Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 10 novembre 2020

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 9 del decreto legislativo n. 155 del 2020 prevede che, se in una o più aree all'interno di zone o agglomerati si registrano superamenti dei valori limiti di qualità dell'aria, le regioni e le province autonome adottano un piano che stabilisce le misure necessarie ad agire sulle principali sorgenti inquinanti;

    in diverse zone ed agglomerati del territorio nazionale si registrano superamenti dei valori limiti di qualità dell'aria per il materiale particolato PM10 ed il biossido di azoto;

    in data 9 dicembre 2013 è stato sottoscritto un accordo di programma per l'adozione coordinata e congiunta di misura per il miglioramento della qualità dell'aria nel Bacino padano, tra i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti, delle politiche agricole, alimentari e forestali e della salute e le regioni e le province autonome del Bacino padano, diretto ad assicurare la realizzazione coordinata e congiunta di misure addizionali di risanamento nell'ambito del processo avviato per il raggiungimento dei valori limite della qualità dell'aria;

    per quanto riguarda il 2020 le regioni del Bacino padano – ovvero Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto – hanno deliberato di posticipare il divieto di circolazione agli autoveicoli diesel Euro 4 dal 1° ottobre 2020 (data originariamente indicata per il blocco alle autovetture alimentate a gasolio ed immatricolate fino al 31 dicembre 2008, secondo le disposizioni varate nell'accordo di Bacino del 2017) all'11 gennaio 2021;

    alcune regioni, tra cui la Lombardia e il Piemonte, hanno previsto un progetto sperimentale, il Move-In, acronimo di monitoraggio dei veicoli inquinanti, che promuove modalità innovative per il controllo delle emissioni degli autoveicoli più inquinanti nelle zone regionali soggette ai blocchi del traffico, dando la possibilità ai proprietari di veicoli con motori diesel Euro 0-1-2-3 e 4, di percorrere un numero prefissato di chilometri installando sul veicolo una scatola nera che consente di rilevare le percorrenze reali attraverso il collegamento satellitare ad un'infrastruttura tecnologica dedicata;

    i veicoli Euro 4 sono ad oggi ancora la categoria più numerosa circolante nelle regioni del Bacino padano;

    solo in Lombardia sono ancora immatricolate ben 935.000 automobili euro 4 diesel e 418.000 in Piemonte;

    la pandemia ha determinato una crisi economica senza precedenti, con centinaia di migliaia di imprese in grandissima difficoltà e milioni di lavoratori a rischio licenziamento;

    l'impossibilità di circolare per i proprietari di vetture Euro 4 con il conseguente obbligo di sostituire l'auto con una nuova euro 5 o 6 in questo momento rappresenterebbe per numerose attività e lavoratori un ostacolo insormontabile;

    il 7 marzo 2019 la Commissione europea ha deciso di deferire l'Italia alla Corte di giustizia dell'Unione europea anche per i superamenti del biossido di azoto;

    negli anni precedenti più volte l'Italia è incorsa a infrazioni dell'Unione europea in merito al superamento alla qualità dell'aria;

    lo stato d'emergenza nazionale riguardo alla pandemia da Covid-19 ha obbligato alla chiusura di numerosissime attività e allo smart working che ha ridotto sensibilmente il traffico automobilistico,

impegna il Governo

1) ad adottare iniziative, per quanto di competenza, nelle competenti sedi europee, al fine della sospensione delle procedure di infrazione legate all'inquinamento da PM10 al fine di consentire alle regioni interessate di sospendere i provvedimenti di divieto di circolazione dei veicoli diesel Euro 4 che entreranno in vigore a gennaio 2021.
(1-00402) «Belotti, Bianchi, Bazzaro, Giglio Vigna, Maggioni, Paolin, Benvenuto, Gava, Vallotto, Maccanti, Capitanio, Donina, Furgiuele, Giacometti, Morelli, Rixi, Tombolato, Zordan».

Risoluzioni in Commissione:


   L'VIII Commissione,

   premesso che:

    i contratti di fiume sono stati introdotti in Europa a seguito del secondo Forum internazionale sull'acqua tenutosi all'Aja nel 2000, organizzato dal World Water Council, quali forme di accordo che permettono di «adottare un sistema di regole in cui i criteri di utilità pubblica, rendimento economico, valore sociale, sostenibilità ambientale intervengono in modo paritario nella ricerca di soluzioni efficaci per la riqualificazione di un bacino fluviale»;

    un notevole passo in avanti è stato compiuto dal legislatore nazionale con la legge 28 dicembre 2015, n. 221, che ha inserito l'articolo 68-bis nel codice dell'ambiente, di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152), introducendo nel nostro ordinamento i «contratti di fiume»; secondo il codice «i Contratti di Fiume concorrono alla definizione e all'attuazione degli strumenti di pianificazione di distretto a livello di bacino e sottobacino idrografico, quali strumenti volontari di programmazione strategica e negoziata che perseguono la tutela, la corretta gestione delle risorse idriche e la valorizzazione dei territori fluviali, unitamente alla salvaguardia dal rischio idraulico, contribuendo allo sviluppo locale di tali aree.»;

    sulla base di tale definizione le regioni hanno previsto nella propria legislazione i contratti di fiume, comprensivi di quelli di lago e di costa e di foce e di acque di transizione, individuando i requisiti a cui devono rispondere, come strumenti volontari, di programmazione strategica e partecipata, finalizzati alla gestione integrata delle politiche di bacino e sottobacino idrografico, alla tutela, valorizzazione e riqualificazione delle risorse idriche e degli ambienti connessi, alla salvaguardia dal rischio idraulico, alla gestione sostenibile della naturalità e del paesaggio fluviale e del rischio idrogeologico, alla manutenzione del territorio, e all'implementazione del ruolo ambientale dell'agricoltura, contribuendo allo sviluppo locale di tali aree;

    è chiara la volontà delle regioni di creare occasioni di collaborazione e di integrazione tra le istituzioni pubbliche, tra queste e gli attori privati presenti localmente, nelle scelte di pianificazione e programmazione dei diversi comparti produttivi, dell'ambiente e del territorio. I contratti di fiume rappresentano, pertanto, un'opportunità per coinvolgere il governo territoriale del bacino idrografico ad incrementare l'efficacia dell'azione delle pubbliche amministrazioni, avviando quella manutenzione del territorio che troppo spesso manca e che rappresenta un prerequisito fondamentale per la prevenzione dei disastri naturali e il superamento della sola logica dell'emergenza nonché per il sostegno a uno sviluppo ecocompatibile, anche sul piano economico, dei territori;

    i soggetti che aderiscono al contratto di fiume definiscono quindi un programma d'azione (PA) condiviso e si impegnano ad attuarlo attraverso la sottoscrizione di un accordo. Rientrano in questa definizione anche i contratti di lago e di costa, di acque di transizione, di foce e di falda;

    nel corso dell'esperienza maturata, i contratti di fiume hanno dimostrato di sapere integrare tra loro discipline, obiettivi e politiche per la gestione integrata dei corpi idrici e dei bacini idrografici, attraverso il miglioramento della governance multi-stakeholder e la promozione della partecipazione attiva;

    in Italia sin dal 2007 il Tavolo nazionale sui contratti di fiume ha operato mettendo a sistema le esperienze di contratti di fiume diffuse sul territorio nazionale, contribuendo allo scambio di conoscenze, progettualità e buone pratiche che ne ha consentito una significativa diffusione in tutto il Paese, così come risulta dal documento di posizione e proposta approvato dalla relativa Assemblea nel corso di tre sessioni tenutesi nel mese di luglio 2020. Oggi in Italia si contano oltre 200 processi di contratti di fiume in essere a diversi stadi di sviluppo e, tra questi, diverse decine sottoscritti ed in fase di attuazione dei rispettivi programmi d'azione, distribuiti in tutte le regioni italiane; esperienze di contratto di fiume sono presenti su tutti i grandi fiumi italiani sia al Nord che al Sud del Paese (Po, Piave, Tevere, Adda, Arno, Brenta, Trebbia e altro); ai contratti di fiume è ormai riconosciuto un ruolo rilevante nell'attuazione e miglioramento delle politiche di governo del territorio;

    l'assemblea del Tavolo nazionale dei contratti di fiume del luglio 2020 si è espressa su una necessaria evoluzione attuativa dei contratti di fiume, a partire dall'assegnazione di un ruolo specifico all'interno della nuova programmazione europea 2021-2027, riconoscendone la capacità di integrare nel rispetto delle diversità dei singoli territori, alcuni gli obiettivi strategici della programmazione della politica di coesione 2021-2027;

    è stato evidenziato come questi strumenti possano permettere di integrare, nel rispetto delle diversità dei singoli territori, tutti e 5 gli obiettivi di policy oggetto della proposta di regolamento (UE) recante le disposizioni comuni sui fondi: Ob1 - Un'Europa più intelligente; Ob2 - Un'Europa più verde; Ob3 - Un'Europa più connessa; Ob4 - Un'Europa più sociale; Ob5 - Un'Europa più vicina ai cittadini. I contratti di fiume costituiscono, inoltre, un patrimonio di partenariati pubblico privato e rappresentano un modello per lo sviluppo di accordi ambientali d'area, strumenti necessari per il raggiungimento degli obiettivi fissati dal Green deal europeo: 1) preservare gli ecosistemi e la biodiversità; 2) inquinamento zero per un ambiente privo di sostanze tossiche con particolare riferimento all'acqua e al suolo; 3) lotta ai cambiamenti climatici; 4) riduzione della vulnerabilità ai disastri naturali;

    è stata inoltre ribadita la necessità di individuare i contratti di fiume, in accordo con le Autorità di bacino distrettuale e le regioni, tra i destinatari e attuatori delle strategie nazionali per la mitigazione del rischio idraulico e geologico, per la tutela della biodiversità e la valorizzazione del patrimonio naturale, per la mitigazione e l'adattamento ai cambiamenti climatici e per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità previsti dall'Agenda 2030, la mitigazione della vulnerabilità delle risorse idriche e il contenimento dell'impatto degli eventi estremi;

    è evidente il contributo che i contratti di fiume possono fornire per mettere in atto una gestione integrata dei rischi idraulico-geologici e una manutenzione dei corsi d'acqua secondo principi di sostenibilità ambientale, sociale, organizzativa ed economica, che permettano di raggiungere e mantenere l'obiettivo di buona qualità ambientale previsto dalla direttiva quadro acque; infatti, l'assemblea del Tavolo nazionale dei contratti di fiume del luglio 2020 ha sottolineato l'esigenza di una grande opera di integrazione disciplinare per rendere il territorio più resiliente ed in grado di superare le emergenze; in questo quadro le politiche di tutela delle acque e di difesa dal rischio necessitano di un'integrazione funzionale con la pianificazione territoriale e paesaggistica;

    il Tavolo nazionale dei contratti di fiume ha avanzato specifiche e chiare proposte al Governo, che il presente atto di indirizzo fa proprie, affinché i contratti di fiume facciano un ulteriore passo in avanti e divengano ancora di più uno strumento ordinario per la gestione sostenibile dei bacini idrografici e la prevenzione dei rischi ambientali,

impegna il Governo:

   ad adottare le opportune iniziative normative affinché i contratti di fiume entrino nel quadro delle politiche di sostegno delle amministrazioni coinvolte nell'attuazione dei progetti green proposti dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per accedere anche ai fondi del Recovery Plan, per la loro capacità di superare la logica meramente amministrativa e settoriale, essendo in grado di produrre programmi d'azione partecipati a scala di territorio;

   ad adottare le opportune iniziative normative affinché i contratti di fiume possano trovare un adeguato riconoscimento in seno all'accordo di partenariato attualmente in corso di concertazione con tutte le amministrazioni centrali e regionali e la Commissione europea, in particolare, rispetto agli obiettivi tematici OB2 «Europa più verde» e OB5 «Europa più vicina ai cittadini», e affinché nella nuova programmazione 2021-2027 vi sia una specifica dotazione finanziaria per i territori interessati da partenariati stabili;

   ad adottare iniziative per destinare una quota percentuale di risorse europee e nazionali in materia di dissesto idrogeologico e cambiamenti climatici a interventi individuati nei contratti di fiume;

   a favorire una maggiore sinergia e continuità tra le strategie e le scelte operate dalle Autorità di bacino distrettuale (Adbd), i lineamenti delle politiche regionali e le istanze delle comunità locali in materia di gestione dei bacini idrografici nella prossima fase di aggiornamento dei piani di gestione dei distretti idrografici;

   ad adottare iniziative per prevedere concrete misure di sostegno per favorire i partenariati pubblico/privato affinché, così come già sperimentato in altri strumenti partecipativi come gli investimenti territoriali integrati, possano maturare le competenze per gestire le complesse fasi di attuazione delle decisioni assunte nei contratti di fiume;

   ad adottare le iniziative di competenza per prevedere il riconoscimento dei contratti di fiume nei programmi di educazione allo sviluppo sostenibile e il loro inserimento nelle nuove programmazioni Infeas (Informazione, formazione ed educazione all'ambiente e alla sostenibilità);

   ad adottare le opportune iniziative affinché i contratti di fiume assumano concretamente il ruolo che già viene riconosciuto agli stessi nella Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, contribuendo alla definizione degli scenari e dei piani in relazione alla mitigazione della vulnerabilità delle risorse idriche e al contenimento dell'impatto degli eventi estremi, in attuazione della decisione del Consiglio europeo del 17-21 luglio 2020;

   ad adottare le opportune iniziative di competenza, in accordo con le autorità di bacino distrettuale e le regioni, affinché, attraverso i contratti di fiume, siano garantiti programmi di manutenzione idraulica periodica di tutti bacini e sottobacini idrografici, che mirino alla pulizia dei corsi d'acqua e delle foci e alla manutenzione delle caratteristiche dell'alveo e della sezione fluviale, ai fini della mitigazione del rischio idraulico e geologico, della mitigazione della vulnerabilità delle risorse idriche, del contenimento dell'impatto degli eventi estremi, dell'incremento della resilienza del territorio e dell'adattamento ai cambiamenti climatici, secondo principi di sostenibilità ambientale, sociale, organizzativa ed economica;

   ad attivarsi, nell'ambito delle proprie competenze, affinché i programmi d'azione dei contratti di fiume vengano considerati dalle regioni per la stesura delle Strategie regionali per lo sviluppo sostenibile «Verso un'Europa sostenibile entro il 2030», al fine di individuare i principali strumenti per contribuire al raggiungimento degli obiettivi della Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile (SNSvS) nonché ai goal e ai target contenuti nella risoluzione «Agenda 2030 sullo Sviluppo Sostenibile» adottata nel 2015 dall'Assemblea generale dell'Onu anche realizzando «Interventi integrati» che trovano nel modus operandi partecipato dei contratti di fiume uno strumento essenziale di attuazione.
(7-00577) «Lucchini, Badole, Benvenuto, D'Eramo, Parolo, Patassini, Raffaelli, Valbusa, Vallotto, Gava, Rixi».


   La X Commissione,

   premesso che:

    le fiere italiane sono uno strumento di grandissima importanza per la nostra economia. Il comparto delle esposizioni, infatti, genera ogni anno un giro d'affari di 60/80 miliardi di euro veicolando quasi il 50 per cento dell'export made in Italy e promuovendo relazioni e rapporti commerciali attraverso oltre 1.000 eventi fieristici dedicati a 42 categorie merceologiche differenti. Il 75,3 per cento delle imprese riconosce nelle fiere una leva di politica industriale e promozionale fondamentale per lo sviluppo proprio e del tessuto produttivo del Paese, in quanto tali manifestazioni favoriscono il contatto diretto con il mercato, la comunicazione e la valorizzazione delle competenze aziendali contribuendo in maniera determinante all'acquisizione di clienti e al posizionamento sui mercati di riferimento. Il settore fieristico, inoltre, alimenta una filiera economica che vede coinvolti attivamente organizzatori, allestitori, imprese di servizi, eventi, logistica, catering, comunicazione con un fatturato più che doppio rispetto a quello del settore, e valorizza il territorio generando un indotto complessivo che è pari ad almeno 10 volte il fatturato del comparto espositivo;

    quella delle fiere, insomma, è una vera e propria «industry» che coinvolge circa 200.000 espositori e attira oltre 20 milioni di visitatori all'anno di media. Con 2,3 milioni di metri quadrati coperti su 4,2 milioni di metri quadrati complessivi, l'Italia è il quarto Paese al mondo per superficie espositiva disponibile, dopo Cina, Stati Uniti e Germania. Le tre regioni italiane che esportano di più, Lombardia (27 per cento), Emilia-Romagna (14,3 per cento) e Veneto (13,7 per cento), sono anche quelle con la più importante presenza di Fiere a richiamo internazionale;

    è dimostrato che ogni evento fieristico determina un fattore moltiplicatore di 10-15, cioè ogni euro speso in queste realtà espositive ne porta altri 10-15, in termini di produzioni industriali ma anche e soprattutto per l'indotto. Chi partecipa ad una fiera, infatti, alloggia, pranza e cena in ristoranti del territorio, partecipa a esperienze turistiche, visita musei o beni culturali, diventa un testimonial del made in Italy nel mondo acquistando prodotti locali; senza contare gli eventi collaterali, come ad esempio i «fuori salone» che vengono organizzati in corrispondenza di un'esposizione, che nel caso di fiere internazionali sono un evento nell'evento che produce un ulteriore indotto;

    nel corso del 2020 erano programmati 947 eventi fieristici – di cui 224 internazionali, 234 nazionali, 400 regionali/locali e 89 organizzati all'estero – rivolti principalmente ai settori: tessile (15 per cento); sport, hobby, intrattenimento e arte (13 per cento); food, bevande e ospitalità (11 per cento); gioielli, orologi e accessori (7 per cento); meccanica (6 per cento); agricoltura, silvicoltura e zootecnia (6 per cento);

    a causa dell'emergenza sanitaria in corso, dal mese di marzo 2020 fino all'estate sono state rinviate o annullate oltre 200 fiere: il settore fieristico è stato infatti tra i primi ad essere fermato a causa della pandemia e tra gli ultimi a riaprire. In particolar, nel periodo dal 23 febbraio al 31 luglio sono state annullate 88 manifestazioni internazionali e 93 nazionali;

    il comparto ha provato a ripartire il 1° settembre 2020 con grandi investimenti, realizzando 43 manifestazioni internazionali e 69 nazionali, ma con l'entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 ottobre 2020 sono state annullate di punto in bianco 13 manifestazioni internazionali e 46 nazionali che dovevano svolgersi tra la fine ottobre e la fine novembre: si pensi, ad esempio, che a Modena con il solo evento Skipass dal 29 ottobre al 1° novembre erano stati coinvolti 250 espositori. Parma invece aveva organizzato dal 29 al 31 ottobre Mecspe, la fiera di riferimento per l'industria manifatturiera, con mille aziende partecipanti e gli stand già pronti, mentre Rimini aveva già programmato la manifestazione Ecomondo con 600-700 imprese presenti; inestimabili sono poi i danni per le fiere internazionali come il Mido, il più grande evento al mondo dedicato al settore mondiale dell'eyewear, l'occhialeria, che porta in Italia oltre 1.200 espositori, o ancora il Vinitaly, il principale driver del nostro mercato vitivinicolo; e ancora il Salone del mobile di Milano, anche in questo caso la più importante fiera mondiale del settore con un evento correlato, il «Fuori salone», che è diventato negli anni uno dei più importanti happening sulle tendenze dell'abitare e stili di vita; il Cersaie di Bologna, l'appuntamento più importante per l'industria delle piastrelle e materiali per l'architettura; il Cosmoprof, punto di riferimento per i prodotti di bellezza e la cura del corpo, un mercato in cui l'Italia eccelle, che organizza anche eventi in altri Paesi; ma sono solo alcuni esempi di un comparto che ha contribuito in modo rilevante allo sviluppo della nostra economia oggi in grave difficoltà;

    sul punto occorre sottolineare come le manifestazioni fieristiche vivano di programmazione e investimenti e richiedano tempi lunghi di organizzazione per chi le realizza, per gli espositori e per le società che contribuiscono alla loro preparazione. Pertanto, la chiusura dell'intero settore da un giorno all'altro e senza una pianificazione graduale e concordata con le associazioni di categoria ha determinato, nelle ultime settimane, per tutti gli operatori della filiera espositiva perdite superiori all'80 per cento del fatturato. Anche i costi sostenuti dai quartieri fieristici non hanno potuto registrare una riduzione proporzionale in quanto, nonostante i cospicui investimenti che i quartieri stessi hanno posto in essere per operare in sicurezza secondo le Linee guida regionali e il protocollo approvato dal Comitato tecnico-scientifico non è stato possibile portare a termine gli eventi programmati e rientrare delle spese;

    per questo motivo, ad oggi, il comparto fieristico risulta tra quelli più danneggiati dal lockdown e dalle misure per contrastare l'emergenza sanitaria e la diffusione del contagio: secondo alcune stime la perdita registrata dagli operatori del settore è stata di circa il 40 per cento nel primo trimestre, del 100 per cento del secondo trimestre ed è prevista del 60 per cento per il terzo trimestre, per un ammontare di circa 125 miliardi di euro, con ricadute anche nell'export delle nostre imprese e sull'indotto dei territori e di tutte le filiere collegate;

    migliaia di imprese dell'indotto tra allestitori, agenzie di servizi, di comunicazione e di eventi sono a rischio fallimento: le ripercussioni sono pesantissime soprattutto sui settori della ricettività e della ristorazione che registrano perdite catastrofiche. Secondo i dati Istat, il 38,8 per cento delle imprese italiane rischia di non sopravvivere e di chiudere entro l'anno. Il rischio di chiusura è minore, però, per le imprese italiane presenti sui mercati internazionali e questo conferma ancora una volta come sia fondamentale sostenere l'export. Secondo l'Ice ci vorranno 3 anni prima che l'export italiano torni ai livelli pre-Covid e i danni di questo «stop» prolungato avranno effetti per almeno un decennio;

    oltre, però, alla catastrofica perdita per il settore in termini economici, si prospetta anche una chiusura delle piccole fiere e, cosa non da poco, che le grandi fiere di altri Paesi possano acquisire i principali operatori del mercato italiano proprietari di prodotti fieristici interessanti a livello globale, privando così l'Italia di un asset strategico che andrebbe invece tutelato dalle mire di investitori internazionali al pari di altri settori per cui è previsto il Golden power, recentemente allargato e potenziato;

    prima del lockdown nessuno pensava alle fiere come asset strategico, ma oggi più che mai se ne sta riscoprendo il valore reale: non si può pertanto considerare questo importantissimo settore come la Cenerentola del nostro sistema economico-produttivo, ma occorre pensare ad un piano industriale organico per il rilancio del comparto, per sostenere gli operatori fieristici e l'intero indotto e per favorire l'incoming di operatori stranieri. È impensabile ragionare su una strategia di ricostruzione e ripartenza dell'economia italiana senza riaprire le fiere e, nello specifico, senza iniziative mirate ed efficaci per riavviare l'attività dell'intera filiera;

    il sistema fieristico italiano non si era mai fermato così a lungo e la mancanza di politiche di sostegno e rilancio del settore e del relativo indotto in un momento così critico pone a rischio la sopravvivenza di un comparto fondamentale per il Paese sia sul piano produttivo che su quello occupazionale. Il Recovery Plan rappresenta un'occasione importante per scongiurare il collasso del sistema ma per far questo occorre ricomprendere il settore fieristico in più linee progettuali, perché tali manifestazioni impattano l'economia italiana sotto diversi punti di vita,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative, per quanto di competenza, per compensare nel minor tempo possibile i danni subiti dal settore fieristico per lo spostamento o l'annullamento delle manifestazioni programmate nel corso del 2020 e aumentare le risorse destinate a fondo perduto all'intero comparto, svincolando tali interventi dai limiti previsti dalle disposizioni in materia di aiuti di Stato (le cosiddette regole del «de minimis»), al fine di consentire un'adeguata copertura dei costi necessari per la ripartenza e il rilancio delle attività espositive con quanto già stanziato nei provvedimenti approvati durante l'emergenza epidemiologica ma ancora non disponibile;

   a verificare e monitorare, in sinergia con gli operatori del settore, il ricorso e l'efficacia degli ammortizzatori sociali per i lavoratori del settore fieristico e, se necessario, ad adottare iniziative per garantire percorsi di riqualificazione professionale a tutela dei livelli occupazionali;

   ad adottare iniziative per prevedere il ristoro di costi fissi non coperti da relativi ricavi per tutti gli enti fieristici e non soltanto per chi opera con manifestazioni internazionali, semplificando le modalità di accesso alle risorse in base alla percentuale della perdita del fatturato e prevedendo l'erogazione dei fondi entro la fine del 2020, con l'eventuale attivazione di un fondo ad hoc presso il Ministero dello sviluppo economico;

   a definire con gli addetti ai lavori le modalità di ripresa in sicurezza delle manifestazioni fieristiche consentendo all'intero comparto una nuova programmazione dei prossimi eventi e lo stanziamento degli investimenti necessari per far ripartire tutte le attività;

   ad adottare iniziative per ricomprendere il settore fieristico in alcune linee previste dalle proposte italiane per il Recovery Fund di più immediato intervento e utilità per l'intero comparto, tenendo conto che tra queste le aree che possono risultare strategiche per la filiera espositiva sono:

    a) la digitalizzazione e l'innovazione, posto che per il settore fieristico gli investimenti nelle nuove tecnologie sono fondamentali per attrarre e comunicare con gli espositori, per permettere ai visitatori di frequentare in modo proficuo le fiere, per rispettare le condizioni di sicurezza e che la digitalizzazione del sistema riveste un ruolo essenziale anche per mettere i settori produttivi nella condizione di potenziare la propria presenza sui mercati internazionali e per contribuire alla promozione dell'industria culturale e del turismo con il coinvolgimento di operatori che rappresentano la parte più ricca ed innovativa di questi flussi;

    b) la transizione ecologica e la rivoluzione verde, che impattano in primis con l'eco-sostenibilità ambientale dei quartieri fieristici ma anche sui processi organizzativi e sul possibile filone delle fiere tematiche;

    c) le infrastrutture per la mobilità che possono rappresentare un importante impulso allo sviluppo fieristico e con esso alla competitività del Paese anche nella logica della transizione ecologica;

    d) la salute che ha incontrato un fondamentale alleato nel settore fieristico, ove nell'emergenza, le strutture espositive sono state sedi di ospedali, di centri medici per tamponi e per ricovero di persone e potrebbero essere attrezzate a questo scopo.
(7-00578) «Fiorini, Guidesi, Binelli, Andreuzza, Colla, Dara, Galli, Pettazzi, Piastra, Saltamartini».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta orale:


   PATELLI, TIRAMANI, GUSMEROLI, GASTALDI, MACCANTI, BOLDI, GIACCONE, BENVENUTO, GIGLIO VIGNA, PETTAZZI, CAFFARATTO e LIUNI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   le eccezionali precipitazioni che hanno colpito il Piemonte e la Liguria il 2 e 3 ottobre 2020 hanno causato una drammatica situazione con perdita di vite umane e hanno provocato ingenti danni a edifici, infrastrutture e beni mobili;

   i danni hanno raggiunto una particolare gravità nelle province di Biella, Cuneo, Novara, Verbano-Cusio-Ossola e Vercelli, nella regione Piemonte, e nella provincia di Imperia, nella regione Liguria;

   in data 3 ottobre (con prot. PG/2020/322364), i presidenti delle regioni Piemonte e Liguria, ciascuno con riferimento ai danni del proprio territorio, hanno inviato richiesta per la dichiarazione dello stato di emergenza a livello nazionale, alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed al capo del dipartimento della protezione civile;

   con deliberazione del Consiglio dei ministri del 22 ottobre 2020, è stato dichiarato lo stato di emergenza a livello nazionale;

   si apprende dal comunicato stampa del Consiglio dei ministri che, sulla base di una valutazione preliminare dei danni e dei fabbisogni, è stato deciso un primo stanziamento di 22 milioni di euro a carico del Fondo per le emergenze nazionali, di cui 15 milioni destinati alla regione Piemonte e 7 milioni destinati alla regione Liguria, con riguardo ai fabbisogni relativi agli interventi di soccorso alle popolazioni e di ripristino della funzionalità dei servizi pubblici e delle infrastrutture di rete;

   il comunicato stampa riporta, inoltre, che successivamente, sulla base dell'ulteriore ricognizione delle risorse necessarie per far fronte agli interventi da parte delle regioni, potrà essere valutata l'adozione di un'ulteriore delibera;

   risulta agli interroganti che i danni provocati dagli eccezionali eventi meteorologici raggiungono somme molto superiori rispetto a quanto stanziato, ed in particolare per la regione Piemonte ammontano a diverse centinaia di milioni di euro;

   a tutt'oggi non risultano effettuate le opportune integrazioni al modestissimo primo stanziamento –:

   se il Governo intenda adottare, con la massima urgenza, le necessarie iniziative per l'integrazione delle risorse stanziate e quali siano i tempi previsti per rendere operative tali integrazioni.
(3-01875)


   SPENA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   in forza del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 novembre 2020 e della circolare del Ministero dell'interno del 7 novembre 2020, contenenti le nuove misure per il contrasto alla pandemia da Covid 19, numerose imprese hanno dovuto ridurre la propria attività;

   in particolare, nel settore florovivaistico, i fiorai che si trovano nei mercati rionali e nei mercati coperti, non possono aprire al pubblico nella giornata di sabato, il giorno di maggior incasso, in quanto equiparati ai centri commerciali e quindi considerati «non essenziali», si veda in particolare l'articolo 1, comma 9, lettera ff), del citato decreto;

   tale decisione colpisce ulteriormente un settore già fortemente penalizzato durante il lockdown totale di marzo, aprile e maggio 2020. Basti pensare ai milioni di piante pronte per la vendita mandate al macero per impossibilità di raggiungere il retail ai milioni di fiori recisi eliminati per l'assenza di cerimonie ed eventi;

   le riduzioni di attività previste dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 novembre 2020 e i lockdown nei Paesi esteri decisi in questi giorni stanno già generando una riduzione del volume d'affari, che rischia di arrivare, secondo i calcoli delle associazioni di settore, al 40 per cento del volume d'affari del periodo;

   i prodotti del florovivaismo necessitano di cura e manutenzione e non è possibile rinviarne la vendita in giorni successivi trattandosi di prodotti deperibili;

   gli stessi prodotti continuano ad essere commercializzati all'interno di altri canali di vendita (ad esempio, grande distribuzione organizzata nei centri commerciali) e non sussistono motivazioni plausibili per la chiusura di detti negozi di vendita che, all'interno dei mercati al chiuso, potrebbero osservare facilmente le precauzioni già previste per la vendita di prodotti alimentari;

   il divieto sopra evidenziato era già stato previsto nel periodo di lockdown imposto per i mesi tra marzo e maggio 2020, ma fu risolto, a seguito dell'azione congiunta di questa parte politica e delle associazioni di categoria a fine marzo 2020, grazie a una Faq sul sito della Presidenza del Consiglio, che pose fine alle interpretazioni restrittive dei comuni;

   il florovivaismo è a tutti gli effetti un settore dell'agricoltura e ha un valore di circa 2,5 miliardi di euro, realizzati da 27.000 aziende, che occupano circa 100.000 addetti. Recentemente la Camera ha approvato la relativa riforma, grazie al lavoro comune dei parlamentari di tutti Gruppi, riforma tuttavia dotata di scarsissime risorse, dopo l'intervento del Governo che ne ha ridotto le disponibilità in forza di «motivi di finanza pubblica»;

   da quanto sopra evidenziato appare evidente una sottovalutazione delle problematiche del florovivaismo italiano, anche in relazione a misure che non comportano oneri pubblici, quale quella di consentire l'apertura dei fiorai ovunque si trovino nei giorni prefestivi o festivi, o dando pubblica adesione alla campagna lanciata nelle settimane scorse dalle associazioni di settore che invitava i cittadini ad «acquistare un fiore italiano»;

   le norme di decontribuzione adottate dal Governo in favore del florovivaismo (da ultimo per il mese di dicembre nel decreto-legge n. 149 ristori-bis) e i fondi perduti, sia pure necessari, non risolvono il problema centrale che consiste nella perdita di una rilevante quota di fatturato, rispetto alla quale è necessario adottare misure mirate, che limitino l'impatto delle restrizioni anti Covid allo stretto necessario –:

   se non si ritenga opportuno adottare iniziative per dettare con urgenza disposizioni interpretative del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 novembre 2020 e della circolare del Ministero dell'interno del 7 novembre 2020, al fine di consentire l'apertura dei fiorai che si trovano nei mercati rionali e nei mercati coperti nei giorni prefestivi e festivi, sulla falsariga delle analoghe disposizioni adottate a fine marzo 2020.
(3-01877)


