Camera dei deputati

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XVIII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 18 dicembre 2020

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,

   premesso che:

    la sclerosi laterale amiotrofica (Sla), conosciuta anche come «malattia dei motoneuroni», «malattia di Lou Gehrig» (dal nome del giocatore di baseball la cui malattia nel 1939 fu portata all'attenzione pubblica) o «malattia di Charcot» (dal cognome del neurologo francese che per la prima volta descrisse questa patologia nel 1860), è una malattia neurodegenerativa rara caratterizzata da paralisi muscolare progressiva che riflette la degenerazione dei neuroni motori nella corteccia motoria primitiva, nei tratti corticospinali, nel tronco cerebrale e nel midollo spinale;

    si tratta di una patologia degenerativa progressiva che, più specificamente, comporta la perdita dei motoneuroni superiori situati nel cervello e nel tronco encefalico e dei motoneuroni inferiori situati nel tronco encefalico e nel midollo spinale. Questi eventi portano alla perdita del controllo dei muscoli deputati al movimento e ad altre funzioni;

    la malattia inizia a manifestarsi quando la perdita dei motoneuroni danneggiati non riesce più a essere compensata dalla presenza dei neuroni superstiti: si arriva così a una progressiva paralisi di tutti i muscoli volontari. La patologia non influisce in nessun modo sulle funzioni sensoriali, sessuali, vescicali e intestinali, che vengono preservate del tutto, e su quelle cognitive;

    nonostante le cause di questa malattia siano ancora sconosciute, e benché si stimi che in circa il 5-10 per cento dei casi la malattia è ereditaria, gli studi effettuati fino a oggi hanno permesso di stabilire che, molto probabilmente, la Sla è una malattia multifattoriale, ossia non origina da una sola causa ma da più fattori;

    quanto agli aspetti epidemiologici della malattia, invece, è bene precisare che la Sla è una patologia dell'età adulta che può presentarsi in due forme: familiare (5 per cento dei casi), cioè in diversi componenti del nucleo familiare, con esordio intorno ai 63 anni; sporadica (95 per cento dei casi) ossia ad eziologia non nota, con esordio più precoce, tra i 40 e i 60 anni; non mancano tuttavia casi di soggetti colpiti dalla malattia tra i 17 e i 20 anni, così come tra i 70 e gli 80 anni;

    in generale, vi è una leggera prevalenza del sesso maschile con un rapporto di circa 1,2-1,5;

    la prognosi nel 50 per cento dei pazienti è di circa 30 mesi dall'esordio dei sintomi, il 5-10 per cento dei pazienti sopravvive per più di 8 anni, mentre sono rari i casi in cui si ha una sopravvivenza maggiore. Il decesso si verifica spesso per paralisi della muscolatura volontaria respiratoria;

    l'incidenza globale è di 1,7 casi per 100.000 persone/anno e, in relazione ai dati di prevalenza forniti dall'Eurals Consortium – Consorzio europeo sclerosi laterale amiotrofica, aggiornati al febbraio 2020, in Italia si stimano più di 6.000 persone affette da sclerosi laterale amiotrofica e si prevede che, ogni anno, si registreranno circa 2.000 nuovi casi;

    la Sla è ancora oggi purtroppo una malattia incurabile, in quanto nessun trattamento esistente permette al paziente di guarire;

    le malattie neurodegenerative croniche come la sclerosi laterale amiotrofica possono presentare quadri di disabilità gravissima che necessitano di interventi di riabilitazione altamente specializzati; la presa in carico della Sla è sintomatica, palliativa e multidisciplinare, per cui è necessario l'intervento di diversi specialisti. I centri che si occupano di questa malattia utilizzano un approccio multidisciplinare da parte di neurologo, fisiatra, fisioterapista, logopedista, gastroenterologo, pneumologo, psicologo e genetista;

    in assenza di trattamenti efficaci, le terapie sintomatiche e di supporto rimangono la base per la gestione dei pazienti con Sla;

    si evince quindi quanto sia fondamentale continuare a supportare la ricerca di una cura e di trattamenti specifici per la malattia, finanziando studi di ricerca di base, pre-clinica e clinica osservazionale;

    a riguardo AriSla, Fondazione italiana di ricerca per la sclerosi laterale amiotrofica, ha recentemente annunciato il finanziamento di sette nuovi progetti selezionati con il bando 2020, aperto la scorsa primavera, per selezionare la migliore ricerca scientifica in Italia sulla Sla;

    nel giugno 2020, Aisla e Nemo hanno promosso un Registro nazionale per la Sla che raccoglie in una piattaforma informatica web based e patient driven – nel rispetto delle norme sulla privacy – informazioni su caratteristiche genetiche, cliniche, anagrafiche, su attività lavorative svolte e assistenza ricevuta per aumentare la conoscenza della patologia e migliorare la presa in carico dei pazienti;

    da un punto di vista normativo, la Sla è classificata tra le malattie rare e figura nel relativo elenco di cui all'allegato 1 del decreto ministeriale 18 maggio 2001, n. 279, recante il «regolamento di istituzione della rete nazionale delle malattie rare e di esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie»;

    in base a quanto previsto dal citato decreto e dall'articolo 5, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124, i malati di Sla hanno diritto a ricevere le prestazioni incluse nei livelli essenziali di assistenza, efficaci ed appropriate per il trattamento ed il monitoraggio della malattia, in esenzione dalla partecipazione al relativo costo;

    è attualmente oggetto di esame alla Camera dei deputati un testo unificato concernente «Norme per il sostegno della ricerca e della produzione dei farmaci orfani e della cura delle malattie rare» per garantire ai pazienti e alle loro famiglie l'uniformità della erogazione delle prestazioni e dei medicinali su tutto il territorio nazionale e per promuovere la ricerca nel campo delle malattie rare, preservando le buone pratiche e tutti i percorsi sviluppati;

    il gravoso decorso della Sla coinvolge inevitabilmente coloro che assistono e si prendono cura di un loro congiunto malato, i cosiddetti caregiver, ed è proprio questa una delle ragioni per le quali la Sla viene definita la «malattia della famiglia» e non della singola persona;

    a livello istituzionale e legislativo, è ormai in corso da anni un dibattito – non ancora concluso – per riconoscere una normativa nazionale di riferimento che disciplini in maniera piena ed effettiva i diritti e le prerogative del caregiver, sia sotto il profilo del riconoscimento del valore sociale ed economico dell'attività svolta, sia sotto il profilo previdenziale e formativo;

    tale figura è stata riconosciuta nel nostro ordinamento solamente da un punto di vista formale con la legge di bilancio 2018 (articolo 1, comma 254, legge 27 dicembre 2017, n. 205) con cui è stato istituito un fondo per il sostegno del ruolo di cura e di assistenza del caregiver familiare con una dotazione iniziale di 20 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2018-2020;

    con la legge di bilancio 2019 (articolo 1, commi 483-484, legge 30 dicembre 2018, n. 145) il predetto fondo è stato incrementato di 5 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2019-2021;

    è attualmente in corso l'approvazione della legge di bilancio 2021, il cui articolo 59 dispone l'istituzione nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali di un fondo, con una dotazione di 25 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023, destinato alla copertura finanziaria di interventi legislativi finalizzati al riconoscimento del valore sociale ed economico dell'attività di cura non professionale svolta dal caregiver familiare;

    pur nella assoluta necessità di un rapido riconoscimento di questa figura, si ritiene altrettanto essenziale la formazione di specifiche figure qualificate – prevedendo ad esempio dei corsi di formazione per assistenti familiari (badanti) con una professionalizzazione del ruolo – per coadiuvare i caregiver familiari nell'assistenza dei pazienti;

    ulteriori strumenti per rafforzare l'assistenza, anche in caso di Sla, potrebbero essere quelli afferenti alla telemedicina. Nella prima ondata della pandemia Covid-19, infatti, sono stati svolti oltre 3.734 consulti clinici e interventi a distanza, 600 ambulatori in chiamata e videochat di supporto psicologico, 934 chiamate al servizio di nurse coaching, 3.153 chiamate al centro di ascolto Aisla;

    la recente emanazione del documento del Ministero della salute contenente le indicazioni nazionali per le prestazioni in telemedicina è un passaggio fondamentale che faciliterà l'introduzione di questo strumento nel percorso di presa in carico globale del paziente;

    l'accompagnamento del paziente prevede anche la conoscenza della legge 22 dicembre 2017 n. 219 (Gazzetta Ufficiale n. 12 del 16 gennaio 2018) recante «Norme in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento». Di particolare rilievo sono l'articolo 4, riguardante le disposizioni anticipate di trattamento, espressione della unilaterale iniziativa di una persona indipendentemente da una relazione di cura con un medico e l'articolo 5, riguardante la pianificazione condivisa delle cure, un processo che origina e si evolve nella relazione tra medico e paziente affetto da una patologia cronica e invalidante o caratterizzata da una evoluzione con prognosi infausta,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative, per quanto di competenza, per garantire su tutto il territorio nazionale una rete di centri specializzati per la presa in carico multidisciplinare che si occupi degli aspetti diagnostici, della assistenza clinico-terapeutica e del sostegno in tutte le fasi della malattia e una rete di supporto sociale e psicologico per il paziente, la famiglia e i caregiver;

2) ad adottare iniziative per diffondere programmi di formazione specifica delle assistenti familiari (badanti) e corsi di formazione per i familiari caregiver;

3) a promuovere iniziative per sostenere le soluzioni tecnologiche che possono implementare i benefici dati dal sostegno e dai trattamenti tradizionali: dalla telemedicina a tutti i dispositivi innovativi che possono migliorare la qualità di vita dei malati e delle loro famiglie;

4) ad adottare iniziative per garantire equità di accesso alle cure di neuro-riabilitazione, anche di alta intensità, per garantire il massimo recupero della autonomia residua e della qualità di vita con conseguente vantaggio per il nucleo familiare di appartenenza e per la comunità;

5) ad adottare iniziative per promuovere la ricerca sulla sclerosi laterale amiotrofica: da quella di base preclinica ad approcci traslazionali ed epidemiologici, sino alle sperimentazioni cliniche;

6) ad adottare iniziative per informare e formare i sanitari sul tema delle Disposizioni anticipate di trattamento e sulla pianificazione condivisa delle cure che rappresentano strumenti essenziali per garantire i diritti della persona con sclerosi laterale amiotrofica;

7) ad adottare iniziative per garantire equità di accesso alle cure palliative sia domiciliari, sia in strutture dedicate con personale specializzato;

8) ad adottare iniziative per promuovere il Registro nazionale (Sla) che rappresenta uno strumento a disposizione dei ricercatori per facilitare gli studi e migliorare la conoscenza della Sla e l'assistenza ai malati;

9) a garantire la partecipazione delle associazioni dei pazienti e delle società scientifiche ai tavoli istituzionali e ai comitati che svolgono attività di indirizzo per la sclerosi laterale amiotrofica.
(1-00407) «Bologna, Rospi, Longo, Vizzini, De Giorgi, Frate, Schullian».


   La Camera,

   premesso che:

    l'azionariato di Tim, come risulta dalla relazione semestrale al 30 giugno 2020, è composto da Vivendi (23,94 per cento), investitori istituzionali esteri (51,68 per cento), Cassa depositi e prestiti (9,89 per cento), altri azionisti (11,13 per cento), investitori istituzionali italiani (2,16 per cento), Paul Elliott Singer (0,14 per cento), Gruppo Telecom Italia (1,06 per cento);

    l'assetto azionario di Open Fiber (OF) è costituito da una partecipazione paritetica tra Enel S.p.A. e Cdp Equity S.p.A. (CDPE), società del gruppo Cassa depositi e prestiti, ed Enel S.p.A., a sua volta, è partecipata per il 23,6 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze, che detiene la quota di maggioranza relativa e il controllo; Cassa depositi e prestiti è altresì partecipata all'82,77 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze;

    l'ingresso di Open Fiber nel mercato delle telecomunicazioni, oltre a rappresentare di per sé un rilevante contributo in termini di diffusione della copertura in fibra nella sua versione FTTH (Fiber to the home), tecnologicamente avanzata e «a prova di futuro» (ad oggi Open Fiber ha connesso circa nove milioni di abitazioni), ha svolto la fondamentale funzione di stimolo agli investimenti da parte dell'ex-monopolista Tim, che ha dovuto fortemente accelerare i suoi investimenti in connessioni in fibra in modalità FTTH (assestandosi Oggi a poco più di un milione di connessioni);

    l'accelerazione sugli investimenti generata dalla concorrenza si è tradotta in un conseguente miglioramento del posizionamento del nostro Paese nell'indice di digitalizzazione dell'economia europea (Desi): l'Italia è infatti passata dal 27° posto nel 2015 al 14° posto del 2019 per quanto concerne la copertura next generation access;

    grazie alla spinta di Open Fiber, l'Italia è oggi al terzo posto in Europa per connessioni in fibra in modalità FTTH;

    i miglioramenti infrastrutturali e dei livelli di servizio conseguenti all'introduzione della concorrenza hanno reso possibile la gestione dell'emergenza sanitaria da Covid-19, seppur con ulteriori e possibili margini di miglioramento;

    se gli investimenti fossero continuati con la progressione lineare precedente al 2016 non sarebbe stato possibile garantire la continuità di molti servizi essenziali, nonché di molte attività lavorative e sociali durante le fasi di lockdown;

    il perdurante dispiegarsi degli effetti nefasti della pandemia da Covid-19 ha evidenziato come, in un regime di riduzione della libertà personale mai sperimentata nell'Italia dalla sua unificazione, i collegamenti telematici hanno garantito l'unica c residua possibilità di esercitare questo diritto fondamentale su cui si fonda la nostra Repubblica, in ossequio al dettato costituzionale;

    la strategicità delle reti fisse di telecomunicazioni è dimostrata anche dal fatto che una l'infrastruttura di rete fissa trasporta anche tutto il traffico generato dalle reti mobili e che una parte crescente delle attività del Paese in qualsiasi campo, dal monitoraggio dei consumi energetici alla didattica, dalla cultura alla logistica, dai trasporti alla gestione della salute e della sanità pubblica e privata, passeranno per le reti di nuova generazione;

    il 5G è talmente strategico per lo sviluppo del Paese da aver richiesto il riconoscimento di uno specifico diritto del Governo a imporre restrizioni e ad esercitare il veto sulle forniture di apparati tecnologici, attraverso lo strumento della golden power, per evitare che potenze straniere potessero infiltrarsi nelle reti telematiche ed effettuare operazioni di sabotaggio e di spionaggio industriale;

    la totalità del traffico generato sulle reti 5G transita per la fibra posata e gestita da Tim e da Open Fiber, e in un futuro non lontano la maggior parte delle transazioni economiche, la sicurezza del traffico automobilistico e la telemedicina saranno gestite attraverso le reti cellulari 5G e, quindi, attraverso le reti delle citate società;

    a causa dei ritardi di copertura nelle aree remote ed interne del Paese, e alla luce delle nuove esigenze conseguenti alla diffusione della pandemia, appare necessario interrompere una virtuosa concorrenza infrastrutturale per procedere ad un progetto di integrazione delle reti fisse di telecomunicazione in un'unica società, al fine di garantire la massima efficienza nel completamento dell'ormai urgentissima copertura in fibra del Paese, cogliendo, a tal fine, anche l'occasione delle risorse che si renderanno disponibili a valere sul piano di rilancio europeo Next Generation EU;

    il controllo della società della rete unica, in ragione della sua importanza e strategicità, rappresenta una condizione imprescindibile per la sicurezza dello Stato, per la sicurezza dei cittadini e per l'esercizio stesso delle prerogative afferenti alla sovranità dello Stato, e deve pertanto essere saldamente mantenuto in mani italiane e sotto un controllo effettivo dello Stato;

   peraltro, la stragrande maggioranza dell'infrastruttura di rete fissa e la quasi totalità della rete di accesso è stata costruita ed è comunque gestita dalle due società che sono quindi in possesso di tutto l'expertise nazionale sul tema di realizzazione e gestione di reti geografiche complesse;

    si rappresenta inoltre l'importanza che il perimetro che la società della rete debba necessariamente includere, per garantirne la sicurezza end-to-end del traffico dati, non possa limitarsi all'infrastruttura passiva di accesso secondario, ma debba comprendere l'infrastruttura di accesso primario, le centrali dove sono ospitati i concentratori di traffico di tutti gli operatori nazionali, e in generale anche gli apparati attivi di rete, necessari per assicurare l'uso dell'infrastruttura ai cosiddetti operatori virtuali (come Poste Italiane, Sorgenia eccetera);

    questo è fondamentale per vari ordini di motivi, in primo luogo per garantire la sicurezza nella gestione del traffico dati e la massima tutela dell'infrastruttura attiva e passiva, ma anche per evitare distorsioni competitive e per avere un unico soggetto in grado di rispondere del buon funzionamento dell'intera rete di accesso;

    secondo il nuovo Codice delle comunicazioni elettroniche la neutralità e terzietà della rete unica rispetto agli altri operatori è condizione imprescindibile: infatti, una volta che si sia sviluppata una concorrenza infrastrutturale, come dappertutto in Europa e ora anche in Italia, il ritorno ad una infrastruttura unica è possibile solo se essa è indipendente, terza e neutrale rispetto ai concorrenti, come peraltro affermato anche dai Ministri dell'economia e delle finanze e dello sviluppo economico, Roberto Gualtieri e Stefano Patuanelli, nella lettera all'Enel;

