come la stagione del nucleare italiano non fosse finita, alla luce della pesante eredità delle scorie nucleari collocate in depositi temporanei situati in aree assolutamente inidonee e delle operazioni di smantellamento e bonifica delle vecchie centrali ancora da completare. Per questo nel passato l'associazione ambientalista ha più volte ricordato come il problema degli attuali siti nucleari a rischio non può essere risolto costruendo nuovi depositi in questi stessi siti ma individuando, con trasparenza e oggettività, il sito per una diversa e sicura collocazione di tutti i materiali radioattivi presenti in quelle aree. Il Deposito nazionale (che secondo il Programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi dovrà essere realizzato entro il 2025) sarà inoltre funzionale allo smantellamento e alla bonifica delle vecchie centrali nucleari ancora presenti sul territorio nazionale e per gestire i rifiuti prodotti annualmente negli ospedali, dall'industria e dai centri di ricerca;

    tutti ricordano quello che successe nel 2003 quando l'allora commissario della Sogin e il Governo Berlusconi scelsero, con un colpo di mano e senza fare indagini puntuali, il sito di Scanzano Jonico in Basilicata che, dopo le sollevazioni popolari, fu ritirato. Si tratta di un'esperienza davvero terribile da non ripetere. La pubblicazione della Cnapi è solo il primo passo. È infatti evidente che i troppi ritardi e la poca chiarezza che hanno caratterizzato fino ad ora questo lungo e complesso percorso, rischiano di far partire il tutto con il piede sbagliato;

    è oramai urgente e necessario avviare un percorso trasparente, partecipato e condiviso col territorio che coinvolga i cittadini, le associazioni, le amministrazioni locali e la comunità scientifica, a partire dalle informazioni contenute nella Cnapi;

    emerge, inoltre, un aspetto che andrebbe corretto, che è quello di aver affidato alla Sogin, che appare non adatta, lo svolgimento di questa consultazione pubblica;

    oltre alla realizzazione della Cnapi sarebbe importante realizzare una mappatura dettagliata dei territori, anche in forma digitale, colpiti dagli ecoreati, quali ad esempio il traffico illecito di rifiuti e gli incendi dolosi che, a dispetto di qualsiasi criterio di tutela della sicurezza, dell'ambiente e della salute, continuano ad essere in mano alle ecomafie;

    la Consultazione pubblica si dovrebbe svolgere tenendo presente questi princìpi:

     chiarezza: gli obiettivi della consultazione, così come l'oggetto, i destinatari, i ruoli e i metodi devono essere definiti chiaramente prima dell'avvio della consultazione; al fine di favorire una partecipazione la più informata possibile, il processo di consultazione, deve essere corredato da informazioni pertinenti, complete e facili da comprendere anche per chi non possiede le competenze tecniche;

     imparzialità: la consultazione pubblica deve essere progettata e realizzata garantendo l'imparzialità del processo in modo tale da perseguire l'interesse generale;

     inclusione: l'amministrazione pubblica deve garantire che la partecipazione al processo di consultazione sia il più possibile accessibile, inclusiva e aperta, assicurando uguale possibilità di partecipare a tutte le persone interessate;

     tempestività: la consultazione, in quanto parte di un processo decisionale più ampio, deve dare ai partecipanti la possibilità effettiva di concorrere a determinare la decisione finale; pertanto deve essere condotta nelle fasi in cui i differenti punti di vista siano ancora in discussione e sussistano le condizioni per cui diversi approcci alla materia in oggetto possano essere presi in considerazione;

    per tutto questo la consultazione pubblica deve garantire la completezza e facilità di comprensione anche a chi non possiede le competenze tecniche, posto che le informazioni messe a disposizione del pubblico in via telematica consistono in elaborati di progetto e disegni tecnici altamente specialistici (oltre 230 documenti per il deposito nazionale e più di 100 per la Cnapi) e che, qualora si desiderasse prendere visione di documenti più dettagliati, questi sono disponibili solo in cinque località distanti centinaia di chilometri dai comuni interessati come è il caso di quelli della Sardegna, Sicilia, Basilicata e Puglia, peraltro in costanza di divieto di spostamenti interregionali per l'emergenza COVID-19;

    sembra difficile che possa essere rispettato il principio dell'imparzialità, quando a gestire la consultazione pubblica è la stessa società che ha redatto il progetto preliminare del deposito, essendo già investita della sua realizzazione e gestione, nonché della somministrazione dei benefìci economici previsti per le comunità che ospiteranno il deposito;

    oggi, dopo aver perso sei preziosi anni che si sarebbero potuti impiegare per informare la popolazione, viene chiesto di esprimere le osservazioni su una mole di documenti impressionante in poco tempo e per di più in presenza di una ridotta agibilità sociale dovuta alle misure anti COVID-19,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per garantire sia la piena partecipazione di tutti i soggetti coinvolti, compresi le associazioni ambientaliste, gli enti parchi nazionali e regionali presenti nei territori interessati, le associazioni di cittadini presenti nei territori interessati nonché i soggetti portatori di interessi qualificati, prevedendo che possano formulare osservazioni e proposte tecniche in forma scritta e non anonima, trasmettendole ad un indirizzo di posta elettronica della Sogin s.p.a. appositamente indicato, sia la trasparenza attraverso nuovi criteri e nuove procedure di individuazione del sito sul quale saranno realizzati il deposito nazionale e l'annesso parco tecnologico;

2) ad informare dettagliatamente i cittadini e le competenti Commissioni parlamentari nonché a pubblicare sul sito della Sogin e dei Ministeri competenti tutta la documentazione acquisita, compresi gli esiti della consultazione pubblica e del dibattito pubblico.
(1-00440) «Muroni, Fioramonti, Fusacchia, Cecconi, Lombardo, Schullian».


   La Camera,

   premesso che:

    dal lontano 1987, anno in cui a seguito del referendum fu stabilita la chiusura dei quattro siti nucleari presenti sul territorio nazionale, ma in realtà sin dalla realizzazione degli impianti, il nostro Paese si porta dietro l'annosa questione dell'individuazione di un sito idoneo alla sistemazione definitiva delle scorie nucleari almeno in riferimento ai rifiuti a molto bassa e bassa radioattività;

    l'abbandono dell'esperienza legata alla produzione di energia elettrica da energia nucleare non ha infatti risolto in re ipsa il problema dello stoccaggio del materiale radioattivo precedentemente trattato negli impianti;

    a tale pesante eredità, con cui tuttora da anni sono chiamate a fare i conti le comunità territoriali interessate dalla presenza delle ex centrali e degli altri impianti, devono essere aggiunte la fisiologica produzione di materiale radioattivo proveniente da attività mediche, industriali e di ricerca, sebbene queste ultime all'evidenza presentino minori criticità di impatto ambientale e sulla salute dei cittadini in relazione ai minori tempi di decadimento della loro radioattività, al netto di taluni materiali provenienti dalla ricerca, nonché quello proveniente dalla bonifica dei siti oggetto di contaminazioni accidentali;

    si prospetta dunque non solo l'opportunità, bensì la necessità, di affrontare congiuntamente problemi risalenti quanto futuri;

    il procedimento per l'individuazione del sito unico per il deposito dei rifiuti radioattivi, nonché per la localizzazione del parco tecnologico muove i passi da lontano, almeno per quel che riguarda l'individuazione di un sito di smaltimento superficiale per i rifiuti;

    risale al 2014 la guida tecnica n. 29 emanata dall'Ispra, recante «criteri per la localizzazione di un impianto di smaltimento superficiale di rifiuti radioattivi a bassa e media attività», sottoposta ad un processo di revisione internazionale da parte della IAEA, nonché a una fase di consultazione degli enti e degli organismi tecnici nazionali interessati;

    nel 2015, la So.g.i.n. S.p.a. (Società gestione impianti nucleari) quale soggetto responsabile degli impianti a fine vita, del mantenimento in sicurezza degli stessi, nonché della realizzazione e dell'esercizio del deposito nazionale e del parco tecnologico, ha trasmesso all'Ispra (oggi Isin) la proposta di Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) alla localizzazione del deposito nazionale destinato allo smaltimento a titolo definitivo dei rifiuti radioattivi a bassa e media attività, derivanti da attività industriali, di ricerca e medico-sanitarie e dalla pregressa gestione di impianti nucleari, e all'immagazzinamento, a titolo provvisorio di lunga durata, dei rifiuti ad alta attività e del combustibile irraggiato provenienti dalla pregressa gestione di impianti nucleari incluso in un parco tecnologico;

    come noto, l'Isin (Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione) è stato istituito nel 2014, quale Autorità nazionale di regolazione tecnica in materia di sicurezza nucleare e radioprotezione, indipendente ai sensi delle direttive 2009/71/Euratom e 2011/70/Euratom, assumendo le competenze della soppressa Agenzia nazionale per la sicurezza nucleare, istituita nel 2009 e mai divenuta operativa (competenze medio tempore trasferite a Ispra). Lo stesso Isin è divenuto pienamente operativo solo nel gennaio 2019;

    la proposta di Cnapi è stata più volte aggiornata dalla So.g.i.n. s.p.a. e l'Isin ha validato i risultati cartografici e verificato la coerenza degli stessi con i criteri di cui all'articolo 27, comma 1, del decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31, e successive modificazioni;

    nel frattempo, in attuazione degli articoli 7 e 8 del decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 45, il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare hanno congiuntamente avviato la procedura per la predisposizione di un programma nazionale contenente una panoramica programmatica della politica italiana di gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare esaurito, nell'ambito della quale è stata svolta, ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, anche la procedura di valutazione ambientale strategica (Vas), con la relativa consultazione pubblica e transfrontaliera, e che nell'ambito di tale programma è stato dato un ruolo centrale alla realizzazione del su citato deposito nazionale;

    come noto, nel 2019, è stato approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri il programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi;

    le ultime proposte di Cnapi (rev.08 e rev.09), complete dei risultati di ulteriori aggiornamenti, sono state presentate dalla So.g.i.n. S.p.a. nel mese di gennaio 2020 e sono state entrambe validate dall'Isin, con nota del 5 marzo 2020;

    espletati gli adempimenti previsti all'articolo 27, comma 1-bis, del decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31, connessi alla validazione dei risultati cartografici e alla verifica della coerenza degli stessi con i criteri predisposti dall'Aiea e dall'Agenzia per la sicurezza nucleare, la Sogin ha ricevuto il 30 dicembre 2020 da parte del Ministero dello sviluppo economico e dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il nulla osta alla pubblicazione sul proprio sito internet della proposta di Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee alla localizzazione del parco tecnologico e del progetto preliminare proposto;

    a tale riguardo, va evidenziato che tale provvedimento di nulla osta, che ha interessato i due dicasteri sopra menzionati, è stato opportunamente assunto congiuntamente, pur in costanza di diversi profili di competenza, ed ha consentito la pubblicazione della documentazione tecnica fino ad allora secretata da parte di Sogin s.p.a. e resa accessibile, ai fini dell'avvio della consultazione pubblica, solo dopo essere stata opportunamente verificata;

    il 5 gennaio 2021 è – come noto – avvenuta la pubblicazione della menzionata Cnapi dando così il via alla fase di consultazione pubblica nel pieno rispetto del procedimento disciplinato dal predetto decreto basato sul coinvolgimento di amministrazioni locali, associazioni di categoria, sindacati, università, enti di ricerca e cittadini al fine di garantire non solo la massima condivisione delle informazioni e delle decisioni ma anche di giungere a una soluzione concordata con il territorio;

    si tratta di un passaggio fondamentale non solo verso la sistemazione definitiva di rifiuti radioattivi italiani di media e bassa attività e ad oggi stoccati all'interno di decine di depositi temporanei presenti nel Paese, ma anche di un atto di trasparenza circa le scelte e il coinvolgimento delle comunità locali per scongiurare l'instaurarsi di un clima di contrapposizione e mobilitazione popolare che coinvolse tutto il sud in più di un'occasione: nel 2003, allorché in Basilicata la cittadinanza si oppose alla volontà del Governo di centrodestra di collocare a Scanzano jonico un deposito di profondità dei rifiuti nucleari delle centrali italiane in via di smantellamento e nel 2011 allorché in Sardegna il 97 per cento dei cittadini espresse, nel corso di un referendum regionale consultivo, il proprio «no» all'installazione di centrali nucleari e di siti per lo stoccaggio di scorie radioattive, portando i governi dell'epoca a cedere e rinviare il problema;

    l'importanza di coinvolgere le comunità locali nella fase iniziale del processo decisionale è tanto più rilevante nei territori ad alta vocazione agricola e turistica, interessati negli ultimi anni dalla realizzazione di impianti e infrastrutture che hanno registrato un forte dissenso da parte dei cittadini e delle stesse amministrazioni locali, e nei quali sono state individuate numerose aree potenzialmente idonee ad accogliere il deposito nazionale, come il caso della provincia di Viterbo, con 22 siti potenzialmente idonei su 67 totali. Un territorio, quello dell'alta Tuscia, che presenta note criticità dal punto di vista geologico e un delicato equilibrio idrogeologico, e interessato nel 1971 da un terremoto (di magnitudo prossima a 5.0) le cui origini e caratteristiche sismologiche devono essere ancora chiarite;

    è bene ricordare che il lavoro congiunto portato avanti dal Ministero dello sviluppo economico e dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sulla Cnapi testimonia non solo la forte assunzione di responsabilità da parte del Governo sul tema della gestione dei rifiuti radioattivi, ma si pone, altresì, come obiettivo la risoluzione di una procedura di infrazione europea a carico dell'Italia;

    infatti, 30 ottobre 2020, è stata aperta dall'Unione europea nei confronti dell'Italia la procedura di infrazione 2020/2266 (messa in mora ex articolo 258 Tfue) per la «mancata osservanza da parte dell'Italia di alcune disposizioni della direttiva 2011/70/EURATOM del Consiglio con riferimento al programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi»;

    la predetta procedura 2020/2266 del 30 ottobre 2020 fa seguito alla procedura n. 2018/2021 aperta sulla medesima direttiva (messa in mora ex articolo 258 Tfue) per la «non corretta trasposizione della direttiva 2011/70/EURATOM che istituisce un quadro comunitario per la gestione responsabile e sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi»;

    appare dunque necessario affrontare la questione del deposito nazionale per porre fine ai problemi legati alla produzione dei rifiuti radioattivi prodotti attualmente dalla sanità e dall'industria e per risolvere definitivamente la situazione precaria dei 19 siti temporanei di stoccaggio attualmente presenti sul territorio, oltre che per allineare la normativa nazionale alle disposizioni europee pena la conferma del procedimento di infrazione che comporterebbe ingenti multe da pagare oltre alle ingenti somme, già in carico agli utenti, per lo stoccaggio temporaneo in altri Paesi europei delle scorie radioattive ad alta intensità;

    va ricordato che i depositi temporanei presenti nelle installazioni nucleari attualmente in fase di smantellamento hanno una vita di progetto di circa 50 anni, in conformità alla specifica normativa tecnica nazionale ed internazionale in materia, volta alla garanzia della sicurezza dei depositi stessi, riguardo ai lavoratori, alla popolazione e all'ambiente. Tali depositi, sottoposti a periodici interventi di manutenzione e al termine della vita di progetto, stanno esaurendo le loro capacità ricettive e non possono più garantire l'isolamento dei rifiuti radioattivi dall'ambiente fino al decadimento della radioattività a livelli tali da risultare trascurabili per la salute dell'uomo e per l'ambiente;

    peraltro, l'accelerazione dei costi di decommissioning è – come noto – in grado di contenere i costi della gestione dei rifiuti nucleari;

    a tale riguardo si considerino le situazioni legate ai siti Saluggia (Vercelli) e le criticità connesse al sito di Itrec di Rotondella in provincia di Matera e al sito ex Cemerad di Statte (TA), ove a causa della carenza di risorse economiche non è stato possibile proseguire il servizio di vigilanza armata e stipulare l'atto integrativo tra il Commissario Straordinario e la So.g.i.n. S.p.a. per procedere alla rimozione dei fusti rimanenti e alla bonifica dell'area;

    nella Convenzione di Aarhus, ratificata dall'Italia con la legge 16 marzo 2001, n. 108, viene sottolineata l'importanza di garantire idonei strumenti di partecipazione del pubblico nella fase iniziale del procedimento, quando la partecipazione può avere un'influenza effettiva nel processo decisionale;

    in sede di conversione del decreto-legge cosiddetto Milleproroghe (decreto-legge n. 183 del 2020) sono state introdotte modifiche alla disciplina della consultazione pubblica di cui al citato articolo 27 del decreto legislativo n. 31 del 2010 al fine di differire il termine per la formulazione di osservazioni sulla proposta di Carta nazionale da parte delle regioni, degli enti locali e dei soggetti portatori di interessi qualificati, nonché il termine entro il quale la Sogin spa promuove il Seminario nazionale. È rimasto, tuttavia, invariato l'ulteriore termine di trenta giorni per presentare osservazioni all'esito del Seminario, nel corso del quale sono approfonditi tutti gli aspetti tecnici relativi al Parco tecnologico e gli aspetti connessi alla sicurezza dei lavoratori, della popolazione e dell'ambiente,

impegna il Governo

1) ad assicurare che tutte le fasi procedimentali in cui si articola la scelta dei siti idonei e l'individuazione del sito ove ubicare il Parco tecnologico siano caratterizzate dalla massima ed effettiva concertazione e condivisione con i territori e le comunità locali interessate, nel rispetto dei principi di trasparenza, leale collaborazione e cooperazione istituzionale;

