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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 23 dicembre 2020

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per gli affari europei, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:

   la mancanza di reciprocità nell'accesso al mercato cinese e l'assenza di condizioni di parità per gli investitori dell'Unione europea in Cina hanno posto gradi sfide per le relazioni di investimento Unione europea-Cina negli ultimi anni, portando agli attuali negoziati per un accordo complessivo sugli investimenti (Cai) come strumento chiave per rimediare a questa situazione. I negoziati Cai mirano a stabilire un quadro giuridico uniforme per i rapporti di investimento Unione europea-Cina, sostituendo i 25 trattati bilaterali di investimento (Bit) tra la Repubblica popolare cinese e singoli Stati membri dell'Unione europea;

   i negoziati sono stati lanciati nel 2013 e, sebbene i leader del vertice Unione europea-Cina si siano impegnati congiuntamente a concludere i negoziati medesimi nel 2020, la mancanza di un impegno concreto al più alto livello politico cinese ha sollevato dubbi sul fatto che una svolta su alcuni nodi centrali possa essere raggiunta entro quella data. Poiché le proposte dell'Unione europea per i singoli articoli del Cai non sono di dominio pubblico, a differenza di altri negoziati dell'Unione europea in corso, è impossibile valutare i principali nodi da sciogliere. Gli accordi relativi agli investimenti che l'Unione europea e la Cina hanno negoziato o concluso nel recente passato suggeriscono che è necessario colmare il divario tra i divergenti livelli di ambizione delle parti per quanto riguarda la concessione dell'accesso al mercato, disposizioni in materia di parità di trattamento e protezione prima della conclusione delle trattative;

   laddove l'Unione europea ha una politica di principio di apertura del suo mercato agli investimenti diretti esteri (Fdi) e non applica le sue norme sugli aiuti di Stato a società straniere, comprese le imprese cinesi (di proprietà statale) che beneficiano di sussidi nazionali per perseguire gli obiettivi strategici del governo, la Repubblica popolare cinese è definita dall'Osce come uno degli ambienti più restrittivi per gli Fdi con leggi nazionali che differenziano tra regole per società estere, società private nazionali e società nazionali di proprietà statale o controllate dallo Stato, con una logica intrinseca di discriminazione nei confronti delle prime a vantaggio degli altri. Inoltre, negli ultimi anni la Cina ha emanato una serie di leggi relative alla sicurezza (la Legge sull'intelligence nazionale e la legge sulla sicurezza informatica) oltre alle restrizioni sugli Fdi esistenti;

   questa tendenza è aggravata dall'ambiziosa strategia industriale sponsorizzata dallo Stato del made in China 2025, volta a ridurre in modo significativo la dipendenza del Paese dalla tecnologia straniera sostituendola con tecnologia indigena in diversi settori strategici high tech. Da rimarcare, infine, che laddove gli investimenti europei in Cina sono principalmente investimenti «greenfield» che creano posti di lavoro nella Repubblica popolare, gli investimenti diretti cinesi in Europa si sono concentrati su acquisizioni strategici di ricerca tecnologica e di mercato. Dal 2013, il numero di rapporti su gravi violazioni dei diritti umani, sull'utilizzo di schemi di lavoro forzato che implicano anche le aziende straniere e sulla crescente oppressione delle popolazioni in Cina è aumentato vertiginosamente. Inoltre, la recente flagrante violazione diretta delle disposizioni dei trattati internazionali vigenti sullo status e la governance di Hong Kong dimostrano, secondo gli interpellanti, un crescente disprezzo verso gli accordi multilaterali da parte delle autorità di Pechino –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e intenda fornire elementi sullo stato dei negoziati, precisando quali rimangono i principali punti controversi;

   se il Governo intenda adottare iniziative per garantire che l'accordo non apra la strada all'acquisto ulteriore di asset strategici da parte di aziende cinesi sotto il controllo o l'influenza dello Stato cinese, valutando la possibilità di riportare sotto controllo nazionale degli asset strategici di proprietà delle aziende cinesi, se giudicati un rischio per la sicurezza.
(2-01054) «Bianchi, Giglio Vigna, Formentini, Bazzaro, Molinari».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, per sapere – premesso che:

   la legge regionale 4 maggio 2020, n. 9, reca interventi per la ripresa economica della regione Lombardia. Si tratta di un piano di investimenti che, al fine di fronteggiare l'impatto economico derivante dall'emergenza sanitaria da Covid-19, autorizza, a sostegno del finanziamento degli investimenti e dello sviluppo infrastrutturale la spesa complessiva di 3,530 miliardi di euro, mediante il ricorso all'indebitamento;

   400 milioni di euro di tali risorse sono destinati agli enti locali di cui 51,350 milioni di euro alle province e alla Città metropolitana per la realizzazione di opere connesse alla viabilità e strade e all'edilizia scolastica la cui assegnazione avverrà in base a criteri e modalità definiti dalla Giunta regionale;

   quanto alla restante somma, pari a 348,650 milioni di euro è destinata ai comuni per la realizzazione di opere pubbliche in materia di: a) sviluppo territoriale sostenibile, b) efficientamento energetico, c) rafforzamento delle infrastrutture indispensabili alla connessione internet. Tali risorse sono assegnate ai comuni, sulla base della popolazione residente alla data del lo gennaio 2019;

   la somma restante dei fondi complessivamente stanziati dalla legge, pari a euro 3,130 miliardi, è destinata al sostegno degli investimenti regionali e confluisce nell'apposito fondo «Interventi per la ripresa economica». Per le opere, gli interventi e i programmi di intervento, da attuare mediante strumenti di programmazione negoziata di interesse regionale, finanziati con le risorse di tale Fondo e per i quali siano individuati i soggetti pubblici beneficiari di tali risorse, la legge regionale stabilisce che non occorre effettuare la valutazione di cui all'articolo 3 della legge regionale 29 novembre 2019 n. 19 (Disciplina della programmazione negoziata di interesse regionale);

   ciò significa che viene stabilita la presunzione automatica dell'interesse regionale agli interventi finanziati con il fondo da 3,5 miliardi di euro, ed è consentito alla regione Lombardia di attribuire, senza obbligo di motivazione, le risorse agli enti, evitando di giustificare perché non si ricorra agli strumenti normalmente previsti dalla legislazione di settore per la raccolta di proposte o richieste di intervento o la valutazione delle stesse, nonché la definizione di criteri oggettivi per la ripartizione delle risorse;

   di fronte ad un piano di investimenti così rilevanti, tanto da essere definito addirittura «Piano Marshall», si sarebbero dovute delineare linee di indirizzo da parte del consiglio regionale, per l'individuazione di una strategia globale di intervento per la regione Lombardia per i prossimi anni o, quanto meno la definizione di criteri per l'utilizzo di tali fondi con l'approvazione di bandi affinché tutti i soggetti dei diversi territori vi potessero partecipare o potessero formulare proposte per l'individuazione dei progetti più interessanti per le diverse province lombarde;

   risulta invece che i fondi siano stati assegnati con deliberazione n. XI/3531 — seduta del 5 maggio 2020 — della giunta regionale «Esaminate istanze emerse nei Tavoli territoriali provinciali, il livello di cantierabilità delle proposte, nonché gli Ordini del Giorno presentati in sede di discussione del Progetto di legge relativo all'Assestamento 2020/22» ovvero mediante la distribuzione dei fondi a pioggia, secondo l'unico criterio di giudizio della totale discrezionalità dei consiglieri di maggioranza di ogni territorio circa la loro rilevanza per il territorio stesso;

   come riportato anche da notizie di stampa (Il piano della Lombardia: 3,5 miliardi di euro senza bandi. Corriere della sera 16 dicembre 2020), all'esito di questa ripartizione, risulterebbe quindi che su 1507 comuni della Lombardia, i beneficiari degli interventi siano 411, di cui il 77 per cento è amministrato da partiti del centro destra o di liste civiche ad essi collegati e quindi della maggioranza;

   in una lettera riservata inviata al presidente Fontana, Anci Lombardia ha denunciato che: «molti comuni sono esclusi dalla partecipazione a questa seconda fase di finanziamento di interventi (la prima fase riguarda la distribuzione dei 400 milioni di euro in base alla popolazione ndr.). Per questo avremmo voluto avere occasione di confrontarci sulle nuove scelte compiute e vorremmo comprendere quali siano stati i criteri e gli atti di programmazione/pianificazione o di ascolto territoriale, i bandi o gli avvisi, che hanno condotto alla identificazione di opere e di relativi destinatari»;

   trattandosi di ricorso all'indebitamento, e per di più per risorse ingenti, si sarebbe dovuta effettuare un'attentissima valutazione di carattere strategico, per bilanciare interventi che portano benefici immediati con altri destinati a garantire la crescita necessaria a sostenere il debito stesso –:

   quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, intendano adottare per garantire l'uguaglianza di tutti i cittadini e la tutela dell'unità economica, data anche l'ingente mole di risorse che la regione Lombardia sta mobilitando a debito e che dovrebbero pertanto essere investite in interventi attentamente valutati soprattutto alla luce del potenziale ritorno in termini di crescita del Pil, verificando in particolare la sussistenza dei presupposti per l'esercizio dei poteri sostitutivi di cui all'articolo 120 della Costituzione.
(2-01055) «Fragomeli, Fiano, Quartapelle Procopio, Braga, Martina, Pollastrini, Carnevali».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DEL BASSO DE CARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   risultano all'interrogante alcune criticità relative a consistenti avanzamenti di carriera di dirigenti all'interno della Consob, deliberate tra la fine del 2019 ed il 2020, dopo molti anni di blocco di tali avanzamenti;

   in particolare, la Commissione di recente ha conferito le seguenti promozioni dalla qualifica di condirettore (livello iniziale della carriera dirigenziale) alla qualifica di direttore:

    n. 4 promozioni, con decorrenza 1° gennaio 2015 (delibera n. 21181 dell'11 dicembre 2019);

    n. 4 promozioni, con decorrenza 1° gennaio 2016 (delibera n. 21571 del 6 novembre 2020);

    n. 8 promozioni, con decorrenza 1° gennaio 2020 (delibera n. 21572 del 6 novembre 2020);

   tali promozioni, per un totale di n. 16 nuovi direttori (su un totale di n. 50 condirettori promuovibili), sono state conferite nel limitato periodo degli ultimi 12 mesi, destando più di un legittimo dubbio, per quanto consta all'interrogante, circa l'utilizzo di criteri oggettivi di selezione;

   si rileva che la Commissione non ha disposto alcun avanzamento alla medesima qualifica di direttore per 6 anni (dal 2009 al 2014) e, più di recente, anche per gli anni 2017, 2018 e 2019;

   risulta all'interrogante che a molti condirettori, con una lunga responsabilità di ufficio, entrati in ruolo a seguito di concorso pubblico, siano stati preferiti altri molto più giovani, inesperti o, addirittura, sembrerebbe, in taluni casi, senza alcun incarico di responsabilità di ufficio; sembrerebbe inoltre che non si sia tenuto alcun conto del conseguimento di ulteriori titoli accademici ovvero di specifiche abilitazioni professionali, né della effettiva dimestichezza con le lingue straniere, tantomeno con l'inglese, indispensabile in vista della Capital Market Union;

   le recenti promozioni alla qualifica di direttore non avrebbero dunque tenuto conto dell'anzianità in ruolo, né dell'anzianità nell'espletamento di incarichi di responsabile di unità operative, ovvero, dell'attribuzione o meno dell'incarico di responsabile di unità operative;

   la Commissione non avrebbe provveduto ad effettuare i dovuti avanzamenti dalla qualifica di condirettore alla qualifica di direttore per 9 anni (dal 2009 al 2014 e dal 2017 al 2019), con ciò penalizzando legittime aspettative dei condirettori con maggiore anzianità di servizio, senza alcun demerito e con responsabilità di ufficio;

   nel frattempo, invece, avrebbe disposto con regolarità annuale un gran numero di promozioni a condirettore, conferite ai funzionari di I livello, con l'effetto di incrementare notevolmente il bacino dei promuovibili anno dopo anno –:

   di quali elementi disponga il Governo in ordine ai fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza, anche di carattere normativo, ritenga di dover assumere, anche a tutela della credibilità della Consob, Autorità amministrativa indipendente volta alla tutela degli investitori, all'efficienza, alla trasparenza ed allo sviluppo del mercato mobiliare italiano, nonché per il rispetto dei principi di trasparenza e di competenza, anche avuto riguardo ai percorsi di carriera.
(5-05219)

Interrogazioni a risposta scritta:


   IEZZI, GUSMEROLI, BITONCI, CANTALAMESSA, CAVANDOLI, CENTEMERO, COVOLO, GERARDI, ALESSANDRO PAGANO e TARANTINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:

   per garantire un maggiore sostegno ai soggetti più danneggiati dalla crisi economica da Covid-19, la Commissione europea ha adottato la comunicazione C/2020/1863 del 19 marzo 2020 «Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell'economia nell'attuale emergenza del COVID-19», con successive modificazioni (cosiddetto Temporary Framework);

   il decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, ha recepito la sopramenzionata disciplina, nell'ambito di un «regime quadro», disciplinato dagli articoli dal 53 al 64, all'interno del quale le regioni, le province e i comuni possono concedere le misure di aiuti di Stato previste, per far fronte all'emergenza economico-finanziaria provocata dal Covid-19, entro il 31 dicembre 2020, mentre per gli aiuti concessi sotto forma di agevolazioni fiscali il termine per la concessione coincide con la data in cui deve essere presentata la dichiarazione fiscale relativa all'annualità 2020 da parte del beneficiario;

   inoltre, si prevede l'adempimento di obblighi di registrazione e identificazione sul Registro nazionale degli aiuti di Stato, al fine di verificare che i limiti massimi di aiuto unitario concesso non vengano superati;

   a seguito della circolare del Dipartimento per le politiche dell'Unione europea del 18 giugno 2020, sembrerebbe emergere un incerto quadro normativo, soprattutto in ordine agli obblighi e alle responsabilità gravanti sui comuni, anche relativamente alle agevolazioni fiscali autonomamente concesse nell'ambito dell'autonoma potestà regolamentare, riconosciuta dalla legislazione italiana, anche di rango costituzionale, e alle esenzioni disposte con norme di legge sui tributi di competenza dei comuni, come risulta dagli articoli 177 e 181 del citato decreto-legge «Rilancio»;

   con lettera del presidente dell'Anci Decaro del 1° ottobre 2020 ai Ministri interrogati, è stato chiesto di chiarire l'esclusione dalla categoria «aiuti di Stato» delle citate riduzioni su taluni prelievi comunali decise per autonoma iniziativa locale ovvero rese obbligatorie da norme di legge;

   nella quasi totalità dei casi, le agevolazioni fiscali deliberate dai comuni sono di entità esigua o minima rispetto alla soglia principale degli 800.000 euro individuata dalla Commissione europea, e la platea di potenziali beneficiari di queste agevolazioni in molti casi non è individuabile a priori, come accade nella maggior parte delle agevolazioni fiscali che non prevedono un accesso filtrato da domanda dell'aspirante beneficiario –:

   quali iniziative, anche normative, si intendano assumere per:

    a) operare una netta distinzione tra aiuti di Stato, così come previsti nel regime quadro delineato dagli articoli da 53 a 64 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, e agevolazioni concesse dai comuni su tributi o entrate locali assimilabili – da escludere dal novero degli «aiuti» – correlate all'emergenza e non eccedenti le normali capacità discrezionali che la legge italiana concede agli enti locali;

    b) escludere dal novero degli aiuti di Stato le esenzioni sui tributi locali rese obbligatorie da norme di legge (articoli 177 e 181 del decreto-legge n. 34 del 2020);

    c) eliminare l'obbligo di inserimento nominativo dei beneficiari delle misure riconducibili alla nozione di aiuto di Stato di importo inferiore ad una soglia minima di rilevanza pari a 5.000 euro;

    d) considerare comunque valide ed efficaci, anche attraverso specifica iniziativa normativa le disposizioni agevolative adottate dai comuni nel quadro normativo ordinariamente vigente, nelle more della ridefinizione degli adempimenti successivi richiesti agli enti;

    e) assicurare la necessaria semplificazione delle procedure di registrazione per i comuni sul Registro nazionale degli aiuti di Stato, creando un'apposita sezione la cui determinazione potrà essere individuata entro il primo semestre del 2021, su intesa, in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali, previa proposta dei Ministeri interessati (Ministero dello sviluppo economico, Dipartimento per le politiche europee e Ministero dell'economia e delle finanze), con il supporto dell'Anci.
(4-07894)


   DELMASTRO DELLE VEDOVE e DONZELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   nell'aula bunker del tribunale di Catania si è svolta, in data odierna, l'udienza preliminare sul caso Gregoretti;

   l'allora Ministro dell'interno, Matteo Salvini, è indagato per «sequestro di persona»;

   sono stati chiamati a deporre anche gli ex Ministri del Governo «gialloverde» Danilo Toninelli ed Elisabetta Trenta;

   alla specifica domanda «Ricorda di avere firmato questo divieto di ingresso, di transito e di sosta che poi viene annullato dal Tar, ricorda? C'è anche la sua firma su questo episodio, la può riconoscere la sua firma?», l'allora Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Danilo Toninelli ha risposto «non posso avere un ricordo preciso, abbia pazienza», «Non ricordo, è passato tanto tempo»;

   alla segnalazione, da parte della difesa, di un suo post su Facebook dove specificava quanto accaduto sulla nave spagnola, l'allora Ministro ha nuovamente risposto «non ricordo»;

   «La linea del Governo era quella di fare interessare gli altri Stati europei al collocamento dei migranti. Ma ogni sbarco era un caso a parte», ha aggiunto Toninelli;

   «Io ho risposto a tutte le domande che mi sono state fatte in trasparenza e verità», ha poi detto l'ex Ministro uscendo dal bunker;

   a giudizio degli interroganti, appare improbabile che un Ministro non ricordi di aver firmato il divieto di sbarco per la Open Arms. Sembrerebbe menzognero l'atteggiamento di chi dice «non ricordo» a fronte della sua firma, a meno che lo stesso non la disconosca e che si apra la strada per ulteriori ipotesi di reato nella formazione di un atto pubblico;

   diversamente, si dovrebbe dedurre che il Ministro abbia firmato atti a caso, in virtù di tali amnesie ampiamente sintomatiche della sua sciagurata gestione –:

   se risulti agli atti del Governo un provvedimento, come richiamato in premessa, sottoscritto dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti pro-tempore.
(4-07896)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta orale:


   ZOFFILI, BILLI, COIN, COMENCINI, DI SAN MARTINO LORENZATO DI IVREA; FORMENTINI, PICCHI e RIBOLLA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   l'improvviso aggravarsi dell'emergenza epidemiologica nel Regno Unito, a causa dell'emergere di una nuova variante del Sars-CoV-2 che sembrerebbe altamente contagiosa, ha indotto una serie di Governi esteri ad interrompere i collegamenti aerei e ferroviari con le isole britanniche;

   alla lista dei Governi che hanno interrotto i collegamenti con il Regno Unito si è aggiunto repentinamente anche quello italiano, senza opportuno preavviso e senza peraltro predisporre alcun meccanismo di rientro per i cittadini del nostro Paese che vi soggiornino per lavoro, servizi, studio, turismo o altro;

   in una situazione di particolare disagio si trovano anche i lavoratori italiani dell'autotrasporto;

   è inoltre all'orizzonte la chiusura del territorio dell'Unione europea agli aerei e ai treni provenienti dal Regno Unito;

   la circostanza ha prevedibilmente generato confusione e panico tra i nostri connazionali e un flusso molto ingente di richieste di assistenza da parte dei cittadini italiani che hanno comprovata necessità e legittimo diritto di far rientro nel nostro Paese;

   l'interruzione dei collegamenti rappresenta, inoltre, un problema anche per i sudditi del Regno Unito soggiornanti in Italia o che necessitano di raggiungere il nostro Paese –:

   quali iniziative il Governo intenda assumere per assistere i cittadini italiani che si trovino in questo momento nel Regno Unito e desiderino rientrare in sicurezza nel proprio Paese;

   in particolare, se il Governo stia predisponendo voli di Stato dedicati per il rientro dei nostri connazionali, stia potenziando i servizi forniti dalla rete consolare presente nel Regno Unito e rafforzando contestualmente la sala operativa dell'Unità di Crisi del Ministero degli affari esteri con nuovi operatori per fronteggiare la nuova evitabile crisi.
(3-01976)

Interrogazione a risposta scritta:


   DELMASTRO DELLE VEDOVE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   in data 14 dicembre 2020 ha avuto luogo la quinta seduta annuale del Comitato congiunto per la cooperazione allo sviluppo, presieduta dal Vice Ministro Emanuela Dal Re;

   nel corso della predetta seduta, improvvidamente a giudizio dell'interrogante ed intempestivamente alla luce della grave situazione economica italiana, è stato deliberato un pacchetto d'iniziative in Africa, Medio Oriente e Asia, nonché il bando per la concessione di contributi a iniziative promosse dalle organizzazioni della società civile per un importo complessivo di 181 milioni di euro;

   fra i progetti figura anche l'iniziativa a dono nei confronti del Kenya per «incubatore d'impresa e innovazione energetica»;

   per la predetta iniziativa sono stati deliberati 2.965.315 euro;

   il progetto è volto al consolidamento di E4 Impact Accelerator che fu istituito due anni fa dall'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) –:

   quale sia l'ente e/o società e/o associazione che gestisce il progetto;

   quali siano i risultati ottenuti a far data dalla sua istituzione ad oggi, quanti siano i fondi sino ad oggi erogati per il predetto progetto, quante siano e quali siano le aziende «accelerate» e quelle «incubate».
(4-07893)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   BALDINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 1 del decreto legislativo luogotenenziale n. 1446 del 1918, nel consentire agli utenti delle strade vicinali, anche se non soggette a pubblico transito, di costituirsi in Consorzio «per la manutenzione e la sistemazione o ricostruzione di esse», prevede che il comune sia tenuto a concorrere alle relative spese «in misura variabile da un quinto sino alla metà della spesa», solamente in presenza di strade soggette a pubblico transito;

   il medesimo decreto (articolo 5), si occupa dei casi in cui è obbligatorio il concorso del comune, prevedendo che «Questo può promuovere d'ufficio la costituzione del Consorzio, ed assumere altresì direttamente la esecuzione delle opere»;

   l'articolo 14 della legge n. 126 del 1958, prevede espressamente l'obbligatorietà della costituzione dei consorzi di cui al precedente decreto legislativo luogotenenziale per la manutenzione, sistemazione e ricostruzione delle strade vicinali di uso pubblico e che in assenza di iniziativa da parte degli utenti o del comune «alla costituzione del consorzio provvede di ufficio il prefetto»;

   alcuni consorzi insistenti nel comune di Ardea – Colle Romito e Lido dei Pini Lupetta – sulla base di quanto emerso da alcune commissioni comunali, sembrerebbero avere natura giuridica di consorzio volontario in quanto gli atti costitutivi e gli statuti riportano l'originario scopo di «manutenzione strade» e non prevedono la partecipazione del comune alle attività di approvazione dei progetti esecutivi per la manutenzione, né la votazione delle deliberazioni consortili in proporzione alla misura del concorso alle spese;

   alcune delle strade consortili sono state aperte al pubblico transito, come peraltro confermato da numerose sentenze della commissione tributaria provinciale di Roma;

   i consorzi in questione – per quanto risulta all'interrogante, destinatario di numerose segnalazioni –, ai fini del recupero coattivo delle somme, si affidano al concessionario pubblico per la riscossione (Agenzia delle entrate-Riscossione), mediante iscrizione a ruolo sia nei confronti degli utenti, sia nei confronti del comune di Ardea;

   in mancanza di formale costituzione, ai sensi delle disposizioni sopra richiamate, sussistono forti dubbi sulla legittimità della riscossione mediante ruolo da parte di un soggetto che non può affermarsi alla stregua di ente pubblico e tenendo a mente quanto previsto dall'articolo 7 del predetto decreto legislativo luogotenenziale ai sensi del quale «i contributi degli utenti si esigono... mediante ruoli compilati in base al piano di ripartizione approvato dal Consiglio comunale, tenuto conto delle modificazioni disposte dalla Giunta provinciale amministrativa»;

   viceversa, nel caso di specie, non risulta alcuna approvazione dei piani di riparto da parte dell'organo comunale, nei titoli di riscossione, senza contare che l'attività di riscossione avviene utilizzando il codice tributo 0810 che la stessa Agenzia delle entrate ha definito «di competenza comunale»;

   nonostante le numerose pronunce delle commissioni tributarie provinciali e regionali, rese nei confronti del consorzio Lido dei Pini-Lupetta, che hanno ritenuto come detti consorzi non possano «accedere ai flussi del concessionario per la riscossione diretta mediante iscrizione a ruolo» (Commissione tributaria provinciale di Roma, sentenza 16421/2019), si devono segnalare altre sentenze secondo le quali detti consorzi, essendo relativi a strade ad uso pubblico, andrebbero qualificati come obbligatori anche per quanto concerne aspetti di tipo tributario (Commissione tributaria provinciale di Roma, sentenza 14247/2019);

   l'attività di riscossione – nonostante i gravi dubbi interpretativi rispetto alla natura giuridica dei predetti consorzi – sta procedendo speditamente sia nei confronti dei cittadini, sia dello stesso comune di Ardea;

   l'Agenzia delle entrate-Riscossione è un ente pubblico economico sottoposto all'indirizzo ed alla vigilanza del Ministero dell'economia e delle finanze –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di chiarire la legittimità e correttezza delle predette attività di riscossione e così scongiurare danni e pregiudizi in capo ai cittadini colpiti dalla riscossione stessa.
(4-07888)


   CUNIAL. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   nell'interrogazione n. 4-07658 l'interrogante ha riportato come il 29 e 30 ottobre 2020 l'ispettore Carollo sia stato sentito dagli inquirenti su vicende illecite, denunciando altresì l'intimidazione nei confronti del medesimo praticata tramite invio di lettera di contestazioni cui fornire riscontro;

   con nota del 23 ottobre 2020, Poste Italiane contestava ai sensi della legge n. 300 del 1970 e degli articoli 52 e seguenti del Ccnl la modalità con cui l'attività ispettiva del dottor Alessandro Carollo viene svolta, consistente nell'invio di continue denunce all'attenzione anche dei vertici aziendali. Poste lo accusa di non accettare le decisioni interne di infondatezza prese dal comitato Whisteblowing aziendale nel merito delle segnalazioni e con la medesima comunicava la sospensione dalle attività e dalla retribuzione;

   con l'interrogazione n. 4-06471 ci si è occupati della presunta infondatezza delle risposte del comitato alle denunce dell'ispettore, chiedendo di contro la riattivazione del dispositivo di vigilanza e garanzia nei confronti dell'ispettore, concesso già nella precedente legislatura, a tutela della sua attività ispettiva in un territorio difficile;

   con numerosi atti di sindacato ispettivo le denunce dell'ispettore sono state riprese e segnalate al Governo nel corso della precedente e della corrente legislatura, ricordando tra le molte quelle relative al caso «Lostpay»;

   l'ispettore ha fornito opportuni riscontri alla lettera di contestazione nel rispetto dei termini di legge, chiedendo espressamente l'incontro previsto dalle norme, per meglio chiarire la vicenda, consegnando la documentazione a supporto affinché Poste la potesse acquisire;

   l'interrogante è a conoscenza del fatto che l'incontro formalmente richiesto, sollecitato più volte, non è mai avvenuto. A parere dell'interrogante il presente comportamento sarebbe in contrasto con le norme, come da ultimo confermato anche dalla Corte di Cassazione sezione lavoro, nella sentenza n. 19846 del 22 settembre 2020;

   la Camera dei deputati, in data 27 novembre 2020, ha dato annuncio nella seduta n. 434, dell'interrogazione n. 4-07654 relativa al problema delle banconote false in Poste Italiane, nel quale viene citata la figura del responsabile risorse umane dottor Scappini, in quanto persona a conoscenza dei fatti descritti;

   risulta poi all'interrogante che Poste abbia spedito in data 27 novembre 2020 una nuova raccomandata, il cui numero di tracciamento risulta inesistente sul sito di Poste Italiane contenente la sanzione conclusiva del procedimento disciplinare, senza apparente motivazione e senza indicare la fattispecie normativa violata –:

   se il Governo, per quanto di competenza, non intenda adoperarsi affinché nell'ambito di Poste siano salvaguardate pienamente le attività ispettive e i percorsi professionali di coloro che esercitano tali delicate funzioni.
(4-07897)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   DAVIDE AIELLO, ASCARI, BALDINO, ALAIMO, GIARRIZZO, D'ORSO, SALAFIA, NESCI, PERANTONI, SAITTA, CASO, SODANO, PIGNATONE, RAFFA, LUCIANO CANTONE, PALMISANO, GIULIANO, VERINI, ROMANIELLO e MENGA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il 22 luglio 2020 è stato audito in Commissione antimafia il luogotenente dell'Arma dei carabinieri, Paolo Conigliaro, già comandante dei Carabinieri di Capaci dal 2013 al 2018;

   Conigliaro ha trattato 3 questioni tra loro collegate, accadute a Capaci durante tale periodo: la redazione di una proposta di scioglimento del comune di Capaci per infiltrazioni mafiose, mai sottoposta dal competente comando provinciale dei carabinieri al prefetto di Palermo, consentendo il trascorrere dell'intero mandato dell'amministrazione comunale; un'indagine legata alla realizzazione di un centro commerciale a Capaci, in cui erano coinvolti soggetti del cosiddetto «sistema Montante»; le interferenze, le omissioni, il demansionamento e trasferimento di Conigliaro dalla stazione di Capaci;

   la proposta di accesso ispettivo presso il comune di Capaci per infiltrazioni mafiose, ex articolo 143, comma 2, Tuel, redatta da Conigliaro nel novembre 2014 e costantemente aggiornata, conteneva le seguenti motivazioni: frequentazioni degli amministratori con mafiosi condannati con sentenza definitiva per il reato di cui all'articolo 416-bis; monopolio dei lavori di movimento terra per le concessioni edili rilasciate dal comune da parte di società riconducibili a contesti mafiosi; vicende investigative relative ai funzionari comunali; processioni religiose con inchini e soste presso l'abitazione di soggetti riconducibili al contesto mafioso: confraternite religiose cui risultano iscritti mafiosi e funzionari comunali; appalti; vicende inerenti alla polizia municipale e l'ammanco per migliaia di euro di buoni pasto del comune: realizzazione di impianti di distribuzione di carburanti direttamente correlati con l'amministrazione comunale e presunte attività di voto di scambio politico-mafioso;

   Conigliaro ha anche formalizzato numerose denunce sia alla procura della Repubblica di Palermo, sia alla procura militare di Napoli e la quasi totalità di esse non risulta iscritta nel registro delle notizie di reato ma valutate come fatti non costituenti reato;

   Conigliaro come comandante della stazione di Capaci, ha anche svolto un'importante indagine in relazione alla costruzione di un centro commerciale nell'ex area industriale Vianini, oggetto di un'archiviazione «lampo»: il 5 giugno 2018 è stata depositata la richiesta di archiviazione presentata il 1° giugno 2018 dal pubblico ministero, accolta il giorno seguente dal G.i.p. 6 giugno 2018;

   dopo 5 anni di intensa attività investigativa, Conigliaro è stato tuttavia estromesso dal comando della stazione di Capaci con il pretesto di un singolare procedimento giudiziario a suo carico per presunta diffamazione a mezzo whatsapp; procedimento archiviato dal G.i.p. di Palermo, mentre per lo stesso identico fatto risulta rinviato a giudizio dal G.u.p. Militare di Napoli;

   in audizione Conigliaro ha affermato: «quando ho chiesto il risarcimento morale e di essere reintegrato nel mio incarico, mi è stato detto che c'è la pendenza penale a Napoli. [...] Ci sono ufficiali dell'Arma dei carabinieri che oggi ricoprono gradi apicali, certamente non paragonabili a quelli di un comandante di stazione, i quali sono a processo per depistaggio; mi pare che nessuno li abbia demansionati [...]»;

   durante l'audizione sarebbe stato riferito in merito ad «alcuni Carabinieri dipendenti che portavano i curriculum vitae a questi signori sospettati di mafia, per far assumere i parenti» –:

   quali iniziative sono state intraprese da parte della prefettura di Palermo tra il 2013 e il 2018 in relazione a procedure ex articolo 143 Tuel presso il comune Capaci;

   quali iniziative intenda intraprendere, per quanto di competenza, in relazione ai fatti riportati in premessa, anche tramite attività ispettiva presso il comando provinciale dei carabinieri di Palermo;

   di quali informazioni disponga, per quanto di competenza, in merito all'attività svolta dal comune di Capaci nell'ambito dell'iter per la costruzione di un centro commerciale nell'ex area industriale Vianini.
(3-01977)

Interrogazione a risposta scritta:


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:

   il decreto-legge 10 novembre 2020, n. 150, all'articolo 8, introduce una deroga, per l'anno in corso, alla disciplina relativa ai termini entro i quali hanno luogo le consultazioni elettorali per il rinnovo degli organi elettivi delle regioni a statuto ordinario, a causa della gravità della situazione epidemiologica sul territorio nazionale;

   la norma suddetta, pur ovviamente di carattere generale, è diretta a prevedere l'arco temporale in cui svolgere le elezioni per il rinnovo del consiglio regionale della Calabria, la cui indizione si è resa purtroppo necessaria per la scomparsa della presidente della giunta regionale Jole Santelli;

   con decreto del 30 novembre 2020 del presidente facente funzioni della giunta regionale sono state indette le elezioni del presidente della giunta regionale e del consiglio regionale della regione Calabria per il giorno 14 febbraio 2021;

   conseguentemente, la presentazione delle liste di candidati nelle circoscrizioni e la presentazione delle liste regionali dovrà avvenire entro il 14 gennaio 2021 e le necessarie sottoscrizioni degli elettori potranno essere raccolte dal 15 dicembre 2020;

   per le elezioni del presidente della giunta regionale e del consiglio regionale della regione Calabria trova applicazione l'articolo 9 della legge 17 febbraio 1968, n. 108, il quale prevede che liste devono essere presentate da un consistente numeri di elettori;

   il 4° comma, dell'articolo 1 della legge regionale della regione Calabria 7 febbraio 2005, n. 1 e successive modifiche ed integrazioni prevede – in deroga a quanto previsto dall'articolo 9 della legge 17 febbraio 1968, n. 108 – l'esonero «dalla sottoscrizione degli elettori le liste che sono espressione di partiti rappresentati nel Parlamento italiano, nonché le liste circoscrizionali che siano espressione di almeno un gruppo consiliare ovvero di una delle componenti di cui all'articolo 27 dello Statuto. In ogni caso sono esonerate dalla sottoscrizione degli elettori le liste regionali cui sono collegate le liste circoscrizionali.»;

   conseguentemente la sottoscrizione degli elettori per la presentazione di liste che non siano espressione dei soggetti politici e istituzionali sopra indicati dovrà avvenire tra il 15 dicembre 2020 e il 14 gennaio 2021, ovvero nel perdurare della emergenza sanitaria causata dalla situazione epidemiologica e con le limitazioni necessarie per assicurare il distanziamento sociale, le quali già oggi, oggettivamente, rendono estremamente difficoltosa tale attività che costituisce un rilevante diritto politico e costituzionale, difficoltà che potrebbero accrescersi anche in previsione di possibili ulteriori limitazioni allo spostamento delle persone e ai contatti sociali che potrebbero essere assunte proprio nel e per il periodo previsto per la sottoscrizione delle liste;

   per le elezioni comunali e regionali tenutesi nell'anno in corso, in considerazione della situazione epidemiologica da Covid-19 e dell'esigenza di assicurare il necessario distanziamento sociale per prevenire il contagio nel corso delle elezioni, nonché di garantire il pieno esercizio dei diritti civili e politici, si è intervenuti con il decreto-legge n. 26 del 2020 prevedendo la riduzione a un terzo delle sottoscrizioni richieste per la presentazione delle liste e delle candidature per le elezioni regionali –:

   quali iniziative di carattere normativo il Governo intenda valutare ed assumere al fine di garantire nel contempo il pieno esercizio dei diritti civili e politici in tutto il procedimento per le elezioni del presidente della giunta regionale e del consiglio regionale della regione Calabria per il giorno 14 febbraio 2021, compresa l'effettiva possibilità di presentazione delle liste da parte degli elettori e la tutela della salute pubblica minacciata dalla situazione epidemiologica.
(4-07889)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CENNI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno, al Ministro per il sud e la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:

   con la legge 29 ottobre 2016, n. 199, recante «Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo» sono state introdotte norme per garantire una maggiore efficacia all'azione di prevenzione e contrasto, con significative modifiche al quadro vigente, prevedendo la repressione penale del caporalato e la tutela delle vittime e dei lavoratori agricoli;

   nonostante tale impianto normativo, continuano comunque ad essere riscontrati periodicamente nel nostro Paese episodi di caporalato e di sfruttamento del lavoro nero in agricoltura: solo nelle ultime settimane si sono registrati casi in Emilia Romagna, Veneto, Lazio, Calabria, Toscana;

   secondo l'ultimo rapporto «Agromafie e caporalato» realizzato dall'Osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil sono circa 200 mila i «vulnerabili» in agricoltura, in mano a caporali e imprenditori sfruttatori. E più di 400 mila gli irregolari tra immigrati e italiani. Si tratta di numeri in crescita: basti pensare che i «vulnerabili» erano 140 mila nel 2017 e 160 mila nel 2018;

   sono stati numerose anche le vittime registrate nel nostro Paese a causa del caporalato e della mancanza di diritti e tutele: ultima in ordine di tempo l'incidente in cui ha perso la vita a Gioia Tauro Gassama Gora, investito e ucciso nei giorni scorsi mentre rincasava a bordo di una bici dopo una giornata di lavoro senza essere neppure soccorso;

   per denunciare questo ennesimo episodio, i braccianti irregolari hanno manifestato segnalando alle autorità come per la loro comunità di migranti «non ci sono mai stati e continuano a non esserci alloggi decenti, contratti regolari, certezza e celerità nel rinnovo dei documenti. Vogliamo casa, diritti, documenti e lavoro regolare, vogliamo vivere una vita dignitosa come ogni essere umano meriterebbe». I migranti hanno inoltre ribadito il loro stato di disagio per le condizioni di vita in cui sono costretti e per il fatto che, nei loro spostamenti dalle abitazioni ai luoghi di lavoro e viceversa, siano costretti ad utilizzare mezzi non idonei per la mancanza di mezzi di trasporto pubblico locale;

   appare quindi evidente e urgente che il Governo metta in campo uno sforzo straordinario per intervenire a tutela di questa categoria di lavoratori, riconoscendo anche pienamente l'importanza del loro apporto al sistema agro-alimentare: i braccianti agricoli, in gran parte extracomunitari, rappresentano infatti una forza lavoro indispensabile per poter garantire l'approvvigionamento di prodotti per l'intera filiera e la continuità della distribuzione di moltissimi alimenti nei punti vendita dell'intera nazione;

   il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Teresa Bellanova ha recentemente sottolineato come la legge sul caporalato vada applicata interamente e non soltanto per l'aspetto repressivo, ma anche per la salvaguardia della dignità e dei diritti delle persone;

   Pietro Simonetti (del Tavolo nazionale anticaporalato – Ministero del lavoro e delle politiche sociali) ha dichiarato il 21 dicembre 2020 che è necessario «definire le misure per garantire i servizi per 45 mila lavoratori agricoli per combattere anche il caporalato e lo sfruttamento lavorativo. Il Tavolo Nazionale Anticaporalato vede presente anche il Ministero dei trasporti e infrastrutture ed ha iniziato da tempo il lavoro di mappatura delle esigenze, le modalità dei servizi necessari oltre alla bigliettazione e agli abbonamenti agevolati»;

   sul tema del caporalato sono state presentate dall'interrogante, ultimamente, tre interrogazioni ancora senza risposta: l'interrogazione n. 5-03779, presentata il 30 marzo 2020; l'interrogazione n. 3-01602, presentata il 15 giugno 2020; l'interrogazione n. 5-04591, presentata il 10 settembre 2020 –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative urgenti intenda assumere al fine di rafforzare l'attuale quadro normativo per contrastare il lavoro nero e il caporalato e per salvaguardare i diritti, le tutele, la salute e la sicurezza dei braccianti agricoli.
(5-05217)

Interrogazione a risposta scritta:


   FORNARO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la legge 3 febbraio 1965, n. 14 reca misure inerenti la «Regolamentazione delle assuntorie nelle ferrotramvie esercitate in regime di concessione» e, in particolare, norma la figura degli «assuntori»; assuntore è colui che assume in appalto con regolare contratto un servizio pubblico, un lavoro, una fornitura e simili;

   la legge n. 14 del 1965, all'articolo 6, comma 1, sancisce che «la concessione di una assuntoria ha luogo per contratto di durata triennale, con rinnovo tacito se non disdettato almeno tre mesi prima della scadenza». Ne deriva che il legame contrattuale di tali operatori è basato su una relazione atipica, nel caso specifico il rapporto è considerato alla stregua di un contratto di lavoro autonomo e subordinato;

   in virtù di detta anomalia, la loro prestazione e retribuzione può essere sospesa nel caso di interruzione del servizio per cause indipendenti dalla loro volontà, arrecando un grave pregiudizio ai lavoratori;

   il consiglio regionale della Sardegna ha provato a porre rimedio alla vicenda approvando la legge regionale 2 agosto 2018, n. 29 recante «Disposizioni in materia di personale della categoria “assuntori” operante in Sardegna in base alla legge n. 14 del 1965 e costituzione della “Lista ad esaurimento assuntori”», che disciplina in modo organico la posizione lavorativa degli «assuntori» di passaggio a livello;

   le principali novità contenute nella citata legge regionale n. 29 del 2018, entrata in vigore il 10 agosto 2018, mirano principalmente a dare continuità lavorativa e retributiva agli assuntori operanti nelle tratte del trasporto pubblico locale della Sardegna prima afferenti alle Ferrovie della Sardegna – Fds attualmente Azienda regionale sarda trasporti – Arst, attraverso l'istituzione di una lista a esaurimento ove iscrivere gli assuntori che svolgono le proprie mansioni presso le linee ferroviarie, finalizzata all'inserimento nella dotazione organica dell'Arst;

   l'azienda Arst tra la fine dell'anno 2018 e l'inizio del 2019, ha attivato l'iter procedurale propedeutico all'istituzione della lista ad esaurimento in cui iscrivere gli assuntori che svolgono le mansioni presso le linee ferroviarie del trasporto pubblico locale della Sardegna gestite dall'Arst, che però non si è ancora concluso;

   ad oggi dunque non risulta applicata dalla regione Sardegna la legge regionale 2 agosto 2018, n. 29, recante «Disposizioni in materia di personale della categoria “assuntori”» operante – appunto – in base alla legge n. 14 del 1965;

   allo stato attuale, il combinato disposto della legge n. 14 del 1965 e della legge regionale n. 14 del 2018 continua a lasciare in una condizione d'incertezza lavorativa centinaia di famiglie di cittadini sardi che sono costretti a lavorare mediante una tipologia contrattuale contraddistinta da grande incertezza e precarietà, nonostante la figura dell'assuntore sia una figura fondamentale per l'erogazione di un servizio pubblico essenziale come il trasporto pubblico locale –:

   se il Governo – per quanto di competenza – non ritenga di dover intraprendere iniziative volte alla risoluzione della questione illustrata in premessa, in modo che i lavoratori che svolgono un così importante servizio possano essere stabilizzati con contratti a tempo indeterminato, anche alla luce del fatto che sono anni che si protraggono i rinnovi triennali.
(4-07895)

POLITICHE GIOVANILI E SPORT

Interrogazione a risposta scritta:


   DEL BASSO DE CARO. — Al Ministro per le politiche giovanili e lo sport. — Per sapere – premesso che:

   come riportato dalle maggiori testate giornalistiche di settore, nella seduta del 24 marzo 2017, il consiglio federale ha nominato Commissario straordinario del comitato regionale della Federazione italiana di atletica leggera della Sicilia il vice presidente federale Vincenzo Parrinello, colonnello e comandante del Gruppo sportivo fiamme Gialle, con le seguenti motivazioni: «Preso atto delle dimissioni del presidente del Comitato Regionale FIDAL Sicilia Paolo Gozzo, il Consiglio Federale deve procedere alla nomina di un Commissario che curi l'ordinaria amministrazione, gestisca l'attività sportiva e che entro 60 giorni indica l'Assemblea elettiva per la ricostruzione dell'Organo. Comunica che il Presidente Federale ha chiesto la disponibilità al Vicepresidente Vicario Vincenzo Parrinello, il quale ha accettato. Il Vicepresidente Vicario Vincenzo Parrinello rappresenta che vuole condividere con il Consiglio le prime azioni che desidera porre in essere in tale impegno. Innanzitutto premette che sarà necessario adottare qualsiasi iniziativa affinché l'attività non abbia a subire alcun danno. In particolare pensa di: avvalersi dei 2 Vice Presidenti, qualora gli stessi non abbiano intenzione di candidarsi alla Presidenza; di confermare la nomina a Fiduciario Tecnico del Prof. Rosario Cannavò; di adoperarsi affinché le nuove elezioni abbiano a svolgersi il più presto possibile. Chiede infine al Presidente del Collegio dei Revisori dei Conti Angelo Guida di prendere contatto con i Revisori dei Conti del Comitato Sicilia al fine di chiudere il prima possibile il bilancio regionale, anche alla luce degli obblighi che la federazione ha nei confronti del CONI. Chiede al Consiglio di votare la linea di azione appena descritta»;

   dal verbale emerge, inoltre, che il vicepresidente federale, proposto Commissario, abbia partecipato alla riunione del consiglio federale, dettato le linee del commissariamento, ma che si sia astenuto dal voto;

   l'atto appare secondo l'interrogante problematico sotto il profilo della legittimità amministrativa;

   oltre a questo aspetto preliminare di legittimità, che inficerebbe tutte le operazioni poste in atto dal Commissario dalla nomina, vi è quello di merito: si è di fronte ad un commissariamento, interrotto per un breve periodo di tempo nel 2018, che è durato quasi un quadriennio;

   lo statuto sancisce, inequivocabilmente, che le assemblee straordinarie devono svolgersi entro 90 giorni dalla data di scioglimento dell'organo e non prevede rinvii sine die;

   la violazione normativa e statutaria ha, in questo periodo, anche un risvolto di opportunità e di etica sportiva. Il vicepresidente federale e commissario della regione Sicilia è anche candidato alla presidenza federale. Sarebbe stato naturale dimettersi da Commissario e astenersi, come avviene in tutti gli Organismi in caso di competizioni elettorali, da qualsiasi attività connessa al ruolo;

   nel mondo dello sport operano i gruppi sportivi militari ai quali va dato merito e riconoscimento per aver consentito a tanti atleti di poter svolgere con serenità e tranquillità la pratica sportiva ottenendo risultati di prestigio per l'Italia;

   questo elemento positivo però non può consentire l'occupazione di incarichi federali a tutti i livelli da parte di rappresentanti di Forze armate che stanno praticamente sostituendo la dirigenza civile, tra l'altro utilizzando una posizione di privilegio, avendo uno stipendio e strutture i cui oneri sono a carico dello Stato;

   i dirigenti dei gruppi sportivi militari per il ruolo, il prestigio che hanno, per l'utilizzo di fondi pubblici non dovrebbero partecipare a campagne elettorali federali, come avviene nelle competizioni elettorali amministrative o politiche –:

   di quali elementi disponga, anche per il tramite del CONI, circa quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza, anche di carattere normativo, intenda avviare in relazione alle prospettate violazioni statutarie in seno alla Federazione di Atletica leggera, nonché per definire, in modo inequivocabile, le incompatibilità per ricoprire ruoli dirigenziali sportivi.
(4-07898)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SPENA e BATTILOCCHIO. — Al Ministro della salute, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   nelle scorse settimane è stata scoperta a Londra una variante del Covid, che si sta diffondendo nel Regno Unito. Le prime informazioni dicono che non sembra più letale ma produce più contagiati;

   nei giorni scorsi il genoma del virus Sars-CoV-2 con la variante riscontrata nelle ultime settimane in Gran Bretagna, è stato individuato anche nel nostro Paese, Lo ha «sequenziato» il Dipartimento scientifico del Policlinico militare del Celio;

   fortunatamente, sembrerebbe che la variante inglese del Sars-Cov-2 non sfugga alla protezione della vaccinazione. I vaccini esistenti contro il Covid-19 dovrebbero quasi certamente essere efficaci anche per il nuovo ceppo a rapida diffusione identificato in Gran Bretagna;

   a seguito della individuazione di questa variante del virus, per precauzione dal 20 dicembre 2020 al 6 gennaio 2021 il Ministro della salute, con propria ordinanza, ha vietato l'ingresso e il transito nel territorio nazionale alle persone che nei quattordici giorni antecedenti alla presente ordinanza hanno soggiornato o transitato nel Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del nord;

   diverse sono le segnalazioni di cittadini italiani che si trovano attualmente in Gran Bretagna e che seppure posseggono gli anticorpi in quanto nel recente passato sono stati infettati dal coronavirus, non possono in ogni caso rientrare nel nostro Paese –:

   se il Governo non ritenga di adottare quanto prima le opportune iniziative volte a consentire il rientro nel nostro Paese dalla Gran Bretagna ai nostri giovani studenti e lavoratori, e se in particolare non intenda attivarsi al fine di consentire il rientro a coloro che hanno sviluppato gli anticorpi in quanto già venuti in contatto e infettati dal Sars-Cov-2.
(5-05218)

Interrogazione a risposta scritta:


   SAPIA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   continua la situazione di pesanti criticità, per l'emergenza Covid, presso lo stabilimento ospedaliero «Nicola Giannettasio» dello spoke di Corigliano-Rossano, come riportato da un articolo de «Il Corriere della Calabria» del 21 dicembre 2020 a firma di Luca Latella;

   ivi si legge che vi sono «ambulanze in fila, pazienti che attendono una consulenza cardiaca dalle 11 di questa mattina, due sospetti Covid stipati nelle ambulanze, le tende triage chiuse e la carenza ormai cronica di personale. Una commistione micidiale, infarcita da tanto nervosismo fra il personale sanitario ed in chi aspetta snervatamente una consulenza da una giornata intera, al freddo e senza cibo»;

   a farne le spese, oltre al personale, sottoposto a turni prolungati sono gli stessi pazienti, tant'è che una signora afferma – sempre secondo l'articolo – di essere in attesa da prima delle 15 che qualcuno si rivolga alla congiunta, ancora in ambulanza. Racconta che il 118 ha allertato i carabinieri «perché nessuno rispondeva al Pronto soccorso» e da poco ha chiamato la polizia;

   la carenza di personale porterebbe a casi limite, come quello delle ambulanze in servizio a Corigliano-Rossano, da Trebisacce a Cariati, che «pare stiano viaggiando senza medico a bordo»; pare, prosegue l'articolo, che «l'ambulanza debba partire da Castrovillari – come rivelano i parenti di un paziente, che nessun mezzo della sibaritide, proprio perché sprovvisti di medico, ha voluto assumersi la responsabilità di far salire a bordo un sospetto Covid – per raggiungere Trebisacce e da lì trasportare il paziente al “Giannettasio”»;

   ivi si aggiunge che fuori dal «Pronto soccorso, dopo diverse ore, il degente necessita di ossigeno»; per quanto riguarda la gestione dei pazienti «ordinari» in ingresso al pronto soccorso di Rossano, «v'è – conclude l'articolista – un solo medico di turno che li assiste, oltre a quattro sospetti Covid in isolamento ed in attesa dei risultati dei tamponi, mentre ambulanze ed altri pazienti attendono fuori perché gli spazi dedicati al contenimento del coronavirus nel reparto di emergenza sono saturi»;

   per come riportato da un articolo del 22 dicembre de «L'Eco dello Jonio» a firma di Marco Lefosse, «è morto stanotte a Cosenza l'anziano che ieri pomeriggio, attorno alle 15, era arrivato da Trebisacce al pronto soccorso dell'ospedale “Giannettasio”»;

   «l'ambulanza che lo trasportava, però, ha dovuto attendere ore prima di sbarellarlo e consentirgli di fare una Tac. Una volta eseguito l'esame tomografico, in serata e che avrebbe riscontrato una lesione polmonare, l'uomo, dapprima sospetto Covid, sarebbe dovuto essere ricoverato nel reparto di pneumologia dedicato ai pazienti affetti da Sars-Cov-2, insediato proprio nel presidio rossanese, per le cure del caso»;

   alla fine – sempre secondo il citato articolo – è stato necessario trasportarlo presso l'ospedale di Cosenza, dove però dopo «poche ore, il suo cuore ha cessato di battere»;

   «bisognerà capire se il ritardo nelle cure abbia influito sul decesso» e «saranno gli organi preposti a fare chiarezza», aggiunge l'articolo predetto, in cui si riporta che la tragica vicenda ha suscitato le ire del sindaco di Trebisacce, Franco Mundo, il quale ha affermato che «in questo momento non si riesce a curare né lo straordinario, né l'ordinario. Il nostro concittadino non è morto di Covid. È morto di stenti e di una cattivissima organizzazione del sistema sanitario» –:

   quali iniziative, per il tramite del commissario per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario calabrese, anche alla luce di quest'ultima gravissima vicenda, intenda assumere il Ministro interrogato per meglio tutelare il diritto alla salute nel territorio in questione, anche promuovendo, la riorganizzazione, nella fase attuale dell'emergenza Covid, dei servizi e del personale per gli stabilimenti ospedalieri in argomento.
(4-07890)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   DELMASTRO DELLE VEDOVE. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   nei giorni scorsi, con una decisione frettolosa e non ponderata, il Ministro della salute e il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale hanno decretato la sospensione di ogni collegamento con il Regno Unito per evitare i contagi di ritorno della nuova variante del Coronavirus;

   la decisione non ha minimamente tenuto conto dei disagi causati a migliaia di italiani a seguito della mancanza di comunicazione e informazione preventiva in merito alle misure da adottare;

   molti di loro sono rimasti senza alloggio e hanno già sostenuto ingenti sforzi economici, sia per acquistare il biglietto che per effettuare il tampone, che nel Regno Unito è a pagamento salvo casi eccezionali e ha un costo medio di 100/150 sterline;

   l'azione di Governo in questione pare replicare gli schemi già adottati nella prima fase della pandemia, quando il problema dei rimpatri riguardava connazionali sparsi ovunque nel mondo;

   da quella esperienza, fallimentare se paragonata a quella dei principali partner europei, il Governo dimostra di non aver imparato la lezione sulle buone pratiche da seguire e su quelle cattive da abbandonare;

   il Governo si ostinava a non utilizzare in maniera sistematica le risorse messe a disposizione dall'Unione europea nell'ambito del Meccanismo europeo di protezione civile, se non tardivamente e per a poche operazioni di rimpatrio;

   alla luce dei «prestiti ponte» erogati ad Alitalia per scongiurare il fallimento della stessa, l'interrogante ha già chiesto al Governo, il 18 marzo 2020 con la presentazione della risoluzione n. 7-00431, di adottare iniziative per definire un piano di emergenza che prevedesse l'acquisto di voli charter da Alitalia per il rimpatrio di tutti gli italiani bloccati nel mondo che ne facessero richiesta, prevedendo inoltre che i costi di tali voli siano compensati in sede di rimborso dei «prestiti ponte» concessi ad Alitalia;

   in accordo con le regole europee, Alitalia dovrà in futuro ripagare il prestito per non violare la normativa sugli aiuti di Stato;

   considerato che a seguito del blocco dei voli dal Regno Unito non è stata fornita alcuna soluzione alternativa e che molti italiani sono muniti di tampone negativo, il Governo potrebbe ricorrere alla soluzione indicata in premessa, predisponendo un piano di rientro mediante l'acquisto di voli charter da Alitalia previo rinnovo del tampone, oppure con ripetizione del tampone ad atterraggio effettuato, scomputando il costo di tali servizi forniti dal vettore Alitalia dalle somme erogate a titolo di «prestito ponte» –:

   se il Governo intenda adottare le opportune iniziative per definire un piano che preveda l'acquisto di voli charter da Alitalia per il rimpatrio di tutti gli italiani bloccati nel Regno Unito che ne facciano richiesta, prevedendo che i costi di tali voli siano compensati in sede di rimborso dei «prestiti ponte» concessi ad Alitalia.
(4-07891)


   FORNARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   in data 29 settembre 2020 l'amministrazione comunale di Volpedo, in provincia di Alessandria, ha sollecitato la direzione provinciale di Poste Italiane a ripristinare l'apertura a tempo pieno su sei giorni dell'ufficio postale del paese, attualmente funzionante tre giorni a settimana;

   il 26 ottobre 2020 il direttore di filiale ha risposto che l'azienda proseguirà con un costante monitoraggio al fine di valutare le azioni necessarie da intraprendere e che Poste Italiane mette a disposizione dei clienti numerosi strumenti alternativi all'ufficio postale, quali ad esempio i canali online e le app;

   la popolazione della zona interessata ha un'età media molto alta, è costretta a lunghe attese in piedi e all'aperto ed è difficile pensare che la soluzione alternativa sia utilizzare i servizi online –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della grave situazione generata dal protrarsi della riduzione di orario e quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, per superare questa situazione che sta arrecando notevoli disagi alla comunità di Volpedo.
(4-07892)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Piera Aiello n. 4-07863, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 dicembre 2020, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Ermellino, Trano, Cunial, Berardini, Rizzone.

  L'interrogazione a risposta scritta Delmastro Delle Vedove e altri n. 4-07780, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 dicembre 2020, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Meloni.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:

  Interrogazione a risposta scritta Bianchi n. 4-07479 del 13 novembre 2020.