    Open Fiber, considerati la sua compagine azionaria e il controllo saldamente in mani pubbliche, è il soggetto ideale per effettuare questa aggregazione avendo tutti i requisiti di competenza, sicurezza e nazionalità necessari,

impegna il Governo:

1) ad assumere le iniziative necessarie affinché ci sia un controllo pubblico sulla società della rete unica che gestirà in regime di monopolio, limitatamente al segmento del wholesale only, la rete di telecomunicazioni del Paese;

2) ad assumere le iniziative di competenza per garantire che la società della rete unica non sia verticalmente integrata e che limiti la propria attività alla vendita all'ingrosso di linee e di traffico dati e telefonico agli operatori di telecomunicazioni, che a loro volta si faranno carico di veicolare le proprie offerte di accesso a imprese, famiglie e pubblica amministrazione;

3) a definire il perimetro della rete «unica» in modo da comprendere, oltre alla rete secondaria, anche la rete primaria, e dunque le centrali e i collegamenti che uniscono queste ai cabinet, sino all'ingresso presso l'utente finale;

4) a subordinare l'approvazione dell'operazione alla consistenza di un apposito piano industriale e ad una preventiva discussione parlamentare sul medesimo Piano;

5) ad imprimere una rilevante accelerazione ai piani di copertura in fibra ottica con modalità FTTH attualmente previsti ed assicurare nel più stretto arco di tempo uno switch-off dal rame e comunque non oltre il 2025;

6) a garantire che il piano della società unica connetta in FTTH almeno 25 milioni di abitazioni entro il 2025;

7) a promuovere entro il mese di gennaio 2021 un tavolo per un primo confronto con le forze parlamentari (come da più parti richiesto sia in seno alla maggioranza che alle opposizioni), partecipato da tutte le amministrazioni, gli enti, le società interessate (a partire da tutti i principali operatori di servizi di TLC, ivi compresa Open Fiber e i suoi azionisti), i consumatori, come espressamente previsto dalla mozione n. 1-00274 approvata dalla Camera il 16 luglio 2020, impegno che il Governo ha finora disatteso, nonché ad avere interlocuzioni con le strutture antitrust dell'Unione europea;

8) ad assumere iniziative affinché sin da ora sia Cassa depositi e prestiti sia Enel congelino ogni azione in ambito di realizzazione della società della rete unica, sino alla conclusione dei lavori del tavolo di confronto sopra indicato.
(1-00408) «Meloni, Lollobrigida, Butti, Silvestroni, Rotelli».

Risoluzione in Commissione:


   Le Commissioni X e XII,

   premesso che:

    nella prima fase dell'epidemia la reperibilità nel nostro Paese di dispositivi medici e di protezione individuale, in particolare di mascherine, è risultata molto difficoltosa a causa della improvvisa discrepanza fra domanda ed offerta, con prezzi elevatissimi incrementati del 1.000 per cento rispetto alle settimane precedenti;

    per venire incontro alle esigenze della popolazione la Commissione europea con la raccomandazione n. 3 del 13 marzo 2020 ha consentito l'importazione di prodotti sanitari, anche senza certificato CE ed esentati da dazi doganali, a condizione che siano in possesso dei necessari certificati nei rispettivi paesi di produzione. Questo regolamento è valido per il periodo della crisi legata al Coronavirus. Tuttavia, dispositivi di protezione individuale provenienti da Paesi extra Unione europea (come Cina e America) devono comunque essere verificati da Inail o Istituto superiore di sanità, per valutare la conformità del prodotto e dei certificati acquisiti dall'importatore agli standard previsto dalla legge;

    la raccomandazione sopra citata è stata recepita nel nostro Paese con l'articolo 15 del decreto-legge n. 18 del 2020 «Disposizioni straordinarie per la produzione di mascherine chirurgiche e dispositivi di protezione individuale», e con il successivo decreto-legge n. 34 del 2020, all'articolo 66-bis, («Disposizioni in materia di semplificazione dei procedimenti per l'importazione e la validazione di mascherine chirurgiche e dispositivi di protezione individuale»). Con tali norme è stata introdotta la possibilità di immettere sul mercato dispositivi di protezione individuale, realizzati in deroga alle vigenti disposizioni e normative sulla marcatura CE;

    tale deroghe, pur rispondendo a necessità impellenti ed inderogabili legati alla salute pubblica, hanno comunque permesso l'introduzione nel nostro Paese di dispositivi di protezione individuale non sicuri per l'utilizzatore e quindi non adatti a fronteggiare l'attuale emergenza sanitaria;

    con il decreto-legge n. 18 del 2020 (cosiddetto «Cura Italia») sono stati introdotti una serie di incentivi per la produzione e la fornitura di dispositivi medici e di protezione individuale per il contenimento e il contrasto dell'emergenza epidemiologica COVID-19;

    in particolare Invitalia (Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa spa) ha predisposto, con risorse previste nel «Cura Italia», un fondo di 50 milioni di euro destinato alla riconversione industriale, rivolto a tutte le imprese, costituite in forma societaria, che decidono di ampliare o riconvertire la propria attività finalizzandola alla produzione di dispositivi medici o dispositivi di protezione individuale;

    la dimensione del progetto di investimento deve partire da un minimo di 200 mila euro a un massimo di 2 milioni di euro, cifre per le quali sono previsti finanziamenti a fondo perduto e mutui agevolati;

    sono state 102 le imprese in totale ammesse agli incentivi, 65 progetti sono pervenuti da imprese che hanno deciso di riconvertire gli stabilimenti e 37 prevedevano ampliamenti dei siti produttivi;

    oltre alle imprese che hanno riconvertito la produzione per realizzare dispositivi medici, esistono molte altre aziende in Italia che producono mascherine: si tratta, in particolare, del settore tessile che conta una filiera di circa 400 imprese;

    tutte le mascherine prodotte in Italia devono possedere elevati standard di sicurezza: sia quelle chirurgiche che le ffp2 prodotte in Italia, oltre alla certificazione Uni; devono, infatti, superare esami di efficienza di filtrazione batterica, respirabilità, pulizia microbica, citotossicità, irritazione cutanea e sensibilizzazione allergica, biocompatibilità e performance;

    ad oggi sono almeno 50 le aziende italiane che risultano in possesso di valida autorizzazione alla produzione e alla commercializzazione di mascherine facciali ad uso medico, rilasciata dall'Istituto superiore di sanità, ai sensi dell'articolo 15, comma 2, del «Cura Italia»;

    il Commissario straordinario per l'emergenza Domenico Arcuri, intervenendo nel mese di maggio 2020 in Commissione affari sociali alla Camera dei deputati, aveva annunciato che «a settembre ci saranno sul mercato solo mascherine chirurgiche italiane». Il Commissario ha poi ricordato che, oltre alla riconversione di 135 imprese che hanno iniziato a produrre i dispositivi di protezione individuale, lo Stato ha avviato la produzione delle macchine necessarie a realizzare i dispositivi: «la conversione delle imprese e la produzione di macchine ci fa ritenere che al più tardi alla fine del mese di settembre noi non dipenderemo più dall'importazione dei dispositivi da altri luoghi del mondo»;

    si apprende da fonti stampa che ad oggi, a novembre 2020, siano ancora moltissime le mascherine prodotte non in Italia e non conformi alle normative a cui sono sottoposte le imprese nazionali, ma tuttavia spesso legali perché importate da altri Paesi e realizzate grazie alla deroga alle disposizioni e normative sulla marcatura CE;

    dall'ultimo report realizzato dall'Inail emerge infatti come in Italia solo il 5 per cento delle mascherine analizzate siano risultate idonee alle vigenti norme tecniche di conformità: il 95 per cento risulta invece non autorizzabile per varie cause, come, ad esempio, l'assenza di report sulle prove effettuate sui dispositivi, o di test report carenti o non conformi alle norme di riferimento e, pertanto, tali mascherine non appaiono sicure sul fronte della salute pubblica;

    si tratta di dati allarmanti anche in relazione al continuo fabbisogno di mascherine necessarie nel nostro Paese che continua ad essere di circa 90 milioni al giorno e che, vista l'attuale seconda ondata di epidemie, non sarà destinata a diminuire almeno nei prossimi mesi;

    in questi giorni sono numerosi i casi di cronaca riferiti a sequestri di mascherine non conformi. Ultimo in ordine di tempo il 7 novembre 2020 a Casoria dove il comando provinciale della Guardia di finanza di Napoli ha confiscato 12.550 mascherine e non a norma, pronte per essere messe in vendita;

    in questo contesto va infatti segnalato che la produzione del falso si stia realizzando anche in Italia: nei mesi scorsi 13 titolari di ditte tessili cinesi sono stati arrestati perché nelle loro aziende, oltre ad essere impiegati immigrati irregolari, la produzione, come ha certificato l'Istituto superiore di sanità, non era a norma. Tali aziende si erano riconvertite per la produzione e la consegna del prodotto contraffatto alla Protezione civile era in programma nei giorni successivi;

    oltre alle citate criticità di carattere sanitario, appare evidente che la presenza nel nostro Paese di mascherine importate e non conformi stia creando gravissimi problemi alle aziende del settore che producono dispositivi sicuri, che hanno fatto investimenti e che sono costrette a subire concorrenza sleale;

    parrebbe evidente che dopo questo significativo sforzo per assicurare una produzione nazionale di questi prodotti indispensabili, il Governo si debba oggi adoperare in modo organico per tutelare sia le imprese del comparto, sia gli altri soggetti operanti sul mercato nazionale nel medesimo ambito;

    attualmente la situazione del mercato dei dispositivi di protezione individuale è sicuramente meno critica rispetto a marzo 2020 quando, a causa dell'indisponibilità dei prodotti a fronte di un'altissima domanda, fu introdotta la deroga. Eppure la norma continua a produrre i propri effetti ancora oggi, con ricadute negative sia sulle imprese che realizzano prodotti sicuri, sia per lavoratori e cittadini equipaggiati con dispositivi inadeguati, la cui salute è in grave pericolo;

    queste problematiche stanno convincendo molti Paesi europei a rimuovere l'autorizzazione ad immettere nel mercato dispositivi non marcati CE: Francia e Spagna, ad esempio, hanno fissato il termine di fine settembre 2020 per l'immissione in commercio dei prodotti, mentre in Germania tale termine è scaduto il 1° ottobre 2020;

    il settore dei dispositivi medici ha nell'innovazione la sua cifra distintiva: nuove tecnologie, nuovi prodotti, strumenti e servizi per migliorare le prestazioni e offrire opportunità di salute sempre più efficaci e affidabili;

    la ricerca e l'innovazione sono quindi attività strategiche fondamentali per le imprese, motivo per il quale vengono dedicati ingenti investimenti, che producono non solo nuove opportunità di diagnosi e cura, ma anche sviluppo della scienza, della cultura, dell'occupazione;

    l'articolo 9-ter del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto, n. 125, contiene disposizioni in materia di tetto di spesa a livello nazionale e regionale per l'acquisto di dispositivi medici e di modalità di concorso da parte delle aziende fornitrici al ripiano dell'eventuale superamento a decorrere dal 2015;

    il cosiddetto payback per i dispositivi medici è una misura varata durante la stagione dei tagli alla sanità, quando la maggior parte delle regioni era ancora in piano di rientro e vigeva l'urgenza di porre rimedio a una situazione finanziaria sull'orlo del default;

    la norma non ha tenuto conto di una serie di fattori specifici, quali, ad esempio le modalità di acquisto dei dispositivi medici (gare a evidenza pubblica), gli obblighi derivanti per le imprese con i relativi costi (fidejussioni, burocrazia, penali), nonché l'obbligo previsto dalla norma di garantire il bene, pena far cadere l'azienda produttrice nella fattispecie di interruzione di pubblico servizio;

    tutti questi elementi, oltre all'oggettiva difficoltà di calcolo delle quote di eccedenza, hanno reso la norma dal 2015 ancora inapplicata, dunque non ha generato alcun beneficio per il sistema sanitario nazionale e regionale. Ha però obbligato le aziende del settore a doverne tenere conto da un punto di vista fiscale e tributario, a discapito di investimenti in occupazione, ricerca e innovazione, facendo registrare dal 2015 un costante calo degli investimenti;

    appare, quindi, opportuno rivedere le disposizioni relative al payback per i dispositivi medici introdotto dall'articolo 9-ter del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, e prevedere nuove risorse e misure ad hoc per incentivare e sostenere la ricerca e lo sviluppo di prodotti e processi innovativi per le aziende che producono dispositivi medici: con l'obiettivo di favorire anche la nascita di distretti di eccellenza come nei settori delle biotecnologie e medicale ed elevare, promuovendo una produzione di qualità e tecnologicamente avanzata, le quote di mercato interne ed estere delle imprese italiane,

impegnano il Governo:

   1) ad adottare iniziative volte a sostenere, nel rispetto delle norme nazionali e comunitarie sulla concorrenza, le aziende italiane produttrici di mascherine chirurgiche e dispositivi di protezione individuale che hanno investito sul territorio italiano nel potenziare la propria capacità produttiva in un'ottica sostenibile dal punto di vista sociale, etico e ambientale, attraverso le seguenti misure:

    a) contingentamento dell'autorizzazione ad immettere sul territorio nazionale dispositivi non marcati CE;

    b) potenziamento dei controlli lungo tutta la filiera di produzione e vendita dei dispositivi medici per contrastare e prevenire la presenza di mascherine chirurgiche e dispositivi di protezione individuale non conformi;

    c) inserimento, qualora la produzione diretta dello Stato non fosse sufficiente, di mascherine chirurgiche e dispositivi di protezione individuale prodotti in Italia nei bandi di gara pubblici (a tutti i livelli territoriali) per l'acquisto di dispositivi medici di protezione;

    d) stanziamento di ulteriori incentivi fiscali per sostenere la continuità economica e produttiva della filiera nei prossimi anni, al fine di mantenere una produzione nazionale di qualità e per non essere conseguentemente impreparati nel contrastare nuove possibili future pandemie;

    e) modifica delle disposizioni relative al payback per dispositivi medici introdotte dall'articolo 9-ter del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, non fissando i tetti di spesa per i dispositivi medici relativamente all'anno 2020, data l'eccezionalità del periodo di pandemia che ha causato, da un lato, un inevitabile maggior utilizzo dei prodotti COVID e, dall'altro, una drastica riduzione di utilizzo dei dispositivi medici comunemente utilizzati per le prestazioni ordinarie, che, come noto, sono state drasticamente ridotte, se non azzerate;

    f) rivedere il meccanismo dei tetti di spesa per i dispositivi medici al fine di superarlo per introdurre nuove risorse e misure ad hoc per incentivare e sostenere la ricerca e lo sviluppo di prodotti e processi innovativi per le aziende che producono dispositivi medici;

    g) promozione di strumenti di certificazione per attestare l'autenticità del made in Italy nella produzione di mascherine chirurgiche e dispositivi di protezione individuale, in particolare delle mascherine.
(7-00593) «Nardi, Carnevali».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:

   l'impennata dei contagi che sta facendo registrare questa seconda ondata di Covid evidenzia, quotidianamente, come le famiglie con anziani non autosufficienti, ovvero quelle con minori e genitori impegnati sui luoghi di lavoro, siano tra i soggetti che maggiormente si trovano a dover farsi carico delle conseguenze sanitarie – sovente nefaste – della pandemia Sars-Covid-19;

   in particolare, l'impressionante dilagare dei contagi – peraltro ampiamente preconizzato sin dal periodo del lockdown della primavera scorsa – ha rimarcato l'urgenza di una efficace programmazione di settori, quali, appunto, quelli dell'assistenza e dei servizi alla persona;

   babysitter e badanti sono, infatti, persone, figure professionali che occupandosi di bambini ed anziani, entrano in contatto, quotidianamente, con soggetti «fragili» e, dunque, maggiormente esposti al rischio di contrarre la malattia;

   di frequente, tali lavoratori, in particolare quelli che prestano assistenza agli anziani, provengono da Paesi stranieri e sono persone delle quali ben poco si conosce circa i loro stili di vita. Eppure, in molti casi, essi entrano a stretto contatto con anziani soli ed in periodo notturno e, altrettanto spesso, prestano servizio presso più di una abitazione;

   in assenza di un preciso obbligo di utilizzare idonei presidi sanitari di sicurezza – mascherine e guanti – durante l'orario di lavoro, ovvero di un controllo periodico tramite tampone, quanti prestano assistenza agli anziani, oltre a mettere a repentaglio la propria salute, costituiscono un pericolosissimo veicolo di trasmissione del virus. Del resto, non è incomprensibile come gli stessi siano restii a sottoporsi volontariamente ai tamponi periodici a causa della paura di perdere il lavoro;

   nel susseguirsi, quasi quotidiano, di provvedimenti adottati dal Governo per fronteggiare l'ondata di Covid-19 non vi è traccia alcuna di misure volte a controllare tali categorie di lavoratori mediante la previsione di specifici obblighi – mascherina sui luoghi di lavoro e tampone periodico obbligatorio;

   tra l'altro, è evidente che i costi di questo tipo di prevenzione non possano ulteriormente gravare, così come attualmente gravano, sulle famiglie italiane, già aspramente colpite dalla grave crisi economica seguita alla diffusione della pandemia, ma di cui dovrebbe farsi carico lo Stato –:

   se e quali urgenti iniziative, in ambito sanitario, il Governo intenda adottare per assicurare un efficace e regolare controllo della positività al virus Sars Covid-19 di colf e badanti, al fine di attuare una efficace attività di prevenzione della diffusione della pandemia.
(2-01044) «Baldini, Gelmini».

