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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 21 gennaio 2020

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   DE GIORGI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   l'allarme sul rischio che corrono i bambini a causa dell'utilizzo continuato di cellulari e di altri apparecchi radiomobili è stato lanciato da tempo e riproposto più volte, in particolar modo, dai medici della Società italiana di pediatria preventiva e sociale, i quali hanno evidenziato come si sia passati da un semplice uso a un vero e proprio abuso dell'utilizzo dei cosiddetti «smartphone»;

   eminenti studiosi della materia hanno riscontrato che l'uso prolungato di cellulari e di altri apparecchi radiomobili provocherebbe in bimbi ed in adolescenti difficoltà di apprendimento, ritardi nello sviluppo del linguaggio, perdita della concentrazione, aggressività ingiustificata, alterazioni dell'umore, disturbi del sonno, dipendenza;

   nel gennaio del 2020 la corte d'appello di Torino ha emesso una sentenza con cui conferma la pericolosità dell'uso prolungato del cellulare tanto da ravvisare il nesso causa-effetto fra il tumore al cervello e l'utilizzo di un apparecchio radiomobile;

   in Italia, primo Paese in Europa per l'utilizzo di smartphone e per diminuzione dell'età media dei possessori, ci si sta ancora interrogando su cosa sia meglio fare, mentre in Belgio (dove un numero di abitanti compreso fra i 100 e i 150 si ammala ogni anno di tumore al cervello), in Irlanda, in Francia, negli Stati Uniti o hanno avviato campagne volte a sensibilizzare la popolazione sull'argomento o hanno formulato proposte di legge tese a vietare la vendita di telefonini a minori di 14 anni oppure di bandire nelle scuole il loro utilizzo sino all'età di 15 anni;

   quando si parla di bambini si deve sempre ricordare che si è di fronte a soggetti che, oltre a essere in un periodo delicato e formativo della propria crescita, sono capaci di assorbire (come delle «spugne») informazioni, di apprendere comportamenti dall'ambiente in cui vivono quotidianamente e, soprattutto, di imitare tutto ciò che fanno gli adulti, compreso l'utilizzo di un cellulare;

   diviene prioritario attuare misure preventive in grado di scongiurare l'abitudine dei più piccoli a considerare un apparecchio radiomobile alla stregua di un gioco che ha come effetto pressoché sicuro quello di allontanare i suoi giovanissimi utenti da esperienze dirette e concrete con gli oggetti che li circondano;

   pur riconoscendo che in determinate situazioni l'uso di apparecchi radiomobili possa anche avere un impatto positivo sull'apprendimento in età prescolare, a patto che vi sia il costante affiancamento dei genitori, ai quali spetta sempre e comunque vigilare e dare il buon esempio, è importante intervenire a tutela della crescita psicofisica dei più piccoli, limitando l'utilizzo dei device elettronici ed evitare che i giovanissimi fruitori, un domani, si trovino costretti a dover convivere con una serie di patologie causate proprio dall'uso ripetuto e sregolato di dispositivi digitali –:

   se siano allo studio misure in grado di salvaguardare lo sviluppo di crescita psicofisica di bambini e adolescenti e se il Governo ritenga utile adottare iniziative per sollecitare l'attenzione dell'opinione pubblica sull'argomento tramite campagne di sensibilizzazione.
(3-01258)

Interrogazione a risposta scritta:


   SENSI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   secondo un'inchiesta del quotidiano New York Times, del 18 gennaio 2020 le forze dell'ordine, dalla polizia locale in Florida all'Fbi al dipartimento per la sicurezza interna, farebbero uso di una «app» per il riconoscimento facciale, ideata da una piccola azienda, Clearview AI. «Fai una foto a una persona, la carichi e vedi le foto pubbliche di quella persona, insieme ai link a dove sono apparse quelle foto». Il sistema si baserebbe su un database di oltre tre miliardi di immagini che l'azienda afferma di aver «raschiato» da Facebook, YouTube e milioni di altri siti Web. Le forze dell'ordine federali e statali hanno affermato che, pur avendo una conoscenza limitata di come funziona «Clearview» e di chi c'è dietro, avevano usato la sua «app» per risolvere diverse indagini riguardanti furto di identità, frode con carta di credito, omicidi e i casi di sfruttamento sessuale dei minori;

   secondo l'autrice dell'articolo Kashmir Hill, la tecnologia che identifica facilmente tutti in base al proprio viso è stata, fino a poco tempo fa, un tabù per le aziende tecnologiche a causa della «radicale erosione» della privacy, che comporta. Alcune grandi città, tra cui San Francisco, hanno vietato alla polizia di utilizzare la tecnologia di riconoscimento facciale;

   «Clearview» ha concesso in licenza l’«app» ad alcune aziende per motivi di sicurezza;

   il sistema di riconoscimento facciale da parte delle forze di polizia è utilizzato anche in Italia, almeno dal 2018;

   il sistema automatico di riconoscimento delle immagini (S.a.r.i.) sarebbe, ad esempio, in grado di identificare un soggetto ignoto, confrontandone il volto con un database di milioni di profili. Il S.a.r.i. consente di effettuare ricerche nella banca dati Sistema automatizzato di identificazione delle impronte (A.f.i.s.): praticamente inserendo in S.a.r.i. la fotografia di un sospettato, il sistema dovrebbe andare a cercare tutti i fotosegnalati che gli somigliano e che erano stati precedentemente inseriti nel database di A.f.i.s.;

   la questione del riconoscimento facciale solleva rilevanti questioni attinenti alla tutela della riservatezza e al trattamento dei dati sensibili; non a caso, come anticipato dalla stampa e sulla base di un white paper che sta già circolando, l'Unione europea starebbe considerando di mettere al bando il riconoscimento facciale nei luoghi pubblici per un massimo di 5 anni –:

   se le forze di polizia e di sicurezza italiane utilizzino il software in questione o tecnologie o software simili a quelli citati in premessa; in caso affermativo, quanti siano i cittadini i cui dati sono presenti nel sistema e quante le persone – delle forze di polizia e di sicurezza ovvero non appartenenti ad esse – che ad esso possono avere accesso diretto o indiretto.
(4-04528)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DELMASTRO DELLE VEDOVE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   la guerra civile in Siria, scoppiata il 15 marzo 2011 e tuttora in corso, ha causato la morte di più di 370.000 persone e lo sfollamento di milioni di siriani;