  Interpellanza Racchella n. 2-01043 del 17 dicembre 2020.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   ALEMANNO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   la tutela dei consumatori nel settore del mercato assicurativo è un obiettivo fondamentale per garantire l'efficienza e, con essa, la crescita del settore;

   il decreto legislativo n. 209 del 2005 prevede, all'articolo 187-ter, l'obbligo per i soggetti destinatari della vigilanza dell'Ivass di aderire al costituendo arbitro assicurativo;

   con l'interrogazione a risposta immediata in commissione n. 5-03450 del 29 gennaio 2020, seduta n. 295, la sottoscritta chiedeva quali elementi il Ministro dello sviluppo economico intendesse fornire sulla tempistica dell'emanazione del decreto del Ministero, necessario per la costituzione di uno strumento di tutela dei consumatori fondamentale quale l'arbitro assicurativo;

   nella risposta, pubblicata il 30 gennaio 2020 nell'allegato al bollettino in Commissione X, il Sottosegretario per lo sviluppo economico delegato riferiva che «in attuazione di quanto rappresentato, il Ministero dello sviluppo economico ha predisposto un testo di decreto, recante il regolamento con cui si istituisce presso l'IVASS l'arbitro per le controversie assicurative, redatto anche a seguito del confronto operato tra gli Uffici MiSE e l'istituto di vigilanza»; nella citata risposta si evidenziava altresì che lo schema di decreto è stato trasmesso al Ministero della giustizia al fine di acquisirne il preventivo assenso al prosieguo dell'iter, precisando che, a seguito dell'espressione di tale assenso, sarebbe stato dato avvio alla fase di pubblica consultazione delle associazioni interessate sul testo proposto, in parallelo con la procedura di notice and comment da parte dell'autorità di vigilanza riguardante gli atti organizzativi di propria competenza –:

   quale sia la tempistica prevista per l'espressione dell'assenso del Ministro della giustizia sulla questione dell'arbitro assicurativo.
(4-06437)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, si rappresenta che lo schema di «regolamento recante i criteri di svolgimento delle procedure di risoluzione stragiudiziale delle controversie con la clientela relative alle prestazioni e ai servizi assicurativi derivanti dai contratti di assicurazione, nonché recante i criteri di composizione dell'organo decidente» trasmesso dal Ministero dello sviluppo economico è pervenuto all'ufficio legislativo di questo Ministero in data 16 dicembre 2019.
  All'esito di approfondito esame, sono state riscontrate diverse criticità relativamente al testo trasmesso, che in sostanza demanda la regolamentazione di gran parte della materia alla disciplina attuativa da emanarsi a cura dell'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (Ivass).
  In particolare, dall'analisi del contesto normativo, non è emersa in via del tutto pacifica l'esistenza di fonti legittimanti una potestà normativa di Ivass nella materia in esame; inoltre, con il meccanismo delineato dalla bozza di regolamento, Ivass si troverebbe a disciplinare materie involgenti la competenza di Giustizia, con sottrazione di qualsiasi forma di controllo.
  Detti rilievi sono stati comunicati al Ministero dello sviluppo economico, con conseguente convocazione di una riunione che si è tenuta in data 4 marzo 2020 presso l'ufficio legislativo del Ministero dello sviluppo economico per la verifica e la discussione del testo.
  Al fine di superare le criticità relative ad una delega in bianco, che potenzialmente rischia di esautorare questo Dicastero da ogni forma di controllo in materie di sua competenza (ragione per la quale l'articolo 187-
ter, comma 2, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 prevede che il regolamento in esame venga emanato dal Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della giustizia), all'esito di tale riunione sono state definite diverse questioni di carattere formale e si è convenuto di demandare ad Ivass ha redazione di una nuova bozza di regolamento unitamente ad una bozza della disciplina attuativa.
  In sostanza si è scelto di demandare ad Ivass (come peraltro prevede il richiamato articolo 187-
ter, comma 2, che attribuisce ad Ivass la competenza in merito alla proposta di regolamento) le necessarie modifiche ed integrazioni nel senso sopra indicato.
  Nell'ambito delle attività di confronto periodico con l'Ivass, il Ministero dello sviluppo economico ha richiesto formali aggiornamenti sulla preliminare condivisione degli schemi di provvedimento demandati all'Ivass, quale presupposto per l'acquisizione dell'assenso del Dicastero della giustizia, così come concordato all'esito della citata riunione di vertice.
  Con nota del 5 agosto 2020 l'Ivass ha fornito riscontro formale al Ministero dello sviluppo economico e al Ministero della giustizia, proponendo specifiche modifiche testuali, anche alla luce dei correttivi proposti; in data 6 agosto 2020 il Ministero dello sviluppo economico ha trasmesso al Ministero della giustizia la nuova bozza dello schema di regolamento elaborata dal Ministero dello sviluppo economico, cui è stato dato riscontro in data 13 agosto 2020.
  In data 30 settembre 2020 è pervenuta al Ministero della giustizia la nuova versione del regolamento, la quale ha in parte recepito le indicazioni fornite; come segnalato al Ministero dello sviluppo economico in data 12 ottobre 2020, permangono alcune criticità di ordine tecnico relativamente alle disposizioni di attuazione.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   BAGNASCO e CASSINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   il trattamento di fine rapporto è un diritto del lavoratore, anche pubblico, e in particolare si applica anche a quest'ultimo l'articolo 2120 del codice civile;

   l'erogazione dello stesso per i dipendenti pubblici avviene con notevole ritardo;

   l'articolo 3 del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, dispone infatti la liquidazione dei trattamenti di fine servizio per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni decorsi ventiquattro mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro, ovvero decorsi dodici mesi in caso di cessazione dal servizio per raggiungimento dei limiti di età o di servizio, per collocamento a riposo d'ufficio, a causa del raggiungimento dell'anzianità massima di servizio prevista;

   l'articolo 23 del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, ha introdotto l'istituto dell'anticipo del trattamento di fine servizio (Tfs), in base al quale i dipendenti delle amministrazioni pubbliche che accedono alla pensione usufruendo della cosiddetta quota 100 e quelli che hanno avuto accesso alla pensione prima dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 4 del 2019 possono avanzare a banche ed intermediari finanziari una richiesta di finanziamento di una somma pari all'importo dell'indennità di fine servizio maturata;

   tale misura cerca di contenere gli effetti negativi dello slittamento della percezione del Tfr/Tfs per moltissimi dipendenti pubblici, per i quali la liquidazione del trattamento può slittare ben oltre due anni dalla data di cessazione del rapporto di lavoro;

   la norma prevede che il finanziamento sia erogato dalle banche e dagli intermediari finanziari che aderiscono a un accordo quadro da stipulare, entro sessanta giorni tra il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro per la pubblicazione amministrazione e l'Abi, sentito l'Inps;

   l'attuazione dell'articolo 23 del decreto-legge n. 4 del 2019 è stata demandata ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che avrebbe dovuto essere adottato entro sessanta giorni dalla data di conversione del medesimo decreto;

   a quanto riportato da notizie di stampa il dipartimento della funzione pubblica su impulso dell'allora Ministro Bongiorno, aveva predisposto nel luglio 2019 lo schema decreto attuativo acquisendo il parere dell'Autorità del garante della concorrenza e del mercato prot. n. 52301 del 29 luglio 2019 e il concerto dei Ministeri competenti, ai sensi del comma 7 della medesima disposizione;

   solo dopo cinque mesi, il 6 dicembre 2019, il citato Dipartimento ha trasmesso al Consiglio di Stato il testo del provvedimento per il parere;

   il Consiglio di Stato in data 16 gennaio 2020 con provvedimento n. 151 del 2020 ha reso un parere interlocutorio;

   ad oggi il decreto attuativo dell'articolo 23 del decreto-legge n. 4 del 2019 non risulta ancora adottato –:

   in quali tempi si intenda adottare il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri attuativo dell'articolo 23 del decreto-legge n. 4 del 2019 senza il quale l'istituto dell'anticipo del trattamento di fine servizio non può applicato, ovvero se vi siano motivi che impediscono l'adozione di detto provvedimento atteso da migliaia di pubblici dipendenti che si ritrovano svantaggiati rispetto ai dipendenti del settore privato per quanto riguarda le modalità di percezione del trattamento di fine rapporto.
(4-04741)

  Risposta. — Rispondo all'interrogazione in esame con la quale si chiede di sapere quali misure si intendano adottare in relazione ai tempi di adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che disciplina il pagamento dei trattamenti di fine servizio e di fine rapporto.
  Preliminarmente evidenzio che il termine di pagamento del Tfr/Tfs così come inizialmente disciplinato dall'articolo 3, del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79, recante «
Misure urgenti per la finanza pubblica», convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, era differenziato a seconda delle cause di cessazione del rapporto di lavoro. Nel dettaglio, il pagamento doveva avvenire:

   entro 105 giorni in caso di cessazione dal servizio per inabilità o per decesso;

   non prima di 12 mesi se la cessazione del rapporto di lavoro avviene per raggiungimento dei limiti di età o di servizio, ovvero del termine stabilito del contratto a tempo determinato;

   non prima di 24 mesi dalla cessazione in tutti gli altri casi (dimissioni volontarie con o senza diritto a pensione, licenziamento, e altro.

  Successivamente, con l'intervento introdotto dall'articolo 1, comma 484, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)» tali termini sono stati modificati e, a decorrere dal 1° gennaio 2014, il Tfs/Tfr è stato corrisposto secondo le seguenti modalità:

   in un'unica soluzione, se l'ammontare complessivo lordo è pari o inferiore a 50.000 euro;

   in due rate annuali, se l'ammontare complessivo lordo è tra 50.000 e 100.000 euro;

   in tre rate annuali, se l'ammontare complessivo lordo è superiore a 100.000 euro.

  Con specifico riferimento alla decisione della Consulta con riguardo al termine di 24 mesi per la liquidazione del Tfs relativo alle ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro per cause diverse dal raggiungimento dei limiti di età o di servizio ordinamentali (articolo 3, comma 2, del decreto-legge n. 79 del 1997), la sentenza n. 159 del 2019 ha dichiarato la ragionevolezza del regime temporale adottato dal legislatore e la non violazione del principio di parità di trattamento tra lavoro pubblico e lavoro privato.
  La Corte, in particolare, ha rilevato che, in relazione alla necessità di garantire la salvaguardia della sostenibilità del sistema previdenziale, la modalità di corresponsione dilazionata e rateale, nel caso di specie 24 mesi di tempo per l'erogazione del Tfs, non è affetta da vizi di legittimità costituzionale.
  La Corte, in particolare, evidenzia che il meccanismo introdotto dal legislatore prevede «una graduale progressione delle dilazioni, via via più ampie con l'incremento delle indennità, ed è pertanto calibrato in modo da favorire i beneficiari dei trattamenti più modesti e da individuare, anche per questa via, un punto di equilibrio non irragionevole».
  Con riferimento, invece, ai tempi (12 mesi) di erogazione del Tfs nelle ipotesi di raggiungimento dei limiti di età o di servizio ordinamentali, la Corte ha formulato, nelle conclusioni della sentenza, un invito al Parlamento affinché ponga in essere un'organica revisione della materia, in considerazione del fatto che «la disciplina che ha progressivamente dilatato i tempi di erogazione delle prestazioni dovute alla cessazione del rapporto di lavoro ha smarrito un orizzonte temporale definito e la iniziale connessione con il consolidamento dei conti pubblici che l'aveva giustificata».
  Ancorché le indicazioni della Corte costituzionale e le tematiche che sono alla base dei quesiti posti dall'interrogante si riferiscano a scelte fatte da precedenti Governi, non posso non segnalare come esse hanno trovato un'adeguata risposta nelle scelte già operate da questo Esecutivo.
  Con l'introduzione della cosiddetta misura «quota 100», di cui al decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, è stato infatti previsto che coloro i quali accedono all'uscita anticipata dal mondo del lavoro secondo la suddetta misura e coloro i quali maturano o hanno maturato (alla data di entrata in vigore del decreto-legge) il diritto a pensione secondo le regole ordinarie, possono vedersi riconosciuta un'anticipazione del Tfs/Tfr per un importo massimo di euro 45.000,00.
  Detta anticipazione verrà erogata direttamente dalle banche o dagli intermediari finanziari.
  Al pensionato, inoltre, è stato riconosciuto anche uno sgravio fiscale, mediante la riduzione dell'aliquota Irpef.

  In sostanza, all'atto del collocamento a riposo sarà il dipendente a scegliere se avere subito il Tfr/Tfs con anticipazione bancaria o averlo in tempi più lunghi usufruendo in ogni caso del vantaggio dello sgravio fiscale.
  In entrambi i casi risulta pienamente salvaguardata la funzione «retributiva e previdenziale» del Tfr/Tfs auspicata dalla Corte costituzionale.
  Per quanto concerne la disciplina attuativa della previsione sull'anticipazione del Tfr/Tfs, la norma primaria prevede l'adozione da parte del Presidente del Consiglio dei ministri di un regolamento disciplinante le modalità di accesso al finanziamento e di attivazione del fondo di garanzia istituito per la copertura degli oneri derivanti dal finanziamento, e la sottoscrizione di una convenzione con l'A.B.I.

  Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 aprile 2020, n. 51, recante «Regolamento in materia di anticipo del TFS/TFR, in attuazione dell'articolo 23, comma 7, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26», è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 15 giugno 2020, n. 150.
  Esso prevede, in sintesi, che dalla data di presentazione della domanda di rilascio della certificazione all'ente erogatore del Tfs/Tfr e la data di accredito dell'anticipazione da parte dell'Istituto di credito debbano intercorrere non più di 90 giorni. In ordine ai tempi di istruttoria interna da parte degli istituti di credito, ne viene prevista la contrazione e la semplificazione, anche ai fini della cosiddetta adeguata verifica. In questo modo, verranno drasticamente ridotti i tempi di materiale percezione dell'indennità connessa alla cessazione dell'attività lavorativa e si porrà fine ad una grave penalizzazione dei lavoratori pubblici.
  Infine, il 5 settembre 2020 è stato pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 221 il decreto 19 agosto 2020 recante «Approvazione dell'Accordo quadro per il finanziamento verso l'anticipo della liquidazione dell'indennità di fine servizio comunque determinata, secondo quanto previsto dall'articolo 23, comma 2, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26», con il quale sono stati definiti i termini e le modalità di presentazione della domanda di anticipo e di adesione della banca, il tasso di interesse e le condizioni economiche alle quali sono realizzate le operazioni finanziarie, lo schema della proposta di contratto nonché le specifiche tecniche e di sicurezza dei flussi informativi.
La Ministra per la pubblica amministrazione: Fabiana Dadone.


   BIGNAMI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il 30 aprile 2020 i difensori di Nicolino Grande Aracri (detenuto nel carcere milanese di Opera in regime di 41-bis), hanno presentato istanza di scarcerazione alla Corte d'assise di Reggio Emilia con la motivazione legata al rischio, per il detenuto, di contrarre il COVID-19 all'interno dell'istituto penitenziario. Medesima richiesta sarebbe stata avanzata anche da Romolo Villirillo, già esponente dei Grande Aracri in Emilia-Romagna e attualmente sottoposto al 41-bis al carcere di Rebibbia;

   negli ultimi giorni sono state accolte diverse richieste di scarcerazione che hanno sollevato numerose proteste, come quelle di Pasquale «Bin Laden» Zagaria, di Francesco Bonura, di Vincenzino Iannazzo, e da ultimo quella di Pietro Pollichino di Corleone. In sospeso, c'è anche la richiesta di domiciliari fatta da Raffaele Cutolo. L'elenco dei detenuti condannati per mafia e passati ai domiciliari a seguito dell'emergenza COVID-19 conterrebbe i nominativi di persone considerate ai vertici delle più pericolose organizzazioni criminali del Paese;

   il decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, «Misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l'introduzione del sistema di allerta COVID-19», non sembra porre del tutto rimedio a tale criticità lasciando ancora aperti spiragli per la scarcerazione di boss mafiosi, sebbene nella decisione vengano coinvolti i procuratori distrettuali e anche la procura nazionale antimafia;

   è assolutamente necessario che lo Stato eviti la scarcerazione di detenuti in regime di 41-bis con il pretesto del coronavirus, per evidentissimi motivi di sicurezza nazionale. Peraltro, chi sconta la pena in regime di 41-bis non corre maggiori rischi di contagio rispetto ad altri detenuti –:

   quali iniziative urgenti di carattere normativo si intendano adottare al fine di impedire la scarcerazione di detenuti in regime di 41-bis, molti dei quali sono effettivamente vertici delle più pericolose organizzazioni criminali del Paese.
(4-05568)


   BIGNAMI e FERRO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   a mezzo stampa si apprende che il Tribunale di sorveglianza di Reggio Calabria ha recentemente disposto, in via provvisoria, il differimento dell'esecuzione della pena nelle forme della detenzione domiciliare nei confronti di Francesco Ventrici, 48 anni, di San Calogero, ritenuto fra i principali trafficanti della cocaina in Europa, a causa dell'emergenza dovuta al coronavirus. La detenzione domiciliare sta avvenendo sul territorio bolognese. Ad avviso dell'interrogante è un grave errore che venga rimandato nel bolognese, in una delle sue ville, dove il detenuto gode di una rete di rapporti mediante la quale agevolò la commissione di reati che lo portarono ad avere rapporti con i narcos sudamericani;

   Ventrici era detenuto nel carcere di Reggio Calabria e risulta destinatario di numerose sentenze di condanna, alcune definitive. A gennaio era stato condannato in via definitiva a 16 anni di reclusione per narcotraffico nell'ambito dell'operazione «Pigna d'oro» della direzione distrettuale antimafia di Bologna. Nel processo nato dall'operazione «Stammer» della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro era stato condannato a 11 anni di reclusione in Appello, sempre per narcotraffico internazionale. Nel luglio del 2011 era stato inoltre arrestato nell'operazione della direzione distrettuale antimafia di Bologna denominata «Due Torri connection» e condannato in primo grado a 26 anni di reclusione per la tentata importazione dall'Ecuador di 1.500 chili di cocaina. Condannato anche nell'operazione «Golden Jail» della direzione distrettuale antimafia di Bologna per intestazione fittizia di beni (3 anni e 9 mesi) e per narcotraffico internazionale di cocaina nell'operazione «Decollo» (12 anni di reclusione) del Ros di Catanzaro e della direzione distrettuale antimafia. Inoltre, era stato condannato a 12 anni di reclusione per estorsione: la pena in questo caso è in attesa di rideterminazione nell'ambito del processo nato dall'operazione «Decollo Ter» dove la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio per altri due capi di imputazione relativi a due importazioni di cocaina dal Sud America al porto di Gioia Tauro;

   l'elenco delle «scarcerazioni facili», dovute alla pandemia da coronavirus si sta rivelando particolarmente lungo e sono numerosi i vertici delle più pericolose organizzazioni criminali del Paese ai quali è stata concessa la detenzione domiciliare. Un fatto assolutamente inaccettabile. La sicurezza nazionale, infatti, deve rimanere una priorità per qualunque Governo e mettere ai domiciliari detenuti condannati per reati particolarmente gravi, come quelli di mafia, costituisce senza dubbio un fattore di altissima criticità;

   si ricorda ad esempio che, negli ultimi giorni sono state accolte diverse richieste di scarcerazione che hanno sollevato notevoli perplessità, come quella di Pasquale «Bin Laden» Zagaria, di Francesco Bonura, di Vincenzino Iannazzo, e da ultimo quella di Pietro Pollichino di Corleone. In sospeso, è anche la richiesta di domiciliari fatta da Raffaele Cutolo;

   il decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, «Misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l'introduzione del sistema di allerta Covid-19», non sembra porre del tutto rimedio a tale criticità, lasciando ancora aperti spiragli per la scarcerazione di boss mafiosi sebbene nella decisione vengano coinvolti i procuratori distrettuali e anche la procura nazionale antimafia –:

   quante siano ad oggi le scarcerazioni avvenute con motivazione legata al rischio, per il detenuto, di contrarre il Covid-19 all'interno delle carceri e quanti di questi detenuti fossero in regime di 41-bis, quanti fossero stati condannati per reati di mafia e quanti di questi possano ritenersi ai vertici delle più pericolose organizzazioni criminali del Paese;

   quali iniziative urgenti di carattere normativo si intendano adottare affinché simili situazioni non si verifichino più e affinché si eviti la scarcerazione di soggetti particolarmente pericolosi o che potrebbero avere ancora contatti con le organizzazioni criminali.
(4-05593)

  Risposta. — Con gli atti di sindacato ispettivo in esame, parzialmente di analogo contenuto, gli interroganti riferiscono di notizie di stampa relativa alla decisione del tribunale di sorveglianza di Reggio Calabria di concessione, in via provvisoria, della detenzione domiciliare sostitutiva del differimento dell'esecuzione della pena per ragioni di salute, in favore del detenuto Francesco Ventrici, indicato come trafficante di droga, nonché di ulteriori scarcerazioni, per le stesse ragioni, intervenute in favore di altri detenuti di indubbio spessore criminale, quali Pasquale «Bin Laden» Zagaria, Francesco Bonura, Vincenzino Iannazzo e Pietro Pollichino.
  Si riferisce altresì di richiesta di detenzione domiciliare avanzata dal noto Raffaele Cutolo nonché dai detenuti Nicolino Grande Aracri e Romolo Villirillo.
  Gli interroganti, pertanto, partendo dal contenuto del decreto-legge n. 28 del 30 aprile 2020, chiedono allora di sapere quante siano le scarcerazioni avvenute con motivazioni legate al rischio Covid-19, quanti detenuti fossero in regime di 41-
bis O.P., quanti condannati per reati di mafia e quanti al vertice di organizzazioni criminale, avanzando altresì quesito circa eventuali intendimenti di adozione di iniziative di carattere normativo volte ad evitare che si verifichino simili situazioni di scarcerazione di soggetti particolarmente pericolosi o potenzialmente collegati con organizzazioni criminali.
  Orbene, gli interroganti riferiscono di provvedimenti giudiziari per cui, anche in ragione del rischio di contagio da Covid-19, plurimi detenuti condannati (o imputati) di reati gravissimi, sono stati materialmente scarcerati seppure destinatari della contestuale misura della detenzione domiciliare sostitutiva del differimento facoltativo, per ragioni di salute, dell'esecuzione della pena.
  Va premesso e precisato che dette ordinanze sono state adottate dalla competente autorità giudiziaria, che ha fatto applicazione di previsioni di legge, già vigenti da tempo, e che consentono o impongono di intervenire sulle modalità di esecuzione della pena o della custodia cautelare in presenza di condizioni di salute incompatibili con lo stato di detenzione (articolo 47-
ter, comma 1-ter, legge n. 354 del 1975, in connessione con l'articolo 146 codice penale e articolo 275, comma 4-bis, codice di procedura penale) o di condizioni di grave infermità fisica (articolo 47-ter, comma 1-ter, legge n. 354 del 1975 in connessione con l'articolo 147 codice penale) o di malattia che non consente adeguate cure in caso di detenzione in carcere (articolo 275, comma 4-bis codice di procedura penale).
  In applicazione delle suddette disposizioni, l'autorità giudiziaria ha, quindi, deciso, rispetto ad alcuni ristretti, in espiazione pena piuttosto che sotto misura cautelare custodiale, che l'esecuzione della pena dovesse avvenire al domicilio, nonché, ovvero che la misura cautelare custodiale dovesse essere sostituita dagli arresti domiciliari.
  Decisioni che, in quanto motivate dall'esigenza di tutela del bene primario della salute della persona, sono state adottate anche qualora i delitti ascritti a tali soggetti o per i quali costoro erano stati condannati fossero fra i più gravi che l'ordinamento penale contempla ed anche se si trattava di soggetti per i quali, in ragione della ricorrenza di gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica, fosse stato adottato il regime di detenzione differenziata di cui all'articolo 41-
bis della legge n. 354 del 1975.
  Orbene, come costantemente ribadito, non spetta al Ministro di sindacare la legittimità delle decisioni autonomamente assunte dalla magistratura, siccome vigente il principio della separazione dei poteri.
  Naturalmente, spetta e compete al Ministro di valutare l'impatto sul consorzio sociale del contenuto delle decisioni assunte e, se del caso, di intervenire nei modi consentiti dall'ordinamento per evitare che situazioni analoghe si verifichino nel futuro, qualora dette decisioni, si ribadisce, da ritenersi conformi a legge sino ad eventuale annullamento nelle sedi competenti, si rivelino di patente allarme sociale.
  L'intento governativo, pertanto, si è esplicato secondo la direttrice di ricercare una più accorta valutazione dei profili di pericolosità di cui risultano portatori taluni detenuti, pur nella indubbia e mai derogabile esigenza di tutela e salvaguardia della salute di costoro.
  Ed allora, già con l'articolo 2 del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, quindi con l'articolo 2 del successivo decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29, poi assorbito nell'articolo 2-
bis come introdotto in sede di conversione del decreto-legge n. 28 del 30 aprile 2020, convertito dalla legge 25 giugno 2020 n. 70, sono stati previsti precisi meccanismi procedurali prodromici alle decisioni da assumere e tali da garantire l'accorta valutazione dei profili di pericolosità sociale dei detenuti che avanzino istanze di scarcerazione o comunque di detenzione domiciliare sostitutiva del differimento (facoltativo o obbligatorio) dell'esecuzione della pena e fondate su ragioni di salute connesse al pericolo di contagio da Covid-19.
  In particolare è stato previsto che prima di adottare (o prorogare) i predetti provvedimenti, nei confronti di soggetti detenuti per uno dei delitti previsti dall'articolo 51, comma 3-
bis e 3-quater codice di procedura penale o sottoposti al regime previsto dall'articolo 41-bis della legge n. 354 del 1975, il tribunale o il magistrato di sorveglianza debbano chiedere il parere dell'organo inquirente, procuratore della Repubblica distrettuale o nazionale a seconda dei casi, e volto proprio ad evidenziare eventuali elementi di attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata nonché utili a meglio valutare la pericolosità del soggetto.
  Ancora, a mezzo dell'indicata decretazione di urgenza, è stato introdotto un meccanismo volto a consentire all'autorità giudiziaria di ripristinare la detenzione o l'internamento in carcere a carico di imputati, condannati o internati per delitti gravissimi o sottoposti al regime detentivo differenziato di cui all'articolo 41-
bis della legge n. 354 del 1975, una volta accertato dalla medesima autorità il superamento dei motivi legati all'emergenza sanitaria posti alla base dei provvedimenti con i quali era stata disposta l'ammissione dei predetti soggetti, se condannati o internati, all'espiazione della pena in regime di detenzione domiciliare o a usufruire del differimento della sua esecuzione della pena e, se imputati, alla sottoposizione alla misura cautelare degli arresti domiciliari, in sostituzione di quella carceraria originariamente applicata a loro carico.
  Per consentire che il ripristino dell'espiazione della pena detentiva o della sottoposizione alla misura cautelare della custodia in carcere possa avvenire immediatamente, al verificarsi del superamento dell'emergenza sanitaria, le disposizioni del decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29 hanno introdotto moduli procedimentali che permettono all'autorità giudiziaria di monitorare costantemente lo stato dell'emergenza sanitaria in atto nonché l'effettiva indisponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta in cui il soggetto, riprendendo la pena detentiva o l'internamento carcerario o la custodia cautelare in carcere, non abbia da patire rischi per la propria salute.
  Con specifico riguardo ai provvedimenti di competenza della magistratura di sorveglianza, l'articolo 2 del decreto-legge n. 29 del 2020 prevede che, dopo quindici giorni dall'adozione del provvedimento con il quale è stata applicata la detenzione domiciliare,
ex articolo 47-ter, comma 1-ter, O.P. o disposto il differimento della pena, e, successivamente, con cadenza mensile, il magistrato di sorveglianza e il tribunale di sorveglianza debbano valutare, sentendo l'autorità regionale sanitaria sulla situazione sanitaria locale e previa acquisizione del parere della Procura distrettuale antimafia e della Procura nazionale antimafia e antiterrorismo, l'effettiva permanenza dei motivi legati all'emergenza sanitaria che hanno determinato a ritenere necessaria, in ragione delle precarie condizioni di salute del singolo detenuto, la sua collocazione extramuraria; tale valutazione è anticipata rispetto alle cadenze temporali previste, nel caso sia comunicata dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria l'avvenuta individuazione di strutture penitenziarie o reparti di medicina protetti adeguati alle condizioni di salute del condannato o dell'internato.
  Con tale disposizione viene quindi specificato il meccanismo di periodica valutazione della permanenza delle condizioni legittimanti l'adozione della detenzione domiciliare già previsto dallo stesso comma 1-
ter dell'articolo 47-ter dell'ordinamento penitenziario, che, appunto, stabilisce la natura intrinsecamente temporanea del beneficio in questione: tale valutazione, legata esclusivamente alla possibile evoluzione delle condizioni di salute della persona che fruisce del beneficio, è stata integrata dal riferimento alla sopravvenuta indicazione di strutture penitenziarie o reparti di medicina protetta idonei ad accogliere, senza pregiudizio per le loro condizioni di salute, le persone ammesse a fruire dei benefìci, nonché all'effettiva persistenza di quelle condizioni di emergenza epidemiologica che hanno inciso sull'apprezzamento dell'impossibilità della prosecuzione del regime carcerario, ma che, non avendo allo stato durata prevedibile, non possono essere oggetto di un giudizio prognostico ed impongono dunque un costante monitoraggio.
  Infine, il comma 3 del citato articolo, sempre al fine di consentire l'immediato ripristino della detenzione o dell'internamento carcerario in corso prima dell'emergenza sanitaria, stabilisce l'immediata esecutività del provvedimento di revoca della detenzione domiciliare o di differimento della pena.
  La possibilità di ripristinare la misura della custodia cautelare in carcere nel caso in cui essa sia stata sostituita, per motivi correlati all'emergenza sanitaria da Covid-19, nei confronti di imputati per i gravissimi delitti sopra ricordati o sottoposti al regime previsto dall'articolo 41-
bis della legge n. 354 dei 1975, una volta che tale emergenza sia superata, è oggetto della previsione di cui all'articolo 5 del citato decreto-legge.
  Tale disposizione prevede che il pubblico ministero possa avanzare richiesta di ripristino della misura in atto al momento dell'insorgenza dell'emergenza epidemiologica, qualora abbia acquisito dati concreti che diano conto dell'effettivo contenimento dell'emergenza sanitaria, purché ritenga persistenti le originarie esigenze cautelari che avevano condotto all'applicazione della custodia in carcere: la valutazione da parte del pubblico ministero sulla permanenza dei predetti motivi connessi all'emergenza sanitaria – che, dopo la prima, da effettuarsi a distanza di quindici giorni dell'adozione del provvedimento di sostituzione, è prevista con cadenza mensile –, è anticipata quando il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria comunichi la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta adeguati alle condizioni di salute dell'imputato.
  La previsione normativa in questione consente così una rivalutazione da parte del giudice delle ragioni per le quali è stata disposta la sostituzione della misura cautelare in carcere con l'effetto che, qualora non sussistano elementi sopravvenuti ulteriori che hanno inciso negativamente sul quadro di gravità indiziaria o sul l'esistenza o intensità delle esigenze cautelari, il giudice potrà disporre nei confronti delle persone imputate di reati gravissimi o sottoposti al regime di cui all'articolo 41-
bis della legge n. 354 del 1975 il ripristino della custodia cautelare in carcere quando, sentita l'autorità regionale sanitaria sulla situazione sanitaria locale e acquisite informazioni dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, ritenga superati i motivi, connessi all'emergenza, che avevano condotto a quella sostituzione.
  Infine, l'articolo 5 del decreto-legge in questione detta anche una disposizione transitoria, nell'ottica di coordinare, con riguardo ai provvedimenti emessi in data più risalente, il termine di quindici giorni introdotto «a regime» per la prima verifica della persistenza delle ragioni legate all'emergenza sanitaria in relazione ai provvedimenti di ammissione al regime della detenzione domiciliare o di differimento dell'esecuzione della pena o di sostituzione della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari che, per tali ragioni, sono stati adottati.
  In ossequio alla neo introdotta disciplina, con nota 2 maggio 2020, il direttore generale dei detenuti e del trattamento del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha quindi disposto che copia delle segnalazioni e/o istanze trasmesse alla direzione nazionale antimafia antiterrorismo, siano trasmesse anche alla direzione generale dei detenuti e del trattamento, comprensive della relazione sanitaria, al fine di approntare, nell'immediato, la conseguente attività di analisi finalizzata alla predisposizione delle idonee misure di carattere organizzativo.
  Ciò premesso e precisato, trattando di casi concreti, al giorno 11 settembre 2020, risultano n. 223 i detenuti ascritti al circuito «Alta sicurezza» e n. 3 i detenuti sottoposti, nel tempo, al regime detentivo speciale di cui all'articolo 41-
bis, comma 2, della legge n. 354 del 1975, che hanno ottenuto il differimento pena e/o altre misure alternative alla detenzione, per motivi sanitari attinenti al Covid-19.
  Dei predetti, n. 55 ascritti al circuito «Alta sicurezza 3», e n. 3 sottoposti al regime speciale di cui all'articolo 41-
bis, comma 2, O.P. hanno fatto rientro negli istituti penitenziari o nelle strutture protette, a seguito della revoca del provvedimento precedentemente adottato dall'autorità giudiziaria.
  Trattando, nello specifico, dei detenuti sottoposti al regime speciale di cui all'articolo 41-
bis, comma 2, della legge n. 354 del 1975, di cui è stata disposta la scarcerazione, si riferisce delle vicende dei citati Bonura Francesco, Iannazzo Vincenzino, Pasquale Zagaria, Vincenzo Di Piazza, Grande Aracri Nicolino, Pollichino Pietro, Cutolo Raffaele e Ventrici Francesco.
  Bonura Francesca risulta dimesso in data 20 aprile 2020 dalla casa di reclusione di Milano «Opera», per applicazione della misura della detenzione domiciliare in esecuzione di decisione assunta in pari data dall'Ufficio di sorveglianza di Milano, ai sensi dell'articolo 147 del codice penale e 47-
ter, commi 1-ter e 1-quater, della legge n. 354 del 1975.
  Lo stesso, in data 19 maggio 2020, è stato riassociato in istituto a seguito della revoca dell'ammissione al differimento dell'esecuzione della pena di cui sopra, disposta con ordinanza del magistrato di sorveglianza di Milano, ed è stato assegnato alla casa circondariale di Roma «Rebibbia», con successivo ricovero ospedaliero presso la struttura protetta dell'ospedale «Sandro Pertini» di Roma.
  In pari data, il Ministro della giustizia ha nuovamente applicato nei confronti del Bonura il regime detentivo speciale di cui all'articolo 41-
bis, comma 2, dell'ordinamento penitenziario.
  Iannazzo Vincenzino, risulta posto agli arresti domiciliari con l'uso del braccialetto elettronico, in esecuzione dell'ordinanza 1° aprile 2020 della corte d'assise d'appello di Catanzaro.
  In seguito, la direzione generale dei detenuti e del trattamento, sulla base della richiesta della medesima autorità giudiziaria, ha comunicato la disponibilità del posto letto presso la struttura ospedaliera «Belcolle» di Viterbo, rappresentata dallo stesso reparto di medicina protetta del predetto nosocomio, a seguito dell'esame delle relazioni sanitarie inerenti al detenuto, per la successiva assegnazione in caso di ripristino della custodia cautelare in carcere, ai sensi dell'articolo 2 del decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29.
  Ebbene, in data 5 giugno 2020, Iannazzo Vincenzino è stato ricoverato presso il reparto di medicina protetta dell'ospedale «Belcolle» di Viterbo, in considerazione del ripristino nei suoi confronti della misura della custodia cautelare in carcere, emessa dalla corte d'assise d'appello di Catanzaro.
  Quanto al noto boss Pasquale Zagaria, nei cui confronti, con ordinanza 24 aprile 2020, il tribunale di sorveglianza di Sassari disponeva, su istanza, il differimento dell'esecuzione della pena, sino al 22 settembre 2020, in regime di detenzione domiciliare
ex articolo 47-ter dell'ordinamento penitenziario, il provvedimento risulta motivato in riferimento agli articoli 147, comma 1, n. 2, del codice penale, e 47-ter, comma 1-ter, della legge n. 354 del 1975.
  A seguito dell'introduzione dell'articolo 2 del decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29, il DAP ha individuato e quindi indicato alle autorità giudiziarie competenti, per il successivo parere al tribunale di sorveglianza di Sassari, le strutture sanitarie penitenziarie ed i reparti ospedalieri di medicina protetta dove il ristretto in interesse potrebbe ricevere le cure, nell'ipotesi di revoca della misura alternativa in atto.
  Per tale ragione il 4 giugno 2020 si è celebrata l'udienza per la rivalutazione da parte della magistratura di sorveglianza della sussistenza dei motivi legati all'emergenza sanitaria per Covid-19, sulla base dei quali è stata disposta la detenzione domiciliare.
  Il tribunale di sorveglianza di Sassari con ordinanza depositata il 9 giugno 2020 ha sospeso il procedimento in corso, disponendo l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, sollevando questione di legittimità costituzionale dell'articolo 2 del decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29, per violazione degli articoli 3, 27, comma 3, 32, 102, comma 1, e 104, comma 1, della Costituzione, nonché dell'articolo 5 del decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29, per violazione degli articoli 3, 27, comma 3, 102, comma 1, e 104, comma 1, della Costituzione.
  In ogni caso, in data 21 settembre 2020, il magistrato di sorveglianza di Brescia ha rigettato la proroga della detenzione domiciliare precedentemente concessa dal tribunale di sorveglianza di Sassari, con conseguente rientro del condannato Zagaria in istituto penitenziario.
  Il detenuto Vincenzo Di Piazza è stato dimesso dalla casa di reclusione di Milano «Opera» in data 27 marzo 2020, per applicazione della misura della detenzione domiciliare in esecuzione di decisione giudiziaria emessa in pari data, per motivi sanitari che tuttavia esulano dall'emergenza coronavirus in atto.
  In data 20 giugno 2020, lo stesso è stato ricoverato presso il reparto di medicina protetta dell'ospedale «Belcolle» di Viterbo, in considerazione del ripristino nei suoi confronti della misura della custodia cautelare in carcere.
  Quanto al citato Pollichino Pietro, classe 1941, e ristretto in espiazione della condanna alla pena di anni 6 mesi 8 per il reato di cui all'articolo 416-
bis codice penale, con scadenza della pena fissata al 25 luglio 2021, il tribunale di sorveglianza di Potenza all'udienza del 22 aprile 2020 ebbe a concedergli la misura della detenzione domiciliare a termine per la durata di mesi nove, di cui all'articolo 47-ter, comma 1-ter o.p., in luogo del differimento pena di cui all'articolo 147, comma 1, n. 2 codice penale.
  A seguito della entrata in vigore del decreto-legge 10 maggio 2020 n. 29, il tribunale di sorveglianza fissava al successivo 25 maggio 2020 la prevista udienza finalizzata alla rivalutazione sulla permanenza dei motivi che hanno giustificato l'adozione del provvedimento di ammissione alla detenzione domiciliare a termine, ponendosi in essere, altresì, gli adempimenti istruttori richiesti dall'articolo 2 del sopra menzionato decreto. Ebbene, all'esito, in data 26 maggio 2020 la suindicata misura risulta essere stata revocata in considerazione dell'individuazione, da parte del DAP, dell'istituto penitenziario di Napoli «Secondigliano» quale struttura in grado di sostenere l'assistenza sanitaria di cui il Pollichino necessita, essendo dotata di un Servizio di assistenza intensificata - S.A.I.. Pertanto, il detenuto veniva prima associato alla casa circondariale di Palermo «Pagliarelli» e, il successivo 9 giugno 2020 trasferito presso la casa circondariale di Napoli «Secondigliano».
  Il detenuto Grande Aracri Nicolino risulta ristretto presso la casa circondariale di Milano «Opera» in regime di 41
-bis o.p. In data 30 aprile 2020, ha presentato istanza per la sostituzione del regime di custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari; istanza rigettata dalla competente autorità giudiziaria.
  Il noto boss Cutolo Raffaele, classe 1941, risulta ricoverato presso l'ospedale civile di Parma dal 30 luglio 2020. In effetti risulta avanzata istanza volta a ottenere la revoca del regime detentivo speciale di cui all'articolo 41-
bis o.p., fondata su ragioni di carattere sanitario. Allo stato, risulta fissata udienza innanzi al tribunale di sorveglianza di Roma che, in data 2 ottobre 2020, dovrà pronunziarsi sul reclamo avverso la proroga del citato regime speciale.
  Il magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia, il 3 settembre 2020 ha rigettato, in via provvisoria, l'istanza di differimento della pena avanzata, così trasmettendo l'incartamento al tribunale di sorveglianza di Bologna che dovrà pronunziarsi in via definitiva.
  Infine, quanto al detenuto Ventrici Francesco, dimesso in data 8 aprile 2020 in esecuzione di ordinanza che disponeva la detenzione domiciliare sostitutiva del differimento dell'esecuzione della pena per ragioni sanitarie, risulta che, in data 16 giugno 2020, detta misura è stata revocata dal competente magistrato di sorveglianza, con successivo rientro del detenuto presso la casa di reclusione di Parma.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   BILOTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto si apprende da organi di stampa, il 20 febbraio 2020 ad Olevano sul Tusciano, in provincia di Salerno, Massimo Salvatore, di 38 anni, ha tentato di uccidere la moglie colpendola con una roncola affilata tra il collo e la gola;

   l'uomo, datosi alla fuga, dopo poche ore è stato trovato senza vita in un rudere di campagna;

   la 34enne è stata trasportata all'ospedale di Battipaglia e poi al Ruggi d'Aragona di Salerno in gravissime condizioni;

   secondo le dichiarazioni rese dai familiari alla stampa, nei mesi precedenti alla violenza la donna aveva più volte denunciato la pericolosità del marito alle autorità preposte, senza ottenere tutela: in particolare il primo rapporto dei carabinieri sui maltrattamenti del marito risalirebbe allo scorso agosto; nel mese di ottobre 2019 ci sarebbero state nuove denunce;

   la legge 19 luglio 2019, n. 69, il cosiddetto «Codice Rosso», reca «Disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere»;

   nello specifico, l'articolo 1 integra l'articolo 347 del codice di procedura penale, vertente sull'obbligo della polizia giudiziaria di riferire al pubblico ministero le notizie di reato acquisite. Con la norma citata l'articolo 347 viene modificato al fine di estendere ai delitti di maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e lesioni aggravate commessi in contesti familiari o nell'ambito di relazioni di convivenza il regime speciale attualmente previsto per i gravi delitti indicati dall'articolo 407, comma 2, lettera a), numeri da 1) a 6), del codice di procedura penale: in tal modo, la polizia giudiziaria sarà sempre tenuta a comunicare immediatamente al pubblico ministero le notizie di reato, anche in forma orale;

   l'articolo 3 integra l'articolo 370 del codice di procedura penale, imponendo alla polizia giudiziaria l'adozione di un percorso preferenziale nella trattazione delle indagini delegate dal pubblico ministero che riguardino i reati di maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e lesioni aggravate commessi in contesti familiari o nell'ambito di relazioni di convivenza. Con pari tempestività dovranno essere documentati e messi a disposizione dell'autorità giudiziaria i risultati degli accertamenti compiuti;

   a più di sei mesi dall'entrata in vigore della nuova normativa, come confermato anche dallo stesso Ministero della giustizia, si è registrato un numero crescente di denunce e arresti –:

   quali elementi intenda fornire in relazione ai fatti narrati in premessa e se reputi opportuno avviare un monitoraggio, per quanto di competenza, al fine di verificare la corretta applicazione della legge suddetta, con particolare riferimento all'articolo 3.
(4-04910)

  Risposta. — Sulla base delle notizie acquisite dagli uffici giudiziari competenti si rileva che veniva iscritto un procedimento penale a seguito del tentato omicidio-suicidio commesso da Salvatore Massimo nei confronti della moglie Sonia Bianchi in Olevano sul Tusciano il 20 febbraio 2020.
  Nel ricostruire la genesi del richiamato procedimento, deve evidenziarsi che, nel caso in questione, la polizia giudiziaria delegata sentiva la persona offesa con le modalità previste dalla legge sul cosiddetto codice rosso.
  Nell'occasione, Bianchi Sonia raccontava di essere vittima da tempo di offese e minacce da parte del marito e di aver subito in due/tre occasioni anche violenza fisica; in particolare, nell'estate del 2018, veniva schiaffeggiata; successivamente, nell'inverno del 2019 – ma presumibilmente la donna, tenuto conto della data di escussione a s.i.t., si riferiva sempre all'anno 2018 – le veniva lanciato addosso del latte caldo e veniva schiaffeggiata. La Bianchi ribadiva l'intenzione di non voler sporgere querela. La donna precisava che il marito non era in possesso di armi e che non era mai stata minacciata con un'arma, non aveva mai fatto ricorso a cure mediche e che l'uomo non aveva dipendenze di alcun tipo.
  La persona offesa non aveva inteso sporgere querela, ma si riservava di interessare i servizi sociali ed elencava i precedenti di Salvatore Massimo, tra i quali figurava una denuncia risalente al 2004 per i reati di lesioni e ingiurie sporta dalla stessa Bianchi e successivamente rimessa.
  Successivamente, quest'ultima veniva nuovamente ascoltata al fine di monitorare l'andamento della situazione familiare per accertare se vi fossero stati altri episodi di violenza e chiedere espressamente se intendesse sporgere querela nei confronti del marito. Sulla scorta delle indagini svolte e considerando che per ben 3 volte la p.o. aveva dichiarato di non voler procedere nei confronti del marito – elemento certamente pregiudizievole, in chiave prognostica, per un proficuo esito dibattimentale – la Procura avanzava richiesta di archiviazione al Gip sede in data 20 dicembre 2019. Il giudice per le indagini preliminari disponeva l'archiviazione con decreto del 7 gennaio 2020.
  In data 21 gennaio 2020 i Carabinieri della stazione di Olevano sul Tusciano trasmettevano Cnr n. 28/1/20 con la quale comunicavano che Bianchi Sonia, il giorno precedente, a seguito di un'aggressione posta in essere dal marito con l'utilizzo di un coltello, sottoposto a sequestro, sporgeva querela nei confronti dello stesso per il reato di maltrattamenti e nei confronti della suocera, Fago Mastrangelo Graziella, per il reato di cui all'articolo 612, comma 2 , del codice penale.
  La predetta notizia di reato dava origine al procedimento penale sopra indicato n. 569/20/21 nell'ambito del quale la persona offesa veniva nuovamente sentita con le modalità previste dalla legge n. 69 del 2019.
  Nell'occasione la donna dichiarava che il giorno precedente era stata minacciata di morte con l'utilizzo di un coltello dal marito ed era stata colpita con due pugni sferrati per impedirle di mettere in moto l'automobile e recarsi dai carabinieri, uno dei quali le aveva causato una lesione alle labbra, che interveniva anche la suocera, Fago Mastrangelo Graziella, la quale inveiva verbalmente nei suoi confronti minacciandola di morte.
  La Bianchi raccontava, inoltre, che prima di tale episodio vi erano stati, dall'anno 2018, altri due/tre casi di aggressione fisica, che nell'ultimo periodo si erano intensificati sia gli episodi di violenza che la gelosia morbosa del marito.
  In data 4 febbraio 2020, considerato che le formalità richieste dalla legge sul cosiddetto codice rosso erano state già espletate, veniva richiesta la riapertura delle indagini preliminari
ex articolo 414 del codice di procedura penale, dovendosi procedere a nuove investigazioni finalizzate eventualmente alla richiesta di una misura cautelare.
  Veniva quindi disposta la riapertura delle indagini e l'iscrizione di un nuovo procedimento a carico di Salvatore Massimo per il reato di cui all'articolo 572 del codice penale.
  Nel corso dell'ulteriore trattazione del procedimento, in data 20 febbraio 2020 Salvatore Massimo attingeva con una coltellata alla gola Bianchi Sonia, cagionandole una lesione al collo giudicata guaribile in giorni 30 e si suicidava mediante impiccagione.
  Premessa la ricostruzione cronologica dei fatti menzionati nel corpo dell'interrogazione e pur considerato che nello specifico caso trattato la persona offesa intendeva più volte ritirare le denunce sporte, si conferma l'intenzione di procedere ad un monitoraggio volto a verificare le ricadute applicative della disciplina procedurale introdotta con il cosiddetto codice rosso.
  

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   BRESCIA, ALAIMO, BALDINO, CARABETTA, MAURIZIO CATTOI, CORNELI, DE CARLO, FORCINITI, BERTI, GIARRIZZO, D'ORSO e ELISA TRIPODI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   i commi 627 e 628 dell'articolo 1 della legge di bilancio 2020 hanno stanziato 1 milione di euro per la sperimentazione del voto elettronico nel nostro Paese e hanno affidato la relativa attuazione ad un decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione;

   tale sperimentazione riguarda anche le consultazioni referendarie di cui all'articolo 138 della Costituzione, con uno specifico focus su modelli di voto che garantiscano il concreto esercizio del diritto di voto degli italiani all'estero e degli elettori per diversi motivi lontani dal luogo di residenza;

   il termine per l'adozione del decreto interministeriale è scaduto a fine gennaio e il decreto non è stato ancora adottato;

   con l'interrogazione n. 5-04056 a risposta immediata in Commissione Affari costituzionali alla Camera a fine maggio 2020, il gruppo del Movimento 5 Stelle aveva sollecitato l'adozione di tale decreto in tempo utile per sperimentare il voto elettronico in occasione del referendum costituzionale in programma domenica 20 e lunedì 21 settembre;

   il rinvio delle elezioni ha infatti dato più tempo all'amministrazione per approntare la sperimentazione;

   l'emergenza sanitaria ha messo in evidenza la necessità di dotarsi di modalità inedite e innovative di esercizio del diritto al voto, già urgenti dopo le risapute problematiche del voto postale, con cui si eleggono anche i rappresentanti della circoscrizione estera in Parlamento;

   accogliendo l'ordine del giorno n. 9/02471-A/008 al decreto-legge «elezioni», il Governo si era impegnato «ad adottare tempestivamente un'iniziativa normativa volta a garantire agli elettori fuori sede per motivi di studio, cura e lavoro la possibilità di votare»;

   l'articolo 3, comma 1, del decreto-legge n. 103 del 2020 ha previsto l'ammissione al voto presso il proprio domicilio per gli elettori sottoposti a trattamento domiciliare o in condizioni di quarantena o di isolamento fiduciario per COVID-19;

   alcuni cittadini che hanno scoperto di dover stare in isolamento fiduciario o in quarantena a ridosso del voto non hanno potuto esercitare il loro diritto costituzionalmente garantito anche a causa della difficoltà di reperire facilmente le attestazioni sanitarie;

   anche le difficoltà – seppur superate – di reperire scrutatori dovrebbero spingere verso il voto elettronico, grazie al quale si avrebbe bisogno di minor personale nei seggi;

   è evidente che, alla luce di tali criticità, le norme che consentono l'esercizio del diritto di voto debbano essere profondamente ripensate e aggiornate;

   questa richiesta di cambiamento viene anche da alcune associazioni di cittadini come il Comitato lo Voto Fuorisede che ha già raccolto più di 12 mila firme –:

   quando intenda adottare il decreto attuativo al fine di avviare la sperimentazione del voto elettronico;

   quali iniziative normative intenda promuovere con urgenza per facilitare l'esercizio del diritto di voto.
(4-06833)

  Risposta. — Gli interroganti richiamano l'attenzione sulla necessità di modificare le norme per l'esercizio dei diritto di voto, avviando la sperimentazione del voto elettronico, nonché sulla opportunità di affrettare i tempi per l'adozione del decreto attuativo previsto dalla legge di bilancio del 2020.
  Quest'ultima, come noto, nell'istituire, nello stato di previsione del Ministero dell'interno, un fondo pari a 1 milione di euro, finalizzato ad introdurre, in via sperimentale, modalità di espressione del voto in via digitale per le elezioni politiche ed europee e per i referendum, ha altresì previsto che le modalità attuative di utilizzo di tali risorse vengano definite con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione.
  Ai fini dell'adozione di tale decreto è quindi necessario procedere a un'attenta valutazione di una serie di aspetti tecnici di estrema delicatezza e complessità, per assicurare il rispetto delle norme riconducibili al procedimento elettorale per loro natura direttamente collegate ai princìpi costituzionali di segretezza e personalità del voto.
  Al riguardo, non può non tenersi conto della portata di una eventuale riforma che sarebbe peraltro non scevra, oltre che da ingenti oneri finanziari, da profili di particolare delicatezza, quali fa necessità di attestare la massima sicurezza dei sistemi
hardware e software, nonché delle reti di connettività.
  In considerazione di quanto sopra si è ritenuto, pertanto, necessario, anche ai fini di un successivo eventuale intervento legislativo, approfondire tutti i vari aspetti del procedimento elettorale.
  A tal fine, è stato costituito presso il Ministero dell'interno, un gruppo di lavoro composto anche da rappresentanti dei Ministeri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, della giustizia e dell'Ufficio del Ministro per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione.
  A tale gruppo di studio, che si è insediato il 25 agosto 2020 e i cui lavori sono tuttora in corso, è stata affidata, in particolare, l'elaborazione di ipotesi attuative e tecnico-organizzative del voto elettronico, tenendo conto delle esperienze pregresse e delle criticità rilevate nell'utilizzo di questo sistema anche da parte di altri Paesi, al fine di individuare elementi utili a delineare un modello che contemperi le esigenze di modernizzazione e snellimento delle procedure elettorali con le garanzie costituzionali.
  L'obiettivo assegnato al gruppo di lavoro è quindi la redazione di linee guida sulla sperimentazione di modalità di voto e di scrutinio elettronico.
  Quanto sopra, anche nell'ottica di sperimentare soluzioni per rendere più agevole l'esercizio del voto sia dei cittadini italiani residenti all'estero che degli elettori ivi temporaneamente domiciliati per lavoro, studio o cure mediche.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Achille Variati.


   D'ALESSANDRO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per le pari opportunità e la famiglia. — Per sapere – premesso che:

   nel comune di Molina Aterno, nella regione Abruzzo, chiamato al rinnovo del consiglio comunale, un raggruppamento civico, «Progresso e Libertà», ha presentato una lista di soli uomini, senza alcuna donna;

   l'esclusione di un genere appare in contrasto con lo spirito delle attuali norme vigenti nazionali e regionali relativamente alla formazione delle liste elettorali;

   una decisione che non deve e non può costituire un precedente e che necessita di una presa di posizione decisa al fine di evitare in futuro il ripetersi di tale circostanza anche nei piccoli comuni –:

   se intenda adottare iniziative normative volte a stabilire una disciplina più stringente per scongiurare il ripetersi di una decisione che comporti l'esclusione delle donne dalle liste elettorali, anche nei piccoli comuni.
(4-06806)

  Risposta. — Con riferimento a quanto richiesto dall'interrogante nell'atto di sindacato ispettivo in esame, si rappresenta quanto segue.
  La questione dell'equilibrio di genere negli organi di governo delle istituzioni elettive e della partecipazione alle diverse competizioni elettorali ha costituito negli ultimi anni un tema centrale nel dibattito politico che è seguito alla riforma dell'articolo 51 della Costituzione, in virtù del quale la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini.
  In tale direzione, il legislatore statale ha negli ultimi anni dedicato crescente attenzione all'attuazione del principio costituzionale sia sul versante dell'accesso alle diverse competizioni elettorali che su quello della partecipazione agli organi di governo delle istituzioni rappresentative.
  In particolare, la legge 23 novembre 2012, n. 215, recante «Disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali. Disposizioni in materia di pari opportunità nella composizione delle commissioni di concorso nelle pubbliche amministrazioni» ha inteso promuovere direttamente la parità di uomini e donne nell'accesso alle cariche elettive regionali e comunali.
  L'articolo 2 della predetta legge ha apportato modifiche ad alcune disposizioni del decreto legislativo n. 267 del 2000 e del decreto del Presidente della Repubblica n. 570 del 1960, per favorire, in estrema sintesi, sia la presenza nelle liste dei candidati di entrambi i generi (attraverso determinate «quote»), sia la possibilità di esprimere la doppia preferenza, purché per candidati di genere diverso.
  La riforma, tuttavia, presenta una diversa modulazione a seconda delle fasce demografiche dei comuni: sotto 5.000 abitanti; da 5.000 a 15.000 abitanti; sopra 15.000 abitanti.
  Per l'elezione nei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti (il comune di Molina Aterno ha 491 abitanti) viene in rilievo l'articolo 2, comma 1, lettera
c), al numero 1), della legge in esame che, aggiungendo il comma 3-bis all'articolo 71 del decreto legislativo n. 267 del 2000, enuncia, al primo periodo, il principio secondo il quale «nelle liste dei candidati è assicurata la rappresentanza di entrambi i sessi».
  Va rilevato che nella fattispecie in questione non sono previste misure sanzionatorie a carico delle liste che non assicurano la rappresentanza di entrambi i sessi, in ragione del fatto che nella realtà delle piccole località territoriali potrebbero concretamente non presentarsi candidature di donne.
  In conclusione si osserva che una eventuale modifica ordinamentale finalizzata a conferire una maggiore cogenza al principio di parità di genere all'accesso alle diverse competizioni elettorali potrà essere oggetto di riflessione, eventualmente anche con il contributo della Conferenza Stato-Città.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Achille Variati.


   DE MENECH. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   in questi giorni è aumentata la preoccupazione tra i lavoratori della Safilo per il futuro dello stabilimento produttivo di Longarone;

   si sono svolte le assemblee sindacali con i dipendenti, i sindacati hanno illustrato l'incontro svoltosi alcune settimane fa a Padova con l'amministratore delegato. Incontro in cui l'amministratore delegato ha comunicato che si concluderà il 31 dicembre 2020 il contratto di fornitura con Kering di occhiali a marchio Gucci, produzione che per il 2019 si attesta sul milione e mezzo di pezzi. Sempre nella stessa data cesserà anche la licenza con Dior, che pesa sul fatturato di Safilo per il 13 per cento;

   in autunno si conosceranno le strategie che la società metterà in campo per superare questa situazione, quando è prevista la presentazione del cosiddetto piano Safilo;

   oggi resta alto il timore che i risvolti possano essere pesanti per l'occupazione. La situazione è quindi in divenire; è chiaro a tutti che non è possibile aspettare di conoscere questo piano per iniziare una riflessione seria sulla trasformazione del settore dell'occhialeria;

   si è quindi di fronte a una trasformazione che deve essere governata per poter difendere i posti di lavoro e le competenze acquisite dai lavoratori in tutti questi anni per tutto ciò è necessaria una forte sinergia fra aziende, sindacato e politica;

   la preoccupazione dei lavoratori per il loro futuro è sposata anche dagli amministratori locali come i sindaci di Longarone e Ponte nelle Alpi. Occorre trovare una soluzione per blindare l'occupazione –:

   se intenda occuparsi della delicata situazione della Safilo e convocare un tavolo di confronto con tutti gli attori protagonisti al fine di salvaguardare i mille posti di lavoro, preservare la localizzazione e dare futuro alle produzioni.
(4-07161)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sentita la direzione generale competente del Ministero dello sviluppo economico, si rappresenta quanto segue.
  Si tiene a precisare,
in primis, che il Ministero dello sviluppo economico è sin da subito intervenuto al fine di risolvere le vicende del gruppo Safilo, nota azienda presente nel mercato dell'occhialeria dal 1934 e controllata dal 2009 dal fondo olandese Hai. L'azienda, infatti, nel dicembre 2019 aveva annunciato una riorganizzazione, che coinvolgeva circa 700 lavoratori tra il Veneto e il Friuli, ed aveva previsto la chiusura dello stabilimento friulano di Martignacco.
  Il 16 gennaio 2020 si è aperto al Ministero dello sviluppo economico il tavolo di confronto fra le parti, presieduto dal Ministro Stefano Patuanelli. In tale sede, la Safilo ha confermato quanto aveva annunciato nel dicembre 2019 ovvero: il piano di ristrutturazione e la riduzione del personale, per far fronte al calo dei volumi, conseguente alla perdita di alcune licenze afferenti alle produzioni italiane.
  Il 27 gennaio 2020, a seguito di una successiva riunione presso il Ministero, si è aperto il confronto tra le parti nelle sedi territoriali. Il 18 marzo 2020, essendo intervenuta l'emergenza sanitaria COVID-19 si è svolta una
call conference riguardante le sedi italiane della società Safilo s.p.a. cui hanno partecipato gli assessori al lavoro e alle attività produttive della regione Friuli Venezia Giulia, il rappresentante della regione Veneto, l'amministratore delegato e il direttore del personale in rappresentanza della società Safilo, nonché i rappresentanti delle sigle sindacali di categoria. Presso il Ministero dello sviluppo economico è stato raggiunto un accordo quadro in qui sono stati recepiti gli accordi raggiunti tra le parti, con i quali si sono individuate le soluzioni per ridurre l'impatto sociale del citato piano di ristrutturazione.
  In particolare:

   per la sede di Martignacco (accordo siglato il 17 febbraio 2020) si è previsto l'avvio di una procedura di licenziamento collettivo e un incentivo all'esodo per i lavoratori che avessero manifestato la non opposizione al licenziamento, nonché il ricorso alla Cigs per cessazione dell'attività. A riguardo la società Safilo si è impegnata a conferire ad un Advisor l'incarico per la possibile individuazione di potenziali investitori, con la finalità di reindustrializzare l'impianto;

   per la sede di Longarone è stato raggiunto un accordo (siglato 2 marzo 2020) che ha previsto il ricorso allo strumento del contratto di solidarietà difensivo, al quale si affiancheranno strumenti di incentivazione all'esodo su base volontaria;

   per la sede di Padova è stata raggiunta un'intesa il 10 marzo 2020 con la quale le parti hanno condiviso un piano di incentivazione all'esodo con la finalità di gestire l'esubero.

  L'amministratore delegato della società in questione ha ribadito gli impegni aziendali sottoscritti nei succitati accordi precisando, altresì, che l'azienda si sarebbe fatta parte attiva nella reindustrializzazione del sito friulano e che, a tal fine, nominerà un Advisor.
  Nell'evidenziare l'attenzione massima tenuta dal Ministero dello sviluppo economico sulla questione, si ricorda che l'azienda Safilo ha recentemente concluso un accordo per la reindustrializzazione del sito di Martignacco con l'intervento di un terzo investitore.

La Sottosegretaria di Stato per lo sviluppo economico: Alessandra Todde.