Interrogazione a risposta orale:


   SILVESTRONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   in data 24 novembre 2020 l'azienda Kraft Heinz pubblica un video sui propri canali ufficiali (in particolare sul canale YouTube «Kraft Peanut Butter») di promozione commerciale della propria crema spalmabile al cioccolato ambientato nella città di Sutri, pieno di stereotipi negativi nei confronti della società italiana;

   all'interno dello spot sono ricorrenti scene che dipingono la nostra nazione e i cittadini italiani poco istruiti nonché bigotti, senza alcun rispetto verso la storia e la cultura della città di Sutri e dei suoi abitanti, anch'essi rappresentati in modo piuttosto grottesco;

   il video suggerisce che il prodotto commercializzato da Kraft Heinz sia di gran lunga migliore rispetto agli analoghi italiani. Questa impostazione sembra peraltro contrastare con il codice dell'istituto di autodisciplina pubblicitaria. In particolare con l'articolo 10, che recita «La comunicazione commerciale [...] deve rispettare la dignità della persona in tutte le sue forme ed espressioni e deve evitare ogni forma di discriminazione, compresa quella di genere», e con l'articolo 14, il cui contenuto prevede che «è vietata ogni denigrazione delle attività, imprese o prodotti altrui, anche se non nominati»;

   non è la prima volta che da parte di aziende straniere emergono elementi discriminatori e talvolta offensivi verso la cultura italiana. Se in diversi casi si è trattato di stereotipi in buona fede e iperbolici, nel caso di Heinz viene presa di mira un realtà specifica, quella della città di Sutri e dei suoi abitanti, e vengono chiamati in causa indirettamente i concorrenti italiani che producono la medesima tipologia di bene;

   tutelare i prodotti del made in Italy e promuoverne l'internazionalizzazione nel rispetto della legislazione internazionale sulla concorrenza deve essere una priorità delle istituzioni, verso i cittadini, i produttori e le aziende italiane. Inoltre occorre ad alto livello difendere gli interessi dei consumatori, cercando di evitare che si verifichino situazioni discriminatorie, fuorvianti e offensive, nonché irrispettose e potenzialmente in violazione delle norme sulla libera concorrenza –:

   se i Ministri interrogati siano al corrente della pubblicità «Kraft Hazelnut Spread - Can't Handle It» discriminatoria nei confronti dell'Italia e della sua sostanziale natura ingannevole nei confronti dei consumatori e se non intendano adottare iniziative, per quanto di competenza, volte a tutelare la cultura e l'immagine della società italiana nel mondo;

   se e quali iniziative di competenza si intendano assumere per la promozione della cultura italiana nel mondo, con particolare riferimento alle eccellenze alimentari e territoriali, e del made in Italy.
(3-01972)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CARDINALE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   in un contesto di pandemia globale come quello attuale la distribuzione dei vaccini è un elemento di massima importanza per salvaguardare la vita dei cittadini;

   il primo invio di vaccini da parte della Pfizer, per un totale di 1.833.975 dosi, dovrebbe essere ripartito per regioni seguendo tali quantità: Abruzzo 25.480, Basilicata 19.455, Calabria 53.131, Campania 135.890, Emilia Romagna 183.138, Friuli VG 50.094, Lazio 179.818, Liguria 60.142, Lombardia 304.955, Marche 37.872, Molise 9.294, Pa Bolzano 27.521, Pa Trento 18.659, Piemonte 170.995, Puglia 94.526, Sardegna 33.801, Sicilia 129.047, Toscana 116.240, Umbria 16.308, Valle d'Aosta 3.334, Veneto 164.278 –:

   quale criterio sia utilizzato per la ripartizione di cui in premessa, in ragione del fatto che alle regioni Campania e Sicilia, maggiormente popolose rispetto ad altre tra cui l'Emilia Romagna, il Veneto o il Piemonte, saranno distribuite dosi inferiori di vaccino.
(4-07848)


   ANZALDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   in data 1° dicembre 2020 il sito di informazione «Dagospia» ha pubblicato un audio secondo il quale una cittadina avrebbe visto, la sera del 31 ottobre 2020, la compagna del Presidente del Consiglio dei ministri Conte, Olivia Paladino, all'interno di una nota enoteca-ristorante stellato nel centro storico di Roma, vicino al Parlamento. Consta all'interrogante che all'interno del locale sarebbero stati presenti anche uomini della scorta del Presidente del Consiglio;

   l'eventuale presenza della compagna del Presidente Conte e di uomini della scorta all'interno del locale sarebbe avvenuta in violazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 26 ottobre 2020 che aveva decretato la chiusura dei ristoranti in tutta Italia a partire dalle ore 18 per il contrasto al diffondersi del coronavirus;

   l'Ufficio stampa del Presidente del Consiglio, con una nota diffusa nella serata del 1° dicembre 2020, ha precisato che «l'ultima volta che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha cenato nel ristorante indicato dalla presunta testimone risale alla fine di settembre». L'Ufficio stampa ha inoltre dichiarato che «è falso che la sera del 31 ottobre la scorta del presidente Conte stazionasse davanti al detto ristorante»;

   non risulta smentita la presenza all'interno del locale della compagna del Presidente Conte e di uomini della scorta, di cui è stato smentito solo lo «stazionamento» davanti al ristorante –:

   se corrisponda al vero che la sera del 31 ottobre 2020 personale della scorta del Presidente del Consiglio dei ministri si sia recato all'interno del ristorante «Achilli» a Roma, dove sarebbe stata presente la compagna del Presidente Conte, e, in caso affermativo, a quale titolo il personale della scorta fosse lì, in assenza del Presidente del Consiglio dei ministri.
(4-07857)


   ANZALDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   il 13 maggio 2020 il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, cosiddetto decreto Rilancio, finalizzato a sostenere l'economia nella fase più critica dell'esplodere della pandemia da coronavirus;

   nel testo del decreto uscito dal Consiglio dei ministri, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 19 maggio, all'articolo 180 è presente una norma che depenalizza il mancato versamento della tassa di soggiorno da parte degli alberghi, stabilendo l'applicazione di una semplice sanzione amministrativa sui titolari delle strutture ricettive;

   la redazione formale di ogni decreto-legge viene coordinata dal Dagl, il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio, e fa seguito alle riunioni tecniche con tutti i capi legislativi dei Ministeri che avvengono in quello che viene definito «Preconsiglio»;

   a capo del Dagl c'è il dottor Ermanno de Francisco, nominato dal Presidente del Consiglio Conte il 25 giugno 2018, pochi giorni dopo il suo insediamento a capo del Governo;

   da notizie di stampa si apprende che il titolare del Grand Hotel Plaza di Roma, Cesare Paladino, padre della compagna del Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, a luglio 2019 era stato condannato alla pena di 1 anno, 2 mesi e 17 giorni di reclusione per l'omesso versamento al Comune di Roma della tassa di soggiorno negli anni 2014-2018, per un totale di 2.047.677 euro;

   da un articolo del «Corriere della sera» del 10 dicembre 2020 si è appreso che, proprio in nome dell'articolo 180 del decreto Rilancio, il signor Paladino ha in sostanza potuto usufruire della totale cancellazione della pena e della condanna per il mancato versamento di 2 milioni di euro di tassa di soggiorno. Da un precedente articolo, sempre del «Corriere della sera», si era appreso che il signor Paladino aveva presentato ricorso fin dalla seconda metà di luglio, nei giorni immediatamente successivi all'approvazione definitiva del disegno di legge di conversione del decreto-legge, avvenuta in Senato il 16 luglio –:

   quale sia stato l'ufficio legislativo che ha proposto di inserire nel decreto Rilancio la norma per la depenalizzazione dell'omesso pagamento della tassa di soggiorno, se l'articolo 180 sia stato proposto in tutto o in parte da un Ministero oppure dal Dagl, o se il Dagl o altri uffici della Presidenza del Consiglio dei ministri abbiano contribuito alla redazione del suddetto articolo e in che forma;

   se della norma si sia discusso durante le riunioni del Preconsiglio preparatorie alla redazione del decreto Rilancio;

   se la Presidenza del Consiglio non ritenga doveroso pubblicare i verbali delle sedute del Preconsiglio e fare piena luce sull'iter preparatorio di questa norma, alla luce del beneficio che ha portato ad un congiunto del Presidente del Consiglio, poiché grazie a questa depenalizzazione il padre della compagna del premier si è visto cancellare, con valore retroattivo, una condanna già passata in giudicato attraverso il patteggiamento.
(4-07858)


   GEMMATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   il 15 ottobre 2020, un comunicato stampa dell'Oms evidenziava quanto segue: «...I risultati provvisori del Solidarity Therapeutics Trial, coordinato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, indicano che i regimi di remdesivir, idrossiclorochina, lopinavir / ritonavir e interferone sembravano avere scarso o nessun effetto sulla mortalità a 28 giorni o sul decorso ospedaliero di COVID-19 tra pazienti ricoverati...»;

   in particolare, il predetto studio, pubblicato sul sito medrxiv.org in fase di attesa di revisione tra pari, evidenziava, nelle conclusioni del suo abstract, quanto segue: «...Questi regimi Remdesivir, Idrossiclorochina, Lopinavir e Interferone sembravano avere un effetto minimo o nullo sul COVID-19 ospedalizzato, come indicato dalla mortalità complessiva, dall'inizio della ventilazione e dalla durata della degenza ospedaliera...»;

   in data 19 ottobre 2020, una tra le più importanti riviste scientifiche del mondo, BMJ, pubblicava un articolo dal titolo «Remdesivir ha un impatto minimo o nullo sulla sopravvivenza, mostra lo studio dell'OMS» nel quale evidenziava il predetto studio e affermava quanto segue: «... Il più grande studio fino ad oggi sui trattamenti riproposti per l'uso nella pandemia covid-19 ha dimostrato che nessuno dei quattro farmaci studiati ha prodotto alcun beneficio misurabile in termini di mortalità o decorso della malattia. Ciò include il remdesivir...»;

   BMJ riportava le valutazioni di Landray, un epidemiologo dell'Università di Oxford che evidenziava che «...la grande storia è la scoperta che remdesivir non produce alcun impatto significativo sulla sopravvivenza...» e ricordava anche che «... il remdesivir è un farmaco che viene somministrato per infusione endovenosa per 5-10 giorni e costa circa 2000 sterline [2205 euro; 2600 dollari] per corso...Abbiamo bisogno di trattamenti scalabili, convenienti ed equi...»;

   il 28 ottobre 2020, il direttore di Aifa, in un comunicato, evidenziava che «Il Remdesivir è in fase di riposizionamento perché, dopo la pubblicazione di ulteriori studi, l'efficacia è risultata minore del previsto...»;

   in data 26 novembre 2020, Aifa, in suo comunicato dal titolo «COVID-19: AIFA limita l'uso di remdesivir in casi selezionati», evidenziava che «...per quanto riguarda il remdesivir...,alla luce delle nuove evidenze disponibili, l'utilizzo potrà essere considerato esclusivamente in casi selezionati, dopo una accurata valutazione del rapporto benefici/rischi...»;

   Il Fatto quotidiano, in data 29 novembre 2020, evidenziava non solo che l'Oms aveva sconsigliato l'uso di remdesivir nei pazienti ospedalizzati sulla base dei risultati dello studio Solidarity ma anche che «...l'Italia e decine di altri Paesi hanno già ordinato centinaia di migliaia di fiale di Remdesivir da 345 euro l'una, nell'ambito di un contratto quadro firmato a ottobre dalla Commissione europea con Gilead...»;

   Il Fatto quotidiano, evidenziava che «...La Commissione permette d'acquistare i trattamenti ma non obbliga nessuno a farlo»... «In mancanza di obbligo legale ha funzionato però la pressione sociale e mediatica per avere dosi dell'unico farmaco autorizzato dall'Ema – se pur con autorizzazione (condizionata, ovvero che deve essere confermata con la raccolta di nuovi dati clinici) – per il trattamento del Covid....»;

   il quotidiano evidenziava ancora che «quando l'8 ottobre Gilead ha reso disponibile un'enorme quantità di trattamenti, le autorità competenti hanno fatto immediatamente l'ordine. Tra questi il commissario per l'emergenza Covid in Italia, Domenico Arcuri, che secondo quanto rivelato dal Financial Times ha firmato per 51 milioni di euro (oltre 25 mila trattamenti)...»;

   il predetto quotidiano riporta le parole di Marie-Paule Kieny, direttrice della ricerca all'Inserm (l'istituto Superiore di Sanità francese) e membro del comitato esecutivo del Solidarity che afferma che «...è deprecabile che la Commissione non abbia chiesto all'Oms informazioni sullo stato di avanzamento del più grande studio al mondo sul Remdesivir!» –:

   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero e, in caso affermativo:

    quali siano le motivazioni che hanno determinato l'acquisto, da parte del Commissario straordinario per l'emergenza Covid-19, di 51 milioni di euro di fiale di remdesivir posto che erano in corso gli studi scientifici citati in premessa che dimostravano l'inefficacia del farmaco;

    se, prima dell'acquisto del farmaco da parte del Commissario straordinario per l'emergenza Covid-19, sia stata consultata l'Aifa.
(4-07864)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DELMASTRO DELLE VEDOVE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   in Tibet, la situazione della libertà religiosa, della persecuzione politica sistematica e dell'assimilazione culturale forzata della popolazione tibetana autoctona è venuta nei decenni sempre più deteriorandosi;

   il genocidio che il regime comunista cinese ha avviato da decenni in Tibet e da diversi anni in Xinjiang si è intensificato e accelerato con la pandemia. Nel Coronavirus Pechino ha trovato l'occasione e l'arma perfetta, non solo per le sue mire di dominio geopolitico nel mondo, ma anche per cercare di rendere ancora più micidiale la sua disinformazione, la sua propaganda, l'eradicazione di ogni lingua, cultura, religione, ed etnia nel territorio cinese che non corrisponda alle caratteristiche della razza Han;

   un recente rapporto del ricercatore indipendente Adrian Zenz dimostra che – con il pretesto di alleviare la povertà in Tibet – la Cina costringa migliaia di tibetani al lavoro forzato attraverso un sistema militarizzato;

   il finto sistema di formazione professionale sarebbe funzionale per sopprimere la cultura tibetana e impedire la pratica della religione tibetana. Il sistema, inoltre, obbliga i tibetani a cedere le loro terre e mandrie a società gestite dal Governo, per trasformare i pastori e i contadini tibetani in lavoratori forzati;

   alla militarizzazione dell'intera regione, con più di mezzo milione di soldati cinesi che la occupano in permanenza da molti anni, si è aggiunta la recente durissima campagna di militarizzazione dei campi di lavoro in Tibet che rinchiudono molte centinaia di migliaia di tibetani;

   il progetto «in stile militare» per il Tibet, comprende l'indottrinamento forzato e sistemi di sorveglianza intrusiva. I lavoratori trasferiti vengono assegnati a mansioni a bassa retribuzione nella costruzione di strade, in miniere e in lavori più duri;

   in Tibet, il Partito Comunista Cinese usa l'espressione «formazione professionale» esattamente come nello Xinjiang. Come nello Xinjiang, l'obiettivo del Pcc sarebbe la riforma della presunta «arretratezza di pensiero» dei tibetani e la loro «tradizionale pigrizia»;

   questa propaganda comunista rivela apertamente il «genocidio culturale», argomento centrale del Rapporto Zenz sulla Cina, che fa della lotta per la libertà culturale nello Xinjiang, nel Tibet e nella Mongolia meridionale, una causa unica;

   nello Xinjiang, in Tibet e nella Mongolia interna, le cosiddette «regioni autonome», la lingua, la cultura e la religione di chi non è Han sono annientate: ricorrendo su larga scala a detenzione di massa, esecuzioni extragiudiziali e stupro sistematico, le sterilizzazioni forzate delle donne. Non si tratta più di un genocidio «culturale»;

   il Pcc ha internato più di un milione di musulmani dello Xinjiang macchiandosi di un orribile genocidio culturale ed etnico contro il popolo uiguro. Demolisce i templi buddhisti e taoisti, così come le chiese e le croci, confisca e brucia copie della Bibbia e altera persino le Scritture, cacciando i missionari stranieri e arrestando i cristiani. Il Partito ha portato a termine numerose operazioni speciali che hanno avuto per bersaglio la Chiesa di Dio Onnipotente e ha arrestato più di un milione di cristiani;

   il genocidio viene nascosto nel linguaggio del Pcc sotto la definizione «politiche etniche di seconda generazione». Con ciò, persino le misure che consentivano una protezione limitata alle lingue e culture minzu devono ora scomparire –:

   se il Governo intenda proporre, nelle opportune sedi europee, sanzioni contro i responsabili delle violazioni dei diritti umani e la richiesta di vietare l'importazione di componenti e di beni prodotti dal lavoro forzato in Tibet e in Xinjiang.
(5-05202)