2) a prevedere la puntuale informazione del Parlamento sull'attività svolta nelle diverse fasi in cui si articola la procedura di individuazione del deposito nazionale, con particolare riferimento all'aggiornamento e successiva approvazione della Carta nazionale delle aree idonee, alle intese raggiunte con le regioni interessate e gli enti locali coinvolti, nonché alla corretta esecuzione delle fasi di chiusura e post chiusura dell'impianto nel rispetto delle prescrizioni emesse nel «periodo di controllo istituzionale», presentando a tal fine una relazione annuale alle Camere;

3) a provvedere alla pubblicazione sui siti istituzionali dei Ministeri coinvolti, della Sogin s.p.a., dell'Isin e sul sito dedicato depositonazionale.it di ogni documentazione ed informazione utile in merito al procedimento, dando particolare evidenza alle tempistiche relative agli strumenti di partecipazione e alle fasi decisionali, nonché ad adottare ogni iniziativa di competenza affinché gli enti locali e le regioni individuate nella Cnapi rendano disponibili sui propri siti istituzionali, in una parte chiaramente identificabile della sezione «Amministrazione trasparente», il collegamento ipertestuale ai predetti siti, assicurando la qualità delle informazioni secondo i criteri indicati dal decreto legislativo n. 33 del 2013;

4) a garantire che la consultazione pubblica e lo svolgimento del Seminario nazionale avvengano con modalità che consentano la massima accessibilità e partecipazione ai lavori, assumendo, altresì, iniziative, anche normative, per disporre l'ampliamento dei termini per presentare osservazioni all'esito del Seminario nazionale;

5) ad adottare iniziative per prevedere che la consultazione pubblica sia estesa a tutti i soggetti, portatori di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, a prescindere dalla necessità di dimostrare la sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante, come previsto per le consultazioni nei procedimenti di Via/Vas;

6) ad adottare iniziative per prevedere che al Seminario pubblico possano partecipare anche i comuni non direttamente interessati ma comunque limitrofi rispetto alle aree individuate come potenzialmente idonee, che ne facciano richiesta, nonché le associazioni riconosciute ai sensi dell'articolo 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349, così come i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati e i soggetti portatori di interessi pubblici o privati che abbiano presentato richiesta di partecipazione al procedimento ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241;

7) in un'ottica di trasparenza e leale collaborazione istituzionale, ad adottare iniziative per dare adeguata pubblicità ai criteri oggettivi e univoci in ordine alla quantificazione e alle modalità di assegnazione delle compensazioni economiche ed ambientali agli enti locali interessati, prevedendo che i relativi contributi economici siano prioritariamente finalizzati ad interventi di riqualificazione dei contesti urbani ed ambientali;

8) ad assicurare che i criteri di esclusione e approfondimento siano puntualmente esaminati e verificati in modo da garantire la massima sicurezza del sito che risulterà idoneo;

9) ad adottare iniziative per ampliare ulteriormente i parametri di sicurezza finalizzati alla localizzazione, costruzione e gestione del deposito e, a tal fine:

   a) ad avvalersi delle strutture universitarie competenti per i territori implicati e ad adottare i più moderni metodi e strumenti di conoscenza multidisciplinari del territorio, per le successive fasi esplorative contemplate nei criteri di approfondimento, riguardanti i siti che saranno scelti per la Cnapi;

   b) a prevedere uno ietogramma di progetto quanto più cautelativo possibile, con piogge di progetto notevolmente incrementate in modo da resistere ad eventi meteoclimatici molto estremi, non ancora storicamente noti o statisticamente prevedibili;

   c) ad adottare strutture antisismiche per il deposito molto più cautelative di quelle previste dalle più rigorose norme vigenti per impianti nucleari;

10) a prevedere l'istituzione di un apposito Osservatorio finalizzato a garantire la trasparenza e la diffusione delle informazioni concernenti le verifiche di ottemperanza alle prescrizioni tecniche a cui sarà soggetto il Deposito nazionale indicate in fase di istruttoria;

11) ad adottare iniziative per prevedere che, contestualmente all'istanza per il rilascio dell'autorizzazione unica, sia presentata anche l'istanza finalizzata all'avvio della valutazione di impatto sanitario (Vis) predisposta in conformità alle linee guida adottate con decreto del Ministero della salute del 27 marzo 2019;

12) ad adottare iniziative per assicurare sufficienti risorse affinché l'Isin (Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione) sia messo nelle condizioni di svolgere al meglio i propri compiti istituzionali, tecnici e di vigilanza connessi al deposito nazionale, affinché non sia pregiudicata la capacità operativa e di vigilanza del suddetto ente, anche in prospettiva dei lavori dei prossimi anni, provvedendo, altresì, ad aggiornare la normativa di riferimento, e in particolare il decreto legislativo n. 31 del 2010, al fine di tener conto delle modifiche intervenute nella individuazione dell'Isin quale Autorità competente, subentrata all'Agenzia per la sicurezza nucleare;

13) ad assumere iniziative affinché contestualmente alla localizzazione e alla realizzazione del deposito unico sia affrontato il tema delle «sorgenti orfane» rinvenute in diversi luoghi e contenute in diverse tipologie di rifiuti, anche abbandonati, che sono potenzialmente in grado di arrecare gravi danni alla salute di lavoratori e comunità residenti;

14) ad adottare senza ritardo i decreti attuativi in applicazione della normativa vigente, con specifico riferimento al decreto legislativo 31 luglio 2020, n. 101, garantendo il necessario coordinamento dei soggetti chiamati ad assumere i provvedimenti;

15) ad adottare quanto prima, in attesa della individuazione del deposito unico, idonee iniziative per garantire sotto il profilo tecnico e finanziario la messa in sicurezza e la gestione dei siti che presentano criticità nel territorio nazionale, verificando altresì la necessità di stanziare ulteriori fondi da destinare al commissario straordinario per l'attuazione degli interventi nel deposito ex Cemerad di cui in premessa, affinché si proceda alla rimozione dei fusti rimanenti mediante la sottoscrizione dell'atto integrativo con So.g.i.n. s.p.a.
(1-00441) «Vianello, Cillis, Davide Crippa, Maraia, Sut, Daga, Deiana, D'Ippolito, Di Lauro, Licatini, Micillo, Terzoni, Traversi, Varrica, Vignaroli, Zolezzi, Alemanno, Carabetta, Chiazzese, Fraccaro, Giarrizzo, Masi, Orrico, Palmisano, Perconti, Scanu».

Risoluzione in Commissione:


   La I Commissione,

   premesso che:

    con la legge del 15 febbraio 1989, n. 54, è stato stabilito che «Tutte le amministrazioni dello Stato, del parastato, degli enti locali e qualsiasi altro ufficio o ente, nel rilasciare attestazioni, certificazioni, dichiarazioni, documenti in genere, a cittadini italiani nati in comuni già sotto la sovranità italiana ed oggi compresi nei territori ceduti ad altri Stati, ai sensi del trattato di pace con le potenze alleate ed associate, quando deve essere indicato il luogo di nascita dell'interessato, hanno l'obbligo di riportare unicamente il nome italiano del comune, senza alcun riferimento allo Stato cui attualmente appartiene»;

    la stessa legge prevede, per i medesimi cittadini, la possibilità di adeguare eventuali documenti su semplice richiesta verbale dell'interessato;

    queste disposizioni riguardano anche i cittadini italiani nati nei territori poi ceduti alla ex Jugoslavia, quando erano ancora parte integrante del Regno d'Italia;

    nonostante le disposizioni sopra richiamate siano in vigore da oltre quarant'anni, per i cittadini italiani nati in Istria e Dalmazia quando erano ancora territori italiani, al momento della richiesta di un semplice codice fiscale, continua a ripetersi il paradosso di vedersi consegnare documenti che attestano la loro nascita in Jugoslavia;

    l'inconveniente nasce, probabilmente, da un errore originario commesso dal Ministero dell'interno in fase di digitalizzazione, non considerando che tutti i cittadini nati nei 136 comuni passati dall'Italia alla Jugoslavia al termine del conflitto, sarebbero risultati, meccanicamente e informaticamente, nati all'estero;

    le associazioni degli esuli hanno più volte denunciato questo inconveniente, che, oltre a ferire la loro sensibilità, determina anche diversi contrattempi di carattere pratico, facendoli risultare cittadini stranieri agli occhi degli erogatori di prestazioni sanitarie e complicando non poco la stesura di atti notarili in cui venga richiesto il codice fiscale;

    sempre secondo l'associazione degli esuli, il problema non sarebbe circoscritto esclusivamente ai codici fiscali, ma risulterebbe esteso a qualunque inserimento o elaborazione di dati che non preveda un'analisi di relazione tra la data di nascita, il luogo di nascita e la nazionalità del cittadino interessato,

impegna il Governo

ad adottare tempestivamente iniziative per definire indirizzi affinché ogni ente pubblico gestore dei dati personali dei cittadini provveda ad un tempestivo adeguamento dei relativi sistemi, dando finalmente attuazione al dettato della legge 15 febbraio 1989, n. 54, e mettendo fine a una situazione inaccettabile che si protrae vergognosamente da decenni.
(7-00620) «Meloni, Lollobrigida, Prisco, Donzelli».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, il Ministro per il sud e la coesione territoriale, per sapere – premesso che:

   la E 90 è una strada di classe A della dorsale ovest-est, che attraversa ben 6 Paesi europei e si estende da Lisbona in Portogallo, includendo passaggi attraverso il mare, fino ai confini con l'Iraq e, precisamente, Habur in Turchia;

   il tracciato della E90, dopo aver attraversato il Portogallo e la Spagna giunge in Sicilia, prosegue il suo itinerario sui tratti autostradali A29 Mazara del Vallo-Palermo, A19 Palermo-Buonfornello e A20 Buonfornello-Messina;

   giunta in Calabria, dopo aver attraversato lo Stretto di Messina, prosegue lungo la strada statale 106 Jonica (SS 106), che si sviluppa per 491 chilometri da Reggio Calabria a Taranto, percorrendo tutta la costa Jonica di Calabria, Basilicata e parte di quella pugliese;

   la strada statale 106, pertanto, essendo ricompresa nella Strada europea E90, rappresenta non solo una direttrice di traffico di rilevanza internazionale, ma una fondamentale arteria per collegare la Calabria, la Basilicata e la Puglia con l'autostrada adriatica A14 (Taranto-Bologna);

   tuttavia, mentre il tracciato siciliano è costituito da autostrade e le tratte pugliesi e lucane della strada statale 106 sono già state ammodernate in strade di categorie B, con due carreggiate, separate da spartitraffico centrale e doppia corsia per ogni senso di marcia, in Calabria l'ammodernamento si ferma a Roseto Capo Spulico, da dove proseguirà con il tratto già appaltato sino a Sibari (ex megalotto 3), mentre sino a Reggio Calabria, ad eccezione di sporadici e quasi irrilevanti tratti, la sede stradale è ancora quella originaria del 1928, pertanto priva di spartitraffico centrale e con un elevatissimo numero di accessi laterali abusivi, che aumentano il rischio di scontri frontali e laterali;

   per questi motivi, nonostante l'importanza dell'itinerario della E 90, per come sopra evidenziato, la strada statale 106 nel tratto ionico calabrese si è guadagnata nel corso degli anni il triste appellativo di «strada della morte», per l'altissimo costo di vite umane pagato a causa di un tracciato obsoleto e pericoloso;

   l'ammodernamento dell'intero tracciato della strada statale 106 in strada di categoria B sino a Reggio Calabria, pertanto, rappresenta un'esigenza non più rinviabile e un volano di sviluppo per l'intera fascia ionica, relegata agli ultimi posti delle classifiche per qualità della vita e prodotto interno lordo pro-capite, anche a causa del gap infrastrutturale che sconta rispetto a tutto il resto della penisola;

   è solo il caso di rammentare che la «legge obiettivo» n. 443 del 2001 e la delibera del Cipe n. 124 del 2001, avevano individuato come l'ammodernamento della strada statale 106, con la sua suddivisione in 12 megalotti, fosse un'opera strategica, tanto che si diede il «via» alla progettazione di alcuni megalotti, come ad esempio il n. 9, il cui progetto con valutazione di impatto ambientale approvata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con prescrizioni, venne inviato nel 2009 al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per la redazione del progetto definitivo, che tuttavia venne accantonato a seguito della destinazione degli stanziamenti da parte dell'allora Governo per altre necessità;

   da allora, la realizzazione della E90, nel tratto di strada statale 6 compreso tra Reggio Calabria e Roseto Capo Spulico, è rimasta solo sulla carta ed è necessario e urgente che vengano reperiti i fondi per la sua realizzazione, mediante apposita richiesta di finanziamento da inoltrare all'Unione europea per il suo completamento in strada di categoria B –:

   se siano a conoscenza della gravissima situazione sopra descritta e quali iniziative intendano adottare per rappresentare all'Unione europea il gap infrastrutturale esistente ai fini dell'erogazione dei finanziamenti necessari alla realizzazione di un nuovo itinerario della strada statale 106 da Reggio Calabria a Sibari in strada di categoria B, per completare il tracciato della E90 nel rispetto di tutti i requisiti di sicurezza e mobilità sostenibili.
(2-01150) «Barbuto, Grippa, Villani, Ficara, Orrico, Melicchio, D'Ippolito, Scutellà, Misiti, Nappi, Tucci».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COLLETTI e SIRAGUSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   in data 16 marzo 2021 è stato reso noto il nuovo Comitato tecnico scientifico (Cts);

   il cambio dei membri, 12 in tutto, è stato giustificato tanto dalla nuova fase emergenziale quanto dal voler portare a compimento – in tempi celeri – il piano vaccinale;

   al fine di rendere quanto più concrete le finalità del Cts, sono stati scelti, assieme a personalità di spicco del campo scientifico, anche esperti di statistica e di matematica previsionale;

   ebbene, con queste premesse, desta una qualche perplessità la nomina a membro dell'ingegner Alberto Giovanni Gerli, conosciuto ai più per le teorie fantasiose spese dall'inizio della pandemia a questa parte;

   basti ricordare, ad esempio, la teoria dell'inutilità del lockdown, i profetici cambi di colore in melius delle regioni (poi nella realtà finite in «zona rossa») ovvero la creazione di un indice autocelebrativo (c.d. indice Gerli) che contrasta, per attendibilità, l'indice Rt elaborato dalla Fondazione Bruno Kessler a supporto dell'Istituto superiore di sanità;

   a parere dell'interrogante la visibilità mediatica dell'ingegner Gerli non appare corrispondere alle effettive competenze scientifiche dimostrate nel tempo –:

   chi abbia speso la candidatura dell'ingegner Gerli a membro del Cts e, soprattutto, quali criteri siano stati adottati in fase di comparazione con altre personalità in ordine ad esperienza e credibilità.
(5-05586)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VARCHI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   il primo caso di variante nigeriana del virus è stato individuato in Sicilia, a Messina, e diagnosticata su un sedicenne originario della Guinea, peraltro fuggito da un centro di accoglienza con un altro minorenne straniero, anche lui risultato positivo;

   da una prima ricostruzione degli spostamenti dei ragazzi, fondamentale per precedere tempestivamente e accuratamente al tracciamento dei contatti stretti, il sedicenne africano sarebbe prima stato ospitato al centro di accoglienza di Caltanissetta e, risultato positivo al tampone, sarebbe stato isolato nel centro per la quarantena dei migranti a Pozzallo, dal quale si sarebbe allontanato per poi presentarsi spontaneamente qualche giorno dopo in una casa di accoglienza comunale per minori della città di Messina;

   come ha spiegato il professore Giuseppe Mancuso, responsabile della microbiologia dell'azienda universitaria messinese, «L'attenzione è alta perché sembra che questa variante sia insensibile al vaccino anticovid»;