   ROSPI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   a causa della pandemia globale che ha colpito il nostro Paese il Governo a partire dal mese di marzo 2020 ha emanato diverse misure restrittive al fine di limitare i contagi su tutto il territorio nazionale;

   tra le misure restrittive adottate dal Governo, che hanno portato ad un primo lockdown nazionale, vi erano quelle relative alla temporanea chiusura di molte attività del settore della ristorazione e del settore alberghiero;

   tra le imprese della filiera dei due settori che più di altre hanno risentito di questa prima chiusura ci sono le ditte di distribuzione e produzione specializzata che lavorano in forniture per la ristorazione e bar e le ditte specializzate in lavanderie industriali che lavorano per il settore alberghiero;

   a partire dal mese di settembre 2020, con la seconda ondata, la diffusione del virus è aumentata a dismisura arrivando a oltre trenta mila contagi al giorno. Per fronteggiare questa nuova fase dell'emergenza il Governo è intervenuto emanando tre nuovi decreti del Presidente del Consiglio dei ministri nel mese di ottobre, con i quali imponeva ulteriori misure restrittive sull'intero territorio nazionale e con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 novembre 2020 attraverso il quale l'Italia viene suddivisa in tre zone in base alla gravità della situazione epidemiologica in corso;

   i nuovi decreti del Presidente del Consiglio dei ministri prevedono, tra le varie restrizioni, la chiusura parziale dei servizi di ristorazione, quali bar, ristoranti, gelaterie e pasticcerie e delle attività alberghiere nelle zone gialle e la chiusura totale di queste attività nelle zone identificate come rosse;

   le imprese della filiera dei due settori stanno vivendo un momento estremamente difficile a causa del sensibile calo del fatturato dovuto alle restrizioni anti-Covid; infatti, le imprese che forniscono beni e servizi ad alberghi, villaggi turistici, bar e ristoranti, come quelli del canale Ho.Re.Ca. e le lavanderie industriali sono danneggiate dalle misure restrittive al pari delle aziende direttamente colpite dalle restrizioni;

   risultano, inoltre, essere danneggiate anche le aziende che hanno la propria sede nelle zone gialle ma che riforniscono prevalentemente aziende con sede nelle zone arancioni o rosse, in quanto per queste aziende non è previsto alcun aiuto da parte del Governo; questo è il caso di molte aziende lucane che producono la maggior parte del proprio fatturato lavorando nelle vicine Puglia e Calabria –:

   se il Governo sia a conoscenza della problematica esposta e quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di ristorare tutte le categorie coinvolte nelle chiusure previste dai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri in vigore, ivi comprese le ditte di distribuzione e produzione specializzata che lavorano nel canale «Ho. Re.Ca.» in forniture per ristorazione e bar e ditte di lavanderie industriali che riforniscono il settore alberghiero.
(3-01879)


   INVERNIZZI e FURGIUELE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   il Commissario ad acta alla sanità in Calabria, Saverio Cotticelli, si è dimesso dall'incarico dopo l'intervista imbarazzante, quasi surreale, che l'ha visto protagonista venerdì scorso, durante la trasmissione «Titolo V», andata in onda su Rai 3;

   a circa due anni dalla nomina, il Commissario non sapeva quale fosse il suo ruolo, quanti fossero i posti di terapia intensiva attivati nella regione, non sapeva neppure a chi fosse attribuito il compito di predisporre il piano di potenziamento della sanità regionale (salvo poi scoprire, goffamente, nel corso dell'intervista, che il piano in questione avrebbe dovuto predisporlo proprio lui stesso);

   il Commissario non sapeva nulla, sembrava arrivato in Calabria dalla luna casualmente. Eppure non è arrivato per caso, ma per volontà dell'attuale Presidente del Consiglio dei ministri e dell'allora Ministro della salute Giulia Grillo, che, all'epoca, l'avevano voluto a tutti i costi, presentandolo trionfalmente come il salvatore della sanità calabrese;

   pertanto, per gli interroganti, piuttosto che infierire contro un Commissario chiaramente e manifestamente fuori posto, è il caso di chiedersi dove sono stati, in questi mesi, i Ministri della salute e il Presidente del Consiglio dei ministri che, con il Commissario in questione, avevano il dovere istituzionale di confrontarsi;

   com'è noto, infatti, il piano di riorganizzazione della rete ospedaliera, volto a fronteggiare l'emergenza pandemica, avrebbe dovuto essere presentato dalle regioni entro trenta giorni dall'entrata in vigore del decreto-legge n. 34 del 2020;

   lo stesso decreto-legge, all'articolo 2, comma 8, stabilisce espressamente che: «nel caso di mancata presentazione del piano da parte della regione o della provincia autonoma oppure nel caso di adozione di un provvedimento negativo espresso da parte del Ministero, il piano è adottato dal Ministero della salute nel successivo termine di trenta giorni»;

   davvero non si comprende, quindi, come sia possibile che, nella regione Calabria, non vi sia ancora oggi, al mese di novembre 2020, un piano di riorganizzazione della rete ospedaliera; è palese che la responsabilità non può essere solamente del Commissario ad acta, che non ha predisposto il piano, ma anche e soprattutto degli attuali vertici del Governo che avrebbero dovuto sopperire al suo inadempimento, ai sensi di quanto previsto dalla succitata norma;

   il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro della salute, invece, non hanno fatto nulla, neanche denunciare la mancata presentazione del piano. Anzi: solamente pochi giorni fa, quando era sotto gli occhi di tutti la criticità della situazione sanitaria calabrese, hanno deciso di premiare il Commissario ad acta, riconfermandolo nell'incarico per altri due anni;

   è assurdo che il Commissario ad acta venga trasformato in capro espiatorio e rimosso pubblicamente dal Governo che l'ha riconfermato pochi giorni fa; a parere degli interroganti, prima ancora che destituire il Commissario, il Presidente del Consiglio dei ministri avrebbe dovuto dimettersi lui stesso e riconoscere il fallimento del suo modello di gestione –:

   per quale ragione, il Ministero della salute abbia risposto solamente in data 27 ottobre 2020 al quesito formulato dal Commissario ad acta, con il quale lo stesso richiedeva chiarimenti in merito al soggetto tenuto alla predisposizione del piano di riorganizzazione della rete ospedaliera;

   per quale ragione, una volta spirati i termini previsti dal decreto-legge n. 34 del 2020, cosiddetto decreto rilancio, non siano state adottate le iniziative di competenza, immediatamente, per adottare il piano mancante;

   per quale ragione, nonostante la mancata presentazione del piano il Governo avesse deciso di riconfermare il Commissario ad acta nelle funzioni, salvo rivedere la propria decisione dopo l'imbarazzante intervista.
(3-01881)


   FURGIUELE e INVERNIZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   la vicenda della sanità calabrese e del commissariamento oramai riveste aspetti paradossali, al limite dell'incredibile, e le continue decisioni del Governo centrale, a parere degli interroganti, fanno cadere la Calabria «dalla padella alla brace»;

   dopo la questione del Commissario ad acta Cotticelli, dimessosi dopo l'imbarazzante intervista dalla quale è emersa la sua assoluta impreparazione ed incapacità – vicenda, peraltro, ancora tutta da chiarire in merito alle ragioni sottese ad una sua riconferma nell'incarico pochi giorni prima dell'intervista stessa – si apre il caso del suo sostituto, il neo Commissario Giuseppe Zuccatelli;

   il neo nominato, infatti, stanti le notizie stampa, sembra essere vicino al Ministro Speranza ed anche all'onorevole Bersani, è stato già candidato non eletto per Leu, già interessato da qualche grana per la gestione di Villa Torano, una Rsu in provincia di Cosenza, dove si sono registrati parecchi morti a causa della pandemia e, soprattutto, già al centro di polemiche per alcune sue affermazioni nella gestione del Covid, come quella «non c'è nessuna necessità di utilizzare le mascherine e, soprattutto, per infettarsi bisogna baciarsi (e con la lingua) per almeno 15 minuti»;

   «le mascherine non servono a un ca**o», scandisce ad alta voce il commissario nel video girato qualche tempo fa, sebbene ora, dopo la nomina, l'interessato provi a giustificarsi dicendo che «le mie affermazioni errate, estrapolate impropriamente da una conversazione privata, risalgono al primo periodo della diffusione del contagio»;

   per gli interroganti, è indubbiamente una nomina squisitamente politica che nulla ha a che vedere con le richieste capacità per l'emergenza sanitaria in Calabria, come riportato anche da diversi articoli della stampa locale: «Fallito l'ingresso in Parlamento, Zuccatelli è stato gratificato dal ministro Speranza con una serie di incarichi in Calabria, tra cui quelli di commissario dell'ospedale e del policlinico universitario di Catanzaro.» (Gazzetta del Sud – Edizione Calabria); «Governo continua a politicizzare la sanità per scopi elettorali». «Com'era la storiella che il Governo non stesse usando la sanità come arma elettorale sulle spalle della gente? Zuccatelli non può fare il Commissario per la Sanità calabrese perché non ha i titoli per farlo». (Il Lametino);

   tale figura, dunque, non rappresenta la soluzione che i calabresi attendevano dopo quello che appare agli interroganti lo scempio perpetrato dal Governo centrale con la nomina di Cotticelli e la totale assenza dello stesso sull'operato – o non operato – del Commissario ad acta;

   si evidenzia, infatti, in proposito, che ai sensi dell'articolo 2, comma 8, del cosiddetto decreto Rilancio (decreto-legge n. 34 del 2020) «nel caso di mancata presentazione del piano da parte della regione o della provincia autonoma oppure nel caso di adozione di un provvedimento negativo espresso da parte del Ministero, il piano è adottato dal Ministero della salute nel successivo termine di trenta giorni» –:

   se, stante l'esigenza di accelerare sul piano anti-Covid e recuperare il tempo perso, il Governo non ritenga doveroso garantire alla Calabria una figura di Commissario super partes, esente da ogni polemica, in possesso dei necessari requisiti e delle fondamentali competenze, al fine di tutelare il diritto alla salute dei calabresi ed evitare nuovi rischi e problemi anche di ordine sociale.
(3-01882)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MATURI, SUTTO e PATELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il nuovo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 novembre 2020, entrato in vigore il 6 novembre, relativo ad ulteriori misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da Covid-19, divide le regioni in tre fasce di rischio (rosso, arancione, giallo) ponendo, a seconda di queste, delle limitazioni orarie e territoriali per gli spostamenti;

   tra le disposizioni adottate dal suddetto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ci sono misure che consentono ad alcune categorie commerciali di continuare la propria attività anche nelle regioni «rosse»; tra queste però non è chiaro se vi rientri anche l'attività di toelettatura di animali da compagnia;

   infatti, nell'allegato 24, sono elencate le attività di servizi alla persona (macro categoria in cui rientrano le toelettature) che possono continuare a lavorare anche in zona rossa. Questa attività non essendo citata espressamente nel suddetto allegato, salvo modifiche, si presume che non potrà continuare a lavorare. Nelle ore antecedenti all'entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e anche in quelle successive sono state molteplici le domande poste su cosa si debba fare; domande che si pongono non solo i gestori delle attività, ma anche i proprietari degli animali da compagnia;

   l'interrogante ritiene che essendo aperti, anche nelle regioni «rosse», parrucchieri e barbieri, i toelettatori – in totale sicurezza e nel rispetto dei protocolli sanitari vigenti – possono anzi devono rimanere aperti; si ritiene che se possono lavorare gli acconciatori tanto più possono farlo i toelettatori che hanno molti meno contatti con i clienti;

   si deve ricordare che gli animali non sono vettori del Covid-19; pertanto, il servizio può essere svolto, purché venga fatto esclusivamente su appuntamento, senza il contatto diretto tra le persone, e comunque in totale sicurezza nella modalità «consegna animale-toelettatura-ritiro animale», utilizzando i mezzi di protezione personale e garantendo il distanziamento sociale, cose che avevano già messo in atto durante il lockdown della scorsa primavera;

   sospendere tale attività e trovarsi nell'impossibilità di procedere a operazioni di lavaggio o tosatura, soprattutto per gli animali di maggiori dimensioni, potrebbe determinare l'insorgere di problemi di carattere igienico-sanitario legati ad eccesso di pelo, dermatiti, presenza di parassiti;

   la toelettatura non è solo estetica. Esistono, ad esempio, cani che a causa del loro particolare mantello devono necessariamente rivolgersi al servizio di toelettatura e, se trascurati, possono raggiungere condizioni talmente precarie da comprometterne anche lo stato di salute dell'animale stesso. Durante il primo lockdown si avevano notizie di chiamate urgenti a veterinari per emergenze dovute proprio alla mancata cura dell'animale da compagnia, come ad esempio, unghie incarnite, otiti per mancato stripping in razze predisposte, peli annodati e via dicendo;

   si può e si deve continuare a dare l'assistenza necessaria agli animali dei quali si è responsabili, poiché questa rientra nelle «situazioni di necessita» e/o nei «motivi di salute»;

   nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 26 aprile 2020 i toelettatori erano poi stati inseriti nell'allegato 2 che permetteva loro di ritornare operativi, quindi non si comprende perché ora nell'allegato 24 al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri non siano stati previsti sussistendo le medesime condizioni dell'aprile 2020 –:

   se si intenda inserire nell'allegato 24 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 novembre 2020 l'attività di toelettatura per animali da compagnia quale categoria autorizzata a proseguire l'attività, al pari di quella dei saloni di barbiere e parrucchiere, in quanto si tratta di un servizio indispensabile per la cura e salute degli animali da compagnia, al fine di evitare l'insorgere di problemi di carattere igienico-sanitario agli stessi, che dovrebbero poi rivolgersi alle cure dei veterinari, nonché in considerazione del basso rischio di queste attività e dei piani di sicurezza che erano già stati messi in atto durante il primo lockdown.
(5-04966)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ASCARI e MARTINCIGLIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per le pari opportunità e la famiglia. — Per sapere – premesso che:

   il progetto «cuoche combattenti» nasce dall'elaborazione del percorso di fuoriuscita dalla violenza domestica presso il Centro antiviolenza «Le Onde» Onlus di Palermo: si tratta di un progetto di imprenditoria sociale, quale strumento per acquisire competenze personali, tecniche di lavoro, autonomia, capacità imprenditoriali, con l'obiettivo di fornire strumenti di emancipazione economica alle donne vittime di violenza di genere;

   progetti di imprenditorialità femminile di vittime di violenza di genere sono un importantissimo strumento per dare concrete possibilità alle vittime di ottenere un'indipendenza economica che spesso è uno dei principali ostacoli alla denuncia di partner violenti e misogini;

   il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri ha avviato uno strumento di sostegno all'imprenditorialità femminile;

   garantire forme di finanziamento all'imprenditorialità femminile può essere un valido strumento per supportare progetti simili a quello di «cuoche combattenti» e ridare speranza e dignità a molte vittime di violenza di genere, sottraendole al ricatto della dipendenza economica –:

   quali iniziative siano state attuate o si intendano attuare al fine di garantire forme di sostegno all'imprenditorialità femminile, con particolare riguardo alle vittime di violenza di genere.
(4-07430)


   MORRONE e RAFFAELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   non è chiaro sulla base di quali criteri siano state adottate le misure di chiusura di cinema, teatri, musei e luoghi della cultura contenute nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 novembre 2020, nonostante queste strutture avessero provveduto a dotarsi di idonee misure di sicurezza sanitaria sulla base delle precedenti disposizioni emanate dal Governo per contrastare la diffusione della pandemia da Covid-19;

   il nuovo provvedimento ha esteso le stesse misure restrittive indistintamente a tutti i cinema e i teatri presenti sul territorio nazionale, senza distinguere la differenza di capacità di posti disponibili, di spazio in metri cubi, di impianti di aerazione, di ingressi ed uscite distanziati, di dispositivi per la sanificazione e di personale addetto per controllo e sicurezza;

   il valore artistico-culturale ed educativo offerto alla cittadinanza attraverso le rappresentazioni di opere teatrali e l'esecuzione di opere sinfoniche e simili rappresenta un valore aggiunto per la storia e le tradizioni del nostro Paese;

   va considerato l'imponente sforzo intellettuale, organizzativo ed economico sostenuto dalle varie compagnie teatrali e dalle orchestre nel creare, organizzare e programmare le varie attività già previste in calendario per la stagione 2020-21;

   va considerata altresì la differenza esistente tra le capacità ricettive e logistiche di teatri storici come il Teatro Galli di Rimini (832 posti), il Teatro Alighieri di Ravenna (835 posti), il Teatro Bonci di Cesena (800 posti), il Teatro Fabbri di Forlì (700 posti) e altri considerati «minori», pur importantissimi nel panorama e nello sviluppo culturale del nostro Paese, per capacità ricettiva e impiego di personale addetto;

   sono state pubblicate su giornali e televisioni dichiarazioni da parte di centinaia di autori del mondo del teatro, del cinema e dello spettacolo. È stato fatto un appello, con 10.000 firmatari del mondo della cultura e dello spettacolo, contro la chiusura di teatri e di cinema e una lettera è stata rivolta al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e al Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo da parte l'associazione guidata da Angelo Argento che raccoglie direttori di musei, operatori culturali, protagonisti del mondo dell'impresa, delle professioni, dell'innovazione;

   in una dichiarazione del maestro Pupi Avati pubblicata sul Corriere della Sera si giudica la scelta della chiusura totale di cinema e teatri come «(...) una decisione avventata. Eppure l'Agis ha dimostrato che in tre mesi su quasi 3000 spettacoli dal vivo c'è stato un solo caso di Covid. Sono stato alla Mostra di Venezia per il premio Bresson e non è successo nulla di negativo, mascherine, misurazioni, distanziamento, tutto a norma. Lo stesso alla Festa di Roma. Se c'è un posto sicuro, è la sala di cinema»;

   è prevedibile, nonostante un auspicabile ottimismo, anche l'eventualità di una proroga del provvedimento restrittivo sul territorio nazionale a causa della pandemia;

   sembra necessario agli interroganti un ulteriore chiarimento metodologico sulle scelte da attuare, aprendo un tavolo di confronto con esperti del settore, al fine di adottare un provvedimento che non sia così lesivo nei confronti di un patrimonio artistico-culturale che ha reso grande la storia e la fama della nostra nazione in tutto il mondo –:

   quali iniziative il Governo intenda assumere per rispondere concretamente agli appelli che sono stati rivolti dalle categorie interessate.
(4-07440)


   UNGARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   i cittadini italiani che trasferiscono o hanno trasferito la residenza in uno Stato con il quale non è in vigore alcuna convenzione con l'Italia, perdono il diritto all'assistenza sanitaria sia in Italia che all'estero, all'atto della cancellazione dall'anagrafe comunale e della iscrizione all'Aire. Fanno eccezione i lavoratori di diritto italiano in distacco, che mantengono l'assistenza sanitaria in Italia e all'estero;

   un cittadino con lo stato di emigrato ovvero colui che ha acquisito la cittadinanza italiana sul territorio nazionale, nato in Italia o un titolare di pensione corrisposta da enti previdenziali italiani, rientrato temporaneamente in Italia senza avere una copertura assicurativa pubblica o privata, tuttavia ha diritto, a titolo gratuito alle prestazioni ospedaliere urgenti per un periodo massimo di 90 giorni in un anno solare secondo il decreto ministeriale 1° febbraio 1996;

   pur sconsigliati dalle autorità sanitarie nazionali e internazionali sono ad oggi permessi ingressi e uscite di cittadini italiani da e per l'estero conformemente a quanto stabilito dall'ultimo Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 novembre 2020;

   arrivano all'interrogante numerose segnalazioni di cittadini italiani non residenti che temporaneamente in Italia, in presenza di sintomi da infezione da Covid-19, desiderano essere sottoposti a tampone per la verifica del proprio stato infettivo anche a tutela della salute pubblica. Prestazione che per la presente fattispecie non viene erogata dal Servizio sanitario nazionale;

   il 7 ottobre 2020 il Consiglio dei ministri ha prorogato al 31 gennaio 2021 lo stato d'emergenza per Covid-19;

   per quanto esposto, vista la gravità della diffusione del virus e considerato lo stress delle strutture ospedaliere nazionali, risulterebbe altresì importante che le autorità nazionali competenti chiariscano se sia possibile estendere temporaneamente il servizio di tampone molecolare ai cittadini iscritti all'Aire anche se non coperti dal Servizio sanitario nazionale non avendo essi assegnato un medico di medicina territoriale ovvero se sia possibile usufruire del servizio tamponi pubblico a pagamento, ora disponibile solo per motivi di lavoro o viaggio –:

   se non si intenda valutare, per quanto di competenza e stante il vigente stato di emergenza pandemica, l'opportunità di adottare iniziative per garantire la continuità assistenziale territoriale per il trattamento dei sintomi dell'infezione Covid-19 anche ai cittadini italiani non residenti e temporaneamente in Italia.
(4-07441)


   MARAIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   in base alle competenze che gli articoli 117, 118 e 120 della Costituzione assegnano allo Stato nelle garanzia dei livelli essenziali di assistenza (Lea) su tutto il territorio nazionale;

   dal confronto fra i bollettini ordinari dell'unità di crisi della regione Campania del 5 e del 6 novembre 2020, si evince come, in un solo giorno e senza indicare in modo alcuno mezzi o modalità sia economiche che di personale, i posti letto (pl) sono passati da 1.940 a 3.160 per la degenza e da 243 a 590 per la terapia intensiva. Inoltre, la dicitura afferente i posti letto è stata sostituita, passano da «attivabili» a «disponibili», senza che però venisse motivata tale scelta, ne tanto meno spiegato il senso del nuovo termine, nonché non sono state indicate le risorse economiche e di personale con le quali dare seguito a tale disposizione;

   in virtù del piano di riorganizzazione/potenziamento dell'attività in regime di ricovero in terapia intensiva e in aree di assistenza ad alta intensità di cura della regione Campania approvato con la delibera n. 304 del 16 giugno 2020 ed aggiornato con la delibera n. 378 del 23 luglio 2020, vi sarebbe dovuto essere un aumento a 834 posti letto di terapia intensiva, rispetto ai 621 previsti dal DCA n. 103 del 2018, ma, come confermato dalla regione con il suddetto bollettino, non solo non è stato raggiunto l'obbiettivo prefissato, ma, in piena epidemia, non sono stati raggiunti nemmeno i livelli decisi nel 2018, calibrati per una fase non emergenziale;

   con dichiarazione del 9 novembre 2020 il presidente della regione ha richiesto «un confronto immediato e pubblico sui dati della Campania» al Ministro interrogato ed ha integrato il suddetto comunicato affermando che il Ministro interrogato ha manifestato la sua piena condivisione;

   con altro comunicato stampa del 9 novembre 2020, la regione Campania ha reso noto come il dato di 590 posti letto di terapia intensiva si riferisce all'intera dotazione, pubblica e privata, di posti letto realizzati e funzionanti, per far fronte alla richiesta di assistenza Covid e non. Con il medesimo comunicato, si rende noto che il dato di 3.160 posti letto di degenza fa riferimento al numero di posti letto, pubblici e privati, che sono stati programmati per essere destinati ai pazienti Covid. Da ciò si evince come il dato rilasciato dalla regione non fotografi il reale stato dell'offerta di posti letto e/o la sua eventuale saturazione, ma solo quella parte occupata dai pazienti Covid –:

   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro interrogato al fine di garantire i livelli essenziali di assistenza, verificare il reale stato dell'offerta sanitaria della Campania, vista la non trasparenza e chiarezza sui dati e sul loro significato, nonché, in considerazione degli evidenti ritardi e dello stato gravissimo nel quale si trova la regione, se il Governo intenda adottare iniziative per procedere ad un commissariamento della stessa.
(4-07450)


   TONELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   come noto, il Governo ha avviato l'iter procedurale concernente la definizione del testo del disegno di legge di bilancio che porterà all'approvazione del testo definitivo entro il 31 dicembre, seppure sia in ritardo nella sua approvazione e presentazione al Parlamento;

   l'articolo 8-bis del decreto legislativo n. 195 del 1995 prevede che il Presidente del Consiglio convochi preventivamente le organizzazioni sindacali del personale delle forze di polizia in occasione della predisposizione del disegno di legge di bilancio e prima della sua deliberazione definitiva in Consiglio dei ministri per essere poi trasmesso al Parlamento;

   viste le attuali difficili e pericolose condizioni di servizio in cui stanno operando le forze di polizia, a causa della difficile situazione determinata dall'emergenza epidemiologica da Covid-19 in atto, che vede le forze stesse impegnate in prima linea per i controlli dell'adozione e dell'attuazione delle misure di contenimento previste dai protocolli sanitari e dai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché per le continue aggressioni fisiche che stanno subendo nell'esercizio delle loro funzioni, le organizzazioni sindacali di polizia devono poter essere audite dal Governo prima che il disegno di legge venga definito nel suo testo da presentare alle Camere;

   tale incontro preventivo, infatti, non rappresenta solo un adempimento normativo formale, ma è utile al fine di definire le giuste misure finanziarie che dovranno riguardare le forze di polizia per l'anno a venire, anche alla luce dell'approvazione del decreto-legge 21 ottobre 2020, n. 130, sull'immigrazione che, a parere dell'interrogante, smantellando i «decreti sicurezza» del Governo Conte I, i quali hanno provveduto invece a regolare e disciplinare in maniera rigorosa la materia dell'immigrazione e della richiesta dell'asilo, comporterà un nuovo allargamento delle maglie nella lotta all'immigrazione clandestina via mare e porterà inevitabilmente la curva degli sbarchi in Italia ad impennarsi nuovamente verso l'alto;

   peraltro, sull'argomento c'è stato anche un voto unanime della 4° Commissione difesa del Senato sul parere approvato sulla nota di aggiornamento del documento di economia e finanza 2020 (Doc. LVII, n. 3-bis) con riguardo alla necessità dell'attivazione di un confronto con i Cocer e i sindacati del comparto sicurezza-difesa in occasione della predisposizione dei documenti di programmazione economica e finanziaria e di bilancio –:

   se e quando intenda convocare le organizzazioni sindacali delle forze di polizia, in ottemperanza all'articolo 8-bis del decreto legislativo n. 195 del 1995, in vista dell'ormai imminente definizione del disegno di legge di bilancio per il 2021.
(4-07451)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta immediata:


   QUARTAPELLE PROCOPIO, FASSINO, FIANO, BOLDRINI, ANDREA ROMANO, LA MARCA, SCHIRÒ, GRIBAUDO e ENRICO BORGHI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   il 4 novembre 2020 il Primo Ministro etiope Abiy Ahmed ha annunciato l'inizio di operazioni militari nello Stato settentrionale del Tigrè, dov'è stato proclamato lo stato d'emergenza per sei mesi. Il Tigrè ospita il 6 per cento della popolazione etiope ed è uno dei 10 Stati federati, delimitati per base etnica, dell'Etiopia;

   l'offensiva è stata presentata come una risposta a un presunto attacco di poche ore prima, sferrato dalle forze armate legate al partito al potere nel Tigrai, il Fronte popolare di liberazione del Tigrai (Tplf) – che secondo l'International crisis group può contare su almeno 250 mila combattenti, tra paramilitari e milizie alleate –, contro la base del comando settentrionale dell'esercito federale a Mekelle, la capitale di questo Stato. Per molti analisti, invece, lo scontro nascerebbe dal mancato riconoscimento da parte del Governo centrale delle elezioni locali del settembre 2020, svoltesi nonostante il voto nazionale fosse stato rinviato a data da destinarsi a causa della pandemia da Covid-19. Da lì i rapporti tra il Governo centrale e quello locale non hanno fatto che degenerare fino all'attuale escalation militare;

   il 7 novembre 2020 il premier Abiy Ahmed ha ottenuto dal Parlamento i poteri necessari a sostituire i leader del Tigrai, che per lui detengono il potere illegalmente;

   le Nazioni Unite hanno lanciato un avvertimento riguardo alla fragile situazione umanitaria in Tigrai, dove vivono 600 mila persone che hanno bisogno di aiuti umanitari e un altro milione che dipende da altre fonti di sostegno;

   l'Unione europea ha espresso preoccupazione per i rischi per l'integrità del Paese e per la stabilità della regione più ampia, che resta una priorità, e ha offerto il proprio sostegno a qualsiasi iniziativa dell'Unione africana per affrontare la situazione. Anche l'Onu ha chiesto al premier Abiy di tornare al più presto al dialogo;

   si constata l'amaro paradosso che solo un anno fa aveva visto il premier Abiy Ahmed ricevere il premio Nobel per la pace per aver messo fine a un conflitto ventennale con la vicina Eritrea e oggi portare il proprio Paese sull'orlo di una guerra civile per antichi odi tribali;

   l'Italia ha storiche relazioni politiche e commerciali con l'Etiopia che vedono tanti gruppi imprenditoriali italiani operanti attualmente nel Paese africano –:

   quali iniziative il Governo stia ponendo in essere nei rapporti bilaterali con l'Etiopia per agevolare il dialogo e ripristinare al più presto lo Stato di diritto nel Paese e quali iniziative intenda intraprendere per tutelare le aziende italiane operanti in Etiopia.
(3-01886)


   MIGLIORE, FREGOLENT e D'ALESSANDRO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   la Turchia sta intraprendendo iniziative volte a aumentare considerevolmente la propria influenza e il proprio ruolo strategico nell'area mediterranea, in ragione di una politica espansionista e ipernazionalista dell'attuale governo guidato da Erdogan;

   il ruolo della Turchia negli scenari più instabili della regione (Siria, Nagorno Karaback, Libia) non è stato orientato alla misura e alla ricerca di stabilità ma esclusivamente rivolto al rafforzamento della politica nazionalista di Erdogan;

   tali iniziative si sono tradotte in atti che hanno suscitato reazioni diplomatiche preoccupate da parte dei Paesi costieri, come nel caso del trattato sottoscritto tra il Governo libico di unità nazionale (Gna) e la Turchia stessa sui confini delle rispettive zone economiche esclusive, per lo sfruttamento delle risorse energetiche nell'area mediterranea compresa tra i due Paesi;

   le rivendicazioni turche relative allo sfruttamento energetico delle risorse presenti nelle aree prospicienti alle isole del Dodecaneso e di Cipro non si sono limitate a dichiarazioni ma si sono concretizzate in veri e propri atti ostili, come nel caso recente della presenza della nave da ricerca turca Oruc Regis nelle 12 miglia di Kastellorizo, che costituisce una palese provocazione nei confronti della Grecia, ovvero uno Stato membro dell'Unione europea, e quindi una provocazione ulteriore nei confronti di tutta l'Unione europea;

   al momento non esiste una definizione pattizia della zona economica esclusiva tra la Turchia e la Grecia e Cipro, le azioni della Turchia sono in aperta violazione del Trattato di Montego Bay, la cui applicazione sulle Zee è stata appena votata dalla Camera dei deputati e si auspica che sia rapidamente approvata in via definitiva;

   in questo quadro, Erdogan ha in più occasioni contestato la sovranità greca sulle isole del Dodecaneso, dichiarando, in riferimento al trattato di Losanna del 1923 e altri accordi che delimitavano i confini turchi (di fatto facendo riferimento anche al ruolo storico dell'Italia in tale contesto) che «La Turchia ha il potere politico, economico e militare per strappare mappe e documenti immorali imposti» e, alludendo a vittorie militari contro la Grecia, ha aggiunto «Un secolo fa li abbiamo sepolti nella terra o li abbiamo gettati in mare. Spero che non paghino lo stesso prezzo ora» –:

   quali iniziative intenda adottare, bilaterali e multilaterali, al fine di contenere l'espansionismo turco, sia in relazione alla sovranità della piattaforma continentale di due Paesi membri dell'Unione europea, come Grecia e Cipro, sia per salvaguardare gli interessi strategici del nostro Paese.
(3-01887)