   BOLDRINI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   il 1° maggio 2019 veniva ritrovato morto David Solazzo, cittadino italiano di 31 anni, nel suo appartamento nell'isola di Fogo, Repubblica di Capo Verde, immerso in una pozza di sangue;

   David, originario di Firenze, era un cooperante, arrivato a Capo Verde nel novembre del 2018, dove lavorava per la onlus fiorentina Cospe al progetto «Rotas de Fogo», dedicato alla protezione ambientale delle zone rurali dell'isola, allo sviluppo del turismo rurale e sostenibile e alla produzione agroecologica dei prodotti tipici locali;

   reduce da una esperienza nello stesso ambito anche in Angola, era una persona dalla profonda umanità e convintamente dedito ad azioni volte alla solidarietà e al sostegno allo sviluppo;

   la procura di Sao Felipe, che si occupa del caso, ha attribuito la morte di David ad un «tragico incidente domestico», decidendo pertanto il dissequestro dell'appartamento dopo sole 48 ore, senza effettuare – come risulterebbe dalle notizie – rilievi di polizia scientifica;

   l'ipotesi dell'incidente, secondo la quale David, non avendo le chiavi di casa, avrebbe rotto il vetro di una finestra condominiale che dà sulla strada per poter rientrare in casa, (dove poi è stato ritrovato morto per dissanguamento), si è rivelata da subito senza fondamento poiché, successivamente, è stato accertato che David aveva con sé le chiavi di casa e che il vetro condominiale era stato rotto dall'interno verso l'esterno;

   sulla base di questa ipotesi confutata da molti elementi anomali (come le modalità di rottura del vetro, il sangue presente dappertutto, l'assenza di impronte di piedi sulle scale) e sulla base della loro documentazione (foto e video), la procura di Roma ha aperto un'indagine con l'ipotesi di reato di omicidio volontario;

   per le indagini in Italia, è indispensabile che venga disposta la trasmissione degli atti di indagini compiuti a Capo Verde, nonché la restituzione del cellulare, del computer e della macchina fotografica di David (c'è stato tutto il tempo per effettuare le copie informatiche dei relativi contenuti), ma le plurime richieste della procura di Roma, inoltrate sia per i canali diplomatici che direttamente all'autorità giudiziaria di Sao Felipe, risultano essere rimaste inascoltate;

   a 18 mesi dall'evento, la procura di Sao Felipe non ha ancora chiuso l'indagine e non fornisce informazioni;

   nei mesi scorsi i genitori di David hanno scritto al Governo per chiedere verità e giustizia sulla sorte del loro figlio, e nell'agosto 2020 la vice Ministra Emanuela Del Re, durante un colloquio con il Ministro degli esteri di Capo Verde, Luis Filipe Tavares, ha chiesto anche aggiornamenti relativi al decesso di David, evidenziando l'importanza che per l'Italia ha il caso di David;

   il silenzio delle istituzioni capoverdiane tuttavia persiste, e ad oggi le autorità giudiziarie italiane non sono state ancora messe nelle condizioni di poter svolgere gli approfondimenti di competenza, anche mediante la propria polizia scientifica, al fine di acquisire le prove necessarie all'iter delle indagini –:

   quali notizie abbia il Governo in merito al soddisfacimento da parte delle autorità capoverdiane della rogatoria internazionale avviata dalla magistratura italiana e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere per sollecitare le stesse autorità a collaborare per raggiungere al più presto la verità sulla morte del nostro connazionale.
(5-05207)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ALBERTO MANCA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   la legge dell'11 febbraio 1992 n. 157, all'articolo 18, comma 5, stabilisce che: «il numero delle giornate di caccia settimanali non può essere superiore a tre. Le regioni possono consentirne la libera scelta al cacciatore, escludendo i giorni di martedì e venerdì, nei quali l'esercizio dell'attività venatoria è in ogni caso sospeso»;

   nonostante ciò, l'assessore all'ambiente della regione Sardegna, Gianni Lampis, il 7 dicembre 2020 ha ufficialmente dato il via libera all'attività venatoria, sostenendo che la norma di cui alla legge n. 157 del 1992 fosse derogabile in forza della competenza primaria in materia di caccia alle regioni;

   infatti, con nota recante prot. 11741 del 7 dicembre 2020, inoltrata al Comandante del Corpo forestale e di vigilanza ambientale e per conoscenza alla direzione generale difesa dell'ambiente, l'assessore Lampis affermava che: (...) «La norma contenuta all'articolo 18 della legge 157, che prevede il silenzio venatorio per il martedì e venerdì sicuramente non è una norma di riforma economico sociale e tantomeno espressione un principio fondamentale. Conseguentemente si applica l'articolo 49, comma 2 della legge regionale n. 28 che così prevede: “L'attività venatoria può essere consentita per un massimo di due giornate la settimana, compresa la domenica, oltre alle giornate festive infrasettimanali”. (...) Non si ritiene pertanto che sussistano principi in base ai quali si possa disapplicare la Legge regionale»;

   a questo punto si è creata una situazione di totale disorientamento, soprattutto tra gli agenti del Corpo forestale della Sardegna che si sono trovati al centro di questa diatriba interpretativa;

   di fronte a tali circostanze il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è intervenuto attraverso il direttore generale difesa dell'ambiente, dottor Zaghi, che, in risposta a quanto asserito dall'assessore Lampis, ha diffidato la regione Sardegna a concedere l'attività venatoria per il giorno 8 dicembre 2020, in deroga all'articolo 18, comma 5, della legge n. 157 del 1992;

   si tratta di una circostanza per altro smentita dallo stesso assessore, il quale ha dichiarato alla stampa di non aver ricevuto alcun atto di diffida da parte del Ministero attraverso i canali istituzionali;

   va altresì evidenziato che la nota sopra richiamata fa riferimento all'articolo 49, comma 2, della legge regionale del 29 luglio 1998 n. 23, modificato dalla legge regionale del 7 febbraio 2002 n. 5. Sul punto va ricordato che la menzionata legge regionale n. 5 del 2002 della Sardegna è stata sottoposta al vaglio della Corte costituzionale su ricorso del Governo;

   la Consulta, con la sentenza n. 536 del 2002, accogliendo il ricorso, ha confermato un orientamento costituzionale già affermato della stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 407 del 2002 che ha riconosciuto limiti alla competenza regionale, in astratto esclusiva. In base a tale interpretazione, la Corte ha ribadito che la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema – di competenza esclusiva statale ex articolo 117, comma 2, lettera s) – non è una mera materia, ma costituisce un valore costituzionalmente protetto per il perseguimento del quale lo «Stato può dettare gli standard di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale incidenti anche sulle competenze legislative regionali»;

   quindi, anche con il conforto della Corte costituzionale, non è comprensibile la pretesa dell'assessore all'ambiente della regione Sardegna, Gianni Lampis, che rivendica la competenza primaria della regione nella regolamentazione dell'attività venatoria anche in deroga della normativa nazionale contenuta nella legge n. 157 del 2002 –:

   quali ulteriori iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda predisporre nei confronti della Regione Sardegna in merito alla sospensione del silenzio venatorio nella giornata di martedì 8 dicembre 2020, concessa in deroga all'articolo 18, comma 5, della legge n. 157 del 1992;

   se intenda avviare iniziative, per quanto di competenza, anche in sede di Conferenza Stato-regioni, affinché siano evitate da parte delle Regioni interpretazioni in violazione della norma statale nella materia di cui in premessa.
(5-05205)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo, il Ministro dell'istruzione, per sapere – premesso che:

   l'Italia è un Paese di immense risorse artistiche. Tanto che non si sarebbe mai riuscito a registrare un numero preciso di quante ce ne siano. Sono state catalogate, conservate, nascoste, rubate, espatriate, sotterrate. Ci sono sempre nuove scoperte. Se solo si tenessero in considerazione le opere conosciute e presenti sul territorio italiano, sarebbe difficile poterle contenere in un normale dizionario enciclopedico, o in un normale corso di studi in storia dell'arte;

   insegnare ai bambini a riconoscere il bello sarebbe il principale, ma non unico, obiettivo di percorsi che insegnino loro anche la vita ed il contesto in cui hanno vissuto interpreti famosi del nostro patrimonio culturale che hanno portato fondamentali innovazioni in campo artistico, seppur dotati, sovente, di personalità fortissime e a volte ritenuti personaggi scomodi per i loro tempi. I bambini apprezzerebbero sentire parlare di loro, e soprattutto vedere, prima, e cercare di riprodurre, poi, le loro opere. Ogni scultura, dipinto, opera d'arte ha dietro una storia da raccontare che, se raccontata nel modo giusto, è in grado di incantare i bambini. I capolavori più celebri potrebbero diventare fiabe che, quindi, tradotte nel linguaggio dei piccoli, li emozionano, insegnando i trucchi usati dai più grandi artisti della storia;

   far venire la voglia di imparare è la questione principale di ogni tipo di educazione, soprattutto nell'educazione all'arte. Infatti, non è importante come si imparino le cose, ciò che conta è come viene costruita e come emerge la voglia di apprendere. A parere degli interpellanti è fondamentale, parlare ai bambini usando una lingua diversa da quella delle parole, usando cioè le immagini, e ciò contribuisce ad attirare l'attenzione dei piccoli critici. Ciò in linea con il fatto che una delle gioie più grandi dell'essere bambino è dedicarsi al gioco, coltivare interessi e curiosità ed essere liberi di esplorare il mondo, anche attraverso l'arte;

   esplorare le arti visive, quindi, deve essere parte integrante della formazione dei bambini piccoli ed è un'attività essenziale per nutrire il loro spirito. Questo importante aspetto rimanda inevitabilmente all'apprendimento e al mondo della scuola, in particolare a quelle di ispirazione steineriana e montessoriana, che offrono ai bambini la possibilità di raffinare i propri sensi e le proprie competenze artistiche come metodo di apprendimento scolastico;

   il processo creativo, quindi, sarebbe di vitale importanza a prescindere dalle competenze del singolo, se visto nell'ottica di liberare la mente, la loro creatività e incentivarli a trasferire le proprie emozioni in un disegno, un dipinto o in una creazione artigianale. In questo modo non solo si stimolano i sensi del bambino, ma si instillano in lui le fondamenta per una maggiore autostima e sicurezza in se stesso, oltre ad aiutarlo ad affrontare per il meglio le sua abilità sociali e la risoluzione dei problemi quotidiani;

   la Società italiana di pediatria preventiva e sociale da sempre segnala che l'utilizzo dei cellulari per i bambini si sta trasformando da uso in abuso e gli effetti nocivi per la salute sono sempre più evidenti. Gli esperti puntano il dito anche contro le onde magnetiche emanante dai telefonini e propongono di vietare l'uso dei cellulari ai bambini al di sotto dei dieci anni;

   risulta all'interpellante che il nostro Paese, sarebbe, al primo posto in Europa per numero di cellulari in utilizzo e l'età media dei possessori diminuisce sempre di più senza dimenticare che un cellulare, o smartphone che dir si voglia, è sinonimo di piccolo ricetrasmittente che viene normalmente tenuto vicino alla testa, durante le chiamate o mentre si sta giocando o comunicando. Da più specialisti viene spiegato che: «Gli effetti nocivi per la salute sono sempre più evidenti, alcuni legati agli effetti termici: l'interazione di un campo elettromagnetico con un sistema biologico provoca aumento, localizzato per quanto riguarda i telefonini, della temperatura attivando il sistema naturale del nostro organismo»;

   l'arte, dunque, è ciò che oggi potremmo definire «bene comune» e di cui, dunque, deve prendersi cura la collettività, nel suo proprio interesse. Non bisognerà mai smettere di pensare all'arte, così come alla cultura, come uno strumento di democrazia, come patrimonio collettivo e diritto di tutti, come risorsa e come valore da salvaguardare, da promuovere, diffondere e condividere;

   l'annus horribilis che la pandemia sta facendo vivere all'umanità ed in particolar modo ai più piccoli deve essere certamente un ulteriore motivo per riproporre, quando sarà solo una brutta pagina della storia, proiezioni nuove ed innovative che possano restituire ai bambini una empatia con l'esterno e con la inventiva che il mondo esterno può stimolare –:

   quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, il Ministro interrogato intenda adottare, al fine di istituire percorsi artistici educativi in musei ed altri luoghi della cultura al fine di armonizzare la crescita e lo sviluppo dei bambini con il mondo dell'arte;

   se non si ritenga opportuno implementare le metodologie dell'offerta didattica con lo scopo di consentire agli alunni un maggiore nonché più reale coinvolgimento nell'apprendimento del prestigio del patrimonio artistico del nostro Paese.
(2-01046) «Grippa, Del Sesto, Barbuto».