   la variante nigeriana, di cui, in realtà, si sa ben poco, sta mettendo in allarme tutta Italia per via dei flussi migratori che già dall'inizio del 2021 fanno registrare numeri allarmanti e, con l'arrivo della bella stagione che favorirà la navigazione nel Mediterraneo, sono destinati a intensificarsi esponenzialmente;

   a fine febbraio 2021, gli sbarcati in Italia erano 4.536, poco meno del doppio rispetto ai primi due mesi del 2020, quando gli arrivi erano stati 2.359, e quasi 20 volte di più rispetto ai 262 dello stesso periodo del 2019; l'8 marzo, secondo l'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), gli sbarchi erano saliti a 5.692 e i dati del Ministero dell'interno aggiornati all'11 marzo portano il totale a 5.996, in media quasi 87 persone al giorno, mentre nello stesso periodo nel 2020 erano stati 2.553 e 335 nel 2019;

   i viaggi della speranza che iniziano dal continente africano e che hanno come prima tappa le coste siciliane sono fenomeni in continuo aumento e in Nigeria, luogo in cui si è sviluppata la preoccupante variante, la campagna di vaccinazione non è ancora partita;

   in Sicilia, oltre alle varianti nigeriana e inglese, è stata sequenziata anche la variante sudafricana con il primo caso diagnosticato a Mazara del Vallo;

   oltre all'aspetto sanitario, che rischia di esplodere in una bomba sociale, c'è anche l'aspetto economico, considerato l'onere sempre più gravoso di ospitare e assistere migliaia di persone, mentre l'Italia sta cercando faticosamente di sopravvivere a una crisi economica senza precedenti che ha visto solo nel 2020 chiudere oltre 320.000 partite iva e quasi 450.000 occupati in meno, con un milione di persone scese sotto la soglia di povertà o in condizione di povertà assoluta –:

   quale sia la politica di gestione dei flussi migratori del Governo, con particolare riferimento alla strategia dei «porti aperti», soprattutto in considerazione delle particolari condizioni sanitarie e socio-economiche che attanagliano l'Italia;

   se non si ritengano necessari un efficace monitoraggio dei mari e dei confini, una cooperazione attiva con i principali Paesi di origine dei migranti, una ferma politica di rimpatri e una gestione europea dei flussi migratori mirata a una maggiore proporzionalità tra responsabilità e solidarietà degli Stati membri;

   se si intendano adottare iniziative per rivedere, e in quali termini, la gestione dei migranti che, pur risultati positivi al Covid-19, vengono lasciati liberi di allontanarsi dai centri per la quarantena e spostarsi sul territorio nazionale.
(4-08697)


   FERRO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il commissario alla sanità calabrese, Guido Longo, ha denunciato: «Sono tre mesi che aspetto i due sub commissari e il personale necessario»;

   il 30 dicembre 2020 è stato convertito in legge l'ennesimo decreto «Calabria-bis» (decreto-legge 10 novembre 2020, n. 150) che, almeno nelle intenzioni, sicuramente lodevoli, doveva contenere misure urgenti per il rilancio del servizio sanitario della regione;

   nel suo ruolo, il commissario ad acta avrebbe dovuto essere affiancato da uno o più sub commissari in numero, comunque, non superiore a 3 «in possesso di qualificata e comprovata professionalità ed esperienza in materia di gestione sanitaria e in materia amministrativa»;

   al fine di garantire l'esigibilità dei livelli essenziali di assistenza, anche in relazione all'emergenza epidemiologica da Covid-19, il Ministro della salute, sulla base del fabbisogno rilevato dalle aziende del servizio sanitario regionale, avrebbe peraltro, dovuto, autorizzare il commissario ad acta ad un piano assunzionale straordinario per il reclutamento di personale medico, sanitario e socio-sanitario, anche per il settore dell'emergenza-urgenza;

   il condizionale è, però, d'obbligo perché l'ennesimo commissariamento della Calabria non ha fatto registrare, almeno al momento, alcun cambio di passo rispetto agli ultimi 10 anni di commissariamento, e a distanza di 3 mesi, mentre la Calabria sta affrontando la terza ondata dell'emergenza pandemica, la struttura commissariale non è al completo e i sub-commissari non sono stati ancora nominati;

   il mancato potenziamento della struttura commissariale, come previsto per legge, non consente al commissario Longo di lavorare incisivamente sulle priorità della sanità calabrese, che non può più aspettare: dalle vaccinazioni, ai problemi dei bilanci e degli atti aziendali, dalla ricognizione sul contenzioso, al rafforzamento dei livelli essenziali di assistenza, solo per citarne alcuni –:

   se i fatti di cui in premessa corrispondano al vero e per quali motivazioni ad oggi non siano stati ancora nominati i sub-commissari e il personale straordinario previsti dal decreto «Calabria-bis»;

   quali urgenti iniziative di competenza il Governo intenda assumere per completare e potenziare la struttura commissariale, come disposto dall'articolo 1 del decreto-legge 10 novembre 2020, n. 150, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2020, n. 181.
(4-08698)


   COVOLO, COLMELLERE, BISA, FANTUZ, MANZATO, PAOLIN e COIN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   tra il 4 e il 9 dicembre 2020 un'eccezionale ondata di maltempo si è abbattuta sul Veneto dove si sono verificate precipitazioni molto abbondanti sulle zone montane e pedemontane della regione con massimi particolarmente elevati che coinvolgono soprattutto il Bellunese fino a punte di 560/725 mm di pioggia e con accumuli di neve molto abbondanti specie oltre i 1500/1600 metri di quota;

   trombe d'aria, violenti temporali e fortissime grandinate hanno colpito le province di Verona, Vicenza, Padova e Belluno, causando enormi disagi e danni ingentissimi con allagamenti, smottamenti e devastazioni di strade, abitazioni, attività produttive, terreni agricoli, edifici e opere pubbliche;

   il territorio regionale è stato interessato da gravissimi fenomeni di frana prevalentemente nella provincia di Belluno e nelle provincie di Treviso e Vicenza. Il territorio bellunese è stato interessato, solo nei centri abitati da oltre 100 frane, che hanno pesantemente investito la viabilità comunale, isolando diverse contrade e strade provinciali;

   l'intervento più significativo risalente a domenica 6 dicembre 2020, è avvenuto a Vicenza in zona Settecà e Torri di Quartesolo con i vigili del fuoco che hanno operato per l'esondazione della roggia Caveggiara, portando in salvo oltre 20 persone a causa dell'innalzamento del livello dell'acqua che ha raggiunto oltre un metro di altezza allagando i piani bassi delle abitazioni; la stima dei danni è stata quantificata inizialmente in 323 milioni 191 mila euro, ai quali vanno aggiunti 96.500 euro di costi per l'intervento dei volontari di Protezione civile e 286 mila 698 euro per i costi degli straordinari dei vigili del fuoco;

   a seguito di tali situazioni emergenziali che si sono verificate, in risposta alle richieste pervenute dalle amministrazioni comunali interessate dai fenomeni intensi, il presidente della giunta regionale ha attivato l'unità di crisi e ha dichiarato tempestivamente lo «stato di crisi»;

   il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio, nella giornata di mercoledì 30 dicembre 2020, ha deliberato lo stato di emergenza, per la durata di dodici mesi, in conseguenza degli eventi meteorologici che si sono verificati dal 4 al 9 dicembre 2020 nel territorio della provincia di Belluno e dei Comuni di Torre di Quartesolo, Vicenza e Longare in provincia di Vicenza. Per i primi interventi di soccorso alle popolazioni e ripristino della funzionalità dei servizi pubblici e delle infrastrutture di rete, è stato previsto uno stanziamento iniziale di 7.400.000 euro a carico del Fondo per le emergenze nazionali –:

   se il Governo, in considerazione della gravità e straordinarietà dell'accaduto, non ritenga opportuno assumere iniziative urgenti per includere anche i comuni delle provincie di Treviso e Vicenza, conformemente a quanto richiesto dalla regione Veneto, che sono stati esclusi dallo stato di emergenza nazionale, tra i territori per i quali è stata prevista l'assegnazione di risorse straordinarie, per le amministrazioni colpite, e il risarcimento dei danni a cittadini residenti e imprese.
(4-08700)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta scritta:


   SIRAGUSA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   presso la città di Montauban, nei Pirenei francesi, si è recentemente tenuto un vertice bilaterale tra Emmanuel Macron e il Primo Ministro spagnolo, Pedro Sanchez. Come dichiarato dal Presidente francese all'apertura dei lavori, il 15 marzo, il summit rappresenterebbe «una tappa importante della relazione tra i nostri Paesi. Lo dobbiamo ai 150.000 francesi che vivono in Spagna e ai 190.000 spagnoli che vivono in Francia»;

   tra i vari argomenti trattati durante l'incontro è stato affrontato anche il tema del doppio passaporto, franco-spagnolo, per i cittadini dei due grandi Stati europei. La discussione ha portato a un esito positivo: sarà firmato infatti un accordo per definire i casi di doppia nazionalità. La notizia è ragguardevole, in quanto sarebbe il primo accordo di questo tipo che la Spagna firma con un altro Paese dell'Unione europea. Infatti, se in Francia la doppia cittadinanza è legale, così non è nel Paese iberico;

   il Comites di Madrid è recentemente intervenuto sul tema, suggerendo alle istituzioni italiane di attivarsi per giungere al medesimo risultato del bilaterale di Montauban: un accordo con le autorità iberiche che permetta, ai nostri connazionali residenti in Spagna, di poter finalmente godere della cittadinanza spagnola senza dover per questo rinunciare a quella italiana;

   a supporto di questa proposta vengono enumerate varie ragioni per cui sarebbe auspicabile intraprendere tale dialogo diplomatico: in primis, naturalmente, la consistenza numerica della comunità italiana in Spagna, composta di 274.463 persone; una cifra che fa dell'Italia il quinto maggior gruppo lì residente dopo quello marocchino, rumeno, britannico e colombiano (dati Ine del 1° luglio 2020). Sempre nella medesima nota si sottolineano inoltre motivazioni di ordine economico e commerciale, nonché geopolitico, con la menzione di «un "asse mediterraneo" nella UE con Francia e Italia» che, attraverso un provvedimento di questo tipo, verrebbe indubbiamente rafforzato. È infine citato, a supporto della tesi, «il giusto principio della reciprocità: chi nasce in Italia e uno dei due genitori è spagnolo, acquisisce la doppia cittadinanza» –:

   se il Governo abbia intenzione di intraprendere iniziative propedeutiche alla firma di un accordo bilaterale tra Italia e Spagna che conceda ai nostri connazionali residenti in Spagna la possibilità di beneficiare della doppia cittadinanza italo-spagnola.
(4-08702)


   EHM, SURIANO, TESTAMENTO, SARLI e SIRAGUSA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

  la Convenzione di Istanbul, sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata dalla Turchia il 14 marzo 2012 ed entrata in vigore il 1° agosto 2014, così come sancito dal Consiglio d'Europa è uno strumento riconosciuto come «il più ambizioso, volto a prevenire e combattere la violenza nei confronti delle donne, la violenza domestica quali violazioni dei diritti umani»;

   la Convenzione, firmata da 45 Paesi, ricorda agli Stati membri che tali violazioni rientrano a tutti gli effetti nei casi di violazione dei diritti umani e nella fattispecie delle violenze di genere. Ratificando tale accordo, gli Stati firmatari, hanno l'obbligo di prevenire e combattere la violenza sulle donne adattando le leggi nazionali e introducendo norme volte a punire specificatamente tali violazioni. Tra gli Stati membri del Consiglio d'Europa, la Turchia fu uno dei primi Paesi firmatari;

   tenuto conto delle forti repressioni come pure evidenziato nel rapporto 2019-2020 pubblicato da Amnesty International, si evince chiaramente che, negli ultimi anni, in Turchia sono stati fortemente limitati alcuni tra i diritti fondamentali: diritti alla libertà d'espressione, riunione pacifica e di manifestazione, con torture e sparizioni di soggetti ritenuti scomodi;

   a rendere ancora più preoccupante il quadro politico del Paese, governato da più di 10 anni dal Presidente Recep Tayyp Erdogan, il 20 marzo 2021, lo stesso Presidente ha annunciato l'uscita della Turchia dalla Convenzione di Istanbul;

   tale provvedimento ha provocato manifestazioni di piazza e duri attacchi internazionali, tra cui l'iniziativa del Consiglio d'Europa che ha dichiarato, tramite la sua segretaria generale, Marija Pejcinovic Buriana che la decisione della Turchia di ritirarsi dalla Convenzione d'Istanbul «è un enorme passo indietro che compromette la protezione delle donne in Turchia, in Europa e anche oltre»;

   nel 2021, secondo l'associazione «Open» oltre 300 donne turche sarebbero state vittime di femminicidio e altre 171 sarebbero state uccise in circostanze sospette e secondo le stime dell'Organizzazione mondiale della sanità il 38 per cento delle donne turche è stata vittima di violenze da parte del partner almeno una volta nella vita –:

   se sia a conoscenza dei fatti esposti e quali iniziative di competenza intenda intraprendere affinché l'impegno assunto dalla Turchia continui ad essere onorato.
(4-08706)

CULTURA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BUSINAROLO. — Al Ministro della cultura, al Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, al Ministro della transizione ecologica. — Per sapere – premesso che:

   recenti notizie di stampa (www.bresciaoggi.it del 22 marzo 2021) hanno riportato la notizia del ritrovamento di alcuni reperti affiorati in località San Lorenzino, sul Colle della Venga a Desenzano (Brescia), nel corso dei lavori per la posa della tratta Brescia-Verona della nuova linea alta velocità e improvvisamente spariti, come testimoniato da diversi cittadini, soprattutto residenti;

   i resti rinvenuti sarebbero quelli di un arco o di un'abside oppure residui del fondo di un'antica abitazione o di un tempio e si trovano nella stessa area che lo scorso anno fu interessata da un altro ritrovamento per cui fu avviata una campagna di scavi durata oltre sei mesi;

   alcuni studiosi locali, anche sulla base di indizi toponomastici, sostengono da tempo che la zona sia stata, circa duemilacinquecento anni fa, un'importante area celtica, in un'epoca antecedente alla colonizzazione romana. Nei pressi scorreva il torrente Venga, un toponimo indicativo, poiché in celtico «vindò» significa «bianco» ma anche «sacro» e nei pressi dello scavo insiste la Pieve di San Lorenzo, edificata sui resti di una chiesa risalente al V secolo d.C., oggetto di studi circa venti anni fa, all'epoca della messa in vendita dell'area. La chiesa, sconsacrata dall'800, fu trasformata in un granaio e in un ricovero per attrezzi agricoli, e sulle sue fondamenta vi sono i resti di un tempio romano, che secondo alcuni fu costruito su quelli di un precedente luogo di culto celtico;

   come emerge dall'articolo sopracitato restano sconosciute le cause dell'improvvisa scomparsa dei reperti che ad oggi non si trovano più sul luogo della recente scoperta per cui, a giudizio dell'interrogante, si ritiene necessario conoscere i motivi di tale grave sparizione –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa e se intendano fornire chiarimenti sulla vicenda, al fine di avere notizie certe sulle cause dell'improvvisa scomparsa dei resti ritrovati, anche in considerazione del fatto che gli stessi sono stati rinvenuti su un territorio che, a causa del tracciato per la realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità continua a subire notevoli disagi, che si ripercuotono sulle attività produttive e sulla popolazione residente, gravate dal susseguirsi di lavori che si protrarranno per molti anni.
(5-05581)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'istruzione. — Per sapere – premesso che:

   numerosi insegnanti con il diploma magistrale ante 2001, entrati di ruolo con riserva da graduatorie ad esaurimento (Gae), in seguito alla sentenza del Tar che ha escluso gli stessi dalle graduatorie ad esaurimento, stanno vivendo una forte e paradossale situazione di disagio;

   tali insegnanti, che per effetto della sentenza hanno perso il ruolo e il cui contratto si è trasformato ex lege a tempo determinato con scadenza al 30 giugno 2021, non stanno più ricevendo lo stipendio a loro spettante;

   da quanto si apprende le segreterie scolastiche contattate dagli insegnanti coinvolti riporterebbero che il contratto a tempo determinato viene rifiutato dal sistema NoiPa, in quanto risulta ancora aperta la partita di ruolo;

   la ragioneria dello Stato avrebbe riferito di aver chiuso la partita di ruolo e di conseguenza, non avrebbe alcuna responsabilità nelle difficoltà riscontrate circa l'inserimento dei contratti nella piattaforma NoiPa;