   DELMASTRO DELLE VEDOVE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   a quanto risulta all'interrogante, ad oggi non sono stati rilevati schemi validi per la riapertura in sicurezza degli uffici che siano ispirati da criteri organizzativi uniformi e coordinati a livello nazionale, sia con riferimento all'utilizzo di strumenti processuali telematici, sia con riferimento all'individuazione dei processi da trattare, sia con riferimento alla gestione delle udienze da trattarsi in presenza;

   al processo dinnanzi al giudice di pace, ad esempio, non sono applicabili tutti gli strumenti del processo civile telematico e, spesso, l'intervento delle parti senza un difensore comporta anche l'impossibilità per queste categorie di popolazione ad accedervi;

   in virtù di quanto appena considerato, appare evidente come i giudici di pace siano tra le categorie più a rischio Covid e quella che l'interrogante giudica un'inerzia del Ministro interrogato in merito alla fissazione di standard comuni di sicurezza rischia di rendere la situazione ancora più complicata –:

   quali siano gli intendimenti del Governo, per quanto di competenza, in merito all'emanazione di linee guida comuni su standard di sicurezza e procedure per la riapertura.
(4-05576)

  Risposta. — Con riferimento all'atto parlamentare in esame si osserva innanzitutto che ai giudici onorari in servizio presso gli uffici dei giudici di pace ed i tribunali ordinari, nonché ai vice procuratori onorari sono state rilasciate le licenze emergenziali che consentono di utilizzare la piattaforma Teams per le videoconferenze, la medesima piattaforma messa a disposizione dei magistrati professionali e dei dirigenti amministrativi.
  Quanto al personale di cancelleria si osserva che, mentre allo stato è preclusa per motivi di sicurezza informatica la possibilità di avere accesso dal di fuori della Rete unitaria della giustizia ai registri dei procedimenti penali, è, invece, in avanzato stato di sviluppo la modifica al registro di cancelleria dei giudici di pace, denominato con l'acronimo Sigp, che consentirà entro pochissime settimane l'accesso da remoto a tale registro utilizzando esclusivamente un computer portatile che sarà fornito dal l'amministrazione ed una smart card per l'autenticazione.
  Si ricorda, inoltre, che già dalla prima fase dell'emergenza tutti uffici dei giudici di pace che ne hanno fatto richiesta a seguito delle comunicazioni diramate sull'intero territorio nazionale da questa direzione generale sono stati abilitati a ricevere pagamenti telematici dei diritti di copia, del contributo unificato e dei diritti di cancelleria tramite la piattaforma pagoPA.
  Quanto agli altri servizi entro il 30 ottobre verrà collaudata la modifica che consentirà agli avvocati il deposito telematico dei ricorsi per decreto ingiuntivo e la gestione telematica lato cancelleria.
  Questo è il primo passo per l'avvio del Pct presso gli uffici dei giudici di pace che si aggiunge all'implementazione già realizzata delle comunicazioni e notificazioni telematiche di cancelleria.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   DELMASTRO DELLE VEDOVE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il 16 luglio 2020, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha pronunciato una importante sentenza nella causa C-658/18 contro il Governo italiano, relativa all'inquadramento giuridico dell'attività del giudice di pace, e al corrispondente trattamento economico;

   la causa poneva al giudice europeo la spinosa domanda sulla discriminazione del trattamento retributivo del giudice di pace rispetto ai giudici ordinari, in particolare in relazione al diritto di godere di ferie retribuite;

   l'esame della sentenza europea appare interessante, perché fissa dei principi rilevanti a tutela del lavoro della magistratura onoraria, destinati ad accrescere il dibattito già accesso in seguito alla «riforma Orlando»;

   la Corte ha affrontato poi la questione dell'applicabilità all'attività del giudice di pace, della direttiva 2003/88 sul lavoro subordinato, dando risposta affermativa al quesito sollevato;

   circa il rapporto di subordinazione, l'organizzazione del lavoro dei giudici di pace prevede il rispetto di tabelle per l'assegnazione dei fascicoli e la distribuzione delle date e degli orari di udienza;

   i giudici di pace, poi, sono tenuti ad osservare gli ordini del capo dell'ufficio e i provvedimenti organizzativi del Consiglio superiore della magistratura;

   inoltre, i giudici di pace devono essere costantemente reperibili e hanno obblighi disciplinari simili a quelli dei magistrati ordinari;

   i giudici europei rilevano che un giudice di pace potrebbe rientrare nella nozione di «lavoratore a tempo determinato» se nominato per un periodo limitato e se svolge, nell'ambito delle sue funzioni, prestazioni reali ed effettive, non puramente marginali né accessorie, per le quali percepisce indennità aventi carattere remunerativo, circostanze che il giudice nazionale dovrà verificare;

   la Corte di giustizia dell'Unione europea, con la sentenza C-658/18, ha dichiarato che spetta al giudice nazionale stabilire, in concreto, se un giudice di pace si trovi in una situazione paragonabile a quella di un magistrato ordinario, tale, quindi, da poter beneficiare del periodo di ferie annuali retribuito;

   sarebbe opportuno procedere all'adeguamento dell'ordinamento con una definitiva risoluzione della controversia, parificando e stabilizzando la magistratura onoraria. Alla data odierna, l'interrogante non è conoscenza di idonee iniziative legislative da parte del Governo in merito a quanto indicato dalla Corte di giustizia dell'Unione europea –:

   quali siano gli intendimenti del Governo in merito ai rilievi evidenziati dalla Corte di giustizia dell'Unione europea sullo status e sui diritti della magistratura onoraria.
(4-06794)

  Risposta. — Con l'atto parlamentare in esame, dopo avere ricordato la pronuncia del 16 luglio 2020 nella causa C-658/18 della Corte di giustizia dell'Unione europea sul tema dell'inquadramento giuridico dell'attività del giudice di pace e sui relativo trattamento economico, ha riproposto la questione del regime giuridico e retributivo di tale figura rispetto a quella dei giudici ordinari, anche con riguardo alla fruizione di riposi retribuiti, e quella dell'estensibilità dei principi sul lavoro subordinato (giusta direttiva 2003/88), cui il giudice sovranazionale avrebbe dato «risposta affermativa».
  Rammentati i criteri sull'organizzazione del «lavoro dei giudici di pace», il relativo obbligo di reperibilità e di osservanza degli ordini del capo dell'ufficio e dei provvedimenti del Csm nonché la nozione – invalsa nell'ordinamento comunitario – di «lavoratore a tempo determinato», l'interrogante ha valorizzato il
decisum della Corte di giustizia, secondo cui spetta al giudice nazionale «stabilire, in concreto, se un giudice di pace si trovi in una situazione paragonabile a quella di un magistrato ordinario, tale, quindi, da poter beneficiare del periodo di ferie annuali retribuito» e prospettato come opportuno un corrispondente «adeguamento» dell'ordinamento, «con una definitiva risoluzione della controversia, parificando stabilizzando la magistratura onoraria»; ha quindi chiesto di sapere «quali siano gli intendimenti del Governo in merito ai rilievi evidenziati dalla Corte di giustizia dell'Unione europea sullo status e sui diritti della magistratura onoraria».
  La problematica rimessa al vaglio del giudice comunitario attiene invero ad una fattispecie risarcitoria fondata sulla mancata attuazione, da parte dello Stato italiano nei confronti del magistrato onorario ricorrente (un giudice di pace), delle direttive 1999/70/CE sul lavoro a tempo determinato e 2003/88/CE sull'orario di lavoro, nella misura delle indennità corrisposte al magistrato professionale con pari anzianità di servizio per il periodo di ferie nel mese di agosto 2018, non retribuito: il giudice del rinvio pregiudiziale ha, in particolare, chiesto alla Corte di giustizia se possa considerarsi quale giudice comune europeo un giudice di pace, come il giudice del rinvio, che non sarebbe messo nelle condizioni di lavoro per essere giudice indipendente, imparziale, inamovibile, perché precario e sprovvisto sul piano economico di una retribuzione corrispondente alle responsabilità legate all'esercizio di funzioni giudiziarie e della tutela previdenziale.
  La Corte di giustizia, con decisione del 22 ottobre 2019, ha rinviato la causa per la trattazione orale davanti alla 2a sezione, indicando alle parti il quesito su cui concentrare le difese, che riguarda esclusivamente la seconda questione pregiudiziale sollevata, ossia se i giudici di pace rientrino nella nozione di «lavoratori» ai sensi della direttiva 2003/88, come interpretata dal punto 27 della sentenza Fenoll della Corte di giustizia (sentenza 23 marzo 2015, causa C-316/13; «...deve essere qualificata come lavoratore una persona che svolga attività reali ed effettive, restando escluse quelle attività talmente ridotte da poter essere definite puramente marginali e accessorie. La caratteristica del rapporto di lavoro è la circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo, a favore di un'altra e sotto la direzione di quest'ultima, prestazioni in contropartita delle quali riceva una retribuzione»), e quale sia la pertinenza della sentenza King (Corte di giustizia dell'Unione europea sentenza 29 novembre 2017, causa C-214/16; «deve essere qualificato come lavoratore ai sensi della direttiva 2003/88 e ha diritto di beneficiare dell'indennità per ferie annuali retribuite chi ha lavorato in base ad un contratto di lavoro autonomo con retribuzione basata sulle sole commissioni») e della sentenza O'Brien.
  Nella sentenza pronunciata in data 16 luglio 2020 la Corte di giustizia dell'Unione europea, respinti i dubbi espressi dalla Commissione europea e dalla Repubblica Italiana con riferimento alla ricevibilità del rinvio pregiudiziale, ritenendo che «il giudice di pace soddisfa i criteri per essere considerato una giurisdizione di uno degli Stati membri, ai sensi dell'articolo 267 Tfue».

  Nel merito, con riferimento alla prima questione, la Corte ha dichiarato che «l'articolo 267 Tfue deve essere interpretato nel senso che il giudice di pace (Italia) rientra nella nozione di giurisdizione di uno degli Stati membri, ai sensi di tale articolo».
  In ordine alla seconda questione, la Corte ha evidenziato che la stessa riguarda tre aspetti distinti, volti a valutare l'esistenza di un eventuale diritto dei giudici di pace a beneficiare di ferie retribuite sulla base del diritto dell'Unione: l'interpretazione della nozione di «lavoratore», ai sensi della direttiva 2003/88, al fine di determinare se un giudice di pace (come la ricorrente nel procedimento principale) possa rientrare in tale nozione, considerato che l'articolo 7, paragrafo 1, di tale direttiva dispone che gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane; la nozione di «lavoratore a tempo determinato» ai sensi dell'accordo quadro ed infine, qualora quest'ultima nozione comprendesse il giudice di pace, la possibilità di paragonare quest'ultimo, ai fini dell'applicazione del principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4 di tale accordo quadro, ai magistrati ordinari, i quali beneficiano di ferie annuali retribuite supplementari, per un totale di 30 giorni.
  La Corte ha, poi, dichiarato i seguenti principi e criteri, di cui il giudice del rinvio dovrà tenere conto nell'ambito del suo esame, valutando nel loro complesso tutte le circostanze del caso di cui è investito, riguardanti la natura sia delle attività interessate, sia del rapporto tra le parti in causa:

   l'articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, e l'articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea devono essere interpretati nel senso che un giudice di pace, il quale nell'ambito delle sue funzioni svolge prestazioni reali ed effettive, non puramente marginali né accessorie, e per le quali percepisce indennità aventi carattere remunerativo, può rientrare nella nozione di «lavoratore», ai sensi di tali disposizioni, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare;

   la clausola 2, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999, che figura nell'allegato della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro Ces, Unice e Ceep sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che la nozione di «lavoratore a tempo determinato», contenuta in tale disposizione, può includere un giudice di pace, nominato per un periodo limitato, il quale, nell'ambito delle sue funzioni, svolge prestazioni reali ed effettive, non puramente marginali né accessorie, e per le quali percepisce indennità aventi carattere remunerativo, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare;

   la clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999, che figura nell'allegato della direttiva 1999/70, deve essere interpretata nel senso che osta ad una normativa nazionale che non prevede il diritto per un giudice di pace di beneficiare di ferie annuali retribuite di 30 giorni, come quello previsto per i magistrati ordinari, nell'ipotesi in cui tale giudice di pace rientri nella nozione di «lavoratore a tempo determinato», ai sensi della clausola 2, punto 1, di tale accordo quadro, e in cui si trovi in una situazione comparabile a quella di un magistrato ordinario, a meno che tale differenza di trattamento sia giustificata dalle diverse qualifiche richieste e dalla natura delle mansioni di cui detti magistrati devono assumere la responsabilità, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

  Dalla globale impostazione del decisum della Corte di giustizia, non emerge dunque un'equiparazione automatica o comunque una assimilabilità predefinita delle dinamiche lavorative e dello «status» della magistratura ordinaria con quella onoraria (per quanto di rilievo in specifiche questioni, come ad esempio la fruibilità di ferie retribuite); occorre quindi valutare caso per caso la situazione operativa e le condizioni del servizio, verificando se la peculiarità del ruolo rivestito dalla magistratura ordinaria nel sistema costituzionale italiano e le modalità di accesso alla stessa possano integrare per la Cgce una «ragione oggettiva» idonea a giustificare – nel rispetto dei principi comunitari ed ove rispondenti ad una reale necessità – una differenza nel trattamento delle due categorie professionali.
  Nella medesima sentenza la Corte ha infatti ribadito più volte che spetta al giudice del rinvio, e dunque al giudice nazionale, determinare se un giudice di pace si trovi o meno in una situazione comparabile a quella di un magistrato ordinario, alla luce di una serie di elementi da valutare, quali resistenza di un concorso iniziale specificamente concepito per i magistrati ordinari ai fini dell'accesso alla magistratura, invece non previsto per la nomina dei giudici di pace; la competenza dei giudici di pace, limitata a controversie il cui livello di complessità ed il cui volume non corrispondono a quelli delle cause dei magistrati ordinari; la circostanza che i giudici di pace possono svolgere soltanto le funzioni attribuite a giudici singoli e non possono quindi far parte di organi collegiali.
  Al tempo stesso, la Corte ha evidenziato che le differenze nell'attività lavorativa tra un giudice di pace e un magistrato ordinario possono essere considerate idonee a configurare una «ragione oggettiva», ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4 dell'accordo quadro – e quindi giustificare una disparità di trattamento – nei limiti in cui essi rispondano ad una reale necessità, siano idonei a conseguire l'obiettivo perseguito e siano necessari a tal fine.
  Ciò premesso, deve rammentarsi in generale che, alla luce del decreto legislativo n. 177 del 2017, recante «Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della legge 28 aprile 2016 n. 57», la prestazione dei giudici di pace appare improntata ad un'intrinseca
ratio di specialità, in ragione della quale una serie di prerogative e tutele che connotano sul piano giuridico ed economico il ruolo del giudice togato non sono state ritenute estensibili tout court a siffatta figura professionale.
  
In primis, la configurabilità di un rapporto di «pubblico impiego» in capo alla magistratura onoraria resta esplicitamente esclusa dalla legge delega 28 aprile 2016, n. 57 la quale, nel riformare la materia, ha attribuito rilievo determinante alla temporaneità dell'incarico; la medesima fonte legislativa ha, poi, codificato lo «statuto» lavorativo del magistrato onorario, tracciandone in via sistematica il regime di tutele e il profilo professionale ed operando una riorganizzazione delle relative competenze, mansioni, modalità di pagamento, ferma restando la temporaneità dell'incarico onorario, nel rispetto dei vigenti principi costituzionali che ancorano l'accesso e l'assunzione di incarichi stabili nella pubblica amministrazione all'esperimento di procedure concorsuali pubbliche (confronta articolo 97 Costituzione, ultimo comma, e argomenti dagli articoli 35 e 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001, cosiddetto testo unico sul pubblico impiego).
  Ne deriva un sistema di diversa regolamentazione dei compensi percepiti dai magistrati onorari rispetto ai magistrati professionali, riconducibili, rispettivamente, ad una indennità e ad una retribuzione, nonché una diversa articolazione dei relativi regimi previdenziali e assicurativi modulati in considerazione della professionalità o dell'onorarietà dell'incarico; segnatamente, per effetto dell'articolo 26 del decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116, le indennità corrisposte ai giudici onorari di pace e ai vice-procuratori onorari, comprensive degli oneri previdenziali e assistenziali, non sono più ricondotte ai redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, ma ai redditi di lavoro autonomo; l'Inail ha d'altronde varato le disposizioni attuative del citato decreto legislativo con atto interno («obbligo e tutela assicurativa dei giudici onorari di pace e dei vice procuratori onorari: classificazione tariffaria, retribuzione imponibile e modalità di calcolo del premio assicurativo. Decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116, articolo 25, comma 5»), mentre il Ministero ha posto in essere gli adempimenti per garantire l'attuazione delle norme in materia assicurativa direzione generale stabile e senza concorso dei giudici onorari, con parere n. 854 reso dalla Commissione speciale in data 7 aprile 2017, ha escluso la legittimità costituzionale di una simile opzione, rimettendo al Governo di «prudentemente verificare se la prospettata deroga al principio del pubblico concorso possa rientrare nell'area delle eccezioni consentite dall'articolo 97 della Costituzione».
  Secondo il supremo consesso della giustizia amministrativa «la massima cautela s'impone a maggior ragione nel caso in esame, in cui la prospettata stabilizzazione sembra muovere – non dalle peculiari necessità funzionali al buon andamento dell'amministrazione richieste dalla giurisprudenza della Corte costituzionale – bensì dalla preoccupazione di tutelare le aspettative alla continuità del reddito dei “giudici onorari prorogati”», aggiungendo che «In un modello costituzionale ispirato al principio di stretta legalità - dove il magistrato è estraneo al circuito della formazione dell'indirizzo politico – l'accertamento della capacità tecnica del magistrato (articolo 106, comma 1, della Costituzione) è il presupposto indefettibile per attuare la soggezione del giudice soltanto alla legge (articolo 101, comma 2, della Costituzione), la quale a sua volta si realizza attraverso l'autonomia e l'indipendenza dell'ordine giudiziario (articolo 104, comma 1, della Costituzione). In altri termini, il giudice è e deve essere prevalentemente un tecnico della legge, in quanto nell'esercizio della giurisdizione la sovranità popolare si esprime attraverso la mediazione della legge in cui tipicamente quella sovranità si esplica».
  Ciò premesso, evidenzio di avere presentato il disegno di legge di riforma della disciplina della magistratura onoraria, recante modifiche al decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116; tale provvedimento è attualmente all'esame della 2a Commissione permanente (Giustizia) in sede referente del Senato (A.S. n. 1438); tale disegno di legge recepisce l'esito del tavolo tecnico istituito con decreto del Ministro del 21 settembre 2018 per l'adozione di interventi diretti a migliorare le condizioni della magistratura onoraria, al quale hanno partecipato anche le associazioni rappresentative della magistratura onoraria e singoli magistrati onorari, e segue le linee direttrici emerse da tali lavori perseguendo, tra gli altri obiettivi, anche quello della modifica del trattamento retributivo attualmente riconosciuto.
  Esso recepisce l'esito del tavolo tecnico istituito con decreto del Ministro del 21 settembre 2018 per l'adozione di interventi diretti a migliorare le condizioni della magistratura onoraria, al quale hanno partecipato anche le associazioni rappresentative della magistratura onoraria e singoli magistrati onorari, e segue le linee direttrici emerse da tali lavori perseguendo, tra gli altri obiettivi, anche quello della modifica del trattamento retributivo attualmente riconosciuto.
  La pronuncia della Corte di giustizia del 16 luglio 2020, causa C-658/18, nota all'ufficio, si è dunque inserita nell'intervento di riforma appena descritto aprendo un ulteriore confronto su quanto osservato dalla Corte in vista delle modifiche da apportare alla disciplina vigente.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   DI SARNO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   secondo i dati forniti dal Ministero dell'interno dal 1° gennaio al 10 luglio 2020 sono sbarcati sulle coste italiane 8.087 migranti a fronte dei 3.165 arrivi registrati nello stesso periodo del 2019 e rispetto ai 16.937 del 2018. In relazione al 2019 si osserva dunque un incremento pari al 155,5 per cento e rispetto al 2018 si osserva al contrario una contrazione degli stessi pari al 52,3 per cento;

   nei primi dieci giorni di luglio 2020 si è registrato lo sbarco di 1.137 migranti, a fronte dei 1.088 arrivi registratisi complessivamente nel mese di luglio 2019 e si apprende da fonti stampa che tra venerdì 10 e domenica 12 luglio i migranti sbarcati lungo le coste italiane, anche in maniera autonoma, sono stati circa 800, di nazionalità prevalentemente tunisina e di cui 80 sono risultati positivi al virus SARS-CoV-2. L'intensificazione degli sbarchi, oltre che sull'isola di Lampedusa (Agrigento), si è registrata lungo le coste di Puglia e Calabria, quali punti di approdo delle rotte migratorie provenienti da Grecia e Turchia;

   nelle ultime settimane hanno destato particolare attenzione mediatica sia la situazione causata dal sovraffollamento dell'hotspot di Lampedusa sia lo sbarco di 68 migranti, avvenuto nella giornata di sabato 11 luglio 2020 a Roccella Ionica in provincia di Reggio Calabria. Gli stranieri, 28 dei quali risultati positivi al virus SARS-CoV-2, sono stati trasferiti in diverse strutture ubicate nei comuni di Roccella Ionica (Reggio Calabria), Bova Marina (Reggio Calabria) e Amantea (Cosenza): in quest'ultima località, nella mattinata di domenica 12 luglio, si sono verificati episodi di protesta contro l'arrivo di 28 migranti, di cui 13 risultati positivi, trasferiti in un centro di accoglienza presente sul territorio comunale;

   gli sbarchi incontrollati di immigrati sul territorio italiano, verificatisi nei giorni scorsi, destano particolare allarme e preoccupazione tra la popolazione;

   la situazione è aggravata dall'emergenza sanitaria da COVID-19, che nonostante le misure di contenimento adottate nel corso di questi mesi, è ancora in atto;

   accanto ai flussi migratori gestiti dalla Ong, si registra un aumento dei cosiddetti sbarchi fantasma, con gruppi di immigrati che si organizzano in maniera autonoma per approdare sulle coste italiane, sfuggendo a qualsiasi verifica da parte delle autorità competenti;

   si tratta di persone provenienti non solo dal Nord Africa, come Libia e Tunisia, ma anche dai Paesi asiatici dove, purtroppo, la diffusione della pandemia è in continuo aumento, con il pericolo per il nostro Paese di importare il virus dall'estero;

   invero, molti dei migranti sbarcati di recente in Puglia, Calabria e Sicilia sono risultati positivi al coronavirus, pertanto è necessario un monitoraggio costante degli sbarchi, poiché si rischia di vanificare tutti i sacrifici fatti dagli italiani durante la fase 1;

   il sistema di accoglienza è quasi giunto al collasso, in quanto risulta difficile effettuare tutti i controlli sanitari ed al contempo reperire centri idonei, dove poter collocare gli stranieri in quarantena. Infatti, spesso tali strutture risultano inadeguate come dimostrato, ad esempio, dalla fuga di più di 20 migranti dall'hotspot di Taranto o di 25 tunisini da Gualdo Cattaneo, il che comporta un ulteriore impiego di forze dell'ordine per la cattura dei fuggitivi;

   occorre approntare misure che consentano di fermare gli scafisti ed i trafficanti di uomini;

   si rende necessario un intervento tempestivo anche alla luce dei recenti dati sull'andamento della pandemia in Italia, laddove in alcune regioni si è registrato un aumento dei contagi e delle vittime –:

   in che modo il Ministro interrogato intenda intervenire per far fronte a tali flussi migratori;

   quali iniziative straordinarie intenda adottare per la gestione dei cosiddetti sbarchi incontrollati.
(4-06490)

  Risposta. — Nell'atto di sindacato ispettivo in esame, prendendo spunto dagli ultimi dati sugli sbarchi dei migranti in Italia, si richiama l'attenzione sul conseguente possibile accresciuto rischio di contagio da Covid-19.
  Al riguardo si fa preliminarmente presente che il Ministero dell'interno ha attivato tutte le necessarie misure di prevenzione del contagio all'interno del sistema di accoglienza.
  Si fa riferimento, in particolare, all'adozione delle generalizzate misure di quarantena e dei provvedimenti igienico-sanitari all'interno dei centri di accoglienza, relativi anche alla distanza interpersonale, al divieto di assembramento, all'individuazione di specifici spazi per l'isolamento fiduciario per le persone risultate positive al virus.
  Inoltre, per l'attuazione delle misure di contenimento del rischio sanitario il capo dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno è stato nominato, con decreto del capo dipartimento della protezione civile del 12 aprile 2020 n. 1287, soggetto attuatore «per assicurare il rispetto delle misure di isolamento fiduciario e di quarantena adottate per contrastare la diffusione epidemiologica da COVID-19, nei riguardi delle persone soccorse in mare, ovvero giunte sul territorio nazionale a seguito di sbarchi autonomi».
  Per fare fronte all'esigenza di assicurare ulteriori posti per la quarantena dei migranti sbarcati, nonché per alleggerire la pressione sui centri, sono state effettuate le procedure di gara per il noleggio di unità navali da adibire alla sorveglianza sanitaria dei migranti sbarcati.
  Le navi attualmente utilizzate per la quarantena dei migranti sono cinque (GNV Azzurra, GNV Aurelia, GNV Allegra, GNV Rhapsody e SNAV Adriatico).
  Nel rammentare che il soggetto attuatore è stato incaricato nel mese di settembre dell'attuazione delle misure anti-Covid anche nei riguardi dei migranti che arrivano attraverso le frontiere terrestri, si precisa che per l'esigenza di sorveglianza sanitaria, si è ricorso, oltre che alle navi, ad apposite strutture, individuate dalle prefetture competenti, che vengono utilizzate anche per i migranti rintracciati presso le frontiere terrestri.
  In particolare si tratta di:

   14 strutture specifiche per l'applicazione delle misure di prevenzione anti-COVID;

   diverse aree adibite alla quarantena in alcuni centri governativi preesistenti.

  Per quanto concerne le iniziative intraprese a livello internazionale in tema di politiche migratorie, nell'ottica di rafforzare l'impegno con i Paesi di partenza dei flussi migratori più consistenti, il 13 luglio 2020, il Ministro dell'interno ha promosso un vertice ministeriale a Trieste, d'intesa con la Commissione europea e la Presidenza di turno tedesca, al quale hanno partecipato i Commissari europei Johansson e Vàrhelyi, i Ministri dell'interno di Germania, Francia, Spagna e Malta e gli omologhi di Libia, Tunisia, Algeria, Marocco e Mauritania.
  L'iniziativa è stata finalizzata alla prevenzione ed al contrasto alla rete del traffico di migranti, mediante la condivisione di misure per il rafforzamento della dimensione esterna della politica di sicurezza dell'Unione.
  È stato, inoltre, dato particolare impulso alle relazioni bilaterali, in particolare con Libia, Tunisia e Algeria, territori che attraversano una fase politica complessa e dai quali proviene la massima parte dei flussi migratori via mare. In tale quadro, il 17 agosto 2020, il Ministro dell'interno si è recata a Tunisi, insieme al Ministro Di Maio ed ai Commissari europei Vàrhelyi e Johansson.
  La visita è stata finalizzata a rafforzare i capisaldi della politica italiana ed europea verso quel Paese, che si articola nella ripresa delle operazioni di rimpatrio dal 16 luglio scorso, dopo la sospensione di quattro mesi dovuta alla crisi epidemiologica, e nel sostegno alle attività di lotta ai trafficanti e di rafforzamento del controllo delle frontiere.
  Nello stesso quadro di partenariato tra la sponda europea ed africana del Mediterraneo, si colloca la visita del Ministro dell'interno ad Algeri lo scorso 15 settembre, per incontrare il presidente della Repubblica algerina, Tebboune, e i Ministri dell'interno e degli esteri.
  In tale occasione, sono state intraprese iniziative per la cooperazione tra le forze di polizia al fine di prevenire e contrastare la criminalità e il terrorismo, con particolare riferimento al crimine transnazionale, al traffico di stupefacenti, ai reati economici e finanziari, alla tratta di persone e al traffico dei migranti.
  Nella visita in Algeria è stato condiviso l'impegno all'attuazione di nuovi modelli operativi, in particolare per le procedure di rimpatrio di migranti irregolari algerini che giungono in Sardegna, al fine di renderle più efficienti e di velocizzarne l'esecuzione.
  Va sottolineato anche che recentemente è stata presentata da parte della Presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen la proposta di una nuova
governance europea della gestione delle migrazioni in ordine alla quale si avvierà una fase di negoziati per la riforma della strategia complessiva migratoria dell'Unione europea.
  Per quanto concerne, infine, l'attività di contrasto al traffico dei migranti via mare, si fa presente che è ancora attiva l'operazione
Themis, coordinata dal Ministero dell'interno – dipartimento della pubblica sicurezza – con agenzia Frontex; operazione finalizzata alla sorveglianza marittima delle coste nazionali, consistente nel pattugliamento congiunto nel Mediterraneo centrale; sono già in corso incontri bilaterali con l'Agenzia Frontex per la redazione del nuovo piano operativo a decorrere dal febbraio 2021.
Il Viceministro dell'interno: Matteo Mauri.


   FERRO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   lascia attoniti la notizia della scarcerazione di cinque persone condannate nel «troncone» del processo contro la cosca Mancuso, perché il giudice per l'udienza preliminare non ha ancora depositato le motivazioni della sentenza nei confronti dei 31 imputati;

   in particolare, secondo quanto ricostruito dal Fatto Quotidiano, il processo «Costa Pulita», che si è celebrato con rito abbreviato, si è concluso il 31 luglio 2018, un anno e mezzo fa, ma da allora il giudice per l'udienza preliminare di Catanzaro non sarebbe riuscito a scrivere le motivazioni della sentenza con cui aveva condannato, tra gli altri, i vertici della famiglia mafiosa di Limbadi e i boss delle cosche alleate arrestati nell'aprile 2016;

   su richiesta degli avvocati, lo stesso giudice distrettuale ha, quindi, dovuto disporre l'immediata scarcerazione degli imputati per decorrenza dei termini: Pasquale Prossomariti, Giancarlo Lo Iacono e i presunti boss Leonardo Melluso e Carmine il Grande ora risultano sottoposti al solo divieto di dimora, mentre Salvatore Muzzopappa ha lasciato gli arresti domiciliari;

   i cinque imputati erano stati tutti condannati per gravi reati di stampo mafioso: Muzzopappa, condannato a 6 anni di reclusione per concorso esterno con la ’ndrangheta, secondo quanto emerso dall'inchiesta della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, aveva il compito di controllare e bonificare il «bar Tony» da eventuali microspie dove il boss Pantaleone Mancuso, detto «Luni Scarpuni», incontrava gli uomini del clan; Pasquale Prossomariti, invece, si occupava dei messaggi inviati al boss per la zona di Tropea e Ricadi, alcuni dei quali riguardavano anche estorsioni ad alcuni imprenditori campani. Compito simile aveva Giancarlo Lo Iacono, accusato anche di detenzione di armi; mentre Leonardo Melluso era il «co-reggente» dell'organizzazione mafiosa e avrebbe partecipato ad un summit di ’ndrangheta; Carmine il Grande era «colpevole» di alcune intimidazioni ed estorsioni ad aziende che godevano della protezione della famiglia Mancuso;

   Carmine il Grande viene definito «esponente di spicco dell'omonima consorteria criminale operante su Parghelia»;

   Prossomariti era stato condannato a 7 anni di carcere, Lo Iacono a 8, Melluso e Carmine il Grande a 10 anni e oggi sono liberi, in attesa del processo di appello, che, però, non può essere fissato se non vengono depositati la sentenza di primo grado e gli eventuali ricorsi degli imputati e della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro;

   un anno e mezzo di tempo non è bastato al giudice per depositare le motivazioni della sentenza di primo grado di uno dei principali processi per mafia celebrato nel distretto giudiziario di Catanzaro e che ha inferto un duro colpo ai clan del Vibonese;

   il 31 gennaio scadrà il termine massimo di custodia cautelare in carcere per tutti gli altri imputati detenuti –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei gravissimi fatti esposti in premessa e se intenda adottare urgenti iniziative ispettive di competenza in relazione alla richiamata situazione.
(4-04756)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante ha sollecitato i poteri ispettivi del Ministro della giustizia in ordine a quanto appreso da un'editoriale giornalistico de «Il Fatto quotidiano» riguardo alla scarcerazione di cinque persone condannate nel «troncone» del processo contro la cosca Mancuso perché il giudice dell'udienza preliminare non ha ancora depositato le motivazioni della sentenza.
  In particolare, il deputato ha riferito che «secondo quanto ricostruito dal
Fatto quotidiano, il processo “Costa Pulita” che si è celebrato con rito abbreviato, si è concluso il 31 luglio 2018, un anno e mezzo fa, ma da allora il giudice per l'udienza preliminare di Catanzaro non sarebbe riuscito a scrivere le motivazioni della sentenza con cui aveva condannato, tra gli altri, i vertici della famiglia mafiosa di Limbadi e i boss delle cosche alleate arrestati nell'aprile 2016; su richiesta degli avvocati, lo stesso giudice distrettuale ha, quindi dovuto disporre l'immediata scarcerazione per decorrenza dei termini.».
  Dall'analisi della relazione del presidente del tribunale di Catanzaro emerge quanto segue:

   il procedimento penale nell'ambito del quale si sono verificate le scarcerazioni per decorrenza termini è il n. 4344/2018 rgnr mod. 21 (cosiddetto «Costa Pulita»), concernente due distinte organizzazioni mafiose legate alla cosca Mancuso di Limbadi, per numerosi reati fine e riguarda complessivamente 80 imputati, dei quali 31 hanno scelto di definire il processo con il rito abbreviato;

   il processo con rito abbreviato è stato definito davanti al Gup dottor Carè in data 31 luglio 2018, con la sentenza n. 205/2018, la quale ha portato alla condanna di trenta imputati e all'assoluzione del restante imputato;

   nella sentenza il Gup ha fissato il termine di giorni novanta per la redazione della motivazione, con contestuale sospensione dei termini di custodia cautelare;

   il termine di deposito della sentenza è stato prorogato di ulteriori novanta giorni dal presidente del tribunale con provvedimento del 15 ottobre 2018, scadenza fissata al 27 gennaio 2019;

   in considerazione del mancato deposito della sentenza nel termine prorogato, il Presidente del Tribunale ha inviato formali solleciti al dottor Carè di provvedere alla redazione delle motivazioni della sentenza, a fronte il tempo decorso dalla data della pronuncia (note del 18 giugno, del 4 novembre e 15 novembre 2019);

   il presidente della sezione Gip-Gup, con nota del 18 novembre 2019, inviata al presidente del tribunale, ha esposto la situazione relativa alla redazione e deposito delle sentenze dei procedimenti assegnati al dottor Carè e definiti con giudizio abbreviato, il cui termine, per alcuni procedimenti già prorogato, era scaduto; la nota ha fatto riferimento anche alla sentenza n. 205/2018, con termine di deposito scaduto il 27 gennaio 2019.
   Nella medesima nota, il presidente della sezione Gip-Gup ha rappresentato che, per la sentenza n. 205/2018 e per altra sentenza (n. 123/2019, con scadenza termine prorogato 11 novembre 2019), i termini di fase di detenzione cautelare erano prossimi alla scadenza, di talché, in caso di ulteriori ritardi, anche considerando la sospensione dei termini di cui all'articolo 304, comma 1, lettera c), codice di procedura penale, difficilmente sarebbe stato possibile il rispetto dei termini di fase previsti dall'articolo 303, lettera c), codice di procedura penale, divenendo, quindi, concreta la possibilità della declaratoria di inefficacia dalla misura;

   il presidente della sezione Gip-Gup ha altresì rappresentato che l'adozione, consentita dall'articolo 60 della circolare sulle tabelle, di un esonero del dottor Carè dalle assegnazioni e dai turni per gli affari urgenti per un periodo non inferiore a tre mesi, non costituiva rimedio concretamente applicabile, avuto riguardo alla peculiarità della sezione, che operava in situazione di drammatica precarietà e con organico ridotto con carenza di quattro unità (su un organico previsto di 11 giudici); ha inoltre evidenziato che un eventuale provvedimento di esonero avrebbe inciso negativamente sul carico di lavoro degli altri magistrati della sezione, già pesantemente gravati da precedenti provvedimenti di distribuzione, adottati senza la possibilità di adeguati meccanismi compensativi;

   con nota del presidente del tribunale, in data 21 novembre 2019, inviata per conoscenza anche al presidente della sezione Gip-Gup, il dottor Carè è stato invitato a trasmettere specifica relazione riguardo ai procedimenti indicati nella missiva del 15 novembre 2019, del presidente della sezione Gip-Gup, relativamente ai quali non si era ancora provveduto al deposito delle motivazioni;

   il dottor Carè, con nota del 26 novembre 2019, a giustificazione dei ritardi nel deposito delle sentenze, segnalava il rilevante carico di lavoro a cui aveva dovuto far fronte in un brevissimo arco temporale, anche in considerazione dell'esonero di uno dei magistrati della sezione (dottoressa Saccà) e del trasferimento di altri magistrati, da cui era derivato un aggravio delle assegnazioni. Rappresentando, altresì, la possibilità del deposito della motivazione della sentenza n. 205/2018 (e di altre) entro la fine dell'anno 2019;

   con provvedimento, del 13 dicembre 2019, ratificato dal presidente del tribunale, il presidente della sezione Gip-Gup, assegnava a sé stesso, in luogo del dottor Care, il procedimento penale n. 3422/2019 RG NR, in relazione al quale era stata avanzata richiesta di misura cautelare nei confronti di Mancuso Giuseppe Salvatore + 9;

   il presidente della sezione Gip-Gup, con successivo provvedimento, del 7 febbraio 2020, stante il perdurante mancato deposito della sentenza, ha disposto, con decorrenza immediata e fino al 30 aprile 2020, l'esonero del dottor Carè dai turni di reperibilità per l'assegnazione delle rogatorie, per i provvedimenti urgenti e dalla trattazione delle udienze;

   con nota del 24 febbraio 2020, la Presidenza del Tribunale, a seguito di segnalazione del presidente della sezione Gip-Gup, ha chiesto al dottor Carè la specificazione delle ragioni che, fino ad allora, non avevano consentito ancora il deposito della sentenza e la indicazione dei tempi per il completamento della motivazione;

   il dottor Carè ha risposto alle sollecitazioni del presidente del tribunale con nota del 28 febbraio 2020, nella quale ha esplicitato le ragioni del mancato deposito della motivazione della sentenza nel procedimento «Costa Pulita», ponendo, nuovamente in rilievo il rilevante carico di lavoro a cui, in un arco di tempo estremamente contenuto, aveva dovuto far fronte, attesa la contemporanea trattazione e definizione di altri procedimenti impegnativi e con numerosi imputati; ha quindi indicato la data del 30 aprile 2020 quale termine – in difetto del sopravvenire di ulteriori impegni imprevisti – per il deposito della motivazione.

  In particolare il dottor Carè nella sua nota, del 28 febbraio 2020, esplicativa delle ragioni dell'ulteriore ritardo, ha riferito: «Lo scrivente giudice, magistrato in servizio presso la sezione Gip-Gup del tribunale di Catanzaro, illustra la situazione di ritardo nel deposito delle motivazioni della sentenza n. 205/2018, cui è conseguito, in data 25 gennaio 2020, provvedimento di scarcerazione per sei imputati.
  Come già rappresentato con nota del 26 novembre 2019, la sentenza n. 205/2018 è stata resa in data 31 luglio 2018 nell'ambito del p.p. 4344/10 RGNR, 3754/17 RGGIP, cosiddetto “Costa Pulita”, concernente due distinte organizzazioni mafiose legate alla cosca Mancuso di Limbadi e numerosi reati fine, la cui udienza preliminare ha interessato 80 imputati, 31 dei quali giudicati con rito abbreviato.
  La celebrazione di questo processo è avvenuta in concomitanza con il procedimento cosiddetto “Sistema Rende”, a carico di D'Ambrosio Adolfo+9, per reati di corruzione, corruzione elettorale e concorso esterno in associazione mafiosa, nonché, a seguito dell'astensione della collega Saccà nell'ambito dell'assegnazione a rotazione dei cosiddetti maxi-processi, con la trattazione dell'udienza preliminare, con scadenza termini di fase al 17 maggio 2018; del procedimento cosiddetto “Crisalide”, nei confronti di 63 imputati per associazione mafiosa e traffico di stupefacenti, con oltre 670 reati fine contestati, definito in data 15 maggio 2019.
  A questi processi ravvicinati entrambi con imputati detenuti, nel corso dell'anno 2018 si sono sommati, pressoché senza soluzione di continuità, una serie di impegni, per lo più indifferibili: rinnovazione fermo operazione cosiddetto Nemea (Cichello Giacomo +8), rinnovazione fermo operazione cosiddetto Koleos (Ammirato Cesare+ 11), rinnovazione fermo Hermes (Barilari Annibale+20), ordinanza cautelare operazione cosiddetta Stammer 2 (46 indagati) e ordinanza operazione cosiddetta Lande Desolate (17 indagati).
  La straordinaria concentrazione dei predetti impegni ha prodotto i suoi riflessi nell'anno 2019, durante il quale si è accumulato il ritardo nella redazione delle motivazioni della sentenza indicata in nota.
  Inoltre, senza obliterare una chiara difficoltà di auto organizzazione nell'individuazione di priorità lavorative, nell'ultimo anno e mezzo lo scrivente ha dovuto far fronte non soltanto al flusso ordinario degli affari dell'ufficio, caratterizzato da periodici turni di urgenze, ma anche alla maggiorazione nella distribuzione dei carichi di lavoro derivanti da concomitanti situazioni di eccezionalità: l'esonero, più volte prolungato, della collega Saccà, impegnata nella stesura dell'ordinanza Rinascita-Scott, dal mese di settembre 2018 all'ottobre 2019, la mancata copertura, dalla metà del mese di giugno 2019 alla metà del mese di settembre 2019, del ruolo lasciato scoperto dalla collega Macrì, l'esonero della collega Santaniello, impegnata nella celebrazione del maxi-processo cosiddetto Stige, dal mese di settembre 2019 ed il suo successivo tramutamento ad altra sede nonché il trasferimento ad altra sezione della collega Tedesco dal 16 ottobre 2019 senza che si sia fatto fronte alla sua sostituzione.
  In particolare, tale contingenza si è verificata proprio nel settore di appartenenza dello scrivente (A), nel quale si è, di fatto, prodotta una scopertura del 40 per cento che, oltre a comportare un aumento delle assegnazioni, ha reso impraticabile l'adozione di rimedi organizzativi utili a consentire al sottoscritto di poter recuperare il ritardo accumulato.
  Da ultimo, la previsione di deposito delle motivazioni della sentenza n. 205/2018 contenuta nella nota del 26 novembre 2019, è stata impossibilitata dall'imprevista necessità di procedere alla rinnovazione di fermo nei confronti di 20 indagati (operazione cosiddetta Testa del serpente) entro la data del 3 gennaio 2020, dalla celebrazione dell'udienza preliminare con scadenza termini dell'8 gennaio 2020 nel processo cosiddetto
Reventinum, nonché dalla definizione, in data 23 gennaio 2020, del p.p. cosiddetto Parco Eolico (Arena Nicola+23). Quanto ai tempi di completamento della citata sentenza n. 205/2018 nonché della sentenza n. 123/2019, si rappresenta che, proprio al fine di disporre di maggior tempo da dedicare alla stesura delle motivazioni, in data 6 febbraio 2020 lo scrivente ha richiesto un periodo di congedo ordinario a ciò destinato e, in data 7 febbraio 2020, il presidente della sezione ha adottato un provvedimento organizzativo di esonero temporaneo dai turni delle urgenze e dalla celebrazione delle udienze sino al 30 aprile 2020.
  Alla luce di ciò, è possibile indicare – in difetto del sopravvenire di ulteriori impegni imprevisti – il deposito delle motivazioni della sentenza n. 123/2019 entro il termine del 30 aprile p.v.».
  Dalla relazione inviata dal presidente del tribunale di Catanzaro in data 21 maggio 2020 risulta che a quella data il dottor Carè non aveva ancora depositato le motivazioni della sentenza n. 205/2018 con ciò venendo meno agli impegni assunti nella predetta nota.
  Tanto premesso, nonostante il quadro di oggettiva gravosità in cui si trova ad operare il magistrato – per la natura e la quantità dei procedimenti che ne compongono il ruolo – è dato incontrovertibile che il ritardo maturato nel deposito della sentenza n. 205/2018, ritardo che ha superato abbondantemente l'anno, costituisca una condotta astrattamente rilevante sotto il profilo disciplinare anche in relazione al mancato rispetto dei termini concordati col presidente del Tribunale.
  Pertanto la direzione generale magistrati del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi, ha ritenuto doveroso proporre eventuali iniziative disciplinari a carico del dottor Carè, conseguenti agli evidenziati.
  

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   FERRO, LUCA DE CARLO, ROTELLI e DELMASTRO DELLE VEDOVE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   sono quasi cinquemila i magistrati onorari che smaltiscono la gran parte del lavoro dei tribunali italiani, affiancando nel primo grado di giudizio i loro colleghi «togati», non solo nei processi «minori», ma anche in cause importanti, ma l'Italia continua a trattarli come «volontari», pagati a cottimo;

   in particolare, scrivono le sentenze, interrogano i testimoni e, in generale, smaltiscono la gran parte del lavoro dei tribunali italiani, ma non hanno tutele previdenziali e assistenziali, sono pagati con un cottimo esiguo e il loro incarico a tempo determinato viene rinnovato ogni quattro anni, sempre senza alcun miglioramento;

   come spiegato dall'Assogot, un giudice onorario viene pagato a udienza per 98 euro lordi (tariffa invariata dal 2003), ma non anche per tutta l'attività consequenziale tenuto a svolgere al di là delle ore ufficialmente riconosciute come «lavorative», una situazione che li rende più svantaggiati dei giudici di pace che, invece, prendono 36 euro lordi a udienza, ma hanno un tariffario per i provvedimenti che depositano e un tetto di 72 mila euro;

   ma vi è di più, perché i giudici onorari di tribunale sono svantaggiati anche rispetto ai vice procuratori onorari (Vpo) che sono pagati per le udienze in delega ma anche per le citazioni a giudizio, guadagnando 16 mila euro l'anno, mentre i Got 8 mila e i giudici di pace 50 mila;

   eppure i Got, come Vpo e giudici di pace, possono esercitare solo dopo aver superato un concorso per titoli, sono sottoposti a verifica quadriennale, sono soggetti a sanzioni disciplinari, svolgono le identiche funzioni dei colleghi togati, ma a loro non vengono riconosciuti gli stessi diritti;

   da anni anche le istituzioni europee chiedono che vengano garantite le opportune tutele a questi giudici e la Commissione europea ha aperto una procedura di pre-infrazione contro lo Stato italiano per violazione della direttiva europea n. 99/70, in quanto si continuano a rinnovare i contratti a termine di Got e Vpo senza aggiungere idonee tutele o remunerazione, ma ad oggi le cose non sono cambiate, così come non cambiano le promesse dei vari Governi che si sono succeduti –:

   se e quali urgenti iniziative di competenza intenda adottare il Governo per tutelare i magistrati onorari, riconoscendo agli stessi le dovute tutele e una remunerazione corrispondente alla quantità e alla qualità del lavoro prestato, al pari dei colleghi togati, anche prevedendone la stabilizzazione dopo tre anni di servizio.
(4-06351)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si rappresenta che con la legge 28 aprile 2016, n. 57, era stata conferita delega al Governo per la riforma organica della magistratura onoraria, introducendo, al contempo, varie disposizioni sui giudici di pace. La delega legislativa rimetteva all'esecutivo di regolare, in particolare, i seguenti aspetti dello statuto della magistratura onoraria: 1, disciplinare i requisiti e le modalità di accesso alla magistratura onoraria, il procedimento di nomina e il tirocinio; 2. operare la ricognizione e il riordino della disciplina relativa alle incompatibilità all'esercizio delle funzioni di magistrato onorario; 3. disciplinare le modalità di impiego dei magistrati onorari all'interno del tribunale e della procura della Repubblica; 4. disciplinare il procedimento di conferma del magistrato onorario e la durata massima dell'incarico; 5. regolamentare il procedimento di trasferimento ad altro ufficio; 6, individuare i doveri e i casi di astensione del magistrato onorario; 7. regolamentare i casi di decadenza dall'incarico, di revoca e di dispensa dal servizio; 8. regolamentare la responsabilità disciplinare e quindi individuare le fattispecie di illecito disciplinare, le relative sanzioni e la procedura per la loro applicazione; 9. prevedere i criteri di liquidazione dell'indennità.
  Il Governo, in data 10 luglio 2017, ha approvato lo schema di decreto legislativo recante l'attuazione della sopra indicata delega, prevedendo, tra l'altro: 1. uno statuto unico della magistratura onoraria, applicabile ai giudici di pace, ai giudici onorari di tribunale e ai vice procuratori onorari, inserendo i primi due nell'ufficio del giudice di pace; 2. l'intrinseca temporaneità dell'incarico; 3. la riorganizzazione dell'ufficio del giudice di pace; 4. la rideterminazione del ruolo e delle funzioni dei giudici onorari e dei vice procuratori onorari; 5. il riconoscimento della precipua natura formativa delle attività svolte presso le rispettive strutture organizzative; 6. l'individuazione dei compiti e delle attività delegabili dal magistrato professionale al magistrato onorario; 7. la regolamentazione dei compensi, in modo da delineare un quadro omogeneo; 8. l'articolazione di un regime previdenziale e assistenziale adeguato in ragione dell'onorarietà dell'incarico.
  Il detto saggio di legificazione ha completato il suo
iter legislativo ed è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 177 del 31 luglio 2017. È quindi entrato in vigore il decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116, recante «Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57», in vigore dal 15 agosto 2017. Con la normativa in esame, il legislatore delegato ha previsto che l'incarico di magistrato onorario abbia natura inderogabilmente temporanea (articolo 1, comma 3). Ai magistrati onorari in servizio, il legislatore delegato ha dedicato il regime giuridico contenuto negli articoli 29, 30, 31 prevedendo, innanzitutto, che i magistrati onorari in servizio alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 116 del 2017 «possono essere confermati, alla scadenza del primo quadriennio di cui al decreto legislativo 31 maggio 2016, n. 92, o di cui all'articolo 32, comma 8, a domanda e a norma dell'articolo 18, commi da 4 a 14, per ciascuno dei tre successivi quadrienni». In ogni caso, «l'incarico cessa al compimento del sessantottesimo anno di età».
  In forza delle norme introdotte dalla riforma, per i magistrati onorari è prevista la corresponsione di una indennità fissa e di una parte variabile del compenso (articolo 23); l'impatto di tale novella sull'ammontare della spesa non si è però ancora verificato, essendo le nuove modalità di quantificazione dell'indennità spettante alla magistratura onoraria applicabili a coloro che prenderanno servizio dopo l'entrata in vigore della legge. Ai sensi dell'articolo 31, per la liquidazione delle indennità dovute ai giudici di pace, ai giudici onorari di tribunale e ai vice procuratori onorari in servizio alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 116 del 2017 continuano ad applicarsi, sino alla scadenza del quarto anno successivo alla medesima data, i criteri previsti dalle disposizioni di cui all'articolo 11 della legge 21 novembre 1991, n. 374, per i giudici di pace, dall'articolo 4 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 273, per i giudici onorari di tribunale e per i vice procuratori onorari.
  Ai sensi dell'articolo 25, comma 5, del decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116, i giudici onorari di pace e i vice procuratori onorari impegnati, in ragione delle rispettive funzioni giurisdizionali, nelle lavorazioni rischiose di cui decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, sono assicurati all'Inail. L'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali è prevista sia per i giudici onorari di pace e i vice procuratori onorari immessi in servizio successivamente al 15 agosto 2017 (data di entrata in vigore del decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116), sia per quelli in servizio alla medesima data, come espressamente indicato dall'articolo 32, comma 1, del medesimo decreto legislativo.
  Il rapporto di lavoro dei giudici di pace, tuttavia, ha proprie peculiarità, in ragione delle quali non è possibile estendere a essi le modalità di tutela assicurativa previste per i magistrati professionali, ai quali è riconosciuto lo
status di pubblici dipendenti. La configurabilità di un rapporto di pubblico impiego in capo alla magistratura onoraria è infatti esplicitamente esclusa dalla legge delega 28 aprile 2016, n. 57 la quale, nel riformare la materia, ha attribuito rilievo determinante alla temporaneità dell'incarico in questione.
  Ne consegue una diversa regolamentazione dei compensi percepiti dai magistrati onorari rispetto ai magistrati professionali, riconducibili, rispettivamente, a una indennità e a una retribuzione, nonché una diversa articolazione dei relativi regimi previdenziali e assicurativi modulati in considerazione della professionalità o della onorarietà dell'incarico. In particolare, per effetto dell'articolo 26 del decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116, che ha apportato modifiche al testo unico delle imposte sui redditi, le indennità corrisposte ai giudici onorari di pace e ai vice procuratori onorari, comprensive degli oneri previdenziali e assistenziali, non sono più ricondotte fra i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, bensì nell'ambito dei redditi di lavoro autonomo.
  Sotto tale aspetto l'Inail, con circolare n. 2017 del 8 novembre 2017, ha emanato le disposizioni attuative del decreto legislativo cit. con atto interno rubricato «obbligo e tutela assicurativa dei giudici onorari di pace e dei vice procuratori onorari: classificazione tariffaria, retribuzione imponibile e modalità di calcolo del premio assicurativo. Decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116, articolo 25, comma 5». Anche il Ministero ha già posto in essere gli adempimenti per garantire l'attuazione delle norme in materia assicurativa (Elezione generale magistrati, circolare prot. Dog n. 238760 del 20 dicembre 2017; direzione generale della giustizia civile, circolare prot. Dag n. 7143 dell'11 gennaio 2018).
  La nuova legislazione, pertanto, è significativamente intervenuta sullo «statuto» lavorativo del magistrato onorario, razionalizzando il sistema di tutele e il profilo lavorativo ed attuando una riorganizzazione di competenze, mansioni, modalità di pagamento. L'incarico onorario è, però, «a termine», nel rispetto dei principi costituzionali vigente che impongono la selezione concorsuale pubblica per accedere agli incarichi a tempo indeterminato presso le pubbliche amministrazioni.
  Il Consiglio di Stato era stato chiamato a rispondere al seguente quesito:
a) se, in sede di attuazione dei criteri di delega (legge 28 aprile 2016, n. 57, recante «Delega al Governo per la riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace») in materia di disciplina transitoria (dettata dall'articolo 1, comma 1, lettera r), secondo cui «per i magistrati onorari in servizio al momento di entrata in vigore del decreto legislativo o ovvero dell'ultimo dei decreti legislativi emanati in attuazione della delega»), si possano predisporre misure di stabilizzazione con attribuzione dello statuto del pubblico impiegato, quanto meno relativamente ai magistrati onorari i quali, alla scadenza dei quattro quadrienni previsti dal comma 17 dell'articolo 2 della citata legge delega (secondo cui i magistrati onorari già in servizio durano in carica per quattro mandati, ciascuno di durata quadriennale), raggiungeranno un'età «effettivamente incompatibile con un nuovo inserimento nel mercato del lavoro»; b) se siffatte misure siano, per un verso, compatibili con le finalità e la ratio della legge delega n. 57 e, per l'altro, se e in quali limiti siano conciliabili con il complessivo assetto dell'ordinamento interno, delineato, in primo luogo, dai principi costituzionali dell'onorarietà della magistratura non professionale e dell'accesso alla magistratura ordinaria e, più in generale, ai pubblici uffici per concorso, a norma degli articoli 106, comma 1, e 97, ultimo comma, della Costituzione.
  Con il parere n. 854 reso dalla commissione speciale in data 7 aprile 2017 e recante n. 854, il Consiglio di Stato ha ricordato che la stabilizzazione senza concorso, in assenza di comprovate e insuperabili esigenze dell'ente pubblico, non è costituzionalmente legittima. Il Consiglio di Stato ha dunque rimesso al Governo di «prudentemente verificare se la prospettata deroga al principio del pubblico concorso possa rientrare nell'area delle eccezioni consentite dall'articolo 97 Cost.» Secondo il Consiglio di Stato, «la massima cautela si impone a maggior ragione nel caso in esame, in cui la prospettata stabilizzazione sembra muovere – non dalle peculiari necessità funzionali al buon andamento dell'amministrazione richieste dalla giurisprudenza della Corte costituzionale – bensì dalla preoccupazione di tutelare le aspettative alla continuità del reddito dei “giudici onorari prorogati”». Ha ancora rilevato il parere che la stabilizzazione dei giudici onorari prorogati potrebbe significarne la loro professionalizzazione, in una duplice e alternativa direzione: attraverso l'incardinamento nei ruoli della magistratura togata, ovvero con l'istituzione di un contingente (sia pure straordinario) di magistrati onorari assunti a tempo indeterminato. Ha chiarito il Consiglio di Stato che «In un modello costituzionale ispirato al principio di stretta legalità – dove il magistrato è estraneo al circuito della formazione dell'indirizzo politico – l'accertamento della capacità tecnica del magistrato (articolo 106, comma 1, Costituzione) è il presupposto indefettibile per attuare la soggezione del giudice soltanto alla legge (articolo 101, comma 2, Costituzione), la quale a sua volta si realizza attraverso l'autonomia e l'indipendenza dell'ordine giudiziario (articolo 104, comma 1, Costituzione). In altri termini, il giudice è e deve essere prevalentemente un tecnico della legge, in quanto nell'esercizio della giurisdizione la sovranità popolare si esprime attraverso la mediazione della legge in cui tipicamente quella sovranità si esplica». Nel quadro dei principi che derivano dalla scelta dei concorso come criterio di assunzione dei magistrati, la «professionalizzazione del giudice onorario prorogato» appare preclusa in via assoluta, in quanto si verrebbe altrimenti ad alterare la configurazione tipica della struttura dell'ordine giudiziario. Tale preclusione sussiste sia per l'ipotesi di collocamento nei ruoli dei giudici togati, sia vieppiù per l'ipotesi della assunzione a tempo indeterminato nella qualifica di «giudice onorario». Muovendo dal quadro dei principi generali sopra tratteggiati, il Consiglio di Stato ha dunque escluso che alla «stabilizzazione» dei magistrati onorari possa provvedersi in sede di attuazione della legge delega, precludendo l'articolo 76 della Costituzione al Governo – legislatore delegato di disciplinare «oggetti» diversi da quelli definiti nella delega, quand'anche essi possano considerarsi rientranti nell'alveo della stessa materia. Nella specie non solo la legge delega non accenna in alcuna previsione a stabilizzazioni di sorta, ma l'intero impianto della delega – ivi inclusi gli articoli 1, comma 1, lettera
r), e 2, comma 17, nn. 2 e 3 – poggia inequivocabilmente su una chiara enunciazione del carattere di temporaneità degli incarichi dei magistrati onorari, temporaneità che tradizionalmente connota l'attività svolta e il ruolo assolto da tale magistratura.
  Con il disegno di legge di riforma della disciplina della magistratura onoraria, recante modifiche al decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116, provvedimento assegnato alla 2a Commissione permanente (Giustizia), in sede referente, del Senato (A.S. n. 1438) si è inteso recepire, nei limiti soprattutto delle ineludibili esigenze di copertura finanziaria, le sollecitazioni provenienti dalla magistratura onoraria.
  Il medesimo disegno di legge ha assunto quale punto di riferimento l'esito dei lavori del tavolo tecnico istituito con decreto del Ministro della giustizia del 21 settembre 2018, al fine di dare piena attuazione alla volontà politica di varare interventi di modifica della riforma scaturita dal decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116 (cosiddetta riforma Orlando), interventi specificamente diretti a migliorare le condizioni della magistratura onoraria.
  Al tavolo tecnico hanno partecipato, oltre alle competenti articolazioni del Ministero della giustizia, componenti esterni rappresentativi dell'Associazione nazionale magistrati, dell'Inps, del Consiglio nazionale forense e della cassa forense, nonché singoli magistrati ordinari ed onorari (giudici di pace, giudici onorari di tribunale e vice procuratori onorari). Nel corso dei lavori del tavolo tecnico sono state altresì coinvolte le associazioni rappresentative della magistratura onoraria (quali: Angdp, Cogita, Federmot e Unagipa), che hanno fornito motivate proposte di modifica dell'attuale disciplina.
  In sede di elaborazione del disegno di legge in oggetto è stato compiuto il massimo sforzo per recepire le indicazioni scaturite dal tavolo tecnico, nei limiti, si ripete, in cui tali indicazioni risultavano compatibili con i vincoli di bilancio.
  Ciò premesso, le linee direttrici dell'intervento di riforma investono la disciplina prevista in via generale per la magistratura onoraria ed in misura maggiore la disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 116 del 2017.
  In particolare, sul primo versante, i settori di intervento hanno riguardato:
  
a) la ridefinizione del regime delle incompatibilità dei magistrati onorari di cui all'articolo 5 con l'obiettivo di restringerne la portata in relazione ai casi di rapporti di parentela, affinità e coniugio tra magistrato onorario e il «familiare» esercente la professione forense;
  
b) la parziale estensione ai magistrati onorari della disciplina di cui all'articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, al fine di consentire agli stessi rassegnazione ad altra sede al fine di assistere un familiare con disabilità;
  
c) la modifica delle modalità di pagamento delle indennità spettanti ai magistrati onorari, stabilendo una cadenza bimestrale, in luogo di quella trimestrale prevista dall'articolo 23, comma 2.
  Riguardo, invece, alla disciplina transitoria prevista dal decreto legislativo n. 116 del 2017 per i magistrati onorari già in servizio, l'intervento riformatore, secondo le linee direttrici definite nell'ambito del tavolo tecnico, ha una portata più ampia e si sviluppa come segue:

   a) in primo luogo, viene previsto che gli stessi possano rimanere in servizio sino alla cessazione dell'incarico, fissata dall'articolo 29, comma 2, al compimento del 68° anno di età; mentre attualmente il decreto legislativo n. 116 del 2017 ne limita la permanenza ai quattro quadrienni decorrenti dall'entrata in vigore del decreto legislativo n. 116 del 2017; di converso viene confermato il meccanismo della conferma quadriennale;

   b) viene radicalmente modificata la disciplina relativa alle funzioni e ai compiti degli stessi. In particolare, la disciplina prevista dall'articolo 30 (con specifico riguardo all'assegnazione della trattazione dei nuovi procedimenti civili e penali), che si sarebbe dovuta applicare limitatamente al primo quadriennio, viene estesa a tutta la durata dell'incarico, sino alla sua cessazione;

   c) sul versante del trattamento economico, la cui disciplina si rinviene nell'articolo 31, è previsto che per la liquidazione delle indennità spettanti ai magistrati onorari in servizio continueranno ad applicarsi sino alla cessazione dell'incarico (e non più limitatamente al primo quadriennio) i criteri dettati dall'articolo 11 della legge 21 novembre 1991, n. 374 per i giudici di pace; quelli di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 273 per i giudici onorari di tribunale e per i vice procuratori onorari. Trattandosi di un regime sostanzialmente «a cottimo», non è previsto un limite, né minimo né massimo, agli impegni settimanali, fermo restando quanto previsto, in materia, dalle circolari del Consiglio superiore della magistratura.