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   PENTANGELO. — Al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   A Napoli, in piazza Neghelli, nel quartiere Cavalleggeri d'Aosta situato nella circoscrizione Bagnoli Fuorigrotta, lo Stato possiede un immobile, la ex caserma Battisti. Esso fu utilizzato sino alla fine degli anni '80 per ospitare un'aula bunker necessaria per celebrare in sicurezza processi penali nei confronti di imputati per associazione camorristica;

   successivamente, l'immobile è stato concesso in uso all'Agenzia delle entrate, che lo ha utilizzato per il deposito di documenti sino a quando la caserma non è stata abbandonata a sé stessa, degradandosi progressivamente, tanto che una parte dell'area è stata occupata da un parcheggio abusivo;

   per evitare il progressivo degrado, sin dall'inizio degli anni '90, numerose associazioni sociali e culturali hanno proposto delle destinazioni d'uso dell'immobile a vantaggio dei residenti, poiché il quartiere è sprovvisto degli spazi di aggregazione necessari;

   per fare il miglior uso dell'immobile già nel 1996, nel corso della XIII legislatura, l'on. Rosa Russo Iervolino presentò un atto di sindacato ispettivo, l'interrogazione n. 4/00697, nel quale si lamentava il mancato utilizzo dell'edificio, che già versava in stato di forte degrado;

   i cittadini del comune di Napoli, in particolare quelli della circoscrizione di Fuorigrotta, avrebbero interesse e beneficio se l'immobile fosse destinato a scopi socioculturali utili per la città e il quartiere, poiché è del tutto sprovvisto di strutture sociali;

   questo tipo di utilizzo risolverebbe problemi ed esigenze fortemente sentiti dai cittadini del quartiere;

   nel 2018 fonti di stampa hanno fatto sperare nella riqualificazione dell'edificio pubblico, dando notizia di un progetto utile per farlo rinascere. Si è auspicato che divenisse sede di una casa della cultura. Con ciò si sarebbe garantita, per i tanti giovani residenti, la possibilità di disporre di un luogo di aggregazione nuovo ed innovativo;

   successivamente, nel 2019, sul sito istituzionale del Ministero della difesa è stata riportata una notizia con la quale si è venuti a conoscenza della sottoscrizione di un protocollo d'intesa riguardante la finalità d'uso dell'immobile, non più destinato alla fruizione della cittadinanza per garantire un servizio pubblico socioculturale;

   nel documento, sottoscritto dal Ministro pro-tempore Elisabetta Trenta e dal Ministro Alfonso Bonafede, assieme al direttore dell'Agenzia del Demanio-direzione Regionale della Campania, si prevede una collaborazione istituzionale tra il ministero della difesa e il ministero della giustizia, avente ad oggetto la cessione dell'immobile, senza specificare se tutto o in parte, nell'ambito della razionalizzazione dei beni immobili della difesa, per la trasformazione in struttura carceraria;

   si precisa che la notizia pubblicata non consente di capire chiaramente se l'unità immobiliare destinata a ospitare una struttura di supporto carcerario comprenda o meno l'ex aula bunker –:

   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, in caso affermativo, se il Governo intenda fornire ulteriori chiarimenti circa la portata del protocollo d'intesa, specificando, in particolare se l'edificio sia tutto destinato all'uso carcerario o se esso rimanga in parte disponibile, in particolare se l'aula bunker rimanga nella disponibilità del Ministero della difesa e possa essere destinato a un uso mirante alla sua riqualificazione mediante una destinazione d'uso a fini sociali a culturali.
(4-07859)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   MARTINCIGLIO, ELISA TRIPODI, CANCELLERI, D'ORSO, GIULIANO e FRAGOMELI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   da un servizio de «Le Iene» del 17 novembre 2020 si apprende la particolare situazione del professor Carlo Gilardi, 90enne di Airuno (Lecco), conosciuto nella sua comunità per l'elevato spessore culturale, per i contributi poetici e letterari, per l'amore per la natura, nonché, soprattutto, per la grande umanità e solidarietà che non ha mai lesinato di mostrare nei confronti dei più deboli, ma che, paradossalmente, ad oggi, gli stanno costando la libertà;

   la sua condizione economica particolarmente favorevole gli ha consentito negli anni di esprimere concretamente la sua generosità rivolgendola sia ai più bisognosi, mediante azioni di ausilio economico o, addirittura, l'accoglienza presso la propria abitazione di chi ne fosse privo, che, più in generale, alla comunità del piccolo Paese che ha beneficiato di laute donazioni, sia di denaro che di beni (donazione di terreni per la realizzazione del parcheggio della scuola e di un parco integrato, oppure all'acquisto di un defibrillatore);

   circa tre anni fa la sorella, più anziana di lui e unica parente vivente, allertata dalla banca per una serie di movimenti ritenuti sospetti sul suo conto corrente e preoccupata per la gestione del patrimonio del fratello, ha chiesto ed ottenuto dal tribunale di Lecco la nomina di un amministratore di sostegno (ad oggi se ne sono succeduti cinque) per la tutela dei suoi interessi;

   secondo il Gilardi, tale provvedimento, di fatto, l'ha completamente inibito dall'adottare qualunque disposizione del suo patrimonio, fino al punto di negare l'accesso ai propri fondi anche per esigenze ritenute dall'amministrato primarie, ponendolo, quindi, in una condizione di «depressione morale» che lo ha portato ad esprimere ripetutamente la sua contrarietà alla nomina di un amministratore di sostegno fino al punto di decidere nel giugno 2020 di sottoporsi spontaneamente ad una perizia psichiatrica il cui esito ha accertato che «non emergono anomalie o segni di patologia (...) Il pensiero è privo di alterazioni (...) nessun segno di deterioramento mentale o cognitivo»;

   risulta alla interrogante che, nel luglio 2020, il giudice tutelare abbia richiesto una consulenza tecnica d'ufficio per capire se l'amministrato avesse bisogno di ulteriori misure di tutela, mentre, contestualmente, l'amministratrice di sostegno, adducendo varie scuse, avrebbe continuato a negargli l'accesso al suo patrimonio, nonostante i suoi accorati e continui appelli ad assumere una condotta inversa;

   il 10 settembre 2020 il Gilardi, perfettamente nel pieno delle sue facoltà mentali, si è rivolto al proprio legale per revocare l'amministratrice di sostegno, denunciandone comportamenti non congrui con il suo incarico, tra i quali, ad esempio, un episodio risalente al 2018 in cui quest'ultima avrebbe effettuato un bonifico di euro 40.000,00 ad un nominativo lei conosciuto, bonificando tale cifra dal suo conto corrente;

   nell'occasione – secondo quanto riportato nell'esposto – nonostante il signor Gilardi avesse dichiarato che a suo avviso, da tempo, si stesse cercando di farlo dichiarare «incapace di intendere e volere» al solo fine di poter gestire liberamente il suo patrimonio, è stata negata al suo avvocato la possibilità di costituirsi in giudizio non ravvisando il giudice la necessità di una difesa;

   risulta, infatti, all'interrogante che all'avvocato, ancorché munito di regolare mandato del suo assistito, ad oggi, persona pienamente capace di intendere e di volere, sia sempre stata bocciata l'istanza di visibilità del fascicolo del procedimento dell'amministrazione di sostegno e ciò nonostante le numerose azioni di reclamo presentate e sempre rigettate dal tribunale;

   dal servizio televisivo si apprende, inoltre, che il 27 ottobre 2020, la nuova amministratrice di sostegno, senza preavviso, e disponendo un vero e proprio prelievo forzoso, abbia trasferito il Gilardi in una Rsa;

   nel servizio è stato trasmesso un audio registrato durante il prelievo dal proprio domicilio da cui emergerebbe, inequivocabilmente, la sua lucidità di pensiero e la piena capacità di intendere e di volere nell'esprimere la sua ferma contrarietà al trasferimento forzoso presso la Rsa di cui, ad oggi, non si conosce l'indirizzo; si tratta di una circostanza, di cui non si comprende l'opportunità/necessità e che, oltre ad impedire alle persone care e al suo avvocato di visitarlo e di avere notizie, lo pone ancora di più in una condizione di confinamento sociale e umano che lo priva da oltre 40 giorni dell'affetto e della solidarietà delle persone che hanno realmente a cuore la sua sorte;

   da quanto emerso dai media, sembrerebbe che l'unica sua «colpa» sia essere un anziano benestante e al contempo generoso –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della vicenda esposta e se intendano promuovere iniziative di natura ispettiva presso la Rsa che ospita l'anziano, anche in relazione alle sue effettive condizioni psico-fisiche e alla sussistenza/permanenza dei presupposti sanitari e legali per mantenerne lo stato di allontanamento dal proprio domicilio.
(3-01974)

Interrogazione a risposta scritta:


   PIERA AIELLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   a causa della pandemia da Covid-19 sono state più volte rinviate le prove d'esame per gli aspiranti avvocati;

   migliaia di giovani, dopo aver completato gli studi e svolto il praticantato, in condizioni che è ormai noto, secondo l'interrogante, essere di pesante sfruttamento, nonostante siano stati definiti sostanzialmente solo un peso per gli studi legali dal rappresentate del Consiglio nazionale forense audito in Commissione giustizia e in si dichiara che dovrebbero essere gli studi legali a ricevere un premio per far svolgere il tirocinio a queste persone e per il quale si auspica che lo stesso Consiglio nazionale forense prenda provvedimenti, sono stati lasciati nel limbo;

   come emerso dalle manifestazioni compiute dagli aspiranti avvocati in diversi centri italiani, da mesi sono privi di qualsiasi certezza sulla possibilità di ottenere l'abilitazione professionale e hanno difficoltà anche a dialogare con i funzionari del Ministero della giustizia;

   i praticanti stanno vivendo settimane di angoscia, non sapendo quando poter affrontare le prove a cui devono prepararsi (articolo fanpage del 15 dicembre 2020);

   per altre categorie professionali gli esami abilitanti si sono svolti senza particolari difficoltà e nel rispetto dei protocolli anti-Covid;

   ci si sta privando di intelligenze fondamentali per la ripartenza del Paese e si stanno tradendo i giovani in un momento in cui è fondamentale che le nuove generazioni abbiano un forte senso dello Stato –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'intera situazione e quali iniziative di competenza intenda assumere per dare risposte celeri e certe ai praticanti avvocati;

   se non ritenga opportuno mettere a punto un sistema utile a consentire il sicuro e chiaro svolgimento delle prove d'esame fino al termine dell'emergenza epidemiologica;

   se intenda valutare la possibilità di consentire anche a questi giovani aspiranti avvocati di fare un esame orale a distanza, come già avvenuto per tutte le altre categorie professionali, esonerandoli dalla prova scritta.
(4-07863)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BARBUTO e GRIPPA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   nei giorni 21 e 22 novembre 2020 la città di Crotone e l'intera fascia Jonica Calabrese sono state colpite da intense precipitazioni a carattere temporalesco, che hanno determinato l'alluvione non solo del capoluogo Pitagorico, ma di numerosi altri centri della provincia di Crotone e Cosenza, visitati il 23 novembre 2020 dal Ministro per gli Affari Regionali e le autonomie, Francesco Boccia e dal capo della protezione civile, Angelo Borrelli;

   a seguito della bomba d'acqua che si è abbattuta sul territorio e che ha causato ingentissimi danni, ancora in via di quantificazione, la viabilità ordinaria, come al solito, è andata completamente in tilt e, in particolare, la strada statale 106, ancora ad un'unica carreggiata, con due sensi di marcia e, pertanto obsoleta e pericolosa, nonché già tristemente nota come «la strada della morte», ma che rappresenta l'unica via di comunicazione per centinaia di migliaia di cittadini, è stata per l'ennesima volta inondata da una marea di acqua e fango, che ne ha causato la paralisi in più punti, perché completamente allagati ed invasi da detriti di ogni tipo;

   la situazione è diventata allarmante allorché il transito sulla medesima arteria è stato interrotto all'altezza del ponte sul fiume Neto, situato lungo la strada statale 106 tra Crotone e Strangoli, facendo venir meno qualsiasi possibilità di collegamento in direzione nord;

   la staticità del ponte sul fiume Neto era già gravemente compromessa e costantemente monitorata e, con l'innalzamento del livello dell'acqua fino ai livelli di guardia, ha subito ulteriori danni, tanto che la «spaccatura» già esistente ha creato un'ulteriore dislivello di circa tre centimetri;

   dopo le verifiche da parte dei tecnici Anas tuttavia, il ponte è stato riaperto al traffico anche pesante ed è percorso ogni giorno da veicoli di ogni tipo, causando nelle persone che vi transitano non poca ansia, considerato che l'avvallamento già esistente si è ulteriormente accentuato ed è visibile ad occhio nudo;

   è necessario, pertanto, procedere alla sua messa in sicurezza, in attesa che si studino soluzioni alternative che risolvano definitivamente i suoi atavici problemi di staticità;

   la sicurezza del ponte sul fiume Neto, infatti, rappresenta una condizione imprescindibile e non più rinviabile, affinché si scongiurino incidenti che possano mettere a repentaglio la vita umana e venga garantita la percorribilità dello stesso in caso di eventi calamitosi, per consentire ai soccorritori di sopraggiungere;

   inoltre, preme sottolineare che, per come amaramente noto, la maggior parte dell'intera strada statale 106 Jonica e, in particolare, l'intera fascia jonica calabrese, non è stata ancora ammodernata e la necessità di un suo rifacimento in strada di categoria B, ovvero a due carreggiate con due corsie per ogni senso di marcia, così come si è già proceduto in tutti i tratti già ultimati in Puglia, Basilicata e nel nord della Calabria, risulta ormai impellente e non più procrastinabile, poiché rappresenta, oltre che un'indispensabile via di comunicazione, l'unico collegamento utilizzabile per i soccorsi in caso di calamità naturale, come ad esempio terremoti e alluvioni;

   È, pertanto, necessario e non più procrastinabile porre fine al gap infrastrutturale che relega tutta la popolazione della fascia Jonica Calabrese nel più assoluto isolamento, privandola di fatto del sacrosanto diritto alla mobilità, diversamente da quanto avviene negli altri territori della Repubblica –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della grave situazione sopra esposta e come intenda agire perché si proceda con la massima celerità alla messa in sicurezza del Ponte sul Fiume Neto e alla progettazione di un'alternativa in variante che, nel breve periodo, possa ripristinare la sicurezza nella circolazione dei trasporti;

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza del gap infrastrutturale esistente tra la fascia jonica e quella tirrenica della Calabria e se intenda attivarsi affinché nell'immediato Anas proceda senza indugio all'esecuzione degli studi di fattibilità e, dunque, della progettazione della nuova strada statale 106 come strada di categoria B, uniformandone il percorso per tutto il suo tracciato da Taranto sino a Reggio Calabria.
(5-05204)

Interrogazione a risposta scritta:


   RIXI, VIVIANI, DI MURO e FOSCOLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   nella seduta di martedì 15 dicembre 2020 delle Commissioni riunite VIII e IX della Camera dei deputati si sono svolte delle audizioni informali riguardanti i temi della manutenzione e della sicurezza delle infrastrutture autostradali liguri; nel corso di tali audizioni sono intervenuti l'ingegnere Enrico Valeri, direttore gestione rete di Autostrade per l'Italia Spa, e l'ingegnere Placido Migliorino, dirigente responsabile della direzione generale per la vigilanza sulle concessioni autostradali – autostrade del Centro Italia e della regione Liguria e Piemonte – presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;

   l'ingegner Valeri, nel corso della sua audizione, ha dichiarato che Autostrade per l'Italia (Aspi) ha in programma una spesa di quasi due miliardi di euro per l'effettuazione dei necessari lavori di manutenzione delle autostrade liguri, che richiederanno oltre dieci anni; Valeri ha inoltre dichiarato che nel piano finanziario di Aspi sono stati previsti 250 milioni di euro a compensazione (nel senso di esenzioni tariffarie) per il solo nodo di Genova;

   l'ingegner Migliorino, nel corso della sua audizione, ha asserito la necessità di realizzare la Gronda di Genova per la sicurezza complessiva della rete –:

   per quali motivi, vista l'ineludibilità della Gronda di Genova, confermata anche dall'ingegner Migliorino, ad oggi i lavori non siano ancora iniziati;

   quale sia il termine preciso di conclusione dei lavori di manutenzione sulla rete autostradale ligure;

   per quali ragioni non sia possibile ridurre, anche mediante l'adozione di specifiche norme, i tempi per l'effettuazione dei necessari lavori di manutenzione delle autostrade liguri, rispetto ai dieci anni dichiarati.
(4-07852)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BOLDRINI, SARLI, FRATOIANNI, BRUNO BOSSIO, ORFINI, MURONI e TRIZZINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   rispondendo all'interpellanza urgente n. 2-00861 sulle procedure di riammissione dei migranti in Slovenia, il Sottosegretario di Stato per l'interno Variati ha dichiarato che le procedure informali di riammissione di migranti in Slovenia vengono applicate quando risulti la provenienza dal territorio sloveno, anche qualora sia manifestata l'intenzione di richiedere la protezione internazionale, ad eccezione delle persone appartenenti alle categorie vulnerabili e dei soggetti che risultino registrati nel sistema Eurodac, avendo questi già presentato richiesta di protezione internazionale in altri Paesi membri;

   l'esecuzione di tale tipologia di riammissione non comporta la redazione di un provvedimento formale, applicandosi per prassi consolidata le speditive procedure previste dal relativo Accordo di riammissione siglato tra l'Italia e la Slovenia, il 3 settembre 1996;

   il Sottosegretario ha specificato che «a tutti gli stranieri irregolari rintracciati vengono fornite, con l'ausilio di un interprete, informazioni sulla possibilità di richiedere protezione internazionale (...) e si provvede alla registrazione delle istanze nei casi in cui sia manifestata la volontà di richiedere asilo (...). Qualora ricorrano i presupposti per la richiesta di riammissione, e solo in questi casi, e la stessa venga accolta dalle autorità slovene, non si provvede tuttavia alla formalizzazione dell'istanza di protezione in Italia» in difformità, a parere degli interroganti, con quanto prevede la normativa interna e il diritto dell'Unione europea ed in particolare il Regolamento Dublino III;

   ha poi citato la direttiva del Ministero dell'interno del 13 maggio 2020 in cui si afferma che: «si tratta, infatti, nel caso di specie, di riammissione in uno Stato europeo (...), dove, peraltro, vigono normative internazionali ed europee analoghe a quelle che vincolano lo Stato italiano»;

   in numerosi rapporti di autorevoli organizzazioni internazionali tra cui Amnesty International e il Danish Refugee Council emergono prove dell'esistenza di cosiddetti respingimenti a catena tra l'Italia, la Slovenia, la Croazia, con allontanamento forzato dei migranti verso la Bosnia-Erzegovina. Emergono da detti rapporti profili inquietanti sulle gravi violenze attuate in Croazia verso i migranti, in un articolo pubblicato il 13 dicembre 2020 da Avvenire dal titolo «Violenza sui migranti, in un video le prove dalla Croazia», vengono diffuse evidenze in merito alle violenze subite dai migranti nel corso dei «respingimenti a catena» verso i confini extra Unione europea;