   intanto, non risultano all'interrogante prese di posizione ufficiali da parte del Ministero dell'economia e delle finanze che sembrerebbe non rispondere neanche alle segnalazioni inviate sia dalle segreterie scolastiche che dagli stessi insegnanti;

   a parere dell'interrogante ci si trova di fronte al paradosso che questi insegnanti stanno lavorando alle dipendenze dello Stato senza di fatto avere alcun contratto. A tale circostanza si aggiunge che, senza una celere risoluzione, questi non avranno neanche la possibilità a settembre 2021 di essere riconvocati per nuove nomine proprio in virtù del fatto di risultare ancora in ruolo, nonostante non percepiscano da mesi lo stipendio. Né tantomeno potranno fare richiesta di indennità di disoccupazione questa estate;

   occorre restituire immediatamente dignità a questi lavoratori e lavoratrici già pesantemente vessati, ponendo rimedio a questa incresciosa circostanza –:

   di quali ulteriori elementi siano a conoscenza i Ministri interrogati e quali iniziative, per quanto di competenza, intendano intraprendere affinché le criticità esposte in premessa trovino immediata soluzione e vengano regolarizzati nel più breve tempo possibile sia il pagamento degli stipendi arretrati che la posizione contrattuale degli insegnanti con il diploma magistrale esclusi dalle Gae per effetto della sentenza del Tar.
(4-08707)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   CAVANDOLI e TOMBOLATO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   su Il Dubbio del 23 marzo 2021, si legge la notizia, confermata dal Garante locale dei detenuti, che 4 ristretti al «41-bis» del penitenziario di Parma sono risultati positivi al Covid-19;

   inoltre, risultano positivi, almeno 16 agenti dei, Gom, il gruppo operativo mobile specializzato al servizio di custodia dei detenuti sottoposti al regime differenziato;

   poiché i fatti stanno dimostrando che non sono pochi i ristretti sotto regime del 41-bis che risultano essere stati contagiati dal virus, è lecito chiedersi e trovare risposte su come sia possibile tale contagio;

   l'importanza del regime del 41-bis è indubbia e deve essere potenziato anche con nuovi investimenti per la creazione di strutture adatte. Del resto, nella recente relazione annuale della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (Dna) si legge che tale regime carcerario «deve essere potenziato e mai attenuato, atteso che sul fronte della lotta alla mafia si può solo avanzare e non arretrare e che, in tale contesto, il ruolo dell'istituto previsto dall'articolo 41-bis è imprescindibile (...). Si tratta pertanto di un ruolo che va potenziato con nuovi investimenti per la creazione di strutture adatte allo scopo e non certo depotenziato o rispetto al quale si possa addivenire ad una limitazione dei soggetti sottoposti per ragioni diverse dal venir meno della loro capacità di comunicare in maniera efficace con l'organizzazione criminale nella quale continuano ad avere un ruolo di vertice», inoltre, la Dna ha evidenziato come «il sistema penitenziario, già appesantito dalla cronica situazione di sovraffollamento degli istituti penitenziari, non ha retto all'impatto con la grave pandemia che ha colpito il Paese, né le misure emergenziali adottate per contenere il rischio di contagio epidemiologico tra i detenuti e tra gli addetti alla custodia si sono rivelate adeguate alla gravissima compromissione degli standard di sicurezza all'interno delle carceri. L'applicazione generalizzata di una interpretazione della disciplina dettata dagli articoli 146 e 147 codice penale, sganciata dalla sussistenza effettiva e attuale dei presupposti normativi, ha determinato la contemporanea scarcerazione e/o detenzione domiciliare di centinaia di detenuti di elevatissima pericolosità, alcuni anche sottoposti al regime del 41-bis, cui ha fatto seguito il concreto rischio di una gravissima compromissione dell'ordine e della sicurezza pubblica». Secondo la Dna, «i provvedimenti di accoglimento adottati nei confronti di condannati per gravissimi delitti di criminalità organizzata non hanno nemmeno valutato le conseguenze devastanti di una detenzione domiciliare nella località di origine, dunque, nel territorio di operatività dell'organizzazione mafiosa di appartenenza vanificando totalmente e irrimediabilmente le esigenze di prevenzione che sono alla base del regime speciale previsto dall'articolo 41-bis e del regime di Alta sicurezza» –:

   se il Governo, alla luce di quanto riportato in premessa, intenda verificare le linee guida e le disposizioni anticontagio operanti nelle carceri e in particolare per i detenuti in regime di 41-bis, al fine di appurarne l'efficacia in termini di prevenzione, anche in relazione alle nuove varianti del Sars-Cov-2 caratterizzate da una maggiore contagiosità;

   se detenuti, agenti e operatori siano dotati di tutti i dispositivi di protezione individuale previsti;

   se non si ravvisi l'esigenza di individuare nel piano carceri nuove strutture idonee, nate esclusivamente per l'assolvimento della funzione di prevenzione prevista dall'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario, e da destinare in via esclusiva a tale scopo.
(4-08699)

INFRASTRUTTURE E MOBILITÀ SOSTENIBILI

Interrogazione a risposta scritta:


   TERMINI. — Al Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili. — Per sapere – premesso che:

   fonti di stampa (Bergamo News; Corriere della Sera - edizione locale di Bergamo) riferiscono di un deragliamento avvenuto nella giornata di domenica 21 marzo 2021, intorno alle ore 16:30, sulla linea ferroviaria Milano-Brescia, tra Cassano d'Adda e Treviglio, al confine con la provincia d Bergamo;

   da quanto si apprende il treno regionale 2233, partito da Milano Centrale e diretto a Bergamo, si sarebbe bloccato per «doppio instradamento» ovvero la locomotrice e il primo vagone sarebbero finiti su un secondo binario ed il resto del convoglio sarebbe rimasto sul binario sul quale stava viaggiando;

   non è ancora chiaro, secondo quanto riferiscono gli organi di informazione, se il treno si sia fermato grazie ai sistemi di sicurezza automatici o sia stato l'intervento del macchinista a scongiurare un nuovo incidente ferroviario proprio a una decina di chilometri da Pioltello, dove il deragliamento di un altro treno regionale, avvenuto la mattina del 25 gennaio 2018, causo la morte di tre persone; la linea ferroviaria lombarda torna, dunque, ad essere un luogo a rischio per tutti i pendolari e per tutti gli utenti;

   di fronte a questo ennesimo episodio, che fortunatamente non ha avuto un epilogo drammatico, si rendono, pertanto, necessari ed urgenti degli interventi sulla sicurezza e sulla manutenzione dei trasporti ferroviari in Lombardia, al fine di garantire una maggiore tutela a tutti gli utenti e a tutti i pendolari, che ogni giorno si servono del trasporto ferroviario per raggiungere il luogo di lavoro o di studio;

   in data 25 ottobre 2019 l'interrogante aveva già depositato un atto di sindacato ispettivo – l'interrogazione n. 4-03929 – avente ad oggetto un altro incidente sulla linea ferroviaria Cremona-Treviglio «per il cedimento di un giunto del binario, nel tratto tra le stazioni di Crema e Casaletto Vaprio», a cui è seguìto un sollecito in data 10 gennaio 2020, ai sensi dell'articolo 134, comma 1, del regolamento della Camera, che ad oggi non ha avuto risposta –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza del fatto illustrato in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare per tutelare la sicurezza degli utenti e dei pendolari;

   se non ritenga opportuno acquisire da RFI chiarimenti e dossier sullo stato di manutenzione ordinaria e straordinaria delle linee ferroviarie in Lombardia.
(4-08703)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FOTI, LUCASELLI, BUTTI, MANTOVANI, OSNATO e ZUCCONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   con nota del 17 ottobre 2013 prot. gen. 7810 veniva notificata dal comune di Piacenza al Centro culturale islamico, occupante in persona del legale rappresentante pro tempore, e alla proprietaria dell'immobile posto a Piacenza in via Mascaretti 7, «diffida» ad utilizzare l'immobile in modo difforme dall'uso dichiarato ed autorizzato;

   l'immobile in questione, infatti, collocato in zona classificata dal regolamento urbanistico edilizio «tessuto a bassa densità», non poteva, né può, ospitare funzioni religiose;

   ciò nonostante sono continuate a pervenire al comune di Piacenza segnalazioni che l'immobile in questione veniva utilizzato di fatto quale sede di culto, con notevole afflusso di persone;

   a seguito del reiterato utilizzo del sopra menzionato immobile – con cadenza ripetuta, regolare, costante e prolungata – in modo difforme dalla sua destinazione d'uso catastale funzionale ed in assenza di agibilità come luogo di culto, il competente dirigente del comune di Piacenza emanava il 15 maggio 2018 l'ordinanza n. 206 di immediata cessazione dell'utilizzo, quale luogo di culto, dell'immobile in questione e l'applicazione della prevista sanzione;

   con ordinanze n. 63/2019 del Tar di Parma e n. 03593/2019 del Consiglio di Stato, venivano respinte le istanze cautelari proposte dal Centro culturale islamico, nel ricorso dallo stesso presentato contro il divieto di utilizzo come luogo di culto dell'immobile che qui interessa;

   pare evidente che, anche in ragione dei possibili problemi di ordine pubblico, non è possibile lasciare alla sola polizia locale la verifica del rispetto dell'ordinanza comunale sopra indicata e risulta necessario, pertanto, predisporre adeguati e ripetuti controlli anche da parte delle Forze dell'Ordine;

   va sottolineato, tra l'altro, che «tra gli interessi costituzionali da tenere in adeguata considerazione nel modulare la tutela della libertà di culto – nel rigoroso rispetto dei canoni di stretta proporzionalità, per le ragioni spiegate sopra – sono senz'altro da annoverare quelli relativi alla sicurezza, all'ordine pubblico e alla pacifica convivenza» e che «Tuttavia, il perseguimento di tali interessi è affidato dalla Costituzione, con l'articolo 117, secondo comma, lettera h), in via esclusiva allo Stato» (Corte Costituzionale, sentenza n. 63/2016) –:

   se e quali urgenti iniziative di competenza intenda adottare affinché il prefetto e il questore della provincia di Piacenza predispongano un efficace sistema di controllo che impedisca l'utilizzo ai fini di culto dell'immobile di cui in premessa.
(5-05584)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MINARDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   si è avuta notizia che il 22 marzo 2021 è stato accertato purtroppo anche in Sicilia il primo caso di «variante nigeriana» del virus COVID-19;

   in particolare, il caso sarebbe stato riscontrato su un minore di 16 anni, originario della Guinea, subito ricoverato nel reparto di malattie infettive del Policlinico di Messina;

   secondo quanto riferito dalla stampa, il minore, risultato già positivo al tampone nel centro d'accoglienza di Caltanissetta, sarebbe stato isolato per la quarantena in un altro centro a Pozzallo, ma da qui sarebbe riuscito a fuggire assieme ad un coetaneo;

   dopo qualche giorno passato a girovagare, il minore si sarebbe presentato poi spontaneamente in una casa comunale per minori a Messina, dove poco dopo avrebbe cominciato a mostrare i primi gravi sintomi della malattia;

   subito è scattata l'allerta per i vari contatti che il minore potrebbe aver avuto nel frattempo durante la fuga e anche a Pozzallo e a Caltanissetta dove altri immigrati potrebbero, nel frattempo, essere usciti dai centri e aver avuto contatti all'esterno;

   l'attenzione è quindi molto alta e la notizia ha creato legittimamente grande preoccupazione, oltre che per l'elevata contagiosità della «variante inglese», anche perché alcuni medici ipotizzano che questa possa essere «insensibile al vaccino»;

   quanto accaduto e la dinamica dei fatti devono necessariamente far riflettere e agire subito e con determinazione: da una parte, da più di un anno vengono continuamente richiesti ai cittadini enormi sacrifici per contenere la pandemia in corso, mentre dall'altra si assiste quotidianamente a continue fughe dai centri di accoglienza di immigrati appena sbarcati in Italia, con l'aggravante, come in questo caso, di essere positivi al COVID-19 e di continuare a propagare il virus;

   alla luce di quanto sopra e di quanto sta accadendo ormai da mesi, è prioritario arginare il fenomeno degli sbarchi illegali verso il nostro Paese e ciò, non solo, per evidenti ragioni di sicurezza e legalità, ma anche nell'ottica di contenere la pandemia in corso e uscire quanto prima dall'attuale emergenza sanitaria –:

   quali iniziative il Ministro intenda adottare con riguardo a quanto esposto in premessa e, in particolare, ai flussi migratori illegali verso l'Italia e alle necessarie misure di sicurezza nei centri di accoglienza, al fine di contrastare la diffusione del COVID-19 e delle sue varianti nel nostro Paese.
(4-08701)


   FRASSINETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   sulla stampa locale gli addetti alla sicurezza e le forze dell'ordine dell'ospedale di Gallarate hanno dichiarato di non essere in grado di allontanare dall'ospedale i clochard;

   durante la giornata vengono effettuati tentativi di allontanamento, ma, dopo averli accompagnati fuori, rientrano da un altro ingresso;

   va ricordato che il caso di «Gallarate» è nuovamente sulle prime pagine dei giornali locali a causa delle numerose aggressioni da parte dei clochard ai danni degli addetti alla sicurezza dell'ospedale;

   la sicurezza del personale sanitario è costantemente a rischio, nonostante la presenza quotidiana dei «city angels»;

   l'azienda ospedaliera di Gallarate ha chiuso le aree a rischio di occupazione con delle grate, ma i clochard occupano ugualmente altri locali, quali ad esempio il centro unico di prenotazione (Cup) e la radiologia;

   si è appreso che gira indisturbata e libera presso l'ospedale Sant'Antonio Abate la persona che più volte ha aggredito il personale ospedaliero, nonostante abbia diversi precedenti per violenza, tra cui l'aggressione al mite sacrestano della basilica Deodato;

   dopo la chiusura degli ingressi i «senzatetto» hanno occupato i sotterranei;

   questo clima di paura e tensioni che si respira in ospedale ha provocato disagi tra i lavoratori e anche la situazione al pronto soccorso si contraddistingue per la presenza di individui che insultano e compiono aggressioni –:

   quali iniziative di competenza intenda intraprendere per riportare la legalità presso la struttura ospedaliera di Gallarate, garantendo in questo modo al personale sanitario di lavorare in sicurezza;

   in quali tempi si intenda garantire la presenza in modo stabile del personale di polizia agli ingressi del medesimo ospedale per ripristinare una situazione di legalità.
(4-08705)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VIVIANI, BAZZARO, BUBISUTTI, GASTALDI, GOLINELLI, LIUNI, LOLINI, LOSS e MANZATO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   il Parlamento europeo ha adottato la propria posizione negoziale sul nuovo sistema di controllo della pesca, che modificherà le norme sulle attività dell'Unione europea in materia di pesca in vigore dal 2010;

   il 10 marzo 2021, infatti, il Parlamento europeo ha approvato l'utilizzo di nuove tecnologie per migliorare l'applicazione delle regole sulla pesca, la sicurezza e la trasparenza. Inoltre, sono state introdotte misure per consentire ai consumatori di sapere quando, dove e come vengono pescati i prodotti che acquistano;

   l'uso di telecamere a bordo (Cctv) per effettuare controlli sugli obblighi di sbarco delle specie soggette a limiti di cattura dovrebbe essere, secondo le nuove disposizioni, obbligatorio secondo una «percentuale minima» di navi lunghe almeno 12 metri che sono identificate come «a grave rischio di non conformità», secondo la classificazione dell'Efca, l'agenzia dell'Unione europea per i controlli nel settore della pesca;

   l'attrezzatura di sorveglianza sarà imposta anche come sanzione di accompagnamento per tutte le navi che commettono due o più infrazioni gravi. Ai pescherecci che su base volontaria vogliano adottare la Cctv dovrebbero essere offerti incentivi, come l'assegnazione di quote aggiuntive o la rimozione dei punti di infrazione;

   secondo l'attuale proposta, gli operatori dovrebbero poi avere quattro anni, dall'entrata in vigore delle regole, per equipaggiare le navi con le nuove tecnologie richieste; gli operatori potrebbero beneficiare degli aiuti del Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (Feamp) per implementare la tecnologia;

   dopo il computer-tablet sul peschereccio per segnare le catture e il sistema di blu box satellitare, per controllare ogni spostamento di un peschereccio in mare ora l'Europa vuole prescrivere anche l'obbligo delle telecamere a circuito chiuso a bordo dei pescherecci eludendo, a parere degli interroganti, anche le norme sulla privacy, dei lavoratori marittimi;

   l'installazione di Cctv farebbe supporre, ad avviso degli interroganti, una presunzione di colpa basata sulla sfiducia nei confronti del settore, e con questi dispositivi si verrebbe a creare sorta di vero e proprio «Grande Fratello»;

   inoltre, il testo prevede norme più severe anche per il giornale di pesca elettronico e il Vessel Monitoring System e, invece di rendere più proporzionate le sanzioni amministrative, si prevede un inasprimento del quadro sanzionatorio, con sanzioni penali;

   il nuovo regolamento sui controlli era un'opportunità per semplificare l'intricata normativa europea sulla pesca, rendendola più equa e di buon senso, ma, la revisione del regolamento non andrà, purtroppo, ad aiutare un settore già fortemente colpito dalla crisi dovuta dalla pandemia, andrà ad inserire ulteriori paletti che esaspereranno l'attività degli operatori, imponendo ulteriori lungaggini burocratiche, mentre il mondo della pesca chiede a gran voce una semplificazione;

   il testo, purtroppo, peggiora quanto prodotto dalla Commissione Pesca, dove si era riusciti almeno a inserire maggiore flessibilità sul margine di tolleranza per le stime di peso e a migliorare la tracciabilità dei prodotti ittici, a tutela dei consumatori;

   il Parlamento europeo, dopo questo voto, avvierà i negoziati con il Consiglio; l'auspicio degli interroganti è che, in sede di negoziato, l'Italia sollevi obiezioni in relazione a questo provvedimento – posizione, tra l'altro, che aveva già espresso in merito e che con il voto in Parlamento europeo è stata disattesa – al fine di aiutare i nostri pescatori e non penalizzarli –:

   quale sia la posizione che il nostro Paese intenda assumere in sede di Consiglio con riguardo all'applicazione di misure che non contribuiscono alla salvaguardia delle risorse ittiche ma invece assumono i connotati di un'autentica e ingiustificata vessazione.
(5-05585)