   nel solo 2019 si contano 11.251 vittime, fra cui più di 1.000 minori;

   il prepotente intervento della Turchia ha ulteriormente destabilizzato la Siria, con la conseguente liberazione e centinaia di jihadisti detenuti ad opera di Erdogan;

   il Ministro interrogato, in intervista al Corriere della Sera del 6 dicembre 2019, sosteneva la necessità di tenere canali di discussione aperti con «tutti i soggetti rappresentativi», segnalando che la stabilizzazione della Siria è essenziale anche per la sicurezza italiana;

   il Ministro Di Maio ha sempre ritenuto opportuno sostenere l'azione dell'inviato speciale dell'Onu Geir Pedersen che, il 23 settembre 2019, è riuscito a costituire il comitato costituzionale, quale primo passo per la stabilizzazione della Siria e la sua ricostruzione;

   il comitato costituzionale è composto da 150 membri, di cui 50 rappresentanti del Governo siriano, 50 rappresentanti delle opposizione e 50 su indicazione dello stesso Geir Pedersen, quale inviato speciale dell'Onu;

   il 30 ottobre 2019 a Ginevra si è svolta la prima riunione del Comitato costituzionale siriano;

   la situazione consente finalmente di dialogare con accreditati rappresentanti delle diverse fazioni;

   la riapertura dell'ambasciata italiana in Siria consentirebbe all'Italia di governare il processo di pacificazione senza rimanere alla finestra e di sostenere gli sforzi dell'inviato Onu Geir Pedersen;

   l'apertura dell'ambasciata consentirebbe ulteriormente all'Italia di svolgere un ruolo a favore dei cristiani siriani decimati dalla «serpe islamista» –:

   se il Ministro interrogato, alla luce dell'evoluzione in atto, intenda adottare iniziative per riaprire l'ambasciata italiana in Siria al fine di «governare il processo di pacificazione siriana»;

   quali siano le strategie italiane per stabilizzare la Siria e se, fra queste, vi sia una particolare attenzione alla ricostruzione del pluralismo del tessuto religioso siriano, quale condizione essenziale per pacificare la società siriana.
(5-03416)


   DELMASTRO DELLE VEDOVE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   la situazione in Libia non accenna a migliorare a seguito del prepotente intervento del premier Erdogan e della Turchia;

   la conferenza di Berlino, nonostante i toni a tratti trionfalistici, ha palesato le ritrosie e le riserve mentali di Al Sarraj e di Haftar ad addivenire ad una soluzione seria della crisi che preveda la cessazione del conflitto come requisito per la pacificazione della Libia e per la sua ricostruzione; i due attori libici, infatti, non hanno firmato alcun documento proposto all'esito della conferenza di Berlino;

   a smorzare i toni più trionfalistici in ordine all'esito della conferenza di Berlino è stata la stessa dichiarazione di Joseph Borrell, Alto Commissario per la politica estera europea che ha testualmente chiosato: «siamo in una situazione di tregua, non ancora di cessate-il-fuoco. Meglio di prima, ma bisogna trovare il modo di passare dalla tregua al cessate-il-fuoco»;

   in effetti, vengono riportate notizie di continui conflitti armati sebbene a bassa intensità nelle medesime ore in cui taluni, improvvidamente, commentavano entusiasti l'esito della conferenza di Berlino sulla Libia;

   incredibilmente, nel pieno della conferenza, taluni organi di informazione e segnatamente quotidiano «La Repubblica» in data 19 gennaio 2020 riportava on line la notizia che una milizia di Haftar ha bloccato l'oleodotto che trasporta il greggio dal giacimento della raffineria di Zawiya sotto il titolo «Libia, Haftar chiude anche i pozzi petroliferi di Eni nel Sud»;

   in effetti sia i predetti pozzi che la raffineria sono gestiti dalla società Mellitah Oli & Gas, società in joint venture fra la Noc ed Eni;

   lo stesso amministratore delegato della Noc ha lanciato un appello in cui condivisibilmente si chiedeva come potesse procedere come se nulla fosse la conferenza di Berlino, mentre una delle parti proseguiva in flagrante violazioni di legge ai danni di Eni e, indirettamente, dell'Italia –:

   se il Ministro interrogato abbia chiesto con la dovuta determinazione l'immediata revoca del blocco da parte di Haftar e se abbia posto la questione nel corso della conferenza di Berlino;

   in ogni caso, quale sia la strategia del Ministro interrogato per tutelare gli interessi legittimi di Eni nel quadro libico.
(5-03418)


   DELMASTRO DELLE VEDOVE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   all'esito della conferenza di Berlino le cancellerie europee hanno ventilato all'Italia l'ipotesi di riattivare la cosiddetta missione Eunavfor Med Sophia;

   il Ministro degli esteri e della cooperazione internazionale ha dichiarato che l'Italia può aderire, purché sia attivata al fine di contenere il traffico di armi in Libia;

   Joseph Borrell, Alto Commissario per la politica estera europea, viceversa non ha escluso che, se riattivata, la missione Eunavfor Med Sophia debba agire anche per i migranti e che varrebbe sempre la regola dell'Italia come porto sicuro;

   svariate fonti di stampa internazionali riportano la notizia che Haftar stia utilizzando mercenari ex jihadisti in Libia e, peraltro, il timore della presenza di mercenari jihadisti nel teatro libico è stato confermato dallo stesso Ministro interrogato nel corso dell'informativa urgente sullo scenario internazionale, con particolare riferimento alla situazione in Iran, Iraq e Libia, resa alla Camera dei deputati in data 15 gennaio 2020;

   l'Interpol ha più volte precisato il rischio di infiltrazione di jihadisti nei barconi di migranti che tentano di approdare in Italia;

   l'ipotesi della missione Sophia per contrastare il traffico delle armi in Libia si sostanzierebbe in una sorta di blocco navale –:

   se il Governo abbia avuto adeguate rassicurazioni sul fatto che la riattivazione della missione Sophia limitatamente al contrasto al traffico delle armi in Libia non comporti la reviviscenza della clausola che prevede l'Italia quale porto sicuro e, in tal caso, quali siano le rassicurazioni ottenute;