   SURIANO e OLGIATI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   il 29 ottobre a Nizza tre persone sono state uccise da un attentatore, Brahim Assaouhi, cittadino tunisino di 21 anni, sbarcato irregolarmente poche settimane prima a Lampedusa;

   il 2 novembre, un uomo armato di fucile d'assalto ha terrorizzato Vienna, uccidendo 4 persone e ferendone altre 23. Daesh ha rivendicato l'attacco;

   negli ultimi 5 anni l'Europa ha subito 30 attacchi terroristici che hanno causato 300 morti. La lotta al terrorismo internazionale continua ad essere una delle grandi sfide nel nostro continente;

   il Presidente Macron e il Cancelliere Kurtz hanno lanciato messaggi di fermezza contro la minaccia terroristica, evocando i rischi, provocati dall'immigrazione irregolare;

   l'Italia è sempre stata in prima linea nella lotta al terrorismo internazionale e al contrasto del traffico di esseri umani. La nostra posizione geografica ci rende una delle principali porte d'ingresso dell'Unione europea, con oneri sproporzionati;

   la Ministra dell'interno Lamorgese e il suo collega francese hanno chiesto il coinvolgimento dell'Europa nel piano operativo per fermare gli arrivi dalla Tunisia e nei rimpatri di migranti «economici» irregolari. Il Ministro interrogato ha fatto appello all'adozione di un piano europeo che, nel pieno rispetto dei nostri valori comuni, innalzi i nostri livelli di sicurezza e protegga i nostri confini, anche mediante la definizione di una politica migratoria unitaria e di un sistema comune di asilo;

   la dichiarazione del Consiglio europeo del 12 febbraio 2015 chiedeva un rafforzamento del contrasto al terrorismo. Appare inoltre importante assicurare un'efficace condivisione delle informazioni tra le autorità degli Stati membri;

   nel 2015 è stata istituita un'unità dedicata di Europol volta a ridurre il livello e l'impatto della propaganda estremista terroristica e violenta su Internet;

   il Consiglio europeo nel 2017 ha invitato l'industria a contribuire alla lotta al terrorismo online, avanzando nel 2018 una proposta per la prevenzione della diffusione di contenuti terroristici online;

   nel 2018 il Parlamento europeo ha approvato nuove regole per rafforzare il Sistema di informazione Schengen (SIS) introducendo anche segnalazioni sulle persone ricercate per terrorismo;

   l'interoperabilità dei database dovrebbe essere implementata dopo il 2023 e richiederà un sistema unico di ricerca e confronto biometrico –:

   quali strategie intenda promuovere il Governo italiano per accrescere la sicurezza delle frontiere europee e lo scambio di informazioni tra i Paesi membri, rafforzando in particolare, con tutti gli strumenti possibili, la cooperazione antiterrorismo e il contrasto della diffusione di contenuti di matrice terroristica online, consolidando l'efficacia su questi temi.
(3-01888)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SIRAGUSA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   l'importante crescita del numero di nostri connazionali residenti alle Isole Canarie – sono infatti oltre 50 mila gli italiani lì trasferitisi – ha reso da tempo manifesta la necessità di istituire un nuovo ufficio consolare nell'arcipelago spagnolo che andasse ad aggiungersi ai due già esistenti consolati onorari presenti nella Comunidad atlantica. Tale necessità emerse compiutamente e pubblicamente in occasione di una riunione di coordinamento consolare svoltasi a Las Palmas nel marzo 2019;

   nel giugno del medesimo anno, l'interrogante presentava una risoluzione in Commissione affari esteri: il fine era quello di impegnare il Governo, pro tempore a valutare l'opportunità di adottare iniziative per l'apertura di un nuovo ufficio consolare di carriera presso le isole;

   a seguito di una dichiarazione del Sottosegretario per gli affari esteri e la cooperazione internazionale Riccardo Merlo, nella quale si annunciava l'istituzione di alcune nuove sedi consolari, tra cui una a Tenerife, nel novembre 2019 l'interrogante depositava un nuovo atto – un'interrogazione a risposta in Commissione – chiedendo lumi al Ministero in merito alle tempistiche;

   nella risposta, il Governo confermava l'avvio delle procedure volte all'apertura di una nuova agenzia consolare ad Arona, località dell'isola di Tenerife; contestualmente annunciando un'imminente missione volta a individuare gli spazi più idonei ad ospitare l'ufficio;

   inoltre, si precisava che «al fine di assicurare un miglioramento dei servizi consolari a favore della nostra collettività in tempi brevi, sulla base di espresse istruzioni da parte della Farnesina l'Ambasciata a Madrid ha già richiesto alle Autorità spagnole l'autorizzazione all'apertura nelle Isole Canarie di uno “Sportello consolare”, ufficio distaccato dell'Ambasciata che rimarrà attivo sino alla piena operatività del nuovo Ufficio consolare di carriera». Il Ministero auspicava infine che tale «sportello consolare» potesse essere aperto «nei primi mesi del prossimo anno», mentre l'agenzia consolare, «potrà probabilmente: iniziare a fornire servizi al pubblico nel corso del secondo semestre del 2020» –:

   a che punto siano giunte le procedure amministrative e tecniche necessarie all'apertura, che si spera imminente, della nuova agenzia consolare di Arona.
(5-04985)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   PEZZOPANE, DE MENECH e ROTTA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   sempre più spesso si assiste al verificarsi di emergenze connesse a eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall'attività dell'uomo, che, in ragione della loro intensità o estensione, seppur localizzate sul territorio regionale, assumono proporzioni di rilievo nazionale tanto da richiedere interventi immediati e poteri straordinari per essere fronteggiate;

   nel mese di agosto 2020, il territorio delle province di Belluno, Padova, Verona e Vicenza, è stato interessato da eventi meteorologici di eccezionale intensità. Esondazioni e forti venti hanno causato ingenti danni per le attività produttive, le infrastrutture viarie e l'intero patrimonio pubblico e privato;

   il 10 settembre 2020, il Consiglio dei ministri, con delibera, dichiara lo stato di emergenza per dodici mesi nei territori colpiti. Il 1° ottobre 2020, la Presidenza del Consiglio dei ministri emana l'ordinanza n. 704 per consentire alla regione di far fronte alle prime necessità. Vengono stanziati 6.800.000 euro a valere sul Fondo per le emergenze nazionali, di cui all'articolo 44, comma 1, del decreto legislativo n. 1 del 2018;

   dalle prime stime della regione, emerge che gli interventi di primissima emergenza ammonterebbero a circa 50 milioni di euro e che la somma complessiva necessaria, compreso il ripristino di tutte le opere distrutte, sia superiore a 100 milioni di euro –:

   se il Governo, alla luce dei fatti sopra esposti e della perdurante esigenza di monitorare e contrastare i rischi connessi alla situazione ambientale, non ritenga opportuno prevedere nella prima iniziativa utile un incremento delle risorse, ad oggi insufficienti, per il ripristino delle opere pubbliche e private in parte danneggiate o completamente distrutte nei comuni indicati in premessa.
(5-04971)


   MAZZETTI, CORTELAZZO, CASINO, GELMINI, LABRIOLA e RUFFINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   entro il 2035 i volumi di rifiuti urbani conferiti in discarica non dovranno superare la soglia dei 10 per cento. È uno dei principali obiettivi fissati dall'Unione europea. La crescita dell'economia circolare è ormai riconosciuta quale uno degli strumenti principali per consentire lo sviluppo sostenibile dell'economia di un Paese. Sotto questo aspetto è tra l'altro indispensabile accelerare sia la realizzazione della dotazione impiantistica, che l'emanazione dei numerosi decreti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che ancora devono essere predisposti e che consentono di individuare per ogni categoria merceologica il momento in cui il rifiuto cessa di essere tale (cosiddetto end of waste);

   uno dei settori che sicuramente beneficerebbe di una crescita dell'economia circolare è certamente quello tessile;

   l'Italia è tra i primissimi Paesi (se non il primo) produttore di moda e beni di lusso al mondo, ma, non avendo materie prime, è costretto ad importarle (a caro prezzo) da altri Paesi;

   basta considerare che solamente il distretto del tessile e dell'abbigliamento, comprendente i comuni della provincia di Prato e alcuni comuni limitrofi (Agliana, Quarrata e Montale in provincia di Pistoia, Campi Bisenzio e Calenzano in provincia di Firenze), raccoglie oltre 6.500 unità locali, con più di 33.000 addetti complessivi, tra tessile ed abbigliamento, e un fatturato stimato vicino ai 5 miliardi di euro, di cui circa la metà da esportazioni;

   il peso del citato distretto pratese sull'export italiano del settore nel 2016 è stato del 17 per cento. Se il distretto tessile pratese fosse una nazione, sarebbe al 7° posto in Europa per numero di imprese tessili. Questa economia si basa ancora, in buona parte, sul recupero di materiali tessili che vengono lavorati per alimentare il ciclo produttivo sia locale che internazionale;

   nonostante quanto suesposto, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ha ancora provveduto a predisporre il regolamento «end of waste» per il settore tessile, creando non pochi ostacoli a tutto il settore –:

   se il Ministro interrogato non ritenga di provvedere urgentemente all'emanazione del regolamento sull'end of waste e quindi sul paesaggio da rifiuto a materia prima secondaria dei rifiuti tessili, definendo in modo inequivocabile il momento in cui un rifiuto cessa di essere tale, al fine di favorire finalmente il riutilizzo industriale di tali materiali e dare garanzie all'attività della filiera del tessile, composta soprattutto da piccole e piccolissime imprese.
(5-04972)


   FREGOLENT. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il Nucleo operativo ecologico dei carabinieri (Noe), costituito il 1o dicembre 1986 con decreto dei Ministri dell'ambiente e della difesa, è posto alla «dipendenza funzionale» del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare «per la vigilanza, la prevenzione e la repressione delle violazioni compiute in danno dell'ambiente»;

   il Noe assolve funzioni di polizia giudiziaria in materia ambientale per le quali si avvale degli organismi pubblici a ciò preposti, in particolare del sistema agenziale (Apat e Arpa), del servizio sanitario nazionale, oltre che del Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche;

   i settori di intervento del Noe sono i seguenti: l'inquinamento del suolo, idrico, atmosferico ed acustico; salvaguardia del patrimonio naturale; impiego di sostanze pericolose ed attività a rischio di incidente rilevante; utilizzo di materiali strategici radioattivi ed altre sorgenti radioattive; protezione dalla esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici; situazioni di allarme per la diffusione incontrollata di organismi geneticamente modificati (Ogm);

   i Noe territoriali sono 28, ma la maggior parte sono dislocati nelle regioni del Centro-Sud. In Emilia-Romagna, Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria e Trentino e Friuli insistono, infatti, solo 9 nuclei;

   nelle aree più produttive del Paese, quindi, Lombardia ed Emilia in particolare, vi è una evidente carenza di polizia ambientale specializzata. I presidi, ancorché sottodimensionati in tutto il Paese, registrano drammatiche vacanze negli organici a Brescia, mancanza assoluta di presidi nel sud della Lombardia, insufficienza a Milano stessa. C'è un unico presidio per l'Emilia-Romagna a Bologna, una dalle realtà industriali più importante d'Italia, mentre in tutte le altre regioni sono almeno due;

   il Rapporto Ecomafia 2019 di Legambiente riporta che, solo nel 2018 in Italia, sono stati compiuti 28.137 reati ambientali, ovvero tre ogni ora. Sebbene la maggior parte vengano commessi nelle regioni del Sud, ai primi posti della classifica degli ecoreati si trova comunque la Lombardia (dove in particolare 535 reati ambientali riguardano il ciclo illegale dei rifiuti, pari quasi al 7 per cento del totale nazionale), oltre ad altri territori del nord Italia;

   appare quindi evidente come sia necessario potenziare, sia numericamente che con ulteriori presidi, la presenza dei Noe anche nelle regioni del Nord Italia –:

   se si ritenga opportuno, in relazione a quanto espresso in premessa ed al fine di contrastare la crescita degli ecoreati, adottare iniziative per potenziare la presenza dei Nucleo operativo ecologico dei carabinieri nelle regioni del Nord Italia.
(5-04973)


   PLANGGER, BENEDETTI, VIZZINI, RIZZONE, ERMELLINO, APRILE e TRANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 40 della legge n. 221 del 2015, «cosiddetto collegato ambientale», ha inserito nel decreto legislativo n. 152 del 2006 due nuove tipologie di divieto: con l'articolo 232-bis (comma 3) il divieto di abbandono di mozziconi dei prodotti da fumo sul suolo, nelle acque e negli scarichi, con l'articolo 232-ter quello di abbandono di rifiuti di piccolissime dimensioni, quali scontrini, fazzoletti di carta e gomme da masticare;

   le sanzioni sono quelle previste dal comma 1-bis dell'articolo 255 del decreto legislativo 152 del 2006: nei casi di abbandono di piccoli rifiuti, la sanzione pecuniaria va da trenta a centocinquanta euro; per l'abbandono di rifiuti di prodotti da fumo è aumentata fino al doppio;

   l'articolo 40 del «collegato ambientale» stabilisce inoltre la destinazione degli introiti derivanti dalle sanzioni. Aggiungendo il comma 2-bis all'articolo 263 del decreto legislativo 152 del 2006, dispone che il 50 per cento sia devoluto allo Stato, per essere riassegnato ad un apposito fondo, e il restante 50 per cento ai comuni, con destinazione vincolata;

   nello specifico, l'articolo 2 del decreto ministeriale 15 febbraio 2017 «Disposizioni in materia di rifiuti di prodotti da fumo e di rifiuti di piccolissime dimensioni» recita: «il 50 per cento delle somme (...) è versato al bilancio dello Stato per essere riassegnato ad un apposito Fondo istituito presso lo stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Tali somme (...) sono impiegate per l'attuazione di campagne di informazione su scala nazionale nonché per le altre finalità di cui all'articolo 232-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006» e «Il restante 50 per cento (...) è destinato ai comuni nel cui territorio sono state accertate le violazioni. Tali somme sono impiegate (...) per le attività di installazione nelle strade, piazze, aree a verde, parchi nonché nei luoghi di alta aggregazione sociale di raccoglitori per la raccolta dei mozziconi dei prodotti da fumo e, in via residuale e secondo le specifiche esigenze, per la pulizia di caditoie e di tombini (...) nonché per le campagne di informazione su scala locale» –:

   quali siano ad oggi i dati relativi al numero delle sanzioni elevate, all'allocazione delle somme derivanti dalle medesime e al loro utilizzo, anche in relazione alla necessità della massima trasparenza e diffusione di tali dati alla cittadinanza — possibilmente con cadenza costante — per ampliarne la consapevolezza a tutela della salute e dell'ambiente.
(5-04974)


   ZOLEZZI, DEIANA, ILARIA FONTANA, DAGA, DI LAURO, D'IPPOLITO, FEDERICO, LICATINI, ALBERTO MANCA, MARAIA, TERZONI, VARRICA, VIANELLO e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   nell'area della cartiera Villa Lagarina in via Poggio Reale a Mantova sono stoccate all'aperto oltre 100.000 tonnellate di rifiuti. Da un video effettuato dalla Guardia di finanza nel 2019, nell'ambito di indagini della procura circondariale di Mantova e da fotografie effettuate nel mese di agosto 2020, si evince come tali rifiuti siano in avanzato stato di deterioramento e siano stati deliberatamente depositati in quantità superiori a quelle autorizzate e su aree non impermeabilizzate, come confermato anche dall'ordinanza sindacale PS 50/98/2019 pubblicata il 15 aprile 2019. Anche per i rifiuti depositati sul piazzale esiste la possibilità che non vi siano pozzetti di raccolta e canali di convogliamento del percolato, e che dunque il piazzale non sia un luogo idoneo allo stoccaggio, data la presenza di pozze e ristagni d'acqua;

   l'articolo 183, comma 1, lettera aa), del decreto legislativo n. 152 del 2006 definisce stoccaggio anche le attività di recupero consistenti nelle operazioni di messa in riserva di rifiuti di cui al punto R13 dell'allegato C alla parte quarta;

   l'American Recycling Services (Ars. eco Inc.) è una società di trading di carta e cartone da riciclare, fondata in California nel 2017 da Alessandra Zago. Secondo fonti di stampa, nella carta da riciclo domestico negli Stati Uniti si ammette una percentuale più alta di impurità. Almeno una parte delle balle stoccate in cartiera (35.000 tonnellate), a quanto consta agli interroganti, arriva proprio dalla raccolta domestica statunitense;

   tali impurità possono presentare al loro interno anche materiali organici o altro che possono conferire caratteristiche critiche, anche con riferimento a molestie olfattive, direttamente o in fase di depurazione dei reflui –:

   se intenda adottare iniziative, per quanto di competenza, volte a verificare, attraverso il Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, se vi sia un rischio attuale di danno ambientale, contestualmente chiarendo se esistano accordi per il trattamento a livello nazionale di rifiuti provenienti dagli Usa da parte di ditte italiane.
(5-04975)


   LUCCHINI, BORDONALI, BENVENUTO, BADOLE, D'ERAMO, PATASSINI, PAROLO, RAFFAELLI, VALBUSA e VALLOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   la carenza di chiarimenti legislativi, in merito alla natura di imballaggio del film protettivo e adesivo, ha provocato enormi difficoltà di comportamento alle imprese, nei cui confronti il Conai ha già instaurato un contenzioso civile che ha rinforzato l'ormai ventennale contenzioso Conai/Polieco;

   il contenzioso si presenta estremamente pesante per i produttori e distributori di film protettivo che, qualora soccombenti, rischierebbero di non poter sopportare gli oneri derivanti, con conseguente chiusura della propria attività, a vantaggio di pochissime grandi impresa che potrebbero restare sul mercato con effetti distorsivi della concorrenza;

   soprattutto le piccole imprese si trovano già in situazione estremamente critica, dovuta a vari fattori, come contrazioni di mercato, ipotesi di plastictax, ricorso a materiali protettivi diversi e meno costosi da parte dei clienti;

   occorre osservare che tali imprese hanno sempre applicato e riversato al consorzio Polieco il contributo ambientale, nel convincimento, tuttora sostenuto dallo stesso Polieco, che non si tratti di imballaggi, e, pertanto, non possono essere considerati inadempienti;

   in altri Paesi dell'Ue, il film protettivo adesivo non è considerato imballaggio e non è ad esso assimilabile e non rientra nell'elenco di imballaggi della direttiva europea;

   in seguito ad alcune sentenze, tuttavia non riguardanti nello specifico il film in polietilene ma sacchetti e buste e comunque prodotti usati all'interno di un ciclo produttivo, si sono succeduti incontri tra Conai e l'associazione Confapi/Unionchimica, che rappresenta circa 90.000 imprese, con lo scopo di valutare le possibilità di definire, nel più breve tempo possibile, il contenzioso con tutte le imprese del comparto;

   i referenti per il Conai sono stati disponibili a valutare la possibilità di chiedere un rinvio delle sentenze in corso, per poter consentire un accorso stragiudiziale;

   la situazione è molto particolare e coinvolge un intero settore e, pertanto, non ha creato fenomeni di sleale concorrenza sul mercato, avendo aderito l'intero comparto al medesimo consorzio, Polieco, applicando uniformemente i relativi contributi ambientali –:

   se il Ministro intenda adottare le iniziative di competenza o per la definizione di una norma di interpretazione, o per la convocazione di un tavolo di confronto che trovi una mediazione tra Conai/Corepla e le imprese produttrici e distributrici di film protettivo e adesivo già iscritte al consorzio Polieco, individuando soluzioni che possano risolvere il contenzioso in corso, mitigando l'impegno economico per tali imprese in relazione sia a un annullamento delle somme dovute per il periodo pregresso sia da una gradualità nell'importo del contributo da applicare.
(5-04976)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LOTTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il 4 novembre 2020 ricorre il cinquantaquattresimo anniversario dell'alluvione di Firenze. La colata di acqua e fango che travolse la città è ancora ben scolpita nella memoria dei fiorentini e del mondo;

   a più di mezzo secolo da quella tragedia, ogni anno, ricordarla serve anche a non dimenticare le opere idrauliche necessarie, che ancora non sono state completate, per mettere in sicurezza Firenze e il suo immenso patrimonio artistico;

   in attesa dell'adeguamento della diga di Levane, in provincia di Arezzo, e delle casse di espansione di Figline Valdarno destinate a contenere la piena, il fiume Arno continua a rappresentare un grande pericolo;

   per il dissesto idrogeologico, attraverso accordi di programma Stato-regione, contenuti in quattro intese, dal 2010 a oggi risulterebbero stanziati 293 milioni di euro;

   come certificato dalla relazione della regione Toscana, i problemi sarebbero legati agli accordi del Mat del 2010 e del 2015, risulterebbero bloccati 54 milioni di euro, per la mancata convocazione da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Comitato di indirizzo e controllo, e altri 53 milioni di euro, inseriti negli accordi di programma del 2015, non sono ancora stati erogati;

   opere come il rifacimento delle spiagge in provincia di Massa-Carrara e la riduzione del rischio idraulico della parte valliva dell'Arno sono in attesa di essere completate e non per mancanza di fondi. La stessa regione afferma di aver chiesto, dal 2016 a oggi, la convocazione del Comitato ma senza alcun esito;

   l'assessore all'ambiente della regione, appena insediata, proprio in questi giorni ha dichiarato che si impegnerà nei prossimi anni a rafforzare la sicurezza idraulica, anticipando che sono stati proposti interventi al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare da finanziare con il Recovery Fund e da realizzare entro il 2026;

   il paradosso in questa vicenda è che le risorse sono state stanziate e mai spese. La regione Toscana ha 154 milioni di euro che, da anni, non riesce a spendere, una somma importante, che fino ad oggi non ha permesso di attuare interventi fondamentali. Tutto questo, pare per diverse ragioni, che vanno dalla mancata convocazione dei comitati, espropri e gare bloccate, difficoltà a procedere con la progettazione, mancate autorizzazioni e varie lungaggini burocratiche –:

   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare, alla luce dei fatti esposti in premessa, per quanto di competenza, per chiarire come mai più della metà dei fondi, che risultano stanziati negli ultimi dieci anni, non siano stati ancora utilizzati per mettere in sicurezza il territorio.
(5-04986)


   VIANELLO, TERZONI, ARESTA, MACINA e PALMISANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   in data 18 novembre 2015 il comune di Brindisi stipulava un contratto con Ati CO.ME.AP. nell'ambito dell'accordo di programma quadro relativo agli interventi di messa in sicurezza e bonifica della falda Sin di Brindisi, 1° stralcio funzionale – Area Micorosa, in attuazione dell'articolo 250 del titolo V del decreto legislativo n. 152 del 2006;

   tra gli interventi progettuali era stata prevista l'esecuzione di un piano di monitoraggio ambientale al fine di verificare l'efficacia delle misure poste in opera e di minimizzare i possibili impatti negativi che si sarebbero potuti avere sull'ambiente circostante durante l'esecuzione degli stessi, considerato che trattasi di «area industriale e sito ad alto rischio ambientale»;

   la società CO.ME.AP. a r.l./Artec Associati s.r.l., aggiudicataria dell'appalto, richiedeva, nel 2016, la sospensione dei termini della progettazione al fine di ottenere chiarimenti sia in merito alla progettazione e/o predisposizione dei diaframmi, dei pozzi, della gestione ambientale dell'acqua, del recapito a mare della stessa, sia in merito alla gestione dei rifiuti e al protocollo di sorveglianza sanitaria;

   nella riunione di coordinamento del 31 maggio 2018 si prendeva atto che sussisteva un ritardo nell'attività di monitoraggio, con evidente impossibilità di dar luogo all'inizio dei lavori;

   si rilevava la presenza dei rifiuti su tutta l'area a ridosso della strada che non consentiva alcuna attività, confermando la persistenza di ritardi nelle attività propedeutiche al concreto inizio dei lavori, con conseguenti sottoproduzioni e fermi produttivi;

   si determinava un disallineamento nella realizzazione del programma coordinato e congiunto tra soggetto privato e pubblico e la necessità di dover risolvere anche altre problematiche relative a siti esterni non previste nel progetto approvato;

   nel marzo 2020 si determinava, peraltro, l'impossibilità di proseguire i lavori nel rispetto delle misure di sicurezza e di contenimento della diffusione del Covid-19, disponendo la sospensione totale delle lavorazioni fino al cessare degli impedimenti manifestati anche dall'appaltatore;

   Arpa Puglia, alla data del 12 maggio 2020, ribadiva il mancato ricevimento del piano di monitoraggio dell'area marina costiera interessata dagli interventi, come già richiesto da Ispra con parere sulla perizia di variante del 19 dicembre 2019;

   alla luce delle gravi e reiterate manchevolezze e omissioni che hanno generato di fatto uno stallo totale delle lavorazioni, con determinazione n. 44 del 16 luglio 2020, il comune di Brindisi – settore ambiente ed igiene – ha risolto – ex articolo 136, comma 4, decreto legislativo n. 163 del 2006 – il contratto stipulato con Ati CO.ME.AP.;

   a tutt'oggi sussistono situazioni di emergenza ambientale in quanto l'interruzione dei lavori incide in modo significativo sull'idrodinamica del sistema (nota Sogesid del 1° luglio 2020), a causa della mancata realizzazione del diaframma lato mare, dei pozzi di emungimento all'interno della perimetrazione e della scogliera –:

   se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;

   se il Ministro interrogato intenda intraprendere iniziative, per quanto di competenza, al fine di conoscere lo stato odierno di avanzamento degli interventi di messa in sicurezza e bonifica della falda nel sito di interesse nazionale di Brindisi, 1° stralcio funzionale – Area Micorosa, considerata la gravità e l'urgenza di riprendere i lavori a seguito della risoluzione contrattuale intervenuta tra le parti.
(5-04989)

Interrogazione a risposta scritta:


   PRETTO e GAVA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il distretto conciario della Valle del Chiampo rappresenta il più importante centro nazionale ed uno dei principali poli europei nel settore della concia, attività che, comportando emissioni di acido solfidrico (o idrogeno solforato), viene costantemente monitorata per assicurare il massimo rispetto dell'ambiente, ai fini dello sviluppo sostenibile del territorio;

   infatti, l'esposizione in modo acuto a concentrazioni di H2S può presentare danni alla salute come lacrimazioni, dispnea, tracheobronchite, aritmia, palpitazioni, che possono essere fatali in spazi confinati, per danno respiratorio, se si superano i 700-1400 milligrammi per metro cubo; tuttavia, anche le basse concentrazioni di H2S possono provocare disagi odoriferi e malesseri alla popolazione;

   il 9 luglio 2020, i sindaci dei comuni di Arzignano, Chiampo, Zermeghedo, Montorso e Montebello (Vicenza) hanno inviato una richiesta al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare affinché vengano stabiliti a livello statale limiti massimi ammessi per l'emissione di acido solfidrico (possibilmente differenziati tra zona produttiva e zona residenziale), oltre i quali il sindaco competente per territorio sia autorizzato ad intervenire in qualità di ufficiale di Governo, ai sensi dell'articolo 54 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, adottando provvedimenti contingibili e urgenti che dispongano la sospensione o comunque inibiscano l'esercizio dell'attività in presenza di valori eccedenti i predetti limiti;

   le linee guida dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) riportano un valore per l'acido solfidrico di 150 microgrammi per metro cubo, come concentrazione media giornaliera, e una concentrazione di 7 microgrammi per metro cubo, come concentrazione di breve periodo (30 minuti), valori al di sotto dei quali non si dovrebbero rilevare lamentele tra la popolazione esposta;

   come ribadito nella nota dell'azienda ULSS8-BERICA, inviata al comune di Zermeghedo il 12 maggio 2020, al fine di valutare una situazione di inquinamento atmosferico, la normativa nazionale non stabilisce limiti massimi ammissibili per le emissioni di acido solfidrico;

   in realtà il decreto del Presidente della Repubblica 15 aprile 1971, n. 322, fissava limiti di immissioni di H2S, all'esterno dei «perimetri industriali», pari a 100 μg/mc, con un tempo di mediazione di 30 minuti, e 40 μg/mc, per un tempo di mediazione di 24 ore; tuttavia, tale provvedimento, che stabiliva anche sanzioni penali, è stato abrogato, a decorrere dal 6 giugno 2012, dal decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 (convertito dalla legge 4 aprile 2012, n. 35);

   pertanto, in assenza di riferimenti normativi, l'Arpav e l'Ulss, quando effettuano verifiche per casi specifici, confrontano i risultati delle misure con i valori guida dell'Organizzazione mondiale della sanità; l'interrogante è a conoscenza che lo abbiano fatto recentemente per un caso a Zermeghedo e per un altro caso a Trissino (VI); al fine di limitare l'emissione di odori ed evitare situazioni che possano provocare disagi e danni alla salute pubblica, il consiglio comunale di Arzignano, in data 30 luglio 2020, ha votato a sola maggioranza e ha introdotto al regolamento di polizia urbana e qualità della vita - capitolo ambiente, i limiti ammessi sulla base delle linee guida dell'Oms, prevedendo che «Nel caso di superamento del limite orario di 7 μg/mc di idrogeno solforato per un periodo di 7 giorni consecutivi ovvero nel caso di superamento del limite sulle 24 ore di 150 μg/mc di idrogeno solforato per un periodo di 3 giorni (conteggiati su base semestrale), sulla base delle indicazioni tecniche di Arpav e Ulss, il sindaco emette l'ordinanza di chiusura delle attività produttive con emissioni di idrogeno solforato, e si attiva con il gestore del servizio idrico integrato per eventuali ulteriori misure di limitazione» –:

   se il Ministro intenda adottare le opportune iniziative di competenza per procedere alla definizione a livello statale di valori limite di emissione in atmosfera di acido solfidrico e dare risposte certe alle preoccupazioni dei cittadini di Arzignano (VI) e dei comuni limitrofi del distretto della concia.
(4-07452)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   PRESTIGIACOMO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo. — Per sapere – premesso che:

   l'associazione Teatro di Roma (di seguito Teatro di Roma) si prefigge tra i suoi compiti prioritari il sostegno, la promozione e la valorizzazione del teatro nazionale e internazionale di tradizione e del repertorio nazionale contemporaneo;

   il Teatro di Roma gestisce direttamente le sedi stabili del Teatro Argentina, del Teatro India e del Teatro di Villa Torlonia, mentre gestisce in forma indiretta i teatri Silvano Toti Globe Theatre, Teatro Biblioteca Quarticciolo, Tor Bella Monaca, Villa Pamphilj (questi ultimi ognuno con una propria autonoma direzione artistica), e ha in affidamento il Teatro Valle;

   esso si configura, quindi, come lo snodo centrale di un sistema culturale ampio e diversificato non solo della città di Roma ma anche come riferimento cruciale, nazionale e internazionale con il compito di valorizzare gli artisti e di intercettare nuovi talenti;

   a seguito delle dimissioni volontarie del suo direttore, il consiglio di amministrazione del Teatro di Roma, attraverso una manifestazione di interesse di carattere non vincolante, ricerca una figura professionale idonea a ricoprire il ruolo di direttore del Teatro di Roma «che abbia riconosciute doti manageriali e organizzative e che sappia lavorare in team con personalità di altissimo profilo artistico, Insieme alle quali costruire un nuovo progetto di teatro a vocazione pubblica e plurale»;

   la manifestazione di interesse appena citata specifica che il candidato/a nel rispetto dello statuto dell'Associazione è tenuto ad inviare la candidatura entro il 1° settembre 2020 e dovrà «avere un comprovato (almeno 5 anni) profilo manageriale maturato nella gestione di strutture culturali articolate e complesse, con riconosciuta competenza nazionale e internazionale; garantire una gestione corretta e trasparente delle risorse economiche dell'Ente (...); possedere capacità ed esperienza di dialogo con le istituzioni (...); promuovere la domanda di teatro, individuandone strumenti innovativi di diffusione, in grado di attrarre e coinvolgere le giovani generazioni»;

   il candidato dovrà dimostrare di conoscere il progetto culturale e artistico del Teatro di Roma, inteso come sistema culturale complesso, plurale e sostenibile e illustrarne le modalità di attuazione e implementazione che caratterizzeranno la sua direzione;

   la valutazione dei candidati sarà affidata a una commissione esterna, nominata dal consiglio di amministrazione e designata dai rappresentanti degli enti soci e dal Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, che provvedere a fare una prima selezione per la scelta di una rosa di tre candidati, che sarà sottoposta al consiglio di amministrazione, per arrivare, alla scelta definitiva della persona a cui proporre la contrattualizzazione e la nomina del direttore;

   da indiscrezioni di stampa sembrerebbe che sia stata individuata la rosa dei candidati per la direzione del Teatro di Roma e che alcuni di questi non siano in possesso di tutti i requisiti previsti dalla manifestazione di interesse sopra citata;

   ad avviso dell'interrogante, se ciò corrispondesse al vero, rappresenterebbe una evidente violazione dell'iter di selezione delle candidature per occupare una posizione chiave del Teatro di Roma –:

   se risulti, per quanto di competenza, che tra i candidati per la direzione del Teatro di Roma, scelti dalla commissione esterna, qualcuno non sia in possesso di tutti i requisiti previsti dalla manifestazione di interesse di carattere non vincolante citata in premessa.
(4-07445)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   CORDA, ARESTA, DEL MONACO e D'UVA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   la possibilità che le forze armate italiane concedano siti e terreni ad operatori del settore terzi affinché possano produrre e commercializzare energia nasce con la legge 23 luglio 2009, n. 99, la stessa che prevedeva il ritorno al nucleare. L'articolo 39, infatti, stabiliva che il Ministero della difesa, potesse affidare in concessione o in locazione, o utilizzare direttamente i siti militari e tutti i beni del demanio militare per installarvi impianti energetici;

   nel 2011 il Ministero della difesa tramite la neonata Difesa Servizi spa, di cui è unico azionista, avvia il progetto di solarizzazione, realizzando grandi impianti fotovoltaici su 28 siti militari;

   gli obiettivi del Ministero della difesa erano il miglioramento del quadro di approvvigionamento strategico dell'energia della sicurezza e dell'affidabilità del sistema, nonché la flessibilità e la diversificazione dell'offerta, nel quadro degli obiettivi comunitari in materia, per una spesa quantificata tra i 120-140 milioni di euro l'anno, a tutto vantaggio del bilancio della difesa e delle casse dello Stato;

   durante la visita presso la caserma Riva Villasanta l'interrogante ha potuto constatare che l'impianto fotovoltaico della caserma Villasanta è stato realizzato da un contraente che genera energia elettrica che non va a ridurre la bolletta elettrica, in quanto non ci sono allacci alle reti elettriche esistenti degli edifici, ma, il contraente la immette direttamente nella rete elettrica della società distributrice del servizio elettrico –:

   se il Ministero della difesa per la caserma Villasanta, ma anche per tutte quelle della regione militare Sardegna, usufruisca dello scambio sul posto;

   a fronte della concessione dell'utilizzo dei tetti quanto incameri il Ministero della difesa;

   se l'aggiudicatario, in qualità di installatore e manutentore, abbia la responsabilità degli impianti fotovoltaici e se gli stessi siano stati realizzati in perfetta regola d'arte e posa in opera;

   se i pannelli fotovoltaici siano conformi nel modello a quelli descritti nella convenzione con il Gse;

   se la società Difesa Servizi sia informata dei danni che gli impianti fotovoltaici stanno creando da diversi anni nelle caserme, con caduta di pignatte e pannelli in cartongesso che mettono a rischio l'incolumità dei lavoratori, e se intenda adottare le opportune iniziative al fine di accertare se ricorrano i presupposti per un intervento urgente.
(4-07443)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FOTI e BIGNAMI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   in modo del tutto inopinato si è disposta la chiusura degli uffici dell'Agenzia delle entrate siti in Borgotaro (Pr), con un avviso affisso agli stessi nei quali si invita gli utenti a recarsi agli uffici di Parma;

   i servizi al cittadino nei territori montuosi rappresentano un presidio essenziale, al fine di contrastare il fisiologico spopolamento dei territori stessi;

   l'impossibilità di accedere ai servizi forniti dall'Agenzia delle entrate colpisce gli abitanti delle Alte Valli del Taro e del Ceno, costituendo a parere dell'interrogante un'incomprensibile vessazione per coloro che, con tenacia, cercano di mantenere in vita l'appennino parmense;

   l'aggravio in termini di costi e di tempo per gli utenti, causato dal doversi recare presso gli uffici dell'Agenzia delle entrate di Parma, rappresenta l'ennesimo arretramento dello Stato in quei territori che, a parole, si dice di volere mantenere popolosi e produttivi –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e, in caso di risposta affermativa, quali siano gli orientamenti in merito;

   se il Ministro interrogato intenda attivare tutte le necessarie iniziative per addivenire ad un ripensamento della decisione assunta e, quindi, alla riapertura degli uffici dell'Agenzia delle Entrate di Borgotaro (Pr).
(5-04987)