   sul tema sono intervenuti sia lo Special Rapporteur delle Nazioni Unite Felipe Gonzales che ha ricordato come non sia accettabile «il violento respingimento dei migranti senza alcuna procedura ufficiale» attuato dalla Croazia, sia la Commissaria ai diritti umani del Consiglio d'Europa e la Commissaria agli affari interni dell'Unione europea, Ylva Johansson, che ha definito «inaccettabile» l'ipotesi di respingimenti dagli Stati membri;

   le autorità italiane, secondo gli interroganti, anche alla luce dei nuovi elementi emersi dall'inchiesta giornalistica e delle centinaia di testimonianze, non possono più ignorare il fatto che molte delle persone riammesse in Slovenia vengano poi portate immediatamente in Croazia e di lì in Bosnia, subendo peraltro, nell'ultimo di questi passaggi, violenze inaudite e trattamenti inumani e degradanti –:

   se ritenga di chiarire che in nessun caso gli accordi di riammissione tra l'Italia e la Repubblica di Slovenia possano trovare applicazione nei confronti dei cittadini di Paesi terzi che, presenti alla frontiera o rintracciati nel territorio dello Stato, manifestano l'intenzione di chiedere protezione internazionale, dovendosi applicare in materia le procedure previste dal diritto interno e dal diritto dell'Unione europea in materia di asilo;

   se ritenga di assumere iniziative per impartire opportune direttive affinché le riammissioni in Slovenia avvengano in ogni circostanza sulla base di una chiara procedura che preveda la notifica agli interessati di un provvedimento motivato in fatto e in diritto, anche redatto in forma semplificata, a tutela dei diritti fondamentali degli stranieri coinvolti e a garanzia del buon funzionamento dell'amministrazione.
(5-05201)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SILLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il 17 agosto 2020, da Malpensa, sono partiti per la Cina tre minori di 9, 13 e 15 anni accompagnati dai nonni paterni senza l'autorizzazione della madre;

   la mamma Xu.S. nata in Cina e attualmente domiciliata presso la ditta del marito, a Prato, il 20 agosto 2020 si è recata presso gli uffici della questura di Prato per denunciare l'accaduto;

   la signora Xu ha, tra l'altro dichiarato, di essere in fase di separazione dal marito e che sui bambini decidevano di comune accordo;

   durante la prima fase della pandemia da Coronavirus, con il consenso della mamma, i tre bambini sono rimasti a casa del padre;

   dall'inizio del mese di luglio la signora constatava sempre più problemi nel comunicare con i propri figli e, pertanto, preoccupata ha chiesto ad un legale di inviare una raccomandata, intimando al padre di non portare fuori dall'Italia i figli senza un'espressa preventiva autorizzazione;

   il 20 agosto 2020 la mamma, nell'apprendere che i suoceri erano rientrati in Cina con i nipoti, tutti minori, ha fatto una denuncia/querela per sottrazione di minori resa oralmente presso gli uffici preposti della questura di Prato –:

   come sia stato possibile che tre minori di 9, 13 e 15 anni abbiano potuto varcare, senza autorizzazione dei genitori, la frontiera a Malpensa senza alcun controllo da parte delle autorità preposte;

   quali iniziative urgenti intendano adottare, per quanto di competenza, al fine di acquisire ogni elemento utile circa dove e con chi si trovino i minori, e circa la complessiva situazione degli stessi, anche al fine di pervenire ad una soluzione della vicenda, nel pieno rispetto della normativa vigente.
(4-07849)


   PIERA AIELLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   i fratelli Panepinto, oltre ad essere responsabili di minacce, estorsioni, danneggiamenti in ambito edilizio ed incendi e per associazione mafiosa a conclusione del processo «Face Off» (sentenza n. 18/2011), scaturito dalle denunce dell'imprenditore Ignazio Cutrò, sarebbero anche imputati di concorso in omicidio. Tale circostanza è emersa dinanzi al giudice dell'udienza preliminare di Palermo nel corso dell'udienza preliminare relativa al procedimento che vede imputato il collaboratore di giustizia Pasquale Di Salvo, per l'omicidio di Vincenzo Antonio Di Girgenti. Il collaboratore di giustizia ha confermato che l'omicidio fu eseguito in concorso con Luigi, Maurizio e Calogero Panepinto («Grandangolo» del 13 novembre 2020);

   vanno considerate l'esistenza e il contenuto delle intercettazioni emerse nell'ambito della inchiesta cosiddetta «mafia della montagna» nelle quali il presunto capomafia di San Biagio Platani, Giuseppe Nugara (oggi sottoposto a regime del carcere duro), annunciava che «Appena lo Stato si stanca... che gli toglie la scorta poi vedi che poi...» (articolo di Antimafia 2000 del 23 gennaio 2018, sentenza n. 13499/18 R.GIP e comparsa conclusionale n. 10533/15 R.g. GIP);

   alla luce di ciò, si confermano i dubbi dell'interrogante circa le valutazioni del rischio fatte nei confronti della famiglia Cutrò da parte del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza presso la prefettura di Agrigento, dalla direzione distrettuale antimafia di Palermo, dalla direzione nazionale antimafia, dall'Arma dei Carabinieri, dall'Ucis (ai sensi della legge 2 luglio 2002, n. 133, legge di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 6 maggio 2002 n. 83) che hanno presumibilmente indotto la Commissione centrale (ex articolo 10, legge n. 82 del 1991, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8) a decidere la revoca delle speciali misure di protezione; inoltre, ciò può aver indotto, per l'interrogante, i giudici del Tribunale amministrativo regionale, ai quali si era rivolto il testimone di giustizia, a rigettare il ricorso in quanto la famiglia Cutrò non corre alcun pericolo di vita, determinando la riduzione delle misure di tutela della famiglia Cutrò (verbale della commissione centrale ex articolo 10 del 12 ottobre 2016, ricorso al Tar n. 15071 del 2016, sentenza del Tar 00323/2018);

   la mancata considerazione delle intercettazioni ambientali, già in possesso dal 2014 degli organi di competenza, si evincerebbe, a parere dell'interrogante, proprio dalla decisione della commissione centrale e del tribunale amministrativo regionale, che probabilmente avrebbero potuto decidere diversamente;

   risulta secondo l'interrogante inspiegabile che gli organi preposti, alla luce dei fatti, non abbiano considerato l'esistenza e il contenuto delle intercettazioni (emerse in primis solamente grazie agli organi di stampa);

   la storia di Ignazio Cutrò non conosce fine perché la collaborazione del pentito Pasquale Di Salvo offre uno spaccato ancora più pesante in quanto fa conoscere lo spessore criminale della famiglia mafiosa Panepinto;

   ascoltando la storia di Ignazio Cutrò si delinea, secondo l'interrogante, più la figura di un uomo vittima dello Stato piuttosto che una vittima della mafia –:

   se e quali iniziative intenda adottare, nell'ambito delle sue competenze, per verificare l'attuale grado di rischio della famiglia Cutrò, in considerazione degli ultimi avvenimenti.
(4-07855)


   CARNEVALI e MARTINA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   in data 28 settembre 2020 il consiglio comunale di Dalmine (BG) ha approvato a maggioranza una mozione, presentata dai gruppi consiliari «Noi siamo Dalmine», «Lega Salvini Lombardia» e «Dalmine insieme si può», dal seguente contenuto: «mozione di integrazione della mozione sui valori della Resistenza antifascista e dei principi della Costituzione»;

   la mozione fa «riferimento alla deliberazione n. 74 del consiglio comunale del 18 dicembre 2017, nella quale si dava mandato all'amministrazione di adeguare i regolamenti comunali a quanto espresso dall'atto di indirizzo, subordinando la concessione di suolo pubblico, spazi e sale di proprietà del comune a una dichiarazione esplicita di rispetto dei valori antifascisti sanciti dall'ordinamento repubblicano»;

   e specifica che «in data 25 gennaio 2006, con la risoluzione n. 1481, l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa richiamava l'attenzione sulla necessità di una condanna internazionale dei crimini dei regimi del totalitarismo comunista;

   in data 19 settembre 2019, il Parlamento europeo approvava una risoluzione in cui equiparava nazismo, fascismo e comunismo;

   i regimi nazisti e comunisti hanno commesso omicidi di massa, genocidi e deportazioni causando, nel XX secolo, perdite umane e di libertà di una portata inaudita»;

   la mozione impegna quindi «il Sindaco e la giunta ad autorizzare le richieste di occupazione del suolo pubblico, spazi e sale di proprietà del Comune sostituendo la dichiarazione di “rispetto della Costituzione italiana e dei valori antifascisti e antinazisti” con una dichiarazione di “rispetto della Costituzione italiana e di condanna di tutti i regimi e le ideologie ispirate al nazismo, al fascismo e al comunismo nonché ai radicalismi religiosi, rifiutando perciò ogni forma di difesa o apologia degli stessi”»;

   a seguito dell'approvazione di tale atto l'amministrazione comunale ha dichiarato di voler procedere ad una revisione del regolamento che disciplina la concessione degli spazi pubblici al fine di adeguarlo alle condizioni sopra esposte;

   contro tale mozione si sono espressi la consulta delle associazioni di Dalmine, l'Anpi locale, oltre alle associazioni e partiti ascrivibili all'area del centrosinistra;

   l'atto adottato, ove attuato, verrebbe a determinare una limitazione delle libertà costituzionali sancite agli articoli 17,18, 21 e 48 della Costituzione;

   si rileva al proposito che, secondo pronunce del giudice amministrativo, «allorquando si richieda di esercitare attività di propaganda politica ed elettorale in spazi pubblici, sottraendoli, sia pure temporaneamente, all'uso pubblico per destinarli all'utilizzo privato, non appare irragionevole che l'amministrazione richieda (...) l'adesione ai valori fondanti l'assetto democratico della Repubblica italiana, quali quelli dell'antifascismo e della Resistenza» (Tar Piemonte, sentenza n. 447/2019);

   la possibilità di subordinare l'utilizzo di spazi pubblici al rispetto della Costituzione e il perseguimento di obiettivi con essa compatibili trova quindi piena legittimazione nel nostro ordinamento, laddove diversamente una analoga previsione che si estenda ad altre condizioni ostative (nella specie l'adesione all'ideologia comunista) integranti espressioni del libero pensiero e rappresentative di un pezzo della nostra storia non trova nessun riscontro in alcuna fonte normativa;

   nel caso di specie, è evidente come sia del tutto evanescente, ad avviso degli interroganti, l'interesse pubblico che verrebbe a giustificare l'obbligo di chi chiede uno spazio pubblico nel comune di Dalmine di rinnegare il pensiero di matrice comunista, idee che non possono essere interdette da una malintesa equiparazione tra ideologie poiché iscritte nella stessa Costituzione e portate innanzi da uomini e donne che hanno reso lustro al nostro Paese, come Gramsci, Terracini, Berlinguer o Iotti –:

   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato in relazione ai fatti di cui in premessa e se sia a conoscenza di fatti simili avvenuti anche in altri comuni;

   quali iniziative di competenza, anche di carattere normativo, intenda adottare per far sì che vengano garantite, anche alla luce delle determinazioni poste in essere dal consiglio comunale e dalla giunta del comune di Dalmine, le fondamentali libertà costituzionali afferenti alla sfera politica.
(4-07856)

ISTRUZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'istruzione. — Per sapere – premesso che:

   da un articolo pubblicato il 13 dicembre 2020 sul quotidiano La Repubblica, cronaca di Roma, si apprende che, al liceo a indirizzo classico, scientifico, scientifico internazionale e scientifico sportivo Pascal di Pomezia, la scuola avrebbe introdotto dei criteri di ammissione che privilegerebbero gli studenti con una media dei voti altissima e, in misura minore, la vicinanza all'istituto;

   nel documento che annuncia i criteri di selezione deliberati dal consiglio d'istituto per il prossimo anno scolastico, si legge che «saranno formate un numero totale massimo di 10 prime (contro le 13 di quest'anno) e qualora il numero di domande di iscrizione dovesse superare il numero di posti disponibili individuato, a ciascuna domanda di iscrizione, verrà attribuito un punteggio per la formulazione di una graduatoria»;

   tale elenco di «aventi diritto» sarà realizzato in base alla documentazione che le famiglie dovranno inviare all'istituto entro il 26 gennaio 2021 che comprende «la pagella dello scrutinio finale della scuola media e il certificato di residenza»;

   pur comprendendo bene le difficoltà in cui si ritrovano molti istituti scolastici alle prese con la gestione dei problemi legati al contrasto alla diffusione del Covid 19, non possono essere gli studenti e le famiglie a pagare i costi e le inefficienze derivanti dai tagli avvenuti negli ultimi 15 anni nella scuola pubblica e dalle incapacità degli enti locali di individuare e attrezzare spazi adeguati per le aule;

   a parere dell'interrogante, la decisione assunta dal liceo di Pomezia sui criteri di ammissione è sbagliata e rischia di presentare per l'interrogante diversi profili di dubbia legittimità;

   la Costituzione italiana affida alla scuola il compito di superare diseguaglianze e discriminazioni e la decisione dell'istituto Pascal di Pomezia va in senso contrario rispetto a tale principio, rischierebbe di trasformare tale istituto in una scuola d'élite non inclusiva e poco attenta al rispetto del diritto allo studio di tutte e di tutti –:

   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato in relazione alla delibera assunta dal consiglio d'istituto del liceo Pascal di Pomezia che prevede criteri di ammissione per i nuovi iscritti basati su una media dei voti molto alta e, solo su via subordinata, sulla residenza, posto che tali criteri appaiono all'interrogante non coerenti con il dettato costituzionale;

   quali iniziative di competenza intenda assumere nei confronti del liceo Pascal di Pomezia, anche tramite l'ufficio scolastico regionale competente, affinché i nuovi criteri di ammissione sopra descritti vengano ritirati;

   quali iniziative di competenza intenda assumere per affrontare e risolvere il problema, lamentato da diversi territori nel Paese, dell'assenza di spazi adeguati per le scuole.
(4-07851)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   ASCARI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute, al Ministro per la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   Marco Lenzoni, infermiere e Rsl dell'ospedale di Pontremoli (MS) dell'Usl Toscana Nord Ovest, il 17 marzo 2020 aveva denunciato al quotidiano Il Tirreno le «scarsissime misure di sicurezza» e delle «mascherine antipolvere che non preservano dal Coronavirus», in dotazione agli infermieri dell'ospedale in cui lavorava;

   per queste ragioni, l'infermiere ha subito un procedimento da parte della commissione disciplinare della suddetta Usl (conclusasi con la condanna di un'ora di decurtazione stipendio) in quanto avrebbe creato «sfiducia nei confronti dell'Azienda e dei suoi dipendenti» e avrebbe allarmato la popolazione;

   secondo l'Usl tale comportamento avrebbe costituito una violazione disciplinare secondo le norme contenute nel Ccnl di comparto, del regolamento aziendale, nonché della normativa sulla diligenza del prestatore di lavoro e sull'obbligo di fedeltà, di cui, rispettivamente, agli articoli 104 e 105 del codice civile;