   se il Governo intenda adoperarsi in modo che l'Unione europea si attivi affinché, tramite una risoluzione dell'Onu e la cooperazione degli attori libici tutti, si attui, per la denegata ipotesi di reviviscenza della missione Sophia, la fase tre della stessa che prevede testualmente la «neutralizzazione delle imbarcazioni e delle strutture logistiche usate dai contrabbandieri e trafficanti sia in mare che a terra»;

   in ogni caso, se il Governo non ritenga opportuno proporre con la dovuta determinazione che la missione Sophia agisca come blocco navale non solo verso il traffico di armi, ma anche nei confronti dei trafficanti di esseri umani.
(5-03419)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FREGOLENT. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 1, comma 679, della legge 27 dicembre 2019, n. 160, dispone che «Ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, la detrazione dall'imposta lorda nella misura del 19 per cento degli oneri indicati nell'articolo 15 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e in altre disposizioni normative spetta a condizione che l'onere sia sostenuto con versamento bancario o postale ovvero mediante altri sistemi di pagamento previsti dall'articolo 23 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241»;

   il successivo comma 680 specifica che le disposizioni di cui al comma 679 non vengano applicate alle «detrazioni spettanti in relazione alle spese sostenute per l'acquisto di medicinali e di dispositivi medici, nonché alle detrazioni per prestazioni sanitarie rese dalle strutture pubbliche o da strutture private accreditate al Servizio sanitario nazionale»;

   tutte le altre spese, anche quelle mediche (ad esempio, spese per il dentista o in strutture private), dovranno essere quindi tracciabili per poter essere portate in detrazione nella denuncia dei redditi relativa all'anno 2020;

   si tratta di numerose tipologie di pagamenti, anche relativi a prestazioni mediche (ad esempio, prestazioni odontoiatriche o in strutture private), che vanno dagli interessi passivi sui mutui, alle quote di palestre e piscine per i ragazzi alle rette universitarie;

   in attesa dei chiarimenti della circolare esplicativa delle Agenzie delle entrate che dovrebbe fornire spiegazioni su come dimostrare la tracciabilità dei pagamenti effettuati (ma che dovrebbe essere pubblicata solo nel mese di febbraio 2020), è oggi necessario che vengano date ai cittadini indicazioni tempestive e chiare, dal momento che il periodo fiscale di riferimento si è inaugurato il 1° gennaio 2020;

   tale situazione di incertezza è già stata evidenziata da organi di stampa che hanno consigliato ai contribuenti di «conservare gli scontrini di Bancomat o carta di credito, le distinte dei bonifici o addirittura le fotocopie degli eventuali assegni» –:

   se il Ministro interrogato intenda adottare iniziative per fornire, in attesa della circolare esplicativa delle Agenzie delle entrate, indicazioni utili ai cittadini al fine di poter documentare le detrazioni di cui ai commi 679 e 680 dell'articolo 1, comma 679, della legge 27 dicembre 2019, n. 160.
(5-03414)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'ATTIS. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 39 del decreto-legge n. 269 del 2003, al comma 13, ha stabilito che agli apparecchi e ai congegni indicati all'articolo 110, comma 6, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (regio decreto n. 773 del 1931) collegati in rete, vale a dire le videolottery (Vlt) e le newslot (Awp), si applichi un prelievo erariale unico;

   le aliquote del prelievo erariale unico sono state più volte rivisitate dalla sua entrata in vigore, da ultimo con la legge 27 dicembre 2019, n. 160, bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022;

   ai fini del versamento del prelievo erariale unico, le imprese di gestione del gioco di Stato che versano l'imposta hanno necessità di disporre di un conto corrente bancario per il pagamento dello stesso che deve essere ordinato unicamente mediante Rid (ciò in ossequio a quanto previsto dall'articolo 12, comma 2, lettera g) dello schema dell'atto di convenzione di tracciabilità dei flussi), pena il blocco immediato degli apparecchi, la successiva segnalazione all'Agenzia delle dogane e dei monopoli e la conseguente risoluzione contrattuale da parte del concessionario, generando come effetto la chiusura delle piccole e medie imprese di gestione;

   nelle ultime settimane, vari istituti bancari hanno comunicato a più imprese di gestione di apparecchi del gioco lecito l'interruzione del contratto in essere per la tenuta del conto corrente; alla base di questa decisione, come riscontrabile da alcune lettere di disdetta ricevute, sta la volontà di tali istituti di non intrattenere rapporti con «soggetti la cui attività prevalente risulti essere connessa al gioco legale dello Stato»;

   alcune banche di credito cooperativo hanno giustificato tale decisione con l'uniformazione agli indirizzi strategici loro forniti dalla capogruppo Iccrea Banca spa;

   quanto riportato espone le piccole e medie imprese di gestione del gioco di Stato a gravi problemi in ordine alla corretta gestione dei flussi di cassa e anche alla corresponsione del prelievo erariale unico –:

   posto che tale comportamento delle banche pare discriminare i clienti in relazione all'attività commerciale da loro svolta, quali iniziative di competenza, anche normative, intenda mettere in atto il Governo affinché questa discriminazione non sia più perpetrata;

   quali iniziative di competenza si intendano adottare per evitare che, per i motivi descritti, possa essere messa a rischio l'esistenza di un settore che per l'anno 2018 ha garantito più di sei miliardi di euro di gettito erariale (dati libro blu dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli) 2018);

   quali iniziative il Governo intenda adottare, per quanto di competenza, affinché il problema esposto venga risolto.
(4-04526)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   ASCARI, MARTINCIGLIO, PERANTONI, NAPPI, VILLANI, CASA, D'ARRANDO, DI STASIO e SCERRA. — Al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro per le pari opportunità e la famiglia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il fenomeno delle «spose bambine» è un fenomeno drammatico responsabile della privazione dell'infanzia per numerose minori costrette, anche con violenze fisiche e psicologiche, a contrarre precocemente matrimoni;

   secondo ActionAid, nel mondo ci sarebbero 22 milioni di spose bambine, molte delle quali sono già divorziate o vedove, e ben 100 milioni di ragazze rischiano di sposarsi precocemente;