  Il nuovo assetto risulta pertanto fortemente migliorativo per la categoria dei magistrati onorari già in servizio, sol che si consideri che nell'impianto delineato dalla cosiddetta riforma Orlando (che, si ripete, limita la durata dell'incarico a quattro quadrienni successivi all'entrata in vigore del medesimo decreto legislativo n. 116 del 2017), il trattamento economico agli stessi riservato successivamente alla scadenza del primo quadriennio, e salva l'opzione per l'indennità fissa, sarebbe stato quello di cui all'articolo 23 previsto, a regime, per i neonominati magistrati onorari, parametrato a due impegni settimanali (euro 16.140 in caso di assegnazione di funzioni giudiziarie; l'80 per cento di tale importo in caso di destinazione all'ufficio per il processo e all'ufficio di collaborazione del procuratore della Repubblica, oltre alla maggiorazione per l'indennità di risultato).
  Allo stesso modo, risulta maggiormente vantaggiosa anche l'opzione per l'indennità fissa per effetto della rideterminazione dei relativi importi in misura globale. In conseguenza di tale intervento, la componente «variabile» (peraltro nella percentuale massima del 30 per cento, il cui riconoscimento è attualmente condizionato al raggiungimento di certi risultati, viene di fatto assorbita stabilmente nella nuova indennità.
  Si può, ulteriormente, rilevare, che il disegno di legge ha operato una revisione organica del sistema delle incompatibilità; ha operato una estensione dell'arco temporale di permanenza nell'incarico (eliminando il limite dei quattro quadrienni); ha parzialmente esteso ai giudici onorari le guarentigie della legge n. 104 del 1992; ha incrementato la cadenza periodica della liquidazione dei compensi.
  I vincoli di bilancio – per rispettare i quali si è resa necessaria una rideterminazione della dotazione organica nella minor misura di 6.500 unità – hanno invece precluso il recepimento di proposte tendenti a riconoscere ai giudici onorari miglioramenti nel trattamento previdenziale e fiscale.
  In sintesi lo schema di disegno di legge in oggetto ha provveduto a recepire le indicazioni scaturite dal tavolo tecnico istituito con decreto del Ministro della giustizia del 21 settembre 2018, nei limiti in cui tali indicazioni risultavano compatibili con i vincoli di bilancio, e comunque con una ponderazione tra effettivo miglioramento delle condizioni della magistratura onoraria e funzionalità dell'amministrazione della giustizia.
  In sede di discussione del suddetto disegno di legge – peraltro già attualmente in atto con interlocuzioni anche con questo Ministero – sarà possibile l'elaborazione di ulteriori interventi sul testo del disegno di legge medesimo, allo scopo di accogliere le sollecitazioni provenienti dalle associazioni rappresentative dei magistrati onorari, pur dovendosi tenere in considerazione – con specifico riferimento al sistema delle indennità – l'operatività dei vincoli di bilancio, per rispettare i quali si è già resa necessaria – come già ricordato – una rideterminazione della dotazione organica dei magistrati onorari nella minor misura di 6.500 unità – e che hanno invece reso, almeno allo stato), non praticabile il recepimento di proposte tendenti a riconoscere ai giudici onorari miglioramenti nel trattamento previdenziale e fiscale.
  Quanto al riferimento alle iniziative assunte dalla Commissione europea, queste ultime, esulano dalla competenza dell'ufficio legislativo, trattandosi di questioni che pertengono all'amministrazione attiva di questo Ministero.
  Per completezza informativa va peraltro rammentata la recentissima decisione della Corte di giustizia dell'Unione europea 16 luglio 2020, causa C-658/18, che – con riferimento tuttavia ai giudici di pace e non ai G.o.t. – ha statuito i seguenti principi:

   «(...) L'articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, e l'articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea devono essere interpretati nel senso che un giudice di pace che, nell'ambito delle sue funzioni, svolge prestazioni reali ed effettive, che non sono né puramente marginali né accessorie, e per le quali percepisce indennità aventi carattere remunerativo, può rientrare nella nozione di “lavoratore”, ai sensi di tali disposizioni, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
   La clausola 2, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999, che figura nell'allegato della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro Ces, Unice e Ceep sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che la nozione di “lavoratore a tempo determinato”, contenuta in tale disposizione, può includere un giudice di pace, nominato per un periodo limitato, il quale, nell'ambito delle sue funzioni, svolge prestazioni reali ed effettive, che non sono né puramente marginali né accessorie, e per le quali percepisce indennità aventi carattere remunerativo, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
   La clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999, che figura nell'allegato della direttiva 1999/70, deve essere interpretata nel senso che osta ad una normativa nazionale che non prevede il diritto per un giudice di pace di beneficiare di ferie annuali retribuite di 30 giorni, come quello previsto per i magistrati ordinari, nell'ipotesi in cui tale giudice di pace rientri nella nozione di “lavoratore a tempo determinato”, ai sensi della clausola 2, punto 1, di tale accordo quadro, e in cui si trovi in una situazione comparabile a quella di un magistrato ordinario, a meno che tale differenza di trattamento sia giustificata dalle diverse qualifiche richieste e dalla natura delle mansioni di cui detti magistrati devono assumere la responsabilità, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare».

  Si segnala, quindi, che è stata intrapresa un'azione di monitoraggio sia degli esiti della decisione Corte di giustizia, sia degli ulteriori rinvii pregiudiziali disposti da organi giurisdizionali italiani (tra i quali quello disposto dal T.a.r. Emilia Romagna con ordinanza 1° giugno 2020, sempre in tema di trattamento dei Giudici di Pace) sia delle osservazioni mosse al disegno di legge, allo scopo di elaborare ulteriori interventi sul testo del disegno di legge medesimo, fermo restando il primario ostacolo costituito dai limiti di bilancio.
Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   FOTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   l'emergenza sanitaria ancora in corso ha mostrato tutta la fragilità del Paese nel vincere le storiche sfide del cosiddetto «digital divide»;

   quanto alla rete mobile sono oltre 1.200 i comuni (secondo il censimento dell'Unione nazionale comuni, comunità enti montani di ottobre 2019) nei quali si registrano difficoltà nella ricezione dei segnali ed è impossibile, con uno o più operatori, fare telefonate, mandare messaggi, connettersi a internet da smartphone;

   altra situazione fonte di grave preoccupazione è quella data dalla «tv che non si vede»: sono, infatti, circa 5 milioni gli italiani che non riescono a captare i canali del servizio pubblico e l'intero bouquet televisivo. Una situazione evidenziata da anni dai CoreCom e segnalata, innumerevoli volte, all'autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AgCom);

   infine, ulteriore fronte del divario digitale – che il Paese ha (ri)scoperto in questa pandemia – è dato dalla carenza di adeguate reti per i dati e per l'accesso ad alta velocità a internet. La rete è ancora preclusa per moltissimi territori. Lavorare, fare lezioni, guardare un film, accedere ai servizi della pubblica amministrazione, resta un miraggio in troppe parti d'Italia, atteso che le velocità sono rimaste ferme a dieci anni fa –:

   se e quali iniziative il Governo intenda porre in essere per una rapida attuazione del Piano nazionale banda ultralarga (Bul), tenuto conto che i ritardi ad oggi accumulati non appaiono più ulteriormente tollerabili;

   se il Governo intenda altresì definire una strategia nazionale digitale per la montagna in linea con quanto previsto dalla legge n. 158 del 2017 sui piccoli comuni e dagli impegni contenuti nelle mozioni approvate il 28 gennaio 2020 dalla Camera dei deputati.
(4-06261)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, con il quale l'interrogante chiede di conoscere le iniziative del Governo per una rapida attuazione del Piano nazionale banda ultralarga (Bui) e di sapere se si intenda adottare una strategia nazionale digitale per la montagna in linea con quanto previsto dalla legge n. 158 del 2017 sui piccoli comuni e dagli impegni contenuti nelle mozioni approvate il 28 gennaio 2020 dalla Camera dei deputati.
  Al riguardo, sentito il dipartimento per la trasformazione digitale, rappresento quanto segue.
  Premesso che il progetto Banda Ultra Larga e la sua accelerazione rivestono grande rilevanza politica per il Governo, in qualità di Presidente del relativo Comitato (CoBUL), ho dato forte impulso alla sua attività, convocandolo a cadenza ravvicinata, al fine di individuare le cause del ritardo nella realizzazione dello stesso e le iniziative più urgenti da adottare per accelerare la sua attuazione, necessità che si rileva ancor di più nel momento di emergenza sanitaria in atto.
  In questi mesi, il CoBUL, sotto la mia presidenza, ha operato, in stretta sinergia con gli altri dicasteri (Ministero dello sviluppo economico, Sud e coesione territoriale, affari regionali, pubblica amministrazione, politiche agricole) e le regioni, per dare attuazione alla strategia nazionale, accelerando le attività nelle aree bianche e attivando le parti ancora mancanti della strategia: gli incentivi alla domanda (
voucher) e i progetti nelle aree cosiddette grigie.
  Complessivamente si tratta di investimenti per oltre 4 miliardi di euro:

   il piano «aree bianche», ovvero le zone a fallimento di mercato, in cui il concessionario Open Fiber sta portando internet veloce in 7123 comuni (per un totale di 7.914.317 unità immobiliari). La rete in fibra (81 per cento delle UI sarà raggiunto con tecnologia FTTH Fiber-To-The-Home, il rimanente 19 per cento con tecnologia FWA) sarà gestita dal concessionario per 20 anni in modalità Wholesale. L'investimento complessivo è pari a 1.584 milioni di euro;

   il piano «scuola», che prevede di offrire connessione internet gratuita per 5 anni (in fibra ottica a 1 Gbps) a circa 37.000 edifici scolastici (sui 40.000 totali), con servizi di manutenzione e assistenza. Si prevede di attivare la procedura di gara entro ottobre al fine di poter servire i primi 3.000 plessi nei primi mesi del prossimo anno. In alcune regioni (che hanno optato per interventi in autonomia), tra cui Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia, le prime istituzioni scolastiche sono già in fase di collegamento. L'investimento complessivo previsto è pari a oltre 400 milioni di euro;

   il piano di incentivi per la domanda (voucher), approvato dal CoBUL il 5 maggio 2020, prevede un totale di 1.146 milioni di euro per consentire a famiglie (546 milioni) e imprese (600 milioni) di beneficiare di un contributo per l'acquisto di servizi di connettività. Per tutte le famiglie è previsto un incentivo pari a 200 euro; per le famiglie meno abbienti (Isee inferiore ai 20.000 euro), vi sarà anche la possibilità di richiedere un contributo aggiuntivo di 300 euro per disporre di un Tablet o PC. Si stima che ne potranno beneficiare a livello nazionale oltre 2 milioni di famiglie (circa il 16 per cento). Viste le modalità di riparto dei fondi (80 per cento regioni del sud 20 per cento regioni del centro-nord), in alcune regioni la percentuale di potenziali famiglie beneficiarie è molto più alta (esempio 65 per cento in Molise, 41 per cento in Basilicata, 39 per cento in Sardegna, 30 per cento in Puglia e Sicilia). Per le imprese è previsto un contributo fino a 2.000 euro. Si stima ne potranno beneficiare a livello nazionale oltre 400 mila imprese (22 per cento circa). Anche in questo caso, l'impatto in alcune regioni sarà molto significativo (esempio oltre 95 per cento in Molise, 70 per cento in Sardegna, 60 per cento circa in Calabria, Basilicata e Sicilia). I voucher saranno erogabili non appena approvate le misure (regime di aiuto) dalla Commissione europea: si stima entro il mese di ottobre per le famiglie meno abbienti;

   il piano «aree grigie», ovvero le zone con gap tecnologico, che prevede interventi mirati a favorire la diffusione della fibra ottica in modo capillare sul territorio, abilitando anche lo sviluppo del 5G (in linea con la strategia e gli obiettivi 2025 della Commissione europea). Attualmente, in sinergia con le regioni, si sta focalizzando l'attenzione (in base alle risorse disponibili, circa 1.100 milioni di euro) sulle zone ad alta densità di imprese, al fine di poter attivare quanto prima (entro fine 2020) interventi a favore dei territori, quale risposta alla situazione emergenziale dovuta a COVID-19. L'esatta dimensione e posizionamento delle aree grigie è comunque in fase di ridefinizione da parte di Infratel che ha appena completato la consultazione degli operatori privati in relazione ai rispettivi piani di investimento/sviluppo nei prossimi tre anni.

  Un altro importante passo avanti in favore della diffusione della connettività è stato compiuto con il decreto semplificazione e innovazione digitale n. 76 del 2020 specie sul fronte della banda ultra larga, agevolando il posizionamento della fibra attraverso l'utilizzo della cosiddetta «microtrincea», una tecnica di scavo a basso impatto ambientale che non richiede poi l'effettuazione del ripristino del manto stradale. In questo modo si riducono i tempi dei lavori, considerando che lo scavo tradizionale richiede in media 6 mesi per il ripristino mentre la microtrincea sono necessari soltanto 45 giorni.
  Tuttavia, sono ben consapevole della carenza di connessione, anche mobile, nei comuni montani. Proprio in questi territori considero essenziali le sperimentazioni di progetti innovativi e l'implementazione della digitalizzazione.
  Il CoBUL, fin dalle prime riunioni, ha ritenuto di effettuare approfondimenti circa i fattori ostativi all'attuazione di un piano di così grande valenza strategica per il Paese. È emerso che i principali rallentamenti sono dovuti alla complessità e ai tempi della procedura di rilascio dei permessi, nonché di quella delle fasi di verifica e di collaudo dell'infrastruttura, necessaria per garantire il rispetto degli
standard qualitativi previsti nel relativo contratto.
  Per accelerare i lavori sono stati avviati anche specifici tavoli tecnici con i soggetti che più di altri risultano ritardare il rilascio dei permessi, in modo da individuare i fattori frenanti e definire conseguentemente modalità istruttorie per una rapida conclusione dei procedimenti.
  Con riferimento alle aree bianche, si stanno promuovendo le seguenti linee di azioni:

   audizioni e incontri tra Anas Rfi, Open Fiber, Enel Distribuzione, Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo, Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;

   tavoli tecnici, per favorire sinergie e il dialogo tra i diversi soggetti interessati e favorire una soluzione condivisa per l'utilizzo di tecnologie di scavo meno invasive (cosiddetta mini-trincea) e più veloci, a vantaggio di cittadini e imprese che vedrebbero pienamente riconosciuto il diritto alla «Gigabit Society»;

   approfondimenti in corso sul contratto di concessione Infratel/OF, e relative penali applicate, per l'esame congiunto delle più opportune azioni giuridiche da porre in essere a fronte degli inadempimenti di Open Fiber;

   approfondimenti sul nuovo piano industriale di Open Fiber, approvato in data 4 maggio 2020, al fine di valutare se il deliberato aumento di capitale di 450 milioni di euro sia stato allocato sul progetto aree bianche.

  Relativamente a quelle aree montane del Paese che, a maggior ragione con la crisi sanitaria in atto dovuta al COVID-19, soffrono dei problemi derivanti dal digital divide, il CoBUL ha dato mandato di cercare soluzioni che possano velocizzare l'instaurazione delle connessioni di rete ad alte prestazioni.
  Il problema, riconducibile alla tipologia delle «case sparse», ovvero piccoli agglomerati abitativi geograficamente distanti dai centri abitati più popolosi, è molto ricorrente, anche in virtù dell'orografia del Paese.
  Nello specifico sono allo studio soluzioni «ponte» che permettano di impiegare tecnologie alternative alla fibra ottica come quella Fwa (
Fixed Wireless Access). Tali tecnologie, potrebbero, a fronte di interventi coordinati fra loro, risolvere nel breve periodo la carenza di connessioni adeguate nelle zone montane.
  A tal riguardo la segreteria tecnica del CoBUL ha intrapreso comunicazioni con diverse associazioni di categoria che raggruppano aziende Tlc che operano nel settore
wireless, con l'obiettivo di capirne le istanze e verificare se la loro opera possa essere impiegata per la riduzione del digital divide nelle aree montane.
  Resta comunque inteso che l'intervento finale del concessionario
Open Fiber e la relativa posa dell'infrastruttura in fibra ottica sia, nel medio-lungo periodo, la condizione abilitante fondamentale e irrinunciabile per tutta una serie di servizi a valore aggiunto oltre che per la raccolta del traffico di accesso generato da qualsiasi tecnologia alternativa.
  In merito alle criticità di ricezione del segnale di rete nei comuni montani dove sono ubicati i rifugi alpini, è stata sentita sul punto l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, la quale ha riferito di essersi attivata nei confronti degli operatori di telefonia mobile sin dal luglio 2018, inoltrando agli stessi le segnalazioni dell'unione nazionale comuni, comunità ed enti montani (Uncem). L'analisi fatta ha in effetti mostrato, in ragione della morfologia e scarsa densità abitativa di tali aree, una inferiore copertura del territorio nei piccoli comuni (circa compresa tra il 77 e 80 per cento, sebbene la copertura della popolazione risulti mediamente del 97-98 per cento). A tale riguardo l'Autorità ha avviato un ulteriore specifico focus richiedendo agli operatori mobili dati aggiornati sulla copertura dei comuni più critici in termini di connettività e sui siti pianificati. Si rappresenta inoltre che, nell'ambito del progetto BUL, la scelta tecnologica adottata dal concessionario in sede di offerta tecnica per talune aree del territorio prevede tecnologie
wireless Fwa, che coprono circa il 20 per cento dell'intero piano tecnico.
  Le unità immobiliari previste nel piano Bul superano i 9,5 milioni di unità immobiliari e includono anche aree montane e rurali prevedendo per la maggior parte tecnologie in fibra ottica e, in aree a bassa densità quali appunto le aree montane, anche la tecnologia
wireless. Si segnala altresì che il Ministero dello sviluppo economico sta compiendo un'efficace azione di sensibilizzazione, favorendo il dialogo tra i diversi livelli istituzionali per il rilascio delle autorizzazioni necessarie ai lavori di infrastrutturazione anche nei confronti delle amministrazioni dei comuni montani. Sul punto la società Infratel ha, nel mese di aprile scorso, invitato Uncem a sollecitare i responsabili tecnici e amministrativi delle comunità montane al rilascio dei permessi necessari per completare il collaudo dei comuni, nonché a favorire l'uso della cosiddetta microtrincea. Il Ministero dello sviluppo economico continuerà a vigilare sull'avanzamento del piano BUL e a monitorare costantemente le fasi attuative poste in essere dal concessionario Open Fiber in tutto il Paese, affinché si giunga al più presto a colmare il divario digitale ancora esistente nelle cosiddette aree a fallimento di mercato, ivi comprese le zone montane.
  Nell'ambito della costante collaborazione con l'Unione nazionale dei comuni montani (Uncem), è stato firmato un Protocollo d'intesa per promuovere una collaborazione finalizzata a individuare azioni e attività sinergiche utili a garantire la più ampia e inclusiva diffusione delle tecnologie digitali in modo da permettere a tutti i cittadini, ovunque residenti, di fruire, anche attraverso un adeguato e paritario accesso alla rete, dei servizi digitali messi a disposizioni dalle pubbliche amministrazioni.
  Con il protocollo, inoltre, intendiamo avviare, anche nell'ambito del progetto «Repubblica Digitale», iniziative informative e formative per consentire la diffusione della cultura digitale, con particolare riferimento ai piani di digitalizzazione pubblici, ricadenti sul territorio, nonché agli effetti di tali piani, in termini di nuovi servizi abilitabili sia per la pubblica amministrazione che per le imprese locali e i cittadini.
  Ci impegniamo a promuovere attività congiunte per il superamento del divario digitale utilizzando strumenti tecnologici avanzati, in coerenza con le azioni del Governo a favore dei cittadini, delle imprese e delle pubbliche amministrazioni.
  In conclusione, si conferma l'impegno del CoBUL nella individuazione di ogni utile misura e soluzione atta ad accelerare l'attuazione dei progetti nelle aree bianche, sia sul piano tecnico che normativo, nonché a migliorare il dettaglio delle informazioni disponibili sullo stato di avanzamento mediante la
dashboard di progetto.
La Ministra per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione: Paola Pisano.


   FRASSINETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   di recente esponenti di un gruppo antifascista hanno assediato la sede di Fratelli d'Italia a Treviglio;

   si è appreso dalla stampa locale che, ad un mese di distanza dal primo episodio violento, nella serata di mercoledì 6 novembre 2019, un gruppo di antagonisti – antifascisti ha impedito a simpatizzanti, iscritti e militanti di FdI di Treviglio l'accesso presso la nuova sede di Fratelli d'Italia;

   la violenza gratuita da parte di suddetto gruppo, ai danni dei simpatizzanti, si era già perpetrata nel mese di ottobre all'esterno dei locali da poco aperti al pubblico dal circolo FdI trevigliese in via Anita Scotti e, nella notte fra martedì 7 e mercoledì 8 ottobre, sono anche state imbrattate le serrande della sede stessa con scritte offensive e intimidazioni;

   già mercoledì 8 ottobre, durante la raccolta firme contro lo ius soli, era stato indetto un presidio antifascista da parte di gruppi antagonisti con cori e volantini nei pressi della sede;

   è stato necessario l'intervento delle forze dell'ordine per garantire la sicurezza delle persone che volevano partecipare alla riunione nella sede locale del partito di Giorgia Meloni;

   i militanti, gli iscritti e i simpatizzanti sono stati bloccati dal suddetto gruppo di violenti che manifestavano al fianco di striscioni offensivi, insultando e minacciando i presenti con cori e slogan, disobbedendo alla richiesta delle forze dell'ordine di sciogliere la manifestazione –:

   quali iniziative intenda assumere per prevenire e impedire questi fatti violenti e intimidatori provocati dai gruppi antagonisti di cui in premessa, fatti connotati da sentimenti di odio e da intenti di sopraffazione accaduti nel comune di Treviglio davanti alla sede di Fratelli d'Italia.
(4-04070)

  Risposta. — In relazione a quanto evidenziato nell'atto di sindacato ispettivo in esame si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare si rappresenta che, dal mese di ottobre 2019, è operativa a Treviglio (Bergamo) una sede del partito politico «Fratelli d'Italia», intitolata a «Pino Rauti».
  Nella predetta cittadina; nella serata dell'8 ottobre 2019, una trentina di persone, riconducibili ad un'area antagonista, ha inscenato una manifestazione contro la raccolta firme organizzata nei pressi della suddetta sede.
  Nell'occasione, grazie alla presenza del personale della polizia di Stato, è stato impedito ai contestatori di avvicinarsi. La raccolta di firme si è poi ripetuta la sera successiva senza criticità.
  Un'ulteriore manifestazione è stata organizzata, il successivo 6 novembre, da circa 40 militanti dell'area antagonista, con il proposito di impedire l'accesso alla sede del partito politico.
  In tale circostanza le forze dell'ordine, intervenute per allontanare i manifestanti, hanno denunciato 26 persone all'autorità giudiziaria per diverse ipotesi di reato.
  Va evidenziato che in vista dell'inaugurazione ufficiale della predetta sede del partito politico «Fratelli d'Italia», che ha avuto luogo il 16 novembre 2019, si è riunito, il 13 novembre 2019, presso la prefettura di Bergamo, il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, allargato alla partecipazione del sindaco di Treviglio. In tale occasione, è stato convenuto di rafforzare i servizi di prevenzione e controllo del territorio, anche con l'ausilio di personale della polizia locale.
  Durante la cerimonia inaugurale un centinaio di persone appartenenti al locale movimento antagonista, ai sindacati di base e all'A.n.p.i. locale – ha messo in atto, nella adiacente piazza Manara, un presidio di protesta.
  Il tentativo dei manifestanti di raggiungere in corteo la sede di «Fratelli d'Italia» è stato impedito dall'intervento del personale delle forze di polizia.
  In relazione alla suddetta sede viene comunque assicurata una particolare attenzione nell'ambito delle attività di controllo.
  

Il Viceministro dell'interno: Matteo Mauri.


   FRUSONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il decreto-legge 12 luglio 2011, n. 107, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 agosto 2011, n. 130, ha disposto l'impiego delle guardie giurate a bordo delle navi per la difesa da atti di pirateria;

   tale servizio poteva essere svolto esclusivamente dopo il superamento di corsi teorico-pratici di cui al decreto del Ministro dell'interno 15 settembre 2009, n. 154, articolo 6;

   il decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 215, nel novellare il comma 5 dell'articolo 5 del decreto-legge n. 107 del 2011, ha disposto fino al 31 dicembre 2012, la possibilità d'impiego anche di coloro i quali non abbiano ancora frequentato i predetti corsi teorico-pratici, a condizione che abbiano partecipato per un periodo di almeno sei mesi, quali appartenenti alle Forze armate, alle missioni internazionali in incarichi operativi e che tale condizione sia attestata dal Ministero della difesa;

   predetto termine è stato ulteriormente prorogato da successive modifiche normative al 30 giugno 2020;

   con la circolare del 18 marzo 2020, il Ministero dell'interno, Dipartimento della pubblica sicurezza, ha invitato le commissioni prefettizie di cui al decreto del Ministro dell'interno 15 settembre 2009, n. 154, articolo 6, comma 4, a programmare dedicate sessioni di esami al fine di consentire alle guardie giurate di sostenere l'esame finale di abilitazione allo svolgimento dell'attività in questione;

   l'emergenza epidemiologica da Covid-19 ha di fatto reso impossibile dare seguito a tale previsione;

   le deroghe che hanno permesso l'impiego delle guardie giurate a bordo delle navi per la difesa da atti di pirateria sono altresì sempre state motivate dalla completa assenza dei menzionati corsi teorico-pratici che, seppur previsti dalla normativa vigente, non sono mai stati attivati;

   il problema normativo che si è venuto a determinare sta causando il fermo di un'attività di estrema importanza e delicatezza per la tutela del nostro naviglio e del personale su questo imbarcato –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suddetti e quali iniziative, anche di urgenza, intenda porre in essere al fine di consentire l'impiego delle guardie giurate a bordo delle navi per la difesa da atti di pirateria.
(4-06564)

  Risposta. — In relazione ai quesiti posti dall'interrogante, relativi all'atto di sindacato ispettivo in esame, si rappresenta quanto segue.
  L'attenzione del Governo ai profili della sicurezza dei traffici marittimi, anche nei contesti più significativamente incisi da fenomeni criminali specifici, è stata continua e costante nel tempo.
  Nell'alveo della specifica normativa, e in attuazione del decreto-legge 12 luglio 2011, n. 107, convertito con modificazioni dalla legge 2 agosto 2011, n. 130, con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della giustizia del 7 novembre 2019, n. 139, sono stati, tra l'altro, disciplinati i requisiti e i percorsi altamente professionalizzanti del personale – in possesso della qualifica di guardia giurata e dipendente dall'armatore o da istituto di vigilanza privata – da impiegare nei servizi di protezione del naviglio mercantile.
  Il citato decreto, che contempera anche la valorizzazione dell'esperienza maturata negli specifici servizi, è entrato in vigore all'approssimarsi della scadenza del regime transitorio previsto dalla ricordata norma primaria che consentiva di effettuare tali attività con l'impiego di guardie giurate prive della ricordata abilitazione addestrativa.
  Conseguentemente il termine di tale disciplina veniva prorogato al 30 giugno 2020, ai sensi dell'articolo 3, comma 4 del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 2020, n. 8.
  L'emergenza epidemiologica da COVID-19 non ha reso possibile lo svolgimento delle previste sessioni formative né degli esami abilitativi innanzi alle Commissioni appositamente nominate dal prefetto competente.
  Proprio in ragione di tali criticità è stato predisposto uno specifico intervento normativo, poi inserito nel decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, attualmente in corso di conversione; ed infatti, l'articolo 38 che proroga la scadenza del menzionato regime transitorio al 30 giugno 2021, e già vigente dal 15 agosto 2020.

Il Viceministro dell'interno: Matteo Mauri.


   GAGLIARDI, TRANCASSINI, FERRI, SOVERINI, SPENA, PAOLINI e CATALDI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   l'amministratore di condominio, ai sensi dell'articolo 1130, primo comma, n. 10, del codice civile è tenuto a redigere il rendiconto condominiale annuale della gestione e convocare l'assemblea per la approvazione entro 180 giorni, pena la revoca dall'incarico;

   gli amministratori di condominio si sono trovati, nel corso del periodo di lockdown e nel rispetto delle successive disposizioni sul distanziamento sociale, a non potere convocare le prescritte assemblee e, dato che molti degli esercizi contabili condominiali si chiudono il 31 dicembre, è elevato il rischio che non riescano ad ottemperare a tale obbligo normativo;

   al fine di evitare che questi professionisti possano essere sottoposti incolpevolmente ad una procedura di revoca, il termine di cui all'articolo 1130, comma 1, n. 10, del codice civile, è necessario prorogare per un periodo adeguato la convocazione delle assemblee per l'approvazione di rendiconti la cui scadenza si sia verificata dal 31 luglio 2019 in poi;

   al fine di potere riprendere l'ordinaria attività degli amministratori, tenuto anche conto del fatto che i condomini dovranno, verosimilmente, nel breve periodo, assumere legittimamente le delibere per l'approvazione dei lavori per l'ottenimento dei bonus fiscali del 110 per cento ex articolo 119 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, necessarie per la ripresa dell'economia nazionale, deve essere consentita la possibilità di effettuare le assemblee da remoto con modalità telematiche, fermi i requisiti di legge sulla convocazione, sulla partecipazione e sul diritto al voto –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti di cui in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intendano adottare affinché gli amministratori di condominio non vengano incolpevolmente revocati dall'incarico per il mancato rispetto del termine di cui all'articolo 1130, primo comma, n. 10, del codice civile, e permettere agli stessi di proseguire compiutamente nella propria attività professionale convocando assemblee da remoto con modalità telematica.
(4-06349)

  Risposta. — Con l'atto parlamentare in esame, gli interroganti hanno chiesto di sapere se i Ministri interrogati intendano adottare iniziative volte ad evitare che gli amministratori di condominio vengano incolpevolmente revocati dall'incarico per il mancato rispetto del termine di cui all'articolo 1130, primo comma, n. 10) del codice civile per mancata approvazione del loro rendiconto.
  In particolare, hanno suggerito la previsione della proroga del termine di cui all'articolo 1130, comma primo, n. 10) del codice civile per tenere le assemblee di approvazione dei rendiconti, nel caso in cui la scadenza si sia verificata dal 31 luglio in poi, nonché la possibilità di convocare da remoto di assemblee condominiali con modalità telematica.
  A tale riguardo si rappresenta che l'articolo 73 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27 ha consentito, fino alla cessazione dello stato di emergenza, lo svolgimento in videoconferenza delle sedute delle giunte comunali, dei consigli dei comuni, delle province e della città metropolitane e degli organi collegiali degli enti pubblici nazionali, anche articolati su base territoriale, nel rispetto di criteri di trasparenza e tracciabilità delle riunioni, purché siano individuati sistemi che consentano di individuare con certezza per i partecipanti, la regolarità dello svolgimento delle sedute e l'adeguata pubblicità delle medesime.
  Previsioni analoghe sono state introdotte relativamente allo svolgimento in videoconferenza delle assemblee degli organi collegiali degli enti pubblici nazionali, a condizione che sia garantita la certezza nell'identificazione dei partecipanti e la sicurezza delle comunicazioni.
  La previsione è stata altresì estesa al caso delle sedute in videoconferenza delle associazioni private anche non riconosciute e alle fondazioni, nel rispetto di criteri di trasparenza e tracciabilità previamente fissati, purché siano individuati sistemi che consentano di identificare con certezza i partecipanti nonché adeguata pubblicità delle sedute, ove previsto, secondo le modalità individuate da ciascun ente.
  Ciò premesso, eventuali modifiche normative tese alla previsione di una soluzione analoga per le assemblee condominiali, soluzione che in ogni caso esulerebbe dalla stretta pertinenza amministrativa del Ministero della giustizia, presenterebbero profili di criticità sul piano degli oneri supplementari di dotazioni (linea internet e apparecchiature informatiche) gravanti su tutti i condomini e delle possibili contestazioni scaturenti dalle differenti modalità di svolgimento dell'assemblea.
  In difetto di una specifica disposizione ostativa, anche nell'attuale assetto ordinamentale la possibilità di svolgimento dell'assemblea condominiale in videoconferenza non deve ritenersi peraltro astrattamente preclusa, purché detta facoltà sia contemplata dal regolamento condominiale approvato all'unanimità e sia garantita la possibilità per tutti i condomini di partecipare al consesso da remoto.
  Le esigenze prospettate dagli interroganti non richiedono pertanto alcuna modifica normativa, potendo trovare adeguato riscontro anche nell'attuale quadro ordinamentale.
  Si rappresenta inoltre che l'articolo 1, comma 10, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, convertito con modificazioni dalla legge 14 luglio 2020, n. 74, ha previsto che «le riunioni si svolgono garantendo il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro».
  Conformemente a tale previsione il Governo, rispondendo allo specifico quesito posto nell'ambito delle Faq, in data 1° giugno 2020, ha affermato che «Le assemblee di qualunque tipo, condominiali o societarie, ovvero di ogni altra forma di organizzazione collettiva, possono svolgersi in “presenza fisica” dei soggetti convocati, a condizione che siano organizzate in locali o spazi adeguati, eventualmente anche all'aperto, che assicurino il mantenimento continuativo della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro fra tutti i partecipanti, evitando dunque ogni forma di assembramento, nel rispetto delle norme sanitarie di contenimento della diffusione del contagio da COVID-19, Resta ferma la possibilità di svolgimento delle medesime assemblee da remoto, in quanto compatibile con le specifiche normative vigenti in materia di convocazioni e deliberazioni».
  Non può pertanto affermarsi che sia attualmente precluso in termini assoluti lo svolgimento delle assemblee condominiali, essendo invece necessaria l'adozione delle particolari cautele descritte.
  Tanto premesso, si osserva che il provvedimento di revoca dall'incarico presuppone l'ascrivibilità dell'omissione del rendiconto ad un comportamento colpevole dell'amministratore; secondo i princìpi dell'ordinamento vigente, ove sussistano concrete ed effettive difficoltà nella convocazione di un'assemblea «a distanza», non sembra pertanto ravvisabile alcun comportamento colpevole dell'amministratore, a prescindere da eventuali interventi normativi.
  Anche la modalità in presenza potrebbe infatti risultare impraticabile in ragione di costi o di difficoltà logistiche da affrontare per tenere l'assemblea nel rispetto delle vigenti disposizioni sul distanziamento interpersonale.
  Si evidenzia comunque che il termine fino al 31 dicembre 2021 previsto dall'articolo 119, decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 per l'esecuzione dei lavori ammessi alle detrazioni fiscali risulta congruo, considerata anche la fase emergenziale da COVID-19, per l'adozione delle relative delibere autorizzative.
  Non constano infine iniziative legislative in corso finalizzate a procrastinare la scadenza del termine di legge per l'approvazione del bilancio condominiale.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   GALANTINO, VARCHI, FERRO, CIABURRO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   l'interrogante apprende che tre agenti della polizia penitenziaria sono morti suicidi nel mese di agosto 2020;

   a togliersi la vita sono stati una donna assistente capo presso la casa circondariale di Palermo, e due operatori in servizio all'istituto di Latina;

   gli agenti di polizia penitenziaria svolgono in prima linea in carcere il loro servizio in un contesto segnato da numerose criticità strutturali, gestionali e numeriche, aggravate nell'ultimo periodo a causa dell'emergenza sanitaria;

   inoltre, il lavoro delicatissimo svolto dagli agenti di polizia penitenziaria non presenta riferimenti stabili in ordine alle situazioni psicologiche, diretti ad evitare conflittualità nelle relazioni con i detenuti ed a sostegno della personalità –:

   se sia intenzione del Ministro interrogato adottare iniziative per definire una normativa ad hoc volta a garantire ambienti rispettosi dei diritti e della dignità dei lavoratori, garantendo personale in numero rispondente alle esigenze ed una formazione continua per gli agenti di polizia penitenziaria;

   se il Ministro interrogato intenda avviare un iter per la costruzione di nuovi carceri idonei a garantire le esigenze ut supra illustrate.
(4-06699)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante, preso atto di tre recenti casi di suicidio occorsi tra il personale appartenente al corpo di polizia penitenziaria, è a chiedere quali iniziative si intendano adottare per una maggiore garanzia di ambienti dignitosi e rispettosi dei diritti dei lavoratori, oltre che per assicurare un incremento delle dotazioni organiche e, da ultimo, l'edificazione di nuove strutture penitenziarie.
  Orbene, va subito evidenziato come gli eventi suicidiari di appartenenti alla polizia penitenziaria costituiscono tragiche evenienze che l'Amministrazione ha il dovere di attenzionare, onde verificare, nei limiti del possibile, se ciò possa trovare concausa in difficoltà riferibili all'ambiente lavorativo.
  La centralità dell'obbiettivo miglioramento delle condizioni di lavoro degli operatori passa, naturalmente, anche attraverso il loro benessere psicologico, assolutamente condizione necessaria per il sereno svolgimento dei delicati compiti di sicurezza e trattamentale cui sono chiamati.
  Ciò premesso, va dato conto del dato inerente la serie storica degli atti autosoppressi vi posti in essere, negli ultimi 10 anni, da personale appartenente al corpo di polizia penitenziaria in servizio presso gli istituti di pena per adulti.
  Pertanto, al 17 settembre 2020 si sono verificati 6 episodi suicidiari, a fronte di 19 eventi occorso nel 2019, 4 nel 2018, 9 nel 2017, 6 nei 2016, 2 nel 2015, 11 nel 2014, 6 nel 2013, 8 nel 2012 e 2011, e 5 nel 2010.
  In particolare, tali eventi hanno interessato il personale di Polizia penitenziaria di età compresa tra i 28 e i 59 anni e sono avvenuti, nella maggior parte dei casi, attraverso l'uso dell'arma di ordinanza.
  Quanto alle problematiche connesse al benessere psico-fisico del personale, la competente direzione generale del personale e delle risorse presso il Dap, tenuto conto della complessità del contesto penitenziario, ha avviato una serie di iniziative mirate e concrete al fine di promuovere e mantenere il più alto grado possibile di benessere fisico e psicologico del personale dell'amministrazione penitenziaria.
  Obiettivo primario, infatti, è quello di sostenere gli operatori che lavorano quotidianamente negli istituti di pena, i quali sono maggiormente esposti a situazioni di tensione e difficoltà, che non sempre riescono a trovare soluzione nell'ambiente lavorativo e in quello familiare.
  A tal fine, è stato stipulato un protocollo nazionale con l'associazione «Girotondo Intorno al Sogno», con il quale viene istituito uno sportello di ascolto e sostegno in favore di tutti coloro che, in totale anonimato, volessero condividere situazioni di difficoltà lavorative e personali, momenti di solitudine, stress e frustrazione.
  L'associazione è composta da un gruppo multidisciplinare di professionisti con diverse competenze specifiche che, a titolo di volontariato, portano avanti un'opera di sensibilizzazione e prevenzione sociale sulle problematiche più diffuse nell'infanzia, adolescenza, famiglia ed età adulta, proprie del nostro tempo.
  In tale ambito, l'associazione è impegnata nella realizzazione di un'efficace rete di collaborazione sul territorio regionale e nazionale con realtà volte a indagare, monitorare, prevenire e contrastare fenomeni di violenza e suicidio tra la popolazione.
  In particolare, l'associazione offre all'amministrazione penitenziaria un servizio gratuito di supporto in favore del personale che opera negli istituti penitenziari, sulla falsariga dell'esperienza positiva già maturata all'interno delle realtà penitenziarie di Toscana e Umbria, Emilia Romagna e Marche, Campania, impegnandosi ad assicurare e garantire ascolto e supporto psicologico nel rispetto delle normative vigenti in tema di
privacy.
  Sul punto va altresì dato conto di una recente circolare Dap 3689/6139 del 22 luglio 2020 (Aggressioni al personale – linee di intervento), laddove, al paragrafo 3, appunto dedicato al «miglioramento della qualità del lavoro negli istituti penitenziari», si evidenziata l'importanza del supporto psicologico, anche in conseguenza di aggressioni (ma non solo) e rilevata l'assenza di psicologi tra i ruoli del corpo di polizia penitenziaria, indica lo strumento di convenzioni e protocolli di intesa (stipulati o da stipulare) con gli ordini degli psicologi, nonché la sottoscrizione di un protocollo per l'istituzione di uno «sportello di ascolto e di sostegno gratuito a favore di tutti coloro che, in totale anonimato, volessero condividere situazioni di difficoltà lavorativa e personali, momenti di solitudine, di stress e frustrazione».
  Orbene, tale linea di intervento, unitamente al generale miglioramento degli ambienti lavorativi, è stata oggetto di specifica indicazione nel recente atto di indirizzo politico istituzionale per l'anno 2021.
  Relativamente, invece, al quesito inerente alla costruzione di nuovi complessi di edilizia penitenziaria, si evidenzia, in via preliminare, che la realizzazione di nuove strutture detentive, ordinariamente, attiene esclusivamente all'ambito di competenza dei Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
  Al fine di poter assicurare risposte più celeri ed efficaci al sovraffollamento penitenziario, con l'articolo 7 del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (convertito con legge 11 febbraio 2019, n. 12, come riformato con decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 2020, n. 8), è stato disposto che a tale attività concorra, fino al 2022, anche il Ministero della giustizia.
  L'Amministrazione, pertanto, oltre a proseguire nell'espletamento delle attività già di propria competenza, finalizzate alla riqualificazione del patrimonio edilizio ad essa concesso in uso governativo, è attualmente fortemente impegnata in un programma teso all'aumento dei numero dei posti detentivi mediante il recupero d'agibilità di quelli indisponibili per carenze manutentive, nonché all'edificazione di nuovi padiglioni in penitenziari già attivi, come pure alla riconversione a uso detentivo di strutture demaniali dismesse, in particolare caserme, aventi caratteristiche tali da poterne prefigurare – con prevalenti interventi di manutenzione ordinaria e/o straordinaria – un possibile adattamento a istituto penitenziario.
  Ciò premesso, mi pregio riferire dei procedimenti di edilizia penitenziaria di maggior rilievo avviati per fronteggiare il problema del sovraffollamento, superare talune criticità strutturali e favorire, al contempo, la creazione di ambienti più rispettosi dei diritti e della dignità dei lavoratori.
  Nel corso del corrente anno sono stati ultimati e attivati n. 3 nuovi padiglioni detentivi da 200 posti ciascuno presso gli istituti di Panna, Trani e Lecce, mentre è prevista l'imminente disponibilità di un nuovo padiglione di pari capienza l'istituto di Taranto.
  Entro l'anno dovrebbe essere ultimato un ulteriore padiglione da 200 posti presso la casa di reclusione di Sulmona.
  A seguito delle competenze attribuite all'amministrazione penitenziaria dal predetto articolo 7 del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, nel marzo 2019 è stato varato un piano finanziario per la progettazione e realizzazione di 25 nuovi padiglioni modulari media sicurezza, da 120 posti cadauno, per complessivi 3.000 nuovi posti detentivi, da costruire in aree libere disponibili
intramoenia presso complessi penitenziari già attivi.
  Risultano attualmente avviati procedimenti per 12 moduli relativi agli istituti di Santa Maria Capua Vetere, Perugia, Rovigo, Civitavecchia, Viterbo, Vigevano, Monza, Napoli Secondigliano e Asti.
  Non solo, ai fini del celere incremento del patrimonio immobiliare penitenziario, nel 2018 è stato avviato, altresì, un tavolo tecnico con il Ministero della difesa e l'Agenzia del demanio per la riconversione di caserme dismesse o in corso di dismissione in istituti penitenziari di media sicurezza.
  Pertanto, sono già stati avviati i necessari procedimenti amministrativi inerenti la caserma Bixio di Casale Monferrato, volta al suo recupero conservativo e riconversione del compendio demaniale a istituto penitenziario per 400 posti; la caserma Battisti di Napoli, volta ad un progetto di riconversione a istituto da 200 posti, la caserma Barbetti di Grosseto, volta alla riconversione in istituto da 400 posti.

  Sono stati riavviati altresì, dopo una lunga sospensione causata dal fallimento dell'impresa affidataria, i lavori di completamento del reparto 41-bis di Cagliari Uta (92 posti), che dovrebbe essere ultimato entro il corrente anno.
  Risultano, inoltre, essere stati consegnati i lavori per il nuovo padiglione detentivo da 200 posti presso la casa circondariale di Bologna che dovrebbe essere ultimato entro il 2021.
  Ancora, sono in corso a cura dei competenti provveditorati alle opere pubbliche, organizzazioni, le progettazioni per le nuove strutture di Milano Bollate (200 posti), Brescia Verziano (330 posti) e Nola (1.200 posti), nonché per gli adeguamenti al Decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000 di reparti detentivi presso i penitenziari di Milano San Vittore, Napoli Poggioreale, Bari e la struttura sita nel Comune di Monteroni di Lecce (ex Ipm).
  Infine, mi corre l'obbligo di riferire che sono stati registrati ritardi, rispetto alle previsioni del cosiddetto «Piano Carceri», nei cantieri per le nuove strutture di San Vito al Tagliamento (300 posti), Forlì (250 posti), Milano Opera (400 posti) e Roma Rebibbia (400 posti) per complessivi 1.350 posti.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   GIANNONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il decreto n. 2 del 2020 della corte d'appello di Roma, che ricalca i principi stabiliti dalla sentenza della Corte di Cassazione civile n. 13274 del 16 maggio 2019, stabilisce che la bigenitorialità, principio desunto dalla legge sull'affido condiviso, legge n. 54 del 2006, non è un principio astratto e normativo, ma è un valore posto nell'interesse del minore, che deve essere adeguato ai tempi e al benessere del minore stesso;

   per realizzare veramente l'interesse del minore non appare realistico presumere che la paura e il conseguente rifiuto di una delle figure genitoriali «possano essere superate imponendo l'allontanamento del minore dalla sua casa e dai suoi affetti ed un collocamento coattivo». Il minore si troverebbe così «incolpevolmente, per l'incapacità dei genitori di trovare un terreno comune nel suo interesse, incastrato nella duplice sofferenza di un drastico quanto per lui incomprensibile sradicamento dal proprio ambiente e dai propri affetti, e di una esposizione forzosa ad una situazione per lui fonte di ansia e comunque estranea»;

   così come riportato dallo speciale DireDorine, della nota agenzia di stampa, intitolato «Madri Coraggio», Sara – nome di fantasia – è una bambina di 6 anni che, nonostante la giovane età, ha sulle spalle un decreto del tribunale per i minorenni di Brescia. Infatti, il 17 settembre 2019, il tribunale ha stabilito che: «se la bambina entro la prima decade di aprile, non manifesterà aperta volontà di incontrare il padre, si provvederà ad una collocazione eterofamiliare»;

   Sara, così come racconta la madre nell'intervista, che oggi vive con lei ed il nonno, è nata nonostante il padre non la volesse;

   poco dopo la nascita ha inizio un lunghissimo iter giudiziario al tribunale ordinario di Brescia con due consulenze tecniche d'ufficio redatte dal neuropsichiatra Carlucci. Nel 2015 il tribunale prima e la Suprema Corte dopo hanno stabilito «il collocamento presso la madre e la possibilità per il padre di tenerla i fine settimana alternati». Dal 2016, però, «il padre non poteva più incontrare Sara per netto rifiuto della bambina». Nonostante gli sforzi della madre, che aveva provato a convincerla ad incontrare il padre, chiedendo, tra l'altro, anche aiuto ai servizi sociali, la bambina si rifiuta di incontrare il padre;

   in questo comportamento della bambina ci sono episodi che la madre così descrive: «la bambina stava male quando sapeva di dover andare dal padre, raccontava di venir chiusa a chiave fuori dalla stanza del padre, di piangere fino ad addormentarsi perché lui non apriva, di essere picchiata e di non potermi telefonare»;

   la madre, di fronte a tali fatti riferiti dalla bambina anche alla neuropsichiatra, ha presentato un esposto per abusi e maltrattamenti fisici e psicologici;

   ed è proprio questa situazione di rifiuto della bambina a motivare il ricorso urgente del padre per l'affidamento esclusivo e a chiedere una nuova Ctu, richiedendo ancora la perizia al neuropschiatra infantile Carlucci che bolla la relazione madre-figlia come «simbiotica»;

   l'alienazione parentale (AP), chiamata in origine Pas, non è riconosciuta come disturbo mentale dalla maggioranza della comunità scientifica, ma spesso viene utilizzata nelle Ctu come pretesto, talvolta unico, per allontanare minori dalle madri, definendole alienanti, simbiotiche, malevole e manipolatrici –:

   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare al fine dell'applicazione del principio dell'affido condiviso sancito dalla legge n. 54 del 2006, così come interpretato dalla più recente giurisprudenza, ossia come l'oggetto di un diritto dei figli minori, da realizzare attraverso provvedimenti graduali e fattibili, in maniera da non ledere l'equilibrio psicofisico del minore coinvolto;

   se non ritenga, in relazione al caso specifico, di dover adottare ogni iniziativa di competenza, anche di carattere ispettivo.
(4-04590)

  Risposta. — Il caso sottoposto alla mia attenzione della giustizia riguarda la vicenda, riportata dagli organi di stampa, di una minore di sei anni collocata presso la madre, che dal 2016 rifiuta di incontrare la figura paterna in quanto, stando al racconto della madre, ha riferito di aver subito maltrattamenti fisici e psicologici.
  In base a quanto riferisce l'interrogante, il tribunale per i minorenni di Brescia, con decreto del 17 settembre 2019, sulla scorta di una perizia redatta da un neuropsichiatra che «bolla la relazione madre-figlia come simbiotica», ha stabilito che: «se la bambina entro la prima decade di aprile non manifesterà aperta volontà di incontrare il padre, si provvederà ad una collocazione eterofamiliare».
  Alla luce di tali circostanze, svolte alcune considerazioni critiche in ordine alla cosiddetta sindrome di alienazione parentale (PAS), che spesso verrebbe utilizzata dai consulenti tecnici come «pretesto per allontanare i minori dalle madri, definendo/e alienanti, simbiotiche, malevole e manipolatrici», l'interrogante chiede di sapere quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare al fine dell'applicazione del principio dell'affidamento condiviso e se si ritenga, in relazione al caso specifico, di adottare ogni iniziativa di carattere ispettivo.
  Orbene, nella vicenda in esame, per ottemperare, in ogni caso, alla richiesta di acquisire notizie presso i competenti uffici giudiziari, si è provveduto a richiedere informazioni al tribunale per i minorenni di Brescia, menzionato nel testo dell'interrogazione, che ha segnalato, nella risposta pervenuta a firma del presidente, l'impossibilità di fornire una risposta esaustiva per la vaghezza del testo sia in relazione ai nomi delle parti, che alla tipologia e agli estremi del procedimento azionato.
  Dal punto di vista normativo val la pena ricordare che, come noto, la legge n. 54 dell'8 febbraio 2006 ha introdotto l'istituto dell'affidamento condiviso dei figli in caso di separazione dei coniugi, modificando il testo dell'originario articolo 155 del codice civile ed introducendo gli articoli da 155-
bis a 155-sexies. Successivamente, il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, ha abrogato tali ultime norme e modificato nuovamente il disposto dell'articolo 155, il quale oggi prevede unicamente che «in caso di separazione, riguardo ai figli, si applicano le disposizioni contenute nel Capo II del titolo IX».
  La materia, dunque, è oggi disciplinata dagli articoli 337-
bis e seguenti del codice civile; si segnalano in particolare le seguenti disposizioni:

   articolo 337-ter: «Il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, nei procedimenti di cui all'articolo 337-bis, il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all'interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole, ivi compreso, in caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori, l'affidamento familiare. (...). La responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all'istruzione, all'educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. (...)»;

   articolo 337-quater: «Il giudice può disporre l'affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l'affidamento all'altro sia contrario all'interesse del minore. Ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l'affidamento esclusivo quando sussistono le condizioni indicate al primo comma. (...). Il genitore cui sono affidati i figli in via esclusiva, salva diversa disposizione del giudice, ha l'esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale su di essi; egli deve attenersi alle condizioni determinate dal giudice. Salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori. Il genitore cui i figli non sono affidati ha il diritto ed il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse».

  Con legge 18 giugno 2015, n. 101, l'Italia ha ratificato la Convenzione sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, sottoscritta all'Aja il 19 ottobre 1996 (Gazzetta Ufficiale – Serie generale n. 157 del 9 luglio 2015). Tale convenzione, in linea con il regolamento europeo n. 2201 del 2003, sancisce un principio condiviso dalla comunità degli Stati membri dell'Unione: il superiore interesse del minore, in alcuni casi, è perseguito anche allontanandolo dalla propria famiglia. In particolare, rientra nel concetto di misura volta alla protezione della persona del bambino (articolo 1, Convenzione dell'Aja 1996 cit.), «il collocamento del bambino in una famiglia di accoglienza o in un istituto» (articolo 3, paragrafo 1, lettera e), Conv. Aja 1996). Anche a livello di diritto eurounitario è ammesso che l'autorità giurisdizionale competente possa «collocare il minore in istituto o in una famiglia affidataria» (vedi articolo 56, regolamento CE n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003).
  Il collocamento del minore in ambiente (protettivo) terzo è presente anche nel diritto nazionale, attraverso una rete di disposizioni tipiche (di rango primario) che attribuiscono precipui poteri in tal senso all'autorità giudiziaria. I provvedimenti giudiziali idonei a incidere sulla responsabilità genitoriale sono essenzialmente di due tipi: limitativi e ablativi. Il provvedimento ablativo incide sulla titolarità della situazione giuridica soggettiva; il provvedimento limitativo incide solo sul suo esercizio. In altri termini, la pronuncia ablativa rimuove il rapporto genitoriale perché il genitore decade dalla sua posizione soggettiva; la pronuncia limitativa modifica, dall'interno, il contenuto della posizione stessa. Esempi classici di provvedimenti limitativi sono l'affidamento del minore a un ente o al servizio sociale, come pure la sospensione dell'esercizio della responsabilità genitoriale. Orbene, entro queste facoltà riconosciute all'autorità giudiziaria rientra dunque il potere di collocare il bambino in una casa famiglia o in un istituto, ai sensi degli articoli 330 e 333 del codice civile e dalla legge n. 184 del 1983.
  Nell'ordinamento italiano, come in quelli internazionali o europei, le misure protettive possono essere adottate non solo per proteggere il minore da terzi ma anche per proteggerlo dai genitori. L'autorità giudiziaria ha dunque un potere di collocamento del bambino in ambiente terzo di tipo protettivo, in armonia con le regole pure esistenti a livello internazionale ed europeo, previo ascolto del minore che abbia capacità di discernimento, sempre che l'ascolto non rappresenti un pregiudizio per il figlio (CGUE, sez. 1, 22 dicembre 2010, in causa C-491/10 PPU, Zarraga c, Pclz, Raccolta, 1-3565, punto 67).
  