SALUTE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:

   la banca dati informatizzata nazionale delle anagrafe zootecnica (Bdn), introdotta con decreto del Presidente della Repubblica n. 317 del 30 aprile 1996, è necessaria per gli operatori di settore e per i cittadini, che attraverso essa possono ottenere informazioni aggiornate sulla consistenza della popolazione animale di interesse zootecnico, sulla sua distribuzione sul territorio e sulle sue caratteristiche, ma anche sulle aziende e sugli animali domestici allevati o custoditi per la produzione di carne, latte, uova e altri prodotti, o destinati ad altri usi zootecnici;

   a oggi la Bdn presenta alcune criticità tali da compromettere il sistema di tracciabilità e controllo degli animali specialmente nella movimentazione dei capi di bestiame da un allevamento all'altro o dall'allevamento al macello;

   è il caso relativo alla compilazione del Modello IV informatizzato che dal settembre 2017 ha sostituito cosiddetto foglio rosa. Con il nuovo documento telematico ogni evento registrato nella banca dati nazionale Bdn viene verificato in tempo reale attraverso opportune transazioni attivate in ambiente Internet, ovvero attraverso una cooperazione applicativa tra sistemi informativi autonomi e quelle regioni che hanno inteso dotarsi di una propria Banca dati regionale. Le informazioni notificate sono sottoposte, prima della loro registrazione in Bdn alla verifica dei requisiti di completezza e congruenza con quanto già registrato;

   sul punto va evidenziato che a oggi vi è la possibilità per l'allevatore di emettere nel caso specifico della vendita di animali per partita (come, ad esempio, per gli agnelli) il Modello IV prima di aver preso in carico gli animali;

   tra le criticità riscontrate va anche evidenziato che al momento non esiste alcun sistema che consenta di parametrare o eventualmente di limitare le nascite rispetto al numero delle fattrici presenti negli allevamenti;

   non è previsto un limite anagrafico degli animali per la permanenza in Bdn, con la conseguenza che, spesso, a causa del mancato adempimento nella registrazione da parte dell'allevatore o del suo delegato, molti capi di bestiame risultano ancora in Bdn anche dopo la macellazione, raggiungendo età inverosimili (14-16 anni per gli ovicaprini). Tale anomalia è legata al fatto che il sistema non prevede lo scarico automatico degli animali avviati al macello a seguito dell'emissione del MOD4 da parte dell'allevatore;

   quanto sopra descritto deriva dall'ulteriore criticità determinata dalla mancata previsione dell'obbligo per i macellatori di segnalare l'avvenuta macellazione dei capi di bestiame nella Bdn;

   non è previsto un sistema di cancellazione automatica dalla Bdn per gli animali smarriti o rubati anche da svariati anni, che in tal caso rimangono registrati sul sistema anagrafico generando una consistenza totale degli animali errata. Tale criticità è aggravata dal fatto che le verifiche fatte presso gli allevamenti effettuate per controllare la corrispondenza tra la giacenza effettiva degli animali presso l'allevamento e la giacenza contabile risultante nel registro di carico e scarico, sono precedute da un preavviso; ne consegue che l'allevatore, ricevuto il preavviso e prima dell'ispezione, procede alla denuncia di furto o smarrimento degli animali, al fine di evitare l'accertamento di incongruenze;

   infine, non risulta alcun tipo di collegamento tra la Bdn e il Sistema informativo comunitario Traces (Trade Control and Export System) che è una piattaforma informatica veterinaria operativa dal 2005 per la segnalazione, la certificazione e il controllo delle importazioni, delle esportazioni e degli scambi di animali, prodotti di origine animale e mangimi di origine vegetale. Il sistema si inserisce, nell'ambito delle rispettive competenze, quale collegamento tra le organizzazioni (operatori economici) e le figure di controllo istituzionali –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa;

   quali iniziative, anche normative il Governo intenda intraprendere al fine di risolvere le criticità evidenziate in premessa circa l'aggiornamento costante e puntuale della Banca dati nazionale dell'anagrafe zootecnica;

   quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere al fine di evitare che la denuncia di smarrimento o furto degli animali sia presentata solo a seguito del preavviso di ispezione da parte degli ufficiali sanitari.
(2-01151) «Alberto Manca, Pignatone, Perantoni».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GEMMATO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto si evince dal piano strategico per la vaccinazione anti Sars-CoV-2/Covid-19 elaborato dal Ministero della salute, dall'Istituto superiore di sanità e dall'Aifa, sussistono alcune categorie alle quali somministrare con priorità il vaccino;

   lo sviluppo di raccomandazioni su gruppi target a cui offrire la vaccinazione è ispirato, secondo quanto si evince dal Piano, alle raccomandazioni internazionali ed europee, a valori e principi di equità, reciprocità, legittimità, protezione, promozione della salute e del benessere su cui basare la strategia di vaccinazione;

   in particolare, il Piano prevede la progressiva vaccinazione delle predette categorie in funzione della importanza della funzione svolta, del rischio di contagio e del progressivo aumento delle disponibilità di dosi di vaccino;

   le prime categorie da vaccinare sono quelle riferite agli operatori sanitari e sociosanitari, al personale ed ospiti dei presidi residenziali per anziani e agli anziani over 80;

   successivamente, nel piano si fa riferimento al fatto che «(...) con l'aumento delle dosi di vaccino si inizierà a sottoporre a vaccinazione le altre categorie di popolazione, fra le quali quelle appartenenti ai servizi essenziali quali innanzitutto gli insegnanti ed il personale scolastico, le forze dell'ordine, il personale delle carceri e dei luoghi di comunità (...)»;

   secondo quanto si evince da alcune note di stampa, pare che l'Assiv, Associazione italiana vigilanza e servizi fiduciari, abbia lamentato la mancata inclusione dei propri operatori nelle categorie alle quali somministrare in via prioritaria il vaccino;

   il presidente dell'Assiv, nel riconoscere il ruolo essenziale delle Forze armate e delle Forze dell'ordine ha però voluto evidenziare la disparità di trattamento riservata alle guardie giurate dal Governo, sottolineando il ruolo sussidiario e complementare a quello di Polizia di Stato e Carabinieri che la normativa affida alle stesse;

   nel suo appello, il presidente dell'Assiv chiede: «(...) di garantire alle guardie giurate di poter svolgere in sicurezza il loro servizio (...)» e di inserire «(...) gli operatori della sicurezza privata nella priorità vaccinale, al pari delle Forze Armate e delle Forze di Polizia (...)» poiché «(...) Si tratta di lavoratori che in questi mesi di emergenza pandemica hanno sempre garantito la sicurezza dei siti produttivi, dei centri di smistamento delle merci, degli esercizi commerciali di distribuzione dei beni di prima necessità, del trasporto del denaro a sportelli bancari e postali, dei siti sensibili quali stazioni ferroviarie e metropolitane, l'accesso ordinato e sicuro ai servizi sanitari, fra i quali i triage e i reparti Covid (...)»;

   sembrerebbe, dunque, evidente la necessità di includere, tra le categorie alle quali somministrare con priorità i vaccini anti Covid-19 anche gli operatori della sicurezza privata che lavorano nell'ambito di settori che erogano servizi essenziali e che, di fatto, risultano costantemente sottoposti al rischio di contagio da Sars-Cov-2 –:

   se il Governo intenda adottare iniziative urgenti di competenza volte ad includere nelle categorie alle quali somministrare in via prioritaria i vaccini anti Covid-19 anche gli operatori della sicurezza privata.
(5-05580)


   DELMASTRO DELLE VEDOVE e GEMMATO. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   i dispositivi di protezione individuale (Dpi), ormai ampiamente utilizzati per la protezione delle vie respiratorie contro la diffusione del COVID-19 devono essere conformi ai requisiti previsti dalle specifiche tecniche della normativa dell'Unione europea, implementata a livello nazionale con il decreto legislativo 4 dicembre 1992, n. 475 e successive modificazioni;

   le mascherine chirurgiche anch'esse ormai utilizzate su tutto il territorio nazionale per limitare la diffusione del COVID-19 sono invece dispositivi medici e, in quanto tali, devono rispettare i requisiti tecnici richiesti dalla normativa europea – direttiva 93/42/CEE e regolamento (UE) 2017/745 - per ottenere la marcatura CE;

   nella fase iniziale della pandemia, il Governo ha definito una serie di norme di deregolamentazione dei requisiti tecnici dei Dpi e delle mascherine, al fine di favorire l'approvvigionamento di un quantitativo sufficiente dispositivi per coprire l'intera popolazione italiana. Il decreto-legge «Cura Italia» decreto-legge n. 17 marzo 2020, n. 18) ha infatti consentito di produrre importare e immettere in commercio mascherine chirurgiche e Dpi in deroga alle vigenti disposizioni, trasmettendo all'Inail apposite autocertificazioni sul rispetto dei requisiti tecnici. Il medesimo decreto-legge ha anche consentito di fare ricorso alle mascherine chirurgiche, quale dispositivo idoneo a proteggere gli operatori sanitari, anche se prive del marchio CE, previa valutazione da parte dell'Istituto superiore di sanità;

   questa deregolamentazione ha favorito l'ingresso sul territorio nazionale di un enorme quantitativo di dispositivi di dubbia capacità filtrante – utilizzati anche dal personale sanitario – che, creando delle false aspettative sul reale livello di protezione del dispositivo, espongono gli utenti ad un potenziale rischio di contagio;

   secondo quanto riportato dalla Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri sono stati superati i trecentoquaranta morti tra medici e odontoiatri, mentre la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche denuncia che nel 2020 sono morti per COVID-19 ottantuno infermieri e sono quasi ottantamila quelli contagiati;

   a differenza di altri Paesi europei che hanno già posto la parola «fine» alla deregolamentazione dei requisiti tecnici di tali dispositivi, con il decreto-legge «proroga termini» n. 183 del 2020 l'Italia ha ulteriormente prorogato fino al 30 aprile 2021 la validità delle deroghe sopra chiamate;

   ora che nel nostro Paese è stato raggiunto un numero idoneo di dispositivi di protezione delle vie respiratorie adeguato alla popolazione, si rende necessario ripristinare il normale quadro normativo sui requisiti dei dispositivi, abbandonando una logica emergenziale e favorendo così la protezione di chiunque li indossi –:

   se non si intendano assumere le iniziative di competenza per lo svolgimento di una indagine nazionale sulla qualità dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie presenti nel nostro Paese, con particolare riferimento a quelli in dotazione al personale sanitario e sociosanitario;

   se non si ritenga opportuno adottare iniziative per ripristinare il quadro normativo sui requisiti tecnici dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie precedente alla diffusione della pandemia da COVID-19 abbandonando definitivamente una logica emergenziale.
(5-05582)


   DE FILIPPO, CARNEVALI e SIANI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   l'emergenza pandemica da COVID-19 ha esposto in maniera crescente le persone con patologie croniche e cardiovascolari. Secondo l'Istituto superiore di sanità i pazienti positivi al COVID-19 con disfunzioni legate a malattie cardiovascolari, hanno una probabilità ben più alta di contrarre una forma severa dell'infezione e, conseguentemente, una probabilità maggiore di decesso;

   durante la pandemia, è emersa con forza la necessità di salute di pazienti «non COVID» affetti da patologie oncologiche e croniche per le quali è venuta meno la continuità terapeutica ed assistenziale;

   ancora oggi, per molti dei farmaci destinati alle cure delle patologie sopramenzionate il canale distributivo principale è quello ospedaliero. Numerose associazioni di pazienti hanno lamentato, però, la rinuncia dei pazienti a recarsi nelle farmacie ospedaliere, per timore del contagio;

   è stato segnalato come – fermi i criteri di economicità e di non difficoltosa reperibilità del farmaco sanciti dalla legge n. 405 del 2001 per cui si ha la distribuzione diretta – questa venga proposta indipendentemente dal follow up clinico per i pazienti e solo per fini organizzativi;

   al fine di garantire una maggiore facilità di accesso alle cure per i pazienti fragili, l'articolo 8, comma 5-bis e 5-ter, del decreto-legge n. 34 del 2020 ha previsto due elementi di novità in termini di cambiamento del canale distributivo di farmaci e di semplificazione degli strumenti di monitoraggio dei farmaci previsti da AIFA;

   in base al comma 5-bis, le regioni per i farmaci di distribuzione diretta possono provvedere a modificare il regime distributivo attraverso la cosiddetta distribuzione per conto (Dpc), secondo condizioni modalità e criteri stabiliti con decreto del Ministro della salute di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze e di intesa con la Conferenza Stato-regioni affinché il paziente possa ritirare il farmaco nelle farmacie aperte al pubblico;

   in base al comma 5-ter si prevede che l'Aifa entro 30 giorni dall'entrata in vigore della legge individui l'elenco dei medicinali soggetti a registro di monitoraggio, per cui si ritenga che le condizioni di appropriatezza e di controllo dei profili di sicurezza possa essere svolta dai piani terapeutici;

   ad oggi, nessuna delle due norme ha trovato applicazione e permangono i problemi per i pazienti cronici che preferiscono abbandonare la terapia per non recarsi in ospedale;

   a questa restrizione viene segnalata un'ulteriore problematica relativa al passaggio con modalità Spid o Cns per l'accesso ai piani terapeutici Aifa web based e registri di monitoraggio previsti dall'articolo 24, comma 4, del decreto-legge «semplificazioni» n. 76 del 2020;

   il passaggio alla identità digitale rappresenta un ulteriore adempimento burocratico ad un sistema già complesso con la possibilità concreta che alcuni medici non riescano ad ottemperare in tempo, con conseguente discontinuità terapeutica per i pazienti, anche se Aifa ha precisato che eventuali blocchi di natura informatica nei registri non giustificano il ritardo o l'impedimento dei trattamenti clinici che devono essere sempre comunque garantiti –:

   quali siano i motivi del ritardo nell'emanazione del decreto ministeriale previsto dall'articolo 8, comma 5-bis, in tema di distribuzione di farmaci, e della determina dell'Aifa;

   se non ritenga opportuno dare attuazione all'articolo 8, comma 5-ter del decreto-legge n. 34 del 2020 convertito dalla legge n. 77 del 2020, per superare le disomogeneità territoriali e superare i limiti di natura amministrativa relativa ai piani web-based ed ai registri di monitoraggio, per consentire un adeguato accesso alle terapie e la conseguente continuità terapeutica dei pazienti;

   se non ritenga opportuno, al fine di garantire la continuità terapeutica ed evitare ulteriori rinunce alle cure, adottare iniziative per definire le modalità di implementazione del passaggio tra i diversi sistemi telematici di registrazione e consultazione dei piani terapeutici e registri e, nel caso di mancata adozione da parte dei medici nei termini previsti dell'identità digitale, quale sia il percorso che garantisca la continuità di cura.
(5-05583)