   le conseguenze per queste minori sono numerose e gravissime: innanzitutto, per la propria salute, in quanto la gravidanza precoce espone a un elevato rischio di mortalità sia la neo-mamma sia il suo bambino, ma anche per lo sviluppo sociale ed educativo della giovane, visto l'elevato grado di isolamento sociale a cui sono sottoposte e soprattutto l'alto livello di abbandono scolastico, che ne pregiudica irreversibilmente la crescita e il futuro;

   nel nostro Paese, l'approvazione della legge n. 69 del 2019 ha consentito di introdurre nel codice penale il reato di cui all'articolo 558-bis «Costrizione o induzione al matrimonio», che punisce «Chiunque, con violenza o minaccia, costringe una persona a contrarre matrimonio o unione civile», ovvero «approfittando delle condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità di una persona, con abuso delle relazioni familiari, domestiche, lavorative o dell'autorità derivante dall'affidamento della persona per ragioni di cura, istruzione o educazione, vigilanza o custodia», prevedendo aggravanti specifiche in caso di vittime minori di 18 anni e di 14 anni; l'articolo, inoltre, prevede l'applicazione «anche quando il fatto è commesso all'estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia ovvero in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia»;

   anche il nostro Paese non è immune da questo fenomeno e si sono registrati clamorosi casi di matrimonio forzato di minori in tutta Italia, spesso all'interno di alcune comunità straniere, con l'accondiscendenza, se non addirittura il coinvolgimento attivo, dei famigliari;

   come riportato da alcuni articoli sono sufficienti due testimoni e un religioso, anche via Skype, per diventare spose, anche a dieci anni, e la formalizzazione potrà avvenire nel Paese d'origine al compimento della maggiore età –:

   di quali dati disponga il Governo relativamente al fenomeno delle cosiddette «spose bambine» e relativamente all'applicazione della disciplina relativa al reato di cui all'articolo 558-bis del codice penale;

   quali iniziative abbia intrapreso o intenda intraprendere il Governo al fine di contrastare il fenomeno delle «spose bambine»;

   se non si intenda instaurare o rafforzare, anche per il tramite della cooperazione internazionale, un dialogo con quei Paesi stranieri le cui comunità sono molto presenti nel nostro Paese, al fine di contrastare questo fenomeno.
(3-01257)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PAITA e NOBILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   da fonti di stampa emergerebbe un cospicuo ritardo nelle ispezioni annuali compiute da Anas ai fini della verifica della sicurezza dei viadotti di sua competenza;

   in particolare, nel 2019 le ispezioni obbligatorie – ovvero effettuate su viadotti principali, con campata superiore a 30 metri, o critici, ovvero segnalati dai cantonieri – sarebbero state solo 1419 su 4991, cioè il 28 per cento del dovuto;

   nel 2018 il tasso di ispezioni obbligatorie di cui sopra, invece, sarebbe stato pari al 56 per cento ovvero 2068 su 3697 viadotti;

   inoltre, emerge anche che in Italia – a seguito della mappatura operata nel 2019 – mancherebbe ancora chiarezza in merito alla proprietà di 763 cavalcavia;

   su tale ingente numero di ponti «senza padrone» emergerebbe una questione burocratica di non poco conto, dal momento che non è chiaro di chi sia la responsabilità in termini di ispezione e manutenzione;

   inoltre, emergerebbe che buona parte di tali infrastrutture sia stata costruita più di 50 anni fa, fattore che rende necessario quantomeno un monitoraggio;

   nel 2019 i fondi messi a disposizione dell'Anas dal Ministero sarebbero saliti a 29,9 miliardi di euro, a causa del passaggio di diverse strade provinciali in capo all'ente;

   recenti disposizioni prevedono che l'Ente possa subentrare nelle concessioni autostradali, in caso di revoca, decadenza o risoluzione di concessioni di strade o di autostrade, ivi incluse quelle sottoposte a pedaggio, nelle more dello svolgimento delle procedure di gara per l'affidamento a nuovo concessionario –:

   se i dati riportati dalla stampa corrispondano al vero e quali urgenti iniziative il Ministro interrogato intenda porre in essere in merito alle presunte carenze di ispezione e manutenzione dei viadotti italiani, considerando che recenti disposizioni potrebbero determinare la presa in carico da parte di Anas di ulteriori gestioni autostradali.
(5-03421)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GUIDESI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la tangenziale di Casalpusterlengo alla strada statale 9 «Via Emilia», in provincia di Lodi, è inserita nell'accordo di programma quadro «riqualificazione e potenziamento del sistema autostradale e della grande viabilità della regione Lombardia», sottoscritto dalla regione, Ministero del tesoro, Ministero dei lavori pubblici, Anas e province di Brescia, Cremona, Mantova, Milano e Pavia, ed è inserita inoltre nel contratto di programma 2016/2020 tra Mit e Anas spa;

   la popolazione attende da più di 30 anni tale opera per ovviare ad una serie di disagi da traffico e da inquinamento atmosferico ed acustico;

   la scorsa estate si è diffusa la notizia che l'appalto per la realizzazione della variante alla strada statale 9 di Casalpusterlengo sia stato aggiudicato in via provvisoria all'associazione di imprese guidata dall'azienda Aleandri spa di Bari;

   gli organi di stampa hanno riportato la notizia che l'assegnazione definitiva dell'appalto avrebbe dovuto concretizzarsi a settembre 2019, dopo le verifiche preliminari di bonifica bellica;

   da allora il comune di Casalpusterlengo e i cittadini non hanno avuto più alcuna informazione al riguardo;

   risultano proseguite e successivamente concluse le operazioni di esproprio, sia riguardanti i privati sia riguardanti il comune; sono state modificate le cartografie urbanistiche e alcuni protocolli, ma non risulta alcuna notizia sull'assegnazione definitiva dell'appalto e sulla successiva cantierizzazione e non risulta alcuna certezza sulle tempistiche in merito all'avvio dei lavori;

   l'opera è strategica per tutto il territorio lodigiano –:

   se il Ministro interrogato intenda appurare, per quanto di competenza, le ragioni dell'ennesimo stallo delle procedure di realizzazione della tangenziale di Casalpusterlengo e dare notizie certe sulle tempistiche effettive dell'assegnazione definitiva dell'appalto e dell'inizio dei lavori.
(4-04524)