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   GIANNONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il decreto n. 2 del 2020 della Corte d'appello di Roma, che ricalca i principi stabiliti dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 13274 del 16 maggio 2019, stabilisce che la bigenitorialità, desunta dalla legge sull'affido condiviso, n. 54 del 2006, non è un principio astratto e normativo, ma un valore posto nell'interesse del minore, che deve essere adeguato ai tempi e al benessere del minore stesso;

   la convenzione di Strasburgo stabilisce, nel combinato disposto degli articoli 3 e 6, il diritto del minore ad essere informato e di esprimere la propria opinione nei procedimenti che lo riguardano, imponendo all'autorità giudiziaria di tenerne debito conto;

   l'intervista video pubblicata dall'agenzia Dire, parla di Anna, una mamma che rischia di perdere la figlia riconosciuta legalmente solo da lei e non dal padre biologico;

   la sua bambina è ancora con lei perché al momento è riconosciuta solo dalla madre. Rimasta incinta, il padre decise di sparire perché la donna si rifiutò di abortire. Il suo calvario iniziò quando il padre decise, ben oltre la nascita della bambina, di reclamarne la paternità. Anna riferisce: «Siamo ancora in assenza di un decreto di riconoscimento; c'è un solo genitore – per la legge – ma si parla già di modalità di affido. Quest'uomo aveva già esercitato violenza su di me e quando ricompare ...» ricomincia «con minacce, appostamenti sotto casa, una serie di cose che mi mettono in allarme e mi spingono ad affidarmi ad un legale». L'uomo si rivolse al tribunale per chiedere il riconoscimento della bambina ed il giudice dispose ben due consulenze tecniche d'ufficio (Ctu). La prima durò più di un anno e la bambina fu costretta da subito a conoscere il papà, senza alcuna gradualità e Sara mostrò subito segni di grandissima insofferenza;

   la minore riferisce di botte, castighi e grande sofferenza. Nonostante ciò, la prima consulenza si è conclusa con un verdetto di «madre ostativa e inadeguata». La stessa è stata poi annullata, e il giudice ha disposto una nuova consulenza, che però non è andata diversamente dalla prima;

   la controparte ha chiesto l'allontanamento dalla madre e la Ctu, pur non arrivando a questa conclusione, parla comunque di conflitto di lealtà e chiede l'affido condiviso e tempi paritetici. Il tutto senza tenere conto delle condizioni della bambina e del modo in cui l'uomo si relaziona a lei;

   esistono registrazioni di due ore in cui questo padre urla contro la bambina. Sara si fa la pipì addosso per la paura e anche le sue maestre riferiscono la stessa cosa. Viene riferito che «è troppo piccola per essere creduta»;

   «l'elemento ricorrente in storie come quelle di Anna – sottolinea la psicologa e psicoterapeuta Bruna Rucci – è che il bambino non viene creduto. [...] C'è il famosissimo concetto, oggi abusato, delle false accuse, che è semplicemente una modalità per chiudere la bocca ai bambini. Anche le mamme non sono credute, per cui sono sempre loro le artefici della problematica del bambino nei confronti del padre»;

   «I casi di alienazione – dice l'avvocato Michela Nacca – sono aumentati. I primi che abbiamo visionato quando ancora non eravamo costituite in associazione [...] erano rari. Dalla legge 54/2006 sono andati aumentando [...]. Laddove c'è la denuncia di violenza»;

   l'alienazione parentale (Ap), chiamata in origine Pas, non è riconosciuta come un disturbo mentale dalla maggioranza della comunità scientifica, ma spesso viene utilizzata nelle consulenze tecniche d'ufficio, come pretesto, talvolta unico, per allontanare minori dalle madri, definendole alienanti, simbiotiche, malevole, manipolatrici –:

   se intenda adottare iniziative normative affinché sia escluso il riconoscimento dell'alienazione parentale che, come spiegato in premessa, è priva di validità e affidabilità scientifica;

   se intenda adottare iniziative di carattere ispettivo in relazione al caso rappresentato in premessa.
(4-04977)

  Risposta. — Con l'atto parlamentare in esame l'interrogante, prendendo le mosse da un'intervista a tale «Anna», che rischia di perdere la figlia riconosciuta solo da lei e non dal padre biologico, chiede al Ministro della giustizia «se intenda adottare iniziative normative affinché sia escluso il riconoscimento dell'alienazione parentale che, è priva di validità e affidabilità scientifica, e se intenda adottare iniziative di carattere ispettivo in relazione al caso rappresentato in premessa».
  Nell'intervista video di cui all'interrogazione, pubblicata dall'agenzia
Dire, una donna racconta la propria vicenda personale e giudiziaria relativa al contenzioso insorto con l'altro genitore il quale, dopo essersi disinteressato di lei al momento del concepimento, successivamente ha avviato l'azione di riconoscimento di paternità, non ancora conclusa al momento dell'intervista.
  L'interrogante ha evidenziato che, nel corso della causa di riconoscimento, erano state disposte due consulenze tecniche nei corso di una consulenza d'ufficio e che nel corso del procedimento la minore era stata costretta a conoscere il padre biologico «senza gradualità» e mostrando subito segni di sofferenza.
  Secondo l'interrogante, nel corso della medesima controversia, anche dopo «l'annullamento» della prima consulenza tecnica, era stato preso in considerazione il fatto che il primo consulente avesse ritenuto la madre «ostativa e inadeguata» ed era stata formulata, dal padre biologico, richiesta di allontanamento dalla madre; la seconda consulenza non ha smentito completamente le risultanze della prima ed ha rilevato, in ogni caso, un «conflitto di lealtà» ed ha opportuno un affido condiviso e con tempi paritetici della minore.
  Questa vicenda evidenzia, ad avviso dell'interrogante, che nella causa non si era tenuto conto delle condizioni, reazioni e dichiarazioni della minore, non favorevoli al rapporto col padre, benché la convenzione di Strasburgo (articoli 3 e 6) stabilisca il diritto del minore ad essere informato, e di esprimere la propria opinione nei procedimenti che lo riguardano e imponga all'autorità giudiziaria di tenerne debito conto.
  Ciò premesso, si deve rilevare che non sono stati offerti sufficienti elementi sulla vicenda giudiziaria oggetto dell'interrogazione per cui, se è chiaro l'avvio dell'azione di dichiarazione giudiziale di paternità (articoli 269 e seguenti del codice civile), non appare chiaro come, nell'ambito di tale controversia, e prima ancora che il Tribunale abbia emesso il provvedimento di dichiarazione di paternità, il padre biologico abbia potuto presentare domanda di affidamento (condiviso) della minore che non dovrebbe essere, ancora, legalmente sua figlia e lui stesso non dovrebbe essere legittimato alla proposizione di tale azione.
  La genericità delle indicazioni sul procedimento oggetto dell'interrogazione non consente di individuare con certezza il giudizio cui si riferisce; tuttavia la menzione del decreto n. 2/2020 della Corte d'appello di Roma ha indotto ad individuare una vicenda relativa ad una persona diversa da «Anna», come individuata nell'interrogazione stessa.
  Nel pieno rispetto della
privacy che un procedimento di questo tipo comporta, si evidenzia che nella motivazione del decreto 2/2020 non compare alcun riferimento alla sindrome di alienazione parentale; l'allontanamento è stato previsto come misura per evitare un grave pregiudizio allo sviluppo e all'equilibrio del minore stesso, che risulta dagli atti di causa già gravemente compromesso.
  Non si ravvisano pertanto alcuna condotta disciplinarmente rilevante da parte dei magistrati coinvolti nella decisione criticata dall'interrogante.
  Si rappresenta in ogni caso che il codice di procedura civile disciplina l'attività del consulente tecnico nella sezione III del libro I, agli articoli 191 e seguenti, e che non sussistono norme specifiche relative alle indagini peritali disposte dal giudice nell'ambito di procedimenti che hanno ad oggetto l'affidamento di un minore; secondo giurisprudenza ormai consolidata, la consulenza tecnica non è un mezzo di prova, ma un mezzo di valutazione delle prove offerte dalle parti, con il quale il giudice acquisisce, ove necessario, il parere di professionisti dotati di particolari competenze tecniche senza, tuttavia, essere vincolato al parere così espresso (si veda, tra le molte, Cassazione civile sezione VI – 3 del 7 giugno 2019, n. 15521).
  La giurisprudenza distingue, inoltre, tra consulenza tecnica d'ufficio «percipiente», con la quale il giudice può affidare al consulente fatti accertati o dati per esistenti, e consulenza d'ufficio «deducente» con la quale il giudice può affidare al consulente il compito di accertare determinati fatti, purché si tratti di fatti che possono essere rilevati esclusivamente con il ricorso a determinate cognizioni tecniche.
  In tale ipotesi la consulenza (deducente) può fungere da strumento di accertamento di questo genere di fatti, ferma restando tuttavia la discrezionalità del giudice nella valutazione delle prove ai fini della decisione (vedere Cassazione civile sezione III, ordinanza 15747, depositata il 15 giugno 2018).
  L'articolo 196 del codice di procedura civile consente inoltre al giudice, se ricorrono «gravi motivi», di rinnovare le indagini peritali e sostituire il consulente tecnico inizialmente nominato (cosa che sembra sia accaduto nella causa indicata dall'interrogante).
  È garantito alle parti del processo il diritto di partecipare alle indagini peritali facendosi assistere da propri consulenti, come dispone l'articolo 194, comma secondo, del codice di procedura civile.
  Vige infine il principio del libero convincimento del giudice nella valutazione delle prove offerte dalle parti, ivi compresi i pareri tecnici resi dal consulente d'ufficio, come stabilito in generale dall'articolo 116 del codice di procedura civile a mente del quale «il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti», e può desumere argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno quando rispondono all'interrogatorio non formale (articolo 117 del codice di procedura civile), così come dal rifiuto ingiustificato di consentire le ispezioni ordinate dal giudice stesso, e in generale, dal «contegno delle parti stesse nel processo». Si deve pertanto escludere che l'inserimento o il mancato inserimento di una determinata patologia psichica nel novero dei disturbi «riconosciuti» dalla comunità scientifica di riferimento costituisca di per sé elemento idoneo a influenzare l'esito di una controversia, anche qualora tale accertamento sia oggetto di una consulenza «deducente».
  Pertanto l'eventuale diagnosi di patologie psichiatriche (comprese quelle sulla cui effettiva identificabilità vi è dibattito scientifico) nel corso di una consulenza d'ufficio lascia impregiudicata la facoltà del giudice di discostarsi motivatamente dalle conclusioni del Ctu sia in base al proprio «prudente apprezzamento», sia in base alle controdeduzioni svolte dalle parti attraverso i propri consulenti, oltre che in base alla complessiva valutazione delle prove.
  Non sono attualmente allo studio dell'ufficio legislativo del mio Dicastero atti di iniziativa legislativa nella materia indicata dall'interrogante.
  

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   GIANNONE. — Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   diversi articoli di stampa riportano la notizia di un educatore di Porto San Giorgio accusato di maltrattamenti e violenza sui bambini, ospiti nella casa famiglia dove lavorava e di cui era il responsabile;

   «Quando perdeva le staffe, racconta il restodelcarlino.it, erano insulti, botte e maltrattamenti per i piccoli ospiti di quella casa famiglia»;

   nei guai è finito un 60enne per il quale è stata disposta la misura cautelare del divieto di avvicinamento al luogo di lavoro e ai minori ospitati nella struttura;

   l'indagine, continua l'articolo, effettuata dagli uomini della squadra mobile della questura di Fermo, ha preso il via dal monitoraggio continuo della sezione che si occupa dei reati sulle fasce deboli, innescato da una segnalazione. L'attività ha inizialmente consentito di raccogliere concreti elementi sui maltrattamenti nei confronti di alcuni degli ospiti minorenni della struttura, tutti bambini e ragazzini di età compresa tra i due e 15 anni –:

   se il Governo sia a conoscenza dei gravi fatti esposti in premessa e se non intenda adottare le iniziative di competenza, anche normative, per garantire azioni efficaci di controllo e di ispezione presso tali strutture, e circa le modalità di scelta del personale che lavora all'interno delle stesse, a tutela delle specificità dei diritti dei minori che, a vario titolo, incontrano i servizi delle comunità minorili;

   se il Governo non intenda adottare le iniziative di competenza per assicurare quanto previsto dalla normativa vigente in materia di servizi residenziali, considerato che il servizio di comunità deve garantire il rispetto di condizioni organizzative che costituiscono «requisiti minimi» per un'adeguata funzionalità della struttura, che per quanto concerne il personale, si traduce nella presenza di figure professionali psico-educative qualificate.
(4-05974)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si chiede di sapere se il Governo intenda adottare iniziative «per assicurare quanto previsto dalla normativa vigente in tema di servizi residenziali, considerato che il servizio di comunità deve garantire il rispetto di condizioni organizzative che costituiscono “requisiti minimi” per un'adeguata funzionalità della struttura, che per quanto concerne il personale, si traduce nella presenza di figure professionali psico-educative qualificate».
  L'interrogazione prende le mosse da un episodio di cronaca riportato dalla stampa che riferisce di un educatore di Porto San Giorgio accusato di maltrattamenti e violenza su bambini ospiti della casa famiglia nella quale lavorava e di cui era responsabile.
  L'indagine sarebbe scaturita, secondo le fonti giornalistiche, dal «monitoraggio continuo», ad opera della sezione della locale squadra mobile della questura di Fermo che si occupa di reati sulle fasce deboli, a seguito di una specifica segnalazione.
  Va premesso, in via generale, che la legge n. 181 del 1983 in materia di adozione, all'articolo 2, comma 5 attribuisce alle regioni la specifica competenza per definire gli
standard minimi dei servizi di assistenza delle comunità di tipo familiare presso le quali vengono collocati i minori.
  In tale ambito è attribuito alle regioni il compito di prevedere che tali comunità siano sottoposte a verifiche periodiche.
  L'articolo 4, comma 3, della legge citata attribuisce inoltre ai servizi sociali compiti di vigilanza sulle condizioni di affidamento del minore con l'assegnazione, con il provvedimento di affido familiare, la responsabilità sul programma di assistenza, con obbligo di redigere una relazione semestrale per informare il giudice sull'andamento del programma.
  La legge n. 122 del 12 luglio 2011 ha istituito l'Autorità garante per l'infanzia e per l'adolescenza alla quale sono attribuiti generali poteri di raccogliere informazioni, svolgere accertamenti e controlli a carico di coloro che si occupano dell'affidamento di minori.
  L'intervento dell'Autorità, come prevede l'articolo 6, può essere sollecitato da chiunque ne abbia interesse.
  Nel luglio 2019, inoltre, presso il Ministero della giustizia è stata istituita la «squadra speciale di giustizia per la protezione dei minori».
  La squadra ha immediatamente operato con una indagine conoscitiva, attraverso la raccolta di dati sui collocamenti dei minori nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2018 e il 30 giugno 2019.
  In tale occasione è emerso che in questo arco temporale sono stati svolti 5.173 controlli, ordinari e straordinari, presso istituti di assistenza pubblici e privati.
  La normativa vigente prevede quindi un sistema di controlli articolato e attivabile da chiunque che consente alle autorità di aprire indagini e di intervenire a protezione dei minori collocati fuori dalla famiglia.
  Tanto esposto con riferimento all'assetto normativo vigente si deve dare atto che non sono attualmente allo studio del Ministero ulteriori atti di iniziativa legislativa nella materia indicata dall'interrogante.
  Tanto premesso, si rappresenta inoltre che dalle informazioni acquisite dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali sono state approvate in Conferenza unificata il 14 dicembre 2017 le «Linee di indirizzo per l'accoglienza nei Servizi residenziali per minorenni» che si propongono come aggiornato strumento di orientamento politico e tecnico nel settore dell'accoglienza residenziale per i bambini e gli adolescenti ed hanno per oggetto le molteplici dimensioni dell'accoglienza residenziale nelle «comunità di tipo familiare» individuate dalla novellata legge n. 184 del 1983.
  Dette linee di indirizzo sono la risultante di un percorso avviato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali che, con decreto direttoriale n. 10 del 2015 ha istituito, con, un tavolo permanente di confronto sulle comunità per minori costituito da rappresentanti delle amministrazioni statali, regionali e comunali (Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Ministero della giustizia, Conferenza delle regioni e delle province autonome, Associazione nazionale comuni italiani, Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza), esperti del settore e rappresentanti dei principali coordinamenti di comunità per minori (Cnca, Cismai, Progetto famiglia, SOS Villaggi dei bambini, Cncm, Agevolando, Associazione Papa Giovanni XXIII) allo scopo di riflettere insieme sull'idoneità e sulla tipologia delle risposte da offrire a ciascun bisogno, con un metodo simile alle Linee di indirizzo sull'affidamento familiare.
  I destinatari delle «Linee d'indirizzo» sono le amministrazioni regionali per le specifiche competenze in materia, gli amministratori locali che hanno la responsabilità diretta dei minorenni allontanati dalla propria famiglia, gli operatori dei settori pubblici (sociale, sanità, scuola...) e del privato sociale (comunità). L'elaborazione delle «Linee di indirizzo» è stata costruita attraverso la raccolta e la condivisione dei saperi e delle esperienze svolte nei diversi territori, ed è finalizzata a indirizzare, qualificare e dare unitarietà agli interventi di accoglienza residenziale familiare e di tipo familiare realizzate in tutto il territorio nazionale. Le tre dimensioni su cui si fondano le Linee d'indirizzo sono: il significato e le implicazioni dell'accoglienza; l'accoglienza concepita come pluralità di percorsi possibili all'interno di una cornice unitaria e come necessaria risposta ai diritti dei «cittadini in crescita» che si trovano temporaneamente fuori dalla propria famiglia; la rappresentazione di un «sistema» integrato dell'accoglienza residenziale per i bambini e gli adolescenti (offerta di servizi diversificati in base alle esigenze).

  Quanto al quesito posto dall'interrogante in merito alle iniziative che il Governo intenda adottare, presso le strutture in questione, per assicurare figure professionali psico-educative qualificate, si segnala che le succitate linee di indirizzo, alla raccomandazione 412.2, prevedono che le amministrazioni regionali, nella definizione di requisiti e di standard per l'accreditamento, tengano conto della necessità di sostenere i diritti dei bambini accolti, in particolare di fornire agli operatori dei servizi residenziali una formazione e una supervisione adatte, in grado di comprendere lo sviluppo del minorenne, l'attaccamento, i suoi diritti e il suo benessere.
  Inoltre, la raccomandazione 424.2 prevede che l'organizzazione di un servizio residenziale richieda l'aggiornamento e la formazione permanente degli operatori ed una costante supervisione all'
équipe educativa. Tali requisiti organizzativi sono normati dalle amministrazioni regionali e declinati, eventualmente, in base alle peculiarità specifiche delle singole tipologie.
  In particolare, tutte le figure che operano nel Servizio residenziale per i minorenni, sia per attività interne che esterne, sono aggiornati dall'Ente gestore e partecipano a eventi formativi integrati con gli operatori pubblici.
  Gli educatori e i responsabili dei servizi residenziali per i minorenni devono assolvere gli obblighi di formazione e aggiornamento in misura non inferiore a quanto prescritto dai contratti collettivi nazionali di lavoro.
  Con riferimento specifico alla casa famiglia «A casa di Zoe» le ultime due ispezioni semestrali venivano eseguite in data 11 luglio 2019 e 23 marzo 2020, dalla stazione Carabinieri di Porto S. Giorgio, delegata dal Procuratore della Repubblica, in collaborazione con il Servizio igiene e sanità pubblica dell'Area vasta 4 dell'Asur Marche per la valutazione degli aspetti igienico-sanitari e con l'ausilio di personale del locale Consultorio e del servizio sociale del Comune, per la valutazione individuale dei minori.
  In occasione di tali ispezioni non emergevano criticità e per quel che concerne le condizioni psico-fisiche dei minori ospiti, accertate anche attraverso colloqui individuali con alcuni di loro, nell'ultimo controllo questi sono apparsi «sereni, raccontando delle attività che svolgono quotidianamente nella struttura comunitaria», come testualmente ha riferito nella sua ultima relazione l'assistente sociale di riferimento.
  Successivamente ricevuti dalla Procura della Repubblica di Fermo gli atti inerenti gli abusi ai danni dei minori, dopo immediati approfondimenti, in data 12 giugno 2020, attesi i gravissimi fatti di cui l'indagato era gravemente indiziato, venivano inoltrate le seguenti richieste da parte dell'autorità giudiziaria procedente:

   al sindaco del comune di Porto San Giorgio, richiesta di revoca dell'autorizzazione all'apertura della casa famiglia per minori A Casa di Zoe ai sensi dell'articolo 11, commi 1 e 3, della legge regionale n. 20 del 2002;

   al tribunale per i minorenni richiesta di immediato trasferimento di tutti i minori ivi collocati in altra idonea struttura, complementare alla suddetta istanza di revoca nelle more della conclusione del procedimento, informando circa le iniziative assunte, in un'ottica di collaborazione istituzionale, la Procura della Repubblica di Fermo, territorialmente competente, la regione Marche – Servizio politiche sociali, il Garante regionale dei diritti della persona della regione Marche, nonché l'ambito territoriale sociale XIX di Fermo.

  In data 16 giugno 2020 il comune di Porto S. Giorgio disponeva la revoca dell'autorizzazione rilasciata alla suddetta struttura di accoglienza decretandone di fatto la chiusura.
Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   GIANNONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   nei giudizi di separazione, di divorzio o di regolamentazione della separazione di una coppia di fatto, vi sono spesso situazioni critiche che riguardano l'affidamento dei figli minori. Il codice civile all'articolo 315-bis, riconosce il diritto del fanciullo – che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età inferiore se capace di discernimento – ad essere ascoltato in tutte le questioni che lo riguardano. L'articolo 336-bis, a sua volta, stabilisce che il minore è ascoltato dal presidente del tribunale o dal giudice delegato nell'ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano;

   la Convenzione di Strasburgo stabilisce nel combinato disposto degli articoli 3 e 6, il diritto del minore ad essere informato e di esprimere la propria opinione nei procedimenti che lo riguardano, imponendo all'autorità giudiziaria di permettere al minore di esprimere la propria opinione e tenerla in debito conto;

   la sua audizione è infatti utilissima, tanto sotto il profilo dell'affidamento è noto, ad esempio, il principio giurisprudenziale secondo il quale il rifiuto ostinato del figlio minore a frequentare un genitore legittimi l'affido esclusivo all'altro, in quanto rispondente all'interesse del minore stesso (cfr. Corte di cassazione 15 settembre 2011 n. 18867) - quanto, soprattutto, per la collocazione ed il regime di incontri con il genitore non collocatario;

   secondo quanto riportato dall'Agenzia Dire, un bambino di 9 anni, allontanato con la forza dalla madre, chiede da mesi di essere ascoltato e di tornare da lei;

   Davide, ha raccontato la mamma nell'intervista, ha vissuto molto male il distacco e il collocamento esclusivo presso il padre, scrivendo diverse lettere per chiedere aiuto;

   «Quel giovedì mi hanno portato via - scrive il bambino - erano tanti e mi hanno caricato in una macchina. Cara mamma ti voglio tanto bene»;

   la mamma, decaduta dalla responsabilità genitoriale solo perché accusata, ha spiegato insieme ai suoi avvocati, di essere «iperprotettiva», non vede il figlio da circa due anni;

   l'affidamento è stato dato al padre, uomo che, sostiene la madre su paeseroma.it, ha usato la violenza su di lei e sul minore stesso, causandogli in passato una corsa in ospedale con danni alla mano e un disagio psichico reattivo certificato dal pronto soccorso;

   una decisione contraddittoria, si legge, viste le risultanze peritali delle Consulenze Tecniche (CTU) che deponevano per un affido esclusivo materno –:

   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non intenda adottare tutte le iniziative di competenza per garantire che l'interesse del minore sia effettivamente realizzato in casi come quello richiamato in conformità alle più recenti pronunce giurisprudenziali.
(4-05979)

  Risposta. — L'interrogazione parlamentare in esame riporta la vicenda di un bambino di 9 anni che, collocato presso il padre, chiede di essere ascoltato e di tornare a vivere con la madre, decaduta dalla responsabilità genitoriale, la quale ha riferito che sia lei che il figlio avevano subito atti di violenza da parte del padre del bambino.
  L'interrogante chiede di sapere «se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non intenda adottare tutte le iniziative di competenza per garantire che l'interesse del minore sia effettivamente realizzato in casi come quello richiamato in conformità alle più recenti pronunce giurisprudenziali».
  Ciò premesso, preme in primo luogo osservare che, non essendo stato specificato presso quale ufficio giudiziario sarebbe stato adottato il provvedimento citato, non è stato possibile richiedere eventuali informazioni al riguardo; in ogni caso, la decisione di procedere all'ascolto del minore rientra tra le esclusive prerogative dell'autorità giudiziaria adita, che agisce, in tale ambito, in piena autonomia e indipendenza, senza alcuna possibilità di ingerenza da parte di questa direzione generale.
  In questa sede, quanto all'ascolto dei minori nei giudizi ove vengono adottati provvedimenti che li riguardano, può solo osservarsi che esso è previsto a livello internazionale dall'articolo 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 (ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176). In particolare, l'articolo 1 della Convenzione di New York stabilisce che per «fanciullo» «si deve intendere ogni essere umano avente un'età inferiore a 18 anni, salvo che abbia raggiunto prima la maturità in virtù della legislazione applicabile»; l'articolo 12 richiede agli Stati di garantire al fanciullo – capace di discernimento – il diritto di esprimere liberamente la propria opinione su ogni questione che lo interessa, e che la sua opinione sia presa in seria considerazione, tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità: a tal fine, viene riconosciuta al minore la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, conformemente alle regole di procedura delle legislazioni nazionali.
  Le indicazioni della Convenzione di New York sono state riprese e attuate negli articoli 3 e 6 della Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli, sottoscritta a Strasburgo il 25 gennaio 1996, di cui il Parlamento italiano ha autorizzato la ratifica con legge 20 marzo 2003 n. 77, ed entrata in vigore il 1° novembre 2003.
  La Convenzione di Strasburgo (articolo 6) impone all'autorità giudiziaria, prima di giungere a qualunque decisione nei procedimenti relativi a minori, di valutare se dispone di informazioni sufficienti al fine di prendere una decisione nell'interesse superiore del fanciullo e, se necessario, ottenere informazioni supplementari, in particolare da parte dei detentori della responsabilità genitoriale. Deve, inoltre, consultare il minore personalmente, se necessario in privato, direttamente o tramite altre persone od organi, con una forma adeguata alla sua maturità, a meno che ciò non sia manifestamente contrario agli interessi superiori del minore, nonché permettere al minore di esprimere la propria opinione, tenendo in debito conto l'opinione da lui espressa.
  L'ascolto del minore è previsto, altresì, nella Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori (ratificata con legge 15 gennaio 1994, n. 64), nella quale è disposto che, in presenza di una richiesta volta ad ottenere il ritorno di un minore illecitamente sottratto, il Tribunale decida sentito «se del caso» il minore medesimo. Anche la Convenzione dell'Aja del 29 maggio 1993 in materia di adozione internazionale (ratificata in Italia con legge n. 476 del 1998) ha previsto che le adozioni possano aver luogo soltanto se, tra l'altro, siano stati presi in considerazione i desideri e le opinioni del minore.
  La fonte europea più significativa in materia è il regolamento (CE) n. 2201/2003, cosiddetto regolamento Bruxelles II
bis, relativo alla competenza, al riconoscimento e alla esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000. Il regolamento n. 2201/2003 è vincolante dal 1° marzo 2005 per tutti gli Stati membri dell'Unione, ad eccezione della Danimarca, e sarà in vigore fino al 31 luglio 2022.
  Per quanto di interesse in questa sede, nel considerando 19 del regolamento si legge «l'audizione del minore è importante ai fini dell'applicazione del presente regolamento», ma, soprattutto, merita di essere ricordato l'ultimo considerando (33) che, evocando espressamente i diritti fondamentali e i principi contenuti nella Carta di Nizza, dispone: «Il presente regolamento riconosce i diritti fondamentali e osserva i principi sanciti in particolare dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. In particolare, mira a garantire il pieno rispetto dei diritti fondamentali del bambino quali riconosciuti dall'articolo 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea». L'articolo 24 della Carta prevede: «I minori hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione; questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità.».
  Nell'articolato del regolamento Bruxelles II
bis sono presenti riferimenti all'ascolto del minore nei seguenti articoli:

   11, paragrafo 2, che disciplina il ritorno del minore;

   23, lettera b), che disciplina i motivi di non riconoscimento delle decisioni relative alla responsabilità genitoriale;

   41, paragrafo 2, lettera c), che disciplina i requisiti per il rilascio del certificato che garantisce l'esecutività in diverso Stato Membro della decisione esecutiva emessa in altro stato membro con riferimento alle disposizioni relative al diritto di visita;

   42, paragrafo 2, lettera a), nell'articolo che disciplina i requisiti per il rilascio del certificato che garantisce l'esecutività in diverso Stato membro della decisione esecutiva emessa in altro Stato membro con riferimento a disposizioni relative al ritorno del minore illecitamente sottratto.

  Di recente è stata introdotta in ambito dell'Unione europea una norma in sede di revisione del regolamento cosiddetto Bruxelles II bis. Il nuovo regolamento (UE) 2019/1111 del Consiglio del 25 giugno 2019 relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale e alla sottrazione internazionale di minori (rifusione), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea L. 178 del 2 luglio 2019 (che si applicherà dal 1° agosto 2022), ha introdotto una nuova norma che così prevede: «Articolo 21. Diritto del minore di esprimere la propria opinione - 1. Nell'esercitare la competenza ai sensi della sezione 2 del presente capo, le autorità giurisdizionali degli Stati membri danno al minore capace di discernimento, conformemente al diritto e alle procedure nazionali, la possibilità concreta ed effettiva di esprimere la propria opinione, direttamente o tramite un rappresentante o un organismo appropriato. 2. Qualora decida, conformemente al diritto e alle procedure nazionali, di dare al minore la possibilità di esprimere la propria opinione ai sensi del presente articolo, l'autorità giurisdizionale tiene debito conto dell'opinione del minore in funzione della sua età e del suo grado di maturità».
  In ambito nazionale, l'ascolto del minore è oggi regolato dagli articoli 315-
bis, 336-bis e 337-octies c.c., introdotti dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219, e dal decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154.
  L'articolo 315
-bis, comma 3, codice civile riconosce espressamente il diritto del fanciullo – che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età inferiore se capace di discernimento – di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. L'articolo 336-bis del codice civile dispone che il minore sia ascoltato dal giudice nell'ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo interessano, salvo il caso in cui l'ascolto sia in contrasto con il suo interesse o manifestamente superfluo, e fermo restando l'obbligo di motivazione. L'audizione prevista da tale norma è condotta dal giudice, anche avvalendosi di esperti o di altri ausiliari: il giudice può autorizzare ad assistere all'ascolto i genitori, anche quando parti processuali del procedimento, i difensori delle parti, il curatore speciale del minore, se nominato, ed il pubblico ministero. Tutti questi soggetti possono proporre al giudice argomenti e temi di approfondimento prima dell'inizio dell'adempimento. Preliminarmente all'ascolto, il giudice informa il minore della natura del procedimento e degli effetti dell'audizione: dell'adempimento è redatto processo verbale nel quale ne è descritto il contegno, ovvero è effettuata registrazione audio/video.
  L'articolo 337-
octies, del codice civile ribadisce che, prima dell'emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti riguardo ai figli, il giudice ne dispone l'audizione. Qualora ne ravvisi l'opportunità, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, il giudice può rinviare l'adozione dei provvedimenti per consentire che i genitori, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell'interesse morale e materiale dei figli.
  Quando il minore ha una capacità di discernimento sufficiente, il giudice deve assicurarsi che egli abbia ricevuto tutte le informazioni pertinenti e, se il caso lo richiede, consultarlo personalmente, se necessario in privato, direttamente o tramite altre persone od organi, con una forma adeguata alla sua maturità, a meno che ciò non sia manifestamente contrario ai suoi interessi superiori, per consentirgli di esprimere la propria opinione e tenerla in debito conto.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   GIANNONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   nei giorni scorsi, sotto palazzo Montecitorio, è stato organizzato un sit in da un gruppo di madri per sensibilizzare autorità e istituzioni sugli allontanamenti ingiustificati dei minori dalle loro famiglie. Le donne hanno chiesto che vengano ascoltati i minori, così come previsto dalla legge, e che la loro opinione venga presa in debita considerazione;

   l'audizione del minore è infatti utilissima, tanto sotto il profilo dell'affidamento – è noto, ad esempio, il principio giurisprudenziale secondo il quale il rifiuto ostinato del figlio minore a frequentare un genitore legittimi l'affido esclusivo all'altro, in quanto rispondente all'interesse del minore stesso, (cfr. Corte di Cassazione 15 settembre 2011 n. 18867) – quanto, soprattutto, per la collocazione e il regime di incontri con il genitore non collocatario;

   diversi media erano presenti per intervistare le mamme, tra questi anche il Tg2 e Studio aperto. Quest'ultimo ha realizzato un servizio in cui emerge che il filo conduttore che lega la maggior parte delle vicende, spesso già oggetto di interpellanze e interrogazioni parlamentari, è rappresentato dalle consulenze tecniche dei tribunali che dispongono l'allontanamento dei bambini da casa, in piena discrezionalità, basandosi sulla tristemente famosa alienazione parentale; una volta chiamata Pas oggi definita anche disturbo relazionale, atteggiamento simbiotico, malevolo o troppo amorevole;

   in piazza, secondo quanto riportato da Dire, si è parlato, tra gli altri, del caso di Giada Giunti, mamma accusata di «simbiosi», dalla quale è stato allontanato il figlio 4 anni fa e che non vede da un anno. Sulla vicenda – ricorda l'articolo – il Ministro interrogato, ha già risposto all'interrogazione parlamentare presentata dall'interrogante con queste parole: «Il pieno diritto di ascolto del minore nel caso trattato sembrerebbe essere completamente trascurato ed anche la volontà di quest'ultimo»;

   insieme alla Giunti vi sono altre mamme, come Luana Valle e Laura Massaro, protagonista quest'ultima, di un procedimento conclusosi con un'importante pronuncia della Corte d'appello di Roma che ha stabilito, riprendendo le più recenti pronunce della Corte di Cassazione, che «la biogenitorialità, non è un principio astratto e normativo, ma è un valore posto nell'interesse del minore, che deve essere adeguato ai tempi e al benessere del minore stesso» –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali concrete iniziative di competenza intenda adottare affinché venga garantito il pieno ascolto del minore nei tribunali e il rispetto della volontà del minore stesso che, come previsto dalla legge, deve essere presa in debita considerazione;

   se intenda adottare iniziative normative affinché sia escluso il riconoscimento dell'alienazione parentale, concetto che, nonostante i cambiamenti di denominazione, rimane privo di validità e affidabilità scientifica e che pertanto non può considerarsi sufficiente ai fini della decisione di allontanare un genitore dal proprio figlio.
(4-06051)

  Risposta. — L'interrogante chiede di sapere se il Ministro della giustizia intenda adottare iniziative normative «affinché sia escluso il riconoscimento dell'alienazione parentale, concetto che, nonostante i cambiamenti di denominazione, rimane privo di validità e affidabilità scientifica e che pertanto non può considerarsi sufficiente ai fini della decisione di allontanare un genitore dal proprio figlio».
  L'interrogazione prende le mosse dal
sit-in organizzato nel mese di giugno 2020 da «un gruppo di madri» allo scopo di sensibilizzare autorità e istituzioni sugli «allontanamenti ingiustificati dei minori dalle loro famiglie».
  In tale occasione è stato sollecitato l'ascolto del minore, come previsto dalla legge, ed è stato chiesto che l'opinione in tale contesto espressa venga presa in «debita considerazione».
  Sempre nel corpo dell'interrogazione si fa presente inoltre che «il Tg2» ha realizzato un servizio «in cui emerge che il filo conduttore che lega la maggior parte delle vicende... è rappresentato dalle consulenze tecniche dei tribunali che dispongono l'allontanamento dei bambini da casa, in piena discrezionalità, basandosi sulla tristemente famosa alienazione parentale» definita anche disturbo relazionale, atteggiamento simbiotico, malevolo o troppo amorevole.
  Vengono infine sommariamente illustrati specifici casi nei quali sarebbe stato determinante, nell'orientare la decisione di allontanamento del minore, il suo mancato ascolto da parte del giudice.
  Tanto premesso, vertendosi di procedure giudiziarie in corso, o di potenziali instaurande, deve specificarsi come gli atti rogatori non possano tradursi in forme d'ingerenza con l'esercizio della funzione giurisdizionale e con l'applicazione, nel caso controverso, di un determinato quadro normativo, operando in tali ambiti l'autorità giudiziaria in piena autonomia e indipendenza.
  Ferma l'intangibilità delle scelte processuali e di merito dell'autorità giudicante, in mera ottica collaborativa – avuto riguardo all'istituto dell'«ascolto del minore nei tribunali» menzionato nell'interrogazione in oggetto – si rammenta come la legge 10 dicembre 2012, n. 219 abbia inserito nel codice civile il nuovo articolo 315-
bis ai sensi del cui comma III, «il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano».
  Tale diritto, da ritenersi enucleato quale riflesso del dovere dell'autorità giudiziaria di ascoltare il minore, trovava già riconoscimento, fra l'altro, nei procedimenti di separazione, divorzio, annullamento del matrimonio ed inerenti la prole nata fuori dal matrimonio (ai sensi del combinato disposto degli articoli 155-
sexies del codice civile e 4 comma 2, legge n. 54 del 2006) nonché in quelli volti ad ottenere il consenso mancante dell'altro genitore al riconoscimento (articolo 2050 comma 4 del codice civile) ed in altri procedimenti/questioni concernenti i minori; d'altro canto, la Convenzione di New York del 1989 all'articolo 12 ha sancito il diritto del fanciullo capace di discernimento di esprimere la sua opinione su qualsiasi questione che lo interessi, dandogli la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerna (vedi comma 2 dell'articolo 12, «in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale»), e analogamente l'articolo 6 della legge n. 77 del 20 marzo 2003 (di «ratifica ed esecuzione della Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996»), dispone che nei procedimenti riguardanti un minore l'autorità giudiziaria, prima di giungere a qualunque decisione, deve:

   a) esaminare se dispone di informazioni sufficienti al fine di prendere una decisione nell'interesse superiore del minore e, se necessario, ottenere informazioni supplementari, in particolare da parte dei detentori delle responsabilità genitoriali;

   b) quando il diritto interno ritiene che il minore abbia una capacità di discernimento sufficiente: assicurarsi che il minore abbia ricevuto tutte le informazioni pertinenti, nei casi che lo richiedono, consultare il minore personalmente, se necessario in privato, direttamente o tramite altre persone od organi, con una forma adeguata alla sua maturità, a meno che ciò non sia manifestamente contrario agli interessi superiori del minore, permettere al minore di esprimere la propria opinione;

   c) tenere in debito conto l'opinione da lui espressa.

  Sulla falsariga della normativa nazionale e sovranazionale in tema di audizione del minore, la Suprema Corte è addivenuta all'indirizzo che l'istituto in esame integri un adempimento necessario, nelle procedure giudiziarie riguardanti i minori, in particolare in quelle relative al loro affidamento ai genitori, ai sensi dell'articolo 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996 e dell'articolo 155-sexies, del codice civile, introdotto dalla legge n. 54 del 2006, salvo che l'ascolto possa porsi in contrasto con gli interessi superiori dell'interessato (così da Cass. Civ. S.U., 21 ottobre 2009, n. 22238; conformi: C. civ. 16 giugno 2011, n. 13241; C. civ. 11 agosto 2011, n. 17201). Fermi gli enucleati principi, il diritto all'audizione non risponde dunque ad un diritto assoluto del minore, da escludersi laddove l'ascolto sia inutile o non riscontri comunque il superiore interesse del fanciullo; cosicché, sia pure con adeguata motivazione, il giudice può soprassedere su tale incombente processuale laddove lo ritenga manifestamente superfluo o contrastante col relativo equilibrio psico-fisico (arg. da Cass. Civ. 18538/13, Cass. Civ. 19327/2015; con analoga ratio Cass. Civ. 3540/14, Trib. Milano sentenza 30 aprile 2013).
  Sotto altro profilo, il codice di procedura, civile disciplina l'attività del consulente tecnico nella sezione III del Libro I, agli articoli 191 e seguenti.
  Non sono state adottate norme che abbiano specificamente ad oggetto le indagini peritali disposte dal giudice nell'ambito di procedimenti che hanno ad oggetto l'affidamento di un minore, e che in tale ambito verifichino la capacità genitoriale del padre o della madre o di entrambi.
  Secondo giurisprudenza ormai consolidata, la consulenza tecnica non è un mezzo di prova, ma è un mezzo di valutazione delle prove offerte dalle parti, con il quale il giudice acquisisce, ove necessario, il parere di professionisti dotati di particolari competenze tecniche senza, tuttavia, essere vincolato al parere così espresso (si veda, tra le molte, Cass. Civ. sez. VI – 3 del 7 giugno 2019, n. 15521).
  La giurisprudenza distingue, inoltre, tra consulenza tecnica d'ufficio «percipiente», con la quale il giudice può affidare al consulente fatti accertati o dati per esistenti, e consulenza d'ufficio «deducente» con la quale il giudice può affidare al consulente il compito di accertare determinati fatti, purché si tratti di fatti che possono essere rilevati esclusivamente con il ricorso a determinate cognizioni tecniche.
  In tale ipotesi la consulenza (deducente) può fungere da strumento di accertamento di questo genere di fatti, ferma restando tuttavia la discrezionalità del giudice nella valutazione delle prove ai fini della decisione (v. Cass. Civ. Sez. III, ordinanza 15747, depositata il 15 giugno 2018).
  L'articolo 196 del codice di procedura civile consente inoltre al giudice, se ricorrono «gravi motivi», di rinnovare le indagini peritali e sostituire il consulente tecnico inizialmente nominato (cosa che sembra sia accaduto nella causa indicata dall'interrogante).
  È garantito alle parti del processo il diritto di partecipare alle indagini peritali facendosi assistere da propri consulenti, come dispone l'articolo 194, comma secondo il codice di procedura civile.
  Vige infine il principio del libero convincimento del giudice nella valutazione delle prove offerte dalle parti, ivi compresi i pareri tecnici resi dal consulente d'ufficio, come stabilito in generale dall'articolo 116 del codice di procedura civile a mente del quale «il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti», e può desumere argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno quando rispondono all'interrogatorio non formale (articolo 117 del codice di procedura civile), così come dal rifiuto ingiustificato di consentire le ispezioni ordinate dal giudice stesso, e in generale, dal «contegno delle parti stesse nel processo».
  Si deve pertanto escludere che l'inserimento o il mancato inserimento di una determinata patologia psichica nel novero dei disturbi «riconosciuti» dalla comunità scientifica di riferimento costituisca di per sé elemento idoneo a influenzare l'esito di una controversia, anche qualora tale accertamento sia oggetto di una consulenza «deducente».
  L'eventuale diagnosi, nel corso di una consulenza d'ufficio, di patologie psichiatriche, anche di quelle sulla cui effettiva identificabilità vi è dibattito scientifico, lascia infatti impregiudicata la facoltà del giudice di discostarsi motivatamente dalle conclusioni del Ctu sia in base al proprio «prudente apprezzamento», sia in base alle controdeduzioni svolte dalle parti attraverso i propri consulenti, oltre che in base alla complessiva valutazione delle prove.
  Secondo la giurisprudenza di legittimità, la capacità genitoriale deve essere valutata partendo da dati di fatto concreti e oggettivi (Cass. 7041/2013).
  L'affidamento del minore, inoltre, deve essere ispirato al suo diritto alla bigenitorialità (v. Cassazione civile sez. I, 19 maggio 2020, n. 9143) così come la necessità di operare, in sede di verifica della capacità genitoriale, accertamenti multifattoriali, escludendo quindi che i giudici di merito possano dare esclusivo rilievo alla pur accertata esistenza di problemi psichici o psicologici del genitore (Cassazione civile sez. I, 18 ottobre 2018, n. 26293).
  La cosiddetta sindrome da alienazione parentale non risulta essere ufficialmente riconosciuta come patologia psichica né in generale, né come patologia specificamente rilevante nei procedimenti di affido o collocamento del minore, né vi è evidenza, nella giurisprudenza di legittimità, di un riconoscimento – di fatto – di tale sindrome, né di un orientamento interpretativo che favorisce una valutazione «monofattoriale» della capacità genitoriale limitata alla valutazione di eventuali disturbi psichici o psicologici.
  Quanto al diritto del minore di essere sentito dal giudice nel corso di qualsiasi procedimento finalizzato ad adottare decisioni che lo riguardano, si evidenzia che tale diritto è previsto, per i minori che abbiano compiuto 12 anni, ma anche per i minori di età inferiore, purché abbiano capacità «di discernimento» dagli articoli 315-
bis, comma 3, 336-bis, comma 1, e 337-octies del codice civile, introdotti con legge n. 219 del 2012 e con decreto legislativo n. 154 del 2013.
  Lo stesso diritto è previsto, in identici termini, nell'ambito dei procedimenti di adozione, dall'articolo 15, legge n. 184 del 1983.
  Nessuna delle norme citate contiene, invece, un obbligo a carico del giudice di accogliere le eventuali preferenze espresse nel corso dell'ascolto.
  Inoltre, secondo Cass. Sez. I, n. 12018/2019 «L'audizione dei minori, già prevista nell'articolo n. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, è divenuta un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie che lì riguardino ed, in particolare, in quelle relative al loro affidamento ai genitori, ai sensi dell'articolo 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata con la legge n. 77 del 2003, nonché dell'articolo 315-
bis c.c. (introdotto dalla l. n. 219 del 2012) e degli articoli 336-bis e 337-octies c.c. (inseriti dal decreto legislativo n. 154 del 2013, che ha altresì abrogato l'articolo 155-sexies del codice civile). Ne consegue che l'ascolto del minore di almeno dodici anni, e anche di età minore ove capace di discernimento, costituisce una modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano, nonché elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse.».
  La decisione che riguarda l'affido del minore ed eventualmente l'opportunità di mantenere rapporti con la famiglia di origine, deve del resto essere assunta dal giudice operando una valutazione multifattoriale degli elementi rilevanti (v. ad esempio Cass. Sez. I, 4 novembre 2019, n. 28257), con necessario bilanciamento dei contrapposti interessi alla luce del superiore interesse del fanciullo.
  Quindi che questa complessa ponderazione difficilmente potrebbe essere svolta in modo adeguato qualora venissero introdotte, con legge, significative limitazioni a carico dell'organo giudicante, ad esempio mediante attribuzione di assoluta prevalenza a uno solo dei numerosi fattori potenzialmente rilevanti.
  Tanto esposto con riferimento all'assetto normativo vigente, allo stato, non sono allo studio del Ministero ulteriori atti di iniziativa legislativa nella materia indicata dall'interrogante.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   LAPIA e SCANU. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   con pubblicazione in Gazzetta Ufficiale – Serie Concorsi n. 17 del 27 febbraio 2018, è stato bandito un concorso per 1.220 allievi agenti di polizia penitenziaria, aperto anche ai civili; i posti sono stati così ripartiti: 366 aperti ai cittadini italiani in possesso dei requisiti previsti da bando (276 uomini e 90 donne), 598 posti riservati ai VFP1 in servizio da almeno 6 mesi o in rafferma e 256 posti riservati ai VFP1 in congedo e ai VFP4;

   le graduatorie definitive, a seguito del completamento della procedura concorsuale, sono state pubblicate nel gennaio del 2019;

   il 24 giugno 2020 è stata approvata, con decreto ministeriale, la relazione sulla performance 2019: da questa si evince – alla Tabella 5 della nota del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria allegata al documento pubblicato sul sito del Ministero – che per il personale dell'amministrazione penitenziaria, comparto sicurezza, vi sarebbe una previsione di dotazione dell'organico pari a 40.975 unità;

   tuttavia, ad oggi, risultano presenti 36.009 unità, determinando di fatto uno scostamento (rispetto alle previsioni di cui in premessa) pari a 4.966 agenti di polizia penitenziaria;

   è ragionevole pensare, come più volte segnalato anche dai sindacati di polizia penitenziaria, che risultino fondate le preoccupazioni collegate alla mancanza di sufficienti agenti del comparto sicurezza, in grado di assicurare alle carceri presenti sul territorio italiano il rispetto dei livelli minimi di sicurezza; basti pensare a quanto avvenuto durante i giorni del mese di marzo 2020 durante i quali, in 23 istituti da Nord a Sud, si sono verificate sommosse da parte della popolazione detenuta nelle strutture carcerarie: il problema è in parte stato causato, senza alcun dubbio, dalla scarsità di agenti penitenziari e dalla incapacità, tenuto conto della inconsistenza numerica del personale, di fronteggiare tali eventi critici (che sovente si manifestano quotidianamente), i quali hanno determinato l'evasione di molti detenuti ed il ferimento di diversi agenti –:

   se il Ministro interrogato intenda assumere le iniziative di competenza, al fine di procedere con nuove assunzioni di agenti penitenziari, attingendo alle graduatorie tuttora vigenti come riportato in premessa, posto che ciò di fatto assicurerebbe, almeno in parte, una riduzione della carenza di personale negli istituti carcerari italiani e l'innalzamento dei livelli minimi di sicurezza.
(4-06229)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame gli interroganti, partendo dalla pubblicazione, nel febbraio 2018, del bando di concorso a 1.220 allievi agenti penitenziari, evidenziano la problematica dell'organico della polizia penitenziaria, incidente altresì, in generale, sulla sicurezza ove si abbia riguardo, a titolo di esempio, ai noti e gravi fatti di sommosse nelle carceri occorse nel mese di marzo 2020, sollevando quesito sulle iniziative che si intendano perciò assumere.
  Orbene, va premesso come sia indubbio che l'opera della polizia penitenziaria sia di primaria importanza, per la sicurezza interna così come per quella esterna, di cui costituiscono primo baluardo, così come va dato atto dell'alto contributo fornisce nell'attività di rieducazione e reinserimento dei condannati nel consorzio sociale.
  Il Ministero, pertanto, pone forte attenzione alle esigenze di garantire un efficace
turn over del personale, risultando indubbie le criticità evidenziate e derivanti da organici ridotti o comunque fortemente limitati.
  Orbene, si rappresenta che la riduzione complessiva degli organici operata dalla cosiddetta legge Madia e rivista dal successivo intervento normativo ha rimodulato la dotazione complessiva del corpo della polizia penitenziaria, passata da 44.610 unità a 41.202 unità, da ultimo implementata a 41.667 unità.
  Ciò precisato e premesso, con riferimento al ruolo dei sovrintendenti, si rappresenta che, sono già state attivate le procedure per il concorso interno a complessivi n. 2.851 posti per la nomina alla qualifica iniziale di vice sovrintendente del ruolo «maschile e femminile» del Corpo, in ossequio a quanto disposto dal decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 95, in materia di «Revisione dei Ruoli delle Forze di Polizia».
  Si segnala altresì la prossima indizione di un concorso interno per l'accesso alla qualifica iniziale del ruolo degli «Ispettori» del corpo, le cui modalità attuative sono già state fissate con il provvedimento del Capo del Dipartimento del 27 gennaio 2020, di recente vistato dalla Corte dei conti.
  Quanto alla indicata possibilità di attingere alle graduatorie del concorso a complessivi 1.220 posti di allievo agente del corpo di polizia penitenziaria indetto a suo tempo con provvedimento del direttore generale 15 gennaio 2018, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale – 4a Serie speciale – concorsi ed esami 27 febbraio 2018, n. 17, si rappresenta che le relative graduatorie sono state già esaurite con l'assunzione straordinaria prevista dall'articolo 1, commi 382 e 383, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 che ha autorizzato l'assunzione di 1.300 unità di polizia penitenziaria proprio mediante scorrimento delle graduatorie vigenti, attingendo in via prioritaria a quelle approvate nell'anno 2017 e, per i posti residui, in parti uguali, a quelle approvate nell'anno 2018, ivi comprese quelle richiamate dagli interroganti.
  All'esito dei corsi di formazione avviati a giugno e a settembre 2019, sono stati immessi in servizio (rispettivamente nel mese di marzo e maggio 2020), complessivamente 1.126 agenti di polizia penitenziaria.
  Ancora, per garantire utile
turn over, già nel febbraio 2019 è stato indetto il concorso a complessivi 754 posti di allievo agente del corpo di polizia penitenziaria maschile e femminile, successivamente elevati a 938.
  Tale procedura, celermente attivata, e quasi giunta al termine, è stata purtroppo sospesa e rinviata a data da destinarsi in considerazione della situazione di emergenza determinata dalla diffusione del contagio da COVID-19.
  Attualmente, come espressamente previsto dalla normativa emergenziale, la procedura potrà riprendere esclusivamente nel rispetto delle prescrizioni tecniche idonee a garantire la tutela della salute dei candidati da determinarsi con decreto del Ministro della salute, su proposta dei Ministri dell'interno, della difesa, dell'economia e delle finanze e della giustizia, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione; decreto interministeriale in lavorazione e predisposto sulla base del documento tecnico prodotto da tavolo di lavoro interforze.
  A conclusione della procedura i vincitori saranno chiamati a frequentare il prescritto corso di formazione entro il mese di dicembre.
  Non solo, l'Amministrazione procederà a bandire un nuovo concorso agenti a valere sulle cessazioni (
turnover) anno 2019 e sulle assunzioni straordinarie autorizzate ai sensi dell'articolo 1, comma 236, lettera c), della legge n. 205 del 2017 (n. 236 unità) e articolo 1, comma 381, lettera b), della legge n. 145 del 2018 (n. 277 unità), per complessive circa 1.600 unità.
Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   LONGO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   nel mese di febbraio 2019 si è svolto il concorso relativo al reclutamento di 754 allievi agenti di polizia penitenziaria;

   a seguito dell'emergenza sanitaria in corso le procedure concorsuali risultano ancora sospese e molti candidati sono in attesa delle visite di seconda istanza;

   indire un nuovo bando di concorso significherebbe determinare ulteriori aggravi in termini monetari per le casse statali e un prolungamento dei tempi per le assunzioni nel Corpo di polizia penitenziaria;

   l'epidemia da COVID-19 ha evidenziato tutte le criticità degli istituti penitenziari italiani: evasioni, risse, devastazione di mobilio, situazione legata al sovraffollamento penitenziario e alla carenza di agenti penitenziari;

   infatti, a quanto risulta, il divario tra organico previsto e organico in forza nella polizia penitenziaria sarebbe di circa il 20 per cento, mentre il rapporto tra detenuti e agenti sarebbe di circa l'1,67 per cento;

   la problematica della carenza di personale potrebbe essere superata, seppure parzialmente, adoperando lo scorrimento delle graduatorie delle procedure concorsuali ancora attive –:

   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere affinché venga accolta la richiesta dello scorrimento della graduatoria sopraindicata.
(4-05880)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante premette le problematiche derivanti dalla carenza dell'organico della polizia penitenziaria, trattando poi del concorso a 754 posti di allievo agente, ancora in corso, e sollevando quesito sulla possibilità di alleviare il problema delle scoperture a mezzo dello scorrimento delle graduatorie inerenti procedure concorsuali ancora attive.
  Orbene, come più volte ribadito, è indubbio che l'opera della polizia penitenziaria sia di primaria importanza, per la sicurezza interna così come per quella esterna, di cui costituiscono primo baluardo, ma altresì per l'alto contributo che forniscono nell'attività di rieducazione e reinserimento dei condannati nel consorzio sociale.
  Il Ministero, pertanto, pone forte attenzione alle esigenze di garantire un efficace
turn over del personale, risultando indubbie le criticità evidenziate e derivanti da organici ridotti o comunque fortemente limitati.
  Ciò premesso, mi pregio riferire che è in via di conclusione il concorso pubblico per il reclutamento di complessivi n. 754 posti di allievo agente del corpo di polizia penitenziaria, la cui assunzione avverrà entro il mese di dicembre 2020.
  Peraltro, ai sensi dell'articolo 259-
bis del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, recante «Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da Covid-19», convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, è stata altresì prevista l'assunzione di 650 allievi agenti del corpo di polizia penitenziaria (488 uomini e 162 donne), in via prioritaria, mediante scorrimento della graduatoria degli idonei del concorso pubblico a 302 posti, elevati a 376, di allievo agente del corpo di polizia penitenziaria maschile e femminile, indetto con p.d.g 11 febbraio 2019, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4a serie speciale, n. 18, del 5 marzo 2019, e, per la parte residua, mediante scorrimento della graduatoria della prova scritta del medesimo concorso.
  Quanto sopra contribuirà certamente ad alleviare le difficoltà inerenti le carenze di organico evidenziate.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   LUCASELLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   lo stato rovinoso in cui da mesi versano le risorse universitarie e legate ai saperi, alle scienze, alla scuola e ai patrimoni culturali sta procurando danni incalcolabili ed è sconcertante che tutto questo continui a restare fuori dall'attenzione delle istituzioni;

   da mesi soltanto on line è stato possibile organizzare momenti di confronto scientifico, di studio, di ricerca; il comparto musicale, a partire da quello concertistico, è stato interamente scompaginato e il teatro e l'opera rischiano addirittura di estinguersi;

   tale situazione ha duramente colpito anche i centri di cultura e di arte italiana per stranieri che offrono corsi di studi all'estero e percorsi di laurea e master accreditati dal sistema educativo straniero, ospitando circa 3.000 studenti l'anno provenienti da tutto il mondo, in particolare dagli Stati Uniti, come nel caso l'Istituto Lorenzo de’ Medici a Firenze;

   il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha confermato che i cittadini stranieri di specifici Paesi extra Schengen, tra cui l'America, appunto, per motivi di studio possono entrare in Italia previo obbligo di quarantena all'arrivo e molti istituti, per agevolare l'opportunità di studio, hanno modificato il programma didattico sotto i 90 giorni, periodo che non richiede il visto di studio;

   ad oggi, però, non è chiaro se per gli studenti provenienti dai Paesi non comunitari sia sufficiente esibire il certificato di iscrizione a suddetti centri di cultura per comprovare lo status di studente in Italia; né i consolati italiani all'estero hanno ricevuto disposizioni in merito al rilascio dei visti di studio;

   tale situazione di incertezza sta determinando una grave paralisi del comparto con pesanti ricadute economiche strutturali, che rischiano di travolgere tutto l'indotto, e soprattutto di immagine a livello internazionale –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, accertata la fondatezza degli stessi, quali urgenti iniziative di competenza intenda adottare per favorire il ritorno degli studenti stranieri in Italia, anche in vista dell'inizio dei prossimi corsi che partiranno a settembre.
(4-06507)

  Risposta. — A seguito della raccomandazione approvata il 30 giugno 2020 in sede di Unione europea e dell'adozione, lo stesso giorno, dell'ordinanza del Ministro della salute che, all'articolo 1, consente gli spostamenti dai Paesi extra-Unione europea verso l'Italia anche per comprovate ragioni di studio, a partire dal primo luglio le rappresentanze diplomatico-consolari hanno ripreso la trattazione e il rilascio dei visti studio, compatibilmente con l'operatività degli uffici all'estero, anche in ottemperanza alle misure prese dalle autorità dei Paesi di accreditamento.
  Inoltre, il 16 giugno 2020 è stata emanata la circolare del Ministero dell'università e della ricerca contenente le procedure per l'ingresso e il soggiorno sul territorio nazionale degli studenti stranieri che intendono immatricolarsi presso le istituzioni italiane della formazione superiore. Tra le principali novità introdotte vi è la nuova procedura di pre-iscrizione universitaria
on line tramite il portale Universitaly, che ha l'obiettivo di facilitare l'accesso degli studenti stranieri all'offerta formativa nazionale. Il portale informatico Universitaly, sviluppato dal Ministero dell'università e della ricerca in collaborazione con Cineca, e sulla cui implementazione è fortemente impegnata la nostra rete diplomatico-consolare, consente allo studente di presentare domanda di pre-iscrizione universitaria direttamente online (completando la domanda con i propri dati anagrafici e caricando i titoli di studio a supporto della propria candidatura). L'ateneo, una volta validata la candidatura dello studente, procede all'inoltro della domanda dello studente alla rappresentanza diplomatico-consolare competente per l'emissione del visto.
  Le procedure sono subordinate alle attuali e future disposizioni emergenziali del Governo italiano e dell'Unione europea in materia di prevenzione e contenimento dell'epidemia del virus COVID-19. Quindi, la mobilità fisica degli studenti internazionali verso l'Italia potrebbe essere sostituita, se necessario, con attività didattiche a distanza.
  Per quanto riguarda gli ingressi degli studenti internazionali, i cittadini stranieri muniti di visto per studio, di breve soggiorno (visto C) o di lungo soggiorno (visto D) potranno essere ammessi sul territorio nazionale in virtù della specifica autorizzazione ottenuta, salvo il rispetto delle disposizioni in tema di isolamento fiduciario obbligatorio per chi provenga da determinati Paesi.
  Gli studenti stranieri esenti da obbligo di visto per i soggiorni di breve durata (fino a 90 giorni), potranno invece essere ammessi sul territorio nazionale se muniti della documentazione, da produrre in frontiera, a supporto della propria condizione di studente e a dimostrazione che lo scopo del viaggio è la frequenza di un corso di studio.
  Per quanto riguarda il caso dell'istituto Lorenzo de’ Medici di Firenze, citato dall'interrogante, le problematiche esposte devono essere lette nel più ampio quadro delle difficoltà di accesso degli studenti internazionali al nostro sistema di formazione superiore. Il quadro è stato aggravato dalla crisi legata al COVID-19. Si tratta di un problema particolarmente sentito per gli studenti nordamericani per le tante filiazioni di Università nordamericane nel nostro Paese, specialmente diffuse in città quali Roma e Firenze.
  L'Istituto Lorenzo de’ Medici di Firenze, che da quasi cinquant'anni offre oltre 500 corsi a circa 3.000 studenti provenienti da tutto il mondo, è anche parte del circuito di Eduitalia, associazione che riunisce più di 100 tra università e istituti di formazione – pubblici e privati – che accolgono studenti esteri in Italia.
  La Farnesina è entrata più volte in contatto con l'
«Association of American Colleges and University Programs in Italy» per avviare un confronto sui requisiti amministrativi – in primo luogo sulla necessità di ottenere il permesso di soggiorno per periodi di studio superiore ai 90 giorni – richiesti per l'ingresso nel nostro Paese degli studenti statunitensi.
  Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale continuerà a perseguire – in contatto con gli altri dicasteri competenti per materia, in particolare Ministero dell'università e della ricerca e Ministero dell'interno – l'azione volta a rafforzare il potenziale di attrazione internazionale del nostro sistema di formazione superiore, ed in questo ambito debita attenzione verrà posta al periodico aggiornamento della circolare relativa alle immatricolazioni degli studenti stranieri.
  