Interrogazione a risposta scritta:


   BILLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   l'attuale situazione di crisi economico-sanitaria causata dalla pandemia da Covid-19 e le restrizioni dovute alle misure di cosiddetto lockdown, attivate su scala globale a partire dall'inizio del 2020, potrebbero aver influenzato la durata dei soggiorni in Italia dei contribuenti in mobilità internazionale, determinando il rischio di notevoli conseguenze di natura fiscale in capo ai suddetti numerosi contribuenti interessati;

   è accaduto, infatti, che migliaia di italiani residenti all'estero, rientrati in Italia temporaneamente per motivi personali o di lavoro, si siano ritrovati, a causa della pandemia, a prolungare la permanenza in Italia proseguendo la propria attività lavorativa in modalità di smart-working per il proprio datore di lavoro estero;

   come rilevato dall'Ocse all'interno delle raccomandazioni pubblicate il 3 aprile 2020 («OECD Secretariat Analysis of Tax Treaties and the Impact of the COVID-19 Crisis»), i periodi di soggiorno forzato in funzione delle citate restrizioni e/o di comprovate necessità sanitarie, lavorative, personali o familiari non dovrebbero rappresentare, seppur in via straordinaria, elementi significativi ai fini dell'individuazione della residenza fiscale di un contribuente trasferitosi temporaneamente in un altro Paese;

   tuttavia, ad oggi, in mancanza di esplicite disposizioni derogatorie ai criteri di residenza fiscale e regolatorie della tassazione dei redditi da «smart-working transfrontaliero», i contribuenti che hanno trascorso più di 184 giorni nell'anno solare in Italia potrebbero incorrere in rilevanti conseguenze di natura fiscale;

   per l'anno 2020, dunque, appare ragionevole chiarire quale siano gli impatti fiscali sui predetti redditi, ritenendo che il periodo di tempo trascorso da un individuo in un Paese in ragione dei richiamati periodi di lockdown non debba rilevare ai fini della determinazione della residenza fiscale di tale individuo, in quanto dovuto ad evidenti cause di forza maggiore –:

   quali iniziative di competenza intenda adottare tempestivamente con riguardo alle criticità esposte in premessa, al fine di tutelare i cittadini italiani residenti all'estero iscritti all'Aire rientrati temporaneamente in Italia e quivi rimasti a causa dell'emergenza da Covid-19;

   quali iniziative di competenza intenda adottare per salvaguardare l'applicazione delle cosiddette «retribuzioni convenzionali», dando rilevanza all'attività di lavoro dipendente svolta continuativamente ed esclusivamente a beneficio del datore di lavoro estero, sebbene in modalità «smart-working» dall'Italia.
(4-07439)

GIUSTIZIA

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:

   secondo quanto era previsto dalla legge n. 1766 del 1927 i commissari regionali per la liquidazione degli usi civici provvedevano, quali organi speciali di giurisdizione ordinaria, alle operazioni di sistemazione dei beni e diritti collettivi. I commissari svolgevano in prevalenza funzioni amministrative, ma quando nel corso delle operazioni sorgevano contestazioni sui diritti dovevano pronunciarsi in via incidentale come giudici, sospendendo nel frattempo il procedimento amministrativo;

   dopo il trasferimento delle funzioni amministrative alle regioni ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977, i commissari sono nominati dal Csm e le funzioni amministrative sono state trasferite pressoché integralmente alle regioni. Nelle regioni a statuto ordinario il trasferimento ha avuto luogo incorporando gli usi civici nella materia dell'agricoltura;

   solo le funzioni che, incidendo sulla titolarità e sul regime pubblicistico dei beni, furono sempre considerate prerogativa sovrana e sono state mantenute allo Stato; la vigilanza sull'amministrazione dei beni di uso civico è stata invece attribuita direttamente ai comuni (articolo 78, lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977). Le funzioni amministrative sono state così separate da quelle giurisdizionali, lasciate ai commissari;

   pertanto il commissario per la liquidazione degli usi civici ora è solo giudice con poteri inquisitori e ampi poteri istruttori, può consultare direttamente gli atti d'ufficio, modificare e disporre la rinnovazione delle istruttorie demaniali;

   a tale riguardo va altresì evidenziato che, per quanto gli usi civici per lungo tempo siano stati considerati materia a volte desueta e a volte residuale, hanno assunto una significativa rilevanza anche alla luce delle molteplici pronunce della Corte costituzionale che via via ha aumentato esponenzialmente la tutela degli stessi anche sotto il profilo naturalistico, paesaggistico, ambientalistico e archeologico, con la conseguenza che spessissimo si ricorre a tale giudizio commissariale per far valere gli usi civici che comunque sono ampiamente documentati in moltissime regioni d'Italia;

   pertanto, attesa la rinnovata attualità e rilevanza della materia, Il Commissario per la liquidazione degli usi civici è un magistrato abilitato a svolgere la propria funzione quale consigliere di corte di appello;

   per quanto riguarda la nomina del commissario, ad oggi, compete al Consiglio superiore della magistratura, sulla base della presentazione spontanea della domanda per l'esercizio di tale funzione e, sopratutto, si tratta di una figura che svolge la propria attività, in aggiunta ai ruoli detenuti dal magistrato ordinario di tribunale e/o di corte d'appello, per la quale, dal punto di vista della retribuzione, non è previsto alcun emolumento aggiuntivo, sebbene sia gravato di un compito assai più arduo del solito, in quanto spesso si trova di fronte a questioni di enorme complessità e di difficile soluzione;

   occorre, poi, segnalare che, qualora non siano state presentate domande spontaneamente dai magistrati dotati dei requisiti per tale funzione, il Consiglio superiore della magistratura non può procedere alla nomina, pertanto in tali circostanze l'onere di nominare il commissario ricade sul presidente della corte di appello competente che, in casi simili, non potendo lasciare scoperta tale funzione, cosa che invece spesso accade anche per svariati mesi, assegna d'ufficio, ad uno dei tanti magistrati aventi i requisiti, lo svolgimento di tale incarico. Situazione questa che accade soventemente, generando enormi ritardi nella risoluzione delle controversie, come ad esempio è accaduto in Sardegna, dove tale criticità si è palesata frequentemente, atteso l'elevato numero di contenziosi aperti a causa delle gravissime problematiche sorte tra la regione Sardegna ed i comuni destinatari degli accertamenti previsti dall'articolo 5 della legge n. 12 del 1994;

   in circostanze simili a quella sopra descritta, vengono alla luce notevoli criticità legate al processo di individuazione dei commissari per la liquidazione degli usi civici e ciò, in primo luogo, per il ristretto numero di magistrati aventi i requisiti, in secondo luogo perché tra i pochi magistrati, nessuno spontaneamente si propone a causa della gravosità del ruolo che tra l'altro non prevede alcuna remunerazione aggiuntiva rispetto a quella ordinaria e, in fine, talvolta anche a causa di eventuali situazioni di inopportunità o di conflitto di interessi;

   in base a quanto fin ora descritto emerge una ulteriore criticità legata alla durata semestrale dell'incarico del commissario per la liquidazione degli usi civici e ai tempi biblici per le nomine dei sostituti;

   infatti, tale situazione determina una dilatazione dei tempi di durata dei contenziosi con relativo aggravio dei costi, spesso ai danni delle finanze degli enti locali coinvolti nei vari giudizi;

   tra l'altro, la complessità della materia, talvolta accompagnata anche dalle difficoltà di recuperare ed interpretare documenti molto antichi, rende particolarmente ardua l'impresa del commissario di concludere le fasi istruttorie e quindi di giungere ad una decisione entro la scadenza del proprio incarico, con la conseguenza che i giudizi pendenti restano bloccati per mesi prima di essere riassegnati, senza tralasciare l'aspetto non meno rilevante che il commissario subentrante sarà chiamato a riesaminare, in pochissimo tempo, tutta la copiosa documentazione prodotta in ogni singolo giudizio in cui è chiamato a pronunciarsi oppure laddove, attraverso lo strumento del ricorso siano incardinati o introdotti nuovi giudizi, il ricorrente deve attendere mesi prima veder valutata la fondatezza o meno del proprio ricorso e ricevere la comunicazione dell'esito di tale preventiva istruttoria, al fine di ordinare la notifica del ricorso ai soggetti direttamente chiamati in giudizio o, in caso di esito negativo dell'istruttoria iniziale, archiviarne il caso;

   sul punto, attesa l'importanza della tutela degli usi civici e la particolare attenzione ad essa rivolta anche dai giudici costituzionali, appare agli interpellanti necessario ed urgente un intervento di riordino da parte del Governo –:

   se il Ministro interpellato sia a conoscenza delle criticità descritte in premessa;

   quali iniziative normative il Ministro interpellato intenda intraprendere per risolvere le criticità rappresentate in premessa al fine di velocizzare l'iter processuale dei giudizi che abbiano per oggetto gli usi civici;

   se siano previste iniziative, per quanto di competenza, volte ad incentivare la disponibilità dei magistrati ad assumere l'incarico di commissario per la liquidazione degli usi civici.
(2-01001) «Alberto Manca, Perantoni, Giuliano, Ascari, Bilotti, Barbuto, Businarolo, Cataldi, D'Orso, Di Sarno, Ricciardi, Saitta, Salafia, Sarti, Scutellà, Cadeddu, Cassese, Cillis, Del Sesto, Gagnarli, Lovecchio, Lombardo, Maglione, Marzana, Parentela, Pignatone, Adelizzi, Aresta, Bella, Cancelleri».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:

   la chiusura del carcere «Sant'Agostino» di Savona è avvenuta con decreto del Ministro della giustizia, il 28 dicembre 2015; lo stesso è stato poi totalmente dismesso il 3 giugno 2016;

   Savona è l'unica provincia in tutta Italia ad essere mancante di istituto penitenziario (unico circondario del tribunale privo di un carcere) e inevitabilmente ciò crea disagio alla procura, agli avvocati ma anche ai familiari dei detenuti. Non viene garantito il principio della territorialità della pena;

   già in data 30 maggio 2016, l'allora Ministro alla giustizia, firmatario del decreto di chiusura sulla base della circostanza che si trattasse di un penitenziario «indegno» per i diritti umani dichiarava: «Stiamo portando avanti un progetto dell'istituto penitenziario che superi la vecchia struttura fatiscente e che dia una risposta che il comprensorio attende da tempo»;

   lo smistamento dei detenuti, con i conseguenti problemi sia di sovraffollamento che di sicurezza, è avvenuto mediante trasferimenti nelle case circondariali di Marassi a Genova (istituto di per sé problematico ed in costante emergenza per il sovraffollamento carcerario), Sanremo-lmperia o in Toscana; il personale di polizia penitenziaria è stato destinato ad altre sedi dove tuttora permane in attesa di conoscere la definitiva assegnazione;

   la prima firmataria del presente atto, nel mese di ottobre 2019, ha visitato il carcere di Pontedecimo e nel mese di agosto 2020 quello di Sanremo, per raccogliere le testimonianze dirette di chi ogni giorno presta servizio nelle strutture e verificare di persona questioni urgenti che devono essere affrontate quanto prima: sovraffollamento, con un'alta percentuale di detenuti psichiatrici e stranieri. Una situazione resa ancor più difficile dalla preoccupante carenza di personale, pari al 40 per cento e dalla necessità di urgenti opere di manutenzione;

   gli ingressi degli arrestati in provincia di Savona nel 2020 superano già le 400 unità. Un carico ripartito sulle carceri di Genova, Imperia e Sanremo; già a marzo un articolo sul Secolo XIX denunciava 400 detenuti in più nelle carceri liguri;

   occorre ribadire che come effetto diretto della chiusura del carcere di Savona, ad oggi il carcere di Imperia, progettato per 60 posti, ospita 98 detenuti. Il carcere di Sanremo su 240 posti ne ospita 262. A Marassi è stata superata la soglia dei 700 detenuti su una capienza di 511 posti;

   gli episodi di violenza possono avere molte radici, ma sicuramente il sovraffollamento penitenziario incide fortemente, tanto che sono allarmanti i dati degli eventi critici prodotti nel 2019 dai detenuti di Marassi fronteggiati dalla polizia penitenziaria: 187 atti di autolesionismo, 2 suicidi e ben 22 tentati suicidi, 173 colluttazioni con 58 ferimenti e 3 evasioni da permessi premio;

   solo nei primi 5 mesi del 2020 si sono registrati:

    a Pontedecimo 24 casi di autolesionismo, 9 danneggiamenti a celle, 3 aggressioni alla polizia penitenziaria, 11 colluttazioni tra detenuti;

    a Marassi 7 aggressioni alla polizia penitenziaria, 60 danneggiamenti a celle, 85 casi di autolesionismo;

    a La Spezia 3 aggressioni tra detenuti, 2 incendi alle celle, 2 aggressioni al personale. Il 70 per cento della popolazione detenuta di La Spezia fa uso di psicofarmaci e questo non è incoraggiante per il lavoro del poliziotto penitenziario, che già deve fare i conti con 180 detenuti su una capienza di 150;

    a Sanremo 10 aggressioni al personale;

   alcuni esempi dalle cronache locali e nazionali:

    il 20 giugno 2020 c'è stata un'aggressione ai danni di tre agenti del carcere di La Spezia per futili motivi;

    il 21 giugno 2020 c'è stata una rissa in carcere a Sanremo. 10 detenuti africani hanno creato disordini usando anche sgabelli come arma;

    il 6 luglio a Sanremo due detenuti sono venuti in colluttazione e un ispettore è stato colpito da una lamettata sul braccio tanto dover ricorrere alle cure ospedaliere;

    il 13 agosto si è verificata una aggressione alla polizia penitenziaria di Marassi ai danni di tre agenti in servizio raggiunti da una serie di pugni e di morsi, tanto da ricorrere alle cure ospedaliere riportando danni fisici ben evidenti, come la rottura dell'arcata sopraciliare; uno di loro riporta un dente rotto;

    il 20 agosto, un detenuto con alle spalle una scia di reati tra violenza sessuale, rapina e possesso illegale di armi, ha dato fuoco alla sua cella: 4 agenti sono rimasti intossicati tra cui anche il comandante;

    il 14 settembre nel carcere di Sanremo un detenuto di origine africana ha dato fuoco alla cella;

   a causa del contrasto alla diffusione da Coronavirus, e del cronico sovraffollamento, tutti gli arrestati della provincia di Savona vengono associati nel carcere di Marassi e nel piccolo carcere di Imperia che deve farsi già carico degli arrestati da Sanremo a Finale Ligure, e gli arrestati da Ventimiglia sino a Sanremo vengono collocati presso il locale carcere di Valle Armea, tutti sovraffollati e senza posti letto;

   ad oggi non risulta avviato alcun progetto di costruzione del nuovo istituto penitenziario savonese, anche se alcuni comuni della provincia (Cairo Montenotte e Cengio) hanno dato piena disponibilità ad ospitare il carcere nei loro territori;

   a settembre 2020 si è appreso dell'utilizzo delle risorse del Recovery Fund per le carceri italiane:

    300 milioni di euro per «Riqualificazione del patrimonio immobiliare penitenziario mediante interventi di miglioramento della performance funzionale, in termini di aumento della capacità ricettiva dei complessi penitenziari, di lotta al sovraffollamento e di realizzazione di nuove strutture edilizie, sempre più vicine alle ordinarie strutture urbane, finalizzate all'obiettivo della rieducazione e del reinserimento sociale»;

    300 milioni di euro per «Riqualificazione del patrimonio immobiliare penitenziario mediante interventi di miglioramento della performance strutturale, in termini di mantenimento della capacità ricettiva dei complessi penitenziari, anche in situazioni critiche per la sicurezza e l'ordine pubblico (ad esempio eventi sismici rilevanti)» –:

   quali saranno le iniziative del Ministro interrogato per risolvere le problematiche espresse con riferimento ai modi e ai tempi di costruzione ed apertura del nuovo carcere di Savona ed a tutela del personale di polizia penitenziaria di Savona;

   quali saranno gli stanziamenti economici destinati alle strutture penitenziarie della Liguria e, in particolare, per la città di Savona.
(2-01002) «Foscolo, Molinari, Di Muro, Rixi, Viviani».

Interrogazioni a risposta scritta:


   DELMASTRO DELLE VEDOVE e DONZELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   ogni anno circa 25.000 laureati in giurisprudenza devono affrontare l'esame di abilitazione alla professione;

   quest'anno gli esami erano previsti per il 15-16 e il 17 dicembre 2020;

   il Ministro della giustizia ha, infatti, annunciato il rinvio delle prove scritte a causa del propagarsi del virus;

   la pandemia è scoppiata a inizio anno e, fra parcellizzazione delle commissioni e utilizzo della tecnologia, a sommesso parere degli interroganti, si sarebbero in ogni caso potuti tenere in sicurezza;

   il Ministro della giustizia, a giudizio degli interroganti improvvidamente, annunciando lo slittamento della prova, ha aggiunto che starebbe «già lavorando a tutte le soluzioni organizzative che possano consentire di accelerare la correzione delle prove scritte e diminuire quanto più possibile gli effetti di questo rinvio»;

   anche a prescindere dall'improvvido utilizzo dell'avverbio di tempo «già» che sarebbe più opportuno per gli interroganti correggere in «finalmente», è bene che il Ministero della giustizia eviti la sovrapposizione degli orali dell'anno precedente con gli scritti; per non arrivare nuovamente impreparato;

   il rinvio delle prove significa posticipare l'abilitazione dei candidati che concludono la pratica nel corso del 2020 e, a strascico, ritardarne l'iscrizione all'albo, con grave pregiudizio per il loro percorso professionale;

   il Ministro interrogato ha comunque consentito la prosecuzione degli orali della scorsa sessione di esame di abilitazione;

   gli appelli procedono, però, a corrente alternata tra rinvii, prove ancora non ricalendarizzate, candidati scavalcati, comunicazioni latitanti e commissioni decimate dal virus;

   il Consiglio nazionale forense ha più volte chiesto che, laddove non sia possibile garantire un corretto esame orale in presenza, assicurando il necessario distanziamento dei candidati, si proceda con lo svolgimento della prova orale da remoto;

   medesimo suggerimento, egualmente caduto nel vuoto, è pervenuto da associazioni come Libera e Giovane Avvocatura, l'Associazione italiana praticanti avvocati, l'Unione praticanti avvocati;

   la situazione, fra il rinvio degli esami scritti e la prosecuzione a singhiozzo delle prove orali, è decisamente caotica e testimonia una imbarazzante mancanza di pianificazione e strategia, nonostante fosse certo da mesi che fra ottobre e novembre 2020 si sarebbe abbattuta la cosiddetta seconda ondata del virus –:

   per quali motivi il Ministero della giustizia non abbia immaginato una soluzione per consentire, in sicurezza e adottando ogni e più opportuno accorgimento e protocollo sanitario, lo svolgimento della prova scritta dell'esame di abilitazione all'esercizio della professione forense, di cui è stato annunciato il rinvio.
(4-07442)


   FIORINI, MORRONE, MURELLI, RAFFAELLI, POTENTI, TATEO, TOMASI, TURRI e PAOLINI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   da quanto riportato da vari organi di stampa, nei giorni scorsi, una cinquantina di anarchici hanno assaltato il carcere Sant'Anna di Modena con lanci di petardi, fuochi d'artificio e hanno anche incitato i detenuti, urlando da un megafono, a ribellarsi e a evadere;

   due agenti della polizia penitenziaria sono rimasti feriti riportando 3 e 5 giorni di prognosi;

   si è trattato di una situazione di tensione che poteva sfociare in uno scenario ben peggiore con una nuova ribellione all'interno del carcere, per fortuna evitato, come già accaduto a marzo 2020 con vari disordini e un bilancio tragico di morti e feriti;

   è davvero inaudito quanto accaduto e – prima che la situazione possa degenerare anche in altre strutture – serve il massimo rigore nei confronti di chi si macchia di comportamenti violenti, ancor più gravi e pericolosi alla luce della difficile situazione sanitaria da Covid-19 –:

   se i ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti di cui in premessa e quali iniziative di competenza si intendano adottare per chiarire se queste persone fossero autorizzate a svolgere la manifestazione e se le regole di distanziamento e di protezione sanitaria previste in merito dall'ultimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri siano state rispettate;

   se il Ministro della giustizia non ritenga opportuno, con la massima urgenza, adottare iniziative per risolvere le criticità evidenziate dall'episodio e per garantire maggiore sicurezza e condizioni dignitose di lavoro agli agenti della polizia penitenziaria;

   se il Ministro della giustizia reputi di dover adottare urgentemente iniziative per migliorare le condizioni logistiche e gli scarsi equipaggiamenti nelle dotazioni della polizia penitenziaria e, soprattutto per incrementare l'organico della stessa presso la medesima struttura.
(4-07448)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:


   La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:

   in data 9 novembre 2020 è apparsa, sui principali quotidiani piemontesi, la notizia che la compagnia aerea di bandiera opererà una drastica riduzione del traffico aereo da e per l'aeroporto internazionale Leonardo da Vinci di Fiumicino (Roma) dall'aeroporto internazionale Sandro Pertini di Torino-Caselle;

   la Società azionaria gestione aeroporto Torino s.p.a. (Sagat) che gestisce l'aeroporto internazionale di Torino, ha comunicato che la compagnia Alitalia Trasporto Aereo s.p.a. nelle date del 10, 14, 17, 21, 24 e 28 novembre e 1° dicembre 2020 non effettuerà alcun volo su Roma;

   già durante lo scorso mese di marzo, a causa dei provvedimenti di chiusura delle attività e di limitazione alla circolazione su tutto il territorio nazionale al fine di contenere e limitare i contagi derivanti dalla diffusione del virus Covid-19, la regione Piemonte era rimasta isolata dalla capitale, ma non negli attuali termini imposti da Alitalia, in quanto erano garantiti i voli per Roma almeno nella misura di un volo giornaliero;

   la regione Piemonte ha effettuato numerosi investimenti per potenziare la rete di trasporti dall'aeroporto di Caselle al centro di Torino;

   nonostante nella regione Piemonte, classificata ai sensi del Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 novembre 2020 «zona di allerta rossa», sia vietato ogni spostamento in entrata e in uscita dal territorio regionale, sono comunque consentiti gli spostamenti per comprovate esigenze lavorative giustificate con autocertificazione;

   è altresì stato dimezzato anche il traffico ferroviario dei treni ad alta velocità relativi alla tratta Torino-Roma con notevole aumento di disagio per questo tipo di pendolarismo;

   la scelta di Alitalia di sopprimere in maniera così drastica i voli da e per Roma nelle date sopra indicate penalizza notevolmente i cittadini piemontesi che hanno necessità di spostarsi verso la capitale per esigenze lavorative e farvi rientro in giornata –:

   quali importanti ed urgenti iniziative il Ministro interrogato intenda adottare al fine di scongiurare irreparabili danni e disagi ai lavoratori piemontesi costretti a spostarsi nella capitale per esigenze lavorative, già fortemente penalizzati dal lockdown regionale.
(2-00999) «Montaruli».

Interrogazione a risposta immediata:


   FASSINA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la Corte dei conti – deliberazione 18 dicembre 2019 – ha evidenziato che: «nel 2008, le convenzioni autostradali vigenti furono approvate per legge, pur trattandosi di rapporti privatistici, per superare le rilevanti obiezioni sollevate degli organi tecnici e di controllo»;

   il 22 settembre 2020, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha trasmesso all'Autorità di regolazione dei trasporti (Art) lo schema di atto aggiuntivo alla convenzione unica, approvata dalla legge n. 101 del 6 giugno 2008, e la proposta di aggiornamento del piano economico-finanziario (Pef) della convenzione unica tra Anas Spa e Autostrade per l'Italia (Aspi), per il parere;

   il Pef 2020-2038, predisposto da Aspi, prevede una variazione tariffaria media annua dell'1,75 per cento, costruita attraverso l'inclusione in tariffa di costi impropri. L'Art nel parere del 14 ottobre 2020 afferma che, sulla base dei costi effettivamente ammissibili in tariffa e di una remunerazione ordinaria del capitale investito, si determinerebbe un incremento tariffario annuo dello 0,87 per cento dal 2021 fino al termine della concessione (2038);

   la differenza tra l'incremento tariffario proposto da Aspi e l'incremento calcolato sulla base del modello dell'Art genera un valore di 4-5 miliardi di euro: da un lato, maggiori oneri per gli utenti, dall'altro, innalzamento del prezzo da pagare a Atlantia dalla cordata guidata da Cassa depositi e prestiti per la cessione della quota di Aspi;

   l'Art ha segnalato, tra le anomalie, l'inclusione in tariffa dei costi relativi alle manutenzioni «incrementali», in realtà dovute dal concessionario a compensazione delle inadempienze gestionali degli anni precedenti, per un addebito agli utenti di 1,2 miliardi di euro;

   l'Art ha evidenziato l'inclusione in tariffa di un onere attribuito agli effetti economici del Covid-19, calcolato annualizzando la caduta di traffico avvenuta nel periodo del lockdown completo, mentre la legge prevede il rischio traffico in capo al concessionario;

   da «Il Sole 24 ore» e «Domani» si apprende che è in corso un confronto tra il Mit e Aspi per modificare il Pef. Da quanto emerge, sembra che le criticità rilevate dall'Art sarebbero accolte soltanto parzialmente;

   sulla base del Pef preparato da Aspi, Atlantia il 24 ottobre 2020 ha definito inadeguata l'offerta presentata da Cdp –:

   se il Governo non ritenga imprescindibile adottare le iniziative di competenza in ordine al Pef di Autostrade per l'Italia al fine di limitare l'incremento tariffario annuo a 0,87 per cento, come calcolato dall'Autorità di regolazione dei trasporti, ed evitare ingiustificati oneri aggiuntivi per gli utenti e ulteriore remunerazione indebita degli azionisti della concessionaria.
(3-01889)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FERRI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   l'8 aprile 2020, nel comune di Aulla (MS), è crollato il viadotto di Albiano sul Fiume Magra, ponte che si trova al confine tra Toscana e Liguria;

   con un decreto firmato il 9 giugno 2020 il Presidente del Consiglio dei ministri ha nominato Enrico Rossi, allora presidente della regione Toscana, commissario per la ricostruzione del Viadotto;

   il 20 e 21 settembre 2020 si sono tenute in Toscana le elezioni regionali, a seguito delle quali è stato proclamato presidente della regione Eugenio Giani;

   in data odierna non si è ancora chiarito se il nuovo presidente Eugenio Giani sia subentrato anche nella carica di commissario straordinario, o se essa spetti ancora ad Enrico Rossi;

   senza certezze sulla persona che riveste tale importante ruolo, si blocca il necessario impulso alla ricostruzione del viadotto;

   il ponte si trova in una posizione nevralgica tra le provincie di Massa Carrara e La Spezia, e la sua celere ricostruzione è essenziale per favorire la circolazione di merci e persone tra la Toscana e la Liguria;

   i cittadini residenti nelle zone limitrofe subiscono gravi ripercussioni a causa della ridotta viabilità, che non consente loro di accedere rapidamente a servizi essenziali quali l'assistenza sanitaria e rapidi interventi di soccorso, come quello dei vigili del fuoco;

   occorre chiarire chi sia il commissario straordinario per la ricostruzione del viadotto di Albiano e dare risposte ai cittadini: il Governo ha risposto in data 4 novembre in Commissione ai question time nn. 5-04929 e 5-04930, impegnandosi a dare una risposta precisa nell'arco di cinque giorni; l'interrogante ritiene che questa decisione sia urgente e che questa incertezza stia disorientando i cittadini ma anche le stesse istituzioni –:

   se intenda fare chiarezza riguardo alla persona che deve ricoprire la carica di commissario straordinario per la ricostruzione del ponte di Albiano, in modo da favorire il celere sblocco dei lavori.
(5-04970)

Interrogazione a risposta scritta:


   COMENCINI, VALBUSA, MACCANTI, FURGIUELE, GIACOMETTI e TOMBOLATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il settore del trasporto aereo è tra quelli maggiormente colpiti dalle conseguenze economiche della crisi sanitaria da Covid-19: durante il primo lockdown, infatti, le compagnie aeree hanno registrato una contrazione della domanda pari anche al 90 per cento, e dopo alcuni segnali di ripresa emersi durante l'estate, la situazione è nuovamente peggiorata con la nuova ondata di contagi tutt'ora in atto;

   la crisi del trasporto aereo riguarda sia le grandi compagnie aeree, che quelle di dimensioni più piccole, le quali patiscono maggiormente la riduzione dei volumi di traffico, con perdite considerevoli su base mensile; a titolo di esempio, si può citare il caso della compagnia Air Dolomiti, la quale – dall'inizio della pandemia – sta registrando, in media, perdite per almeno 5 milioni di euro ogni mese;

   con il decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (cosiddetto decreto Rilancio), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, il Governo ha istituito, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, un fondo con una dotazione di 130 milioni di euro per l'anno 2020 per la compensazione dei danni subiti dagli operatori aerei nazionali, in possesso del prescritto certificato di operatore aereo (Coa) in corso di validità e titolari di licenza di trasporto aereo di passeggeri rilasciati dall'Enac, che impieghino aeromobili con una capacità superiore a 19 posti;

   il citato fondo è finalizzato essenzialmente all'erogazione di compensazioni per un numero limitato di compagnie aeree, tra le quali rientrano Air Dolomiti, Blue Panorama Airlines e Neos Air;

   a settembre 2020 il Governo ha inviato alla Commissione europea la necessaria notifica per ottenere l'autorizzazione all'erogazione dei contributi; la Commissione ha avanzato delle osservazioni ed è in attesa di ricevere ulteriori chiarimenti da parte del Governo italiano;

   ad oggi sono dunque trascorsi cinque mesi senza che le compagnie aeree abbiano potuto beneficiare dei 130 milioni di euro a loro destinati per i danni dovuti al Covid-19: va da sé che tali ritardi stiano ulteriormente compromettendo la tenuta economica delle medesime compagnie, con gravi ed inevitabili ripercussioni sull'offerta garantita e sui livelli occupazionali –:

   se e quali iniziative di competenza intenda attivare affinché alle compagnie aeree, in possesso dei prescritti requisiti, siano tempestivamente erogate le risorse già stanziate a copertura dei danni dovuti al Covid-19 e se non ritenga opportuno valutare l'adozione di iniziative per lo stanziamento di nuove ed ulteriori risorse.
(4-07437)

INTERNO

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:

   l'articolo 73, comma 1, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 24 aprile 2020, prevede che i consigli comunali che non abbiano regolamentato modalità di svolgimento delle sedute in videoconferenza possono riunirsi secondo tali modalità nel rispetto dei criteri di trasparenza e tracciabilità previamente fissati dal presidente del consiglio purché siano individuati sistemi che consentano di identificare con certezza i partecipanti, sia assicurata la regolarità dello svolgimento delle sedute e vengano garantiti lo svolgimento delle funzioni di cui all'articolo 97 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonché adeguata pubblicità delle sedute, ove previsto, secondo le modalità individuate da ciascun ente;

   appare inequivocabile, anche dal parere reso dal Ministero dell'interno l'11 giugno 2020, che al presidente del consiglio comunale, ove previsto, o al sindaco, compete di determinare alcuni criteri «volti ad assicurare la certezza del numero dei partecipanti ai fini del conteggio dei quorum cosiddetti funzionali e la pubblicità delle riunioni stesse ove previsto», nel caso in cui il consiglio comunale non si sia dato già una regolamentazione; (al riguardo si vedano anche i pareri del Ministero dell'interno del 28 giugno 2018 e del 23 maggio 2014);

   altrettanto chiaro appare che detti criteri non possono certamente derogare le norme di cui al regolamento approvato dai singoli consigli comunali ai sensi dell'articolo 38, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modifiche ed integrazioni, se non altro in ragione del generale principio di gerarchia delle fonti;

   risulta che alcuni presidenti del consiglio comunale, anche a seguito di decisione maggioritaria della conferenza dei capigruppo, dispongano una convocazione mista dell'organo consiliare, lasciando ai consiglieri di decidere se partecipare alla medesima seduta consiliare «da remoto» o «in presenza», introducendo una terza fattispecie di convocazione del consiglio comunale ignota alla normativa vigente in materia. Ad adiuvandum, al riguardo, nel parere del Ministero dell'interno del 13 agosto 2020, si legge: «... quanto sopra, fermo restando che, nella vigenza della disposizione emergenziale, la scelta della modalità di riunione e la fissazione dei criteri di tracciabilità e trasparenza sono rimessi alle determinazioni del presidente dell'organo, cui parimenti compete valutare l'opportunità di condividere previamente o meno con la conferenza dei capigruppo, seduta per seduta, se tenerla in presenza o da remoto» –:

   se il Ministro interpellato intenda chiarire che le modalità di convocazione del consiglio comunale, alla luce delle norme in premessa indicate, sono quelle «in presenza» o «da remoto» e non un assemblaggio delle due tipologie menzionate, e ciò per rispetto del principio di legalità cui, in primo luogo, sono tenuti gli organi degli enti locali, e se intenda adottare iniziative, per quanto di competenza, al fine di evitare che procedure che appaiono all'interpellante inventate e confuse di convocazione del consiglio comunale possano costituire facile argomentazione per l'impugnazione degli atti approvati dall'organo consiliare da parte di terzi che vantino un legittimo interesse.
(2-01000) «Foti».