   Lenzoni ha dichiarato: «Ho dovuto fare questa denuncia a mezzo stampa dopo aver chiesto più volte delle mascherine FFP2, ma nessuno mi ha ascoltato. Non ho avuto altra alternativa se non quella di chiedere aiuto pubblicamente sui giornali, ma invece di aiuto ho ricevuto una ritorsione»;

   successivamente, l'infermiere ha denunciato lo stato «di abbandono» in cui versavano gli anziani della Rsa Galli-Bonaventuri di Pontremoli, in cui si contavano allora già sei decessi e una decina di contagi: la gravità della situazione in cui versava l'Rsa e arrivata al punto che, dopo aver chiesto aiuto all'Usl stante la carenza di personale proprio, a metà aprile 2020 la struttura è stata chiusa e gli ospiti trasferiti in altra Rsa. Lenzoni avrebbe tentato di chiedere delucidazioni e un intervento da parte dell'Usl e della regione Toscana anche inviando loro una lettera;

   a quanto risulta agli interroganti, Lenzoni, nel totale rispetto delle proprie qualità di Rsl e dipendente dell'Usl Toscana Nord Ovest e seguendo il codice deontologico degli infermieri, si è limitato ad evidenziare, senza mettere in atto alcun comportamento offensivo nei confronti dell'Ausl, le scarse condizioni di sicurezza degli operatori sanitari all'interno dei presidi ospedalieri e del rischio a cui andavano incontro;

   la concretezza del rischio e la veridicità di quanto denunciato, è stato poi tristemente confermato dall'elevato numero di operatori sanitari contagiati dal Covid-19 in quanto, come denunciato dai sindacati, non erano dotati dei necessari dispositivi di protezione individuale (Dpi): si è trattato di una situazione evidente e conosciuta dagli operatori e di una richiesta di intervenire a tutela degli operatori stessi, ma anche dei pazienti e dei famigliari e che, forse, se presa prontamente e correttamente in considerazione, anziché essere messa a tacere con un procedimento disciplinare, avrebbe potuto prevenire contagi se non addirittura salvare vite umane;

   nel corso di questa emergenza epidemiologica, il personale sanitario ha svolto un ruolo definito da molti eroico che ha consentito, nonostante le ben note difficoltà iniziale fatte di mancanza di Dpi, di informazioni e di procedure preventive e di contenimento, di salvare decine di migliaia di vite umane;

   questa dedizione al proprio lavoro e alla cura dei malati è stata pagata duramente dal personale sanitario: secondo dati aggiornati al 9 dicembre 2020, sono morti, a causa del Covid-19, 241 medici e, secondo dati aggiornati al 6 dicembre, 56 infermieri (di cui 5 suicidi), mentre sono svariate decine di migliaia i sanitari contagiati;

   quanto sopra descritto non è assolutamente isolato e ne sono stati riscontrati molti altri nel corso dell'emergenza epidemiologica –:

   quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere, anche di carattere ispettivo, al fine di verificare quanto descritto in premessa, in particolar modo se intenda eventualmente approfondire i motivi del procedimento disciplinare ivi riportato e la sussistenza dei relativi presupposti;

   di quali informazioni disponga circa procedimenti disciplinari a carico del personale sanitario connessi all'emergenza epidemiologica di Covid-19.
(3-01973)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   RIBOLLA. — Al Ministro per la pubblica amministrazione, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 33 del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, cosiddetto crescita, convertito con modificazioni dalla legge 28 giugno 2019, n. 58, ha introdotto una modifica significativa della disciplina relativa alle facoltà assunzionali dei comuni, prevedendo il superamento delle precedenti regole fondate sul turn-over e l'introduzione di un sistema, considerato sulla carta maggiormente flessibile, basato sulla sostenibilità finanziaria della spesa di personale;

   alla norma è seguito il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 17 marzo 2020 che, specificatamente, ha disposto l'entrata in vigore del provvedimento a decorrere dal 20 aprile 2020, in luogo del 1° gennaio 2020 come inizialmente previsto, ritardando l'applicazione di una norma molto sentita dai comuni;

   è poi intervenuta, la circolare esplicativa del Dipartimento della funzione pubblica del 13 maggio 2020 che, ad avviso dell'interrogante, ha peggiorato invece di chiarire tutti gli elementi che contribuiscono alla determinazione del rapporto tra la spesa di personale e le entrate correnti, al netto del fondo crediti di dubbia esigibilità stanziato in bilancio di previsione, l'individuazione delle fasce demografiche e dei relativi valori-soglia, nonché la determinazione delle percentuali massime di incremento annuale;

   il nuovo Governo «giallorosso», in altri termini, ha reso la procedura di difficile applicazione per gli enti locali, col rischio di pregiudicare il buon andamento della pubblica amministrazione;

   infatti, se ai nuovi vincoli sulle assunzioni di personale presso i comuni si aggiunge l'obbligo di riduzione delle spese di personale, imposto dall'articolo 1, comma 557, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni e integrazioni, tuttora vigente, gli enti locali non sono più in condizione di agire secondo i princìpi di adeguatezza e proporzionalità dell'azione amministrativa, come si desumono, invece, dalla Costituzione, trovandosi sostanzialmente con le mani legate nel dotare l'ente locale delle necessarie unità di personale per garantire l'efficienza della propria amministrazione –:

   se e quali interventi, per quanto di competenza, intendano adottare per semplificare ed accelerare le facoltà assunzionali dei comuni, quantomeno con riguardo alla necessità di sostituire il personale in quiescenza e maternità o il personale in aspettativa, al fine di continuare a mettere gli enti locali in condizione di garantire il buon andamento dell'amministrazione, nonché l'adeguatezza e la proporzionalità dell'azione amministrativa.
(4-07850)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:

   il 7 ottobre 2020 la casa farmaceutica Eli Lilly ha pubblicato i risultati preliminari relativi ad uno studio randomizzato a doppio cieco su pazienti con sintomi moderati e severi o che necessitano sono ospitalizzati relativi ad un anticorpo monoclonale avanzato, chiamato bamlanivimab. Lo studio dimostra una riduzione significativa dei sintomi e delle complicanze relative a pazienti affetti da Sars Covid 2 nel setting di riferimento ed una neutralizzazione tra 3 e 11 giorni. Contestualmente, è stata richiesta alla Food and Drug Administration (Fda) un'autorizzazione all'uso emergenziale. L'autorizzazione americana non trova un corrispettivo nella legislazione italiana; è tuttavia facoltà di Aifa di regolamentare accordi per farmaci in sperimentazione che abbiano un impatto significativo sulla salute o siano da considerare come salvavita prima che possa esprimersi L'Ema. Il Governo americano ha siglato un accordo con la casa farmaceutica accordandosi per un acquisto di 300.000 fiale da subito e l'opzione di acquisto prioritario per altri 650.000 fiale entro il giugno 2021 qualora la Fda accogliesse la richiesta Eua, confermando pertanto l'analisi dei dati sottomessi;

   la casa farmaceutica confermava la volontà, data la capacità di produzione limitata, di non voler procedere ad un contratto di esclusiva con gli Stati Uniti, sebbene quest'ultimo ne avesse fatto richiesta, ma di essere in contatto con regolatori a livello mondiale per una distribuzione, secondo esigenze e richieste, quanto più equa possibile a favore dei pazienti indipendentemente dalla loro collocazione geografica. La capacità produttiva dichiarata è di 1 milione di dosi entro la fine dell'anno 2020 potenziata successivamente;

   è stata riportata la notizia che il 9 novembre 2020 la Fda ha accolto la richiesta di uso emergenziale e pertanto il Governo degli Stati Uniti procederà all'acquisto e alle dispensazioni delle 300.000 dosi pre-ordinate. L'autorizzazione Fda è la prima concessa per una potenziale cura per Sars Covid 2. Studi confirmatori e in altri setting continueranno per tutti il 2020 e 2021 affinché vengano confermati o smentiti i dati preliminari. L'Aifa ha preso contatti con la casa farmaceutica che ha uno stabilimento produttivo a Firenze che ha risposto fornendo alle autorità tutti i dati relativi al farmaco nella settimana iniziata il 16 novembre 2020. In Inghilterra e Germania sono in corso trattative per l'acquisto del farmaco sperimentale –:

   se non sia opportuno chiarire i tempi e le procedure che Aifa intenderà seguire per il farmaco menzionato in premessa.
(2-01045) «Colucci, Lupi, Schullian».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GEMMATO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto si evince da fonti di stampa, la Asl di Bari ha disposto il trasferimento dell'automedica dall'ospedale «Sarcone» di Terlizzi all'Ospedale di Ruvo di Puglia a partire da giovedì 17 dicembre 2020;

   al progressivo ridimensionamento nel tempo delle unità operative e delle prestazioni sanitarie offerte dall'ospedale di Terlizzi, attualmente trasformato in presidio post acuzie Covid, e a seguito della cessazione del servizio di pronto soccorso, già disposta dalla stessa Asl in data 16 marzo 2020;

   si aggiunge, dunque, anche l'interruzione di un altro importante servizio utile al soccorso tempestivo dei cittadini, svolto per il tramite di un mezzo che poteva almeno trasportare con celerità sul luogo dell'evento un'equipe sanitaria con competenze avanzate e con la relativa attrezzatura medica;

   al totale azzeramento dei servizi di soccorso messi a disposizione della città di Terlizzi consegue il continuo verificarsi di casi di gravi emergenze che richiedono tempestivo soccorso e che non possono essere soddisfatte con l'attuale sistema della rete dei servizi di assistenza sanitaria territoriale previsti dalla regione Puglia;

   e infatti, il 29 novembre 2020, secondo fonti di stampa, un cittadino di Terlizzi, colto da"") improvviso malore, si è potuto recare solo nella farmacia più vicina per essere soccorso e il farmacista ha rilevato, a seguito di tempestivo elettrocardiogramma, un infarto in atto. Nonostante numerosi tentativi da parte di più cittadini presenti, le telefonate al 118 si sono concluse tutte senza neanche una risposta tranne l'ultima, dopo ben 20 minuti, che ha consentito la richiesta di assistenza. L'ambulanza è poi giunta sul posto solo dopo altri 27 minuti. In totale, il cittadino con un infarto in atto è stato soccorso solo dopo 45 minuti, tempo che appare chiaramente inaccettabile;

   già nell'interrogazione n° 5-03769, presentata il 18 marzo 2020 e ancora senza risposta, l'interrogante ha segnalato l'assurda cessazione dell'attività di Pronto soccorso presso l'ospedale «Sarcone» di Terlizzi, e chiesto al Governo di garantire, comunque e sempre, soprattutto in caso di alta diffusione anche nel nord barese del virus SARS-CoV-2, un'adeguata erogazione dei livelli essenziali di assistenza;

   già nell'interrogazione n° 5-04990, presentata in data 11 novembre 2020 e ancora senza risposta, si segnalò che a Terlizzi le strutture sanitarie locali manifestavano evidenti segnali di sovraccarico e di impossibilità a rispondere con tempestività e funzionalità alle richieste di aiuto da parte dei cittadini. In particolare l'interrogante ha evidenziato il caso di un uomo colto da malore mentre si trovava per strada e soccorso, come accade spesso, dopo più di 30 minuti. Anche in questo atto si chiese al Governo di garantire sempre e comunque, soprattutto nei corso dell'emergenza sanitaria in atto, l'assistenza ospedaliera prevista dai livelli essenziali di assistenza e in particolare l'attività relativa alle prestazioni di pronto soccorso –:

   quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, affinché, anche nel corso dell'emergenza sanitaria in atto, sia garantita sempre e con tutti i mezzi possibili, e su tutto il territorio nazionale, l'assistenza ospedaliera prevista dai livelli essenziali di assistenza e in particolare l'attività relativa alle prestazioni di pronto soccorso.
(5-05203)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GEMMATO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   secondo fonti di stampa, sembrerebbe che a Bari si sia verificato ancora una volta un grave episodio che configurerebbe chiaramente le rilevanti disfunzioni del meccanismo della distribuzione diretta dei farmaci per il tramite delle strutture sanitarie pubbliche;

   la stampa riferisce delle disfunzioni del nuovo sistema di prenotazione dei farmaci disposto dalla Asl di Bari e così descrive la procedura: «l'oncologo prescrive i farmaci, per averli devi chiamare un numero fisso della Asl (080 5842299, 5842239), se sei fortunato qualcuno ti risponde e ti assegna un giorno nel quale puoi andare alla farmacia del Cto a ritirarli...vai al Cto, prendi il numerino come in salumeria, ti fai il segno della croce e ti metti ad aspettare... Il resto viene dopo, quando arrivi alla farmacia del Cto, aperta al pubblico dalle 9 alle 12...»;

   successivamente, il giornalista descrive la vicenda di un cittadino barese di 81 anni che, a seguito di prenotazione del farmaco, avrebbe atteso inutilmente in fila per ore per ottenere un farmaco antitumorale: «“Sono arrivato presto e ho preso il biglietto col numero 68, intorno alle 11 e mezza stavano chiamando il 35. Me ne sono andato, era inutile aspettare a quel punto”, spiega il nostro amico 81enne che ora dovrà rifare tutta la trafila: chiamare, sperare che qualcuno risponda, farsi dare la prenotazione per quel dato giorno, andare al Cto e sperare di riuscire a entrare nella farmacia entro le 12. A 81 anni, tra l'altro, non è proprio una passeggiata andare e venire dagli uffici Asl...»;

   l'episodio evidenzia una serie di disagi rilevanti per i cittadini baresi costretti a servirsi di un sistema di prenotazione di farmaci non efficiente, a sostenere costi eccessivi per spostamenti necessari a raggiungere le ridotte strutture sanitarie pubbliche, nonché lunghe ed estenuanti file che si concludono spesso senza ottenere i farmaci necessari;

   appare chiaro, ancora una volta, che il meccanismo della cosiddetta «distribuzione diretta» del farmaco per il tramite delle strutture sanitarie pubbliche comporta, da un lato, un presunto vantaggio riferito al minor costo a carico del bilancio dello Stato per l'approvvigionamento e per la distribuzione del farmaco agli assistiti, e, dall'altro, una serie di svantaggi economici sia per gli assistiti che per il bilancio dello Stato, e svantaggi per i soli cittadini sia sotto il profilo sanitario che sociale;

   sotto il profilo economico, infatti, le strutture pubbliche sostengono costi sommersi per garantire la distribuzione diretta che sostanzialmente annullano il presunto risparmio, come quelli afferenti alla gestione delle gare e del magazzino, ai farmaci scaduti, ai continui furti milionari di medicinali e agli sprechi di medicinali dovuti a dispensazione eccessiva (infatti a volte i pazienti muoiono o cambiano terapia), al personale dedicato nonché costi fissi di varia natura;

   dal punto di vista sociale ed economico le cronache evidenziano, da anni, continui e pesanti disagi per i malati e i loro familiari, costretti ad affrontare lunghe file e molto spesso gravosi e onerosi spostamenti per ottenere medicinali che potrebbero più facilmente ritirare in una farmacia poco distante dalla propria abitazione senza sostenere lunghe attese e senza correre il rischio di non trovare il farmaco richiesto così come accaduto nel caso citato in premessa;

   sotto il profilo sanitario, invece, l'impossibilità da parte delle strutture pubbliche di seguire adeguatamente i pazienti nel corso delle loro terapie farmacologiche determina, tra le tante, problematiche di compliance che causano l'aggravamento della patologia, la necessità di costosi ricoveri ospedalieri e cure più invasive e onerose rispetto all'assunzione di farmaci. Tutto ciò provoca aumenti di costi a carico dei pazienti ma soprattutto dello Stato;

   appare evidente, invece, che la distribuzione dei farmaci per il tramite delle farmacie private convenzionate con il Ssn in regime di «distribuzione per conto», così come disposto dall'articolo 27 del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23, che prevede nel corso dell'emergenza sanitaria in atto la facoltà per le regioni di adottare questo sistema, sia più funzionale a dare risposte efficaci ed efficienti alle esigenze dei pazienti –:

   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero;

   quali iniziative di competenza intenda, comunque, adottare al fine di garantire il servizio di assistenza farmaceutica nell'ambito dei Lea ovvero la puntuale erogazione dei medicinali attraverso tutte le strutture sanitarie pubbliche, scongiurando eventuali e future disfunzioni e conseguenti gravi problemi ai pazienti.
(4-07854)


   FASANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   la Campania è stata una delle regioni più colpite dalla cosiddetta seconda ondata del virus COVID-19;

   l'ospedale di Cava de' Tirreni rappresenta un presidio fondamentale non solo per la città ma per l'intera zona a nord di Salerno;

   l'ospedale di Cava de' Tirreni, negli ultimi mesi, ha subito un notevole depotenziamento con la chiusura di reparti fondamentali come quello di rianimazione, il depotenziamento di altri reparti e il trasferimento di numeroso personale sia medico che infermieristico presso l'ospedale di Salerno –:

   se non intenda adottare iniziative, per quanto di competenza in ordine alle politiche che la regione Campania sta attuando per fronteggiare l'emergenza COVID-19, accentrando in particolare l'intero sistema sanitario nella città di Salerno e penalizzando interi territori rimasti privi di assistenza fondamentale in questa delicata fase.
(4-07861)


   LOVECCHIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   nel 2005 l'Organizzazione mondiale per la sanità (Oms) ha raccomandato a tutti i Paesi di stilare un piano pandemico aggiornandolo costantemente seguendo linee guida concordate;

   il piano pandemico, redatto nel 2006, consisteva nell'identificare, confermare e descrivere casi di influenza causati da nuovi sottotipi virali, in modo da riconoscerne tempestivamente l'inizio della pandemia;

   dalla puntata dell'11 maggio 2020 della trasmissione televisiva «Report» («Disorganizzazione Mondiale») risulterebbe una lista europea dei piani pandemici fornita dall'Ecdc con datazione 2010 e il piano italiano non sarebbe mai stato aggiornato né applicato e che la responsabilità sarebbe stata del direttore generale per la Prevenzione del Ministero della salute, carica ricoperta negli ultimi anni da Claudio D'Amario e Ranieri Guerra, nonostante quest'ultimo abbia sostenuto di aver aggiornato il piano nel 2016;

   nella puntata del 18 maggio 2020, «Copia e Incolla», la redazione di Report avrebbe effettuato una analisi dei metadati dei pdf di tutte le versioni del piano pandemico pubblicato negli ultimi 14 anni sul sito del Ministero della salute (versioni recuperate dall'archivio storico del web Wayback Machine) dimostrando che il documento risulterebbe essere quello del 2006;