La Viceministra degli affari esteri e della cooperazione internazionale: Marina Sereni.


   MARCHETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto riportato dalla stampa si apprende che a Cartoceto, in provincia di Pesaro Urbino, sette immigrati di nazionalità tunisina avrebbero violato la quarantena e sarebbero riusciti a fuggire dal centro di accoglienza nel quale erano stati trasferiti per il prescritto periodo di isolamento;

   i sette tunisini, al momento, non risultano essere stati ancora rintracciati e probabilmente si starebbero dirigendo al confine con la Francia;

   sempre secondo quanto si apprende dai quotidiani, per i sette migranti non si è venuti a conoscenza dell'esito del tampone, prima della fuga;

   la notizia del loro trasferimento aveva già suscitato enormi perplessità essendo note da tempo le difficoltà gestionali dell'associazione che dirige il centro, «Incontri per la democrazia», e le carenze strutturali dell'edificio, inadatto per garantire la prescritta quarantena in condizioni di sicurezza, privo delle opportune misure di sorveglianza e completamente isolato dal resto del contesto urbano;

   difatti, come anche dichiarato alla stampa dalla responsabile dell'associazione, le uniche misure di sicurezza adottate per scongiurare eventuali allontanamenti sarebbero stati le consulenze di un mediatore culturale e di una psicologa per «convincere» gli immigrati a non fuggire e a rispettare la prescritta quarantena;

   la fuga dei sette tunisini ha suscitato grande preoccupazione ma anche le legittime proteste dell'amministrazione locale per i rischi già noti a cui, con tale trasferimento, è stata comunque esposta la cittadinanza;

   sebbene di tali criticità sia stato dettagliatamente informato anche il prefetto dal sindaco di Cartoceto, Enrico Rossi, e nonostante l'evidente inadeguatezza della struttura anche per la promiscuità tra soggetti adulti di sesso maschile e donne con bambini, risulta sempre dalla stampa che nel medesimo centro di accoglienza sono stati collocati altri otto immigrati, di cui appunto tre donne con figli minori;

   ad oggi la struttura risulta ancora priva di adeguati sistemi di sicurezza per scongiurare il pericolo di ulteriori fughe durante la quarantena, considerato anche che l'amministrazione comunale si trova in carenza di organico circa il numero di agenti di polizia locale ad oggi in dotazione, del 50 per cento in meno rispetto alle reali necessità del territorio e quindi insufficienti a piantonare la struttura;

   quanto accaduto è di assoluta gravità, poiché con tali trasferimenti non solo si sta mettendo a rischio l'incolumità e la salute della cittadinanza ma altresì si stanno vanificando gli enormi sacrifici fatti in questi mesi dagli italiani per limitare il contagio da Covid-19 –:

   se sia a conoscenza di quanto accaduto nel centro di accoglienza di Cartoceto e quali siano le ragioni per cui sia stato deciso il trasferimento al suo interno prima di sette immigrati tunisini per il periodo di quarantena, poi di altri otto migranti tra cui madri con bambini, nonostante le già note criticità della struttura e le difficoltà gestionali dell'associazione che lo amministra;

   alla luce di quanto riportato in premessa e degli evidenti e ancora attuali rischi di fuga dallo stesso centro, se non ritenga opportuno procedere alla sua immediata chiusura e al trasferimento degli immigrati al momento accolti al suo interno in altre strutture più idonee e sicure.
(4-06477)

  Risposta. — Con riferimento alla problematica evidenziata nell'atto di sindacato ispettivo indicato in esame, si rappresenta che la prefettura di Pesaro e Urbino nell'imminenza dell'arrivo di un gruppo di 7 migranti sbarcati il giorno precedente a Porto Empedocle (Agrigento), ha preso contatti con l'ente gestore dei servizi di accoglienza, con le forze dell'ordine e con le autorità sanitarie.
  I migranti, tutti di nazionalità tunisina, maggiorenni e di sesso maschile, erano già stati sottoposti al test sierologico, risultando negativi.
  La prassi operativa prevista dalla citata prefettura, in simili circostanze, include l'immediata segnalazione dei nuovi arrivi all'autorità sanitaria; contestualmente, anche l'ente gestore comunica a quest'ultima, per gli accertamenti previsti dalla normativa anti-COVID, i nominativi dei migranti, che vengono comunque messi in isolamento fiduciario per il previsto periodo di 14 giorni anche in caso di risultato negativo della verifica medica.
  Al fine di individuare le più idonee strategie di gestione dell'evento, inoltre, prima dell'arrivo dei migranti la prefettura convoca un apposito tavolo tecnico tra tutti i soggetti coinvolti nell'accoglienza, comprese le forze di polizia. Nel caso in questione il tavolo tecnico si è tenuto nella giornata del 14 luglio 2020.
  In tale sede, veniva individuato il Centro di accoglienza straordinaria di Cartoceto (Pesaro Urbino) quale struttura idonea ad ospitare i migranti in questione; per essa l'ente gestore garantiva la sorveglianza per l'intera giornata attraverso l'implementazione della presenza di propri operatori all'interno del centro. La vigilanza è stata integrata anche con frequenti passaggi, effettuati in diverse fasce orarie, del personale dell'Arma dei carabinieri.
  Il sindaco del comune di Cartoceto, regolarmente informato dalla prefettura, ha inoltre manifestato piena collaborazione mettendo a disposizione, ai fini di una congiunta attività di sorveglianza in ausilio alle forze di polizia, il supporto della polizia locale nella sorveglianza per fasce orarie.
  Tuttavia, in data 18 luglio 2020, l'ente gestore ha comunicato l'avvenuta elusione della sorveglianza da parte di tre dei sette tunisini sopra citati, che hanno abbandonato la struttura di Cartoceto. Parimenti, il giorno dopo riusciva ad allontanarsi anche un quarto migrante.
  In data 21 luglio 2020 sono stati comunicati gli esiti, tutti negativi, dei tamponi effettuati sul tre tunisini rimasti ancora in isolamento nel centro, dal quale gli stessi si sono poi allontanati il giorno stesso.
  Per completezza d'informazione, si comunica che, a decorrere dal 31 luglio 2020, presso lo stesso centro di Cartoceto sono stati accolti ulteriori otto cittadini tunisini, di cui tre donne, ognuna con un minore al seguito, e due diciassettenni non accompagnati. Tutti sono stati immediatamente sottoposti a tampone con esito negativo.
  Si rappresenta infine che, a seguito dei fatti evidenziati nell'atto di sindacato ispettivo, la prefettura di Pesaro e Urbino ha provveduto a richiamare l'ente gestore dei centri di prima accoglienza della provincia affinché venisse garantito un adeguato e attento monitoraggio delle condotte assunte dagli ospiti delle strutture adibite a quarantena ed isolamento domiciliare. Sono state, inoltre, avviate approfondite ispezioni presso le predette strutture di accoglienza a cura del gruppo interforze coordinato dalla prefettura, all'esito delle quali, preso atto di talune difformità rispetto agli obblighi convenzionalmente stabiliti nei contratto di affidamento, sono state mosse puntuali contestazioni e raccomandazioni all'ente gestore per una rigorosa esecuzione delle prescrizioni contrattuali.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Achille Variati.


   MELICCHIO e NESCI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   con deliberazione n. 21 del 26 giugno 2020, pubblicata nel Bollettino ufficiale della regione Calabria n. 65 del 30 giugno 2020, l'ufficio di presidenza del consiglio regionale della Calabria ha conferito l'incarico ad interim di segretario/direttore generale all'avvocato Maria Stefania Lauria, già dirigente del settore segreteria e assemblea del consiglio regionale;

   la durata dell'interim, secondo tale atto deliberativo, sarebbe decorsa dalla data dell'atto stesso fino all'esito delle procedure per il conferimento degli incarichi di segretario generale e direttore generale tramite apposita procedura di selezione pubblica ai sensi di legge;

   nell'atto di nomina è, altresì, dato mandato al reggente di predisporre gli avvisi di selezione del segretario generale e del direttore generale, secondo le indicazioni dell'ufficio di presidenza, secondo le indicazioni dell'articolo 11-bis del regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi del consiglio regionale della Calabria, introdotto con deliberazione del medesimo giorno di quella di nomina, avente n. 20 del 26 giugno 2020;

   nell'articolo della testata calabrese LaCNews24.it del 3 luglio 2020, a firma Alessia Bausone, dal titolo «Consiglio, maxi-incarico imposto dalla politica: anomalie nella nomina del segretario generale» sono state evidenziate molteplici presunte irregolarità riguardanti l'atto di nomina di cui alla deliberazione dell'ufficio di presidenza del consiglio regionale della Calabria n. 21 del 26 giugno 2020: superamento della prassi per la quale si procede a nominare reggente il dirigente più anziano del consiglio regionale per l'espletamento delle procedure di nomina al fine di evitare disparità di trattamento tra i dirigenti; mancata pubblicazione nella sezione avvisi del sito istituzionale del consiglio regionale della Calabria di apposita manifestazione di interesse per ricoprire l'incarico conferito ad interim, nonostante nell'atto deliberativo venga giustificata la scelta effettuata «nell'ambito della disponibilità delle risorse interne» e ad avviso dell'interrogante in violazione dell'articolo 19, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001 che per le selezioni impone di acquisire la disponibilità dei dirigenti interessati e di valutarle;

   a ciò va aggiunto che, a distanza di oltre due mesi dalla suddetta nomina, non sono state attivate le procedure di selezione come imposto nell'atto deliberativo al segretario generale/direttore generale reggente e non sono chiare le tempistiche, le modalità e i criteri di futura selezione;

   il precedente segretario generale/direttore generale, dottor Maurizio Priolo, era stato prorogato con deliberazione dell'ufficio di presidenza del consiglio regionale della Calabria n. 70 del novembre 2019 fino al 24 giugno 2020 ed, in tale arco temporale, non sono state attivate le procedure di selezione pubblica necessarie e si è atteso di arrivare al necessario conferimento dell'incarico ad interim, pena, come scritto nell'atto deliberativo, incorrere nel rischio di «paralisi istituzionale e amministrativa»;

   il rischio oggi è che l'interim, sul quale già pendono ipotesi di anomalie e irregolarità, venga procrastinato oltre il dovuto –:

   se il Governo non intenda valutare se sussistono i presupposti per promuovere una verifica dell'Ispettorato per la funzione pubblica ai sensi dell'articolo 60, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001.
(4-07106)

  Risposta. — Rispondo all'interrogazione in esame, concernente il conferimento all'avvocato Maria Stefania Lauria, già dirigente del settore segreteria e assemblea del Consiglio regionale della Calabria, dell'incarico ad interim di segretario/direttore generale della predetta regione, fino all'esito delle procedure finalizzate al conferimento del relativo incarico.
  Secondo quanto evidenziato dall'interrogante, la deliberazione dell'ufficio di presidenza del consiglio regionale della Calabria, n. 21 del 26 giugno 2020, con la quale è stato conferito l'incarico
ad interim, avrebbe dato mandato al reggente di predisporre gli avvisi di selezione per l'incarico in questione. Tuttavia, a distanza di oltre due mesi dalla suddetta nomina, non sarebbero state attivate le procedure di selezione, né precisate le modalità e i relativi criteri.
  Un ulteriore aspetto segnalato fa riferimento a notizie stampa circa possibili irregolarità per la mancata nomina a reggente – come da prassi – del dirigente più anziano, nonché, per la mancata pubblicazione sul sito istituzionale dell'avviso di selezione pubblica. Inoltre, secondo l'interrogante «nonostante nell'atto deliberativo venga giustificata la scelta effettuata “nell'ambito della disponibilità delle risorse interne”», il conferimento sarebbe stato effettuato «in violazione dell'articolo 19, comma 1-
bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001 che per le selezioni impone di acquisire la disponibilità dei dirigenti interessati e di valutarle.».
  Sulla vicenda ho ritenuto di attivare l'ispettorato per la funzione pubblica, le cui richieste istruttorie hanno avuto riscontro con nota del 22 settembre 2020, prot. n. 60613, indirizzata per conoscenza alla procura della Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria, a cui è allegata relazione del presidente del consiglio regionale della Calabria, completa dei relativi atti deliberativi.
  Nella relazione viene posto in evidenza che la deliberazione dell'ufficio di presidenza consiliare n. 21 del 26 giugno 2020 individua il termine finale dell'incarico
ad interim dell'avvocato Lauria nella nomina del nuovo segretario generale e del direttore generale, all'esito delle procedure per il conferimento dei predetti incarichi.
  Tali procedure avrebbero dovuto essere già attivate dall'uscente segretario generale, dottor Maurizio Priolo, il quale, pur prorogato, ai sensi di legge fino al 24 giugno 2020 (deliberazione n. 70 del 27 novembre 2019, allegato 2), non vi avrebbe, invece, provveduto per l'arco temporale in cui ha svolto tali funzioni.
  Viene evidenziato, al riguardo, che la proroga del dottor Maurizio Priolo si era resa necessaria, stante l'intervenuta scadenza della legislatura, per evitare la paralisi amministrativa.
  Dal 23 novembre 2019, ossia dal giorno successivo alla scadenza naturale della legislatura, il consiglio regionale della Calabria entrava, infatti, in regime di
prorogatio, ai sensi degli articoli 3, 2 della legge n. 108 del 1968 e articolo 5, comma 1, della legge n. 165 del 2004.
  L'ufficio di presidenza fa osservare che, decorso il periodo di proroga dell'uscente segretario generale, dottor Priolo, (scaduto il 24 giugno 2020) senza che lo stesso avesse, nel frattempo, provveduto all'avvio delle procedure per il conferimento degli incarichi, e considerata l'impossibilità di ulteriormente prorogare l'incarico dello stesso, in quanto già scaduto, proprio «per scongiurare il rischio concreto del blocco di tutte le attività istituzionali e amministrative», si sarebbe trovato costretto a individuare, in via di assoluta urgenza, nell'ambito delle risorse interne, l'avvocato Lauria.
  La dirigente veniva ritenuta, sulla base del suo
curriculum, in relazione a quello degli altri suoi colleghi interni e del rapporto fiduciario esistente con la stessa, la persona maggiormente idonea a rivestire, in quella particolare situazione, l'incarico di segretario generale ad interim.
  In relazione a quanto riportato da alcune testate giornalistiche, viene precisato che all'avvocato Lauria è stato applicato lo stesso trattamento economico goduto dal precedente segretario/direttore generale, scaturente dai contratti nazionali e dagli accordi sindacali, senza alcuna somma aggiuntiva.
  Secondo quanto riportato nella relazione, detta nomina fa parte della rivisitazione della struttura burocratica consiliare, considerata dall'ufficio di presidenza obiettivo fondamentale per la realizzazione del programma politico della nuova legislatura.
  L'esigenza di riordinare l'organizzazione del consiglio regionale e di varare bandi aperti e partecipati sarebbe supportata, d'altra parte, anche dalla deliberazione n. 20 del 26 giugno 2020 {Modifiche al regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi del Consiglio regionale della Calabria, approvato con deliberazione dell'Ufficio di Presidenza
pro tempore n. 67 del 18 aprile 2001, così come modificato con successive deliberazioni dell'Ufficio di Presidenza pro tempore n. 34 del 19 febbraio 2002 e n. 57 del 22 ottobre 2019), con la quale è prevista la partecipazione di professionalità esterne ai bandi in oggetto.
  Per le descritte attività, stante pure la succitata situazione contingente (insediamento nuovo regionale e l'emergenza epidemiologica), viene fatto presente che «non era, al momento della nomina, astrattamente individuabile un termine finale certo, pur essendo sempre stato intendimento di questa Presidenza procedere alle nuove nomine dei dirigenti generali, ai sensi delle vigenti disposizioni di legge, con decorrenza dal primo gennaio 2021».
  L'ente evidenzia che, trattandosi di nuova legislatura, dovrà porre in essere una serie di atti propedeutici a questo fine quali: gli atti di indirizzo dell'ufficio di presidenza, i necessari passaggi con le organizzazioni sindacali, nonché la pubblicazione dei relativi bandi per la nomina delle figure dirigenziali dell'ente, e ricorda che tale modalità di conferimento dell'incarico, ossia senza precisa individuazione di un termine finale, ma pur sempre collegata alla conclusione di specifici procedimenti, è stata già sperimentata in passato e farebbe, quindi, parte di una prassi consolidata.
  Relativamente alla censura contenuta nell'atto di sindacato ispettivo concernente l'inosservanza di una prassi consiliare volta a nominare reggente il dirigente più anziano, viene osservato che già nella precedente legislatura, il dottor Priolo, dirigente interno nominato reggente, ai sensi della succitata deliberazione, Ufficio di Presidenza n. 22 del 2015, non era certamente il più anziano anagraficamente tra i dirigenti del ruolo consiliare, né tantomeno era quello con la maggiore anzianità di servizio, così come il dottor Nicola Lopez, che subentrava al dimissionario avvocato Carpentieri nel ruolo di segretario generale, senza essere il dirigente interno più anziano a quella data (deliberazione dell'Ufficio di Presidenza n. 16 del 12 luglio 2010 e decreto del Presidente del consiglio regionale n. 10 del 14 luglio 2010, allegati 11 e 12).
  Viene, ancora, osservato che la nomina del dirigente più anziano si pone in contrasto con il generale principio di fiduciarietà che sostiene e permea le nomine dei vertici amministrativi, assicurando all'organo politico spazi di scelta funzionali a garantire la coerenza tra l'indirizzo politico e la gestione amministrativa (Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 887/2020; Corte Costituzionale n. 34/2010 e n. 233/2006).
  La contestata mancata pubblicazione degli avvisi di manifestazione di interesse per ricoprire l'incarico
de quo viene giustificata dalle ragioni di urgenza e dall'assenza di un segretario generale che vi provvedesse, considerando che il Priolo, già prorogato fino al 24 giugno 2020, era scaduto e non era più suscettibile di proroga alcuna.
  Viene, inoltre, evidenziato, come anche i precedenti avvocato Carpentieri, dottor Calabrò dottor Priolo, siano stati nominati reggenti, quali segretario generale e/o direttore generale
ad interim, senza la preventiva pubblicazione di alcun avviso.
  Per quanto concerne l'ultima censura, riguardante la mancata attivazione da parte della reggente avvocato Lauria delle procedure per il conferimento degli incarichi di segretario/direttore generale, viene asserito come l'arco temporale di due mesi non possa, in alcun modo, essere qualificato come «ritardo», già solo considerando i fisiologici tempi procedurali di una amministrazione pubblica che agisce in condizioni di «normalità».
  Inoltre, vengono rappresentate le criticità dovute alla sopravvenuta emergenza epidemiologica in termini, prima di rallentamento, poi di progressiva paralisi delle attività istituzionali dell'Ente, nonché, da ultimo, al crollo del tetto dell'auditorium Calipari del consiglio regionale calabrese, nel pomeriggio di venerdì 31 luglio 2020 che avrebbero «letteralmente sconvolto l'ormai quasi ordinata
routine amministrativa, che era stata organizzata».
  

La Ministra per la pubblica amministrazione: Fabiana Dadone.


   MORRONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   da Nord a Sud sono centinaia le carceri in condizioni disastrose e dove le donne e gli uomini della polizia penitenziaria lavorano in condizioni drammatiche;

   l'istituto di pena della città di Sulmona, in provincia dell'Aquila, è da annoverarsi tra i più imponenti d'Italia – sono numerosi i reclusi ad alto tasso di pericolosità – ed è in procinto di divenire uno dei più considerevoli d'Europa in conseguenza della futura apertura di un nuovo padiglione, attualmente in costruzione, in grado di aggiungere, agli attuali, 400 detenuti ad elevata caratura criminale, altri 200 detenuti entro la fine del 2020;

   ad oggi, gli agenti assistenti (ruolo pilastro) previsti in pianta organica sono 247, ma assegnati 189;

   si rilevano turni costantemente ad otto ore che si dovrebbero fare solo in emergenza (unico caso in Abruzzo, visto che altrove si fanno le sei ore per turno, previste dall'accordo quadro nazionale) e un personale eccessivamente anziano per sopportare carichi di lavoro così pressanti;

   sovrintendenti ne sono previsti in pianta organica 26, ma assegnati 20, con una carenza di 6 unità;

   ispettori previsti in pianta organica 21, ma ne sono assegnati 28: sono 7 in più, ma questi ultimi con il ruolo superiore non svolgono le turnazioni notturne;

   per il funzionamento di questa struttura sarà necessario assegnare un nuovo contingente di personale di polizia penitenziaria e sarà necessario rafforzare gli organici del comparto funzioni centrali e la dirigenza penitenziaria;

   le attività amministrative necessarie per metter in sicurezza la struttura sono ancora in una fase del tutto iniziale, mentre occorrerebbe passare con urgenza alle fasi istruttorie successive, per consentire l'alloggiamento del personale nella caserma;

   si riconferma la piena solidarietà al corpo di polizia penitenziaria, in quanto vittima dell'ennesima disattenzione da parte del Ministero della giustizia e del Governo, propenso, secondo l'interrogante, a trascurare la sicurezza delle forze dell'ordine che garantiscono il rispetto delle leggi –:

   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato per incrementare il personale di questo istituto penitenziario di massima sicurezza, che risulta mancante, con particolare riguardo ai ruoli degli agenti e degli assistenti di polizia penitenziaria.
(4-06690)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante, riferisce di rilevanti problematiche esistenti presso la casa circondariale di Sulmona, evidenziando specifiche criticità derivanti dalla carenza dell'organico della polizia penitenziaria, ritenuto insufficiente, a fronte della popolazione dei detenuti, indicati come presenti in numero di 400, ma suscettibili di aumento in ragione della prossima apertura di un nuovo padiglione da centinaia di posti, quindi delle difficoltà a ciò conseguenti anche relazione alla tipologia di detenuti presenti nel carcere, molti dei quali ad alto tasso di pericolosità, sollevando quesiti sulle iniziative che si intendano perciò assumere, soprattutto in termini di aumento degli organici.
  Orbene, come più volte ribadito, è indubbio che l'opera della polizia penitenziaria sia di primaria importanza, per la sicurezza interna così come per quella esterna, di cui costituiscono primo baluardo, ma altresì per Paltò contributo che forniscono nell'attività di rieducazione e reinserimento dei condannati nel consorzio sociale.
  Il Ministero, pertanto, pone forte attenzione alle esigenze di garantire un efficace
turn over del personale, risultando indubbie le criticità evidenziate e derivanti da organici ridotti o comunque fortemente limitati.
  Come riferito in sede di risposta ad analoghe interrogazioni sul tema dell'organico del corpo della polizia penitenziaria, si rappresenta che la riduzione complessiva degli organici operata dalla cosiddetta legge Madia e rivista dal successivo intervento normativo ha rimodulato la dotazione complessiva del corpo della polizia penitenziaria, passata da 44.610 unità a 41.202 unità, da ultimo implementata a 41.667 unità.
  Pertanto, allo stato, si osserva un divario tra organico del corpo di polizia penitenziaria previsto (41.667 unità) e organico effettivamente presente (37.654) pari al 9,63 per cento, sebbene risultano presenti nel ruolo agenti/assistenti del corpo 33.495 unità, cioè, 2.105 in più rispetto all'organico previsto per lo stesso ruolo, pari a 31.390.
  Ciò premesso, la casa di reclusione di Sulmona alla data del 23 settembre registra una presenza di 394 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 328 posti ed un indice di affollamento pari al 123,13 per cento.
  Dei detenuti presenti, 382 risultano di nazionalità italiana e 12 di nazionalità straniera; 377 risultano ascritti al circuito alta sicurezza.
  Quanto anorganico di polizia penitenziaria della casa di reclusione di Sulmona si rileva una differenza formale di 31 unità tra la dotazione organica prevista, pari a 267 unità e quella assegnata, pari a 246.
  Tuttavia, in ragione delle unità distaccate in entrata ed in uscita, la forza in concreto amministrata è pari a 244 unità.
  Per far fronte alla rilevata carenza di personale, si rappresenta che sono già state attivate le procedure per il concorso interno a complessivi n. 2.851 posti per la nomina alla qualifica iniziale di vice sovrintendente del ruolo maschile e femminile del corpo, in ossequio a quanto disposto dal decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 95, in materia di revisione dei ruoli delle forze di polizia.
  Relativamente alla carenza nel ruolo degli ispettori, invece, si segnala che è stato indetto un concorso interno, per titoli, a complessivi n. 691 posti (606 uomini e 85 donne) per l'accesso alla qualifica iniziale dei ruolo degli ispettori del corpo; pertanto, all'esito della relativa procedura concorsuale, questa amministrazione terrà nella massima considerazione la situazione di relativa carenza di personale che connota il penitenziario di Sulmona, attraverso l'assegnazione di un congruo numero di unità del corpo.
  Ancora, si segnala, che l'organico del carcere di Sulmona è stato incrementato di n. 13 unità maschili e n. 1 unità femminile del ruolo agenti/assistenti, in occasione delle assegnazioni del 175°, 176° e 177° corso allievi agenti, avvenute nei mesi di marzo e aprile 2020, e che in data 2 settembre 2020 è stato disposto un ulteriore incremento pari a n. 5 unità maschili, attraverso lo scorrimento della graduatoria formata all'esito dell'interpello relativo all'anno 2018.
  Infine si riferisce che è in via di conclusione il concorso pubblico per il reclutamento di complessivi n. 754 posti di allievo agente del corpo di polizia penitenziaria, la cui assunzione avverrà entro il mese di dicembre 2020.
  Peraltro, ai sensi dell'articolo 259-
bis del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, recante «Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19» convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, è stata altresì prevista l'assunzione di 650 allievi agenti del corpo di polizia penitenziaria (488 uomini e 162 donne), in via prioritaria, mediante scorrimento della graduatoria degli idonei del concorso pubblico a 302 posti, elevati a 376, di allievo agente del corpo di polizia penitenziaria maschile e femminile, indetto con provvedimento del Direttore Generale 11 febbraio 2019, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4a serie speciale, n. 18, del 5 marzo 2019, e, per la parte residua, mediante scorrimento della graduatoria della prova scritta del medesimo concorso.
  Inoltre, è in fase di definizione il bando del concorso pubblico per circa 970 allievi agenti, riservato ai sensi dell'articolo 703, comma 1, lettera
d), del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, a valere sulle cessazioni (turn over) anno 2019 e sulle assunzioni straordinarie autorizzate ai sensi dell'articolo 1, comma 236, lettera c), della legge n. 205 del 2017 e dell'articolo 1, comma 381, lettera b), della legge n. 145 del 2018.
  Quanto sopra contribuirà certamente ad alleviare le difficoltà inerenti le carenze di organico evidenziate.
  In ordine, invece, alla riferita carenza di personale appartenente al comparto funzioni centrali, è utile premettere che le dotazioni organiche di riferimento sono state notevolmente ridotte nel corso degli anni, in applicazione delle norme sulla
spending review, che ha portato alla riduzione delle dotazioni organiche, prevedendo per il personale delle aree funzionali, un contingente organico di 4.689 unità e, per le qualifiche dirigenziali, un contingente complessivo di 345 unità (dato tabellare iniziale pari a complessive 9.929 unità, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 ottobre 2000).
  Ciò premesso, si rappresenta che la situazione del personale del comparto funzioni centrali della casa di reclusione di Sulmona non presenta particolari criticità.
  Infatti, su 26 unità previste, comprese quelle dirigenziali, risultano 26 assegnazioni complessive e 24 presenze effettive, al netto dei distacchi in entrata e in uscita.
  L'organico dei funzionari giuridico pedagogici, poi pur presentando due vacanze, è nel complesso congruo; l'unità assegnata provvisoriamente in altra struttura, sempre in ambito provveditoriale, fa parte del contingente organico regionale a disposizione del provveditore per le eventuali necessità sul territorio.
  Come indicato dall'interrogante, si confermano i lavori per la prossima realizzazione del nuovo padiglione detentivo da 400 posti presso l'istituto di Sulmona, la cui ultimazione è prevista per il mese di novembre 2020.
  Considerando, dunque, i necessari tempi tecnici per l'effettuazione delle operazioni di collaudo e l'emissione del relativo certificato, la consegna all'istituto dovrebbe avvenire entro la metà del 2021.
  Va confermata altresì l'attuale inagibilità del fabbricato già destinato a caserma agenti, siccome a seguito di apposita verifica, ne è emersa l'elevato indice di vulnerabilità sismica.
  Al riguardo, per ovviare alle intuibili difficoltà, si riferisce che è in corso la stipula di una convenzione tra il provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria per il Lazio, l'Abruzzo e il Molise e il provveditorato alle opere pubbliche per il Lazio, l'Abruzzo e la Sardegna relativa all'attribuzione a quest'ultimo dei compiti di centrale di committenza per l'intero procedimento di adeguamento sismico della struttura.
  Il competente provveditorato di Roma ha reso noto che l'affidamento dei lavori avverrà, presumibilmente, nei primi mesi del 2021.
  Nelle more, sono stati previsti alloggiamenti alternativi per il personale, utilizzando anche la vicina scuola di formazione.
  Per completezza, si evidenzia, altresì, che è stato autorizzato, nel mese di luglio 2020, l'intervento di sistemazione della sala regia per un importo pari a euro 43.000 ed è in corso di ultimazione la predisposizione dell'intervento per la messa a norma della mensa di servizio.
  In riferimento alle disagevoli condizioni di turnazione, si riferisce che presso l'istituto penitenziario di Sulmona si prevede, principalmente, l'effettuazione di turni di otto ore. Circa il 10 per cento del personale effettua, invece, peraltro senza garanzie di regolarità, turni di sei o sette ore.
  Allo stato, le consistenze organiche e le assenze quotidiane del personale, anche improvvise, non consentono di organizzare turni di sei ore.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   MULÈ e ORSINI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   il 15 settembre 2020, alla presenza del Presidente degli Stati Uniti d'America, Donald Trump, i Governi di Israele, Emirati Arabi Uniti e del Bahrein hanno sottoscritto gli «Accordi di Abramo» dimostrando l'esistenza di un'altra via diplomatica;

   al tempo stesso l'ambasciatore Nathan Sales, capo dell'antiterrorismo al dipartimento di Stato americano, ha rivelato al mondo la presenza di depositi di armi dell'organizzazione sciita libanese filoiraniana, Hezbollah, tra cui importanti depositi di nitrato di ammonio in Francia, in Italia e in Grecia;

   la notizia appena riportata conferma la pericolosità di un'organizzazione che, ad avviso degli interroganti, ha poco di politico e molto di terroristico: Hezbollah è un'organizzazione finanziata dall'Iran e rappresenta una seria minaccia per il mondo occidentale;

   in questo quadro di insieme desta, ad avviso degli interroganti, non poche perplessità la posizione dell'Italia in politica estera, grande assente ai tavoli che contano, scalzata nel Mediterraneo, ambigua nelle alleanze internazionali, succube di Turchia e Cina;

   a tal proposito, nel mese di luglio 2020 il primo firmatario del presente atto aveva sottoscritto una «dichiarazione transatlantica» per chiedere all'Unione europea di dichiarare Hezbollah nel suo insieme quale organizzazione terroristica;

   per le ragioni sopra menzionate, il Governo italiano deve definitivamente scegliere da che parte stare, se vuole tener fede ai valori del patto Atlantico, se vuole schierarsi contro dittature e terroristi, se vuole difendere la propria integrità diplomatica o diventare «Stato cuscinetto» di potenze islamiche pronte a compiere attentati;

   l'Italia deve ritornare ad essere potenza del G7 e soprattutto rilanciare un'azione di diplomazia europea determinante ed equilibrata: è necessario ribaltare il paradigma ricostruendo alleanze atlantiche e aprendo al mondo arabo filo occidentale responsabilizzando gli attori locali, in primis Israele (proprio come fatto da Trump e richiesto dallo stesso alla Nato);

   ad avviso degli interroganti, il nuovo ordine geopolitico mediorientale disegnato da questa amministrazione americana deve imperativamente avere l'Europa tra i principali attori protagonisti visto che il dialogo tra Israele e l'area sunnita moderata (a cui nei prossimi mesi si aggiungeranno Paesi come Marocco, Sudan, Oman e ovviamente Arabia Saudita) può essere letto anche in chiave anti-terrorismo –:

   quale sia la posizione del Governo rispetto alla possibilità di includere Hezbollah nel suo insieme nella lista delle organizzazioni terroristiche dell'Unione europea;

   se il Governo intenda promuovere un'iniziativa atta a discutere l'azione di Hezbollah e in definitiva, una volta verificatene le responsabilità, finalizzata a introdurlo nella lista delle organizzazioni terroristiche dell'Unione europea.
(4-06858)

  Risposta. — Ringrazio innanzitutto gli interroganti per i quesiti che hanno posto, che mi permettono di fare chiarezza sulla posizione del Governo rispetto alle dinamiche politiche libanesi in uno dei momenti di maggiore criticità nella storia recente del Paese.
  Nella sua proiezione esterna, in particolare nel Mediterraneo, area di maggior rilievo della nostra politica estera, l'Italia continua a muoversi in piena coerenza con i tradizionali pilastri della sua azione internazionale, ovvero l'Alleanza Atlantica e l'appartenenza all'Unione europea. Lavoriamo per la stabilizzazione delle crisi regionali, per la promozione di un'agenda positiva e per lo sviluppo dei rapporti con tutti i Paesi della sponda Sud, incluso Israele, con cui condividiamo fondamentali interessi strategici.
  In Libano l'Italia ha fatto un investimento di lungo periodo, sostenendo senza riserve nel corso degli anni la stabilità, la sicurezza, l'unità, e la prosperità del Paese dei Cedri. L'impegno si è articolato: 1) nella nostra qualificata partecipazione in Unifil, in cui siamo presenti con il secondo contingente per rilevanza numerica di circa 1000 uomini, esprimiamo il
Force Commander Del Col e deteniamo il comando del «Sector West»; 2) nel sostegno alle forze armate e di sicurezza libanesi, culminato nelle due Conferenze di Roma (2014 e 2018) organizzate nell'ambito dell'International Support Group (ISG); 3) in una pluralità di iniziative di cooperazione allo sviluppo, da ultimo con i 120 milioni di euro assicurati in occasione della Conferenza Cedre di Parigi. Questo impegno è stato riaffermato anche a seguito delle esplosioni del 4 agosto, quando l'Italia ha messo in campo un ampio ventaglio di strumenti quali contributi finanziari, donazioni di materiale sanitario, dispiegamento di un ospedale da campo e di vari team di esperti. Si aggiungerà nelle prossime settimane l'invio di una task force di «United4Heritage» (i cosiddetti «caschi blu della cultura») per fornire assistenza nel restauro dei siti storici di Beirut danneggiati dall'incidente nel porto.
  Rispetto a Hezbollah, l'Italia rimane in linea con la posizione comune dell'Unione europea, che distingue nettamente tra l'ala politica del movimento, considerata legittima, e l'ala militare dell'organizzazione, oggetto di sanzioni. Dal giugno 2013, a seguito dell'attentato di Burgas in Bulgaria costato la vita a 5 cittadini israeliani, l'Unione europea ha infatti inserito, su proposta britannica, la sola componente militare di Hezbollah nella lista delle organizzazioni terroristiche.
  Anche se alcuni Paesi europei hanno successivamente deciso di estendere il regime sanzionatorio a Hezbollah nella sua interezza, superando cioè la distinzione tra ala politica e militare del movimento sciita, rimaniamo convinti che la prosecuzione dell'azione italiana – di sostegno alla stabilità e prosperità del Libano, anche in ambito Unfil, non possa prescindere da una continua e articolata interlocuzione con tutti gli attori che compongono il variegato mosaico politico-confessionale del Paese. Per quanto certamente problematica, Hezbollah è una forza politica legittimata dal voto popolare. Alle elezioni legislative del 2018 il movimento ha infatti ottenuto 13 seggi che, sommati ai 15 dell'altro partito sciita Amal, vanno a comporre uno dei principali blocchi all'interno del Parlamento libanese.
  Mantenere la distinzione tra l'ala politica e l'ala militare della formazione sciita non vuol dire astenerci dall'assumere, quando necessario, posizioni critiche nei confronti dell'operato di Hezbollah, né tanto meno implica, lo ribadisco con forza, un allentamento della vigilanza sulle attività dell'organizzazione in Italia. Anche in relazione alle recenti dichiarazioni del Coordinatore antiterrorismo degli Stati Uniti, posso assicurarvi che l'operato di Hezbollah rimane attentamente e costantemente monitorato.

La Viceministra degli affari esteri e della cooperazione internazionale: Marina Sereni.


   MURA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   dal 2014 risultano ancora fermi gli stabilimenti di Portovesme (ex Alcoa) in cui si realizzava la produzione, unica in Italia, di alluminio primario;

   i lavoratori attendono la conclusione della vertenza e oramai sono costretti a sopravvivere con una indennità di molto inferiore al reddito di cittadinanza;

   tutti i soggetti, Sider Alloys, Enel, Invitalia, impegnati per la ripartenza dello stabilimento di Portovesme, si dichiarano pronti a fare la loro parte per concludere il procedimento anche grazie al lavoro meritorio condotto dai rappresentanti dei lavoratori, dalla regione Sardegna, dai rappresentanti istituzionali del territorio e dal Ministero dello sviluppo economico che, negli ultimi mesi, ha promosso e favorito le interlocuzioni fra le parti e, di fatto, costruito le condizioni per la conclusione positiva dell'accordo;

   Enel si è dichiarata disponibile a riconoscere a Sider Alloys un contratto di fornitura dell'energia a un prezzo pari a circa la metà delle quotazioni di mercato (il prezzo dell'energia in questo momento risulta particolarmente favorevole) e a ridimensionare considerevolmente l'entità della garanzia fideiussoria a carico dell'azienda;

   Invitalia e Sace si faranno carico di parte della fideiussione richiesta alla Sider Alloys a garanzia di possibili inadempienze –:

   quali siano, considerato quanto riportato in premessa, gli ulteriori ostacoli alla chiusura dell'accordo fra le parti, affinché, a Portovesme, possa ripartire la produzione di alluminio;

   se il Governo non ritenga di adottare iniziative per un'accelerazione dei tempi di definizione dell'accordo, anche in considerazione della pesante crisi sanitaria che, a seguito della pandemia da coronavirus, rischia di accentuare ulteriormente quella sociale ed economica che da anni interessa il Sulcis-Iglesiente.
(4-07160)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sentita la direzione generale competente del Ministero dello sviluppo economico, si rappresenta quanto segue.
  L'atto in discussione richiama l'attenzione sulla vicenda dello stabilimento ex Alcoa di Portovesme, la cui crisi industriale è iniziata nel 2012, quando l'azienda americana ha annunciato di voler interrompere la produzione nel sito in questione.
  A riguardo, si ritiene opportuno ripercorrere sinteticamente i punti principali della vicenda. Con decreto del Ministero dello sviluppo economico del 13 settembre 2016 il polo di Portovesme è stato riconosciuto come area di crisi industriale complessa con impatto significativo sulla politica industriale nazionale.
  In data 4 gennaio 2018 è stato sottoscritto un accordo di programma tra il Ministero dello sviluppo economico, la regione Sardegna e Invitalia, funzionale al sostegno del contratto di sviluppo proposto dalla società Sider Alloys Italia s.p.a. per il rilancio dell'area industriale di Portovesme. Nell'ambito di tale accordo, che prevedeva investimenti privati per oltre 121 milioni di euro da realizzare nel triennio 2108-2021, sono state allocate risorse pubbliche per complessivi euro 94.168.367,00, di cui euro 86.168.367,00 di competenza del Ministero dello sviluppo economico ed euro 8.000.000,00 di competenza della Regione Autonoma della Sardegna.
  Con atto del 15 febbraio 2018 la SiderAlloys Italia s.p.a. ha acquisito la proprietà del complesso industriale.
  Nel corso del 2019 la Sider Alloys Italia s.p.a. ha rendicontato il primo stato avanzamento lavori dell'investimento – per oltre 25 milioni di euro – ed ha proposto una variazione sostanziale del programma di investimenti, connessa a modifiche del paradigma tecnologico da applicare per la ripartenza del sito produttivo, funzionali al risparmio energetico e all'incremento ed efficientamento della capacità produttiva. Ferme restando le agevolazioni precedentemente quantificate, il nuovo programma ha visto un incremento delle spese fino all'importo di circa 148 milioni di euro.
  È attivo presso il Ministero dello sviluppo economico il tavolo di crisi riguardante la situazione dello stabilimento Sider Alloys-Alcoa di Portovesme al fine di verificare lo stato di avanzamento del cronoprogramma che dovrebbe portare al riavvio delle attività nello stabilimento in parola, attraverso il
revamping degli impianti e alla risoluzione delle criticità connesse. Per tutto il 2018, 2019 e 2020 sono proseguite le riunioni del tavolo ministeriale di confronto con le parti sociali anche per monitorare le trattative finalizzate al raggiungimento di un accordo per la definizione di un contratto di fornitura dell'energia ad un costo funzionale alla ripresa delle attività di Sider Alloys.
  Nel corso dell'ultimo incontro del tavolo ministeriale svoltosi in data 11 settembre 2020 La società ha dettagliato il piano di ripresa delle attività. La regione Sardegna si è impegnata a sostenere il percorso con appositi corsi di formazione.
  Il piano industriale prevede che le attività ripartano con le seguenti modalità: per ottobre 2021, è atteso il riavvio della fonderia mentre per gennaio 2022, è previsto il riavvio della prima cella di elettrolisi. La società ha fatto sapere che sono state già svolte delle attività:
check dei macchinari (circa 1.600 test), accordi con Enel per servitù, riparazione del tetto e della struttura, ripristino delle strade e dell'illuminazione, la riconversione elettrica ecc. A causa della emergenza epidemiologica, si avrà un allungamento di circa 10 mesi dei tempi di realizzazione degli investimenti. Tuttavia, la società ha rassicurato che si impegnerà per recuperare il ritardo nei prossimi mesi anche per dare una risposta occupazionale al territorio.
  Sono attualmente in corso presso il Ministero dello sviluppo economico le verifiche dei tavoli tecnici per verificare gli avanzamenti del piano industriale e la rimodulazione del contratto di sviluppo in base alle nuove tempistiche di attuazione richieste dall'azienda.
  Sono previste inoltre verifiche con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e con la regione Sardegna riguardo all'utilizzo degli ammortizzatori sociali a supporto.
  In conclusione, si ribadisce il massimo impegno del Ministero dello sviluppo economico per la ripresa e il rilancio dell'impianto sardo e nel mantenimento della totalità della forza lavoro impiegata.

La Sottosegretaria di Stato per lo sviluppo economico: Alessandra Todde.


   MUSELLA. — Al Ministro per la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 33 del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, cosiddetto «decreto crescita», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 100 del 30 aprile 2019, introduce significative novità in materia di assunzioni di personale nelle regioni a statuto ordinario e nei comuni;

   precisamente il comma 2 del suindicato articolo introduce una modifica significativa del sistema di calcolo della capacità assunzionale dei comuni, prevedendo il superamento delle attuali regole del turn-over e l'introduzione di un sistema basato sulla sostenibilità finanziaria della spesa di personale. La nuova disciplina non è immediatamente applicabile, in quanto è previsto un decreto ministeriale attuativo, attualmente in discussione in Conferenza Stato-città ed autonomie locali. Nelle more dell'adozione del decreto, continuano ad applicarsi le norme ordinarie in materia di determinazione della facoltà assunzionale;

   a decorrere dalla data che verrà individuata con apposito decreto attuativo, i comuni potranno effettuare assunzioni di personale a tempo indeterminato entro il limite di una spesa complessiva per il personale dipendente (al lordo degli oneri riflessi) non superiore al valore soglia, definito come percentuale, anche differenziata per fascia demografica, delle entrate relative ai primi tre titoli risultanti dal rendiconto dell'anno precedente a quello in cui è prevista l'assunzione, che dovranno essere calcolate al netto delle entrate a destinazione vincolata e del Fondo crediti dubbia esigibilità stanziato in bilancio di previsione;

   i valori soglia e le fasce demografiche avrebbero dovuto essere individuati con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dell'interno, previa intesa in Conferenza Stato-città ed autonomie locali, entro 60 giorni dalla data in vigore dal «decreto crescita»;

   le previsioni dell'articolo 33 del «decreto crescita», in attesa dei decreti attuativi, sembrano aprire senza dubbio scenari incoraggianti per gli enti locali che nel corso degli ultimi anni hanno subìto una drastica riduzione del personale in servizio: la possibilità di assumere viene finalmente disancorata da ferree logiche di turnover;

   una stagione di ricambio generazionale tanto attesa negli enti locali, reduci da un decennio in cui il valore aggiunto della professionalità del personale è stato sacrificato sull'altare dell'austerità finanziaria –:

   quali elementi intendano fornire al riguardo i Ministri interrogati e quando intendano provvedere all'emanazione dei suddetti decreti attuativi.
(4-07086)

  Risposta. — Rispondo all'interrogazione in esame con la quale si chiedono chiarimenti in merito ai tempi di attuazione – mediante emanazione dei relativi decreti ministeriali – della disciplina in materia di assunzioni di personale nelle regioni a statuto ordinario e nei comuni.
  Com'è noto, l'articolo 33 del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, cosiddetto «crescita», interviene in materia di facoltà assunzionali delle regioni a statuto ordinario e dei comuni, con la finalità di accrescere tali facoltà assunzionali negli enti che presentino un rapporto virtuoso fra spese complessive per il personale ed entrate. Per gli enti territoriali meno virtuosi, è previsto l'avvio di un percorso, che si concluderà nel 2025, diretto a pervenire alla sostenibilità finanziaria di tale rapporto. Qualora tale obiettivo non dovesse essere raggiunto, le assunzioni di personale non potranno eccedere il 30 per cento di coloro che cesseranno dal servizio.
  Nello specifico, il comma 1 del citato articolo 33 stabilisce che le regioni possano procedere ad assumere a tempo indeterminato nel limite di una spesa complessiva per il personale (al lordo degli oneri riflessi a carico dell'amministrazione) non superiore a un determinato valore soglia.
  Il richiamato valore soglia è definito come percentuale, anche differenziata per fascia demografica, delle entrate relative ai primi tre titoli delle entrate del rendiconto dell'anno che precede quello in cui viene prevista l'assunzione. A tal fine non si tiene conto delle entrate a destinazione vincolata, incluse quelle relative al Servizio sanitario nazionale, e degli stanziamenti iscritti nel bilancio di previsione per il fondo crediti di dubbia esigibilità. Al comma 1, primo periodo, si stabilisce altresì che le regioni possano procedere ad assumere in coerenza con piani triennali di fabbisogno di personale e nel rispetto dell'equilibrio di bilancio asseverato dall'organo di revisione. La disposizione demanda, poi, ad un decreto del Ministro della pubblica amministrazione sia l'indicazione della data di entrata a regime della nuova disciplina assunzionale sia l'individuazione delle fasce demografiche, dei relativi valori soglia (prossimi al valore medio per fascia demografica) e delle relative percentuali massime annuali di incremento del personale per le regioni che si collocano al disotto del predetto valore soglia. Il comma 1, terzo periodo, dispone che l'aggiornamento delle fasce, dei valori soglia e delle relative percentuali massime di incremento del personale possa essere operato con cadenza quinquennale. Il comma 1, quarto periodo, dispone che le regioni il cui rapporto fra la spesa per il personale (al lordo degli oneri riflessi a carico dell'amministrazione) e le entrate correnti dei primi tre titoli del rendiconto risulti superiore al valore soglia, siano tenute ad intraprendere un percorso di graduale riduzione annuale del suddetto rapporto con l'obiettivo di conseguire il valore soglia nell'anno 2025.
  Il comma 2 del citato articolo 33 detta, poi, la disciplina assunzionale per i comuni per molti aspetti analoga a quella introdotta per le regioni al comma 1.
  I comuni, pertanto, possono procedere ad assunzioni a tempo indeterminato nel limite di una spesa complessiva per il personale (al lordo degli oneri riflessi a carico dell'amministrazione) non superiore ad un determinato valore soglia. Dette assunzioni devono avvenire in coerenza con i piani triennali di fabbisogno di personale e nel rispetto dell'equilibrio di bilancio asseverato dall'organo di revisione. Il valore soglia, che costituisce il limite di spesa per le assunzioni di personale in commento, è definito come percentuale «differenziata per fascia demografica» delle entrate relative ai primi tre titoli delle entrate del rendiconto dell'anno precedente, al netto del fondo crediti di dubbia esigibilità. Le fasce demografiche, i relativi valori soglia e le relative percentuali massime annuali di incremento del personale in servizio sono stabiliti con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione, di concerto con i Ministri dell'economia e dell'interno, previa intesa in sede di Conferenza Stato-città. I parametri definiti con il decreto ministeriale potranno, successivamente, essere aggiornati con cadenza quinquennale. Gli altri comuni, cioè quelli in cui il rapporto fra la spesa per il personale e le richiamate entrate correnti è superiore al valore soglia, sono tenuti ad intraprendere un percorso di graduale riduzione annuale di tale rapporto affinché esso raggiunga il valore soglia nell'anno 2025 e, nel frattempo, possono procedere ad assunzioni secondo un
turn over «anche» inferiore al 100 per cento. A partire dal 2025, i comuni che continueranno a registrare un rapporto superiore al valore soglia, e fintanto che tale eccedenza non sia riassorbita, saranno tenuti a limitare le assunzioni al 30 per cento di coloro che cessano dal servizio.
  Ebbene, in relazione a quanto richiesto dall'interrogante, rappresento che alla disposizione recata dal sopra citato articolo 33, comma 1, è stata data attuazione con l'emanazione del decreto ministeriale 3 settembre 2019, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale 4 novembre 2019, n. 258, che reca le misure per la definizione delle capacità assunzionali di personale a tempo indeterminato delle regioni.
  Il 27 aprile 2020, inoltre, è stato pubblicato in
Gazzetta Ufficiale il decreto ministeriale 17 marzo 2020, recante «Misure per la definizione delle capacità assunzionali di personale a tempo indeterminato dei comuni», che, in attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 33, comma 2, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019, n. 58, ha provveduto ad individuare i valori soglia, differenziati per fascia demografica, del rapporto tra spesa complessiva per tutto il personale, al lordo degli oneri riflessi a carico dell'amministrazione, e la media delle entrate correnti relative agli ultimi tre rendiconti approvati, considerate al netto del fondo crediti di dubbia esigibilità stanziato in bilancio di previsione, nonché ad individuare le percentuali massime annuali di incremento della spesa di personale a tempo indeterminato per i comuni che si collocano al di sotto dei predetti valori soglia.
  Il nuovo regime sulla determinazione della capacità assunzionale dei comuni previsto dal decreto attuativo dell'articolo 33, comma 2, del decreto-legge n. 34 del 2019, viene applicato a decorrere dal 20 aprile 2020, come deliberato in sede di Conferenza Stato-Città del 30 gennaio 2020. Di conseguenza, in ossequio al principio
tempus regit actum, sono fatte salve tutte le procedure assunzionali per le quali i comuni abbiano effettuato entro il 20 aprile le comunicazioni obbligatorie ex articolo 34-bis della legge 30 marzo 2001, n. 165, sulla base dei piani triennali del fabbisogno e loro eventuali aggiornamenti secondo la normativa vigente.
  Il decreto attuativo, peraltro, oltre alla decorrenza del nuovo regime assunzionale, disciplina la specificazione degli elementi che contribuiscono alla determinazione del rapporto spesa di personale/entrate correnti nette, l'individuazione delle fasce demografiche e dei relativi valori-soglia e, infine, la determinazione delle percentuali massime di incremento annuale.
  Ovviamente, la determinazione delle facoltà assunzionali in base alla sostenibilità finanziaria e il superamento del
turn-over, implicano la conseguente disapplicazione per i comuni della disciplina prevista dall'articolo 14, comma 7, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, secondo cui «Le cessazioni dal servizio per processi di mobilità (...) non possono essere calcolate come risparmio utile per definire l'ammontare delle disponibilità finanziarie da destinare alle assunzioni o il numero delle unità sostituibili in relazione alle limitazioni del turn over.».
  Posso esprimere soddisfazione per l'intesa raggiunta, che sta consentendo ai sindaci, dopo un lungo periodo di costante riduzione del personale in servizio nei comuni italiani, non soltanto di coprire le vacanze di organico, ma di rilanciare la loro attività amministrativa, grazie al superamento della norma che rapportava le nuove assunzioni ai risparmi prodotti dalle uscite di personale dell'anno precedente.
  Le nuove regole sulle assunzioni non comportano un blocco delle stesse, ma inducono necessariamente gli enti locali ad azioni di corretta gestione della spesa per il personale: in tal senso incrementano la possibilità di assunzione per gli enti locali virtuosi, a discapito di quelli nei quali la spesa di personale risulti troppo elevata rispetto alle proprie entrate.
  Rappresento, altresì, che l'11 settembre 2020 è stata pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale n. 226 la circolare interministeriale 13 maggio 2020, esplicativa del decreto ministeriale 17 marzo 2020.
  Da ultimo, evidenzio che la legge 13 ottobre 2020, n. 126 di conversione del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, recante «Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell'economia» ha introdotto all'articolo 57 il comma 3-
septies, secondo cui «A decorrere dall'anno 2021 le spese di personale riferite alle assunzioni, effettuate in data successiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, finanziate integralmente da risorse provenienti da altri soggetti, espressamente finalizzate a nuove assunzioni e previste da apposita normativa, e le corrispondenti entrate correnti poste a copertura delle stesse non rilevano ai fini della verifica del rispetto del valore soglia di cui ai commi 1, 1-bis e 2 dell'articolo 33 del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019, n. 58, per il periodo in cui è garantito il predetto finanziamento. In caso di finanziamento parziale, ai fini del predetto valore soglia non rilevano l'entrata e la spesa di personale per un importo corrispondente».
  Desidero sottolineare, infine, che il contesto emergenziale ha contribuito a definire un quadro particolare, che ha influito sull'implementazione della nuova disciplina assunzionale: in proposito, comunico che è intenzione del Governo avviare le interlocuzioni necessarie per individuare iniziative adeguate e condivise al fine di verificarne l'impatto.
  

La Ministra per la pubblica amministrazione: Fabiana Dadone.


   PALAZZOTTO e MAGI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   in un articolo pubblicato il 21 aprile 2020 sul quotidiano «La Verità» si sostiene che alcuni migranti siano in possesso dei numeri di telefono di alcuni legali di riferimento già prima della partenza dei barconi dalla Libia;

   tale notizia è stata poi ripresa anche dal sito on line de «Il Giornale»;

   a sostegno di tale tesi viene citato il caso di due giovani a bordo di una piccola imbarcazione rimasta, nei giorni a cavallo della Pasqua, in avaria nel Mediterraneo centrale che sarebbero riusciti a contattare un legale per far partire un ricorso presso la Corte europea dei diritti umani contro Italia e Malta, quando ancora la loro situazione legata al salvataggio non era risolta e il loro barcone era ancora in balìa del mare;

   i due migranti si sarebbero rivolti al legale fornendo tutti gli elementi utili che stanno alla base del ricorso;

   avrebbero affermato di essere partiti da Al Khoms, in Libia, durante la notte tra l'8 e il 9 aprile 2020 e di trovarsi a bordo di un gommone bianco e grigio;

   secondo le testimonianze dei due migranti a bordo vi erano almeno 47 passeggeri e alcuni migranti a bordo avrebbero accusato dei malori e l'avaria ha costretto il gommone a rimanere in balia delle onde per giorni;

   la pubblicazione dei nomi e cognomi dei ricorrenti da parte del quotidiano La Verità ha evidentemente e pericolosamente esposto mediaticamente i due richiedenti asilo, mettendone a rischio la sicurezza, ha creato un pericoloso precedente anche per chi, in futuro, intenderà rivolgersi alla Corte europea con questo strumento delle misure d'urgenza, previsto proprio per tutelare i diritti inviolabili delle persone;

   a parere dell'interrogante, soggetti vulnerabili e bisognosi di protezione come i migranti e i richiedenti asilo andrebbero maggiormente tutelati innanzitutto preservando i loro dati sensibili che, come accaduto, possono essere utilizzati per montare ad arte pericolose campagne mediatiche;

   per gli autori degli articoli tale episodio dimostrerebbe come i migranti siano nelle condizioni di conoscere legali di riferimento già prima della partenza dalle coste libiche, circostanza che si riterrebbe sospetta e che in sostanza sarebbe segnalata come indice di presunta connivenza;

   a parere dell'interrogante tale rappresentazione è pretestuosa, perché tende ad infangare l'operato degli avvocati che hanno il diritto e il dovere di consentire a qualunque individuo di esercitare il legittimo diritto ad essere difeso;

   nei citati articoli viene riportato il nome dell'avvocata autrice del ricorso e referente per il Lazio dell'Asgi, l'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione, di fatto la sede dello studio legale in cui esercita la professione e su «La Verità» anche la foto della stessa e i nomi dei ricorrenti, in violazione delle normative sulla privacy;

   l'articolo sembra insinuare che l'operato di tanti professionisti che in modo volontario difendono i diritti dei migranti non sia limpido e corretto e aver pubblicato nome e foto dell'avvocata ha posto la stessa e, di conseguenza quanti operano a difesa dei diritti dei migranti, al centro di una campagna diffamatoria –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere affinché i dati sensibili e le identità dei migranti e richiedenti asilo, come anche di coloro che operano in loro difesa vengano maggiormente protette, al fine di evitare pericolose esposizioni mediatiche come accaduto nel caso dei ricorrenti presso la Corte europea dei diritti dell'uomo;

   quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di assicurare la dovuta e necessaria protezione ai due ricorrenti e richiedenti asilo, nonché al loro legale, ad avviso degli interroganti esposti a seri rischi.
(4-05808)

  Risposta. — Si fa riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame per rappresentare quanto segue.
  L'interrogante richiama l'attenzione sulla necessità di assicurare una maggiore tutela dei dati sensibili dei richiedenti asilo.
  Al riguardo, si osserva preliminarmente che le informazioni e i dati personali relativi ai richiedenti protezione internazionale sono confidenziali a norma delle vigenti disposizioni in materia di tutela della
privacy. Tutte le autorità pubbliche e gli enti gestori che trattano i dati personali dei migranti per finalità legate all'accoglienza non possono quindi condividere con soggetti terzi comprese le autorità del Paese di origine dei richiedenti, le informazioni sulla domanda di protezione internazionale, né alcuna ulteriore informazione che possa mettere in pericolo il ricorrente o la sua famiglia senza, il suo consenso.
  Durante tutta la procedura di esame della domanda di protezione internazionale, vengono raccolti i dati sensibili necessari ai fini dell'identificazione dei richiedenti asilo, per la registrazione della relativa domanda, nonché per determinare lo Stato competente ai sensi del regolamento Dublino (informazioni e dati personali, impronte digitali, e altro).
  Tali dati possono essere utilizzati solo per gli scopi previsti dalla legge e sono sempre conservati, in maniera protetta e sicura, all'interno di banche dati informatiche alle quali può accedere esclusivamente il personale autorizzato e coinvolto nell'ambito delle predette procedure.
  Il personale del Ministero dell'interno, ivi incluso quello delle prefetture e delle questure, utilizza il Sistema di gestione dell'accoglienza (Sga) al fine di archiviare le diverse tipologie di evento di rintraccio dei migranti in Italia e, allo scopo; altresì, di gestire la fase di accoglienza nei centri del territorio nazionale.
  Il citato personale può accedere, pertanto, al sistema, mediante chiavi di accesso riservate, e visualizzare i dati anagrafici relativi al singolo migrante, esclusivamente: nell'ambito delle procedure di allocazione dei migranti nei sistema di accoglienza.
  L'utilizzo e la diffusione dei citati dati, per qualsiasi finalità estranea agli adempimenti amministrativi sopra descritti, è soggetto alle sanzioni amministrative e penali previste dalle disposizioni di legge in materia di tutela della sfera di riservatezza personale.
  Per l'eventuale utilizzo improprio dei predetti dati da parte dell'ente gestore della struttura ove il migrante è accolto, è prevista poi l'applicazione delle penalità previste nel contratto per la gestione del centro, secondo lo schema di capitolato d'appalto adottato, oppure, in caso di particolare gravità della violazione, la risoluzione del rapporto contrattuale.
  Per quanto riguarda, infine, il ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu): citato nell'interrogazione, presentato avverso il nostro Paese, si evidenzia che l'ufficio dell'agente del Governo italiano ha comunicato l'avvenuta rinuncia al ricorso da parte dei ricorrenti e la conseguente cancellazione dal ruolo, riferendo, altresì, di non disporre di alcun elemento tale da far supporre che vi sia stata una fuga di notizie da parte degli organi del Governo interessati.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Achille Variati.