   MORELLI e CECCHETTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   l'area urbana di Bologna sembra destinata, a breve, a essere interessata dal cantiere per la realizzazione della prima linea tranviaria, un progetto che avrà un impatto critico sulla viabilità cittadina e che, a fronte dei costi che sarà necessario sostenere, appare agli interroganti inopportuno e pronto a trasformarsi in una delle grandi opere infrastrutturali inutili;

   l'intero progetto comprenderebbe 5 linee distribuite in modo radiale in tutto il territorio della città metropolitana di Bologna, per un totale di 1,3 miliardi totali, con oscillazioni previste che vanno dal 30 al 70 per cento. Di fatto, il progetto di fattibilità, di cui è stato incaricato un consorzio vincitore di gara europea a guida francese, riguarda solo una delle cinque linee previste, la linea rossa, per un costo preventivato di 510 milioni di euro (un importo quasi uguale all'intero bilancio del comune di Bologna, circa 30 milioni per chilometro). La linea tranviaria si sviluppa lungo la direttrice da ovest (Borgo Panigale) ad est (CABB) attraversando il centro storico di Bologna. La linea rossa percorre, invece, un tragitto che non sembra riguardare che marginalmente le zone più densamente abitate da chi vive in città o quelle maggiormente congestionate dal traffico. Il tragitto del tram che l'amministrazione ha in mente attraversa piuttosto le zone che secondo il piano urbano della mobilità sostenibile saranno oggetto di nuova urbanizzazione. La linea rossa, inoltre, è stata concepita per attraversare le aree oggetto di interesse per il turismo e per il mondo degli affari: dal centro storico e la Bolognina (oggetto di un tentativo di riqualificazione esclusiva), fino alla Fiera e a Fico. La nuova linea non appare quindi un progetto utile a risolvere i problemi di trasporto dei cittadini e dei lavoratori e a ridurre il traffico su gomma;

   Bologna e la provincia soffrono in effetti di un problema che riguarda la mobilità soprattutto a causa dell'eccessivo uso del trasporto privato su gomma. Ciò è dovuto alle carenze fondamentali del trasporto pubblico cittadino, ossia, innanzitutto, la mancanza di un sistema di circolazione efficiente quartiere/quartiere (a causa della storica circolazione radiale dei mezzi pubblici cittadini) e città/provincia (le entrate/uscite relative nella/dalla città sono il 50 per cento del totale degli attraversamenti). Tale circostanza crea la nota situazione di congestione delle principali arterie cittadine e provinciali negli orari di spostamento dei lavoratori. Le varie amministrazioni cittadine negli anni hanno messo in campo diversi progetti, ma quasi nessuno di questi è mai stato completato;

   durante la fase progettuale non è stata tenuto in alcuna considerazione che l'impossibilità di fermarsi e parcheggiare lungo tutte le strade percorse dal tram comporterà la chiusura di molte attività e la diffusione di ampie fasce di povertà diffusa;

   non si comprende, anche dal punto di vista ambientale, il motivo per cui il tram debba avere trazione autonoma con enormi batterie composte da acidi e metalli pesanti tossici, il cui smaltimento sarà molto più elevato di quello prodotto dai mezzi pubblici a benzina o gasolio. Inoltre, i mezzi privati potranno circolare solo nelle strade non percorse dal tram, con lunghe soste e produzione di CO2 e polveri sottili e ultrasottili molto maggiori dell'attuale. Non è, infine, prevista la creazione di nuovi parcheggi nelle vicinanze –:

   quali urgenti iniziative il Ministro interrogato intenda porre in essere, per quanto di competenza, in relazione alle criticità richiamate in premessa che riguardano il progetto del tram di Bologna, anche alla luce del finanziamento statale previsto per la realizzazione dell'opera, e se, nella documentazione trasmessa al Ministero, risultino elementi in merito agli effetti attesi sulla viabilità all'interno dell'area urbana derivanti dall'attuazione del progetto medesimo.
(4-04525)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   da diversi articoli di stampa pubblicati il 18 gennaio 2020 si apprende della comparsa, sul social network Twitter, di un tweet che riportava il seguente messaggio: «Ragazzi vi posto questa mia foto in un'operazione svolta proprio in quel di Bologna dove tra sardine, centri sociali, tossici e popolazione poco collaborativa non è proprio una passeggiata di salute. Vi abbraccio Amici»; tale testo era corredato da una foto che ritraeva una persona con il distintivo della polizia di Stato al collo e la pistola in mano, la faccia non si vedeva e la foto sarebbe stata scattata probabilmente da un collega, che si intravede riflesso in uno specchio dietro, anche lui con il distintivo al collo, probabilmente in un ufficio, con un vecchio monitor di un computer appoggiato su una scrivania; la stessa sera del 18 gennaio 2020, il poliziotto ritratto nella foto, una volta riconosciutosi, ha nettamente smentito l'autenticità del tweet;

   pur ammettendo di essere effettivamente l'agente della foto, lo stesso ha disconosciuto sia la paternità del tweet che la disponibilità di quel profilo, denominato claudio8013 (@Cllaudio80) dal quale è partito il tweet sopra richiamato;

   l'agente in questione avrebbe, a sua volta, presentato una denuncia alla polizia postale, spiegando tra l'altro anche che la foto risalirebbe a più di vent'anni fa;

   da quanto si apprende sia la Digos che la polizia postale starebbero lavorando per capire se quel post e il profilo siano effettivamente riconducibili all'agente o se si tratti di un «furto» di foto o peggio di identità social;

   data la gravità e la potenziale pericolosità del messaggio, a parere dell'interrogante occorre giungere al più presto all'individuazione dell'autore di tale tweet affinché si proceda immediatamente al blocco del profilo e all'assunzione di provvedimenti immediati nei confronti dell'autore, sia che si tratti di un fake o del prodotto di una delle centrali dell'odio, ben presenti nella politica italiana e che sui social riversano migliaia di messaggi negativi, sia nel caso l'autore sia effettivamente un appartenente alle forze dell'ordine –:

   se la polizia postale abbia messo in atto tutte le iniziative di competenza in relazione al tweet riportato in premessa;

   quali iniziative di competenza intenda intraprendere al fine di monitorare e contrastare queste campagne denigratorie, di odio e violenza verbale sul web.
(4-04522)