Interrogazione a risposta orale:


   PALAZZOTTO, FRATOIANNI, PASTORINO e MURONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   diversi organi di informazione hanno dato notizia che il 28 ottobre 2020 i due funzionari della polizia di Stato, Pietro Troiani e Salvatore Gava, sono stati promossi alla carica di vicequestori;

   Troiani e Gava – unitamente ad altri agenti, funzionari e dirigenti della polizia di Stato – furono condannati, in via definitiva, nel 2012, per i gravi reati commessi a Genova nel 2000 durante lo svolgimento del G8;

   in particolare, Troiani e Gava furono condannati, all'esito del terzo grado di giudizio presso la Corte di Cassazione, il 5 luglio 2012, a tre anni e otto mesi più l'interdizione ai pubblici uffici per cinque anni, il primo per avere introdotto materialmente due bombe molotov nella scuola Diaz di Genova e il secondo per aver falsamente attestato il rinvenimento dei due ordigni nella stessa scuola pur essendo a conoscenza della reale provenienza;

   il posizionamento degli ordigni e la falsa attestazione del rinvenimento degli stessi nella scuola Diaz furono finalizzati a giustificare un vero e proprio assalto nell'edificio scolastico dove dormivano alcuni dei partecipanti alle manifestazioni svoltesi nei giorni del G8, irruzione per la quale occorre richiamare, per ribadire se necessario la verità storica, quanto scritto nella sentenza del 5 luglio 2012 della Cassazione: «puro esercizio di violenza», un «massacro ingiustificabile da parte degli operatori di polizia», caratterizzato da una «condotta cinica e sadica» e da una «violenza non giustificata e punitiva, vendicativa e diretta all'umiliazione e alla sofferenza fisica e mentale delle vittime», che ha gettato «discredito sull'Italia agli occhi del mondo intero»;

   nonostante la condanna per i gravi reati commessi e il contesto in cui erano avvenuti descritto dai giudici della Corte di cassazione, Troiani e Gava furono comunque reintegrati in servizio nel 2017; le richieste di quali siano state le motivazioni e le valutazioni del reintegro, avanzate anche in sede parlamentare, ad oggi non hanno avuto risposta;

   si apprende ora che i due funzionari sono stati anche promossi a vicequestori;

   a seguito di articoli di stampa e di un comunicato di Amnesty Internacional, il dipartimento della pubblica sicurezza ha ritenuto di diffondere un comunicato, nel quale si afferma che «l'avanzamento dei funzionari in questione è automatico e risponde ad una procedura amministrativa obbligata», aggiungendo però che gli «attuali incarichi assegnati rientrano nelle qualifiche ricoperte e nelle competenze possedute»;

   appare quindi contraddittorio agli interroganti fare riferimento a criteri automatici che regolerebbero gli avanzamenti di carriere e contemporaneamente richiamare non solo gli incarichi assegnati ma anche le «competenze possedute», le quali non possono che essere soggette a valutazioni;

   queste contraddizioni nelle motivazioni addotte per la promozione dei due funzionari, appaiono ancora più evidenti se si considera che nello stesso comunicato si lamenta che nelle critiche e nei rilievi manifestati nei confronti della promozione dei due funzionari non si sia tenuto conto «che l'attuale vertice del Dipartimento della pubblica sicurezza e della polizia di Stato ha fatto pubblica ammenda della pessima gestione dell'ordine pubblico in occasione di quel tragico evento»;

   non si comprende quindi come, dovendo valutare le competenze possedute, non si sia tenuto conto delle gravi condanne riportate dai due funzionari, peraltro tra i responsabili di quella riconosciuta come «pessima gestione dell'ordine pubblico» –:

   se si intenda chiarire per quanto di competenza, anche alla luce delle precisazioni del dipartimento della pubblica sicurezza citate in premessa, quali siano stati i criteri utilizzati nella valutazione delle competenze possedute dai due funzionari della polizia di Stato Pietro Troiani e Salvatore Gava ai fini dell'assegnazione degli incarichi e delle promozioni e per quali motivi non si sia ritenuto in sostanza di considerare le condanne che agli stessi sono state inflitte per i gravi reati commessi.
(3-01876)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BOLDRINI. — Al Ministro dell'interno — Per sapere – premesso che:

   dal mese di agosto 2020 è in atto in Bielorussia una sistematica e feroce repressione da parte delle autorità contro le persone che manifestano ripetutamente in modo assolutamente pacifico in segno di protesta contro i brogli e le irregolarità grazie ai quali Alexander Lukashenko si è voluto confermare alla Presidenza della Repubblica;

   il comportamento autoritario e antidemocratico del regime di <Minsk è stato a più riprese condannato dalle istituzioni europee, fino alla decisione di sottoporre a sanzione i responsabili dei brogli e della repressione, incluso lo stesso Lukashenko;

   domenica 8 novembre 2020 una delegazione dell'Associazione dei bielorussi in Italia, secondo quanto riferisce la stessa associazione, si è recata in piazza San Pietro in Roma con la volontà esporre la bandiera storica del loro Paese per ricordare al Papa quanto sta avvenendo in Bielorussia e dare un messaggio di sostegno a coloro che in patria lottano pacificamente per la democrazia;

   giunti ai controlli esterni, agenti della polizia di Stato hanno identificato i componenti la delegazione negando loro il permesso di introdurre in piazza la bandiera e chiedendo alle donne presenti nella delegazione di sollevare le magliette per verificare che non avessero delle scritte sul corpo –:

   se il Ministro interrogato sia al corrente di questi accadimenti;

   secondo quali disposizioni sia stata messa in atto un'azione così inusuale e lesiva della dignità delle donne.
(5-04984)

ISTRUZIONE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VII Commissione:


   FRASSINETTI, BUCALO e MOLLICONE. — Al Ministro dell'istruzione. — Per sapere – premesso che:

  l'articolo 231-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge n. 34 del 2020 (legge n. 77 del 2020), ha previsto la possibilità di attivare nell'anno scolastico 2020/2021 ulteriori incarichi temporanei di personale docente e Ata con lo scopo di consentire il regolare avvio e svolgimento dell'anno scolastico in presenza;

   tale norma nella sua originaria formulazione prevedeva che in caso di sospensione dell'attività in presenza a seguito dell'emergenza epidemiologica, i relativi contratti sarebbero stati risolti per giusta causa, senza diritto ad alcun indennizzo;

   la legge di conversione n. 126 del 2020 del decreto-legge n. 104 del 2020 (cosiddetto decreto Agosto) ha eliminato l'automatica risoluzione dei contratti e ha stabilito che tutto il personale scolastico, assunto con contratti a tempo determinato nell'anno scolastico 2020/2021 quale «organico Covid», in caso di sospensione delle attività didattiche, potrà assicurare le relative prestazioni con le modalità di lavoro agile, quindi senza vedere risolto il proprio rapporto di lavoro;

   il 31 ottobre 2020 nel sistema informatico Sidi del Ministero dell'istruzione viene pubblicato un avviso con cui si rende noto che, su richiesta della direzione generale, la clausola risolutiva viene eliminata dai testi dei contratti di supplenza di organico aggiuntivo (Covid) solo per il personale docente ed educativo;

   tutto ciò sta creando tantissimo sconforto nel personale Ata, soprattutto ai tantissimi collaboratori scolastici che, per la natura delle loro mansioni, disciplinate dall'articolo 47 del Ccnl Scuola 2006-2009, non possono lavorare in modalità agile;

   occorre evidenziare che il collaboratore scolastico è la figura professionale più richiesta, per far fronte alle numerose esigenze in attuazione delle misure di prevenzione e contenimento del contagio da Covid-19 –:

   quale sarà la sorte dei contratti stipulati con i collaboratori scolastici e con altri profili del personale Ata, che non possono lavorare in modalità agile e quali iniziative urgenti intenda assumere per eliminare la clausola risolutiva ancora vigente sul testo dei contratti del personale Ata.
(5-04977)


   APREA, CASCIELLO, MARIN, PALMIERI, SACCANI JOTTI e VIETINA. — Al Ministro dell'istruzione. — Per sapere – premesso che:

   la pandemia da Sars-Cov-2 ha determinato nel marzo 2020 la chiusura totale delle scuole e l'adozione, in ottica emergenziale, della didattica a distanza (Dad) in un contesto in cui mancavano connessione e strumenti tecnologici, tanto che si è stimato che circa il 25 per cento degli studenti non è stato raggiunto da tale didattica;

   a questo si è aggiunta la carenza di formazione di una rilevante parte del corpo docente che, ciò nonostante, ha risposto alle nuove necessità con grande spirito di iniziativa;

   tra la chiusura dell'anno scolastico e l'avvio del nuovo, in vista della annunciata seconda ondata di diffusione dei contagi, molto si sarebbe potuto fare in termini di formazione dei docenti, di adeguamento della strumentazione e di efficientamento delle connessioni nelle scuole;

   la Dad non può essere considerata la mera trasposizione della lezione in presenza sul formato digitale e non è possibile pensare che si possano tenere gli studenti inchiodati davanti allo schermo di un pc, di un tablet o, peggio, di uno smartphone per ore a seguire le lezioni come fossero in presenza;

   questa tipologia di lezione non è produttiva dal punto di vista didattico e presuppone, sia da parte degli studenti che dei docenti, strumentazione, connessione familiare, spazi e formazione adeguati;

   è necessario che si definisca una nuova metodologia didattica volta a potenziare la qualità degli apprendimenti e si riconosca alle scuole maggiore autonomia nell'organizzazione di orari e materie, affinché possano predisporre una efficace proposta di studio e di approfondimento, utilizzando tutte le tecnologie a disposizione sul web, per evitare che le studentesse e gli studenti si demotivino e non utilizzino invece questo tempo per accrescere competenze al passo con i tempi;

   sarebbe altresì opportuno che ai docenti siano offerti piani di formazione relativi all'uso di pratiche didattiche come il «flipped learning» (insegnamento capovolto), il ricorso alle App per la creatività e il problem solving o alla realtà aumentata e a quella virtuale, immersiva, che permette esplorazioni di qualsiasi realtà, dallo spazio ai musei e altro ancora –:

   se non ritenga di dover adottare iniziative per riconoscere alle scuole una quota maggiore di autonomia con riferimento all'organizzazione degli orari e delle materie da insegnare mediante la didattica digitale integrata e prevedere monitoraggi in tutte le scuole, valutando la partecipazione dell'Indire e dell'Invalsi, al fine di garantire che nessuno studente sia privo dei device necessari per lo studio a distanza, avviando procedure di controllo sulla qualità degli apprendimenti a distanza, adottando a sostegno dei docenti, piani di formazione alla didattica digitale.
(5-04978)


   TOCCAFONDI. — Al Ministro dell'istruzione. — Per sapere – premesso che:

   il personale statale che doveva essere sostituito da docenti con incarico a tempo determinato per l'anno scolastico 2020/21 ammonta a circa 135.000 unità, ai quali aggiungere i docenti destinati ad altra mansione in quanto fragili e i docenti del cosiddetto organico Covid, per un totale di 200.000 cattedre a tempo determinato;

   tale situazione consegue al mancato svolgimento nel 2018 e nel 2019 dei concorsi previsti dal decreto 53 del 2017 e dalla legge n. 107 del 2015;

   è in corso soltanto il concorso straordinario, mentre non si conosce se i concorsi ordinari termineranno in tempo utile per le immissioni in ruolo del prossimo anno scolastico;

   mancano, soprattutto nelle regioni del centro nord, docenti di sostegno, i cui posti saranno coperti in gran parte da docenti precari, e quelli della scuola primaria;

   si è appreso da notizie di stampa e dai diretti interessati che, in alcune province, non è stato completato l'iter per l'assegnazione delle supplenze a causa di errori nel software delle graduatorie, introdotte dalla legge 159 del 2019;

   sono penalizzati sia gli studenti, sia i precari, che i colleghi di ruolo, che le scuole, prive di organico al completo, che non possono programmare adeguatamente, in un anno nel quale peraltro si sta ricorrendo alla didattica a distanza in modo massiccio;

   sarebbe opportuno anticipare le operazioni di mobilità e di immissione in ruolo, nonché procedere all'assegnazione dei docenti per le supplenze annuali e di quelle sino al termine delle attività didattiche a ciascuna scuola autonoma, superando il meccanismo delle graduatorie –:

   quali iniziative il Ministro interrogato abbia adottato o intenda adottare al fine di garantire il funzionamento del sistema d'istruzione nel corrente anno scolastico, e in particolare se sia stata prevista, sia per il personale di ruolo, sia per quello impiegato nelle supplenze, un'adeguata formazione sulla didattica digitale integrata e, più in generale, sulle metodologie didattiche innovative e quale sia il livello di copertura delle cattedre.
(5-04979)


   BELOTTI e SASSO. — Al Ministro dell'istruzione. — Per sapere – premesso che:

   il mondo della scuola vive un momento di preoccupante caos;

   il problema questa nuova fase emergenziale è legato alla tenuta della didattica a distanza, prevista dall'ultimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, al 100 per cento negli istituti superiori;

   ci sono territori, infatti, da nord a sud, non raggiunti dalla fibra, dove risulta complicato, se non impossibile portare avanti 30 o 40 minuti di lezione senza interruzioni;

   in regioni come la Puglia, una scuola su 3 vive grandi difficoltà con l'utilizzo della rete in maniera adeguata per far lezioni da remoto, addirittura una famiglia su 5 non dispone di un collegamento on line adeguato, e di strumenti informatici;

   fino ad oggi il Governo ha manifestato tutta la sua incapacità a dotare le scuole di una connessione internet adeguata, preferendo comprare inutili banchi a rotelle, la gran parte dei quali sono stati consegnati con estremo ritardo in alcune regioni;

   è, inoltre, di questi giorni, la notizia della sentenza del tribunale amministrativo della Puglia che ha accolto il ricorso presentato da alcuni genitori della provincia di Lecce in merito all'ordinanza regionale che prevedeva la chiusura delle scuole pugliesi;

   tra le motivazioni della sentenza vi è proprio la difficoltà che molte famiglie hanno di seguire la didattica a distanza con una sostanziale e conseguente interruzione delle attività didattica e del diritto allo studio;

   il Governo non ha provveduto in questi mesi a dotare famiglie e scuole delle adeguate infrastrutture tecnologiche per la didattica a distanza –:

   quali iniziative immediate il Ministro interrogato intenda prendere al fine di garantire a tutte le famiglie e a tutte le scuole gli strumenti digitali necessari per avvalersi della didattica a distanza.
(5-04980)


   VACCA, CASA, BELLA, CARBONARO, CIMINO, DEL SESTO, IORIO, MARIANI, MELICCHIO, RICCIARDI, TESTAMENTO, TUZI e VALENTE. — Al Ministro dell'istruzione. — Per sapere – premesso che:

   dopo l'emanazione del decreto Presidente del Consiglio dei ministri del 3 novembre 2020, che divide l'Italia in tre diverse zone di rischio, con ordinanza del Ministro della salute del 4 novembre 2020 è stata inserita la Puglia tra quelle cosiddette arancioni, la Campania fra quelle cosiddette gialle, nelle quali la didattica a distanza al 100 per cento è prevista solo per le scuole superiori di secondo grado;

   il presidente della regione Puglia Emiliano il 28 ottobre 2020 aveva, però, già chiuso tutti gli istituti di ogni grado e avrebbe dovuto, perciò, riaprire il primo ciclo, così come il presidente della regione De Luca in Campania che li aveva chiusi a partire dal 16 ottobre 2020;

   in merito alla mancata riapertura in presenza delle scuole del primo ciclo si sono pronunciati nello stesso giorno due diverse sezioni del Tar Puglia di segno opposto;

   più precisamente, il Tar di Bari ha sospeso l'ordinanza della regione che il 28 ottobre 2020 ha chiuso le scuole (tranne gli asili) fino al 24 novembre 2020, mentre il Tar di Lecce (sezione distaccata dello stesso tribunale) l'ha ritenuta legittima;

   di fronte alle due pronunce opposte il Presidente della regione Emiliano ha emesso il 6 novembre 2020 una nuova ordinanza con la quale ha riaperto le scuole del primo ciclo, ma concedendo la possibilità ai genitori di scegliere se farla frequentare in presenza o di richiedere la didattica digitale integrata giustificando di default eventuali assenze degli studenti;

   la suddetta ordinanza ha creato disorientamento nelle famiglie, ma anche in tutto il personale scolastico stante l'indubbia invasione di campo della disposizione dell'ordinanza nell'ambito dell'autonomia scolastica;

   e infatti, il terzo comma dell'articolo 117 attribuisce alla legislazione concorrente delle regioni l'«istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale»;

   la modalità di riapertura delle scuole espressa nell'ordinanza della regione Puglia n. 413 del 6 novembre 2020 non si ritiene rientrare nell'alveo delineato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 novembre 2020 né in qualsiasi altra modalità elaborata sia a livello nazionale che a livello regionale, creando così un terzo genere che crea fortissime difficoltà interpretative e soprattutto conflittualità sia tra scuola e famiglie sia tra famiglie stesse;

   il caos ingenerato lede il diritto all'apprendimento degli studenti pugliesi, analogamente a quelli campani, a fronte invece dei copiosi investimenti erogati per garantire la ripresa dell'attività didattica –:

   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato abbia posto e porrà in essere al fine di garantire il diritto all'istruzione degli studenti su tutto il territorio nazionale, considerate in particolare le criticità evidenziate nelle aree pugliese e campana anche in riferimento alle risorse investite per la riapertura delle scuole.
(5-04981)


   PICCOLI NARDELLI, CIAMPI, PRESTIPINO, DI GIORGI, ROSSI e ORFINI. — Al Ministro dell'istruzione. — Per sapere – premesso che:

   dalla diffusione del Coronavirus il sistema dell'istruzione si è trovato ad affrontare situazioni di grande complessità, prima con la completa chiusura delle attività didattiche in presenza e, dopo, con la programmazione dell'avvio del nuovo anno scolastico, con tutte le cautele richieste dalla necessità di garantire la sicurezza sanitaria e, al tempo stesso, di tenere in particolare considerazione alcuni obiettivi che questi mesi di emergenza hanno reso ulteriormente prioritari;

   per fronteggiare tale situazione, sono stati assunti diversi interventi volti a contemperare la tutela della salute degli studenti e del personale scolastico, a salvaguardare il diritto allo studio e a contrastare la diseguaglianza tra gli studenti;

   nei mesi passati il sistema scolastico nella sua interezza ha compiuto uno sforzo enorme per garantire la ripresa delle lezioni in presenza e in sicurezza;

   in conseguenza dell'evoluzione della situazioni epidemiologica, la normativa nazionale ha adottato scelte progressive volte all'estensione della didattica digitale integrata (Ddi). Dopo l'avvio del nuovo anno scolastico 2020/2021 fino ad ora, si sono, infatti, avvicendati diversi decreti del Presidente del Consiglio dei ministri che hanno modificato gli scenari di attivazione della Ddi;

   l'ultimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 novembre 2020, ha previsto per tutto il territorio nazionale il ricorso al 100 per cento alla Ddi per le scuole secondarie di secondo grado;

   si vive ancora in un contesto caratterizzato dall'emergenza sanitaria –:

   quali risorse, e con quale finalizzazione, siano state messe in campo in vista della ripartenza dell'anno scolastico 2020/2121 e alla luce dell'aumento della didattica digitale integrata, quali siano le risorse specifiche e le azioni dedicate alle comunità scolastiche al fine di favorire un effettivo diritto all'istruzione.
(5-04982)


   FUSACCHIA e LATTANZIO. — Al Ministro dell'istruzione. — Per sapere – premesso che:

   il numero di docenti assenti per Isolamento fiduciario sta aumentando sempre di più, raggiungendo percentuali significative rispetto all'organico;

   per le scuole non passate alla didattica a distanza, anzitutto la primaria, e neppure calcolare il danno in termini di continuità didattica, si sta rendendo difficile sostituire tali docenti perché pochissimi accettano le proposte di lavoro;

   in alcune regioni si è all'8 per cento medio di docenti assenti per isolamento; trattandosi di un valore medio, ciò significa che in alcune scuole ci sono il 40 per cento di docenti assenti;

   questo è vero in tutta Italia, per quanto con situazioni molto diverse tra diverse regioni, e con una situazione particolarmente grave per le zone metropolitane, dove è più normale usare i mezzi pubblici per andare al lavoro;

   molte scuole non riescono a coprire i posti ulteriori assegnati per fronteggiare l'emergenza Covid, anche in questo caso perché pochissimi docenti accettano la relativa offerta di lavoro;

   se il trend prosegue, non è lontano il momento in cui verrà necessario chiudere moltissime scuole anche primarie, per impossibilità organizzativa a tenerle aperte;

   la scarsità di risorse umane nelle scuole sta creando disagi su più livelli, anche laddove la scuola ha sempre potuto contare su patti di comunità con operatori del terzo settore, così come su educatori e pedagogisti anche se con responsabilità di accompagnamento e non educativa;

   lo stesso disagio richiede un intervento per fornire sostegno anche psicologico alla comunità scolastica –:

   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per evitare che tante scuole aperte si ritrovino a dover essere chiuse di fatto per incapacità e impossibilità di sostituire i docenti in isolamento fiduciario e se e quali figure già presenti nella scuola possano, e a quali condizioni, essere messe a disposizione per svolgere funzioni educative al fine di mantenere la scuola non solo aperta, ma anche unita e solidale.
(5-04983)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DELMASTRO DELLE VEDOVE e FRASSINETTI. — Al Ministro dell'istruzione. — Per sapere – premesso che:

   il 28 dicembre 2018 veniva pubblicato in Gazzetta Ufficiale il bando di concorso per il reclutamento di n. 2004 direttori dei servizi generali e amministrativi delle istituzioni scolastiche – Dsga;

   l'articolo 17 del bando stabilisce che le graduatorie di merito dovranno essere composte da un numero di soggetti pari ai posti messi a concorso su base regionale, aumentato di una quota pari al 20 per cento dei medesimi. Tale soglia è stata aumentata al 30 per cento dell'articolo 2, comma 6, del decreto-legge n. 126 del 2019;

   il «decreto Agosto», convertito in via definitiva il 12 ottobre 2020, ha introdotto delle novità nelle modalità di reclutamento del personale Dsga risultato vincitore o idoneo del summenzionato concorso, prevedendo che nelle regioni in cui la graduatoria di merito dei vincitori del concorso per Dsga del 2018 non è intervenuta entro il 31 agosto 2020, i vincitori potranno essere immessi in ruolo anche successivamente, comunque entro il 31 dicembre 2020;

   nel suddetto decreto viene poi estesa dal 30 per cento al 50 per cento la quota di idonei da poter assumere e, dal prossimo anno scolastico, anche per vincitori e idonei del concorso Dsga sarà possibile utilizzare un meccanismo simile a quello della chiamata veloce utilizzata questa estate per i docenti;

   nel bando di concorso il Ministero si è avvalso di una facoltà, quella cioè di limitare il numero degli idonei da inserire nelle graduatorie di merito, originariamente prevista alla lettera e-bis) dell'articolo 35 del Testo unico della pubblica amministrazione (Tupi), introdotta con il decreto legislativo n. 75 del 2017, attuativo della cosiddetta Riforma Madia. Questa previsione, dopo solo due mesi dalla sua entrata in vigore, è stata però abrogata dalla legge di bilancio 2019 (articolo 1, comma 364, legge n. 145 del 2018);

   ne deriva che molti dei candidati, pur avendo superato tutte le prove concorsuali, con un punteggio almeno pari o superiore a 21/30, non saranno mai inseriti nelle graduatorie di merito. Di conseguenza, non avranno la qualifica di «idoneo non vincitore» con l'impossibilità anche di beneficiarne in altre procedure concorsuali;

   la «soglia-limite», non solo, danneggia i candidati che hanno investito tempo, studio e denaro per superare una lunga e complessa procedura concorsuale, ma anche la stessa pubblica amministrazione poiché, già ad oggi, per la posizione di Dsga i posti vacanti e disponibili in Italia ammontano a 3378, a fronte dei quali sono state autorizzate solo 1985 assunzioni;

   a fronte di una procedura concorsuale che ha richiesto il dispendio di ingenti risorse umane ed economiche, appare irragionevole non garantire una possibilità di accesso al pubblico impiego a soggetti che hanno superato tutte le prove di un iter concorsuale durato due anni. Si creerebbe una situazione a dir poco paradossale, laddove l'Amministrazione non provvedesse a coprire le vacanze di posti con gli idonei extra soglia del concorso;

   senza una modifica dell'attuale normativa, il Ministero dell'istruzione non riuscirà mai a coprire il proprio fabbisogno di personale per il profilo di Dsga e si dovrà inevitabilmente ricorrere all'apporto di dipendenti già in ruolo presso il Ministero, destinandoli a funzioni diverse, con l'effetto di ridurre l'organico per la categoria di riferimento;

   ad oggi gli idonei extra soglia del 50 per cento sono considerati alla stregua di coloro che non hanno mai sostenuto il concorso o che siano stati bocciati, e il loro apporto sarebbe utile sia qualora vi fossero delle rinunce da parte dei vincitori di concorso, sia per coprire gli innumerevoli posti vacanti ancora disponibili nella stessa regione –:

   se il Governo intenda porre in essere le iniziative di competenza per eliminare la soglia degli idonei attualmente fissata al 50 per cento dei posti messi a concorso.
(5-04964)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SASSO, TOCCALINI, BASINI, BELOTTI, COLMELLERE, DE ANGELIS, LATINI, PATELLI e RACCHELLA. — Al Ministro dell'istruzione, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   la scelta operata dal Governo sulle scuole ai fini di prevenzione e contenimento contagi da Covid-19 con il recentissimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 novembre 2020 conferma, a parere degli interroganti, la totale incapacità di tutelare il diritto allo studio di bambini e ragazzi;

   si rileva, innanzitutto, che altri Paesi europei, al momento in condizioni peggiori dell'Italia, pur adottando misure restrittive e nuovi lockdown per fronteggiare la cosiddetta «seconda ondata» non hanno previsto la chiusura di scuole ed università;

   il Governo, invece, giocando, ad avviso degli interroganti, con i colori a zone come se fosse una partita di risiko, ha disposto con il citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri la didattica a distanza al 100 per cento per le scuole secondarie di secondo grado in tutto il territorio nazionale e la didattica in presenza per il primo ciclo di istruzione e per i servizi educativi per l'infanzia in zona gialla e arancione, con la sola chiusura delle università, mentre per la zona rossa la Dad è stata estesa anche alle classi di seconda e terza media;

   a nove mesi dalla pandemia, è del tutto evidente agli interroganti che l'emergenza epidemiologica, in specie per quanto concerne la scuola, è affrontata in maniera casuale, senza alcuna strategia di medio lungo periodo;

   il Governo infatti, nonostante i diversi appelli l'estate scorsa in vista della riapertura settembrina delle scuole, invece che potenziare il servizio di trasporto pubblico, intervenendo con un aumento delle corse nelle fasce orarie utilizzate da alunni e insegnanti, e sulla sicurezza delle scuole, installando, ad esempio, dei termoscanner all'ingresso, secondo gli interroganti ha perso tempo e sperperato denaro pubblico con la scellerata opzione di puntare sui banchi a rotelle (dal costo di circa 200 euro cadauno) quale misura precauzionale;

   all'uopo si evidenzia che un Istituto superiore di Bari, a quanto consta agli interroganti, ha ricevuto i «promessi» banchi a rotelle monoposto soltanto il 2 novembre 2020, il che suona come una gigantesca beffa per gli studenti e dirigenti scolastici, attesa la chiusura dell'attività in presenza –:

   considerati i palesi ritardi nelle consegne ed alla luce delle nuove limitazioni sulle classi in presenza, se il Governo non ritenga più ragionevole adottare iniziative per rivedere la spesa impegnata per l'acquisto dei banchi a rotelle, al fine di indirizzarla al potenziamento della fornitura di dispositivi digitali individuali, della fruizione delle piattaforme, nonché della relativa connettività di rete.
(4-07435)


   CIABURRO e PRISCO. — Al Ministro dell'istruzione, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   come emerso a mezzo stampa, almeno 300.000 studenti delle scuole superiori, in Italia, non avranno modo di passare dalla didattica in presenza alla didattica a distanza, poiché privi di un computer o di una connessione internet;

   in tal senso, il decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, cosiddetto «decreto Ristori», ha stanziato 85 milioni di euro a sostegno del fondo per l'innovazione digitale e la didattica laboratoriale, per consentire l'acquisto, da parte degli istituti scolastici, di fino a 211.469 dispositivi digitali e 117.727 accessi alla rete da concedere in comodato d'uso agli studenti meno abbienti;

   in base ai monitoraggi della misura, al 1o settembre 2020, prima dell'approvazione della predetta misura, il fabbisogno per gli studenti era di 283.461 computer e 336.252 connessioni di rete;

   negli 85 milioni di euro stanziati dal decreto-legge n. 137 del 2020 non sono previsti stanziamenti a cura del personale scolastico, tale per cui se anche si riuscisse a coprire il fabbisogno di dispositivi e di connessioni di rete degli studenti, non sarebbe altrettanto garantito quello dei docenti;

   sono, ad oggi, oltre 150.000 i supplenti che non usufruiscono della cosiddetta «Card docente», e che potrebbero quindi non disporre di un computer personale;

   secondo l'indagine AGCOM di giugno 2020 sullo stato della connettività Internet delle scuole italiane la percentuale di edifici scolastici raggiunti dalla fibra FTTH (cosiddetta Fibra fino a casa) è stata quantificata al 17,4 per cento sul territorio nazionale, con numerosi territori dove ben più indietro, con ripercussioni a danno del corpo docente e del corpo studente –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti e quali iniziative intendano intraprendere, se del caso, per:

   a) incrementare la disponibilità di infrastrutture di rete negli istituti scolastici nazionali per favorire l'accesso alla didattica a distanza alla luce delle evidenze di cui in premessa;

   b) sopperire al fabbisogno di computer e connessioni internet per studenti e docenti alla luce delle evidenze di cui in premessa.
(4-07444)