   PALMISANO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   la riqualificazione dei dipendenti del Ministero della giustizia rappresenta un'annosa vicenda che coinvolge un rilevante numero di unità che svolgono con impegno, professionalità e competenza, la gestione dei molteplici servizi della giustizia;

   i dipendenti del Ministero della giustizia, dipartimento dell'organizzazione giudiziaria (Dog), sono gli unici del comparto Stato a non aver effettuato le procedure di riqualificazione. Si tratta di personale altamente specializzato, con competenze specifiche dirette a soddisfare le peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico che tutto l'apparato della giustizia quotidianamente richiede;

   nel dicembre 2017 l'allora Ministro della giustizia, Andrea Orlando, siglava con le organizzazioni sindacali un accordo per la riqualificazione economica di circa 9.000 unità di personale facenti parte del Dog;

   nel mese di gennaio 2019 il Ministro della giustizia ha siglato con le organizzazioni sindacali un nuovo accordo per riqualificare economicamente ulteriori 6.900 unita di personale del Dog;

   è necessario ricordare anche l'impegno e gli investimenti che da alcuni anni l'amministrazione sta facendo su progetti telematici in ambito civile e penale (giustizia digitale) per cui occorrono maggiori risorse economico-finanziarie dirette al potenziamento degli strumenti informatici e del relativo personale soprattutto nelle sedi giudiziarie più disagiate del territorio, che lamentano gravi carenze strutturali e di organico –:

   quali iniziative di competenza, alla luce di quanto descritto in premessa, il Ministro interrogato intenda porre in essere al fine di intervenire tempestivamente per la riqualificazione del personale dipendente del dicastero – dipartimento dell'organizzazione giudiziaria – che, ad oggi, è ancora in attesa di veder riconosciute in maniera adeguata le proprie competenze e la propria professionalità e che contribuisce, nonostante le difficili condizioni della maggior parte delle sedi giudiziarie, a rendere efficiente e funzionante l'intero apparato del settore della giustizia e a rispondere così alle esigenze della collettività.
(4-03094)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame l'interrogante, nel rappresentare l'esigenza della riqualificazione di un rilevante numero di unità del personale del dipartimento dell'organizzazione giudiziaria da ultimo oggetto di un accordo del 2019 per la riqualificazione economica di ulteriori 6.900 unità, ha chiesto quali iniziative si intendano intraprendere per la riqualificazione del personale del Ministero ancora in attesa di veder riconosciute le competenze e le professionalità, che, nonostante le criticità delle sedi giudiziarie, contribuiscono all'efficienza del sistema giustizia.
  Preme innanzitutto rappresentare l'elevato apprezzamento di questo Ministero per l'opera, di elevata competenza e professionalità, prestata dalle migliaia unità in servizio nel sistema giustizia e, di conseguenza, l'attenzione riservata alla necessaria valorizzazione, anche economica, del personale e dell'impegno da quest'ultimo profuso al servizio dell'amministrazione, spesso in condizioni onerose.
  Non sfugge a questa Amministrazione l'urgenza della completa attuazione delle procedure, pure articolate e complesse, prescritte per le progressioni economiche dei dipendenti legittimati: ciò nella consapevolezza della necessità, da una parte, di riconoscere il giusto valore all'esperienza e alla professionalità maturate, dall'altra, di porre gli uffici giudiziari, come anche le articolazioni dell'Amministrazione centrale, nella condizione di avvalersi dell'opera di personale esperto e motivato nell'affrontare carichi di lavoro obiettivamente onerosi e impegnativi per assicurare un adeguato «servizio giustizia».
  Ciò premesso, si ritiene opportuno segnalare la sostanziale conformità con quanto già rappresentato nella risposta all'interrogazione in oggetto, formulata dall'ufficio I – affari generali del capo dipartimento – con protocollo n. 0095872 del 16 giugno 2020, la quale riportava i dati sulle 6.928 progressioni economiche del personale dell'amministrazione giudiziaria, in quanto nessuna ulteriore procedura in merito alle progressioni economiche risulta in corso di attuazione e, dunque, unica nota da segnalare è che le predette procedure autorizzate sono in pagamento, per cui sono in lavorazione presso l'ufficio competente.
  Ciò premesso, nel dicembre 2019 è stato attuato l'accordo del dicembre 2017 mediante una procedura di selezione di 9.091 dipendenti di varie aree e profili professionali da inquadrare nei profili retributivi superiori, per un importo di euro 16.497.143,83, individuati secondo criteri di proporzionalità e di delicatezza e peculiarità delle attribuzioni professionali.
  A ciò si aggiunge che anche la procedura di attuazione dell'accordo del gennaio 2019, prevista per 6.928 unità per un importo complessivo di euro 13.001.502,00, si è conclusa con l'approvazione delle graduatorie definitive in data 13 dicembre 2019; successivamente alla redazione dei provvedimenti di inquadramento per i candidati risultati vincitori, nonché alla trasmissione degli atti all'ufficio centrale di bilancio, gli uffici competenti hanno attivato la liquidazione delle competenze.
  Per quanto concerne la riqualificazione professionale del personale, riguardante la procedura di selezione interna per il passaggio dei cancellieri nel profilo di funzionari giudiziari e degli ufficiali giudiziari in quello di funzionari Unep, si rappresenta che con il Provvedimento del direttore generale del 4 agosto 2020 prot. n. 9598 si è provveduto alla copertura di ulteriori 739 posti di funzionario giudiziario, area III FI, mediante scorrimento della graduatoria relativa alla procedura di selezione interna indetta con avviso n. 1 del 19 settembre 2016, in attuazione dell'articolo 21-
quater del decreto-legge 27 giugno 2015 n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015 n. 132.
Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   PAOLINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   secondo notizie di stampa si apprende che a Loro Piceno, un piccolo comune in provincia di Macerata, sono stati recentemente trasferiti, per decisione della prefettura locale, altri dieci immigrati, di nazionalità tunisina, precedentemente sbarcati illegalmente a Lampedusa;

   gli immigrati, che si aggiungono ad altri già distribuiti nella cittadina a metà luglio, sono stati anch'essi collocati nella struttura denominata Le Grazie ove saranno sottoposti agli esami medici per individuare eventuali positività al Covid-19 e per trascorrere il prescritto periodo di quarantena;

   Loro Piceno è un piccolo comune del maceratese con poco più di duemila abitanti e sono pertanto di tutta evidenza gli effetti negativi, sia dal punto di vista della sicurezza che sanitari, di questi continui trasferimenti di immigrati irregolari sul proprio territorio;

   sempre secondo quanto si apprende dalla stampa tali trasferimenti sarebbero stati decisi dalla prefettura senza alcuna preventiva consultazione e/o assenso né dell'amministrazione comunale né della popolazione locale –:

   quali siano le motivazioni per cui è stato deciso di collocare gli immigrati di cui in premessa nel comune di Loro Piceno e le ragioni per le quali non si è proceduto alla preventiva consultazione dell'amministrazione e comunità locali in merito a tale decisione;

   se, anche alla luce delle considerazioni di cui in premessa, non ritenga opportuno procedere alla immediata chiusura del centro Le Grazie e al trasferimento degli immigrati dal comune di Loro Piceno.
(4-06561)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo indicato in esame si rappresenta in via preliminare che la struttura alberghiera denominata «Le Grazie», ubicata nel comune di Loro Piceno (Macerata), viene utilizzata ormai da oltre un decennio come Centro di accoglienza straordinaria per migranti (Cas) e attualmente è gestita dall'associazione Praxis di Macerata, che ha partecipato al bando per l'affidamento dei servizi di gestione di centri di accoglienza per strutture con una capienza tra 50 e 100 posti aggiudicandosi il primo posto in graduatoria.
  A seguito di tale aggiudicazione, il 2 dicembre 2019 è stata stipulata una convenzione tra la prefettura di Macerata e l'associazione stessa per la gestione fino a 80 posti di richiedenti protezione internazionale.
  In merito ai trasferimenti di migranti che hanno interessato il comune di Loro Piceno, la prefettura di Macerata ha rappresentato che la struttura sopra menzionata è stata ritenuta la più congrua a garantire l'applicazione della misura sanitaria del periodo di isolamento, grazie alla presenza di stanze singole da dedicare esclusivamente al soggiorno di migranti in quarantena. Le altre strutture disponibili, difatti, site nei comuni di Appignano e di Macerata, non avrebbero permesso di garantire in maniera adeguata lo svolgimento del periodo di isolamento fiduciario senza determinare, al contempo, un pericolo di diffusione del virus tra i migranti già presenti nelle strutture. Ciò in ragione del fatto che le altre strutture disponibili non presentavano congrui spazi, idonei ad assicurare lo svolgimento del periodo di isolamento fiduciario obbligatorio.
  Va anche segnalato che nella struttura in argomento non si sono mai verificati problemi sotto il profilo sanitario, né sono mai stati riscontrati casi di persone positive al Coronavirus.
  Come riferito nell'interrogazione nello scorso mese di luglio il territorio di Loro Piceno è stato interessato da diversi trasferimenti di migranti, per un totale di 36 unità.
  L'ultimo di questi trasferimenti avvenuto verso l'albergo «Le Grazie» ha riguardato 10 cittadini tunisini provenienti dalla provincia di Agrigento. I migranti, subito sottoposti a tampone faringeo dagli operatori dell'azienda sanitaria locale, sono risultati tutti negativi al COVID-19.
  Per quanto riguarda la prospettata omessa informazione di detti trasferimenti all'Amministrazione comunale, si rappresenta che la Prefettura di Macerata ha riferito di aver informato, come di consueto, prima per le vie brevi e poi con comunicazioni formali, i sindaci interessati dal trasferimento dei migranti nel territorio di pertinenza, ancor prima dell'arrivo degli stessi nella provincia di Macerata.
  Tali comunicazioni, contenenti indicazioni specifiche sulle modalità del trasferimento dei migranti, sono state indirizzate anche alle Forze dell'ordine e all'azienda sanitaria locale incaricata di sottoporre a tampone i migranti tenuti alla quarantena obbligatoria, oltre che all'associazione responsabile della gestione del servizio.

Il Viceministro dell'interno: Vito Claudio Crimi.


   PATELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   a fronte delle migliaia di immigrati clandestini che sbarcano sulle nostre coste, molti di questi sono stati redistribuiti nelle diverse regioni e anche la regione Piemonte è stata interessata dallo smistamento degli immigrati;

   da notizie di stampa si è appreso che il 7 settembre 2020, nella città di Biella, un richiedente asilo politico, ospitato nel centro di accoglienza della città, è risultato positivo dopo esser stato sottoposto al test per Coronavirus; del resto è notizia ricorrente che molte di queste persone risultino positive al virus Covid-19, anche se in forma asintomatica;

   bisogna evidenziare che il centro di accoglienza in questione è ospitato nei locali dell'ex Hotel Colibrì, che è situato all'interno di un condominio in pieno centro della città;

   alla cittadinanza è stato assicurato che la struttura sarà presidiata 24 ore su 24 da personale qualificato e che tutti coloro che siano venuti a contatto con il contagiato osserveranno il periodo di quarantena all'interno del centro di accoglienza e senza alcuna possibilità di spostamento;

   già in precedenza, però, all'interrogante erano stati segnalati casi di promiscuità tra ospiti e altre persone all'interno dello stesso centro che non sarebbero dovuti accadere ed è inaccettabile che queste persone non rispettino le normative vigenti in Italia che tutti gli italiani seguono –:

   se intenda valutare urgentemente la ricerca di una soluzione alternativa a quella attuale che impedisca l'accesso e la libertà di movimento all'esterno degli immigrati presenti nel centro di accoglienza, al fine di evitare la diffusione del Coronavirus tra la popolazione di Biella.
(4-06772)

  Risposta. — In relazione a quanto evidenziato nell'atto di sindacato ispettivo in esame si rappresenta quanto segue.
  L'ex Hotel Colibrì – cui si fa riferimento nell'interrogazione – è stato adibito a centro di accoglienza per migranti per effetto dell'accordo quadro sottoscritto il 4 giugno 2019 tra l'ente gestore e la prefettura di Biella.
  La sede della struttura è ubicata nell'ambito di un condominio sito nel capoluogo in prossimità del centro cittadino ed il cospicuo numero di stranieri nel tempo ospitati hanno ingenerato, nel tempo, talune situazioni di disagio lamentate dai condomini ai quali è stato posto rimedio attraverso il progressivo svuotamento della struttura e la costante attività di monitoraggio posta in essere dalla prefettura citata.
  Secondo quanto riferito da quest'ultima, al fine di corrispondere all'esigenza di elevare le condizioni di sicurezza e sorveglianza all'interno della struttura, già il 28 febbraio 2020 era stata autorizzata la presenza di operatori notturni, in aggiunta alla dotazione del personale già in servizio presso il centro.
  Successivamente, il 12 e il 20 maggio 2020 la prefettura ha disposto il trasferimento di 15 migranti presso altra struttura nella disponibilità dello stesso soggetto gestore.
  Più di recente, il 7 settembre 2020, a seguito del ricovero presso il locale ospedale di un ospite del centro, rivelatosi poi positivo al COVID-19, tutti gli ospiti della struttura sono stati sottoposti a tampone.
  I migranti sono stati temporaneamente ricoverati presso un'altra struttura precedentemente predisposta dalla Asl presso il comune di Sordevolo (Biella) per l'osservanza del prescritto periodo di isolamento, mentre gli ospiti risultati negativi sono rimasti presso il centro di accoglienza Colibrì e sono stati sottoposti alla misura del confinamento fiduciario.
  Al fine di assicurare il puntuale rispetto delle prescrizioni imposte dalla Asl, la prefettura di Biella ha richiamato l'attenzione dell'ente gestore del centro di accoglienza affinché fosse adottata ogni precauzione atta a garantire l'attuazione delle misure di carattere igienico-sanitario in conformità alle prescrizioni normative vigenti e fosse raccomandato a tutti gli operatori il rigoroso rispetto dei dispositivi di protezione personale e di ogni altra misura igienica necessaria.
  Al contempo, oltre a ribadire la necessità che la struttura fosse presidiata sulle 24 ore dagli operatori del centro, è stata richiamata l'attenzione del responsabile della struttura affinché l'eventuale insorgenza di criticità fosse riferita, con immediatezza, alla prefettura summenzionata.
  In occasione di un'apposita riunione tecnica di coordinamento delle forze di polizia, svoltasi nella prefettura medesima il 7 settembre 2020, è stata disposta l'attivazione di adeguati dispositivi di controllo, volti a prevenire eventuali rischi di contagio ed evitare l'insorgenza di situazioni di allarme sociale.
  Si informa, infine, che il 17 settembre 2020, d'intesa con il sindaco del capoluogo, è stato disposto lo svuotamento del centro e i migranti sono stati trasferiti presso altra struttura di accoglienza, in cui sono stati disposti adeguati servizi di vigilanza.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Achille Variati.


   PERANTONI, D'ORSO, MARTINCIGLIO e VILLANI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   l'accesso ai dati amministrativi relativi ai centri di accoglienza presenti in Italia è stato fino a oggi sostanzialmente precluso, sia agli organi di stampa, sia agli istituti di ricerca che alla società civile. La trasparenza e la condivisione dei dati da parte delle istituzioni ha una fondamentale valenza pubblica, sia a fini comunicativi che in un'ottica di programmazione degli interventi;

   mappare la distribuzione e la tipologia delle strutture di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati sul territorio nazionale, sapere chi sono i gestori dei centri, conoscere la capienza, le presenze, la procedura di affidamento del contratto, le spese sostenute, significa sapere anzitutto a chi sono assegnate ingenti risorse per la gestione di un servizio pubblico. Si tratta di informazioni essenziali anche al fine ricostruire il funzionamento del sistema di accoglienza e valutare oculatamente i diversi modelli;

   per la pianificazione di politiche efficaci è necessaria, infatti, un'analisi seria, basata su dati concreti di cui il diritto d'accesso costituisce un imprescindibile presupposto;

   tuttavia, i dati forniti dal Ministero dell'interno sono incompleti e disomogenei e non consentono di fornire un quadro completo del sistema di accoglienza. Attualmente, l'unica fonte pubblica dove è possibile reperire alcune informazioni è la Relazione annuale dello stesso Ministero al Parlamento sul funzionamento del sistema di accoglienza;

   a seguito di un ricorso presentato dalla fondazione Openpolis e da ActionAid, un'importante sentenza del Tar Lazio, pubblicata il 29 aprile 2020, ha riconosciuto, confermandolo, il diritto di accedere ai dati sui centri di accoglienza. Un precedente importante per l'affermazione del generale diritto di accesso agli atti della pubblica amministrazione;

   ed invero, il cosiddetto Foia (Freedom of information act) consente a chiunque di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli per i quali già vige un obbligo di pubblicazione. E ciò senza dover dimostrare l'esistenza di un interesse attuale e concreto, né di motivare la richiesta, al solo fine di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico;

   una maggiore trasparenza e un diritto di accesso ai dati di interesse collettivo pienamente ed effettivamente rispettato sono di fondamentale importanza nel contrasto alla sempre attuale strumentalizzazione delle politiche migratorie –:

   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per adempiere alle prescrizioni della sentenza del Tar del Lazio di cui in premessa, al fine di garantire un controllo civico dell'operato della pubblica amministrazione per politiche maggiormente efficaci e lungimiranti.
(4-05868)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, gli onorevoli interroganti richiamano l'attenzione sulla opportunità di una maggiore trasparenza e condivisione dei dati relativi alle strutture di accoglienza per migranti presenti sul territorio, richiamando in tal senso anche una recente pronuncia del giudice amministrativo (Tar Lazio n. 4381/2020).
  Al riguardo si informa che, in ottemperanza di quest'ultima, il Ministero dell'interno ha fornito alla ricorrente associazione
Open Polis i dati riferiti all'anno 2018 e al 30 giugno 2019, rappresentando che, quanto ai dati del secondo semestre del 2019, era ancora in corso l'attività di raccolta delle informazioni necessarie per la predisposizione della Relazione al Parlamento sul funzionamento del sistema di accoglienza (riferita al 2019) che, nell'anno in corso, ha subìto gli inevitabili rallentamenti connessi al lockdown.
  Detta attività si è di recente conclusa e nei prossimi giorni, successivamente al necessario coordinamento con il Ministero dell'economia e delle finanze, sarà ultimata la versione definitiva del rapporto, i cui dati verranno comunicati in formato elettronico editabile.

  I competenti uffici del Parlamento, in sede di pubblicazione della relazione, potranno valutare la possibilità di rendere fruibili detti dati in formato elettronico e aperto.
  Sono peraltro in corso di approfondimento eventuali modalità di pubblicazione periodica dei dati forniti dalle prefetture con riguardo al sistema di accoglienza, per le quali tuttavia non si può prescindere dal tenere presente che la pubblicazione di talune informazioni va contemperato con i preminenti interessi di tutela della sfera privata e di sicurezza degli ospiti e degli enti gestori.
  

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo Sibilia.


   PITTALIS. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   tutte le attività giudiziarie, con la sola eccezione di quelle assolutamente indifferibili, sono state sospese per circa due mesi dai primi giorni del mese di marzo 2020 per le esigenze connesse alle misure di profilassi relative alla diffusione del virus «Covid-19» con la corrispondente sospensione dei termini processuali, fatto assolutamente unico nella storia italiana;

   gli operatori del diritto a tutti i livelli, e le loro rappresentanze, a cominciare dall'Organismo congressuale forense per quanto concerne gli avvocati, hanno denunciato a viva voce che la ripresa delle attività, sia sul versante dei termini e degli adempimenti, sia sul fronte dello svolgimento delle udienze, era e resta condizionata, in modo necessario e infungibile, dalla predisposizione di un piano nazionale omogeneo di procedure e risorse umane e materiali per mettere materialmente in sicurezza la giustizia e gli ambienti giudiziari, che tutt'ora ne sono privi;

   occorre tuttavia constatare che, nonostante il passaggio alla cosiddetta Fase 2 e con il riavvio delle attività giudiziarie, di questo piano nazionale non v'è traccia alcuna;

   l'emergenza nella «fase 2» è stata regolata su base territoriale in modo totalmente disomogeneo, con discipline e termini di ripresa differenziati in modo ingiustificato per i diversi settori della giustizia italiana e senza adeguate garanzie per la difesa delle parti e la tutela dei loro diritti: allo stato, lo svolgimento delle attività giudiziarie è stato disciplinato in ogni sede in modo diverso (talvolta con diversi protocolli per le diverse sezioni) con oltre duecento provvedimenti dei capi degli uffici giudiziari, una vera e propria babele. Drammatica, e del tutto abbandonata a se stessa, è poi la situazione dei giudici di pace;

   in mancanza di un orientamento uniforme, di mezzi e personale, si stanno moltiplicando per di più le prese di posizione delle rappresentanze dei magistrati e del personale, di cancelleria che, per il timore di contagi, osteggiano la ripresa delle attività lavorative in sede, anche per il noto stato di inadeguatezza della gran parte degli edifici in cui sono ubicati gli uffici giudiziari;

   di fatto e in mancanza di adeguati interventi, è ragionevole e realistico prevedere che le attività giudiziarie non riprenderanno in modo sostanziale ed effettivo in moltissime sedi quantomeno fino all'inizio del mese di settembre 2020;

   quanto sta accadendo fa anche temere che con la ripresa del decorso dei termini processuali, perdurando però gli ostacoli all'accessibilità degli uffici, i difensori delle parti non possano svolgere adeguatamente la loro funzione, con il rischio di grave danno per i diritti dei cittadini;

   tutto ciò appare ancora più drammatico se si considera che le problematiche socio-economiche che l'epidemia e la conseguente crisi economica stanno determinando fanno prevedere una significativa crescita delle esigenze di intervento della giustizia, che non sarà invece possibile attuare nel perdurare della situazione descritta, con il rischio che si inneschi una gravissima e drammatica crisi delle tutele dei cittadini e delle imprese per il lungo blocco delle attività giudiziarie;

   la «quarantena» del diritto di agire e difendersi in giudizio, insieme al «congelamento» dell'attività giudiziaria, è uno degli effetti più gravi di questa pandemia, e sembra all'interrogante che le forze di Governo l'abbiano troppo a lungo trascurata –:

   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere al fine di assicurare una disciplina uniforme dell'organizzazione di tutti i plessi giurisdizionali, per una ripresa effettiva, omogenea e al contempo sicura delle attività giudiziarie sul territorio nazionale.
(4-05674)

  Risposta. — Con riferimento all'atto parlamentare in esame si rappresenta che durante tutto il periodo di sospensione di interi settori produttivi e sociali del Paese per l'emergenza epidemiologica da COVID-19 anche l'Amministrazione giudiziaria ha dovuto fare i conti con una realtà completamente nuova, avendo continuato ad operare a regime contingentato e ridotto in relazione alle attività indifferibili ed urgenti ed affrontando difficoltà, soprattutto di carattere organizzativo del tutto inconsuete.
  Al fine di assicurare il supporto necessario connesso alle mutevoli esigenze organizzative in questo eccezionale contesto, il notevole sforzo profuso dall'Amministrazione centrale per mezzo dei dipartimenti, delle loro direzioni generali e degli organi di vertice degli uffici giudiziari ha prodotto un radicale cambiamento dell'organizzazione del lavoro degli uffici.
  Durante la fase più acuta dell'emergenza epidemiologica, l'azione di questa Amministrazione per gli uffici giudiziari e amministrativi si è sviluppata attraverso provvedimenti volti a fornire le prime indicazioni e chiarimenti a supporto degli stessi circa le misure da adottarsi ai fini della prevenzione del contagio (direttiva del 23 febbraio 2020, circolari del 24 febbraio 2020, del 27 febbraio e del 6 marzo 2020).
  Successivamente, in seguito all'emanazione del decreto n. 18 del 17 marzo 2020, la direttiva del 19 marzo 2020 ha recepito quanto stabilito nell'articolo 87 del citato decreto, individuando in particolare nel «lavoro agile la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa
»; le misure governative hanno pertanto limitato la presenza del personale negli uffici per assicurare esclusivamente le attività indifferibili, elencate nell'articolo 83 del suindicato decreto e richiedenti necessariamente la presenza sul luogo di lavoro, anche in ragione della gestione dell'emergenza in deroga agli accordi individuali e agli obblighi informativi previsti dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81.
  Il decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28 ha fissato al 31 luglio la data di cessazione del periodo di «emergenza sanitaria» durante il quale dovevano essere prese misure eccezionali in tema di organizzazione del lavoro, così come in tema di attività giudiziaria, dal circuito territoriale di autogoverno dei capi degli uffici giudiziari, mediante inevitabili e opportune interlocuzioni con le istituzioni locali.
  La circolare del 2 maggio 2020 ha approntato ulteriori misure organizzative necessarie a sostenere il graduale e progressivo ampliamento delle attività giurisdizionali e amministrative, in seguito all'allentamento delle misure di
lockdown con relativa ripresa della mobilità sociale.
  Durante questo complesso periodo di rimodulazione organizzativa, l'amministrazione ha avuto modo di interagire con i vertici degli uffici giudiziari, con i direttori amministrativi e con le organizzazioni sindacali sia attraverso l'emanazione e la trasmissione di direttive e circolari che utilizzando nuovi metodi di comunicazione quali le
call conference, al fine di consentire la corretta e immediata impostazione dell'attività e il presidio delle necessità e di monitorare in maniera tempestiva e prendere in carico le situazioni di maggiore criticità.
  In tutte le comunicazioni (direttive o circolari), questa Amministrazione si è costantemente rivolta ai capi degli uffici giudiziari e ai dirigenti amministrativi dell'intero territorio, invitandoli a continuare a procedere con precise progettualità di
smart working anche in relazione alle mansioni suscettibili di adeguarsi all'utilizzo degli applicativi messi a disposizione da remoto e ad adoperarsi per l'ampia adozione degli strumenti informatici messi a disposizione per qualunque esigenza di carattere amministrativo ritenuto utile alle finalità di contenimento del contagio.
  Questa Amministrazione ha inoltre assicurato il supporto delle competenti direzioni generali per la risoluzione di profili specifici in caso di difficoltà di carattere organizzativo o tecnico nel tracciare adeguati ordini di servizio.
  È stata inoltre richiamata l'attenzione dei vertici degli uffici sul fatto che anche un ampio ventaglio di altri istituti contrattuali e di strumenti organizzativi del lavoro possono concorrere a plasmare un quadro complessivo di flessibilità lavorativa nel periodo emergenziale e che tali strumenti, uniti al lavoro agile, sono fondamentali per venire incontro a specifiche esigenze sia del singolo dipendente che dell'ufficio in ragione del contesto territoriale di riferimento.
  In particolare, sono stati valorizzati gli istituti delle ferie pregresse, del congedo, della banca ore e della rotazione, oltre che la possibile motivata esenzione dal servizio del personale impossibilitato a fruire di tali istituti, fermo restando che tale periodo di esenzione costituisce servizio prestato a tutti gli effetti di legge.
  Proprio per garantire la più ampia utilizzazione di progetti di flessibilità per tutti i dipendenti e grazie al lavoro della direzione generale dei sistemi informativi e automatizzati e della direzione generale del personale e della formazione, l'amministrazione è andata oltre quanto imposto dal dettato normativo, mettendo a disposizione di tutti i dipendenti numerosi applicativi (Calliope, SCRIPT@, SICOGE, SIAMM, sistemi di
call conference, Teams e Skype for Business, piattaforma E-learning) con tecnologia che consente di accedere ai medesimi anche da remoto.
  Per il personale necessariamente presente in ufficio, considerato anche il numero sempre crescente di operatori del diritto che si stanno riversando negli uffici durante la cosiddetta fase due, le amministrazioni giudiziarie locali e centrali sono già state ampiamente informate della possibilità di applicare una scansione oraria sensibilmente diversa da quella in uso, attraverso i vari strumenti contrattuali che consentono questa flessibilità anche organizzativa (orario flessibile, turnazioni, orario multiperiodale, turnazione dei servizi di cancelleria e
co-working).
  Con la necessaria ripresa delle attività giudiziarie ed amministrative è stato inevitabile prevedere una modulazione quantitativa del personale amministrativo negli uffici (ancorata comunque all'evolversi della situazione epidemiologica nazionale e locale); tali valutazioni non potranno che essere oggetto del prudente apprezzamento degli organi di vertice degli uffici giudiziari, sulla scorta delle linee guida dell'amministrazione ma, in particolar modo, attraverso un opportuno raccordo con le istituzioni locali, regionali e sanitarie.
  Infatti, fermo restando il ricorso al lavoro agile quale modalità ordinaria di svolgimento dell'attività lavorativa fino alla fine del periodo emergenziale, la possibilità di incremento di organico in presenza dovrà essere contemperata nondimeno alla quantità di trasporto pubblico locale, necessario in fase di ripresa delle normali attività, con prudente avvertimento di procedere con gradualità specie nei contesti con sviluppo epidemico ancora sostenuto.
  Proprio per questo motivo tra le prime indicazioni e prescrizioni fornite agli uffici, specie a quelli di vertice distrettuale, c'è stata quella di operare in stretto contatto con le Ats locali, creando ove possibile una vera e propria «cabina di regia», essendo imprescindibili le indicazioni sanitarie le competenze del Ministero della salute e delle regioni, quali autorità sanitarie competenti sul territorio.
  Dall'avvio della cosiddetta fase due degli uffici hanno potuto riattivare le attività amministrativo-giudiziarie, attenendosi alle linee guida dettate dalle varie direzioni competenti e avviando una maggiore e giusta interlocuzione con gli ordini degli avvocati in modo che possano modulare al meglio le opportunità offerte.
  Non sfugge a questa direzione generale l'esigenza dell'uniformità e della omogeneità dei protocolli quanto a tipologia di misure adottate e l'amministrazione seguirà tale evoluzione, cercando, per l'appunto, di uniformare eccessive differenze organizzative e soprattutto per supportare gli uffici giudiziari in questo travagliato periodo.
  La scelta di demandare ai capi degli uffici l'adozione di misure organizzative volte a consentire la trattazione degli affari giudiziari nel rispetto delle indicazioni igienico-sanitarie dettate per prevenire la diffusione del virus COVID-19 (sentiti l'autorità sanitaria regionale per il tramite del presidente della regione e il consiglio dell'ordine degli avvocati), nasce proprio dalla necessità di differenziare la risposta organizzativa del sistema giustizia rispetto ad una diffusione non omogenea dell'epidemia sul territorio nazionale.
  In tale contesto l'adozione di linee guida uniformi, così come proposto dagli interroganti, avrebbe potuto determinare alternativamente un eccessivo rallentamento dell'attività giudiziaria ovvero, in caso contrario, un'eccessiva esposizione al rischio di proliferazione di nuovi contagi.
  È sembrato pertanto opportuno adottare uno strumento flessibile, onde consentire una ripresa delle attività in modo differenziato nelle diverse realtà territoriali, lasciando alla responsabilità dei dirigenti a livello locale, sulla base dell'andamento della curva epidemiologica nei distretti e nei circondari di riferimento, il compito di contemperare la salvaguardia di diritti fondamentali quali sono quello alla salute e quello alla tutela giurisdizionale.
  Tale scelta innegabilmente può comportare gli inconvenienti evidenziati dagli interroganti, che tuttavia non debbono considerarsi inaccettabili se parametrati a quelli che certamente deriverebbero dall'adozione di un modello centralizzato, per le ragioni sopra esposte.
  Ciò non esclude, peraltro, nel caso di mutamento della situazione epidemiologica con sostanziale allineamento della diffusione della pandemia su tutto il territorio nazionale, un eventuale nuovo intervento volto ad uniformare le soluzioni organizzative.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   PITTALIS. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   a decorrere dal 1° gennaio 2020, a quanto consta all'interrogante, è andato in pensione il dirigente amministrativo che ricopriva l'incarico di funzionario delegato per le spese di giustizia del distretto della corte d'appello di Cagliari – sezione distaccata di Sassari;

   da quel momento risulterebbe che siano rimasti bloccati i pagamenti delle fatture relative al patrocinio a spese dello Stato e ciò accade nonostante l'avvenuto accreditamento delle somme necessarie;

   numerose e reiterate richieste sono state avanzate dai professionisti, dalle rappresentanze istituzionali dell'Avvocatura (a cominciare dall'Ordine degli avvocati di Nuoro) e anche dall'ufficio territoriale competente, affinché si procedesse con urgenza alla nomina del nuovo funzionario delegato;

   tali istanze, però, ad oggi risulterebbero, non solo inevase, ma prive di qualunque riscontro;

   le legittime istanze degli interessati sono ormai pressanti e indifferibili: gli stessi attendono da mesi il pagamento delle rispettive competenze –:

   quali siano gli orientamenti del Governo in relazione a quanto sopra esposto e quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di provvedere con la massima urgenza alla nomina del nuovo dirigente e, in ogni caso, al fine di consentire di evadere le pratiche in attesa di definizione.
(4-06533)

  Risposta. — Con l'atto parlamentare in esame l'interrogante ha rappresentato che a decorrere dal 1° gennaio 2020 è andato in pensione il dirigente amministrativo che ricopriva l'incarico di funzionario delegato per le spese di giustizia del distretto della corte d'appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari e che da quel momento sarebbero rimasti bloccati i pagamenti delle fatture relative al patrocinio a spese dello Stato nonostante l'avvenuto accreditamento delle somme necessarie, mentre risultano inevase e prive di riscontro le numerose e reiterate richieste avanzate dai professionisti, dalle rappresentanze istituzionali dell'Avvocatura (a cominciare dall'ordine degli avvocati di Nuoro) e anche dall'ufficio territoriale competente, affinché si procedesse con urgenza alla nomina del nuovo funzionario delegato.
  Ha chiesto pertanto «quali siano gli orientamenti del Governo in relazione a quanto sopra esposto e quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di provvedere con la massima urgenza alla nomina del nuovo dirigente e, in ogni caso, al fine di consentire di evadere le pratiche in attesa di definizione».
  Preme innanzitutto evidenziare che le spese di giustizia sono spese obbligatorie derivanti direttamente dall'attività giudiziaria, sul cui pagamento finale incidono molteplici fattori, quali i tempi di liquidazione da parte degli uffici giudiziari, il trasferimento del pagamento dagli uffici del circondario a quelli distrettuali, l'elevata parcellizzazione in un numero elevatissimo di liquidazioni anche di modesto importo in favore di svariati soggetti ed infine il sempre maggiore aumento delle spese rispetto agli stanziamenti di bilancio.
  Si rappresenta in particolare che le spese di giustizia, principalmente imputabili ai costi crescenti della spesa per il gratuito patrocinio, sono in costante aumento, essendo passate da 178 milioni del 2012 fino ai 395 milioni circa del 2019; ordini di pagamento per cospicue somme sono stati emessi per il pagamento dei debiti del 2020 e per il ripianamento dei debiti del 2019.
  Peraltro, proprio in considerazione dell'impatto dell'emergenza sanitaria anche sulle spese di giustizia, la legge 17 luglio 2020, n. 77 di conversione del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, recante misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19 (decreto rilancio) ha introdotto l'articolo 220
-bis, che assegna a questo Ministero uno stanziamento di 20 milioni di euro per l'anno 2020, sul capitolo 1360, finalizzato a contenere l'impatto economico sulle attività professionali conseguente all'emergenza sanitaria da COVID-19, da destinare alla corresponsione dei crediti maturati e non pagati relativi alle prestazioni professionali nell'ambito del patrocinio a spese dello Stato di cui agli articoli 82 e seguenti del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, in riferimento agli anni pregressi.
  Proprio in considerazione delle esigenze sottese ai pagamenti delle spese di giustizia, l'elevatissima attenzione del Ministero al tema si è tradotta anche nell'emissione di circolari ed indicazioni agli uffici giudiziari sulla tempestività dei pagamenti, su tempi e modalità della liquidazione, sull'interpretazione e applicazione del Testo unico sulle spese di giustizia, nonché sulla liquidazione ed i conseguenti adempimenti del funzionario delegato.
  Con specifico riferimento alla situazione della sezione distaccata di Sassari, si rappresenta che il Ministero si è tempestivamente attivato proprio per prevenire la vacanza del posto di funzionario delegato ai pagamenti prevista per l'inizio del 2020, ma la mancanza di disponibilità di dirigenti non ha consentito un rapido avvicendamento.
  Il servizio di pagamento resta comunque garantito dal momento che, ai sensi della legge n. 240 del 2006, le funzioni del dirigente delegato possono essere sussidiariamente svolte dal capo dell'ufficio giudiziario con la collaborazione del personale in servizio per la fase preparatoria ed istruttoria.
  Proprio al fine di evitare disservizi, la delicata questione sollevata dall'interrogante è stata affrontata dal mio Dicastero con grande sollecitudine; può essere comunque considerata assolutamente rassicurante la circostanza che la gestione del servizio di pagamento delle spese di giustizia è comunque destinata a proseguire senza soluzione di continuità, grazie alla legittimazione sussidiaria del capo dell'ufficio.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto riportato sulle principali testate giornalistiche, a Roma è stato organizzato un party di Capodanno «illegale» all'interno di un palazzo occupato, in via Santa Croce in Gerusalemme, nel quartiere Esquilino, dove ha sede Spin Time Labs e dove, recentemente, era stato ospitato il primo incontro nazionale delle sardine;

   l'evento, pubblicizzato anche su Facebook, prometteva «un Capodanno aperto, giovane, frocio, libero e ribelle»; economico, ma non gratuito, con un prezzo di favore per occupanti ed indigenti, con sette cenoni con cucina di altrettanti Paesi, il tutto, prevedibilmente, senza la necessaria licenza per la somministrazione di cibi e bevande e in violazione delle norme di sicurezza;

   nonostante la diffida trasmessa dalla questura di Roma, che ha vietato l'evento per motivi di sicurezza, la notte di Capodanno ha avuto luogo la festa programmata: secondo il Messaggero, si parla di un giro di affari di almeno 80 mila euro, tra ingressi e consumazioni in nero, denunciando altresì risse, malori, proteste, minacce di denunce per truffa, residenti esasperati dal caos e richieste di aiuto al 112 e al 118;

   la procura della Capitale sta indagando per «manifestazione non autorizzata» sulla festa a cui hanno partecipato quasi 5 mila persone;

   nell'immobile abitano circa 450 persone, tra cui diversi minorenni e, nel corso degli anni, gli occupanti avrebbero accumulato un debito di circa 300 mila euro, tanto da costringere la società che eroga l'energia a mettere i sigilli al contatore e staccare la corrente;

   da tempo viene denunciato il business degli occupanti, che organizzano eventi, corsi e stampano anche una rivista;

   sempre il citato quotidiano romano, riportando la notizia della denuncia effettuata nei confronti del centro sociale, ha ribadito che «Spin Time è una zona franca, dove la polizia non può entrare», e «quindi, non può effettuare nessun controllo sulle uscite di emergenza (assenti), sulle vie di fuga (assenti), sui permessi per la somministrazione di cibi e bevande (assenti), sui buttafuori (assenti), per non parlare degli spacciatori che qui sanno di poter agire indisturbati: un'illegalità ostentata che rappresenta un caso unico, uno sfregio, ad esempio, a quei locali tradizionali che, invece (giustamente), sono chiamati al rispetto minuzioso delle leggi» –:

   per quali motivazioni non siano ancora state adottate le iniziative di competenza per lo sgombero dell'immobile di cui in premessa, né lo stesso risulti ancora inserito nel piano degli sgomberi da ultimo predisposto dal prefetto di Roma il 18 luglio 2019;

   quali urgenti iniziative di competenza intenda adottare per garantire lo sgombero immediato dell'immobile occupato senza titolo, restituendo il bene ai legittimi proprietari e ripristinando le necessarie condizioni di legalità;

   come sia stato possibile che venisse organizzato, nonostante la diffida tempestivamente notificata dal questore di Roma, un evento di tale portata a pagamento, senza rispettare alcuna norma di sicurezza, fiscale e commerciale.
(4-04505)

  Risposta. — Con riferimento ai quesiti posti dall'interrogante con l'atto di sindacato ispettivo in esame, si rappresenta quanto segue.
  L'immobile sito nella via romana di Santa Croce in Gerusalemme è stato occupato arbitrariamente il 12 ottobre 2013 da un gruppo di circa 300 persone sostenute dal movimento per il diritto all'abitare «
Action»; occupazione denunciata nell'imminenza dei fatti dalla proprietà, cui ha fatto seguito l'instaurazione di un procedimento penale.
  In relazione ai festeggiamenti di Capodanno 2020, svoltisi nonostante la diffida del questore di Roma, gli organizzatori dell'evento sono stati deferiti dall'autorità giudiziaria competente per apertura abusiva di luoghi di pubblico spettacolo, inosservanza di un provvedimento dell'autorità, omessa dichiarazione di reddito, abusiva diffusione di opere musicali in assenza di preventiva comunicazione alla Siae.
  Le problematiche relative all'occupazione dello stabile in parola, legate soprattutto all'inidoneità dello stesso ad ospitare in via permanente nuclei familiari, sono state più volte oggetto di esame in sede di comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica.
  In particolare, tale analisi è stata condotta nell'ambito del monitoraggio svolto dal medesimo comitato ed esteso a tutto l'
hinterland romano con particolare riguardo alla valutazione delle condizioni necessarie, sotto il profilo dell'ordine e della sicurezza pubblica, ad eseguire eventuali sgomberi, individuando le persone in condizioni di vulnerabilità e, con il supporto dei servizi sociali del comune di Roma, intraprendendo le iniziative necessarie a garantire il diritto all'assistenza che, come più volte rimarcato dal Consiglio d'Europa, va obbligatoriamente assicurata ai soggetti fragili presenti tra gli occupanti.
  Nella primavera di quest'anno, inoltre, nell'ambito del procedimento penale instaurato presso la locale procura della Repubblica in conseguenza della denuncia/querela presentata dalla proprietà, il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Roma ha emesso il decreto di sequestro preventivo dell'immobile di via Santa Croce in Gerusalemme.
  In seguito a tale provvedimento la prefettura di Roma ha avviato, in collaborazione con tutti gli enti interessati, le verifiche istruttorie propedeutiche alla programmazione dello sgombero dello stabile, previo suo inserimento nel piano degli interventi di sgombero, in applicazione dei criteri di priorità fissati dalla stessa prefettura.
  Più in generale si evidenzia come il fenomeno delle occupazioni abusive assuma connotazioni differenziate a seconda della realtà urbana interessata, presentando, in alcuni contesti profili particolarmente complessi, come nel caso di città dalle dimensioni particolarmente estese.
  In alcuni casi, infatti, gli occupanti sono nuclei familiari in condizioni di disagio economico e sociale, mentre in altri sono riconducibili a settori dell'antagonismo di diversa estrazione ideologica o gruppi di matrice anarchica, anche nell'ambito della cosiddetta campagna per il «
diritto all'abitare».
  Una realtà così articolata, che determina varie forme di illegalità diffusa, impone un approccio attento e ponderato da parte di molteplici amministrazioni, senza dimenticare che, in un'ottica realmente preventiva, risulta fondamentale lo sviluppo di politiche che sappiano dare risposta alle situazioni di marginalità e di emergenza abitativa, mantenendo fermo il rispetto rigoroso della legge e la salvaguardia dei diritti dei proprietari.
  In tale contesto, i prefetti, nell'ambito dei comitati provinciali per l'ordine e la sicurezza pubblica, estesi alla partecipazione dei rappresentanti degli enti territoriali e dell'autorità giudiziaria, sono impegnati in una puntuale ed efficace programmazione degli sgomberi che, richiedono una scrupolosa e complessa attività preparatoria.
  Nel 2019 sono state eseguite 296 operazioni di sgombero di rilievo, sull'intero territorio nazionale, 20 delle quali hanno prodotto criticità sotto il profilo dell'ordine e della sicurezza pubblica. Nel corso di tali attività, 19 persone sono state arrestate e 220 denunciate in stato di libertà, mentre 22 operatori delle forze dell'ordine e 4 civili sono rimasti feriti.
  Sul punto, il Ministro dell'interno ha sollecitato il massimo impegno delle Forze dell'ordine non solo per il supporto agli interventi programmati, quanto, soprattutto, per impedire, in chiave preventiva, i tentativi di nuove occupazioni ed il consolidarsi di situazioni di illegalità diffusa.

Il Viceministro dell'interno: Matteo Mauri.


   SERRACCHIANI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   in data 2 giugno 2020 il segretario provinciale del Sap Lorenzo Tamaro, sulla testata onlineTriestePrima (http://www.triesteprima.it) sosteneva che nell'ultimo periodo gli arrivi di migranti che giungono nel capoluogo regionale dalla Rotta balcanica sono, secondo Tamaro «triplicati rispetto allo stesso mese dell'anno scorso», mese in cui a capo del Ministero dell'interno c'era ancora Matteo Salvini;

   il Sap lamentava altresì la mancata aggregazione «di personale della Polizia di Frontiera proveniente da altre città»;

   in data 6 giugno 2020, sulla testata onlineTriesteCafè (https://triestecafe.it) il segretario generale provinciale Fsp polizia di Stato Alessio Edoardo dichiarava che «ad oggi, sono giunti a Trieste nelle fasce temporali annunciate: Questura, 19 operatori, 17 dal corso allievi agenti e 2 dai trasferimenti ordinari, Scuola Allievi Agenti, 4 operatori che sono però già in forza in provincia e non fanno testo, Polizia di Frontiera terrestre, 5 operatori, tutti dalle scuole, Polizia di Frontiera Marittima, 1 operatore dal corso allievi più 1 trasferimento ordinario, Polizia Ferroviaria, 1 operatore più 1 in trasferimento ordinario e nulla è più provvisto per il momento dalla documentazione inviata dal Ministero», concludendo che «il numero è 26 operatori, per quanto riguarda il ruolo Agenti proveniente dalle scuole, più 4 operatori dai trasferimenti ordinari per un totale di 30 unità»;

   in data 6 giugno, sulla testata onlineTriestePrima (http://www.triesteprima.it), il Siulp, in relazione all'aumento degli arrivi di migranti via terra dalla Slovenia, denuncia che i poliziotti sono «costretti a fare massacranti doppi e tripli turni consecutivi durante questi quotidiani rintracci, perché gli organici registrano una contrazione di oltre 100 unità negli ultimi anni per la sola Questura»;

   il Siulp evidenzia, inoltre, che «tutta la parte processualpenalistica afferente l'ipotesi di reato prevista dall'ingresso illegale (articolo 10-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998) ed amministrativa afferente la protezione internazionale secondo la Convenzione di Ginevra del '51 viene scaricata solamente sui Poliziotti così come il fotosegnalamento che è esclusiva competenza della Polizia di Stato» –:

   quale sia il numero ufficiale delle assegnazioni e dei trasferimenti ordinari di personale di polizia che, al netto delle uscite, hanno riguardato la regione Friuli Venezia Giulia, dall'inizio dell'anno, con particolare riguardo alla provincia di Trieste, particolarmente interessata dal fenomeno della «rotta balcanica»;

   se siano previste, nel corso dell'anno, altre assegnazioni di personale e quali altri provvedimenti specifici, anche in sinergia con gli enti territoriali, si intendano prendere per fronteggiare adeguatamente un possibile aumento degli arrivi con l'avanzare della stagione estiva.
(4-06044)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si riferisce quanto segue.
  Nella provincia di Trieste sono attualmente presenti 939 unità della polizia di Stato di cui 420 assegnate alla questura. Relativamente al potenziamento di detto personale, si rappresenta che, nell'aprile 2020, è stata disposta l'assegnazione di 23 unità (di cui 10 alla questura di Trieste e 13 nei restanti uffici della polizia di Stato). Mentre è programmata l'assegnazione di un ulteriore aliquota entro la fine dell'anno.
  In relazione alle criticità conseguenti ai flussi migratori provenienti dalla «rotta balcanica», si rappresenta che è stato disposto che un'aliquota di personale composta da operatori della polizia di Stato e militari dell'arma dei carabinieri e della guardia di finanza sia dedicata ogni giorno esclusivamente al rintraccio dei migranti e all'espletamento dei complessi aspetti burocratici relativi alla trattazione giuridica degli stranieri.
  Va anche rilevato che sul piano delle misure poste in essere, con particolare riferimento alla provincia di Trieste, il Ministero dell'interno ha assegnato a questo ambito territoriale un contingente di 180 militari delle forze armate, nell'ambito dell'operazione «Strade Sicure».
  Dall'inizio dell'anno e fino al 21 settembre 2020, al confine italo-sloveno risultano rintracciati 3.369 migranti irregolari, a fronte dei 2.745 dello stesso periodo del 2019. Tuttavia, va rilevato che, le riammissioni verso la Slovenia sono più che quadruplicate.
  In particolare, dal 1° gennaio al 21 settembre 2020, sono state effettuate 962 riammissioni, a fronte delle 250 dell'analogo periodo dell'anno precedente.
  Si assicura, in conclusione, che il Governo sta lavorando, in un clima di piena collaborazione, con quello sloveno al fine di garantire soluzioni idonee ed efficaci per il contrasto dell'immigrazione irregolare.

Il Viceministro dell'interno: Matteo Mauri.


   SODANO, PERCONTI, DAVIDE AIELLO, MARTINCIGLIO e GRILLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   Pozzallo, Porto Empedocle, Lampedusa e Trapani sono i quattro principali porti siciliani che stanno affrontando e gestendo i continui sbarchi di clandestini provenienti dalle coste libiche e tunisine;

   l'hotspot di Lampedusa, in particolare, è completamente saturo, avendo di gran lunga superato il limite massimo della sua capienza. L'unico padiglione attualmente rimasto operativo conta più di 900 extracomunitari;

   non diverge la situazione all'interno del centro di accoglienza di Porto Empedocle, dove il primo cittadino ha con insistenza richiesto un tempestivo intervento da parte delle istituzioni per consentire il trasferimento degli ospiti in eccedenza;

   in queste strutture, tra l'altro, nate per facilitare le operazioni di riconoscimento e registrazione di dati personali dei cittadini stranieri appena sbarcati, vengono regolarmente effettuati tutti i controlli sanitari per il Covid-19, prima di provvedere allo smistamento presso le singole strutture di accoglienza permanente;

   sono state riscontrate e denunciate tutta una serie di gravi irregolarità perpetratesi all'interno degli hotspot quali le scarse condizioni igienico-sanitarie: i migranti vengono ammassati e stipati in camerate promiscue che non consentono alcun distanziamento sociale ed alcuna forma di prevenzione per contrastare il rischio di contagio;

   all'interno della tensostruttura non è possibile isolare i casi covid-positivi già accertati ed organizzare gli spostamenti in quarantena, rendendo di fatto il rischio epidemiologico altamente probabile e non solo paventato;

   peraltro, i centri di accoglienza in cui vengono successivamente dislocati i clandestini sono strutture fatiscenti ed inadeguate, tanto da non garantire alcuna misura di controllo e di vigilanza per chi è tenuto ad osservare i quattordici giorni di sorveglianza sanitaria;

   le condizioni – così descritte – dei richiedenti asilo destano forti preoccupazioni perché inumane e degradanti e ledono i diritti fondamentali della persona, oltre a rappresentare una vera e propria minaccia di ordine sociale ed un pericolo per la salute pubblica;

   le forze dell'ordine sono quotidianamente costrette a sacrificare la normale attività di controllo del territorio per far fronte all'emergenza migratoria e necessitano pertanto del supporto di nuove unità di personale per evitare il collasso;

   nelle ultime ore è scoppiato un vero e proprio caos a seguito di due fughe di massa: 139 tunisini hanno abbandonato la quarantena del Cara di Pian del Lago e sono stati rintracciati a Caltanissetta. Stessa scena a Porto Empedocle, dove 520 migranti sono stati riuniti in una tensostruttura con una capienza di 100 persone ed alcuni sono scappati;

   ad alimentare il malcontento e l'esasperazione dei siciliani è, non soltanto, la paura di una possibile diffusione del contagio ma, soprattutto, le pesanti ripercussioni prevedibili sul versante turistico;

   siffatta situazione non può essere demandata esclusivamente alla responsabilità dei sindaci e delle amministrazioni locali –:

   quali iniziative, con carattere di urgenza, intenda adottare per risolvere la situazione di sovraffollamento dei centri di prima accoglienza e per scongiurare il rischio epidemiologico;

   se, in ragione delle perdite economiche sul fronte turistico e del disagio prodotto ai comuni interessati dall'emergenza migratoria, ritenga doveroso adottare iniziative per destinare delle somme a titolo di risarcimento danni;

   se e quali iniziative intenda adottare, anche in futuro, per contenere e mitigare il fenomeno degli sbarchi di extracomunitari sulle coste del Sud-Italia, al fine di salvaguardare non solo le condizioni umane di chi cerca asilo, ma soprattutto per preservare l'incolumità delle comunità ospitanti;

   quali iniziative di competenza intenda assumere per sensibilizzare gli Stati europei sulla comune responsabilità dell'accoglienza e stimolare una maggiore cooperazione e solidarietà.
(4-06480)

  Risposta. — In relazione a quanto evidenziato nell'atto di sindacato ispettivo in esame, si fa preliminarmente presente che il Ministero dell'interno ha attivato sin dall'inizio dell'emergenza derivante dal virus Covid-19, tutte le necessarie misure di prevenzione del contagio all'interno del sistema di accoglienza.
  Si fa riferimento, in particolare, all'adozione delle generalizzate misure di quarantena e dei provvedimenti igienico-sanitari all'interno dei centri di accoglienza, relativi anche alla distanza interpersonale, al divieto di assembramento, all'individuazione di specifici spazi per l'isolamento fiduciario per le persone risultate positive al virus.
  Per l'attuazione delle misure di contenimento dei rischio sanitario il capo dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno è stato nominato, con decreto del capo dipartimento della protezione civile del 12 aprile 2020 n. 1287, soggetto attuatore «per assicurare il rispetto delle misure di isolamento fiduciario e di quarantena adottate per contrastare la diffusione epidemiologica da Covid-19, nei riguardi delle persone soccorse in mare> ovvero giunte sul territorio nazionale a seguito di sbarchi autonomi».
  Per fare fronte all'esigenza di assicurare ulteriori posti per la quarantena migranti sbarcati, nonché per alleggerire la pressione sui centri, sono state effettuate le procedure di gara per il noleggio di unità navali da adibire alla sorveglianza sanitaria dei migranti sbarcati.
  Le navi attualmente utilizzate per la quarantena dei migranti sono cinque (Gnv Azzurra, Gnv Aurelia, Gnv Allegra, Gnv Rhapsody e Snav Adriatico).
  Nel rammentare che il soggetto attuatore è stato incaricato nel mese di settembre dell'attuazione delle misure anti Covid anche nei riguardi dei migranti che arrivano attraverso le frontiere terrestri, si precisa che per l'esigenza di sorveglianza sanitaria, si è ricorso, oltre che alle navi, ad apposite strutture, individuate dalle prefetture competenti, che vengono utilizzate anche per i migranti rintracciati presso le frontiere terrestri.
  In particolare si tratta di:
  14 strutture specifiche per l'applicazione delle misure di prevenzione anti-Covid;
  diverse aree adibite alla quarantena in alcuni centri governativi preesistenti.
  Per quanto concerne le iniziative intraprese a livello internazionale in tema di politiche migratorie, nell'ottica di rafforzare l'impegno con i Paesi di partenza dei flussi migratori più consistenti, il 13 luglio 2020, il Ministro dell'interno ha promosso un vertice ministeriale a Trieste, d'intesa con la Commissione europea e la Presidenza di turno tedesca, al quale hanno partecipato i Commissari europei Johansson e Vàrhelyi, i Ministri dell'interno di Germania, Francia, Spagna e Malta e gli omologhi di Libia, Tunisia, Algeria, Marocco e Mauritania.
  L'iniziativa è stata finalizzata alla prevenzione ed al contrasto alla rete del traffico di migranti, mediante la condivisione di misure per il rafforzamento della dimensione esterna della politica di sicurezza dell'Unione.
  È stato, inoltre, dato particolare impulso alle relazioni bilaterali, in particolare con Libia, Tunisia e Algeria, territori che attraversano una fase politica complessa e dai quali proviene la massima parte dei flussi migratori via mare. In tale quadro, il 17 agosto 2020, il Ministro dell'interno si è recata a Tunisi, insieme al Ministro Di Maio ed ai Commissari europei Varhelyi e Johansson.
  La visita è stata finalizzata a rafforzare i capisaldi della politica italiana ed europea verso quel Paese, che si articola nella ripresa delle operazioni di rimpatrio dal 16 luglio 2020, dopo la sospensione di quattro mesi dovuta alla crisi epidemiologica, e nel sostegno alle attività di lotta ai trafficanti e di rafforzamento del controllo delle frontiere.
  Nello stesso quadro di partenariato tra la sponda europea ed africana del Mediterraneo, si colloca la visita del Ministro dell'interno ad Algeri il 15 settembre 2020, per incontrare il presidente della Repubblica algerina, Tebboune, e i Ministri dell'interno e degli esteri.
  In tale occasione, sono state intraprese iniziative per la cooperazione tra le forze di polizia al fine di prevenire e contrastare la criminalità e il terrorismo, con particolare riferimento al crimine transnazionale, al traffico di stupefacenti, ai reati economici e finanziari, alla tratta di persone e al traffico dei migranti.
  Nella visita in Algeria è stato condiviso l'impegno all'attuazione di nuovi modelli operativi, in particolare per le procedure di rimpatrio di migranti irregolari algerini che giungono in Sardegna, al fine di renderle più efficienti e di velocizzarne l'esecuzione.
  Va sottolineato anche che recentemente è stata presentata da parte della Presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen la proposta di una nuova
governance europea della gestione delle migrazioni.
  Si tratta di un primo step atteso da diversi mesi, con il quale si avvierà, una fase cruciale di negoziati per la riforma della strategia complessiva migratoria dell'Unione europea.
  Per quanto concerne, invece, l'attività di contrasto al traffico dei migranti via mare, si fa presente che è ancora attiva l'operazione
Themis, coordinata dal Ministero dell'interno – Dipartimento della pubblica sicurezza – con l'agenzia Frontex; operazione finalizzata alla sorveglianza marittima delle coste nazionali, consistente nel pattugliamento congiunto nel Mediterraneo centrale; sono già in corso incontri bilaterali con l'Agenzia Frontex per la redazione del nuovo piano operativo a decorrere dal febbraio 2021.
  In merito alla situazione dell'
hotspot di Lampedusa, cui si fa riferimento nell'atto di sindacato ispettivo, si rappresenta che in considerazione del numero di arrivi e al fine di decongestionare l'isola sono state individuate in Sicilia 12 strutture per l'esecuzione delle misure di sorveglianza sanitaria nei confronti dei migranti.
  Sono state, inoltre, predisposte, nei centri di prima accoglienza di Catania e Siracusa, specifiche aree finalizzate all'attuazione della sorveglianza sanitaria.
  Come già accennato, il quadro dell'organizzazione per l'attuazione delle misure di prevenzione del contagio da Covid-19 si completa con l'utilizzo delle cosiddette «Navi quarantena», tutte attualmente operative in Sicilia.
  In occasione degli imbarchi di migranti dall'
hotspot di Lampedusa sulle navi quarantena, è stato adottato un dispositivo di vigilanza con l'ausilio di unità navali della guardia di finanza e della capitaneria di porto e di reparti delle forze dell'ordine.
  Più in generale, presso tutte le strutture di accoglienza destinate alla quarantena è costantemente attivo un dispositivo di vigilanza apprestato dalle Forze dell'ordine e con il concorso dei militari dell'Esercito italiano, impiegati nell'operazione «Strade Sicure».
  Inoltre, al fine di garantire all'
hotspot di Lampedusa maggiori standard di sicurezza, sono in via di ultimazione specifici interventi volti all'adeguamento e ampliamento della capacità ricettiva della struttura, che attualmente è pari a 192 posti.
  Si assicura che l'impegno del Governo per Lampedusa è, dunque, costante e si articola su più livelli di intervento; ne costituisce prova tangibile anche il recente decreto-legge cosiddetto «Agosto» n. 111 del 2020, con il quale sono state previste specifiche misure per la ripresa economica dell'isola.
  