   DE MARTINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   i dati ufficiali, resi noti attraverso il proprio sito istituzionale dal Ministero dell'interno – dipartimento della pubblica sicurezza, attestano che solo nel periodo dal 1° al 20 gennaio 2020 il numero di immigrati sbarcati irregolarmente nel nostro Paese è stato pari a 735;

   raffrontando il numero degli sbarchi registrati nello stesso periodo del 2019, quando sono stati solo 155 in tutto il mese di gennaio, è di tutta evidenza che, nonostante le condizioni meteorologiche meno favorevoli rispetto a quelle dei mesi estivi, gli stessi hanno subìto un notevole aumento, confermando il preoccupante trend in crescita degli arrivi illegali via mare registrato negli ultimi mesi;

   sempre secondo tali dati, la prima nazionalità dichiarata dagli immigrati giunti illegalmente sulle coste italiane 2020 sarebbe quella algerina, con 248 ingressi su un totale di 735 (ossia il 34 per cento), il che dimostra un preoccupante incremento della rotta migratoria illegale dall'Algeria verso le coste meridionali della Sardegna;

   difatti, sempre stando ai dati riportati anche da diversi quotidiani nazionali, al 20 gennaio di quest'anno sarebbero già 237 gli immigrati irregolari rintracciati dalle forze dell'ordine sulle coste della sud della Sardegna a seguito di sbarchi illegali, in particolare nella zona del Sulcis, un numero che corrisponde a quello degli immigrati di nazionalità algerina sopra citato;

   a destare ulteriore preoccupazione vi è inoltre la circostanza che, mentre nel gennaio 2019 in Sardegna non si erano registrati sbarchi illegali, solo nei primi 20 giorni del 2020, invece, il loro numero è ormai di 237, ossia ben un terzo degli arrivi complessivi nazionali e già un quarto, in soli 20 giorni, degli arrivi registrati in Sardegna in tutto il 2019 (894);

   come evidenziato nei mesi scorsi dalla stampa e altresì dal sottoscritto con altre interrogazioni rivolte ai Ministri interrogati per sollecitare il loro tempestivo intervento, l'intensificarsi degli arrivi illegali sulle coste meridionali della Sardegna rappresenta un serio rischio e pericolo per la legalità e la sicurezza del nostro Paese, anche per la necessità di scongiurare possibili infiltrazioni di organizzazioni criminali nel territorio italiano, essendo stati rintracciati dopo gli sbarchi dall'Algeria immigrati altresì con precedenti penali –:

   quali iniziative abbiano già adottato o intendano adottare, nel più breve termine, per quanto di competenza, per garantire il controllo dei confini marittimi e contrastare i flussi migratori illegali e le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di esseri umani dai Paesi del Nord Africa nonché per impedire l'arrivo, in particolare dall'Algeria, di natanti con a bordo immigrati clandestini sulle coste del Sud della Sardegna.
(4-04523)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GIACOMETTO e NOVELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   come riportato anche da «La Stampa», cronaca di Torino, del 6 gennaio 2020, sono circa 350 i medici di famiglia tra Torino e provincia che dovranno restituire le somme delle prestazioni autorizzate e pagate dalle stesse aziende sanitarie per le assistenze domiciliari programmate (adp) ai propri pazienti ospitati nelle case di riposo. Nell'Asl To4 la stima della cifra totale che l'azienda dovrà recuperare supererebbe il milione e i 300 mila euro; circa un milione di euro, invece, nella sola Asl To3;

   nelle scorse settimane molti medici di famiglia hanno ricevuto dalle Asl le lettere firmate dai direttori delle aziende sanitarie in cui si indica la cifra che ogni singolo medico dovrà restituire concordando, eventualmente, un piano di rientro;

   il caso è emerso in tutta la sua gravità, dopo una sentenza del tribunale di Torino che ha condannato un medico dell'ex Asl To1 a restituire le quote percepite. A seguito di questa vicenda la Corte dei conti ha aperto un'inchiesta per danno erariale, avviando controlli a tappeto per il periodo tra il 2009 e il 2015;

   i giudici hanno stabilito che un paziente non deambulante domiciliato in una struttura per anziani può essere visitato solo da personale medico convenzionato e non può fare ricorso all'assistenza domiciliare programmata, che prevede un pagamento per ogni visita pari a 18,90 euro lordi. Le somme percepite dai medici attraverso questo istituto sarebbero dunque illegittime;

   a chiarire i dubbi, nel 2015 è intervenuta una pronuncia della Sisac (organo nazionale deputato a sottoscrivere e fornire interpretazioni contrattuali per i medici di famiglia) che ha portato all'interruzione del servizio di adp nelle strutture a partire da quell'anno;

   per i medici che hanno effettuato le visite negli anni precedenti al 2015 venendo regolarmente retribuiti dalle Asl, secondo i sindacati Fimmg, Snami e Smi, l'obbligo di restituzione delle somme percepite è comunque illegittimo, perché le prestazioni erano state autorizzate dalle aziende sanitarie anche per sopperire alla non uniforme applicazione della delibera regionale, la 46/27840 del 1999 con cui si prevedeva l'assistenza sanitaria in struttura. In alcune residenze, però, il medico non era previsto; in altre era stata omessa l'attivazione: ecco perché si rendeva necessario il ricorso ai medici di famiglia;

   le Asl, nel richiedere la restituzione delle somme, si sono dichiarate disponibili a concordare forme di restituzione personalizzate in base alle cifre e alle esigenze di ciascuno –:

   se il Ministro interrogato intenda adottare iniziative normative, con il coinvolgimento delle regioni, volte a definire una disciplina dell'assistenza domiciliare programmata per i pazienti ospitati in case di riposo e strutture per anziani che consenta di superare situazioni anomale come quella sopra descritta che si riverberano a danno dei medici di medicina generale.
(5-03415)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BELLUCCI e FERRO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   in una lettera inviata al commissario e sub-commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro della regione Calabria e, per conoscenza, al Garante dei detenuti della regione Calabria, a tutti i presidenti dei tribunali calabresi e alle comunità terapeutiche del territorio, l'Associazione Crea Calabria ha denunciato la mancata previsione nel decreto del commissario ad acta (dca) 7 gennaio 2020, n. 4, dei finanziamenti del fondo sanitario nazionale per le persone dipendenti da sostanza d'abuso inviate dalle autorità giudiziarie nelle strutture riabilitative con provvedimenti giudiziari;