   NITTI. — Al Ministro dell'istruzione. — Per sapere – premesso che:

   nell'allegato E) del decreto ministeriale n. 259 del 9 maggio 2017, si afferma al punto 4) del piano di studi del liceo musicale e coreutico che «In fase transitoria concorrono all'insegnamento di Storia della musica i docenti abilitati per le classi di concorso 31/A, 32/A e 77/A purché in possesso della laurea in musicologia e beni musicali (laurea magistrale classe LM-45 o titoli equiparati ai sensi del D.I. del 9 luglio 2009 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 233 del 7 ottobre 2009) congiuntamente a diploma di conservatorio)»;

   da un'interpretazione della norma si evince come il requisito del diploma di conservatorio sia necessario all'insegnamento di storia della musica solo in caso di possesso di titoli equiparati alla laurea magistrale classe LM-45 ai sensi del decreto interministeriale del 9 luglio 2009 e non nel caso in cui si sia in possesso della laurea in musicologia e beni musicali;

   in una lettera indirizzata al Ministero dell'istruzione e al capo dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione dottor Marco Bruschi in data 5 novembre 2020, il professor Antonio Caroccia, responsabile settore insegnamenti musicologici della Società italiana di musicologia ha fatto presente come siano giunte «numerose segnalazioni di candidati esclusi dalle graduatorie d'istituto per la classe di concorso A053 (Storia della musica), a causa della mancata valutazione del titolo di accesso, ossia la laurea in Musicologia (LM-45) o il diploma accademico in Discipline storiche, critiche e analitiche della musica (DCSL-69) dell'AFAM»;

   tali segnalazioni rendono necessario che il Ministero dell'istruzione chiarisca in una nota i requisiti necessari all'insegnamento nella classe di concorso A053, specificando come in caso di possesso della laurea in musicologia e beni musicali (laurea magistrale classe LM-45) non sia necessario essere congiuntamente in possesso di diploma di conservatorio;

   sottesa alla suddetta richiesta di chiarimenti da parte del Ministero resta la necessità, auspicata dalla Società italiana di musicologia, di «armonizzare, tutelare e salvaguardare le specificità curriculari per l'accesso all'insegnamento della Storia della musica (A053), mediante il riconoscimento di titoli di studio specifici» poiché «a tutt'oggi queste considerazioni sono state puntualmente disattese in virtù della fase transitoria dell'allegato E, nota 4, del DM n. 259 del 9 maggio 2017. Questa fase transitoria, che avrebbe dovuto già concludersi è ancora vigente»;

   parimenti, nella medesima lettera, la Società italiana di musicologia chiede che «venga valutato come unico titolo di accesso alla classe di concorso A053 (Storia della musica) la laurea in Musicologia (LM- 45) o il diploma accademico in Discipline storiche, critiche e analitiche della musica (DCSL-69) dell'AFAM, in quanto solo questi percorsi rispondono alla specificità dell'insegnamento» –:

   se non ritenga opportuno, al fine di evitare nuovi equivoci e nuovi fraintendimenti da parte delle singole istituzioni scolastiche, adottare le iniziative di competenza per chiarire definitivamente che il requisito della laurea in musicologia e beni musicali (laurea magistrale classe LM-45) sia sufficiente all'insegnamento di storia della musica nei licei musicali e coreutici e che solo in caso di possesso di titoli equiparati alla laurea magistrale classe LM-45 ai sensi del decreto ministeriale del 9 luglio 2009 sia necessario congiuntamente il diploma di conservatorio;

   se non intenda adottare le iniziative di competenza per porre fine alla fase transitoria dell'allegato E, nota 4, del decreto ministeriale n. 259 del 9 maggio 2017 valutando come unico titolo di accesso alla classe di concorso A053 (storia della musica) la laurea in musicologia (LM-45) o il diploma accademico in discipline storiche, critiche e analitiche della musica (DCSL-69) dell'Alta formazione artistica e musicale, in quanto solo questi percorsi rispondono alla specificità dell'insegnamento.
(4-07446)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:

   la pandemia si sta accanendo sulle famiglie più fragili e fra queste, in modo particolare, su quelle degli oltre ottocentomila disabili iscritti nelle liste di disoccupazione ai quali gli uffici per il collocamento mirato, istituiti dalla legge n. 68 del 1999, non riescono a procurare alcun inserimento lavorativo;

   lo stato di abbandono che, da alcuni anni, ha colpito questo settore del nostro welfare è comprovato dai dati statistici che vedono ormai il tasso di occupazione dei disabili italiani (30,1 per cento) fra i più bassi d'Europa (media nell'Unione europea, 50 per cento);

   il Parlamento non dispone più neanche dei dati ufficiali per poter valutare l'efficacia dell'attività di questa componente (non marginale) del nostro sistema di welfare ed eventualmente migliorarla. Infatti, nella sezione relativa ai «Documenti parlamentari: i DOC» n. CLXXVIII, sul sito della Camera dei deputati («Relazione sullo stato di attuazione della legge recante norme per il diritto al lavoro dei disabili») non sono presenti documenti: un atto ministeriale dovuto, ai sensi dell'articolo 21 della legge n. 68 del 1999, che rimane lettera morta, al punto che gli ultimi dati di cui dispone il Parlamento, peraltro lacunosi, risalgono al 2015;

   in questo quadro scoraggiante, fra i pochi istituti previsti dalla legge n. 68 del 1999 che oggi funzionano vi è certamente il Fondo, istituito dall'articolo 13, comma 4, della legge n. 68 del 1999 presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, attraverso il quale l'Inps corrisponde incentivi ai datori di lavoro che effettuano assunzioni di lavoratori con disabilità;

   particolarmente significativa è la previsione normativa che dispone un incentivo alle imprese pari al 70 per cento della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, della durata di 60 mesi, per i lavoratori con disabilità intellettiva e psichica che comporti una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45 per cento: questa categoria di disabili, insieme a quella delle persone affette da malattia rara, vanno a formare oggi l'area di disabilità maggiormente penalizzata sul terreno dell'inclusione lavorativa, come peraltro segnalato di recente dall'ordine del giorno in Assemblea 9/02500-AR/105 (Germanà, Lupi e altri), presentato alla Camera l'8 luglio 2020 e accolto dal Governo;

   il suddetto Fondo è stato alimentato, da ultimo, dal decreto interministeriale del 3 luglio 2019, per 19.195.353 euro;

   solo la certezza da parte delle imprese di ricevere i contributi previsti può assicurare l'efficacia dell'istituto, ma tale certezza viene a mancare laddove il Fondo non riesca a soddisfare le domande regolarmente presentate –:

   quale sia lo stato di capienza del Fondo di cui in premessa, quante siano state, per l'anno 2019, le domande pervenute all'Inps dalle imprese e quante di queste siano state evase, quali siano gli andamenti per l'anno in corso e in che data si preveda di emanare il decreto interministeriale per l'anno 2020 al fine di garantire che la capienza del Fondo sia tale da assicurare che tutte le imprese che adempiono ai requisiti richiesti dalla legge possano ricevere l'incentivo su cui hanno fatto affidamento.
(2-01003) «Lupi, Schullian».

Interrogazione a risposta orale:


   MONTARULI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   l'emergenza sanitaria derivante dalla diffusione del virus Covid-19 ha costretto i competenti organi ad assumere importanti decisioni che hanno avuto impatto sul mondo del lavoro, sia del settore pubblico che del settore privato;

   in data 2 marzo 2020 il Governo ha emanato il decreto-legge n. 9, volto ad adottare «Misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da Covid-19» il quale, all'articolo 19, rubricato «Misure urgenti in materia di pubblico impiego», disponeva che «Il periodo trascorso in malattia o in quarantena con sorveglianza attiva, o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva, dai dipendenti delle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, dovuta al COVID-19, è equiparato al periodo di ricovero ospedaliero» per cui, ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche costretti ad assentarsi dal lavoro a causa di malattia conclamata da Covid-19 ovvero a causa di quarantena con sorveglianza attiva o permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva, veniva riconosciuta la mutua senza alcuna decurtazione stipendiale;

   il Parlamento, tuttavia, non ha proceduto alla conversione in legge del decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9 – che è stato abrogato – ma la disposizione sopra citata è comunque stata inclusa nel decreto-legge n. 18 del 2020 – rubricato «Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da Covid-19» e subito ribattezzato come decreto «Cura Italia» – in seguito convertito dalla legge n. 27 del 2020, approvata il 24 aprile 2020;

   proprio l'articolo 87, comma 1, primo periodo, del decreto-legge n. 18 del 2020 prevede quanto sopra riportato, e modifica altresì l'articolo 71, comma 1, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008 (legge Brunetta) disponendo che essendo i casi di malattia conclamata da Covid-19, di quarantena con sorveglianza attiva o permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva equiparati al ricovero ospedaliero, ad essi non viene applicata la decurtazione stipendiale per i primi dieci giorni di mutua;

   tuttavia, in una nota pubblicata dall'Inps in merito al riconoscimento della malattia in caso di quarantena per Covid-19, emergono dei paletti a quanto previsto dal decreto-legge «Cura Italia», dove invece non era previsto alcun limite all'indennità per i lavoratori costretti all'isolamento domiciliare. Dalla nota Inps emerge un principio secondo il quale l'isolamento domiciliare non è automaticamente equiparato alla malattia: il riconoscimento della malattia si ha solo quando la quarantena è decisa da un operatore di sanità pubblica, mentre nei casi di ordinanze o provvedimenti emessi da autorità amministrative che di fatto impediscano ai soggetti di svolgere la propria attività lavorativa non è possibile procedere con il riconoscimento della tutela della quarantena (che prevede appunto l'equiparazione della quarantena con sorveglianza attiva alla malattia), in quanto si rende necessario un provvedimento dell'operatore di sanità pubblica (Asl, medico di medicina generale, ospedale);

   tale logica, ad avviso dell'interrogante, contrasta con il buon senso e penalizza economicamente il lavoratore diligente che, essendo venuto a contatto con soggetto Covid positivo, si assenta dal lavoro per isolamento fiduciario. Si aggiunga, inoltre, che in molti casi è proprio l'autorità amministrativa (esempio comuni o regioni) a decretare la quarantena ed imporre al lavoratore di procedere all'isolamento, ma anche in questi casi l'Inps ritiene che il lavoratore non possa accedere alla tutela della malattia, in quanto solo gli operatori di sanità pubblica sono titolati ad imporre la quarantena –:

   quali urgentissime iniziative il Governo intenda adottare per salvaguardare e garantire la piena indennità economica ai lavoratori costretti all'isolamento fiduciario, seppur in assenza di provvedimento da parte degli operatori di sanità pubblica.
(3-01880)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FURGIUELE, DURIGON e GERARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   è del 2 novembre 2020 la notizia che l'azienda Abramo Customer Care ha chiesto al Tribunale di Roma il concordato preventivo;

   l'annuncio arriva come una doccia fredda per gli oltre 3 mila occupati, di cui più della metà in Calabria (circa 1.200 nel sito di Crotone);

   secondo quanto riferito dai sindacati in una nota, la scelta rappresenta «il culmine di un insieme di incertezze sul futuro che a partire da gennaio scorso hanno visto generare forti preoccupazioni tra i lavoratori» e l'azienda «riconduce tutte le responsabilità di questo rocambolesco cambiamento ad un dietrofront da parte delle banche e della finanza che hanno, a suo dire, abbandonato il progetto nelle ultime settimane»;

   stando sempre alle fonti di stampa, l'azienda nei giorni scorsi avrebbe comunicato ai propri dipendenti – 3.000 tra Calabria, Lazio e Sicilia – l'impossibilità a pagare interamente lo stipendio di settembre;

   la situazione di crisi socio-economica generata dall'emergenza epidemiologica da Covid-19 sta già creando una sorta di incertezza generale per tutti i lavoratori; specificatamente per i dipendenti dell'Abramo il rischio di perdita del posto di lavoro significherebbe assestare un colpo definitivo al sistema produttivo calabrese –:

   se e quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, il Governo intenda assumere celermente con riguardo a quanto esposto in premessa e, in particolare, se non ritenga opportuno avviare tempestivamente un tavolo istituzionale di crisi che, attraverso il coinvolgimento delle committenze, possa addivenire ad una soluzione di salvaguardia dei livelli occupazionali.
(5-04968)


   MURELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   è notizia recente quella della chiusura a Piacenza della sede cittadina di «Servizi Italia spa», azienda che si occupa di lavaggio di biancheria ospedaliera;

   la chiusura comporta il trasferimento fuori provincia di 58 dipendenti – 56 a tempo indeterminato, di cui 45 donne e 11 uomini – che verrebbero trasferiti per il 65 per cento nella sede di Castellina di Soragna e per il 35 per cento in quella di Bolzaneto, entro la fine dell'anno;

   la notizia sembra giunta come un fulmine a ciel sereno per i lavoratori, per i quali, stando alla denuncia sindacale, si tratterebbe di un «licenziamento mascherato», giacché, inevitabilmente, il trasferimento comporta rilevanti cambiamenti nella vita familiare e quotidiana, con il rischio per molti di rifiutarlo;

   detta decisione oltre che preoccupare amareggia fortemente gli interessati, considerato che tali persone sono le stesse che nei mesi di lockdown totale, nel pieno della prima ondata di emergenza epidemiologica da Covid-19, hanno rischiato la propria salute pur di garantire il lavaggio di tutte le lenzuola dei reparti, delle divise di medici, infermieri e operatori del 118, al fine di consentire ai sanitari di svolgere il loro lavoro in sicurezza;

   per i sindacati la responsabilità ricade sul sistema «malato» delle gare di appalto al massimo ribasso, che, di fatto, penalizza le realtà più serie e finisce con il far prevalere le ragioni finanziarie sulla vita delle persone e sulle concrete esigenze dei territori;

   Servizi Italia spa di Piacenza è una realtà produttiva dal 2012 che ha sempre avuto performance positive; appare, pertanto, ingiustificata la scelta di procedere a chiusure e tagli alla prima semestrale negativa, senza valutare soluzioni alternative –:

   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare con riguardo a quanto esposto in premessa, al fine di salvaguardare i livelli occupazionali nel territorio piacentino e porre un freno allo spopolamento produttivo in atto a Piacenza già da tempo.
(5-04969)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PEZZOPANE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   la categoria dei bagnini, pur essendo lavoratori stagionali a tutti gli effetti si troverebbe in una situazione drammatica, essendo esclusa finora dalle misure messe in campo dal Governo, in particolare per quanto riguarda l'accesso ai cosiddetti bonus stagionali;

   da comunicati stampa di organizzazioni sindacali e in particolare della Filcams Cgil Teramo si apprende che finora non c'è stata nessuna indennità per i circa 200 bagnini della costa teramana, pur essendo lavoratori stagionali a tutti gli effetti. Le cooperative di cui sono dipendenti, infatti, non hanno i settori ateco di riferimento previsti dalla circolare dell'Inps n. 49 del 2020, la circolare che definiva quali lavoratori avevano il diritto di percepire il bonus stagionali;

   si è dunque creata situazione paradossale che mette in crisi lavoratori che devono affrontare una stagione anomala tra incertezze e responsabilità raddoppiate, non avendo ancora una data di inizio per la stagione;

   fino alla passata stagione dal 1o giugno tutti i bagnini entravano in servizio, mentre per quanto riguarda la stagione attuale si parla, forse, di un inizio della ripresa delle attività lavorative per il 15 o 20 giugno –:

   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato per sanare questa situazione, includendo nell'accesso al «bonus» questi lavoratori che hanno una caratterizzazione inequivocabile di stagionalità, e quali iniziative intenda adottare per assicurare la presenza della figura del bagnino, vista l'importanza del suo ruolo per la tutela e la sicurezza di chi vive le spiagge durante l'estate.
(4-07431)


   VARRICA e MANZO. – Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:

   il Governo ed in particolare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali ha testimoniato una grande attenzione nei confronti dei lavoratori stagionali, nella consapevolezza che la crisi sanitaria legata al COVID-19 avrebbe compromesso – in parte o in tutto – le loro prospettive occupazionali, in particolare nei settori, direttamente o indirettamente, interessati dai flussi turistici;

   principale espressione di questa consapevolezza sono stati gli interventi nel decreto-legge «Cura Italia» e nel decreto-legge «Rilancio» a tutela dei lavoratori stagionali nel settore turismo e in tutti gli altri settori;

   in fase di attuazione sono state riscontrate delle criticità legate al fatto che numerosi lavoratori avevano sottoscritto contratti a tempo determinato, invece di contratti stagionali, come previsto dal nostro ordinamento; per ciò che riguarda questi frequenti casi il Ministro interrogato ha annunciato un prossimo decreto interministeriale nel solco dell'articolo 44 del decreto «Cura Italia», finalizzato a sostenere i lavoratori stagionali «de facto» nel settore turistico, anche in presenza di contratti a tempo determinato nell'ultimo biennio;

   quest'ultimo intervento garantirebbe una soluzione pressoché completa del problema, restando necessario esclusivamente l'ampliamento di tale forma di sostegno a quei lavoratori, stagionali «de facto», e a coloro che abbiano operato in settori non riconosciuti in senso stretto nell'ambito turistico ma che dipendono strettamente dai flussi turistici ed in particolare nell'ambito dei trasporti (aeroportuale, marittimo, su strada);

   a prescindere dal meritorio intervento del Governo finora, risulta necessario valutare la forma di sostegno a questi lavoratori alla luce della stagione compromessa (in tutto o in parte) e quindi del rischio di non riuscire ad accedere alla Naspi –:

   se si intendano adottare iniziative per estendere il sostegno già previsto o annunciato anche ai lavoratori stagionali «de facto» (anche con contratti a tempo determinato) che hanno operato in settori non formalmente turistici ma che dipendono strettamente dai flussi turistici ed in particolari quelli dei trasporti (aeroportuale, marittimo, su strada);

   se si intendano adottare iniziative per garantire ulteriore sostegno ai lavoratori stagionali che non riusciranno ad accedere alla Naspi a causa della riduzione dei flussi turistici per l'anno 2020.
(4-07432)


   MULÈ. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 103-bis del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77 (cosiddetto decreto Rilancio), introdotto nel corso dei lavori alla Camera dei deputati a seguito dell'approvazione di un emendamento presentato dall'interrogante, autorizza la spesa di 6 milioni di euro per l'anno 2020 in favore dei lavoratori frontalieri residenti in Italia, che svolgono la propria attività nei Paesi confinanti o limitrofi ai confini nazionali ovvero operanti nei Paesi confinanti o limitrofi extra-Unione europea;

   la disposizione citata prevede altresì che, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in questione sono stabiliti i criteri per il riconoscimento del beneficio nel rispetto del limite di spesa previsto;

   nonostante siano ampiamente trascorsi i trenta giorni previsti dalla norma, il decreto attuativo citato non è stato ancora emanato, continuando a provocare notevoli disagi ai lavoratori frontalieri;

   a tal proposito, il 5 novembre 2020, l'interrogante ha svolto una interrogazione a risposta immediata (5-04948) in XI Commissione chiedendo chiarimenti al Ministero del lavoro e delle politiche sociali circa le tempistiche di emanazione del decreto attuativo menzionato;

   in tale occasione, il Sottosegretario Stanislao Di Piazza ha affermato che «nella predisposizione del suddetto decreto interministeriale, anche a seguito del confronto con la Direzione Centrale Ammortizzatori Sociali dell'INPS, sono emerse alcune criticità, legate soprattutto all'esatta individuazione della platea dei beneficiari del contributo e pertanto, gli uffici coinvolti, hanno riscontrato la necessità di ulteriori chiarimenti e approfondimenti»;

   ad avviso dell'interrogante, è intollerabile che dopo tre mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, il Governo si sia trincerato dietro quello che appare all'interrogante un linguaggio burocratese, nel tentativo di nascondere la propria incapacità di adempiere ai doveri previsti dalla legge;

   è, altresì, sconcertante che la già conclamata incompetenza e inadeguatezza dell'Inps, a danno dei lavoratori, in un momento di così grande incertezza e difficoltà economica, sia stata purtroppo confermata anche in tale occasione –:

   se il Ministro interrogato non intenda chiarire dettagliatamente quali siano le criticità riscontrate dall'Inps nell'individuazione della platea dei beneficiari del contributo previsto dall'articolo 103-bis del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, precisando con quali tempistiche intenda emanare il decreto previsto dalla normativa appena citata.
(4-07433)

POLITICHE GIOVANILI E SPORT

Interrogazione a risposta immediata:


   LOLLOBRIGIDA, MELONI, ALBANO, BELLUCCI, BIGNAMI, BUCALO, BUTTI, CAIATA, CARETTA, CIABURRO, CIRIELLI, DEIDDA, DELMASTRO DELLE VEDOVE, DONZELLI, FERRO, FOTI, FRASSINETTI, GALANTINO, GEMMATO, LUCASELLI, MANTOVANI, MASCHIO, MOLLICONE, MONTARULI, OSNATO, PRISCO, RAMPELLI, RIZZETTO, ROTELLI, SILVESTRONI, TRANCASSINI, VARCHI e ZUCCONI. — Al Ministro per le politiche giovanili e lo sport. — Per sapere – premesso che:

   i più recenti provvedimenti governativi emanati per il contrasto alla diffusione del Covid-19 hanno disposto e confermato la sospensione dell'attività per palestre, piscine e tutta l'attività sportiva dilettantistica di base, nonché delle competizioni e degli eventi sportivi, degli sport individuali e di squadra svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato;

   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 24 ottobre 2020, che per primo ha sancito il fermo di tutto il settore sportivo non professionale, è stato emanato dopo appena sei giorni dall'adozione del precedente decreto, che aveva, invece, confermato la possibilità di svolgere attività sportiva;

   appena due giorni prima della chiusura, il 22 ottobre 2020, inoltre, il Dipartimento dello sport aveva approvato il «Nuovo protocollo attuativo delle Linee Guida per l'attività sportiva di base e l'attività motoria in genere», per l'attuazione del quale i centri sportivi, a detta del Presidente del Consiglio, avrebbero avuto a disposizione sette giorni, ma solo due giorni dopo ne è stata, invece, decretata la chiusura totale;

   complessivamente, nel 2020, il settore dello sport ha subito un calo del 70 per cento e un danno economico di 8,5 miliardi, e si prevede che anche il 2021 sarà in perdita, seppure più contenuta rispetto all'anno in corso ma comunque pari ad almeno il 50 per cento;

   le risorse stanziate in favore degli operatori e le società sportivi dal cosiddetto decreto «Ristori» appaiono del tutto insufficienti, posto che per gli operatori sportivi, che ammontano a oltre un milione di persone, destina 124 milioni che bastano a coprire appena 155.000 mila indennità da 800 euro previste, mentre i cinquanta milioni destinati alle società sportive dilettantistiche, laddove confermati, si risolveranno in meno di mille euro per ciascuna società o associazione;

   il 19 ottobre, appena cinque giorni prima che il Governo deliberasse la chiusura di palestre, piscine e impianti sportivi, il Ministro interrogato ha dichiarato che «nessuna evidenza scientifica denuncia focolai in relazione all'allenamento individuale nei luoghi controllati. Sarebbe stato peggio spingere migliaia di appassionati e di giovani nei parchi cittadini piuttosto che proseguire in luoghi che rispettano regole e protocolli» –:

   quali novità, aventi validazione scientifica e non emotiva, e talmente rilevanti siano intervenute tra il 19 e il 24 ottobre da spingere il Governo a cambiare radicalmente le pregresse decisioni, sospendendo in modo generalizzato, nonostante le verifiche condotte dai NAS attestassero il pieno rispetto delle normative e delle linee guida vigenti, la quasi totalità delle attività sportive, creando un danno ingentissimo alle società e associazioni e a tutti gli operatori del settore.
(3-01890)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta immediata:


   BOLOGNA, ROSPI e LONGO. — Al Ministro per la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   durante la prima fase della pandemia Covid-19 il lavoro agile, definito dall'articolo 18 della legge 22 maggio 2017, n. 81, ha rappresentato una valida soluzione al duplice fine di ridurre il rischio di contagio e mantenere in attività numerose realtà lavorative;

   dopo i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri del 13 ottobre e del 18 ottobre 2020, con cui si incentiva il lavoro agile per garantire quanto stabilito dall'articolo 263, comma 1, del decreto-legge n. 34 del 2020 (decreto «rilancio»), il 19 ottobre 2020 il Ministro interrogato ha firmato un decreto che regola il lavoro agile nel pubblico impiego nella presente fase di emergenza sanitaria, quindi fino al 31 dicembre 2020;

   nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 novembre 2020 si stabilisce che i datori di lavoro pubblici limitano la presenza del personale nei luoghi di lavoro per assicurare esclusivamente le attività che ritengono indifferibili e che richiedono necessariamente tale presenza anche in ragione della gestione dell'emergenza: il personale non in presenza presta la propria attività in modalità agile;

   secondo i dati recentemente presentati dall'Osservatorio smart working della School of Management del Politecnico di Milano, nella fase più acuta dell'emergenza circa un terzo dei lavoratori dipendenti italiani è passato al lavoro agile, con miglioramento delle competenze digitali dei dipendenti e il ripensamento dei processi aziendali;

   l'Istat, nel rapporto 2020, ha sottolineato come l'esperimento del lavoro agile abbia messo in evidenza le potenzialità dello strumento in termini di riduzione dei tempi di spostamento e stress psico-fisico, riduzione del rischio di incidenti stradali e dell'inquinamento ambientale;

   secondo un sondaggio della Fondazione studi dei consulenti del lavoro, nel privato quasi 8 imprenditori su 10 provano diffidenza verso lo smart working: è quindi ancora ampia la resistenza di molti imprenditori italiani, legati al bisogno di controllo e mancanza di fiducia, alla difficoltà di condividere gli obiettivi e di delegare e alla capacità di comunicazione;

   Stato, imprese e sindacati devono affrontare e sostenere questa nuova modalità di lavoro per non disperdere l'esperienza di questi mesi e implementare il nuovo modello organizzativo –:

   se il Ministro interrogato, per quanto di competenza, di concerto con le organizzazioni sindacali, non ritenga necessario predisporre per il futuro un indirizzo politico che regolamenti le modalità, l'uso degli strumenti informatici, la sicurezza, l'organizzazione e gli obiettivi, le modalità di controllo, l'adozione di un codice disciplinare che garantisca il diritto alla disconnessione dei lavoratori nell'ambito della contrattazione collettiva nazionale.
(3-01885)

Interrogazione a risposta orale:


   GALLO, DEL MONACO, VILLANI, NAPPI, NESCI, MANZO e BUOMPANE. — Al Ministro per la pubblica amministrazione, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il dottor Francesco Pignatelli, nella notte tra il 6 e il 7 luglio 2018, decise di festeggiare la propria nomina a primario, chiudendo l'unità operativa di chirurgia vascolare dell'Ospedale del Mare dell'Asl Napoli 1 Centro e trasferendo senza permesso quattro pazienti in altro reparto, per consentire a medici e infermieri di partecipare alla festa organizzata in un locale a Pozzuoli;

   l'allora Ministro della salute, Giulia Grillo, inviò propri ispettori al suddetto ospedale al fine di verificare quanto accaduto, i quali constatarono varie irregolarità;

   a seguito del fatto, venne disposta la revoca della nomina a primario del dottor Pignatelli il quale fece ricorso davanti ai giudici del lavoro, perdendo la causa;

   inoltre, a seguito di procedimento disciplinare, nel novembre 2018, Pignatelli è stato sospeso per 6 mesi dal servizio;

   nell'aprile dell'anno seguente, invece, è giunta la notizia del suo probabile rinvio a giudizio per reato di interruzione di pubblico servizio; procedimento di cui, tuttavia, non si conosce l'esito e che, in caso di condanna in via definitiva potrebbe comportare anche il licenziamento;

   nonostante tutto ciò il dottor Francesco Pignatelli è stato nominato con delibera del direttore generale dell'Asl Napoli 3 Sud n. 640 del 10 settembre 2020 quale primario di chirurgia generale area Vesuviana, nei presidi ospedalieri di Torre del Greco e Boscotrecase;

   non è chiaro come tale nomina possa essere regolarmente avvenuta in quanto, come recentemente dichiarato dall'Asl Napoli 3, tale procedura di nomina non era in essere ed era attiva una convenzione tra l'Asl stessa e l'ospedale Moscati di Avellino per attingere dirigenti medici di chirurgia vascolare;

   molti dubbi desta, inoltre, la sorprendente tempistica di tale nomina, che, generalmente, richiede tempi mediamente più lunghi, soprattutto in un periodo molto critico come quello che si sta vivendo, con un'allarmante impennata della curva dei contagi da Covid-19 e le gravissime ricadute sulla tenuta del sistema sanitario nazionale, e campano in particolare;

   così come vi sono dubbi sul rispetto dell'attuale normativa a livello nazionale e regionale in tema di requisiti per la nomina primario, incluso il decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, recante «Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute», per quanto riguarda la procedura di nomina dei direttori di struttura complessa;

   non è chiaro, inoltre, se il conferimento dell'incarico al dottor Francesco Pignatelli sia compatibile con la sanzione disciplinare ricevuta nel 2018;

   a prescindere dalla compatibilità con la normativa vigente, secondo gli interroganti la vicenda mostra quanto sia attuale e urgente il tema della separazione netta e chiara tra politica e sanità, in particolare per il conferimento di incarichi dirigenziali;

   infine, non si può non evidenziare come questo caso rappresenti un pericoloso precedente, in cui, nonostante siano stati accertati gravi illeciti a carico di una persona, questa sia riuscita a raggiungere cariche apicali, e ben retribuite, all'interno dell'amministrazione pubblica –:

   se, per quanto di competenza, i Ministri interrogati non ritengano opportuno assumere iniziative, anche di carattere ispettivo, in ordine alla piena regolarità nella nomina del dottor Francesco Pignatelli;

   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare, per quanto di competenza, al fine di garantire l'assoluta trasparenza, la corretta applicazione della legge e dei principi di buon andamento e di imparzialità dell'amministrazione, in relazione alla vicenda descritta in premessa, considerati i criteri di trasparenza e meritocrazia che dovrebbero caratterizzare l'operato delle aziende sanitarie.
(3-01891)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:

   con la circolare n. 17167 del 21 agosto 2020 recante «Indicazioni operative per la gestione di casi e focolai di SARS-CoV-2 nelle scuole e nei servizi educativi dell'infanzia», successivamente approvata dalla Conferenza unificata, nella seduta del 28 agosto 2020, richiamata dall'articolo 1, comma 4, lettera a), del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 settembre 2020, si forniscono chiarimenti in merito agli attestati di guarigione da Covid-19 o da patologia diversa da Covid-19 per alunni e personale scolastico;

   successivamente, con circolare 0030847-del 24 settembre 2020 sono stati forniti ulteriori chiarimenti in merito agli attestati di guarigione da Covid-19 o da patologia diversa da Covid-19 per alunni/personale scolastico;

   in dette circolari sono rappresentati gli scenari più frequenti rispetto al verificarsi di casi e\o focolai da Covid-19 nelle scuole e le conseguenti indicazioni sia per il contenimento dell'epidemia che per garantire la continuità in sicurezza delle attività didattiche ed educative;

   in particolare, le indicazioni riguardano quattro scenari, che concorrono a definire un «caso sospetto», anche sulla base della valutazione del medico curante (pediatra di libera scelta/medico di medici generale):

    a) caso in cui un alunno presenti un aumento della temperatura corporea al di sopra di 37,5°C o sintomatologia compatibile con Covid-19, in ambito scolastico;

    b) caso in cui un alunno presenti un aumento della temperatura corporea al di sopra di 37,5°C o sintomatologia compatibile con Covid-19, presso il proprio domicilio;

    c) caso in cui un operatore scolastico presentii un aumento della temperatura corporea al di sopra di 37,5°C o sintomatologia compatibile con Covid-19 in ambito scolastico;

    d) caso in cui un operatore scolastico presenti un aumento della temperatura corporea al di sopra di 37.5°C o sintomatologia compatibile con Covid-19, al proprio domicilio;

   in presenza di sintomatologia sospetta, il pediatra di libera scelta (Pls)/medico di medicina generale (Mmg), richiede tempestivamente il test diagnostico e lo comunica al dipartimento di prevenzione (DdP), o al servizio preposto sulla base dell'organizzazione regionale;

   il DdP, o il servizio preposto sulla base dell'organizzazione regionale, provvede all'esecuzione del test diagnostico. Se il caso viene confermato, il DdP si attiva per l'approfondimento dell'indagine epidemiologica e le procedure conseguenti;

   si sottolinea che gli operatori scolastici e gli alunni hanno una priorità nell'esecuzione dei test diagnostici;

   le indicazioni previste, dunque, riguardano una serie di scenari, che concorrono a definire un «caso sospetto», anche sulla base della valutazione del medico curante;

   in presenza di sintomatologia dubbia, il pediatra di libera scelta o il medico di medicina generale, richiedono tempestivamente il test diagnostico comunicandolo al servizio preposto sulla base dell'organizzazione regionale;

   lo studente o il lavoratore saranno obbligati a casa fino a guarigione clinica seguendo le indicazioni del Pls/Mmg che redigerà una certificazione per autorizzarli al rientro attestando l'esecuzione del percorso diagnostico/terapeutico e di prevenzione per Covid-19, come disposto da documenti nazionali e regionali;

   allo stato, dunque, studenti e lavoratori, per una patologia da raffreddamento, saranno costretti a restare a casa dai sette ai dieci giorni ovvero fino a guarigione completa e non prima dell'esito negativo di un test diagnostico di difficile esecuzione viste le lunghe liste d'attesa –:

   se il Ministro interpellato sia a conoscenza della suindicata situazione e quali iniziative di competenza intenda adottare per:

    a) ottimizzare i tempi di risposta dei test effettuati presso Asl e strutture private;

    b) consentire un facile e rapido accesso ai test diagnostici e specificarne la sensibilità e attendibilità;

    c) identificare, implementare e approvvigionare i soggetti autorizzati con test rapidi, affidabili, da utilizzare anche presso gli studi medici, ai fini della certificazione che i pediatri di libera scelta e i medici di medicina generale devono redigere per il rientro a scuola.
(2-00998) «Nappi, Provenza, Ruggiero, Sapia, Sarli, Massimo Enrico Baroni, D'Arrando, Ianaro, Lapia, Lorefice, Mammì, Nesci, Menga, Sportiello».