Il Viceministro dell'interno: Matteo Mauri.


   STUMPO. — Al Ministro dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   l'Associazione dei ricercatori a tempo determinato, ARTeD, nasce dall'esigenza di un gruppo di ricercatori a tempo determinato (Rtd) afferenti a diversi atenei italiani di unirsi, chiarire le problematiche relative alla figura del ricercatore a tempo determinato, proporsi come interlocutori di vari soggetti istituzionali (universitari, ministeriali e politici) e prendere parte attiva nella difesa e nella promozione della ricerca e dei ricercatori nel mondo accademico;

   la figura del ricercatore a tempo determinato, nata nel 2005 con la legge n. 230 e successivamente modificata nel 2010 con la legge n. 240, ha rappresentato la precarizzazione del ruolo di ricercatore universitario (ex Ru), rivelandosi soggetta a numerose incongruenze legislative e di difficile inserimento pratico nell'università;

   nel 2020 la maternità è ancora fonte di inaccettabili discriminazioni nei confronti delle lavoratrici italiane, specialmente delle ricercatrici a tempo determinato di tipo B che sono in attesa da anni di vedere realizzata la prospettiva dell'assunzione a tempo indeterminato nei ranghi di professoresse associate e che si trovano invece bloccate a causa della maternità da una legge che, invece di tutelarle, le penalizza;

   infatti, il comma 635 dell'articolo 1 della legge n. 205 del 2017 (legge di bilancio 2018) ha introdotto all'articolo 24, comma 9-ter, della legge n. 240 del 2010 la sospensione e proroga automatica dei contratti a tempo determinato per i 5 mesi di astensione obbligatoria del congedo di maternità. Questo genera nei confronti delle ricercatrici a tempo determinato di tipo B l'effetto perverso di ritardare il loro passaggio a professori associati e di costringerle per mesi aggiuntivi a un trattamento economico inferiore rispetto a quello che avrebbero ricevuto se non si fossero trovate nello stato di gravidanza;

   la citata norma pone le ricercatrici a tempo determinato di tipo B nell'alternativa di dover rinunziare alla maternità oppure di doverla vivere come una penalizzazione della carriera, imponendo un ritardo obbligatorio e automatico di carriera e di stipendio anche quando sono presenti i titoli per il passaggio a professore associato per la sola circostanza della maternità;

   si tratta di un esito probabilmente non voluto di un intervento di riforma confezionato in modo frettoloso e inavveduto, un intervento che risulta gravemente in contrasto con i princìpi e i valori fondanti della Costituzione italiana e della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;

   negli atenei italiani si è diffuso il clamore e l'indignazione per la citata norma, ed ARTeD ha sollecitato un intervento per modificare l'articolo 24, comma 9-ter, della legge citata, nel senso di rendere quantomeno facoltativa e di rimettere al consenso della lavoratrice l'applicazione della proroga del contratto;

   per rispondere alle esigenze delle ricercatrici a tempo determinato ARTeD ha proposto di aggiungere all'attuale formulazione della norma la seguente disposizione: «Per i contratti RTD tipo B, la proroga del termine di scadenza è rimessa alla scelta della ricercatrice». Tale modifica consentirebbe, infatti, alle ricercatrici a tempo determinato di tipo B di rinunziare alla proroga qualora fossero già in possesso dell'abilitazione scientifica nazionale (Asn) e dei titoli per il passaggio ad associato, evitando loro così il ritardo discriminatorio nella progressione di carriera e stipendiale –:

   se non intenda prendere in considerazione la proposta di ARTeD illustrata in premessa e, quindi, adottare iniziative per affrontare e risolvere la discriminazione nella progressione di carriera e stipendiale evidenziata nei confronti delle ricercatrici a tempo determinato di tipo B.
(4-05878)

  Risposta. — Sin dal suo insediamento, il Ministero di cui mi onoro di avere la responsabilità ha prestato particolare attenzione ed ha ritenuto meritevole di tutela l'esigenza manifestata dall'Associazione dei ricercatori a tempo determinato (ARTeD), e, successivamente, sostenuta anche da parte parlamentare, di un intervento di modifica dell'articolo 24, comma 9-ter, della legge n. 240 del 2010 volto a tutelare le ricercatrici cosiddette di tipo b) che si trovino ad usufruire del congedo obbligatorio di maternità nel corso del proprio contratto di ricerca, contemperando il diritto alla maternità e alla salute della ricercatrice, con la tutela del diritto della stessa alla immissione nel ruolo di professore associato, senza ritardo, nella progressione di carriera ed economica.
  Come noto, l'articolo 24, comma 9-
ter, della legge n. 240 del 2010 – introdotto con il comma 635 della legge n. 605 del 2017 – prevedeva, a decorrere dal 2018, la sospensione e la proroga dei contratti delle ricercatrici a tempo determinato, per la durata dell'astensione obbligatoria per maternità.
  La norma ha avuto, in quel momento, sicuramente il merito di riconoscere, per la prima volta, la doverosa tutela della maternità ad una categoria, quella delle ricercatrici a tempo determinato, caratterizzata, senza dubbio, da una configurazione giuridica del tutto peculiare. Tuttavia, la previsione di un meccanismo automatico di proroga penalizzava le ricercatrici già in possesso dei requisiti richiesti per il passaggio a professore associato poiché ritardava il passaggio a tale qualifica e il conseguente accesso al relativo trattamento economico.
  Alla luce di quanto sopra, la richiesta presentata, tra gli altri, dall'associazione ARTeD di rimettere la scelta di prorogare la durata del contratto in capo alla ricercatrice, è stata tradotta in una specifica disposizione, introdotta, in sede di conversione del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (decreto-legge cosiddetto Semplificazioni), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120.
  Il citato articolo 19, al comma 1, lettera f-
bis), ha sostituito il comma 9-ter dell'articolo 24 della legge n. 240 del 2010 prevedendo, in particolare, per le ricercatrici a tempo determinato di tipo b) che: «... il periodo di congedo obbligatorio di maternità è computato nell'ambito della durata triennale del contratto e, in caso di esito positivo della valutazione di cui al comma 5, il titolare del contratto è inquadrato, alla scadenza del contratto stesso, nel ruolo dei professori associati. Fermo restando quanto previsto dal presente comma, i titolari dei contratti di cui al comma 3, lettera b), possono chiedere, entro la scadenza del contratto, la proroga dello stesso per un periodo non superiore a quello del congedo obbligatorio di maternità...».
  Pertanto, ai sensi della nuova disposizione le ricercatrici a tempo determinato di tipo b) (Rtdb) – che abbiano fruito del congedo per maternità obbligatoria e non abbiano chiesto la proroga del contratto – qualora siano oggetto di valutazione positiva, ai sensi del comma 5 del citato articolo 24, sono immesse, senza ritardo, nel ruolo di professori associati a decorrere dalla scadenza della durata triennale del contratto di ricerca e non più dalla scadenza determinata, ai sensi della previgente normativa, dalla proroga automatica dello stesso.
  Ciò non esclude, in ogni caso, come già detto, la facoltà della ricercatrice di chiedere la proroga della durata del contratto, prima della scadenza dello stesso, per un periodo non superiore a quello del congedo obbligatorio. Il riconoscimento di tale facoltà è, infatti, volto a garantire alla ricercatrice madre la possibilità di svolgere a pieno le attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti previste dal contratto, nei casi in cui la ricercatrice non abbia potuto attendervi compiutamente, in conseguenza del congedo obbligatorio.
  La norma è, dunque, oggi idonea a tutelare pienamente le donne ricercatrici nell'università, coniugando due interessi di primaria rilevanza: l'insopprimibile tutela della maternità e la tutela delle prospettive di carriera.
  Inoltre, al fine di disciplinare in modo completo ed organico la fattispecie in questione, il nuovo comma 9-
ter prevede un regime transitorio per i contratti di ricerca che siano in essere all'atto dell'entrata in vigore della nuova disciplina e che siano stati già prorogati automaticamente per maternità ai sensi del previgente comma 9-ter. In tali ipotesi, è previsto che l'Rtdb possa chiedere che il periodo di congedo sia computato nell'ambito della durata triennale del contratto. Qualora, pertanto, la proroga ex lege abbia già operato, alle Rtdb è riconosciuta la possibilità di ricomprendere il periodo di congedo obbligatorio nell'ambito della durata originaria del contratto di ricerca, al fine di consentire il perfezionamento senza ritardo della progressione di carriera. In tal modo, è assicurata sostanziale parità di trattamento nell'applicazione della disciplina di maggior favore introdotta dal nuovo comma 9-ter.
  Posto tutto quanto sopra, per completezza di informazione, si rappresenta che con il primo e secondo periodo della nuova disposizione si è provveduto altresì a chiarire ciò che era stato già previsto, ma non esplicitato, dal previgente comma 9-
ter: vale a dire che la disciplina della maternità, applicabile alle ricercatrici di tipo a) (Rtda e di tipo b) Rtdb), non può essere diversa dal regime previsto dal decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 12 luglio 2007 e già esteso sia alle assegniste di ricerca (dall'articolo 22, comma 6, della stessa legge Gelmini) sia alle dottorande (dall'articolo 12, comma 6, del decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca 8 febbraio 2013, n. 45). In particolare, l'esplicito richiamo al citato decreto ministeriale comporta l'applicazione alle ricercatrici a tempo determinato di tipo a) del regime di proroga del contratto in forza del congedo obbligatorio (180 giorni, ai sensi dell'articolo 4) e della corresponsione dell'indennità di maternità da parte dell'Inps (articolo 5). Tale indennità, spettante anche alle Rtdb continua a essere integrata dalle università, fino a concorrenza dell'intero importo dell'assegno di ricerca, per entrambe le categorie di ricercatrici.
  

Il Ministro dell'università e della ricerca: Gaetano Manfredi.


   SUT. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   la casa circondariale di Pordenone è ubicata nell'antico castello cittadino, una fortezza adibita a struttura di detenzione a partire dalla fine del XIX secolo;

   il penitenziario ha una capienza di 38 posti, a fronte di un'effettiva presenza di detenuti che si avvicina spesso al doppio della sua capacità di contenimento;

   il sovraffollamento della casa circondariale di Pordenone è stato a più riprese portato all'attenzione del Ministero della giustizia e dei parlamentari eletti nel territorio;

   risale al gennaio del corrente anno l'appello del sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe) al Ministero della giustizia, in cui si segnalava la presenza di 64 detenuti all'interno della struttura e dell'urgente necessità di rinforzo della pianta organica relativa agli agenti di polizia penitenziaria operanti al suo interno;

   nell'ambito del cosiddetto «Piano carceri», inserito nella legge 13 dicembre 2010, n. 220, e al fine di sopperire al sopracitato sovraffollamento della casa circondariale di Pordenone, il Comitato di indirizzo e controllo del Ministero della giustizia approvava la realizzazione di un nuovo penitenziario da 300 posti, nell'ex caserma Dall'Armi situata nel vicino comune di San Vito al Tagliamento (Pn);

   come fedelmente ricostruito nella risposta del Ministero alla richiesta di sollecite notizie (prot. n. 21246), inoltrata dall'interrogante nel settembre dello scorso anno alla segreteria del Ministro interrogato (risposta elaborata dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria – direzione generale del personale e delle risorse sulla base anche degli elementi acquisiti dal competente provveditorato interregionale per le opere pubbliche) l'esecuzione dei lavori di costruzione del nuovo penitenziario è stata interrotta dal ricorso, presentato con richiesta di sospensiva dall'impresa Pizzarotti & C spa, risultata seconda classificata in sede di gara, indetta dal provveditorato interregionale per le opere pubbliche, contro l'aggiudicataria provvisoria C.o.v.e.c.o scpa, ora Kostruttiva soc. coop. in associazione con Riccesi spa, poi divenuta aggiudicataria definitiva con determina del R.d.P. n. 38347 del 18 novembre 2015;

   i successivi passaggi della vicenda giudiziaria in questione sono stati debitamente illustrati nella suddetta nota del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria;

   tra di essi, particolare riferimento va posto al subentro dell'impresa Pizzarotti & C spa, disposto dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 5753/2018, con conseguente riforma della precedente pronunzia del Tar del Friuli Venezia Giulia n. 87/2016;

   la predetta pronuncia del Consiglio di Stato ha annullato gli atti con cui era stata disposta l'ammissione alla gara per la società Kostruttiva s.c.p.a, dichiarando l'inefficacia del contratto di appalto per la costruzione del nuovo penitenziario, stipulato dalla Kostruttiva s.c.p.a a seguito, dell'aggiudicazione definitiva;

   il subentro dell'impresa Pizzarotti alla prima aggiudicataria Kostruttiva è stato di recente confermato dalla sentenza della Corte di Cassazione del 20 gennaio 2020;

   attualmente, i lavori del cantiere per il nuovo carcere di San Vito al Tagliamento sono interrotti, in attesa della pronunzia dell'Avvocatura di Stato, finalizzata ad accertare le condizioni economiche di subentro dell'impresa Pizzarotti alla prima aggiudicataria Kostruttiva –:

   se sia a conoscenza di ulteriori elementi di natura amministrativa, utili a completare il quadro generale della vicenda esposta in premessa, in funzione di una sua quanto più celere risoluzione e a vantaggio della ripresa dei lavori per la realizzazione del penitenziario di San Vito al Tagliamento (Pn).
(4-06793)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante riferisce del sovraffollamento della casa circondariale di Pordenone, anche con riferimento al numero di operatori penitenziari, quindi del progetto di realizzazione del nuovo istituto penitenziario in san Vito al Tagliamento, pur rallentato dal contenzioso amministrativo, sollevando quesito circa ulteriori notizie, anche tese a velocizzare la ripresa dei lavori.
  Orbene, quanto al riferito sovraffollamento, alla data del 6 ottobre 2020, presso la casa circondariale di Pordenone risultavano presenti un totale di n. 57 detenuti (di cui 23 di nazionalità italiana) rispetto a una capienza regolamentare pari a complessivi n. 37 posti disponibili, rilevandosi un indice percentuale di affollamento pari al 154,05 per cento.
  In ogni caso, non risultano violazioni dei parametri minimi di vivibilità stabiliti dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, atteso che 33 ristretti risultano fruire, allo stato, di spazi superiori ai 4 metri quadrati, mentre i restanti 23 detenuti risultano allocati in spazi compresi tra i 3 e i 4 metri quadrati.
  Con riguardo alla riferita carenza degli organici del corpo di polizia penitenziaria, come riferito in sede di risposta ad analoghe interrogazioni sul tema, si rappresenta che la riduzione complessiva degli organici operata dalla cosiddetta legge Madia e rivista dal successivo intervento normativo ha rimodulato la dotazione complessiva del corpo della polizia penitenziaria, passata da 44.610 unità a 41.202 unità, da ultimo implementata a 41.667 unità.
  Pertanto, allo stato, si osserva un divario tra organico del corpo di polizia penitenziaria previsto (41.667 unità) e organico effettivamente presente (37.654) pari al 9,63 per cento, sebbene risultano presenti nel ruolo agenti/assistenti del Corpo 33.495 unità, cioè, 2.105 in più rispetto all'organico previsto per lo stesso ruolo, pari a 31.390.
  Quanto all'organico di polizia penitenziaria della casa circondariale di Pordenone si rileva una differenza formale di 4 unità tra la dotazione organica prevista, pari a 53 unità e quella amministrata, pari a 49, con carenza maggiore (due presenze su 11 e 4 su 6) quanto al ruolo degli ispettori e dei sovrintendenti, peraltro comune alla generalità degli istituti del Paese, per effetto delle riduzioni suesposte.
  Per far fronte alla rilevata carenza di personale, si rappresenta che sono già state attivate le procedure per il concorso interno a complessivi n. 2.851 posti per la nomina alla qualifica iniziale di vice sovrintendente del ruolo maschile e femminile del corpo, in ossequio a quanto disposto dal decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 95, in materia di revisione dei ruoli delle forze di polizia.
  Relativamente alla carenza nel ruolo degli ispettori, invece, si segnala che è stato indetto un concorso interno, per titoli, a complessivi n. 691 posti (606 uomini e 85 donne) per l'accesso alla qualifica iniziale del ruolo degli ispettori del corpo; pertanto, all'esito della relativa procedura concorsuale, come in analoghi casi, si terrà nella massima considerazione la situazione di relativa carenza di personale che connota il penitenziario di Pordenone, attraverso l'assegnazione di un congruo numero di unità del corpo.
  Peraltro, mi pregio segnalare, che l'organico dell'istituto in argomento è stato comunque incrementato di n. 9 unità maschili e n. 2 unità femminile del ruolo agenti/assistenti, in occasione delle assegnazioni del 175°, 176° e 177° corso allievi agenti, avvenute nei mesi di marzo e aprile 2020.
  Passando al tema della prevista realizzazione nuovo istituto penitenziario di San Vito al Tagliamento, va evidenziato come trattasi di attività a cura del provveditorato interregionale per le opere pubbliche del Triveneto.
  In ogni caso, risulta non ancora perfezionato, allo stato, il subentro contrattuale dell'impresa «Pizzarotti & Co. S.p.A.», seconda classificata nel corso della procedura di gara, poiché sussistono ancora divergenze giuridiche sulle modalità del subentro e che, pertanto, si è in attesa di precipui provvedimenti da parte della magistratura amministrativa nel tempo adita.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   TONELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   è ormai ufficiale che il dipartimento della pubblica sicurezza ha stabilito di non poter inviare i tradizionali rinforzi estivi sull'intero territorio nazionale, sembra per carenza di risorse economiche da impiegare per i trattamenti di missione degli operatori e per le spese di logistica, dagli alloggi al vitto;

   stando alle indicazioni diramate alle questure e alle prefetture, i presidi estivi potranno aprire solo con proprie risorse umane – che sono strutturalmente sotto organico da anni – senza trasferimenti da parte del Ministero, con la conseguenza di abbandonare i territori periferici al loro destino con un pessimo segnale che lo Stato manda a livello locale;

   in riviera romagnola, infatti, è stato possibile aprire solo Riccione e Bellaria dei tradizionali presidi estivi, ovviamente solo con personale locale, mentre Cervia e Cesenatico non apriranno e, nel caso di Cervia, sarà la prima volta che il posto di polizia stagionale della questura resterà chiuso dopo sessanta anni e in autunno si valuteranno poi gli effetti di questa grave mancanza;

   la decisione è grave con riguardo alla riviera romagnola, visti i fatti di cronaca che puntualmente si leggono sulla stampa, soprattutto all'indomani del fine settimana, ma lo è anche in generale, con riguardo a tutte le località turistiche italiane che in estate vedono raddoppiate le presenze e che quest'anno avrebbero maggiormente bisogno di rinforzi al fine di garantire ai cittadini e ai turisti il necessario ordine pubblico e la sicurezza, anche sanitaria, che l'emergenza sanitaria da Covid-19 impone al fine di evitare assembramenti e per mettere le imprese del turismo in condizioni di lavorare in tutta tranquillità;

   nel caso della riviera romagnola persino il prefetto Alessandra Camporota ha sollecitato il Ministero ad un ripensamento evidenziando «le caratteristiche e le specificità di un territorio che dal turismo trae linfa vitale», oltre alle forti preoccupazioni espresse dai sindacati di Polizia Sap, Uil e Usip, dalle associazioni di categoria degli operatori turistici e dalle autorità locali, e la stessa cosa vale anche per le altre località italiane a maggiore vocazione turistica;

   tale decisione, peraltro, denota una mancanza di capacità di valutare le priorità e le esigenze di sicurezza e ordine pubblico sul territorio italiano nel momento in cui il Parlamento sta convertendo il decreto-legge cosiddetto rilancio nel quale, con lungimiranza, si potevano stanziare le necessarie risorse per garantire ai turisti di andare in vacanza serenamente nelle località italiane e alle imprese turistiche di lavorare bene per limitare il più possibile i danni economici determinati dalla pandemia; peraltro, non si comprende come mai tali risorse scarseggino, visto che già la legge di bilancio per il 2020 aveva provveduto a stanziare fondi per il dipartimento della P.S. –:

   se intenda chiarire quanto prima la questione dell'invio dei rinforzi estivi nelle tradizionali località turistiche italiane, di conseguenza adottando le opportune iniziative per garantire un adeguato livello di sicurezza e ordine pubblico, alla luce dell'ulteriore fattore derivante dall'emergenza sanitaria da Covid-19, e contribuire, in tal modo, anche al rilancio del settore turistico italiano duramente colpito dalla crisi economica che si è determinata a seguito dell'emergenza sanitaria.
(4-06282)

  Risposta. — con riferimento ai contenuti dell'atto di sindacato ispettivo in esame, si riferisce quanto segue.
  Va preliminarmente osservato che l'emergenza epidemiologica da COVID-19 ha imposto l'adozione di misure straordinarie di contenimento alla luce delle quali non è risultato possibile predisporre, per la stagione estiva in corso, un piano di potenziamento dei servizi di vigilanza, concordato a livello interforze, nelle località ove è prevista una maggiore affluenza turistica.
  Tuttavia, vista la necessità di potenziare l'attività di controllo del territorio in determinati comuni, è stata prevista l'attivazione di posti di polizia a carattere temporaneo, con l'impiego di personale della locale questura, così come espressamente richiesto dalle autorità di pubblica sicurezza.
  I profili evidenziati dall'interrogante sono stati affrontati dalla prefettura di Rimini in diverse sedute del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica al fine di garantire sia il rispetto delle misure di contenimento della diffusione del virus, sia la vigilanza nel periodo estivo in un'ottica di prevenzione del crimine.
  In tale direzione la questura di Rimini – il cui organico è stato integrato con l'assegnazione permanente e definitiva di 22 agenti, operativi dallo scorso mese di giugno – ha elaborato un piano operativo denominato «Estate 2020-Operazione Alto Impatto» per i territori comunali della riviera riminese, in base al quale si è proceduto con l'apertura dei posti di polizia stagionali a Riccione e a Bellaria-Igea e con la intensificazione dei servizi di controllo del territorio nella città di Rimini.
  Tale piano ha previsto l'invio, dal 1° luglio al 31 agosto 2020, di 7 equipaggi del reparto prevenzione crimine, ai quali si sono aggiunti ulteriori 3 equipaggi dal 15 luglio e fino al 15 agosto.
  Inoltre, in considerazione del previsto afflusso dei turisti, delle unità in forza al compartimento polizia ferroviaria per l'Emilia-Romagna sono state poste a disposizione della sezione polizia ferroviaria di Rimini dal 1° luglio al 31 agosto 2020.
  Per quanto concerne l'Arma dei carabinieri, si informa che il comando provinciale, per la stagione estiva, ha anch'esso previsto unità di rinforzo per i mesi di luglio e agosto del corrente anno.
  Nel territorio in questione opera anche la guardia di finanza, mediante il reparto operativo aeronavale e un dispositivo composto dai Reparti territoriali alle dipendenze del comando provinciale.
  Va rilevato che la corretta gestione degli eventi della stagione estiva, non ha potuto prescindere da una strategia complessiva in grado di coniugare le esigenze di tutela della sicurezza pubblica con le misure di contrasto alla diffusione del COVID-19. Al riguardo, è risultata fondamentale la collaborazione tra le amministrazioni comunali e le forze dell'ordine, ferme restando le responsabilità a carico degli organizzatori di eventi che, per prevenire la diffusione del contagio, sono stati tenuti a munirsi di tutti gli strumenti di controllo previsti dalle norme vigenti.
  La collaborazione con le Amministrazioni comunali ha costituito una necessaria applicazione del «Patto per la sicurezza avanzata nella provincia di Rimini», la cui applicazione ha posto in particolare risalto il ruolo dei sindaci dei comuni del litorale marittimo, impegnati nell'adozione di specifiche ordinanze balneari annuali volte a elevare gli
standard di sicurezza con apposite prescrizioni sull'uso delle spiagge, nel rispetto delle normative vigenti.
  Concludendo, si assicura che le forze dell'ordine, sulla base delle valutazioni condivise nelle periodiche riunioni del comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica, continueranno a garantire, con l'impegno e la professionalità di sempre, adeguati livelli di sicurezza.

Il Viceministro dell'interno: Matteo Mauri.


   TONELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   su «La Stampa», il giornalista Domenico Quirico ha pubblicato, il 29 giugno 2020, un'inchiesta sulle modalità di svolgimento del concorso per l'accesso alla magistratura;

   l'articolo ipotizza gravissimi fatti astrattamente inficianti la regolarità del concorso di magistratura la cui prova scritta si svolse i giorni 20-21 e 22 maggio 1992 e, forse, anche il concorso dell'anno 2000, essendo emersa dalla documentazione acquisita da un ricorrente, fra le altre cose, la presenza di segni di riconoscimento, nonché di errori elementari di diritto negli elaborati di alcuni vincenti;

   da quelli dei promossi spuntano segni di riconoscimento lasciati sui fogli e errori grossolani di diritto, spuntano «orrori» e segni di riconoscimento lasciati sui fogli, come saltare le prime righe, o scrivere solo una parte delle facciate, o cambi di calligrafia in punti chiave;

   dai verbali dei lavori della commissione risulta che la valutazione media su ciascun candidato è durata tre minuti. La cosa singolare, è che, in questo tempo così esiguo, sarebbero stati letti e giudicati collegialmente i tre elaborati scritti;

   un candidato bocciato ai concorsi del 1992 e del 2000, l'avvocato Pierpaolo Berardi, dopo una serie di innumerevoli ricorsi, è finalmente riuscito ad acquisire la completa documentazione del concorso 1992, facendo emergere un sofisticato e truffaldino sistema, grazie al quale, gli elaborati di taluni candidati erano agevolmente individuabili. Erano evidentemente quelli dei candidati che dovevano essere ammessi in ogni caso all'orale;

   l'articolo de «La Stampa» è stato ripreso il 3 luglio 2020 dal professore Guido Neppi Modona, già vice presidente della Corte costituzionale, in un commento pubblicato su «Il Dubbio»;

   dopo l'articolo di Quirico non sono state registrate reazioni di carattere istituzionale;

   né il Consiglio superiore della magistratura, né l'Associazione nazionale magistrati, tante volte così solleciti nell'ergersi a paladini del buon nome e dell'onore della magistratura italiana, hanno stavolta «proferito verbo»;

   tutto questo per l'interrogante potrebbe far pensare che forse, decine di magistrati in carica siano stati selezionati in questi decenni, attraverso «loschi traffici»;

   sorge secondo l'interrogante il sospetto che altrettanti candidati meritevoli possano esser stati bocciati solo per far loro posto;

   l'acquisizione, qualora esistente, della documentazione alla quale si riferirebbero gli articoli in questione nonché l'espletamento di un'adeguata istruttoria in merito ai fatti denunciati da detta stampa, potrebbe essere funzionale a verificare se sussistano fatti/condotte rilevanti ai fini delle competenze del Consiglio superiore della magistratura –:

   se il Ministro interrogato abbia adottato iniziative, per quanto di competenza, anche di carattere ispettivo, in relazione a quanto denunciato negli articoli di Domenico Quirico e del professore Guido Neppi Modona;

   quali iniziative, anche di carattere normativo, intenda adottare per evitare che quanto denunciato possa ripetersi in futuro.
(4-06620)

  Risposta. — Nell'atto parlamentare in esame l'interrogante, traendo spunto da due recenti articoli di stampa relativi a presunte irregolarità nello svolgimento delle procedure di concorso per l'accesso in magistratura svoltesi negli anni 1992 e 2000, ha chiesto se siano state adottate iniziative anche di carattere ispettivo in relazione a quanto indicato nell'inchiesta riportata e quali iniziative, anche di carattere normativo, si intendano adottare per evitare che detti fenomeni possano ripetersi.
  La disciplina dello svolgimento del concorso in magistratura è contenuta nelle disposizioni di cui al decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, nell'articolo 1, comma 1, lettera
a), della legge 25 luglio 2005, n. 150 e nel regio decreto 19 luglio 1924, n. 1218.
  Si tratta di una disciplina che delinea un complesso meccanismo procedimentale volto a garantire l'anonimato degli elaborati scritti (le prove scritte prevedono, infatti, la redazione di tre elaborati, nelle materie del diritto civile, penale ed amministrativo).
  Per lo svolgimento del tema il candidato ha a disposizione otto ore dalla dettatura della traccia.
  La commissione viene nominata dal Consiglio superiore della magistratura (Csm) non prima di quindici giorni l'inizio delle prove, a salvaguardia della correttezza delle operazioni concorsuali (l'esigenza della operatività piena dei soggetti coinvolti nella gestione della prove va contemperata con quella di mantenere più a lungo possibile la segretezza sui nominativi di coloro che saranno chiamati a scegliere gli argomenti oggetto di prova ed a correggere successivamente gli elaborati).
  Dopo la nomina da parte del Csm, interviene un decreto ministeriale di recepimento della delibera di nomina, cui consegue l'insediamento della commissione e l'inizio dei lavori.
  Dunque i componenti non hanno modo di conoscersi prima rispetto all'inizio delle prove; la commissione si insedia nelle giornate dedicate al controllo codici e testi di legge, presentati dai candidati per il controllo preventivo, prima di essere utilizzati nel corso delle prove scritte.
  Subito dopo, espletate le operazioni preliminari di identificazione e controllo codici, cui sono dedicate 2 giornate, in considerazione dell'elevatissimo numero di partecipanti, la procedura si articola in altre 3 giornate, nel corso delle quali i candidati sono chiamati a sostenere le prove scritte.
  A tal fine, la commissione decide giorno per giorno quale sarà la materia oggetto di prova di esame; non esiste infatti un ordine prestabilito.
  Per fare ciò, i componenti si riuniscono intorno alle 6.30 del mattino, in modo da essere pronti per la dettatura della traccia il prima possibile.
  A tale scopo i componenti raggiungono la sede scortati dalla polizia penitenziaria e non possono utilizzare cellulari o altri strumenti per la trasmissione di dati.
  Vengono fatti accomodare in una sala preventivamente bonificata.
  Partecipa alla seduta, per la redazione del verbale, il segretario amministrativo, scelto tra coloro che prestano servizio nell'Amministrazione (i segretari appartengono alla terza area, come definita dai Ccnl).
  Dopo la scelta della materia e la discussione, si procede con la relazione di tre tracce di temi, che vengono chiuse in un plico, siglato dal presidente e dal segretario. La commissione a questo punto, sempre scortata dalla polizia penitenziaria, raggiunge le aule di esame; in ogni padiglione vi è un comitato di vigilanza.
  Il presidente prima di procedere con la dettatura invita un candidato a presentarsi al banco della commissione per constatare l'integrità dei plichi e per procedere con la scelta della busta.
  Effettuata la scelta, si procede con la lettura, anche delle tracce non scelte, e dunque con la dettatura.
  Viene redatto verbale di tutte le operazioni concorsuali.
  Per quel che riguarda nello specifico le modalità di svolgimento della prova scritta e le misure previste per garantire l'anonimato nella fase della relativa correzione, si richiama la previsione di cui all'articolo 8 del regio decreto sopra citato a norma del quale «Al candidato sono consegnate in ciascuno dei giorni di esame due buste di eguale colore, una grande munita di un tagliando con numero progressivo ed una piccola contenente un cartoncino bianco; sul tagliando deve essere scritto il numero corrispondente a quello segnato sulla tessera di riconoscimento inviata al candidato.
  Le buste residue, oltre quelle consegnate ai candidati, sono chiuse in piego suggellato con il bollo dell'ufficio. Sul piego appongono la firma il presidente o chi ne fa le veci, un componente della Commissione ed il segretario.
  Detto piego non può essere aperto se non per trarne le buste da consegnare eventualmente ai candidati che le richiedono in sostituzione di buste deteriorate che devono essere restituite; in tal caso le buste residue comprese quelle deteriorate sono chiuse in altro piego suggellato e firmato come è stabilito dal precedente comma n. 2».
  Il numero di dette buste deve corrispondere alla differenza fra il numero delle buste rimesse al presidente in ciascun giorno delle prove e quelle consegnate ai candidati.
  Il candidato, dopo svolto il tema, senza apporvi sottoscrizione né altro contrassegno, mette il foglio o i fogli nella busta più grande (scrive il proprio nome, cognome e paternità nel cartoncino e lo chiude nella busta piccola, pone quindi anche la busta piccola nella grande che richiude e consegna al presidente od a chi ne fa le veci, esibendo la tessera di riconoscimento; il presidente, o chi ne fa le veci, dopo aver accertato che il numero segnato sul tagliando corrisponde a quello della tessera, appone la sua firma trasversalmente sulle buste in modo che vi resti compreso il lembo di chiusura e la restante parte della busta stessa).
  Nel giorno e nell'ora che saranno indicati dal presidente alla chiusura delle prove, la commissione in seduta plenaria, alla presenza di dieci candidati designati dal presidente e tempestivamente avvertiti, verifica l'integrità dei sigilli e delle firme, apre i pieghi contenenti i lavori, raggruppa le tre buste aventi lo stesso numero, e, dopo aver staccato i tagliandi le chiude in un'unica busta più grande. Su questa viene apposto un numero progressivo, soltanto quando è ultimata l'operazione di raggruppamento per tutti i lavori, avendo cura di rimescolare le buste prima di apporre il numero.
  Tutte le buste debitamente numerate sono poi raccolte in piego suggellato con le stesse formalità indicate nel secondo comma.
  Tali adempimenti, minuziosamente descritti dalla normativa citata, hanno lo scopo di consentire la correzione in forma anonima da parte della commissione; nelle buste contenenti gli elaborati infatti vi è una bustina, chiusa, contenente un cartoncino recante le generalità del candidato, compilato a cura del candidato stesso durante le prove e da questi inserito nella bustina che viene chiusa e rimane tale fino al termine di tutte le correzioni.
  Va inoltre rimarcato che alle operazioni di raggruppamento partecipano i candidati, appositamente invitati durante le prove, di modo da consentire, con la loro presenza, un controllo ulteriore sulla regolarità delle operazioni concorsuali.
  Anche in questo caso di tutte le operazioni viene redatto verbale, firmato dal presidente e dal segretario.
  Subito dopo la commissione redige i criteri che presiederanno alle correzioni, alla presenza di tutti i componenti, e procede con le correzioni.
  Al fine di consentire una puntuale, uniforme e condivisa applicazione dei criteri da parte di tutti i componenti, nell'interesse dei candidati, prima che i medesimi componenti entrino a far parte delle sottocommissioni e dunque dei collegi corrispondenti alle materie oggetto di prova, la normativa prevede che la correzione delle prime 20 buste avvenga in seduta plenaria.
  Il calendario con i turni settimanali è redatto dal presidente, secondo criteri di avvicendamento; ciascuna sottocommissione è assistita da un segretario.
  In caso di rilevazione di segni di riconoscimento viene indetta la riunione in seduta plenaria; la commissione così riunita procede con la disamina del segno di riconoscimento, discute, ed, al termine, decide se annullare la prova o meno. Per l'annullamento viene redatto apposito verbale.
  Al termine di ciascuna lettura, la sottocommissione si riunisce e delibera il giudizio; in caso di non idoneità viene apposta la predetta formula riassuntiva; in caso di idoneità, la commissione stabilisce il voto in una scala che va da 12 a 20.
  Il giudizio o i voti vengono riportati in calce a ciascun tema, con sigla del presidente e del segretario.
  I voti, i giudizi, il numero delle buste corrette e tutte le operazioni concorsuali, compresa la composizione specifica della sottocommissione, confluiscono nel verbale della seduta che viene redatto giorno per giorno.
  La discussione (lettura e valutazione) su ciascun tema dura in media circa 30 minuti, secondo le risultanze dei verbali redatti dall'ultima commissione insediata.
  Al termine di tutte le correzioni, la commissione procede con l'abbinamento candidato-busta, previa apertura della bustina contenente le generalità del candidato. Viene quindi redatto un elenco dove a fianco di ciascun nominativo sono riportati i giudizi ottenuti in ciascuna materia, di modo che emerga il merito e non altro, e con il controllo da parte del segretario che sovrintende a tutte le operazioni.
  Considerato il lungo tempo trascorso dai fatti rappresentati nell'interrogazione, non si prospettano allo stato rilievi disciplinari a carico di magistrati.
  La situazione è in ogni modo monitorata, laddove emergessero ulteriori circostanze.
  Non consta che siano state avviate proposte di modifica normativa della disciplina vigente.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   VARCHI, CIABURRO, LUCA DE CARLO, DEIDDA, DELMASTRO DELLE VEDOVE, GALANTINO, MASCHIO, MOLLICONE, PRISCO e ROTELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il prolungarsi dell'emergenza epidemica ha indotto all'adozione di misure eccezionali anche nell'ambito dei procedimenti penali, per consentire la celebrazione delle udienze indifferibili, come, ad esempio, la convalida dell'arresto, salvaguardando al contempo il principio di cautela sanitaria preventiva del distanziamento tra persone;

   la soluzione adottata, con l'introduzione dei commi 12-bis, 12-ter e 12-quater dell'articolo 83 del decreto-legge «Cura Italia», propone di attribuire ai giudici, escludendo anche il previo consenso del difensore, la possibilità di organizzare la celebrazione dei processi da remoto, senza distinguere tra imputati detenuti o liberi;

   l'ipotesi prospettata, ad avviso dell'interrogante, si concretizza in una smaterializzazione dell'intero rito penale, dagli atti delle indagini preliminari e per tutto il processo, con il dislocamento fisico e conseguente collegamento video da sito imprecisato del giudice e delle parti, con addirittura un vulnus alla segretezza della decisione in camera di consiglio, individualmente delocalizzata per ogni giudicante;

   tali soluzioni non hanno nulla a che vedere con la semplificazione telematica delle comunicazioni e delle disponibilità degli atti di causa, che certamente contribuiscono a snellire la macchina giudiziaria: l'eliminazione della fisicità del luogo di udienza e delle relazioni tra le parti del processo rischia di minare i principi costituzionali di garanzia e, per le modalità previste, viola le vigenti regole di protezione dei dati e di sicurezza informatica e, conseguentemente, pone dei dubbi in materia di sicurezza nazionale, anche considerata la delicatezza dei temi oggetto di indagine;

   tale processo virtuale, peraltro, si realizza mediante l'utilizzo di piattaforme riconducibili a imprese private, sottratte alla vigilanza della giurisdizione nazionale, senza alcuna garanzia di legittimità, segretezza, privacy e cyber security dell'accesso ai dati e del loro trattamento secondo le vigenti norme italiane, secondo modalità organizzative determinate, peraltro, non dalla legge ma dall'autorità amministrativa ministeriale;

   lo stesso Garante per la protezione dei dati personali, rammaricandosi di non essere stato interpellato sulle determinazioni della Direzione generale per i sistemi informativi automatizzati (Dgsia) in ordine alla scelta della piattaforma, ha ricordato come «È bene che questo spirito riformatore e le potenzialità proprie di questa scelta legislativa non siano frustrati nella prassi della gestione ordinaria e che, pur in un contesto difficile quale quello che viviamo, non venga meno quella leale cooperazione istituzionale rivelatasi, senza eccezioni, estremamente proficua per tutti gli interessi giuridici in gioco»;

   con provvedimento del 20 marzo 2020, il Dgsia del Ministero della giustizia ha individuato in «Skype Professional» e «Teams», entrambi di proprietà Microsoft, i sistemi da utilizzare per lo svolgimento delle udienze da remoto –:

   quali motivazioni e procedure abbiano portato a individuare nelle citate piattaforme quelle utili allo svolgimento delle udienze da remoto e se nella scelta si sia tenuto conto delle normative che tutelano la concorrenza fra operatori economici;

   se il Ministro interrogato abbia verificato l'esistenza di aziende italiane in grado di fornire analogo servizio anche attraverso l'utilizzo di tecnologia italiana;

   quali siano le garanzie prestate dalla Microsoft per la tutela dei dati giudiziari trattati e raccolti, con riferimento non solo alla tutela della privacy, ma anche per scongiurare il rischio che i dati immessi nel sistema siano utilizzati per fini ulteriori e non consentiti e garantire che server e connessioni avvengano sul territorio italiano;

   se, nell'individuare le piattaforme, si sia tenuto conto di quanto previsto dagli articoli 11 e 12 del decreto del Ministro della giustizia del 27 aprile 2009 in tema di infrastruttura e requisiti dei software e se sia stato emanato il decreto ivi richiamato e cosa preveda;

   come la Direzione generale per i sistemi informativi automatizzati (Dgsia) intenda dare attuazione a quanto previsto dall'articolo 83 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, con particolare riferimento alla facoltà di collegamento da remoto indipendentemente dalla condizione di detenzione del soggetto.
(4-05358)

  Risposta. — È opportuno preliminarmente segnalare, con riguardo ai quesiti posti dall'interrogante, che la norma adottata con il decreto-legge n. 9 del 2020 (articolo 10, comma 12), nonché con il decreto-legge n. 11 del 2020 (articolo 2, comma 7) e, infine, ripetuta con il decreto-legge n. 18 del 2020 (articolo 83, comma 12), si limitava a prevedere che solo la partecipazione di persone detenute, internate o in stato di custodia cautelare fosse assicurata (ove possibile) o mediante videoconferenze (con ciò richiamando integralmente la disciplina già vigente di cui all'articolo 146-bis disposizioni di attuazione del codice di procedura penale) oppure con collegamenti da remoto, individuati e regolati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, anche in quest'ultimo caso con applicazione, in quanto compatibili, di alcune disposizioni dello stesso articolo 146-bis disposizioni di attuazione del codice di procedura penale.
  Solo a seguito dell'approvazione, in sede di conversione, del decreto-legge n. 18 del 2020 sono state inserite le disposizioni normative richiamate nell'atto ispettivo, contenute nei commi 12-
bis, 12-ter e 12-quinquies aggiunti all'articolo 83 del decreto-legge n. 18, con le quali si è introdotta una più ampia praticabilità nell'ambito del processo penale delle udienze da remoto.
  Deve comunque rimarcarsi che queste disposizioni prevedono un ambito temporale di applicazione assai contenuto. Inoltre, si tratta di disposizioni previste solo per i procedimenti non sospesi che, almeno fino all'11 maggio 2020, sono stati in numero assai contenuto.
  Più precisamente: i procedimenti di convalida di arresto o fermo, quelli nei quali nel periodo di sospensione scadono i termini massimi della misura cautelare, quelli in cui sono applicate misure di sicurezza detentive o è pendente la richiesta di applicazione di misure di sicurezza detentive.
  In ogni caso, dando corso all'adesione manifestata dal Governo ad un ordine del giorno, presentato in sede di esame del decreto-legge n. 18 presso la Camera dei deputati, che lo impegnava ad adottare, nel primo provvedimento utile, un intervento che riducesse e circoscrivesse i procedimenti nei quali può essere attivata la partecipazione da remoto alle udienze, ulteriori limitazioni a tale modalità di celebrazione delle udienze penali sono state introdotte con il decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28.
  Infatti, con l'articolo 3, comma 1, di tale decreto-legge, si sono integrate, limitandone l'ambito di operatività, le disposizioni contenute nell'articolo 83, commi 12-
bis, 12-ter e 12-quinquies, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020 n. 27.
  Tanto premesso in ordine alla scansione temporale degli interventi menzionati dal l'interrogante, vengono posti una serie di quesiti in ordine alla compatibilità del modello gestionale telematico del processo penale con i principi di segretezza delle indagini e di partecipazione effettiva dell'imputato nonché richiesti chiarimenti circa la tipologia di selezione degli strumenti telematici impiegati per detta finalità.
  Appare opportuno, sul punto, preliminarmente fare riferimento ai provvedimenti emessi in data 20 marzo 2020 e 21 maggio 2020 ai sensi dell'articolo 83 del decreto-legge n. 18 del 2020 come convertito e successivamente modificato pubblicati sul Pst nonché alla nota riservata trasmessa alla S.V. in risposta alle osservazioni del garante della
Privacy.
  Quanto al provvedimento adottati dalla Dgsia in data 20 marzo 2020 e successivamente in data 21 maggio 2020, relativamente alla individuazione, tra gli strumenti idonei alla gestione in modalità telematica di talune fasi del processo penale, di
Skype for business e Team si evidenza che l'acquisizione di beni e servizi informatici e di connettività delle amministrazioni pubbliche è regolata dalla legge n. 208 del 2015, articolo 1, commi da 512 a 517 e dal decreto legislativo n. 50 del 2016; nel caso specifico, il Ministero della giustizia ha acquistato a fine 2017 licenze Microsoft Skype for business e licenze Microsoft Office 365 E1, che comprende l'applicativo Teams, a valere sulla Convenzione Consip Microsoft Enterprise Agreement 4: trattasi di acquisizione che è in linea con quelle precedentemente effettuate, per Skype for business sin dal 2011, con gli strumenti Consip.
  La validazione preventiva dell'idoneità di tali prodotti, ai fini dell'inserimento nelle Convenzioni Consip, è stata effettuata dall'Agenzia per l'Italia digitale, secondo le linee del codice dell'amministrazione digitale (decreto legislativo n. 82 del 2005) e del piano triennale per l'informatica.
  L'Agenzia per l'Italia digitale ha inoltre varato la strategia, operativa dal 1° aprile 2019, per l'abilitazione alla fornitura di servizi
cloud alla pubblica amministrazione i servizi cloud forniti nell'ambito degli strumenti di acquisto Consip devono rispettare i requisiti posti dall'Agenzia per l'Italia digitale.
  Le suindicate considerazioni rendono conformi i prodotti alle prescrizioni di cui agli articoli 11 e 12 del decreto ministeriale 27 aprile 2009, al regolamento n. 44 del 2011, nonché al Gdpr ed alle prescrizioni del decreto legislativo n. 51 del 2018.
  In particolare, quanto al rischio del mancato rispetto della normativa in tema di trattamento dei dati personali e della conservazione di questi ultimi
in server dislocati in territori diversi da quello nazionale si evidenzia che i server utilizzati dal fornitore per Teams sono collocati sul territorio europeo e, in specie, Dublino e Amsterdam, mentre quelli per Skype for Business sono collocati in data center nazionale dell'amministrazione. Le caratteristiche di sicurezza e di conformità alle disposizioni nazionali ed euro-unitarie in tema di trattamento dei dati personali e la architettura di protezione delle informazioni sono oggetto di specifico allegato tecnico messo a disposizione dal fornitore. Inoltre, interna di sicurezza Teams impone l'autenticazione a livello di team e a livello di organizzazione a due fattori, Single Sign-on tramite Active Directory e la crittografia dei dati in transito e a riposo. In ogni caso giova sottolineare come sia stata avviata una interlocuzione con l'Autorità garante della protezione dei dati personali e deve rilevarsi che nei due incontri dedicati sono stati forniti tutti gli elementi utili a dimostrare che il fornitore selezionato ha operato in modo conforme alle prescrizioni nazionali ed euro unitarie.
  Infine, il Ministero ha fornito agli uffici giudiziari gli strumenti per la partecipazione a distanza e per i collegamenti da remoto per dare attuazione a quanto previsto dall'articolo 83 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, e successivamente modificato dall'articolo 3, comma 2, lettera f) del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, indipendentemente dalla condizione di detenzione del soggetto e fornendo, con la nota del 21 maggio 2020 pubblicata sul Pst, le caratteristiche di ciascuno strumento.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   VARCHI, CIABURRO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   preoccupa la notizia, riportata da fonti di stampa nazionale, dei 28 migranti, salvati in acque internazionali dalla nave Sea Watch e imbarcati sulla nave-quarantena Moby Zazà, in rada a Porto Empedocle (Agrigento), risultati positivi al COVID-19;

   appena poche ore prima era stato reso noto che uno dei 211 migranti sbarcati era stato ricoverato presso il reparto di malattie infettive dell'ospedale «Sant'Elia» di Caltanissetta per sospetta tubercolosi, sul quale ha poi fatto chiarezza l'esito del tampone risultato positivo;

   già da mesi vengono chieste a gran voce una soluzione ai flussi migratori che, nonostante l'emergenza pandemica in corso, non hanno accennato ad arrestarsi, nonché l'adozione di provvedimenti sanitari precauzionali per scongiurare il rischio di nuovi focolai, ma ogni richiesta sembra essere caduta nel vuoto;

   anche un singolo sbarco rischia di mettere in difficoltà, non solo sotto il profilo sanitario, ma anche sotto il profilo logistico e della sicurezza, forze dell'ordine e soccorritori;

   mentre si chiedono grandi sacrifici ai cittadini per evitare il diffondersi del virus, si continua ad assistere a continui sbarchi con soluzioni improvvisate per accogliere i migranti, spesso utilizzando luoghi non idonei –:

   se e quali urgenti iniziative di competenza intenda adottare il Governo per gestire la situazione dei migranti risultati positivi al COVID-19.
(4-06136)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame l'interrogante, riferendosi a uno degli episodi di sbarco avvenuti negli scorsi mesi sulle nostre coste, chiede di conoscere quali urgenti iniziative si intendano adottare per gestire la situazione dei migranti risultati positivi al COVID-19.
  Al riguardo preme evidenziare come il Ministero dell'interno abbia costantemente attivato tutte le misure necessarie per evitare il diffondersi del contagio all'interno del sistema di accoglienza: dalle generalizzate misure di quarantena ai provvedimenti igienico-sanitari adottati nei centri di accoglienza, relativi anche alla distanza interpersonale, al divieto di assembramento, all'individuazione di specifici spazi per l'isolamento fiduciario per le persone risultate positive al virus.
  Si ricorda altresì che per l'attuazione delle misure di contenimento del rischio sanitario, con decreto del capo dipartimento della protezione civile del 12 aprile 2020 n. 1287, il capo dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno è stato nominato soggetto attuatore «per assicurare il rispetto delle misure di isolamento fiduciario e di quarantena adottate per contrastare la diffusione epidemiologica da COVID-19, nei riguardi delle persone soccorse in mare, ovvero giunte sul territorio nazionale a seguito di sbarchi autonomi».
  In particolare, per far fronte all'esigenza di assicurare ulteriori posti per la quarantena dei migranti sbarcati, nonché per alleggerire la pressione sui centri, sono state effettuate le procedure di gara per il noleggio di unità navali da adibire alla sorveglianza sanitaria dei migranti sbarcati.
  Le navi attualmente utilizzate per la quarantena dei migranti sono cinque: Gnv Azzurra, Gnv Aurelia, Gnw Allegra, Gnv Rhapsody e Snav Adriatico.
  Sulle navi, tutte attualmente posizionate lungo le coste della Sicilia, alla data del 22 settembre 2020 erano presenti 2.238 persone.
  Nel mese scorso, con decreti del capo dipartimento della protezione civile n. 2944 del 18 agosto 2020 e n. 2966 del 21 agosto 2020, il soggetto attuatore è stato incaricato dell'attuazione delle misure anti Covid anche nei riguardi dei migranti che arrivano attraverso le frontiere terrestri.
  Si precisa che, per l'esigenza di sorveglianza sanitaria, si è ricorso, oltre che alle navi, ad apposite strutture, individuate dalle prefetture competenti, che vengono utilizzate anche per i migranti rintracciati presso le frontiere terrestri.
  In particolare si tratta di 14 strutture specifiche per l'applicazione delle misure di prevenzione anti-Covid per un totale di circa 1.600 posti su tutto il territorio nazionale, nonché di diverse aree adibite alla quarantena in alcuni centri governativi preesistenti, per un totale di circa 3.000 posti su tutto il territorio nazionale.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Achille Variati.


   VIANELLO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 94 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), dispone che gli oggetti archeologici e storici rinvenuti nei fondali della zona di mare estesa dodici miglia marine a partire dal limite esterno del mare territoriale sono tutelati ai sensi delle «Regole relative agli interventi sul patrimonio culturale subacqueo» allegate alla Convenzione Unesco sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo (adottata a Parigi il 2 novembre 2001);

   con il regolamento di organizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, degli uffici di diretta collaborazione del Ministro e dell'Organismo indipendente di valutazione della performance (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 2 dicembre 2019, n. 169) è stata istituita la Soprintendenza nazionale per il patrimonio culturale subacqueo con sede centrale a Taranto e due dislocazioni operative a Napoli e a Venezia;

   il Ministro interrogato, con nota pubblicata sul sito ministeriale del 3 dicembre 2019, ha presentato il suddetto regolamento istitutivo e ha dichiarato che la riorganizzazione messa in atto potenzia l'intera rete della tutela del patrimonio culturale sul territorio nazionale attraverso la creazione di dieci nuove soprintendenze e che l'articolazione periferica del Ministero viene rafforzata riequilibrando il rapporto tra centro e periferia, aumentando le strutture e i presidi territoriali in base a parametri demografici e a dati amministrativi, al fine di garantire un servizio efficace ed efficiente;

   a tutt'oggi non si hanno notizie concernenti sede, personale, attività e tempi di apertura della istituita Soprintendenza –:

   se il Ministro interrogato intenda sollecitamente adottare tutte le iniziative necessarie a garantire la piena e pronta operatività della sede e i tempi attesi per la nomina del soprintendente della Soprintendenza nazionale per il patrimonio culturale subacqueo nella città di Taranto.
(4-06828)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo indicato in esame, con il quale l'interrogante ha chiesto notizie riguardo alla nuova soprintendenza nazionale per il patrimonio subacqueo.
  Al riguardo, sulla base degli elementi acquisiti per il tramite della direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio, si rappresenta quanto segue.
  Con l'approvazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 169 del 2019 recante «Regolamento di organizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo» si è operato un intervento normativo che ha tra i suoi punti qualificanti l'incremento del numero di soprintendenze sul territorio.
  In tale contesto è stato introdotto, altresì, un nuovo istituto ad autonomia speciale, la soprintendenza nazionale per il patrimonio culturale subacqueo con sede a Taranto.
  Tale importante struttura avrà cura dello svolgimento delle attività di tutela, gestione e valorizzazione del patrimonio culturale subacqueo, nonché delle funzioni attribuite a questo Ministero, ai sensi della legge 23 ottobre 2009, n. 157, recante la ratifica e l'esecuzione della Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo, adottata a Parigi il 2 novembre 2001.
  Si tratta di un importante riconoscimento per la città dei due mari, che rientra in quelle misure concrete per il rilancio di Taranto in cui anche questo Ministero è impegnato.
  Il succitato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ha previsto per tale soprintendenza, accanto alla sede centrale presso la città di Taranto, anche l'istituzione di due centri operativi presso le Soprintendenze archeologia, belle arti e paesaggio con sede, rispettivamente, a Napoli e a Venezia.
  Nel territorio della provincia di Taranto, l'istituita soprintendenza svolgerà anche le funzioni spettanti ai soprintendenti archeologia, belle arti e paesaggio.
  Non va sottaciuto, tuttavia, che tale massiccio potenziamento dell'intera rete della tutela del patrimonio culturale sul territorio nazionale, avente come obiettivo finale proprio quello di garantire un servizio efficace ed efficiente, incide, nel breve periodo, sulla riorganizzazione interna degli uffici e del personale ministeriale.
  A tal fine, uno degli aspetti più critici riguarda l'attuale carenza di risorse umane, per far fronte alla quale sono in corso procedure di reclutamento anche mediante l'espletamento di procedure concorsuali.
  Si evidenzia, ad ogni modo, che ai sensi dell'articolo 49, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 169 del 2019 «Le strutture organizzative operative alla data di entrata in vigore del presente decreto sono fatte salve fino alla definizione delle procedure di conferimento degli incarichi dirigenziali relativi alla nuova organizzazione del Ministero».
  Per questo nelle more della riorganizzazione delle piante organiche e degli Istituti di nuova creazione, tutto il personale delle unità territoriali della soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Brindisi, Lecce e Taranto sta continuando a svolgere gli adempimenti di competenza sul territorio afferente, garantendo così la tutela del patrimonio culturale del luogo.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e per il turismo: Anna Laura Orrico.


   ZENNARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   da notizie di stampa emergerebbe che almeno 25 dei 50 migranti trasferiti nei giorni scorsi dalla Sicilia presso la struttura di accoglienza (Cas) localizzata nel comune di Civitella del Tronto (TE), sono risultati positivi ai test effettuati dalla competente Asl al Covid-19 –:

   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare in ordine alla gestione dei migranti trasferiti da altre regioni sul territorio abruzzese e nello specifico nel comune di Civitella del Tronto, anche in considerazione del fatto che il comune è stato gravemente colpito nel 2016 e nel 2017 dal sisma che ha interessato in varie fasi l'Italia centrale;

   quali misure di contenimento e tutela della salute, in considerazione dell'alto numero di migranti positivi al coronavirus, intenda adottare il Ministero dell'interno attraverso la prefettura competente.
(4-06607)

  Risposta. — In relazione alle questioni poste con l'atto di sindacato ispettivo in esame, relative alla presenza e alla gestione dei migranti trasferiti da altre regioni sul territorio abruzzese, si rappresenta quanto segue.
  Il 30 luglio 2020, a seguito degli sbarchi avvenuti in quei giorni a Lampedusa, è stato disposto un trasferimento di 200 migranti nella regione Abruzzo. Nell'ambito del piano di riparto provinciale è stato previsto di destinare 50 migranti in ciascuna delle province abruzzesi.
  Dalle informazioni acquisite è emerso che i migranti avevano effettuato il test sierologico, con esito negativo, e che al loro arrivo sarebbero stati sottoposti a tampone orofaringeo e alla prevista sorveglianza sanitaria.
  Con riferimento ai migranti trasferiti nella provincia di Teramo, si rileva che la prefettura ha individuato quale struttura per l'accoglienza – idonea a consentire le misure di isolamento fiduciario e di sorveglianza sanitaria – il Cas di Civitella del Tronto, situato a circa 8 chilometri dal centro storico e in zona rurale.
  Il trasferimento dei 50 migranti, tutti originari del Bangladesh, è stato effettuato nelle giornate del 31 luglio e del 1° agosto 2020.
  In tale contesto, la prefettura ha monitorato le diverse fasi di arrivo dei migranti, richiamando l'attenzione, di tutti gli interlocutori istituzionali coinvolti nel procedimento, in particolare A.s.l. e gestore del Cas, sulla necessità di garantire tutti gli interventi finalizzati alla prevenzione dei contagi, attraverso una puntuale attività di controllo e monitoraggio.
  Il successivo 6 agosto, il direttore generale della A.s.l. ha comunicato che 24 dei 50 beneficiari dell'accoglienza, tutti asintomatici, erano risultati positivi al tampone COVID-19. A seguito di ciò il gestore ha proceduto alla separazione del gruppo dei positivi dai restanti ospiti e alla sanificazione delle aree interessate, assicurando che tutti gli operatori si sarebbero attenuti al più rigoroso rispetto dei protocolli.
  Si precisa che il personale di assistenza del Cas, a sua volta sottoposto a tampone, è risultato negativo.
  Al fine di intervenire nell'immediatezza con ogni misura ritenuta necessaria, volta a prevenire i contagi e a garantire la tutela sanitaria della popolazione, la situazione, è stata approfondita e affrontata nella stessa giornata del 6 agosto 2020, nell'ambito del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, cui hanno preso parte il sindaco, il direttore generale della A.s.l. e rappresentanti del gestore della struttura. In tale occasione questi ultimi hanno comunicato che, sin dalle prime fasi dell'accoglienza, sono sempre state rispettate le procedure dei protocolli di sicurezza volte alla prevenzione e al contenimento del virus.
  All'esito di separata riunione tecnica di coordinamento delle Forze di polizia è stato deciso che il dispositivo di controllo fosse elevato a quello di vigilanza fissa esterna sulle 24 ore.
  Più in generale, e in conclusione, si assicura che il Ministero dell'interno mantiene costante ed elevata l'attenzione sui migranti irregolari presenti sul territorio nazionale che, sin dal momento del loro ingresso, sono sottoposti a
screening sanitario ed alle conseguenti azioni di isolamento e quarantena, in relazione alla specifica situazione di ciascun individuo.
  Sono quindi costantemente adottate tutte le misure volte alla tutela del diritto alla salute della collettività, connesse alle attività di prevenzione e contrasto dell'epidemia da COVID-19.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Achille Variati.