   13 maggio 2020 la direzione Europa dell'Oms pubblica un documento titolato «An unprecedented challengeItaly's first response to Covid-19», evidenziando le diverse criticità della gestione italiana della pandemia e delle stesse linee guida usate per decidere i casi su cui effettuare i tamponi. Un pool di ricercatori dell'Oms, avrebbero dimostrato che il piano pandemico vigente in Italia era del 2006, e soltanto riconfermato nel 2017;

   il rapporto, approvato dal direttore europeo dell'Oms Hans Kluge e dalla chief scientist dell'Oms centrale Soumya Swaminatham, viene rimosso il giorno dopo, 14 maggio 2020, dal sito dell'Oms Europa;

   successivamente alla rimozione del documento, Report avrebbe ottenuto documentazione e fonti rilevanti relative a presunte pressioni sugli estensori del rapporto per ammorbidirne i contenuti già prima della pubblicazione sul sito Oms Europa, al fine di evitare un potenziale danno di immagine per il Ministero della salute e per il dottor Guerra;

   lo stesso rapporto veniva pubblicato il 13 agosto 2020 dal giornale britannico «The Guardian», assieme ad un dossier di 65 pagine, compilato dal Generale dell'esercito, Pier Paolo Lunelli, dal titolo «Italy's pandemic plan “old and inadequate”, Covid report finds» (il piano pandemico in Italia è vecchio e inadeguato) specificando che 10.000 degli oltre 35.000 decessi in Italia, sarebbero avvenuti per mancanza di protocolli anti-pandemici sufficienti;

   la misteriosa scomparsa del dossier dell'Oms, viene denunciata anche dal Luca Fusco, presidente del «Comitato Noi denunceremo», che assiste le famiglie delle vittime del Covid-19 e chiederanno conto in diverse sedi del mancato aggiornamento del piano pandemico;

   il 2 novembre 2020, Report, con il servizio «Virus e segreti di Stato», illustra la dinamica dei fatti e le responsabilità della rimozione, nonché le mancate risposte del Ministro Speranza, del capo delle comunicazioni globali dell'Oms Gabriella Stern e del dottor Tedros, DG OMS, sulla rimozione del rapporto;

   l'Oms avrebbe utilizzato fondi da un grant del governo del Kuwait per produrre il rapporto «An unprecedented challenge» con l'obiettivo, come si legge nel rapporto stesso, «to share it with other countries finding their way through the Covid-19 epidemic» ma la rimozione, avrebbe causato un danno a tutti gli stakeholders internazionali che avrebbero potuto giovare di quel rapporto per salvare vite umane nei loro rispettivi Paesi;

   in data 5 novembre 2020, risulterebbe che la Procura di Bergamo abbia audito il dottor Guerra relativamente alla preparazione pandemica del Paese. Non risulterebbe invece alcuna iniziativa dell'Oms né verso il dottor Guerra, né di tutela dei ricercatori che hanno stilato il rapporto, né di smentita alle ricostruzioni di Report –:

   quali iniziative a carattere d'urgenza il Ministro interrogato intenda adottare al fine di chiarire, per quanto di competenza, le responsabilità riportate sotto il profilo amministrativo.
(4-07862)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SPESSOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il territorio del comune di Marradi-città metropolitana di Firenze è oggetto di gravi disservizi relativi alla telefonia mobile e all'accesso a internet, tanto da aver provocato, nel corso degli anni, ritardi che hanno messo in serio pericolo la vita dei residenti. Tali disservizi si sono acuiti durante l'emergenza COVID-19 e un numero notevole di cittadini non ha potuto accedere al lavoro agile e alla didattica a distanza;

   Marradi rientra tra le aree bianche a fallimento di mercato, così considerate per le loro caratteristiche di scarsa densità abitativa e collocazione. Per questi 4.300 comuni (15 per cento della popolazione), si ritiene che solo l'intervento pubblico diretto può garantire alla popolazione residente un servizio di connettività a più di 30 Mbps;

   Marradi è presente nell'elenco dei comuni del quarto lotto della prima gara pubblica indetta nel 2016 da Infratel per la realizzazione di una rete a banda ultralarga nelle aree bianche della regione Toscana e vinta dal Concessionario Open Fiber S.p.a. II bando prevedeva l'affidamento di una concessione per la progettazione e costruzione, nonché la manutenzione e gestione, a tempo determinato, di una infrastruttura passiva di proprietà pubblica a banda ultralarga. Tra gli obblighi di gara vi era anche il collegamento con reti abilitanti ai servizi over 100 mbit/s di tutte le sedi della pubblica amministrazione e di tutte le aree industriali ricadenti nelle aree bianche;

   a marzo 2017 il territorio rientrò anche nel piano Cassiopea di Tim per la realizzazione di una rete a banda ultralarga. Per Marradi era previsto di rendere disponibili, entro novembre 2017, servizi innovativi a cittadini e imprese, con velocità di connessione fino a 200 megabit al secondo e di raggiungere la quasi totalità della popolazione, grazie alla posa di circa 3 chilometri di cavi in fibra ottica che avrebbe collegato 6 armadi stradali alla centrale;

   a luglio 2017 Tim ha sospeso il piano Cassiopea in seguito a una controversia con Open Fiber che le ha causato una multa dall'Antitrust di 116 milioni di euro per abuso di posizione dominante e pratiche anti-concorrenziali;

   in seguito all'archiviazione della multa dell'Autorità per la Concorrenza, da fine marzo 2020, Tim si è impegnata a estendere la copertura in tecnologia FTTCab, con internet fino a 200 mega, in circa 700 nuovi comuni distribuiti in tutto il territorio nazionale, tra i quali figura quello di Marradi, come risulta dalla notizia pubblicata sul sito della Tim in data 24 marzo 2020, «La connessione Ultrabroadband Tim ha raggiunto altri 700 comuni. E andiamo avanti»;

   nella puntata del 1° giugno 2020 di Report, «Senza fibra», il comune di Marradi è nominato come esempio emblematico per i ritardi riscontrati nella copertura della banda ultralarga;

   risulta all'interrogante che, nonostante i diversi impegni presi che l'hanno vista oggetto di intervento sia pubblico, sia privato, per la realizzazione di una rete a banda ultralarga, ad oggi, una parte fondamentale del territorio di Marradi risulta escluso dalla copertura tecnologica, comprese le attività produttive e il comune –:

   se il Governo sia a conoscenza delle criticità esposte in premessa e se abbia aggiornamenti sui tempi e le modalità per la realizzazione di una connessione adeguata nelle aree del territorio nelle quali è tuttora assente;

   se non ritenga opportuno adottare iniziative, per quanto di competenza, affinché siano rispettati gli impegni, più volte promessi, per la realizzazione di una rete a banda ultralarga nell'intero territorio del comune;

   come intenda attivarsi per garantire il diritto alla connessione digitale nell'intero territorio nazionale e in particolare nelle aree bianche, e promuovere il diritto alla connessione come diritto essenziale per tutti i cittadini.
(5-05206)

Interrogazione a risposta scritta:


   FORNARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   in data 25 giugno 2020 l'amministrazione comunale di Cassinelle, in provincia di Alessandria, ha sollecitato la direzione Macro area territoriale nord ovest Alessandria 2 di Poste Italiane a ripristinare l'apertura a tempo pieno dell'ufficio postale del paese, attualmente funzionante tre giorni a settimana;

   il 3 luglio 2020 il direttore di filiale di Alessandria 2 ha risposto che l'organizzazione dell'attività degli uffici postali e la consistenza del personale che vi opera vengono determinate in relazione ai volumi medi di traffico, alla tipologia di servizi richiesti e ai bacini d'utenza serviti;

   il 17 agosto 2020 il sindaco di Cassinelle ha scritto nuovamente al direttore di filiale specificando che la riduzione degli orari e il presidio di un solo addetto alle operazioni postali e bancarie sono causa di notevoli disagi ai cittadini. Inoltre, avendo Cassinelle un bacino importante perché punto di servizio di realtà vicine si formano presso l'ufficio postale lunghe file di persone in attesa di accedere allo sportello, che rendono più difficoltoso il mantenimento delle regole di distanziamento sociale necessarie per frenare la diffusione dei contagi da Covid-19;

   il 17 dicembre 2020 il sindaco di Cassinelle ha informato la prefettura delle difficoltà che la popolazione di Cassinelle e del bacino servito dall'ufficio postale locale vivono ormai quotidianamente;

   la popolazione della zona interessata ha un'età media molto alta ed è difficile pensare che possano utilizzare i servizi online –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della grave situazione generata dal protrarsi della riduzione di orario e quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, per superare questa situazione che sta arrecando notevoli disagi alla comunità di Cassinelle.
(4-07853)

UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'università e della ricerca, il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, per sapere – premesso che:

   gli strumenti e i servizi per garantire il pieno successo formativo a tutti gli studenti capaci meritevoli, anche se privi di mezzi, sono assicurati mediante l'utilizzo delle risorse a valere sul Fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio, delle risorse del gettito derivante dalla tassa regionale per il diritto allo studio e da risorse assicurate dalle regioni in misura pari almeno al 40 per cento dell'assegnazione alle regioni della quota parte del Fondo integrativo statale;

   le risorse vengono assegnate in base alle disponibilità finanziarie, così che si assiste al fenomeno dei cosiddetti idonei non beneficiari, soggetti che avrebbero diritto alla borsa di studio ma che, in seguito alla insufficienza dei fondi, non riescono ad accedere ai benefici;

   in materia di benefici per gli studenti universitari è inoltre previsto, in capo alle singole università, un esonero parziale o totale – cosiddetto no tax area – dal pagamento del contributo annuale onnicomprensivo dovuto dagli studenti che si iscrivono ai corsi di laurea e di laurea magistrale che presentano determinati requisiti di reddito e di carriera universitaria;

   la competenza legislativa in materia di diritto allo studio fa capo alle regioni alle quali vengono trasferite le risorse del Fondo integrativo statale ripartito in misura proporzionale al fabbisogno finanziario delle singole regioni;

   nel sistema universitario italiano, alcuni corsi di laurea prevedono un sistema di attribuzione dei posti mediante una selezione ad accesso programmato a livello nazionale, gestito direttamente dal Ministero, in base al quale, in seguito al punteggio ottenuto nei test di selezione e alla preferenza di sede manifestate al momento dell'iscrizione al test, tutti i candidati aspiranti matricole vengono inseriti in una graduatoria unica nazionale;

   il candidato, sulla base di tale graduatoria e delle preferenze espresse, potrebbe essere assegnato alla seconda o terza sede scelta come alternativa a quella principale in quanto una volta pubblicata la graduatoria è necessario attendere lo scorrimento della stessa;

   lo studente in possesso dei requisiti per l'accesso ai benefici del diritto allo studio che ha avanzato domanda nella regione in cui ha aspirato ad iscriversi potrebbe, quindi, trovarsi nella situazione che tale sede non corrisponda a quella in cui si iscriverà, con la conseguenza che il diritto allo studio non gli potrà essere garantito in forza della competenza regionale su tali benefici;

   il meccanismo sembra confliggere con l'obiettivo delle misure adottate in materia di diritto allo studio di garantire la possibilità di accedere a tutti gli studenti anche se privi di mezzi –:

   se il Governo non ritenga, per quanto di competenza, e nel rispetto delle competenze legislative disciplinate dalla normativa vigente, di promuovere e attivare, in accordo con le regioni, intese volte a prevedere il raccordo tra le diverse istituzioni che insistono sull'attuazione delle misure che garantiscono il diritto allo studio al fine di individuare modalità di trasferimento del beneficio riconosciuto allo studente da una regione all'altra.
(2-01047) «Labriola, Aprea, Casciello, Palmieri, Saccani Jotti, Vietina, Cassinelli, Giacometto, Napoli, Orsini, Pentangelo, Pettarin, Ruffino, Paolo Russo, Sandra Savino».

Interrogazione a risposta scritta:


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   dal 1992 l'università per stranieri di Perugia si è specializzata nell'insegnamento della lingua e cultura italiana agli stranieri, nella comunicazione (istituzionale, politica e pubblicitaria) e nelle relazioni internazionali, organizzate in un unico dipartimento;

   la riduzione monodipartimentale dell'ateneo è avvenuta negli ultimi anni ed ha contribuito ad una progressiva diminuzione del ruolo stesso del dipartimento, che, nei fatti, secondo quanto riportato nel numero di Micropolis di ottobre 2020 (supplemento umbro del quotidiano Il Manifesto), è risultato essere una sorta di duplicato del Rettorato, il quale tende a limitarne l'autonomia;

   negli ultimi anni, tre direttori del dipartimento si sono dimessi in conflitto con i propri rettori, l'Alta Scuola di lingua e cultura è stata smantellata, la politica delle progressioni accademiche ha finito per prevalere sugli interessi dell'Istituzione;

   l'università per stranieri di Perugia, nell'ultimo decennio, è stata attraversata da diverse inchieste giudiziarie e difficoltà finanziarie. Il recente caso «Suarez» rappresenta solo l'ultimo di una serie di filoni di inchiesta che hanno portato l'università sotto i riflettori;

   il bilancio consuntivo del 2018 non è stato approvato dal collegio dei revisori dei conti;

   mentre nella relazione del Nucleo di valutazione ci si sofferma, in particolare, sulle criticità relative alle politiche di reclutamento e sulle criticità protratte per diminuzione della capacità di autofinanziarsi da parte dell'ateneo. Il trend negativo è stato confermato sul bilancio preventivo del 2019, che evidenzia una condizione di progressivo impoverimento delle risorse, dell'offerta didattica e del patrimonio di studenti dell'ateneo e, nonostante questo, l'ateneo ha bandito 4 concorsi da PO nel 2019, conclusisi con la mancata chiamata dell'unica vincitrice esterna;

   ancora il 22 settembre 2020, quando il caso Suarez era già scoppiato, il direttore di dipartimento ha fatto approvare altri tre posti da ordinario per rassegnare subito dopo le dimissioni;

   rispetto al bilancio unico di previsione 2020-2022, il collegio dei revisori ha raccomandato una prudente attuazione delle azioni di reclutamento che tenga conto del decremento previsto delle iscrizioni e della sostenibilità finanziaria che, ad oggi, sembra essere garantita prevalentemente dall'utilizzo delle riserve di patrimonio netto;

   ciò che occorre sottolineare è la mancanza di una risposta adeguata da parte dei vertici dell'ateneo rispetto a quanto accadeva al suo interno e alla gestione dello stesso;

   dopo il «caso Suarez» l'università si ritrova di fatto senza una direzione: la rettrice ha rassegnato le dimissioni; il direttore generale non intende fare un passo indietro; solo il 14 dicembre 2020, su esplicita richiesta dell'Anac, il consiglio di amministrazione dell'ateneo ha avviato un procedimento disciplinare nei confronti del direttore generale, che conserva il suo posto da EP, nonostante la sospensione dal ruolo di otto mesi della Procura;

   da quanto si apprende il regolamento per la disciplina della chiamata dei professori di I e II fascia dell'università per stranieri di Perugia non recepirebbe le direttive Anac e ministeriali relative al codice etico e al codice di condotta e l'ateneo non si sarebbe dotato di una disciplina che regoli il conflitto di interessi nei casi che coinvolgano il rettore;

   a parere dell'interrogante un rilancio dell'università per stranieri di Perugia può passare soltanto dalla capacità delle sue forze interne di liberare l'istituzione dalla morsa degli interessi di potere extra universitario che ne hanno limitato la crescita e ne stanno iniziando a decretare la dissoluzione. L'unica soluzione per gestire tale transizione sarebbe quella di un commissariamento da parte del Ministero dell'università e della ricerca –:

   di quali elementi sia a conoscenza il Ministro interrogato circa i fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda intraprendere, compresa l'ipotesi di un commissariamento dell'ateneo qualora sussistano i presupposti di legge, al fine di rilanciare l'università per stranieri di Perugia, importante patrimonio per l'Umbria e per il Paese.
(4-07860)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Ciaburro e Prisco n. 4-07444, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 novembre 2020, deve intendersi sottoscritta anche dalle deputate: Frassinetti, Albano.

  L'interrogazione a risposta scritta Muroni n. 4-07836, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 dicembre 2020, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fusacchia.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Baldini n. 4-07302 del 28 ottobre 2020.