Interrogazioni a risposta immediata:


   MOLINARI, INVERNIZZI, FURGIUELE, ANDREUZZA, BADOLE, BASINI, BAZZARO, BELLACHIOMA, BELOTTI, BENVENUTO, BIANCHI, BILLI, BINELLI, BISA, BITONCI, BOLDI, BONIARDI, BORDONALI, CLAUDIO BORGHI, BUBISUTTI, CAFFARATTO, CANTALAMESSA, CAPARVI, CAPITANIO, CASTIELLO, VANESSA CATTOI, CAVANDOLI, CECCHETTI, CENTEMERO, CESTARI, COIN, COLLA, COLMELLERE, COMAROLI, COMENCINI, COVOLO, ANDREA CRIPPA, DARA, DE ANGELIS, DE MARTINI, D'ERAMO, DI MURO, DI SAN MARTINO LORENZATO DI IVREA, DONINA, DURIGON, FANTUZ, FERRARI, FIORINI, FOGLIANI, LORENZO FONTANA, FORMENTINI, FOSCOLO, FRASSINI, GALLI, GARAVAGLIA, GASTALDI, GAVA, GERARDI, GIACCONE, GIACOMETTI, GIGLIO VIGNA, GIORGETTI, GOBBATO, GOLINELLI, GRIMOLDI, GUIDESI, GUSMEROLI, IEZZI, LATINI, LAZZARINI, LEGNAIOLI, LIUNI, LOCATELLI, LOLINI, EVA LORENZONI, LOSS, LUCCHINI, MACCANTI, MAGGIONI, MANZATO, MARCHETTI, MATURI, MINARDO, MOLTENI, MORELLI, MORRONE, MOSCHIONI, MURELLI, ALESSANDRO PAGANO, PANIZZUT, PAOLIN, PAOLINI, PAROLO, PATASSINI, PATELLI, PATERNOSTER, PETTAZZI, PIASTRA, PICCHI, PICCOLO, POTENTI, PRETTO, RACCHELLA, RAFFAELLI, RIBOLLA, RIXI, SALTAMARTINI, SASSO, STEFANI, SUTTO, TARANTINO, TATEO, TIRAMANI, TOCCALINI, TOMASI, TOMBOLATO, TONELLI, TURRI, VALBUSA, VALLOTTO, VINCI, VIVIANI, RAFFAELE VOLPI, ZICCHIERI, ZIELLO, ZOFFILI e ZORDAN. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   le vicende relative alla gestione commissariale della sanità calabrese hanno assunto, negli ultimi giorni, contorni grotteschi, quasi surreali, aggravati dallo scaricabarile del Governo sulle rispettive responsabilità;

   la scintilla scocca con la trasmissione «Titolo V» che ha visto protagonista l'ormai ex commissario alla sanità calabrese, Cotticelli, il quale è apparso totalmente impreparato innanzi alle telecamere: non ha saputo rispondere alla domanda sul numero dei posti di terapia intensiva attivati nella regione e neanche a quella su a chi fosse attribuito il compito di predisporre il piano regionale anti-Covid (per poi scoprire, durante l'intervista, che il piano in questione avrebbe dovuto predisporlo – e, in effetti, sembrerebbe lo abbia predisposto – proprio lui stesso);

   l'ex commissario – che nel frattempo sta «cercando di capire con un medico» cosa sia successo – dopo essersi dimesso, ha partecipato anche alla trasmissione «Non è l'Arena» su La7, dichiarando «Io non so in quel momento che cosa mi sia successo, la mia famiglia non mi ha riconosciuto. Io stesso non connettevo. Il piano anti-Covid l'ho fatto io!»;

   l'assurdità, per gli interroganti, è l'operato del Governo, che non aveva mai sollevato obiezioni sulla gestione del commissario, riconfermandolo, piuttosto, pochi giorni prima dell'intervista, per altri due anni, salvo poi accanirsi su di lui e procedere all'immediata sostituzione con un'altrettanta controversa figura;

   la nomina del neo commissario Zuccatelli, infatti, già al centro di polemiche per un presunto debito da 100 milioni di euro dell'Azienda Mater Domini, oltre che per alcune affermazioni sull'inutilità delle mascherine e sulle modalità di trasmissione del virus – «15 minuti con la lingua in bocca» –, ha carattere evidentemente politico (nel 2018, Zuccatelli si candidò con Liberi e Uguali) e risulta oggettivamente inadeguata, esattamente come il suo predecessore, all'incarico e, ancor di più, a garantire il cambio di rotta di cui la sanità calabrese ha urgente bisogno;

   ai sensi del decreto-legge n. 34 del 2020 – si evidenzia – i soggetti responsabili, rispettivamente, dell'approvazione e dell'attuazione dei piani anti-Covid, «garantendo la massima tempestività e l'omogeneità territoriale», sono il Ministro della salute e il Commissario straordinario Arcuri (art. 2, commi 8 e 11), e dunque, ad essi sarebbe imputabile in primis il mancato potenziamento delle strutture ospedaliere calabresi –:

   quali siano le responsabilità del Governo centrale nei ritardi accumulati nell'attuazione del piano regionale anti-Covid, ove tale piano sussista realmente, e come intenda garantire alla regione Calabria una figura di commissario super partes e competente, chiarendo in particolare se intenda sostituire Zuccatelli con Gino Strada.
(3-01883)


   CANNIZZARO, MARIA TRIPODI, TORROMINO, D'ETTORE, GELMINI e OCCHIUTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il 3 novembre 2020 è stato approvato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che ha istituito le zone differenziate per tutto il territorio nazionale. In base all'ordinanza del 4 novembre del Ministro interrogato è stata decretata zona rossa la regione Calabria, dove tuttora è vigente la gestione commissariale prevista dal decreto-legge n. 35 del 2019, con cui si è proceduto a un sostanziale azzeramento di qualsivoglia ruolo della regione nella gestione del servizio sanitario;

   la gestione commissariale, affidata al generale Cotticelli, nominato dal Governo Conte nel 2019 su indicazione dell'allora Ministro della salute Grillo, ha avuto una durata di 22 mesi, ed è risultata colpevolmente inefficiente e inadeguata anche in conseguenza, secondo gli interroganti, del mancato controllo dell'operato del commissario da parte del Governo;

   il 7 novembre 2020 è stato nominato commissario ad acta Giuseppe Zuccatelli, in sostituzione di Cotticelli, dimissionario in seguito all'ammissione, in un'imbarazzante intervista televisiva, di non essere a conoscenza delle disposizioni del Governo né tantomeno di essere stato incaricato anche del programma operativo per la gestione dell'emergenza Covid;

   il neo-commissario Zuccatelli, politicamente vicino al Ministro interrogato, già faceva parte della struttura commissariale e dell'organizzazione sanitaria calabrese. Poche ore dopo la sua nomina finiva all'attenzione delle cronache per sue affermazioni del maggio 2020 (in pieno lockdown) tra le quali: «Non c'è nessuna necessità di utilizzare le mascherine e, soprattutto, per infettarsi bisogna baciarsi per almeno 15 minuti»;

   tutto ciò solleva dubbi e perplessità sull'adeguatezza e opportunità della nomina del dottor Zuccatelli, stante la grave emergenza sanitaria che crea preoccupazione e forti disagi nel territorio calabrese;

   ad avviso degli interroganti, per incompetenza e per incuria, sia da parte dell'ex commissario Cotticelli che del Governo centrale, la Calabria è stata di fatto lasciata senza difese, senza il piano anti-Covid –:

   perché non sia stata attentamente monitorata la situazione emergenziale della sanità in Calabria gestita dall'ex commissario Cotticelli, che ha portato tra l'altro alla mancata predisposizione del piano anti-Covid necessario per organizzare gli interventi volti ad affrontare la pandemia in atto, e se il Governo intenda avviare il procedimento di revoca dall'incarico conferito al dottor Zuccatelli, anch'egli già facente parte della gestione commissariale calabrese, risultando secondo gli interroganti identicamente responsabile dei pessimi risultati dell'organizzazione sanitaria, considerati anche i sopravvenuti motivi di interesse pubblico, al fine di individuare un nominativo, anche sentita la regione, che possa con immediatezza, competenza ed autorevolezza occuparsi della sanità calabrese e dell'emergenza.
(3-01884)

Interrogazione a risposta orale:


   VALLASCAS. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   nelle ultime settimane, alcuni organi di stampa della Sardegna avrebbero ripetutamente riferito delle numerose criticità del sistema sanitario regionale a seguito della seconda ondata di contagi dell'epidemia da Covid-19 che avrebbe determinato una maggiore concentrazione di attenzione e impegno sulla gestione dell'emergenza epidemiologica, lasciando in secondo piano, se non sospendendo del tutto, l'erogazione di servizi e prestazioni sanitarie diverse dall'epidemia;

   questa circostanza avrebbe aggravato oltremisura una situazione già difficile della sanità sarda che si sarebbe prodotta per effetto delle difficoltà registrate a inizio estate, all'indomani della conclusione del periodo di lockdown, fase che avrebbe registrato numerosi ritardi nella ripresa delle normali attività e con gravi problemi nello smaltimento delle lunghe liste d'attesa sospese per tutto il periodo dell'emergenza;

   secondo quanto riporta il quotidiano L'Unione sarda del 28 ottobre 2020, la Società italiana medicina d'emergenza-urgenza (Simeu) avrebbe denunciato la situazione drammatica dei pronto soccorso della Sardegna. In particolare, secondo l'associazione «I servizi non sono stati riorganizzati dopo la prima ondata dell'epidemia, nulla è stato fatto in termini di interventi strutturali e di potenziamento di organici, e ora siamo del tutto impreparati [...] non c'è stata adeguata preparazione per affrontare questa seconda ondata» nonostante ci fossero «le risorse del decreto Rilancio, molte risorse, per fare interventi seri, ma passato il periodo difficile della prima fase, tutto è rimasto identico al passato»;

   questa situazione riguarda tutta la Sardegna una molteplicità di servizi e prestazioni sanitarie: il quotidiano La Nuova Sardegna del 12 ottobre 2020 avrebbe riferito che «La sanità sassarese continua ad arrancare dietro le liste d'attesa. Da una parte c'è il tentativo di recuperare una valanga di prestazioni saltate durante il lockdown, dall'altra ci sono le agende che continuano a riempirsi di nuove prenotazioni»;

   è il caso di riferire che per un esame programmato (senza l'urgenza), il paziente sembra sia costretto ad attendere oltre un anno: «per le visite oculistiche gli elenchi sono chiusi, e quindi risulta impossibile avere una data disponibile nemmeno per il 2022. Stesso identico problema per una spirometria globale o una spirometria semplice e, ancora più grave, agende blindate per le visite pneumologiche»;

   i ritardi o la sospensione dell'erogazione delle prestazioni e dei servizi del sistema sanitario regionale farebbero emergere una situazione di grave disparità di accesso alle cure mediche, circostanza che, oltre a violare il dettato costituzionale, metterebbe in una condizione di serio pericolo tutti coloro che non sarebbero nelle condizioni di affrontare i costi della sanità privata;

   risulterebbe, infatti, che l'accesso alle prestazioni mediche non comporterebbe i medesimi ritardi se erogate a pagamento da strutture private: da quanto riporterebbero alcuni organi di stampa «Ciò che soprattutto salta all'occhio è la velocità differente con la quale marcia la sanità privata e quella pubblica» –:

   quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, per garantire regolarità e adeguati standard nelle prestazioni erogate dal sistema sanitario regionale;

   se non ritenga opportuno, per quanto di competenza, adottare iniziative per verificare le modalità di spesa delle risorse messe a disposizione dal cosiddetto decreto «Rilancio» in ambito sanitario in relazione all'emergenza Covid-19 e se la regione Sardegna abbia adottato idonee misure per fronteggiare la seconda ondata dei contagi, anche al fine di garantire, compatibilmente con l'emergenza, la continuità dell'erogazione delle prestazioni.
(3-01878)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BOLOGNA, ROSPI e RIZZONE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il «Piano nazionale demenze» (Pnd), approvato con accordo del 30 ottobre 2014 dalla Conferenza unificata tra il Governo, le regioni, le province autonome e le autonomie locali, fornisce indicazioni strategiche per la promozione e il miglioramento degli interventi nel settore, con riferimento non soltanto agli aspetti terapeutici specialistici, ma anche al sostegno e all'accompagnamento del malato e dei familiari lungo tutto il percorso di cura;

   a partire da febbraio 2015 l'implementazione del Piano viene monitorata dal «Tavolo di monitoraggio dell'implementazione del Piano nazionale per le demenze (Pnd)», coordinato dal Ministero, che ha lo scopo di rendere in azioni concrete gli obiettivi del Piano stesso;

   il Tavolo, coordinato dalla direzione generale della prevenzione sanitaria, è composto dalle altre direzioni generali direttamente coinvolte, dalle regioni, dall'istituto superiore di sanità, dalle associazioni nazionali dei familiari e utenti. Si avvale della collaborazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonché delle società scientifiche di specifico rilievo per le demenze;

   nonostante il Tavolo non sia mai stato formalizzato, ha comunque prodotto cinque importanti documenti: «Linee di indirizzo sui Pdta», «Linee di indirizzo sui sistemi informativi», «Indicazioni per le comunità amiche della demenza», «Aspetti etici nel governo clinico delle demenze» e «il rapporto Covid-Iss». I primi quattro documenti sono stati anche approvati dalla Conferenza unificata;

   il mancato finanziamento del Piano ne limita molto la diffusione e l'implementazione nei diversi territori: nel contesto internazionale questo rappresenta un «unicum»;

   il Ministero della salute ha individuato oltre 20 progetti, ancora al vaglio dei tavoli tecnici, per il Recovery Fund per un totale di 68 miliardi di euro con cui rinnovare e rilanciare il servizio sanitario nazionale. Molti di questi intercettano il tema delle demenze e sarebbe quindi auspicabile una regia che tenesse in considerazione le demenze e le malattie croniche in generale;

   è da poco iniziato l'iter regolatorio all'Ema di un farmaco per la demenza. L'immissione in commercio di questo anticorpo monoclonale potrà sicuramente avere conseguenze rilevanti nell'organizzazione dei servizi socio-sanitari;

   in Italia è in corso lo studio «Interceptor» sui biomarcatori finanziato da Aifa e Ministero della salute volto ad analizzare il contributo di sei biomarcatori nell'identificare precocemente la forma prodromica di demenza sia per le attuali strategie di contrasto che per la futura prescrizione di farmaci con possibile azione modificante la storia della malattia. Obiettivo di Interceptor è identificare nella popolazione di soggetti con declino cognitivo lieve quelli a maggior rischio di evoluzione verso la malattia di Alzheimer. «Interceptor», si concluderà nel 2023 e il farmaco al vaglio dell'Ema probabilmente sarà già sul mercato;

   è sempre più urgente quindi la definizione di linee guida sulla diagnosi e sul trattamento, farmacologico e non, delle demenze –:

   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno adottare iniziative per procedere all'aggiornamento e al finanziamento del Piano nazionale per le demenze, provvedendo inoltre all'adozione di linee guida sulla diagnosi e sul trattamento delle demenze, al fine di implementare i progetti che saranno finanziati per mezzo del Recovery fund per promuovere la tematica delle malattie croniche in maniera circostanziata e finalizzata.
(5-04965)


   BOLOGNA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   in Italia l'artrite reumatoide colpisce oltre 300 mila soggetti, per il 75 per cento dei casi di sesso femminile e nel pieno della vita attiva. In generale, le malattie reumatiche coinvolgono oltre 5 milioni di italiani di ogni fascia d'età, circa il 10 per cento della popolazione;

   l'artrite reumatoide e l'artrite psoriasica, malattie croniche autoimmuni, sono altamente disabilitanti: evidenze scientifiche dimostrano che entro 10 anni dall'esordio della malattia almeno il 50-60 per cento dei soggetti non è in grado di mantenere un lavoro a tempo pieno e perde la capacità di proseguire la propria attività lavorativa o mantenere le stesse mansioni o lo stesso numero di ore lavorative;

   le patologie reumatologiche più severe, su base autoimmune, sono caratterizzate da cronicità e necessitano di presa in carico continuativa sia per l'evoluzione/follow-up delle stesse, sia per le terapie immunosoppressive alla base dei trattamenti da garantire continuativamente per evitare esiti irreversibili della malattia;

   per la diagnosi e il follow-up sono richiesti normalmente diversi accessi specialistici, ambienti dedicati sia per gli esami di secondo livello — come capillaroscopie ed ecografie articolari eseguite dagli stessi reumatologi — sia per i trattamenti, spesso infusionali, che hanno necessità di stretto monitoraggio, da parte di medici specialisti, durante l'infusione stessa;

   la pandemia da Covid-19 ha avuto forti conseguenze sulla presa in carico dei pazienti, ma l'impatto su quelli reumatologici diventa oggi molto gravoso sia per la natura stessa delle patologie — oltre 120 con bisogni differenti, molte delle quali rare e ultraspecialistiche — sia per la derivazione internistica della specialità reumatologica/immunologica, che vede i professionisti spesso inseriti in strutture non autonome, ma afferenti a dipartimenti internistici oggi impegnati in prima linea nel contrasto alla pandemia;

   le associazioni di pazienti, dall'inizio di questa seconda ondata della pandemia, stanno registrando nuovamente una progressiva chiusura degli ambulatori, dei day hospital e day service, e riduzione di posti letto nei reparti di reumatologia e di medicina, con conseguente e diretto impatto sul numero delle visite e dei trattamenti disponibili; registrano nuovamente anche l'annullamento degli appuntamenti per le terapie e i controlli delle stesse per mezzo di soli messaggi e senza un nuovo appuntamento già definito;

   con la conversione dei reparti reumatologici e l'assegnazione del personale alla gestione dell'emergenza sanitaria viene inoltre a mancare pressoché totalmente la possibilità di interventi specialistici in regime di urgenza. Ciò ha già comportato, e comporterà ancora più spesso, l'implementarsi del rischio di ritardi nella diagnosi della patologia e di conseguenza nella cura dei malati reumatologici con grave pregiudizio per la loro salute;

   il servizio sanitario nazionale è indubbiamente stressato, ma la gestione dell'emergenza da Coronavirus non può condurre nuovamente alla negazione dei bisogni di continuità assistenziale e di interventi specialistici in regime di urgenza degli altri malati;

   occorre, quindi, che vengano garantite cure sicure anche a queste categorie di pazienti cronici, con la disponibilità quotidiana di medici specialisti competenti all'interno delle unità territoriali e dei reparti di reumatologia; occorre inoltre garantire ai lavoratori fragili affetti da malattie croniche la possibilità di fruire di periodi di malattia prolungati o di lavoro agile ove possibile allo scopo di tutelare la sicurezza dei medesimi –:

   quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro interrogato per garantirei presidi ambulatoriali e dei reparti specialistici reumatologici per la gestione delle urgenze specialistiche e la continuità assistenziale attraverso la somministrazione di terapie ospedaliere non differibili, allo scopo di assicurare la stabilizzazione e la remissione di malattia ovvero la sicurezza delle cure e delle persone assistite e se non intenda, di concerto con le altre istituzioni competenti, adottare iniziative per prevedere la concessione di periodi di malattia prolungati o l'obbligatorietà del lavoro agile, ove possibile, per tutelare i pazienti fragili.
(5-04967)


   GEMMATO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto si evince da fonti di stampa pare sussistano evidenti e rilevanti elementi di criticità afferenti all'ospedale di Ostuni che non consentirebbero la presunta programmata conversione del nosocomio in struttura adeguata e funzionale all'accoglienza di pazienti affetti da Covid-19;

   a seguito di una visita, il consigliere regionale pugliese Luigi Caroli di Fdi avrebbe evidenziato, infatti, una serie di gravi mancanze e disfunzioni tra le quali l'assenza dei servizi igienici nelle stanze, che non rispetterebbero una delle principali indicazioni dei protocolli Covid-19 che prescrivono il divieto di utilizzo di servizi in comune nonché la mancanza di un sistema di video sorveglianza che impedirebbe al personale sanitario un monitoraggio costante e continuo dei pazienti. Il consigliere riferisce, tra l'altro, che «...come risultato finale si creerebbe una reale impossibilità alla realizzazione del Punto di primo intervento (succedaneo del Pronto Soccorso, che purtroppo verrebbe chiuso), con evidenti ripercussioni per i servizi ospedalieri dell'intera area nord della Provincia...»;

   la stampa evidenzia che la presunta programmata conversione della struttura sanitaria in ospedale Covid-19 costringerebbe un rilevante numero di pazienti a rivolgersi ad altri ospedali siti nei comuni della provincia (quelli di Brindisi e Francavilla Fontana pare già versino in condizioni critiche) per le cure di patologie diverse causando la relativa saturazione dei posti disponibili;

   le fonti di stampa riferiscono, inoltre, di presunto uso improprio e distrazione di fondi pubblici stanziati per la costruzione della nuova «piastra» afferente alla stessa struttura dell'ospedale di Ostuni che sembra sia in itinere da oltre un decennio. La presunta illegittimità pare sia oggetto di un esposto alla Corte dei conti;

   in particolare, sembra che l'esposto ponga interrogativi sulla «... gestione del procedimento relativo alla progettazione ed all'esecuzione dei lavori relativi alla realizzazione della nuova piastra dell'ospedale di Ostuni» che avrebbe «... comportato spreco di denaro pubblico in spregio alle norme di efficacia ed efficienza della pubblica amministrazione»;

   l'esposto, secondo le fonti di stampa, avrebbe ad oggetto la «...spropositata lievitazione di un programma finanziario di un'opera, ad oggi ancora incompiuta, che, dalla situazione illustrata dal direttore generale, ha determinato una quasi triplicazione della spesa necessaria alla sua ultimazione, passando dagli iniziali circa 5 milioni di euro peraltro, già spesi, agli oltre 12 attuali...»;

   secondo gli elementi evidenziati dall'esposto, pare che risulti grave «...la schizofrenica attività amministrativa posta in essere dagli enti ed organi deputati all'amministrazione della sanità pugliese e brindisina, rea di aver pianificato un ampliamento di un ospedale, spendendo l'ingente quantità di denaro pubblico, salvo, in corso d'opera, temporeggiare o, comunque, omettere di dare compimento ad un'opera che, allo stato attuale, alcuna ragione confacente ai principi di buona amministrazione imporrebbe di lasciare nello stato in cui si trova»;

   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero e, in caso affermativo se il Governo non intenda porre in essere le iniziative di propria competenza, in particolar modo valutando l'opportunità di un intervento dei servizi ispettivi di finanza pubblica volto ad accertare la regolarità della gestione amministrativa e contabile e le modalità di utilizzo delle risorse pubbliche relative alle amministrazioni citate in premessa;

   se la struttura dell'ospedale di Ostuni sia idonea e funzionale e se già disponga di personale sanitario e strumenti adeguati alla citata, eventuale e programmata conversione in struttura per l'accoglienza di pazienti Covid-19 e di quali elementi disponga in ordine al rischio che la stessa conversione determini di fatto la saturazione dei posti disponibili di altre strutture ospedaliere, che sarebbe poi causa di disfunzioni nei processi di cura delle patologie croniche ed acute.
(5-04988)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DE TOMA, RACHELE SILVESTRI e ZENNARO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   le persone con disabilità o i pazienti affetti da patologie invalidanti ed ingravescenti, quali ad esempio la Sla, le patologie oncologiche, quelle reumatologiche o caratterizzate da cronicità anche gravi, necessitano di una presa in carico da parte del sistema sanitario, capace di garantire la continuità assistenziale, anche domiciliare e terapeutica, per evitare esiti irreversibili di malattia o l'aggravamento delle condizioni di disabilità;

   per le patologie cronicizzate, per la diagnosi e il follow-up sono richiesti normalmente diversi accessi specialistici, ambienti dedicati sia per gli esami di secondo livello sia per i trattamenti che hanno necessità di stretto monitoraggio, da parte di medici specialisti, durante la loro somministrazione;

   l'attuale emergenza sanitaria per il contrasto della pandemia Sars-CoV-2, ha richiesto un sacrificio per tutti i pazienti, sla, oncologici, reumatologici e non, che, tuttavia, diventa oggi molto gravoso sia per la natura stessa delle eventuali condizioni di disabilità che delle patologie, molte delle quali rare e ultraspecialistiche, sia per la derivazione internistica della specialità che vede i professionisti spesso inseriti in strutture non autonome, ma afferenti a dipartimenti internistici oggi impegnati in prima linea nel contrasto alla pandemia;

   in particolare, la progressiva chiusura degli ambulatori, dei day hospital e day service, se non di interi reparti anche di reumatologia e di medicina, con conseguente e diretto impatto sul numero delle visite disponibili, nonché l'annullamento degli appuntamenti per le terapie e i controlli delle stesse, ha già comportato, e comporterà ancora più spesso, non solo una lesione del diritto alla salute del paziente ma anche l'implementarsi del rischio di errori nella diagnosi della patologia e, di conseguenza, nella cura dei malati con grave pregiudizio per la loro salute;

   il sistema sanitario è indubbiamente stressato dalla gestione dell'emergenza da Coronavirus, ma non può condurre alla negazione dei bisogni di continuità assistenziale e di interventi specialistici in regime di urgenza di milioni di altri malati, tra cui proprio i pazienti affetti da patologie oncologiche, reumatologiche o da malattie rare, nonché le persone con disabilità grave che devono poter contare, invece, su accessi preferenziali e protetti, tali da garantire loro cure sicure nonché la disponibilità continuativa di medici specialisti competenti all'interno delle unità territoriali;

   l'attuale situazione di emergenza sanitaria richiederebbe che siano rafforzati i servizi sanitari di prossimità, l'accesso e la consegna a domicilio di farmaci necessari ai vari piani terapeutici ma anche il ripristino dei presidi ambulatoriali e dei reparti specialistici reumatologici per la gestione delle urgenze per garantire la continuità assistenziale attraverso la somministrazione delle terapie ospedaliere non differibili allo scopo di assicurare la stabilizzazione e la remissione di malattia;

   nel contempo, alle persone con disabilità grave, nonché a quelle affette anche da patologie oncologiche, reumatologiche e croniche deve essere garantito un servizio di trasporto pubblico accessibile e dedicato tale che sia garantita loro la massima sicurezza per evitare i rischi di contagio da Sars-CoV-2 –:

   se e quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato – ed in caso contrario per quali motivi – al fine di garantire la continuità assistenziale, anche domiciliare e terapeutica, per evitare esiti irreversibili delle patologie oncologiche, reumatologiche o caratterizzate da cronicità anche gravi o l'aggravamento delle condizioni di disabilità e per assicurare, nella gestione dell'emergenza sanitaria da Sars-CoV-2, il diritto alla salute di milioni di altri malati cronici nonché il rispetto dell'articolo 25 della Convenzione delle Nazioni Unite per i diritti delle persone con disabilità, ratificata dall'Italia con la legge 3 marzo 2009, n. 18.
(4-07434)


   FERRO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   con atto di sindacato ispettivo n. 4-01046 dell'11 settembre 2018 l'interrogante denunciava la preoccupante situazione di degrado e illegalità in cui versava il campo rom della città di Lamezia Terme (Catanzaro), in località «Scordovillo», tra i più grandi del Meridione;

   come riportato nell'atto parlamentare, nel mese di giugno 2018, la procura di Lamezia Terme era intervenuta per l'ennesima volta, disponendo 5 arresti e 34 divieti di dimora nel comune di Lamezia Terme, oltre che il sequestro di una società specializzata nel trasporto di rifiuti, la «Beda Ecologia Srl»: l'attività investigativa aveva accertato, infatti, che, in assoluta violazione delle norme ambientali, all'interno del campo rom venivano lavorati rifiuti i cui scarti successivamente venivano sversati lungo la via d'accesso all'accampamento dove, periodicamente, date le considerevoli dimensioni che raggiungeva la discarica abusiva, venivano dati alle fiamme;

   oggi, a distanza di due anni, senza aver ricevuto riscontro alcuno all'interrogazione presentata e senza che si sia proceduto allo sgombero dell'accampamento, nonostante le allarmanti informazioni fornite al Governo, quello stesso campo rom è diventato motivo di preoccupazione per la situazione dei contagi da Covid-19, anche considerata la grave realtà igienico-sanitaria all'interno dell'accampamento: famiglie numerose stipate tra container e baracche, in barba alle norme sul distanziamento sociale;

   nonostante l'attivazione di tutti i protocolli necessari a isolare i soggetti positivi, il rischio, più che concreto, è che tale situazione, in rapida evoluzione, nell'arco di poco tempo possa degenerare ed esplodere in una bomba sanitaria –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere in merito;

   quale sia, ad oggi, la situazione dei contagi da Covid-19 all'interno degli accampamenti rom presenti sul territorio nazionale e se e quali specifici protocolli di contenimento dei contagi il Governo abbia deciso di applicare all'interno degli stessi, considerata la loro peculiarità.
(4-07436)


   BELLUCCI e RAMPELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   la drammaticità della pandemia da Coronavirus, paragonabile ad una calamità naturale, sta mettendo a nudo tutti i problemi del sistema sanitario nazionale: le strutture sanitarie sono nuovamente al collasso, con operatori sanitari costretti a turni di lavoro estenuanti e gli ospedali presi d'assalto ogni giorno da nuovi soggetti positivi e persone che necessitano di cure;

   in tale contesto, forte preoccupazione destano le strutture sanitarie che già prima della pandemia non versavano in buono stato di salute e tra queste, in particolare, l'ospedale Spaziani di Frosinone;

   è di questi giorni la foto-denuncia, riportata dagli organi di stampa locali, che ritrae pazienti anziani, la fascia debole della popolazione che si dovrebbe proteggere più di ogni altra, costretti a mangiare sugli scatoloni nel reparto di infermeria per mancanza di posti e servizi adeguati;

   da tempo era stata denunciata una situazione totalmente fuori controllo presso l'ospedale del capoluogo ciociaro, con foto di pazienti «parcheggiati» nella sala d'attesa e, nonostante la seconda ondata di contagi fosse stata prevista da mesi, il personale sanitario, che sta facendo tutto il possibile per assistere i propri pazienti, è in grave sofferenza;

   l'emergenza sanitaria in corso, però, non può portarci a giustificare le immagini vergognose e inumane che giungono dall'ospedale Spaziani di Frosinone, perché qualunque lacuna del sistema sanitario nazionale, seppure in un momento storico eccezionale, non può tradursi in una violazione della dignità umana e del diritto alla salute dei cittadini –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e accertata la fondatezza e la gravità degli stessi, quali immediate iniziative, per quanto, di competenza, intenda intraprendere per sanare la drammatica situazione dell'ospedale Spaziani di Frosinone, al fine di garantire la migliore assistenza ai pazienti e il diritto alla salute, costituzionalmente garantito.
(4-07447)


   PAITA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   è stato raccomandato di fare il ricorso più ampio possibile ai vaccini anti influenzali, per evitare di sovrapporre e confondere i sintomi dell'influenza stagionale con quelli del Covid-19;

   si è estesa la platea della vaccinazione attraverso i medici di medicina generale, cui possono ricorrere tutte le persone di età superiore ai sessantanni, i bambini tra i sei mesi e sei anni e le persone di qualunque età affette da determinate patologie;

   tuttavia, la vaccinazione è raccomandata anche a tutte le altre persone (non a carico del Servizio sanitario nazionale), che dovrebbero acquistarlo in farmacia;

   in particolare, nella provincia della Spezia, è stato segnalata l'esiguità di vaccini assegnati ai medici di medicina generale che da tempo ne sarebbero sprovvisti;

   appare pressoché impossibile comprare il vaccino presso le farmacie, perché anch'esse non ne avrebbero a disposizione –:

   se risulti anche al Ministro interrogato questa particolare difficoltà dalla provincia della Spezia;

   quanti siano stati i vaccini ordinati per i medici di medicina generale e quanti ne siano stati effettivamente consegnati agli stessi fino a questo momento;

   quanti siano stati i vaccini per cui era stata prevista la distribuzione presso le farmacie e quanti vaccini le stesse abbiano ricevuto fino a questo momento.
(4-07449)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:


   DE CARLO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   Safilo Group S.p.A., Società azionaria fabbrica italiana lavorazione occhiali, è un'azienda italiana attiva nel campo della produzione e distribuzione di occhiali da vista, da sole e sportivi, maschere da sci e caschi da sci e bici, con sede amministrativa a Padova. Gli stabilimenti produttivi si trovano a Santa Maria di Sala, Longarone, Martignacco, Ormoz, Salt Lake City e Suzhou;

   l'azienda, con l'approvazione del nuovo piano quinquennale, ha annunciato la chiusura dello stabilimento di Martignacco e 700 esuberi, 400 dei quali previsti nello stabilimento di Longarone. I dipendenti dello stabilimento di Martignacco hanno ricevuto la notizia attraverso un messaggio sul cellulare che riportava il testo di un comunicato stampa di un sindacato;

   la crisi aziendale è dovuta alle perdite di diverse licenze negli ultimi anni. I mancati rinnovi di alcuni contratti, subiti negli anni passati, come con Armani e Gucci, hanno certamente contribuito alla crisi dell'azienda e l'uscita delle licenze del lusso Lvmh potrebbe creare problemi rilevanti nei prossimi anni;

   secondo il Consiglio di amministrazione è necessario un piano di trasformazione, riorganizzazione e ristrutturazione industriale capace di rispondere prontamente al nuovo scenario produttivo. Per tali ragioni è stato aperto un tavolo negoziale con i sindacati al fine di individuare gli ammortizzatori sociali disponibili per limitare gli impatti coinvolti;

   la trasformazione digitale prevista comporta però un enorme ridimensionamento delle attività italiane. Sembrerebbe infatti che il centro di produzione di Santa Maria di Sala sia l'unico con tecnologie all'avanguardia, mentre quello di Longarone sia il più forte nel settore metallico (sottoposto anch'esso a un grande ridimensionamento);

   in provincia di Udine, inoltre, era già stato chiuso il centro di produzione di Precenicco e la sede di Martignacco aveva assorbito molti dei lavoratori licenziati nelle crisi del 2009 che, però, sono fortemente diminuiti in questi anni passando da 700 a 250;

   nella giornata di venerdì 13 dicembre 2019 è stato indetto uno sciopero in tutte le sedi dell'azienda. Il personale licenziato nella sede di Martignacco, con un alto livello di know how e competenze tecniche si ritrova, dopo anni di lavoro nell'azienda, senza alcun futuro. Il timore è che Safilo voglia spostare gradualmente tutta la produzione all'estero –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non intenda istituire un tavolo istituzionale presso il Ministero dello sviluppo economico al fine di poter intervenire tempestivamente e tutelare i lavoratori che si sono ritrovati senza alcun preavviso in situazioni fortemente critiche, nonché per salvaguardare le produzioni degli stabilimenti presenti nel Paese.
(3-01874)

Interrogazione a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   come riportato dalla stampa locale, da oltre otto mesi, i tre uffici postali tra le località di Domaso e Sorico sono aperti negli stessi tre giorni della settimana e chiusi nei rimanenti giorni;

   in particolare, gli abitanti di Albonico o Montemezzo per usufruire dei servizi postali sono costretti a percorrere oltre trenta chilometri e recarsi, nell'unico aperto, nel comune di Gravedona dove si creano inevitabili code e assembramenti;

   successivamente al contagio di alcuni dipendenti, durante la prima ondata pandemica, l'azienda era stata costretta a rivedere la gestione del personale, riducendo le aperture, ma perfino in quel frangente gli uffici di Domaso e Sorico, sempre operativi durante l'intero arco settimanale, sono rimasti aperti a giorni alterni;

   con l'entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 novembre 2020, che ha imposto un nuovo lockdown alla Lombardia, gli spostamenti da un comune all'altro sono diventati più complicati, aumentando il disagio della popolazione;

   il sindaco di Sorico ha espresso le proprie doglianze rappresentando che i cittadini, dopo la prima fase di interruzione dell'attività, confidavano nella riapertura definitiva degli uffici postali;

   per venire incontro alle esigenze della popolazione, sarebbe stato utile almeno diversificare i giorni di apertura, per un deflusso più ordinato degli utenti. Poste ha installato in diverse località i postamat che però non possono supplire integralmente agli uffici postali. In particolare, quello installato nel comune di Sorico è fuori uso già da tempo, creando ancora ulteriore disagio;

   i contenuti del servizio postale universale sono definiti a livello europeo dalla direttiva 97/67/UE del 15 dicembre 1997 (cosiddetto «prima direttiva postale»), come successivamente modificata dalle direttive 2002/39/UE del 10 giugno 2002 (cosiddetta «seconda direttiva postale») e 2008/6/UE del 20 febbraio 2008 (cosiddetta «terza direttiva postale»). La direttiva stabilisce che il servizio universale corrisponde ad un'offerta di servizi postali di qualità determinata forniti permanentemente in tutti i punti del territorio a prezzi accessibili a tutti gli utenti. Il servizio postale universale deve essere assicurato per almeno cinque giorni a settimana e garantire almeno una raccolta e una distribuzione al domicilio degli utenti degli invii postali;

   fornitore del servizio universale è riconosciuta ex lege la società Poste Italiane Spa per un periodo di quindici anni a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 58 del 2011 (e quindi fino al 30 aprile 2026);

   il servizio postale universale è affidato a Poste Italiane s.p.a. fino al 30 aprile 2026, sulla base del contratto di programma 2020-2024 firmato il 30 dicembre 2019 che «regola i rapporti tra lo Stato e la società per la fornitura del servizio postale universale, Poste Italiane S.p.a., nel perseguimento di obiettivi di coesione sociale ed economica, che prevedono la fornitura di servizi utili al cittadino, alle imprese e alle pubbliche amministrazioni mediante l'utilizzo della rete postale della Società»;

   a fronte del contributo che la società riceve per l'onere pubblico, pari a 262,4 milioni di euro all'anno, non sembra corrispondere un servizio di qualità, nonostante sulla «Carta dei servizi postali», pubblicata il 10 ottobre 2017, si legga che «grazie alla presenza capillare su tutto il territorio nazionale, ai forti investimenti in ambito tecnologico e al patrimonio di conoscenze rappresentato dai suoi oltre 140 mila dipendenti, Poste Italiane ha assunto un ruolo centrale nel processo di crescita e modernizzazione del Paese» –:

   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda adottare affinché venga disposta nel più breve tempo possibile l'immediata riapertura degli uffici postali di Domaso e Sorico.
(4-07438)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Paita e altri n. 7-00564, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 ottobre 2020, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Del Barba.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta orale Zanettin n. 3-01777, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 settembre 2020, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sisto.

  L'interrogazione a risposta orale Rotelli n. 3-01871, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 novembre 2020, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Silvestroni, Rizzetto.

  L'interrogazione a risposta scritta Tiramani e altri n. 4-07413, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 novembre 2020, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Giaccone.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in Commissione Squeri n. 7-00381, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 267 del 27 novembre 2019.

   La X Commissione,

   premesso che:

    il decreto-legge n. 91 del 2018, ha spostato dal 1o luglio 2019 al 1o luglio 2020 il termine della cessazione del regime «di maggior tutela» nel settore del gas naturale e dell'energia elettrica, stabilito dalla legge n. 124 del 2017, «Legge annuale per il mercato e la concorrenza»;

    il decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162. convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2020, n. 8 (cosiddetto Milleproroghe) ha previsto un ulteriore rinvio, rivedendo le tempistiche per il superamento del servizio di maggior tutela e disponendo rispettivamente l'uscita per le piccole imprese (di cui all'articolo 2 della direttiva (UE) 2019/944) a partire dal 1o gennaio 2021 e per le microimprese (di cui al medesimo articolo della direttiva europea) e per i clienti domestici a partire dal 1o gennaio 2022 (articolo 1, comma 60);

    il Governo ha chiarito riguardo alla prima proroga, che essa è stata disposta per consentire l'adozione di provvedimenti volti a favorire un regime di concorrenza tra gli operatori, obbligandoli a fornire offerte trasparenti e «certificate», al fine di mettere i consumatori nella condizione di scegliere quelle che siano ritenute più vantaggiose e affidabili;

    riguardo alla seconda proroga, questa si rende necessaria, a parere del Governo, per consentire un processo graduale di superamento del regime di tutela;

    nel piano nazionale integrato per l'energia e il clima, inviato a Bruxelles l'8 gennaio 2019 dal Ministero dello sviluppo economico è stata confermata la volontà di completare il processo di piena liberalizzazione del mercato al dettaglio delineato dalla legge, per garantire «lo sviluppo della competenza del consumatore e della sua fiducia nella possibilità di appropriarsi delle opportunità e dei benefici del mercato»;

    la direttiva (UE) 2019/944 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 giugno 2019, relativa a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, prevede la rimozione delle tutele di prezzo per i clienti diversi dai clienti civili e dalle micro imprese entro gennaio 2021. La direttiva ha previsto un percorso di rimozione delle tutele di prezzo più graduale e differito nel tempo, permettendo agli Stati membri di continuare a ricorrere alla tutela di prezzo per un periodo transitorio di durata non predeterminata, funzionale allo sviluppo di una concorrenza effettiva, esclusivamente in favore di una platea di soggetti quali clienti domestici e micro-imprese;

    1'Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera) ha intrapreso un articolato percorso di riforma del mercato, con l'obiettivo di completare le regole per il buon funzionamento dello stesso e di introdurre strumenti di informazione e di tutela per il consumatore, quali ad esempio: la riforma del passaggio tra mercato tutelato e mercato libero (switching); le regole di separazione operativa che ciascun fornitore che gestisce sia il mercato libero che il tutelato deve attuare nei confronti dei clienti (unbundling); l'introduzione del Portale per la confrontabilità delle offerte e del Portale dei consumi, dove gli utenti possono accedere ai propri contratti e ai dati di consumo storici; l'istituzione dell'Atlante del consumatore per orientarsi nel mercato libero; l'introduzione di offerte standardizzate a condizioni contrattuali definite da Arera (cosiddette offerte Placet); la regolazione relativa alle clausole inderogabili che tutti i contratti di mercato libero devono contenere; la costituzione di un comitato tecnico consultivo con funzioni di raccordo ed emersione delle istanze dei diversi portatori di interesse sui contenuti inseriti nel portale informatico;

    nella relazione annuale presentata a inizio settembre 2020. l'Arera ha assunto come confermate le scadenze per il servizio di maggior tutela così come previsto dalla normativa europea. In particolare, la scadenza al 1o gennaio 2021 del servizio per i clienti non domestici di piccole dimensioni e poi quella successiva del 1o gennaio 2022 per i clienti domestici e le micro imprese. Nella medesima sede Arera ha auspicato che i rinvii contenuti nel decreto-legge n. 162 del 2019, impegnino il Governo a fornire la risolutiva accelerazione al processo di definizione di un albo dei venditori;

    la conferma dei tempi del processo di fine della tutela, secondo Arera: «impone la definizione di strumenti di salvaguardia, analoghi a quelli attivati a suo tempo per quei consumatori industriali che hanno ormai completato il passaggio al libero mercato. L'Autorità ne ha già avviato il processo istitutivo, in modo che siano attivabili alla scadenza del gennaio 2021 sulle piccole imprese»;

    la relazione 2020 evidenzia che dal confronto tra mercato libero e regimi di tutela emerge come i clienti non domestici possano beneficiare di prezzi più bassi acquistando l'energia elettrica sul mercato libero, mentre per i clienti domestici il prezzo medio del mercato libero è maggiore di quello del regime tutelato (al netto di eventuali offerte di servizi e promozioni aggiuntive o di offerte migliorative rispetto al servizio di maggior tutela);

    la stessa Autorità ha, chiarito che si sta intervenendo su questo aspetto con l'introduzione di nuove necessarie tutele sul mercato libero, che potenzieranno gli obblighi e gli standard di qualità contrattuali e di servizio, ma soprattutto assicureranno una maggiore trasparenza per permettere a ciascun cliente finale di comprendere meglio le proprie esigenze in termini quantitativi e qualitativi, dal primo contatto con il venditore alla migliore conoscenza della propria spesa con la bolletta;

    lo sforzo, in raccordo con Autorità garante della concorrenza e del mercato assicurerà il contrasto di ogni forma di comportamento che porti a scelte non pienamente consapevoli da parte dei consumatori, con la definizione ad esempio di nuovi obblighi e meccanismi informativi, il cui pieno rispetto sia realmente efficace a tutela dei consumatori, specie di quelle fasce più deboli, maggiormente esposte ad aggressive pratiche di marketing: è di questi giorni la pubblicazione della delibera 426/2020/R com che dispone norme in questo senso e che entrerà in vigore dal 1o luglio 2021, assicurando quindi tempi allineati con il termine del regime di maggior tutela per i clienti domestici;

    il rapporto annuale evidenzia che l'attività di vendita ai clienti di piccole dimensioni è generalmente ancora caratterizzata da condizioni di limitata concorrenza, in particolare nel settore elettrico, nonostante la presenza di un numero rilevante di operatori (sono oltre 723 gli operatori attivi). A titolo esemplificativo, nel comparto dell'energia elettrica, nel 2019, il primo operatore ha fornito circa il 67 per cento (nel 2018 era del 70 per cento) dell'energia elettrica. Se si considerano, invece, i primi 5 operatori, tale quota sale a circa l'82.5 per cento dell'energia fornita dai clienti domestici e a poco meno del 50 per cento dell'energia fornita ai clienti non domestici; resta quindi un mercato fortemente concentrato;

    dal punto di vista della dinamicità dei clienti domestici, il rapporto rileva anche una scarsa propensione a cambiare il fornitore. Le associazioni dei consumatori lamentano che la generale diffidenza degli utenti meno esperti a cambiare gestore e passare al mercato libero deve imputarsi ai costi e alla difficoltà di passare da un operatore all'altro, alla scarsa comprensibilità dei contratti, alle «sorprese» sui costi, più o meno occulti, diversi da mero prezzo dell'energia, nonché a talune pratiche commerciali aggressive e agli abusi di posizione dominante, talvolta conclamati, posti in essere da taluni operatori;

    in tale ambito, lo strumento della salvaguardia (o servizio di ultima istanza) rappresenta un prerequisito fondamentale per il superamento del servizio di maggior tutela, in ragione della sua funzione di garanzia della continuità della fornitura ai clienti sprovvisti di un contratto di fornitura a condizioni di libero mercato per motivi indipendenti dalla loro volontà. L'Autorità ha chiarito che non si intende offrire ai clienti finali, non ancora capaci di orientarsi nel mercato o, comunque, inerti, una protezione legata a una tutela di prezzo, bensì garantire la fornitura di energia in situazioni contingenti, quali ad esempio i fallimenti di mercato;

    nel mercato del gas il processo di liberalizzazione è più avanzato. Sono in regime di tutela solo utenti domestici, in quanto le piccole imprese sono già passate al mercato libero del gas con delibera n. 280 del 2013 dell'Arera. Gli operatori gas hanno ottenuto l'autorizzazione alla vendita dal Ministero dello sviluppo economico, e quindi sono per definizione affidabili: non occorrono quindi ulteriori elenchi di fornitori abilitati come per il mercato elettrico;

    esiste già un servizio di salvaguardia che riguarda tutti i clienti finali. Il mercato è caratterizzato dalla presenza esclusivamente di operatori di libero mercato, a differenza del mercato elettrico, dove il servizio di maggior tutela è offerto in esclusiva da soggetti regolati. Il livello di concorrenza è più che soddisfacente e le concentrazioni (operatore dominante al 25 per cento) non destano alcuna preoccupazione, perché sono al di sotto di qualunque ragionevole soglia antitrust;

    tuttavia, in termini generali, se si considera la scarsa propensione dei clienti finali a orientarsi tra le offerte sul libero mercato e a cambiare gestore, è legittimo ipotizzare che la consistenza dei servizi di tutela arriverà sostanzialmente invariata al 1o gennaio 2022 per entrambi i settori;

    l'Arera ha correttamente osservato che, a quella data, quantomeno il settore dell'energia elettrica sarà verosimilmente caratterizzato da un numero rilevante di potenziali clienti da rifornire in regime di salvaguardia, con ricadute significative sia sulle condizioni di erogazione del servizio, sia sulle modalità di definizione delle procedure concorsuali per ripartirli tra i vari gestori esistenti e delle tempistiche di svolgimento delle stesse;

    gli operatori dovranno disporre del tempo necessario per adeguare le proprie strutture operative per consentire loro di partecipare alle gare e di servire adeguatamente milioni di nuovi clienti finali con tempestività e con adeguati livelli qualitativi del servizio, così da permettere a tutti, in sede di gara, di competere su un piano di parità nella formulazione delle offerte;

    viceversa, nel mercato del gas, con l'approssimarsi del 1o gennaio 2022. potrebbe essere sufficiente prevedere che l'Arera disponga che gli operatori di libero mercato non siano più obbligati a offrire il servizio di tutela ed il problema del superamento del regime di tutela sarebbe risolto. Si tratta di replicare, a distanza di 6 anni, lo stesso intervento che ha già avuto successo nel 2013. Ai gestori per attuarlo basterebbero tempi tecnici che possono ricondursi a pochi mesi;

    nell'ambito dell'energia elettrica bisogna invece trovare la maniera graduale per riassegnare i clienti dormienti, da un operatore regolato e dominante come il servizio elettrico nazionale, ad un operatore di libero mercato con criteri che garantiscano la concorrenza in un mercato caratterizzato da forte concentrazione. La gradualità, previa adozione di alcune misure indispensabili, potrebbe consistere nel far cessare il mercato tutelato prima con riferimento alle partite Iva, poi ai domestici, con potenza impegnata maggiore di 6KW, poi a quelli con potenza maggiore di 4,5KW;

    tra i provvedimenti da adottare è urgente il completamento di quanto già fatto – come di recente confermato dal Ministero dello sviluppo economico – in relazione all'Elenco dei soggetti abilitati alla vendita di energia elettrica a clienti finali, necessario a garantire la stabilità e la certezza del mercato dell'energia elettrica, tramite la certificazione dell'affidabilità dei soggetti iscritti. Il comma 81 dell'articolo 1 della legge n. 124 del 2017 prevedeva novanta giorni dall'entrata in vigore, ne sono già trascorsi oltre mille;

    ulteriori interventi e approfondimenti necessitano le attività necessarie a garantire una corretta informazione ai clienti finali, in merito all'evoluzione del mercato e alla definitiva rimozione dei regimi di tutela del prezzo. In sostanza, grazie alle azioni messe in campo da Arera, il consumatore può raggiungere un'informazione sufficientemente dettagliata e coerente, che necessita solo di alcuni aggiustamenti. In questo ambito è fondamentale la partecipazione dei rappresentanti della domanda (associazioni dei consumatori e associazioni delle piccole imprese) al tavolo di lavoro già costituito presso il Ministero dello sviluppo economico cui partecipano Arera, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato e gli altri stakeholder. Da rafforzare, invece, sono le funzioni del comitato tecnico consultivo costituito presso Arera con funzioni di raccordo ed emersione delle istanze dei diversi portatori di interesse sui contenuti inseriti nel portale informatico (articolo 1, comma 61, della legge n. 124 del 2017);

    resta da capire se l'informazione relativa al passaggio al mercato libero riesca a fare il percorso inverso e cioè se arrivi al cliente finale «distratto». La delibera dell'Arera 746/2017/R/com del 10 novembre 2017 ha previsto una chiara comunicazione da inserire in bolletta con riferimento alla scadenza del 1o luglio 2020, con l'invito di accedere ai portali dedicati. Nello schema di Accordo quadro 2018-2022 tra Arera e Rai (delibera n. 346 del 2018), sono previste «specifiche campagne di informazione», «messaggi» e «momenti di approfondimento», inquadrati nell'ambito di programmi già in palinsesto di ampia audience sul target adulti e/o di eventuali programmi e/o di eventuali programmi ad hoc. I gestori lamentano che la vigente disciplina in materia di privacy frappone ostacoli a stabilire contatti con i clienti per la proposizione di offerte commerciali sul libero mercato, in assenza di esplicito consenso;

    quanto sopra esposto rende auspicabile l'approvazione di specifici interventi normativi e regolatori volti a consentire un percorso di graduale superamento dei regimi di tutela di prezzo in entrambi i settori dell'energia elettrica e del gas naturale, per perseguire, nel modo più efficace, l'obiettivo di completa liberalizzazione dei mercati dell'energia, e di interventi volti a favorire la promozione di una effettiva concorrenza tra gli operatori di mercato nel settore elettrico;

    nel mercato elettrico, viste la differente capacità di accedere al libero mercato per le diverse tipologie di clienti e le eterogenee presenze sui mercati, è opportuno definire iter differenziati per gruppi di clienti finali, prevedendo priorità per il segmento di mercato delle piccole imprese. In coerenza con tale obiettivo si inserisce il DCO 220/2020 con il quale l'Arera ha intrapreso una consultazione volta ad affrontare in maniera graduale per il settore elettrico il superamento del regime di maggior tutela L'implementazione in via prioritaria di aste per il servizio di ultima istanza, relative ai soli clienti non domestici che non abbiano effettuato una scelta sul libero mercato, avrebbe l'indiscutibile vantaggio di sperimentare le procedure di assegnazione su un numero limitato di clienti;

    nell'attuale contesto di mercato, caratterizzato da livelli particolarmente elevati di concentrazione, il buon esito del processo di completa liberalizzazione presuppone la definizione di adeguate misure volte a garantire condizioni di piena concorrenzialità e in particolare, nel settore elettrico, di misure che limitino le quote di mercato dell'operatore dominante,

impegna il Governo:

  al fine di consentire l'ingresso consapevole dei clienti finali nei mercati dell'energia elettrica e del gas, secondo meccanismi che assicurino la concorrenza e la pluralità di fornitori e di offerte nel libero mercato:

   1) a confermare, per quanto di competenza, la cessazione del regime «di maggior tutela» nel settore del gas naturale nella data prevista del 1o gennaio 2022, con una metodologia analoga a quella adottata nel 2013 dall'Arera con la delibera n. 280 del 2013, in considerazione della maturità di tale mercato, anche al fine di consentire agli operatori di settore di adottare, con certezza di tempi, gli adempimenti tecnici necessari per il superamento di tale regime;

   2) al fine di garantire che nella transizione verso il mercato libero i clienti finali vengano serviti da operatori qualificati ed affidabili, ad assumere iniziative per procedere con sollecitudine all'istituzione dell'albo fornitori di energia elettrica (di cui all'articolo 1, comma 80, della legge n. 124 del 2017), comunque per tempo rispetto alla data del 1o gennaio 2022, prevedendo requisiti tecnico-finanziari di qualificazione opportunamente stringenti in termini di affidabilità, solvibilità ed onorabilità dei fornitori che operano sul mercato;

   3) a valutare la possibilità di assumere iniziative per procedere per gradi alla cessazione del regime «di maggior tutela» nel settore dell'energia elettrica, prevedendo la priorità per il segmento di mercato delle piccole imprese;

   4) ad adottare le iniziative di competenza, anche normative, necessarie ad assicurare l'assetto concorrenziale del mercato energetico, valutando l'opportunità, per il mercato elettrico, di introdurre specifici tetti antitrust, al fine di garantire ai soggetti compresi nell'albo dei fornitori di energia elettrica la parità di accesso al mercato, nonché ad adottare più stringenti iniziative normative per impedire abusi di posizione dominante, anche mediante la corretta applicazione della disciplina dell'unbundling;

   5) a promuovere la partecipazione attiva e consapevole dei consumatori nel passaggio verso il mercato libero, mediante tempestivo avvio di campagne di comunicazione istituzionale ampie, continue e capillari, al fine di offrire informazioni imparziali sull'evoluzione del mercato energetico, esplicitando chiaramente che è fin d'ora possibile effettuare una scelta, favorendo altresì sui media pubblici confronti e dibattiti tra i diversi stakeholder;

   6) in considerazione del fatto che le misure per gestire la transizione verso il libero mercato spettano al Ministero dello sviluppo economico, ad adottare iniziative per ridefinire le norme sul servizio di salvaguardia elettrico per le piccole imprese e i clienti domestici così come regolato già nel settore del gas da svariati anni, sulla base del processo avviato dall'Arera con il DCO 397/2019/R/eel, prevedendo che tale servizio deve restare residuale e che deve essere atteggiato in modo da incentivare il cliente finale alla ricerca di un nuovo fornitore sul mercato;

   7) ad adottare iniziative di competenza per definire precisi indirizzi al fine di ampliare il lavoro già svolto dall'Arera in merito ai contenuti delle offerte contrattuali sul mercato libero, ai fini della definizione delle condizioni contrattuali oltre che quantitative, anche qualitative minime necessarie per le offerte, in maniera tale da estendere le regole previste per le offerte a prezzo libero a condizioni equiparate di tutela (Placet) a tutte le tipologie di offerte e prevedendo che queste siano confrontabili con le offerte che prevedono servizi aggiuntivi;

   8) ad assumere iniziative di competenza per rafforzare ulteriormente il ruolo di rappresentanza degli interessi dei consumatori e delle imprese, prevedendo che siano stabilizzate e ampliate le attività di consultazione e di indirizzo del tavolo di lavoro presso il Ministero dello sviluppo economico citato in premessa, e siano implementate le funzioni del comitato tecnico consultivo costituito presso l'Arera con funzioni di raccordo ed emersione delle istanze dei diversi portatori di interesse sui contenuti inseriti nel portale informatico (articolo 1, comma 61, della legge n. del 2017), prevedendo altresì che esso possa essere convocato su istanza motivata di uno dei suoi componenti;

   9) a rafforzare le tutele degli interessi dei consumatori e delle imprese, mediante l'adozione di iniziative di competenza, in particolare normative, che prevedano:

    a) il tempestivo aggiornamento del Portale non appena ogni nuova offerta sul mercato libero sia presentata;

    b) l'abbattimento dei costi e la semplificazione delle procedure per il passaggio del cliente finale da un gestore all'altro;

    c) con riferimento all'attuazione del disposto dell'articolo 1, comma 72, della legge n. 124 del 2017, la gratuità, la rapidità e la semplificazione delle procedure di conciliazione, nonché il trattamento efficace dei reclami.
(7-00381) (Nuova Formulazione) «Squeri, Porchietto, Torromino».

  Si pubblica il testo riformulato della interpellanza urgente Marattin n. 2-00985, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 421 del 3 novembre 2020.

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:

   i dati sull'andamento della curva epidemiologica relativa ai contagi da COVID-19 sono pubblicati con cadenza giornaliera dal Ministero della salute;

   tali dati vengono forniti in forma aggregata, suddivisi per regioni, e concernono anche la variazione giornaliera dei ricoveri in terapie intensiva, intesa come variazione del saldo tra ingressi e dimissioni registrati nell'arco delle ultime ventiquattro ore;

   in relazione al COVID-19 si calcola che fra contagio e ricovero in terapia intensiva decorrano in media circa dieci giorni, pertanto il numero di ingressi registrato in un determinato giorno può ritenersi proporzionale al numero di contagi avvenuti circa dieci giorni prima;

   tale latenza implica che il dato sulla variazione giornaliera del numero delle terapie intensive sia da intendersi quale indice della situazione epidemiologica sussistente nei dieci giorni precedenti, offrendo informazioni sull'efficacia delle misure di contenimento approntate in quel momento, ma non su quelle predisposte nel giorno in cui la variazione è registrata (che si vedranno nei dieci giorni successivi);

   fondamentale per capire l'evoluzione dei contagi e verificare l'efficacia delle misure di contenimento è, dunque, guardare alla variazione giornaliera delle terapie intensive in maniera disaggregata, cioè analizzando il numero di accessi al netto delle dimissioni registrate nel medesimo periodo;

   un simile dato, tuttavia, non risulta disponibile, in quanto la variazione giornaliera dei ricoveri in terapia intensiva viene resa nota esclusivamente in forma aggregata, imputando a un'unica voce due variabili fra loro scollegate e interdipendenti;

   ciò rende difficile avere piena contezza della situazione epidemiologica e, soprattutto, rischia di ostacolare ogni valutazione in ordine all'efficacia e all'adeguatezza dei provvedimenti adottati dal Governo;

   sulla base del solo numero di accessi alle terapie intensive, infatti, sarebbe più agevole verificare se le misure di contenimento già adottate siano sufficienti e se abbiano cagionato, o meno, l'alleggerimento dei reparti di terapia intensiva, circostanza che risulta allo stato inverificabile, se non in termini assoluti e con ritardo;

   in tale prospettiva, non appare secondario il fatto che negli ultimi giorni si sia osservato un importante rallentamento della crescita dei ricoveri in terapia intensiva, il quale potrebbe imputarsi, dunque, agli effetti dei provvedimenti adottati a partire dal 13 ottobre 2020;

   occorre sottolineare, inoltre, che mentre sono pubblici i criteri relativi alle attività di monitoraggio del rischio sanitario di cui all'allegato 10 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 17 maggio 2020 e al documento «Prevenzione e risposta a COVID-19: evoluzione della strategia e pianificazione nella fase di transizione per il periodo autunno-invernale» redatto dall'Istituto superiore di sanità e dal Ministero della salute, e vengono resi pubblici gli indici di rischio da essi ricavabili, non risultano pubblici, accessibili o reperibili i dati su cui proprio quegli indici vengono elaborati;

   tali dati, su cui sono fondati gli indici di rischiosità, sono assolutamente fondamentali per definire il livello di rischio di una o più regioni e una loro pubblicazione – con la relativa messa a disposizione della comunità scientifica – potrebbe contribuire non poco all'analisi e controllo dell'andamento della situazione epidemiologica nonché a migliorare la comunicazione con l'opinione pubblica;

   con le informazioni ad oggi a disposizione, tuttavia, esprimere valutazioni scientifiche riguardo alla correlazione tra la variazione della crescita delle terapie intensive e i provvedimenti presi dal Governo risulta difficile senza restare nel campo delle ipotesi;

   è anche sul piano della tenuta del Servizio sanitario nazionale e dell'adeguatezza dei provvedimenti e delle risorse approntate che appare necessario ottenere il numero dei posti in terapia intensiva ancora disponibili rispetto al totale e l'andamento (disgiunto) dei flussi di entrata e uscita anche degli altri reparti;

   ove tutte queste informazioni venissero ottenute e condivise, ripartendole su base regionale e per fasce di età, si avrebbe un quadro maggiormente completo della situazione e dell'andamento epidemiologico della pandemia, su cui potrà innestarsi l'apporto di un'intera comunità di ricercatori qualificati, pronti ad analizzare tale quadro e dare un valido contributo alla sua interpretazione –:

   se il Ministro interpellato sia a conoscenza del dato relativo ai soli accessi giornalieri ai reparti di terapia intensiva e agli altri reparti ospedalieri – ripartito su base regionale e per fasce di età – dovuti al COVID-19 e di come quest'ultimo incida sulla variazione giornaliera del numero di terapie intensive divulgata quotidianamente;

   se del caso, quali iniziative intenda assumere il Governo affinché tale dato sia reso pubblico e messo a disposizione della comunità scientifica;

   se, parimenti, al fine di assumere decisioni di contrasto della pandemia sulla base di ulteriori dati oggettivi, il Ministro intenda fornire al Parlamento e all'opinione pubblica, su base giornaliera e ripartiti per regioni, i dati sulla cui base vengono elaborati gli indici di rischio sanitario.
(2-00985) «Marattin, Anzaldi, Annibali, Bendinelli, Cattaneo, Colaninno, Costa, D'Alessandro, De Filippo, Del Barba, Marco Di Maio, Ferri, Fregolent, Gadda, Giachetti, Librandi, Lupi, Magi, Migliore, Mor, Moretto, Nobili, Noja, Occhionero, Paita, Perego Di Cremnago, Rosato, Rostan, Ruggieri, Scoma, Toccafondi, Maria Tripodi, Ungaro, Vitiello».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:

   interrogazione a risposta orale Bond n. 3-01076 del 30 ottobre 2019;

   interpellanza Varrica n. 2-00853 del 7 luglio 2020;

   interrogazione a risposta in Commissione Mazzetti n. 5-04846 del 27 ottobre 2020;

   interrogazione a risposta in Commissione Fregolent n. 5-04906 del 29 ottobre 2020;

   interrogazione a risposta in Commissione Lupi n. 5-04919 del 2 novembre 2020;

   interrogazione a risposta in Commissione De Menech n. 5-04924 del 3 novembre 2020.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:

   interrogazione a risposta orale Ascari e Martinciglio n. 3-01186 del 10 dicembre 2019 in interrogazione a risposta scritta n. 4-07430;

   interrogazione a risposta scritta De Carlo n. 4-04345 del 17 dicembre 2019 in interrogazione a risposta orale n. 3-01874;

   interrogazione a risposta in Commissione Pezzopane n. 5-04159 del 12 giugno 2020 in interrogazione a risposta scritta n. 4-07431.