   COLLETTI e SAPIA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   in data 11 marzo 2021 è stato pubblicato il decreto legislativo 2 febbraio 2021, n. 27, finalizzato ad adeguare e raccordare le disposizioni nazionali vigenti alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/625, regolamento emanato affinché si delinei, a livello europeo, un'organizzazione dei controlli ufficiali nella filiera agroalimentare;

   il suddetto decreto, che avrebbe dovuto dare mera esecuzione alle disposizioni contenute nella fonte europea, tuttavia presenta una modifica rispetto allo schema di decreto che il Governo ha fatto pervenire al Parlamento in vista del parere;

   una modifica, meglio una abrogazione tout court delle sanzioni di carattere penale – preventivo – poste a tutela del consumatore e contenute nella legge 30 aprile 1962 n. 283 (disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande), nonostante la modifica della legge n. 283 del 1962 non venga minimamente contemplata nell'ambito della legge delega la quale, invero, consente l'abrogazione solo di quelle disposizioni interne in contrasto con quelle regolamentari riferite al settore dei controlli ufficiali;

   la norma, cosiddetta aggiunta, è quella contenuta nell'articolo 18, comma 1, lettere b) e c), che abroga l'impianto repressivo previsto per le cosiddette frodi tossiche ad opera degli stabilimenti;

   da più parti sono state sollevate aspre critiche, finanche da parte dell'ufficio del massimario della Corte di cassazione di assurdità e pericolosità dell'abrogazione, oltre che di illegittimità costituzionale dell'abrogazione per eccesso di delega da parte del Governo –:

   se il Governo non intenda fornire chiarimenti in ordina alla modifica normativa in questione, anche con riguardo al Ministero dal quale sarebbe stata avanzata la richiesta di abrogare le fattispecie penali contenute nella legge n. 283 del 1962.
(5-05587)

Interrogazione a risposta scritta:


   VIETINA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il grave fenomeno della carenza di medici di base è un problema nazionale e regionale, in particolare delle zone montane e di quelle considerate «disagiate»;

   i dati fotografano una situazione molto allarmante: tra il 2018 e il 2022 si sono registrati tantissimi pensionamenti di medici di famiglia e il trend è destinato ad aumentare;

   nel 2022 hanno considerato di «picco» si stimano in tutta Italia circa 3.902 nuovi pensionamenti e il problema maggiore è costituito dal fatto che alle uscite non corrispondono adeguate entrate di forze giovani;

   il fenomeno del cosiddetto «collo di bottiglia» sembra inarrestabile e il rischio è quello di mettere a repentaglio il diritto alla salute dei cittadini;

   la situazione diffusa in tutta la nazione si aggrava sui territori già penalizzati dalla carenza di servizi ed infrastrutture ed abitati prevalentemente da anziani;

   in particolar modo, in questo periodo in cui il COVID-19 sta mietendo vittime e procurando tanta paura e incertezza, lasciare i cittadini a maggior ragione se anziani e fragili, senza l'assistenza del proprio medico di famiglia è grave ed inaccettabile;

   è assolutamente necessario che il Governo intervenga con immediatezza per riorganizzare il sistema in questione e garantire il rispetto del diritto di ciascuno alla salute e alle cure –:

   i se, e in che tempi, il Ministro intenda adottare iniziative, per quanto di competenza, per agevolare il reclutamento dei medici di base, prevedendo anche incentivi economici e di carriera per coloro i quali scelgono di operare nei territori più disagiati.
(4-08704)

TRANSIZIONE ECOLOGICA

Interrogazione a risposta scritta:


   LABRIOLA. — Al Ministro della transizione ecologica, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, del 1o marzo 2019, n. 46, contiene norme relative agli interventi di bonifica, di ripristino ambientale e di messa in sicurezza, d'emergenza, operativa e permanente, delle aree destinate alla produzione agricola e all'allevamento, ai sensi dell'articolo 241 del codice dell'ambiente (decreto legislativo n. 152 del 2006);

   il citato decreto ministeriale individua, tra l'altro, i criteri generali per la caratterizzazione delle aree agricole, nonché stabilisce le concentrazioni soglia di contaminazione Csc per i suoli delle aree agricole;

   come riporta anche l'articolo del 9 gennaio 2021 pubblicato sul sito «peacelink.it», il suddetto decreto ministeriale fissa il limite della diossina per i terreni di pascolo a 6 ng/kg, ma questi limiti stabiliti in realtà non obbligano lo Stato a bonificare i pascoli di Taranto su cui si sono contaminati gli animali al pascolo;

   si ricorda che l'area di Taranto è stata dichiarata nel 1990 «ad elevato rischio di crisi ambientale», e questo territorio vive da anni di una crisi ambientale gravissima, conseguenza di una notevole concentrazione di insediamenti industriali ad alto impatto ambientale, ma soprattutto della presenza sul territorio del più grande stabilimento siderurgico d'Europa, l'ex Ilva;

   l'articolo suindicato sottolinea con preoccupazione un paradosso, per il quale: a) questo decreto contiene il valore massimo da non superare per la diossina dei terreni; b) viene fissato a 6 nanogrammi per chilogrammo di terra; c) a Taranto i valori sono generalmente inferiori nei pascoli; d) tuttavia pascolare su quei terreni è pericoloso perché le pecore si contaminano con la diossina sotto i 6 nanogrammi e quindi c'è il divieto imposto dalla Regione Puglia. Il paradosso è che sui pascoli dove si contaminano pecore e capre con la diossina, il Ministero dell'ambiente non ha previsto l'obbligo di bonifica. Quindi con questo valore praticamente i terreni di Taranto non verranno mai bonificati, ma al contempo rimarrà il divieto di pascolo per evitare che gli animali si contaminino. Una contraddizione assurda. Perché i casi sono due: o quel valore di 6 nanogrammi tutela la sicurezza alimentare (latte, formaggi, carne) oppure va rivisto perché non è un limite che ci tutela. E purtroppo se gli animali pascolano su terreni dove c'è ad esempio un valore di 5 allora si contaminano, lo si è visto a Taranto –:

   se quanto segnalato in premessa risponda al vero se non si intendano adottare quanto prima, iniziative di competenza a tutela della salute pubblica.
(4-08708)

UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   FUSACCHIA, FIORAMONTI, MURONI, LOMBARDO e CECCONI. — Al Ministro dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   la pandemia dovuta alla diffusione del COVID-19 ha causato notevoli disagi agli studenti universitari, a livello psicologico ed economico, rendendo più difficile proseguire il proprio percorso di studi;

   per aiutare quegli studenti che a causa della pandemia avevano rallentato i propri studi e per evitare che questi dovessero procedere, per completare il proprio percorso, all'iscrizione a un nuovo anno accademico, con pagamento delle relative tasse universitarie, la Camera dei deputati ha approvato, in sede di conversione, un emendamento al decreto-legge 31 dicembre 2020, n. 183, noto anche come «decreto Milleproroghe», che ha previsto la proroga dell'anno accademico 2019/20 dal 31 marzo 2021 al 15 giugno 2021;

   pervengono numerose segnalazioni da parte di studenti di università private e di università telematiche rispetto alla mancata applicazione della proroga e alla conseguente richiesta di reiscrizione –:

   quale sia l'ambito di applicazione di tale proroga e, in particolare, se si applichi a tutte le università e quindi anche alle università private e alle università telematiche.
(4-08709)

Apposizione di firme ad interpellanze.

  L'interpellanza urgente Fitzgerald Nissoli e altri n. 2-01148, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 marzo 2021, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Siragusa Ungaro, Di San Martino Lorenzato di Ivrea.

  L'interpellanza urgente Villani e altri n. 2-01149, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 marzo 2021, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Micillo, Tofalo, Menga, Sapia, Del Sesto, Maglione, Spadafora, Di Sarno, Bruno, Caso, Giordano, Del Monaco, Amitrano, Manzo, Barbuto.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta orale Leda Volpi ed altri n. 3-02126, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 marzo 2021, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Nappi.

  L'interrogazione a risposta immediata in assemblea Spena e altri n. 3-02127, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 marzo 2021, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Ferraioli, Casciello, Sibilia, Fasano.

  L'interrogazione a risposta orale Giacomoni n. 3-02137, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 marzo 2021, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Occhiuto, Cannizzaro, D'Attis, Mandelli, Pella, Prestigiacomo, Paolo Russo, Angelucci, Baratto, Cattaneo, Giacometto, Martino, Porchietto.

  L'interrogazione a risposta scritta Tiramani n. 4-08690, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 marzo 2021, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Caparvi.

  L'interrogazione a risposta immediata in commissione Sangregorio e Gagliardi n. 5-05562, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 marzo 2021, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Pastorino.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Ianaro n. 1-00423, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 461 del 23 febbraio 2021.

   La Camera,

   premesso che:

    il 25 e 26 marzo i Capi di Stato e di Governo dell'Unione europea si riuniranno in videoconferenza per discutere anche del tema della pandemia di COVID-19;

    sulla pandemia del Covid-19, il Consiglio europeo farà il punto sulla diffusione dei vaccini e sulla situazione epidemiologica e proseguirà i lavori per fornire una risposta coordinata alla crisi pandemica;

    il 17 giugno la Commissione europea ha presentato una strategia europea sui vaccini per accelerare lo sviluppo, la produzione e la distribuzione di vaccini anti COVID-19. Vaccini sicuri, efficace e accessibili sono la nostra migliore risposta per superare la pandemia;

    il mancato rispetto degli impegni contrattuali sulle forniture di vaccini richiede una reazione europea forte e coordinata;

    in questo quadro, il 2 marzo 2021 è stata notificata da parte italiana ad AstraZeneca il diniego all'esportazione verso l'Australia di 250.700 dosi di vaccino sulla base del Regolamento UE 2021/111 della Commissione Europea;

    è urgente avviare investimenti per rendere l'Europa autosufficiente nella realizzazione e produzione di vaccini e, a questo fine, il 12 marzo scorso è stato concluso il primo contratto tra un'azienda italiana e un'azienda titolare di un brevetto e la Commissione europea ha istituito una Task Force, guidata dal Commissario al Mercato Unico, Thierry Breton, per rafforzare la produzione continentale;

    il 4 marzo 2021, il Ministro dello sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, ha incontrato a Roma il Commissario Ue Thierry Breton responsabile della task force europea sui vaccini, per discutere del piano europeo di rafforzamento per la produzione di vaccini;

    gli sforzi europei si iscrivono nel contesto delle iniziative globali per superare la pandemia e a questo fine l'UE e i Paesi europei partecipano al dispositivo COVAX per assicurare lo sviluppo, la produzione e un accesso equo ed universale ai vaccini anti COVID-19;

    l'Italia è impegnata in prima fila a sostegno del contrasto globale alla pandemia con l'organizzazione del «Global Health Summit» il 21 maggio 2021 e con la Presidenza del G20,

impegna il Governo a:

1) sulla lotta al COVID-19, rafforzare la Strategia europea per i vaccini volta a garantire la produzione e la distribuzione di vaccini sicuri ed efficaci, nonché proseguire sulla strada del coordinamento a livello europeo, in quanto un approccio comune e condiviso da tutti gli Stati membri è auspicabile per garantire il successo della strategia europea contro la pandemia e di tutte le iniziative volte a contrastare la diffusione del virus;

2) assicurare, in raccordo con la Commissione Europea, lo sviluppo della capacità industriale interna all'Unione Europea e rafforzando il suo potenziale di ricerca con la nascita dell'incubatore HERA nonché quella mirante alla produzione di vaccini Covid-19 nel territorio italiano;

3) sostenere progetti che mirino, all'autosufficienza europea nello sviluppo di biofarmaci e vaccini innovativi, nonché nella creazione e produzione sul territorio, di vaccini e medicinali, anche attraverso strumenti di partenariato pubblico-privato;

4) continuare ad operare in stretto coordinamento con la Commissione Europea per la corretta applicazione del Reg. UE 2021/442, ai fini di assicurare che le compagnie farmaceutiche che abbiano sottoscritto con la Commissione accordi di pre-acquisto di vaccini agiscano in maniera trasparente e nel rispetto degli impegni presi, sia dal punto di vista della tempistica delle consegne che della quantità di vaccini promesse e effettivamente fornite, e garantire che le compagnie medesime provvedano al trasferimento tecnologico necessario alla produzione dei vaccini nei siti produttivi che garantiscano la capacità produttiva e l'eventuale riconversione degli impianti esistenti;

5) lavorare in ambito europeo per accelerare le procedure di autorizzazione dei vaccini in tempo di emergenza pandemica senza far venir meno gli standard di sicurezza e qualità;

6) proseguire gli sforzi in ambito europeo per supportare gli strumenti di solidarietà internazionale nei confronti dei Paesi terzi ed in particolare di quelli vulnerabili, a partire dalla COVAX Facility, per assicurare un equo ed efficace accesso ai vaccini su scala globale, senza mai far venir meno la massima credibilità e priorità dell'Unione nei confronti dei propri cittadini, cui deve essere garantito l'accesso al vaccino nel più breve tempo possibile;

7) adoperarsi nel quadro dell'Unione Europea e dell'OMC affinché il sistema commerciale multilaterale basato sulle regole, ivi comprese le flessibilità offerte dall'accordo TRIPS, possa sostenere al meglio l'accesso universale ed equo ai vaccini e ai trattamenti COVID-19. In questo contesto, operare in seno all'Unione Europea affinché l'OMC possa derogare temporaneamente per i vaccini anti-COVID 19 al regime ordinario dell'Accordo TRIPS sui brevetti o altri diritti di proprietà intellettuale, tenendo conto dell'equilibrio tra la protezione della proprietà intellettuale e l'accesso universale diffuso ai vaccini ed ai farmaci anti-COVID 19, con l'obiettivo di fornire una risposta robusta e rapida alla pandemia;

8) agire sia in ambito UE che OMC per trovare soluzioni che facilitino la collaborazione con l'industria farmaceutica al fine di aumentare la capacità di produzione dei vaccini COVID-19 in tutto il mondo, attraverso accordi di licenza anche al fine di esportare i vaccini in qualsiasi Paese a basso e medio reddito senza capacità di produzione;

9) confermare l'obiettivo di un graduale ritiro delle misure restrittive alla libera circolazione in Europa, sempre alla luce della situazione epidemiologica;

10) affermare il ruolo centrale degli strumenti messi in campo da «Next Generation EU» per favorire le azioni di contrasto alla pandemia e la realizzazione di infrastrutture idonee a prevenire e contrastare nel futuro analoghi fenomeni;

11) sostenere nelle competenti sedi europee l'istituzione di un certificato vaccinale verde che possa facilitare, all'esito e al completamento della campagna di vaccinazione, tanto i viaggi di lavoro quanto di turismo.
(1-00423) «Ianaro, Rizzo Nervo, Stumpo, Noja, Boldi, Bagnasco, Cecconi, Silli, Lapia, Tasso, Emanuela Rossini, Lupi, Rossello».

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Polidori n. 1-00433, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 471 del 19 marzo 2021.

   La Camera,

   premesso che:

    a quasi un anno dalla comparsa della pandemia in Italia, diversi studi e analisi mettono in evidenza il peso che le differenze di genere hanno avuto sugli impatti sociali, economici e sanitari del Covid-19; la pandemia ha colpito in modo particolare le donne, che si sono ritrovate esposte su molteplici fronti: economico, familiare e sanitario;

    le donne hanno rappresentato un vero e proprio pilastro nella lotta alla pandemia: in particolare nel settore sanitario, più presenti nei comparti esposti al rischio di contagio, in prima linea nelle famiglie con figli più piccoli, dove il susseguirsi di «zone rosse» e «quarantene» ha comportato la chiusura delle scuole in presenza, aggravando il carico familiare e di cura quasi esclusivamente sulle loro spalle;

    d'altro canto, nel settore dell'occupazione, le donne hanno pagato più di tutte le ripercussioni derivanti dall'epidemia ancora in corso: secondo l'ultimo report Istat sul lavoro, reso noto il 1° febbraio 2021, nell'ultimo mese del 2020 ci sono stati 101 mila occupati in meno e di questi 99 mila sono donne;

    i dati mostrano una situazione allarmante tanto che dei 444 mila occupati in meno registrati in Italia in tutto il 2020, il 70 per cento è costituito da donne. Nel dettaglio, il solo mese di dicembre 2020 mostra rispetto a novembre una dinamica decisamente diversa tra donne e uomini: per le prime cala il tasso di occupazione (-0,5 punti) e cresce quello di inattività (+0,4 punti), per i secondi la stabilità dell'occupazione si associa al calo dell'inattività (-0,1 punti);

    nonostante per fronteggiare l'emergenza epidemiologica siano state adottate svariate misure di sostegno, tra le quali i congedi parentali straordinari ed il bonus baby sitter, fra l'altro reiterate nell'ambito del decreto-legge del 13 marzo 2021, n. 30, la chiusura delle scuole e l'impossibilità di accedere ai servizi educativi per l'infanzia continua a gravare sulle donne. Il notevole aumento dei carichi familiari impatta negativamente sulla reale possibilità di un equilibrato bilanciamento vita-lavoro, a discapito della condizione lavorativa delle donne;

    la pandemia sta agendo in un contesto dove la disparità di genere nel settore occupazionale rappresentava una criticità già prima dell'emergenza sanitaria: il Censis fino all'inizio del 2020 rilevava che le donne rappresentano circa il 42 per cento degli occupati complessivi del Paese e il tasso di attività femminile era intorno al 56 per cento, contro il 75 per cento degli uomini;

    la nota dolente del nostro Paese continua infatti a essere l'occupazione, che è la peggiore in tutta Europa: solo il 31,3 per cento delle donne ha un lavoro a tempo indeterminato, contro la media europea del 41,5 per cento e lo stipendio medio femminile resta uno dei più bassi d'Europa ed è di un quinto inferiore rispetto a quello degli uomini;

    la disparità tra donne e uomini si spiega con la qualità degli impieghi in cui sono maggiormente coinvolte le donne, in media più precari, meno tutelati e sempre più interessati dal ricorso al part time involontario, cioè a un part time imposto dal datore di lavoro, come confermano i dati Istat;

    le donne, in Italia, hanno anche molte meno prospettive di carriera rispetto al resto del continente: il Career Prospects Index dell'Eige, che valuta l'autonomia nel lavoro, le tipologie di contratto, le possibilità di avanzamento di carriera e la probabilità di essere licenziate in caso di ristrutturazione aziendale, assegna al nostro Paese un punteggio di 52 su 100, contro la media europea di 64;

    secondo l'ultimo Global Gender Gap Report 2020 del World Economic Forum ci vorranno 99,5 anni per raggiungere la parità tra uomini e donne e per la parità a livello di accesso alla partecipazione economica 257 anni;

    a ciò si aggiunga che i dati del World Economic Forum dimostrano che se nel 2018 l'Italia aveva raggiunto il 70esimo posto (dall'82esimo del 2017), nel 2019 siamo scivolati al 76esimo posto su 153 Paesi. Da un'analisi dei dati il problema si registra principalmente in merito alle opportunità e sulla partecipazione alla vita economica, a cui fa seguito la disparità di trattamento salariale che relega l'Italia al 125esimo posto in una lista di 153 Paesi;

    le difficoltà si rintracciano nei posti di lavoro in cui sono maggiormente rappresentate le donne – nel commercio al dettaglio e nel settore impiegatizio – più penalizzati dalla progressiva automazione mentre non rientrano in quelle professioni dove la crescita dei salari è stata più significativa (nel settore STEM in particolare);

    oltre ad avere difficoltà nell'accesso al mercato del lavoro, le donne scontano anche le problematiche legate al bilanciamento vita-lavoro: a livello globale, il lavoro di cura non retribuito è svolto per il 75 per cento dalle donne, che vi dedicano dalle tre alle sei ore al giorno mentre il numero di donne che lavorano part time è il 32,9 per cento del totale delle occupate;

    ancora oggi, purtroppo, per molte donne lavorare e formare una famiglia rimangono due percorsi paralleli e spesso incompatibili: per questo una donna occupata su tre (il 32,4 per cento, cioè più di 3 milioni di lavoratrici) ha un impiego part time (nel caso degli uomini questa percentuale si riduce all'8,5 per cento), che molto spesso viene scelto per mancanza di alternative da circa due milioni di lavoratrici ed è involontario per il 60,2 per cento delle donne che, invece, lo richiede;

    sono quasi 6 milioni le donne italiane che hanno figli minori e che allo stesso tempo lavorano e tra quelle occupate con almeno tre figli quasi 1,3 milioni lavora a tempo pieno e 171.000 (l'85 per cento del totale delle occupate) sono dirigenti, quadri o imprenditrici;

    è necessario insistere con l'adozione di misure strutturali volte a favorire la creazione di un quadro certo su cui le donne possono fare affidamento per la costruzione del loro progetto di vita;

    in questa prospettiva, due sembrano le criticità sulle quali è doveroso operare in maniera strutturale e di lungo periodo: il problema dei carichi familiari e la scarsa copertura dei servizi di asili nido e di scuole per l'infanzia, attuando politiche della famiglia indirizzate alla piena possibilità di poter armonizzare la vita familiare con la vita sociale, lavorativa e relazionale, affinché l'indispensabile sostegno al contrasto alla denatalità possa svilupparsi anche attraverso l'implementazione di politiche di conciliazione dei tempi di lavoro con quelli della famiglia e di strategie family friendly, anche attraverso la promozione della condivisione tra uomini e donne delle responsabilità familiari;

    secondo l'Istat le donne presentano, infatti, una maggiore quota di sovraccarico tra impegni lavorativi e familiari: più della metà delle donne occupate (54,1 per cento) svolge oltre 60 ore settimanali di lavoro retribuito e familiare (46,6 per cento nel caso degli uomini); la presenza di forti carichi familiari si riverbera in modo decisivo sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro in ogni suo segmento: dall'ingresso alla progressione di carriera;

    la scarsa partecipazione femminile è legata in buona parte all'inadeguatezza dello politiche di welfare e del lavoro per la conciliazione dei tempi della vita lavorativa e familiare, come peraltro si sta evidenziando dall'inizio della pandemia: si è innescato un circolo vizioso per cui la conciliazione lavoro e vita privata è complicata e il reddito medio delle famiglie non è adeguato per domandare servizi privati per l'infanzia, soprattutto nel Mezzogiorno, dove la «divisione del lavoro» all'interno delle famiglie è fortemente dicotomica per genere e la partecipazione femminile al mercato del lavoro patologicamente bassa;

    di fronte a tale fenomeno è necessario intervenire con una visione di sistema: sarebbe importante un piano per le infrastrutture sociali, tramite investimenti ed assunzioni nei servizi per l'assistenza, per la prima infanzia, per il tempo pieno e l'insegnamento di sostegno specializzato, individuando il fabbisogno delle nuove professionalità necessarie. Un simile intervento potrebbe agire da moltiplicatore: riducendo il sovraccarico di lavoro e di cura delle donne si aumenterebbero le loro probabilità d'ingresso e permanenza nel mondo del lavoro;

    in tal senso, si possono ritenere un punto di partenza tanto le misure contenute nel disegno di legge recante «Deleghe al Governo per il sostegno e la valorizzazione della famiglia», quanto alcune disposizioni introdotte dalla legge di bilancio 2021, quali, a titolo esemplificativo: l'istituzione del fondo per l'assegno universale per i figli a partire dal 2022, incrementato di 3 miliardi; la decontribuzione totale per le nuove assunzioni di due anni per le donne; l'aumento del congedo di paternità a 10 giorni; il finanziamento straordinario al Fondo di solidarietà comunale, con una quota destinata al potenziamento degli asili nido; l'implementazione del Fondo per le politiche della famiglia per attuare misure organizzative che favoriscano le madri che rientrano a lavoro dopo il parto; l'assegnazione di risorse aggiuntive al Fondo di sostegno al venture capital, per sostenere l'imprenditoria femminile a elevata innovazione; l'incremento di 1 milione di euro del Fondo pari opportunità della Presidenza del Consiglio volto a finanziare il reddito di libertà per favorire percorsi di autonomia e di emancipazione delle donne vittime di violenza in condizione di povertà; l'istituzione del Fondo a sostegno dell'impresa femminile con una dotazione di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021 e 2022 destinato a promuovere e sostenere l'imprenditoria femminile;

    nonostante già la legge di bilancio 2020 avesse istituito il Fondo asili nido e scuole dell'infanzia e centri polifunzionali, con una dotazione pari a 100 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2021 al 2023 e a 200 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2024 al 2034, per un totale complessivo di 2,5 miliardi di euro, ad oggi l'offerta disponibile di posti nei servizi educativi per la prima infanzia è in media pari al 25,5 per cento, 7,5 punti percentuali in meno rispetto all'obiettivo europeo del 33 per cento, e la stessa presenta una significativa variabilità a livello territoriale (secondo lo studio Dipofam-Istat-Unive (2020), su dati relativi all'anno educativo 2017/2018, solo il 10 per cento dei bambini in Calabria frequenta un nido, contro il 47,1 per cento della Valle d'Aosta);

    allo scopo, una razionale ed efficiente gestione dei fondi del Next Generation EU rappresenta un'opportunità estremamente importante per raggiungere un livello di offerta media nazionale che superi l'obiettivo europeo di Barcellona del 33 per cento e si avvicini ad altri Stati membri virtuosi, come la Spagna (50,5 per cento) e la Francia (50 per cento);

    l'accesso delle donne alle posizioni apicali resta ancora molto basso, soprattutto nelle aziende private: secondo dati Istat del 2019 la percentuale di dirigenti donna è del 32 per cento quella dei quadri il 46 per cento;

    a tal proposito il principio della parità di genere ha avuto un significativo riconoscimento con la cosiddetta legge Golfo-Mosca (legge n. 120 del 2011), la cui validità è stata prorogata dal decreto-legge n. 124 del 2019 e modificata dalla legge di bilancio 2020 con cui è stata aumentata, per le società quotate in borsa, la quota da riservare al genere meno rappresentato da un terzo (30 per cento) a due quinti (40 per cento);

    si tratta di una battaglia bipartisan proseguita nella presente legislatura che ha avuto il merito di cambiare in modo decisivo l'atteggiamento degli operatori di mercato nei confronti del gender board diversity, la vigenza della legge citata è utile per permettere a quelle donne che stanno maturando esperienze nella governance di quotate di conseguire gli skills professionali necessari per accedere anche a ruoli apicali esecutivi o di massima rappresentatività;

    ma sul nostro Paese pesa anche il divario salariale tra uomini e donne a parità di livello e di mansioni tanto che più le donne studiano, più aumenta il divario: se un laureato uomo guadagna il 32,6 per cento in più di un diplomato, una laureata guadagna solo il 14,3 per cento in più;

    la Commissione lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati ha avviato, sul tema della parità salariale, dell'occupazione e dell'imprenditoria femminile, l'esame di alcune proposte di legge che intervengono sulla materia e delle quali si auspica una rapida approvazione;

    il gender pay gap cresce al diminuire della categoria contrattuale ed è più alto fra impiegati e operai, che tra dirigenti e quadri: a parità di inquadramento contrattuale, le donne hanno sempre una retribuzione inferiore rispetto ai colleghi uomini;

    una donna guadagna meno di un collega maschio sia a parità di ruolo professionale che a parità di settore d'impiego: da un'analisi statistica condotta da Jobpricing nel 77,8 per cento dei casi gli uomini hanno retribuzioni superiori alle donne e questa situazione è estesa a tutti i settori professionali;

    la questione della parità salariale e occupazionale tra donne e uomini assume una rilevanza strategica anche in riferimento alla violenza domestica soprattutto in quei casi in cui le donne che hanno subìto violenza non trovano il coraggio di denunciare le violenze subite nel timore di non trovare una propria autonomia anche dal punto di vista economico;

    le linee su cui intervenire sono note e poggiano su alcuni interventi prioritari come il superamento del gender pay gap come già previsto dal decreto legislativo n. 198 del 2006, che vieta qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata sul sesso rispetto non solo alla retribuzione ma anche all'accesso al lavoro, alla carriera, alle condizioni lavorative. Una finalità che, tuttavia, risulta ancora lontana dall'essere raggiunta e che va perseguito con il potenziamento delle norme che ne rendano finalmente cogente l'applicazione;

    la Commissione XI della Camera dei deputati ha da tempo avviato un approfondito intervento legislativo per l'implementazione delle suddette disposizioni, votando all'unanimità il 4 novembre 2020 un testo base sulla parità salariale, e se ne auspica un ravvicinato completamento;

    nelle fasi più acute della pandemia si è registrato un preoccupante quanto allarmante incremento di episodi di violenza domestica nei confronti dei più fragili e in particolare delle donne: purtroppo la violenza sulle donne è una piaga che non arresta a fermarsi e l'emergenza sanitaria ha creato e amplificato le tensioni familiari, e il confinamento, necessario per rallentare la diffusione del COVID-19, ha peggiorato le situazioni di abuso domestico;

    gli ultimi dati Istat rilevano come il 31,5 per cento delle donne dai 16 a 70 anni ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale: il 20,2 per cento ha subito violenza fisica, il 21 per cento violenza sessuale, il 5,4 per cento le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro e il tentato stupro;

    dall'indagine dell'Istat, che ha analizzato i dati relativi al numero antiviolenza 1522, è emerso che nel periodo del lockdown (marzo-giugno 2020) le telefonate al call center e le richieste di aiuto via chat siano passate da 6.956 a 15.280 rispetto allo stesso trimestre dell'anno precedente, con un aumento del 119,6 per cento;

    uno degli aspetti più rilevanti nell'analisi Eures riguarda la «correlazione tra convivenza e rischio omicidio» considerato che il più delle volte il femminicidio è un reato commesso all'interno delle mura domestiche e segnatamente all'interno della coppia;

    in valori assoluti, nel confronto tra i dieci mesi del 2019 e il medesimo periodo del 2020, il numero dei femminicidi familiari con vittime conviventi sale da 49 a 54 (+10,2 per cento) mentre contestualmente scende da 36 a 26 quello delle vittime non conviventi (-27,8 per cento);

    nella maggior parte dei casi gli autori dei crimini così efferati sono soprattutto il partner attuale (nel 58,4 per cento dei casi), l'ex partner (15,3 per cento) e un familiare, come un genitore a un figlio (18,8 per cento);

    dal punto di vista delle risorse finanziarie, un'indagine svolta da Actionaid sui fondi antiviolenza nazionali ripartiti tra le regioni ha rilevato che solo il 10 per cento dei fondi del 2019, nonostante la pandemia, siano arrivati direttamente ai Centri antiviolenza per rispondere ai nuovi bisogni delle strutture di accoglienza;

    nonostante il 2 aprile 2020 il Ministro competente abbia adottato un decreto per semplificare le procedure di trasferimento delle risorse per il 2019 prevedendo anche la possibilità di usare i fondi destinati al Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, ai sensi della legge 15 ottobre 2013, n. 119, per coprire le spese dell'emergenza sanitaria, a distanza di sei mesi dall'incasso delle risorse, solo cinque Regioni hanno erogato i fondi (Abruzzo, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Molise e Veneto);

    la situazione non sembra migliorare rispetto agli anni precedenti: al 15 ottobre 2.020 solamente il 72 per cento delle risorse per il 2015-2016 è stato liquidato dalle regioni, il 62 per cento di quelle del 2017 e il 39 per cento per il 2018: nonostante le regioni negli ultimi tre anni abbiano fatto qualche passo in avanti, i fondi ci mettono ancora dai 10 ai 12 mesi per arrivare direttamente nelle casse dei centri antiviolenza;

    dalle ultime rilevazioni dell'Istat emerge una evidente carenza delle Case rifugio sull'intero territoriale nazionale tanto che circa 272 quelle attive in Italia, pari a 0,04 Case per 10 mila abitanti (232 nel 2017);

    la loro presenza è molto differenziata nel territorio: il 36 per cento delle Case Rifugio è attiva nel Nord-est, in particolare nel Friuli Venezia Giulia e in Emilia-Romagna, il 32,4 per cento nel Nord-ovest, con la Lombardia che da sola conta 57 Case Rifugio attive, e il 17,1 per cento al Centro Italia, con la Toscana in cui sono presenti 21 Case Rifugio a fronte delle sole 6 dislocate in tutto il Lazio. Nelle altre regioni la presenza di Case Rifugio è molto più bassa;

    l'89,6 per cento delle Case che hanno partecipato all'indagine ISTAT aderisce a una rete territoriale antiviolenza, il 4,1 per cento non vi aderisce e un restante 6,3 per cento non aderisce perché nel 2018 questa rete non esisteva sul proprio territorio; in particolare, tutte le Case Rifugio del Nord-ovest, l'87,5 per cento di quelle del Nord-est, il 92,1 per cento di quelle del Centro Italia e il 90 per cento di quelle attive nelle isole aderiscono a una rete territoriale per contrastare a violenza contro le donne;

    una forma di violenza molto diffusa e difficile da riconoscere, esplicitamente citata nella Convenzione di Istanbul, è la violenza economica. Una delle ragioni per cui le donne faticano a denunciare le violenze subìte nello stesso ambito familiare sono le difficoltà economiche legate a percorsi di fuoriuscita dalla relazione, soprattutto quando il partner detiene il controllo completo sulle finanze e sulle risorse familiari, cosicché molte donne, nel momento della denuncia nei confronti del partner, rischiano di perdere la casa senza più alcuna risorsa economica; in tal senso l'avvio dello strumento «Microcredito di libertà», annunciato dalla Ministra per le pari opportunità e la famiglia, rappresenta un importante primo passo nella direzione di promuovere libertà, autonomia e potenzialità delle donne;

    il rapporto del Gruppo di esperti del Consiglio d'Europa contro la violenza nei confronti delle donne (GREVIO) esorta le autorità ad adottare maggiori misure per proteggere le donne dalla violenza: il documento valuta l'attuazione da parte dell'Italia della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, nota come «Convenzione di Istanbul» e nel riconoscere i progressi compiuti per promuovere i diritti delle donne in Italia, il rapporto sottolinea che la causa dell'uguaglianza di genere incontra ancora resistenze nel Paese e che sta emergendo una tendenza a reinterpretare e riorientare la nozione di parità di genere in termini di politiche per la famiglia e la maternità;

    a ciò si aggiunga che le donne con disabilità rimangono troppo spesso ai margini: a causa del fenomeno della discriminazione multipla, non solo la loro condizione è peggiore rispetto a quella delle donne non disabili, ma lo è anche rispetto a quella degli uomini con disabilità;

    ancora oggi, prendendo in considerazione la popolazione compresa tra i 15 e i 64 anni risulta occupato solo il 31,3 per cento di coloro che soffrono di gravi limitazioni (26,7 per cento tra le donne e 36,3 per cento tra gli uomini) contro il 57,8 per cento delle persone senza limitazioni; a livello territoriale il dato peggiore è quello del Mezzogiorno dove solo 18,9 per cento delle persone con disabilità sono occupate;

    è da due a cinque volte superiore la probabilità per le donne con disabilità di essere vittime di violenza rispetto alle donne non disabili, frequentemente nell'ambito delle relazioni domestiche, a causa della posizione di maggiore fragilità e vulnerabilità sofferta;

    appare necessario e non più procrastinabile dare finalmente piena attuazione alla Convenzione Onu del 2006 sui diritti delle persone con disabilità per quanto attiene l'inclusione lavorativa delle persone con disabilità, al fine di garantire i diritti di uguaglianza e di inclusione sociale di tutti i cittadini con disabilità;

    la differenza di sesso nella disabilità condiziona anche la prospettiva di accesso alla formazione e di conseguenze anche al lavoro: le bambine e le ragazze con difficoltà, dopo l'obbligo scolastico, spesso non vengono avviate a cicli di istruzione che potrebbero garantire delle posizioni lavorative più elevate;

    anche sotto il profilo dei servizi sanitari, le donne con disabilità si trovano in condizioni di particolare svantaggio che si traducono in un deficit di accesso alle cure, con conseguenze gravi sul loro benessere e tutela della salute: ad esempio, i tassi di tumore al seno per le donne con disabilità sono molto più elevati di quelli della popolazione femminile in generale, a causa della mancanza di strutture e apparecchiature di screening e diagnosi adeguate;

    in data 15 ottobre 2019, la Camera dei deputati ha approvato le mozioni parlamentari nn. 1/00243, 1/00263 e 1/00264, in forza delle quali sono stati assunti dal Governo pro tempore precisi impegni di contrasto alla violenza, alla discriminazione multipla e per l'inclusione e la promozione della parità di genere nei confronti delle donne con disabilità;

    inoltre, negli anni molti e significativi sono stati gli interventi di natura legislativa nella direzione del rafforzamento delle misure di tutela contro la violenza sulle donne, quali, a titolo esemplificativo, le misure poste in essere contro la violenza di genere e lo stalking. C'è però ancora molto da fare: il 4 marzo 2020 la Camera dei deputati ha approvato varie mozioni a sostegno delle donne e per contrastare i fenomeni di violenza che necessitano di avere concreta attuazione;

    dal momento in cui una donna trova la forza per denunciare la violenza subita deve poter contare su un'adeguata assistenza da parte dello Stato che in questa partita gioca un ruolo cruciale su questo tema, la legislatura in corso si è caratterizzata per l'approvazione del cosiddetto «codice rosso» (legge 19 luglio 2019, n. 69), che ha visto l'inserimento in siede parlamentare di numerose proposte provenienti da Gruppi di maggioranza e opposizione. Il provvedimento ha, tra le altre cose, previsto una corsia preferenziale per le denunce, indagini più rapide sui casi di violenza alle donne e l'obbligo per i pubblici ministeri di ascoltare le vittime entro tre giorni, ed ha inoltre introdotto il delitto di revenge porn previsto una fattispecie specifica di reato, diretta a punire la «costrizione o induzione al matrimonio mediante coercizione», l'applicazione di procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici (braccialetti elettronico) nei casi di divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa; lo stanziamento di una quota pari a 3 milioni di euro per l'anno 2019 e 5 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2020 da destinare al sostegno economico delle famiglie affidatarie di orfani di crimini domestici;

    un fenomeno in crescita è quello delle donne che ricevono molestie o minacce sul luogo di lavoro: i dati Istat basati sulla rilevazione effettuata negli anni 2015-2016 danno atto che le donne che hanno subìto un ricatto sessuale nel corso della loro vita lavorativa sono un milione e 404 mila; rilevano altresì che quando una donna subisce violenza, nell'80,9 per cento dei casi non ne parla con nessuno e che solo la quota dello 0,7 per cento si è rivolta alle forze di polizia; come se non bastasse, ancora oggi, la società italiana è caratterizzata da stereotipi di genere radicati e da diffuso sessismo;

    da ultimo, ma importantissimo la per strategia futura è l'opportunità emersa con il PNRR attualmente all'esame del Parlamento. La parità di genere verrà assunta come criterio di valutazione di tutti i progetti (gender mainstreaming) e tutto il PNRR sarà caratterizzato per una strategia integrata di riforme, istruzione e investimenti in infrastrutture sociali e servizi di supporto, per una piena parità di accesso, economica e sociale, delle donne;

    questo anche in coerenza con l'indirizzo europeo che promuove questo approccio, richiesto specificatamente per i piani Recovery dalla risoluzione del Parlamento europeo del 23 luglio 2020; il regolamento del dispositivo per la ripresa e la resilienza del 12 febbraio 2021 (Regolamento (UE) 241/2021 del Parlamento e del Consiglio, al considerandum (28) ribadisce che la parità di genere e le pari opportunità sono obiettivi integrati e promossi sia nella preparazione che nell'attuazione dei piani nazionali di ripresa e resilienza,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per implementare le misure già esistenti per l'adozione di politiche attive in favore delle donne soprattutto in seguito alla crisi derivante dalla pandemia COVID-19, nonché a intervenire sulla disciplina dello smart working, al fine di garantire il diritto alla disconnessione;

2) ad adottare iniziative per prevedere le opportune misure volte a superare le condizioni di organizzazione e distribuzione del lavoro che siano, di fatto, pregiudizievoli per l'avanzamento professionale di carriera ed economico della donna;

3) ad adottare iniziative per colmare il divario retributivo tra donne e uomini, anche mediante la compiuta attuazione al Fondo per il sostegno della parità salariale di genere istituito dall'articolo 1, comma 276 e 277 della legge n. 178 del 2020, prevedendo sgravi contributivi per incentivare anche la contrattazione di secondo livello al fine di introdurre, attraverso accordi tra datori di lavoro e lavoratori, misure ad hoc di monitoraggio e di valutazione delle condizioni di lavoro e di retribuzione dei due sessi, implementando in tal senso le misure vigenti;

3-bis) a favorire, per quanto di competenza, l'adozione di una nuova disciplina in materia di superamento del divario salariale e di carriera basato sul genere, così come in via di definizione da parte della Commissione XI della Camera dei deputati;

4) ad intraprendere iniziative volte ad accelerare l'attuazione degli interventi previsti per il potenziamento e la riqualificazione di strutture destinate agli asili nido e alle scuole dell'infanzia in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, con particolare attenzione ai territori del Sud, prevedendo adeguato personale in relazione al fabbisogno territoriale;

5) ad adottare iniziative volte ad incrementare l'occupazione femminile come elemento fondamentale di emancipazione e liberazione da ogni tipo di violenza (sessuale, psicologica e economica) da intendersi soprattutto quale strumento di inclusione sociale, con particolare attenzione ai progetti rivolti alla sostenibilità ambientale;

6) ad attivarsi tempestivamente per adottare un nuovo piano d'azione nazionale contro la violenza sessuale e di genere al fine di prevenire e contrastare il fenomeno della violenza contro le donne attraverso l'informazione e la sensibilizzazione della collettività, sia mediante il potenziamento delle forme di assistenza e sostegno, sia attraverso la formazione degli operatori che interloquiscono con le donne vittime di violenze, con specifica attenzione anche alle peculiari esigenze delle donne con disabilità;

7) ad adottare iniziative per prevedere nel primo provvedimento utile, un Fondo di assistenza legale per le donne vittime di violenza e maltrattamenti, volto a sostenerne le azioni in sede giudiziaria anche nella fase preliminare all'avvio delle stesse, ivi compreso l'eventuale ricorso a consulenza in ambito civilistico o a consulenza tecnica di parte; e ad adottare a seguito dell'approvazione del Fondo, un decreto attuativo relativo ai criteri e alle modalità di ripartizione del Fondo stesso;

8) ad adottare iniziative idonee ad istituire un sistema completo di raccolta dati sugli ordini di protezione che fornisca anche informazioni sui dati statistici in ordine al numero di domande ricevute, sui tempi medi di risposta delle autorità, sul numero di ordini effettivamente attuati, sulle misure adottate per garantire un'adeguata ed efficace valutazione del rischio che corrono le donne che denunciano violenza e a dimostrare la concreta applicazione delle leggi, così, come chiesto dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa;

9) ad adottare iniziative per implementare risorse adeguate destinate alla formazione del personale impiegato nelle strutture di pubblica sicurezza, chiamato ad interagire con le donne che hanno subìto maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e lesioni aggravate, per incentivare una cultura sociale e giudiziaria orientata alla tutela della vittima;

10) ad adottare iniziative per incrementare le risorse stanziate nella legge 30 dicembre 2020, n. 178 (legge di bilancio 2021), volte a garantire indipendenza economica alle donne denuncianti (reddito di libertà);

11) ad adottare idonee iniziative di prevenzione e di sensibilizzazione contro il sessismo e l'utilizzo degli stereotipi che alimentano la vittimizzazione secondaria a tutti i livelli, con specifica attenzione ai social network, al fine di contrastare la violenza digitale e il fenomeno dell'hate speech, anche attraverso l'introduzione di meccanismi di monitoraggio e di intervento sanzionatorio;

12) ad adottare iniziative per rivedere ed adeguare i meccanismi di finanziamento statali, garantendo su tutto il territorio nazionale una presenza delle case rifugio e dei centri antiviolenza sufficiente in linea con i parametri internazionali, assicurando un costante e periodico aggiornamento della mappatura;

13) a prevedere forme di coordinamento e collaborazione tra i livelli d'intervento statali e regionali, coinvolgendo le associazioni di donne che offrono servizi specialistici, con allocazione di risorse umane, tecniche e finanziarie adeguate e stabili nel tempo per un'attuazione sistematica ed efficace delle azioni, il monitoraggio e la valutazione del loro impatto;

14) ad adottare iniziative per prevedere misure atte a far emergere il fenomeno delle molestie in ambito lavorativo, mobbing e straining, e favorire la tempestiva adozione di accordi specifici nel settore privato anche in forza della Convenzione dell'organizzazione internazionale del lavoro n. 190, ratificata dall'Italia il 12 gennaio del 2021, sull'eliminazione delle violenze e molestie nei luoghi di lavoro, in primis, disciplinando adeguatamente i relativi fenomeni, nonché a prevedere specifiche iniziative volte all'immediata implementazione della suddetta Convenzione;

14-bis) a porre in essere iniziative volte a dare piena attuazione alla Convenzione di Istanbul, rendendo omogenei, su tutto il territorio nazionale, norme e finanziamenti per le azioni di contrasto alla violenza contro le donne;

15) ad assumere iniziative volte al contrasto della discriminazione multipla cui sono soggette le minori e le donne con disabilità e a promuovere e favorire l'inclusione sociale delle donne con disabilità attraverso un effettivo inserimento nel mercato del lavoro, anche con riguardo ai congedi maternità e alla flessibilità degli orari, adottando, altresì, gli opportuni provvedimenti per estendere il concedo di paternità a 5 mesi, quale misura sperimentale per tre anni, rafforzando la normativa vigente in materia o, se necessario, attraverso ulteriori iniziative normative;

16) a promuovere iniziative nelle scuole di ogni ordine e grado per l'educazione alla parità tra i sessi, alla legalità, al rispetto della persona, nonché alla prevenzione della violenza di genere, attraverso il potenziamento di specifici percorsi di formazione del personale docente nell'ambito del piano triennale dell'offerta formativa;

17) ad attivare, con riferimento all'editoria scolastica, specifici strumenti di sensibilizzazione, formazione e monitoraggio degli operatori della filiera e degli editori in materia di inclusione e diversità;

18) ad adottare iniziative per prevedere l'attivazione di programmi di trattamento per gli uomini maltrattanti nella fase di esecuzione della pena, al fine di combattere la recidiva, garantendo la presenza di professionalità psicologiche esperte all'interno degli istituti penitenziari per consentire un trattamento intensificato cognitivo comportamentale nei confronti di questi soggetti.
(1-00433) «Polidori, Elisa Tripodi, Ravetto, Gribaudo, Annibali, De Lorenzo, Lupi, Gagliardi, Gebhard, Ferro, Davide Crippa, Boldrini, Occhiuto, Boschi, Ascari, Fregolent, Ruffino, Scutellà, D'Arrando, Maurizio Cattoi, Corneli, Brescia, Vacca, Baldino, Alaimo, Salafia, D'Orso, Palmisano, Giuliano, Ferraresi, Casa, Alemanno, Cimino, Sut, Del Sesto, Scanu, Orrico, De Carlo, Invidia, Azzolina, Barzotti, Martinciglio, Serritella, Ungaro».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in commissione Pizzetti n. 5-05148, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 441 del 10 dicembre 2020.

   PIZZETTI e SERRACCHIANI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   come molti altri settori della nostra economia, il settore del catering dal marzo 2020 è praticamente fermo, tranne un breve tregua nei mesi di luglio e di agosto 2020, a seguito delle restrizioni imposte dalle misure di prevenzione della pandemia;

   l'unico intervento di parziale indennizzo per le imprese del settore è arrivato con il cosiddetto decreto ristori che, all'articolo 1, ha disposto un contributo a fondo perduto da destinare agli operatori Iva dei settori economici interessati dalle nuove misure restrittive, identificati nel corrispondente allegato dei codici Ateco, tra i quali figura anche il codice 5621, ovvero quello riferito al servizio di catering per gli eventi;

   tuttavia, quelli che ancora rimangono senza alcuna forma di sostegno del reddito risultano essere i lavoratori impiegati in tale settore, i quali sinora non hanno recepito alcun ammortizzatore sociale, nonostante siano ormai fermi e senza retribuzione da quasi 10 mesi;

   a parere degli interroganti di tutta evidenza che si tratta di una condizione che li espone a una doppia ingiustizia che non può essere protratta e che deve trovare un'immediata soluzione, a maggior ragione, stante il protrarsi delle misure restrittive che penalizzano anche questo settore e, quindi, la preoccupante prospettiva di rimanere ancora per diversi mesi senza retribuzione e senza alcuna forma di sostegno al reddito –:

   quali urgenti iniziative intenda adottare per rimuovere gli ostacoli, anche di carattere ordinamentale, che attualmente escludono la gran parte dei lavoratori operanti nel settore di catering dalla possibilità di beneficiare dagli strumenti straordinari di sostegno del reddito adottati a seguito della pandemia da Covid-19.
(5-05148)

Ritiro di documenti di indirizzo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:

   Mozione Rossello n. 1-00428 del 10 marzo 2021;

   Mozione Elisa Tripodi n. 1-00434 del 22 marzo 2021;

   Mozione Panizzut n. 1-00435 del 22 marzo 2021;

   Mozione Noja n. 1-00437 del 23 marzo 2021.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: Interrogazione a risposta in Commissione Viscomi n. 5-05398 del 24 febbraio 2021.