   in particolare, si legge nella missiva, il citato Dca di inizio anno, «contrariamente a quanto stabilito nei decreti degli anni precedenti, nulla dispone in ordine alle somme relative al fondo sanitario nazionale che il Ministero, annualmente, eroga alle regioni per il finanziamento delle spese che le Aziende Sanitarie Provinciali sostengono per le prestazioni in materia di sanità penitenziaria, così come stabilito dalla legge»;

   stando così le cose, c'è il rischio che le strutture territoriali non riescano a sostenere le spese per il trattamento terapeutico di tutti i soggetti indicati dall'autorità giudiziaria e ciò anche in considerazione del fatto che, come denunciato nella lettera dell'Associazione Crea Calabria, i tetti di spesa previsti per il 2020 sarebbero addirittura insufficienti a coprire le spese per le prestazioni erogate a favore di quei soggetti, indipendentemente da una misura legale;

   tale situazione comporta una grave compromissione del diritto alla salute costituzionalmente garantito, ma anche un pesante condizionamento del potere decisionale delle autorità giudiziarie nella concessione del beneficio al trattamento sanitario nelle strutture terapeutiche di persone gravate da provvedimenti giudiziari;

   la tutela della salute, anche della persona detenuta, è, di fatto, non solo diritto del soggetto, ma è anche finalizzata a stimolare tali persone a considerarsi non escluse dalla comunità sociale. Il mantenimento e la conservazione della salute rappresentano una condizione indispensabile per poter operare sul trattamento rieducativo, ed, anche in tal senso, le attività sanitarie si collocano tra i fini istituzionali affidati all'amministrazione penitenziaria, sul rispetto dei quali il Ministero è tenuto a vigilare;

   l'interruzione di programmi terapeutici e la prospettiva di tornare nella situazione di marginalità dalla quale, magari, persone detenute stavano uscendo rischiano di portare a una vera e propria emergenza che le strutture territoriali, anche a causa dei tagli alla spesa sociale operati nel corso degli anni, non sono attrezzate ad affrontare –:

   se i fatti di cui in premessa corrispondano al vero e quali urgenti iniziative di competenza il Governo intenda adottare, per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali, per integrare il decreto del 7 gennaio 2020, n. 4, garantendo l'adeguatezza delle risorse destinate alla sanità penitenziaria e il diritto delle persone detenute indicate dall'autorità giudiziaria a ricevere il trattamento terapeutico necessario presso le strutture territoriali accreditate.
(4-04521)


   CUNIAL e GIANNONE. — Al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   la sentenza d'appello del 3 dicembre 2019, redatta dal giudice Mancuso a favore dell'ex dipendente Telecom Roberto Romeo ribadisce nuovamente (dopo la sentenza del 2017) l'esistenza di un nesso di causa tra esposizione a telefoni mobili e neurinoma acustico e afferma che gli studi scientifici indipendenti realizzati da studiosi esenti da conflitti d'interesse, hanno maggior valore di quelli finanziati, direttamente o indirettamente, da multinazionali interessate;

   nelle motivazioni della sentenza si legge che: «Buona parte della letteratura scientifica che esclude la cancerogenicità dell'esposizione a radiofrequenze (...) versa in posizione di conflitto d'interessi, peraltro non sempre dichiarato». In quel caso, la sentenza specifica, «si ritiene che debba essere dato minor peso agli studi». Un'impostazione che viene condivisa dalla stessa corte d'appello, «essendo evidente che l'indagine, e le conclusioni, di autori indipendenti diano maggiori garanzie di attendibilità rispetto a quelle commissionate, gestite o finanziate almeno in parte, da soggetti interessati all'esito degli studi»;

   i consulenti del tribunale criticano anche lo studio pubblicato nel mese di agosto 2019 dall'Istituto superiore di sanità (a firma Lagorio, Anglesio, d'Amore, Marino, Scarfì), per il quale l'uso prolungato dei cellulari «non è associato» all'incremento del rischio di tumori. A loro avviso, lo studio «usa in modo inappropriato i dati sull'andamento dell'incidenza dei tumori cerebrali» e «non tiene conto dei recenti studi sperimentali su animali» né «ha diramato raccomandazioni più stringenti sui limiti di esposizione a radiofrequenze, in particolare per bambini e adolescenti», nonostante si dichiari incerto sugli effetti associati in quell'età a un uso intenso. Studio su cui si è basata la controversa discussione in aula alla Camera della mozione che chiedeva la moratoria della diffusione del 5G sul territorio nazionale in virtù del principio di precauzione. Su tale studio si è basato anche il parere del Governo;

   già nel 2012, trattando il caso di Innocente Marcolini, la Corte di cassazione, ha stabilito un legame di concausalità tra un forte uso del cellulare e un tumore;

   recentemente la decisione del Tar Lazio ha richiamato i Ministeri competenti a realizzare campagne informative capillari (previste dalla legge n. 36 del 2001) sui possibili rischi di lavoratori, studenti, cittadini e soprattutto dei più piccoli e delle categorie più fragili, come gli elettrosensibili, all'esposizione prolungata e massiccia di radiofrequenze;

   nel convegno «5G: rischi ed evidenze scientifiche sul wireless di quinta generazione» svoltosi alla Camera dei deputati il 5 novembre 2019, di cui il Ministero ha avuto ampia documentazione, sono stati ribaditi i seri rischi per la popolazione e in particolar modo per i bambini;

   quanto indicato dalla Corte di appello, oltre a creare un precedente giudiziario, ad avviso degli interroganti, conferma in maniera insindacabile il fatto che gli studi richiamati nel rapporto dell'Istituto superiore di sanità e finanziati dall'industria non dovrebbero fondare, influenzandolo, né il ragionamento dei consulenti dei tribunali nelle cause che riguardano la telefonia mobile, né – tantomeno – chi è chiamato a legiferare in merito;

   la tecnologia 5G non è stata sottoposta ad alcuna valutazione di impatto sanitario. Visto il precedente offerto dalla sentenza, potrebbe prefigurarsi, secondo gli interroganti, un danno erariale di non poco conto –:

   se e quali iniziative di competenza il Governo, in vista dell'implementazione sul territorio nazionale del 5G e degli accordi già in essere con le aziende di telefonia, accordi peraltro sempre più osteggiati dai cittadini e da oltre 120 comuni e relativi amministratori, intenda adottare in considerazione di quanto ritenuto dalla corte d'appello di Torino al fine di tutelare la salute pubblica, approvando la moratoria della sperimentazione sul territorio nazionale, in linea con il principio di precauzione e di prevenzione.
(4-04527)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ENRICO BORGHI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   l'Enel, da molti anni, ha avviato processi di profonda riorganizzazione con conseguente riduzione degli organici, che allo stato attuale e in prospettiva rischiano di mettere a rischio la sicurezza degli impianti e del territorio;

   in particolare, il servizio di presidio e la vigilanza delle dighe è normato da un apposito decreto del Presidente della Repubblica e in virtù di esso, dal punto di vista operativo, da accordi sindacali che prevedono che l'attività debba essere svolta in via esclusiva da personale dell'Enel adeguatamente formato e a conoscenza della tipologia e della specificità di ciascun impianto;

   a quanto risulta all'interrogante e come segnalato da rappresentanze sindacali territoriali del settore, negli ultimi tempi l'Enel ha avviato un processo di riduzione delle guardianie svolte dal proprio personale, in alcuni casi manifestando la volontà di affidare in toto lo stesso a cooperative o ditte esterne;

   al di là della legittima autonomia gestionale e decisionale che compete ad ogni azienda, appare di tutta evidenza l'importanza per l'interesse pubblico dei territori e delle popolazioni residenti nelle aree dove incidono detti impianti, derivante dalla piena garanzia dell'efficienza e della sicurezza di detti impianti, anche tenuto conto dei significativi andamenti dei fenomeni climatici che stanno registrando caratteristiche del tutto anomale rispetto al passato;

   il personale dell'Enel è da anni formato, istruito e ampiamente a conoscenza sia delle tematiche inerenti alla sicurezza sia delle procedure operative per salvaguardare il servizio e tutto quanto ne consegue;

   già ora si registrano gravi carenze di personale dell'Enel in diga e anche gli impianti hanno subìto una progressiva riduzione degli organici, rendendo di fatto molto problematica la normale attività manutentiva e la reperibilità –:

   di quali elementi disponga il Governo in merito al livello di guardiania e gestione delle dighe e degli impianti di produzione di energia elettrica sul territorio nazionale;

   quali iniziative il Governo intenda adottare, per quanto di competenza, al fine di garantire condizioni di sicurezza per i lavoratori, i cittadini e il territorio interessati dalla gestione delle dighe e dagli impianti di energia elettrica, verificando l'adeguatezza degli organici e scongiurando l'esternalizzazione delle guardianie.
(5-03417)

UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRASSINETTI, BELLUCCI, MOLLICONE e BUCALO. — Al Ministro dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   le università telematiche sono state istituite con decreto ministeriale 17 aprile 2003, adottato ai sensi dell'articolo 26, comma 5, della legge n. 289 del 2002, quali istituzioni universitarie pubbliche non statali, promosse da soggetti pubblici o privati, riconosciute e accreditate secondo criteri e procedure definite dallo stesso decreto;

   tali università attivano corsi di studio a distanza e rilasciano titoli accademici di livello universitario, equivalenti a quelli rilasciati dalle università tradizionali in virtù delle procedure di accreditamento necessarie per poter erogare il servizio con standard qualitativi assolutamente corrispondenti valutati dall'Anvur;

   secondo fonti di stampa, il 23 dicembre 2019 il Ministero avrebbe adottato un decreto ministeriale con cui si dispone che i corsi di studio nelle classi di laurea relative, tra l'altro, a psicologia e scienza della formazione, possono essere erogate solo in presenza e, dunque, non più in via telematica, a decorrere dall'anno accademico 2020/2021;

   tale notizia ha avuto un enorme impatto sugli studenti iscritti nei vari corsi di laurea presso le università telematiche, destando perplessità innanzitutto il fatto che la decisione di intervenire sulla materia sia stata presa dal Ministro pro tempore Fioramonti, alla vigilia delle sue dimissioni;

   rispetto al contenuto del citato decreto, il presidente dell'Ordine nazionale degli psicologi ha manifestato immediatamente, quanto inopportunamente, il proprio compiacimento, dando l'impressione di averne sollecitato l'adozione, con un comunicato del 10 gennaio 2020, che discredita i corsi di laurea organizzati dagli atenei telematici e i docenti di tali corsi, definendo «non dignitosa» o quanto meno, con una dignità inferiore, l'offerta didattica da remoto rispetto a quella in presenza, ignorando del tutto che negli atenei convenzionali non vi è alcun obbligo di frequenza per questo tipo di corsi e che proprio tali corsi sono come già detto, continuamente monitorati dall'Anvur che ne verifica i requisiti di qualità;

   il 2 dicembre 2019 il Governo ha accolto l'ordine del giorno n. 9/2222-A/51 a prima firma Onorevole Prestipino in cui si impegnava solo a «valutare l'opportunità di avviare un monitoraggio e predisporre le condizioni affinché la formazione universitaria dell'educatore di servizi per l'infanzia, dello psicologo e dell'assistente sociale, in quanto figure professionali di rilevante delicatezza e importanza sociale, sia consentita, quando impartita con modalità mista, alle medesime condizioni previste per il corso di laurea in Scienze della formazione primaria» –:

   se i fatti di cui in premessa corrispondano al vero e se trovi conferma la notizia dell'adozione del decreto ministeriale sopra citato, che non risulta ancora pubblicato;

   ove ciò trovi conferma, se il Ministro interrogato non ritenga di dover rivedere il testo del decreto, istituendo un tavolo di confronto con i soggetti interessati dal provvedimento; nonché richiedere un nuovo parere al consiglio universitario nazionale, posto che quello citato nella premessa del decreto ministeriale risale a più di 4 anni fa e si riferisce ai tirocini e ai laboratori ad alta specializzazione;

   se non consideri necessario esprimere la sua posizione in materia di qualità dell'attività formativa delle università telematiche, considerato che l'istituzione delle università telematiche risponde a linee d'azione sviluppate nell'ambito della stessa Unione europea in materia di utilizzo delle metodologie di insegnamento basate sull'utilizzo «delle nuove tecnologie multimediali e di Internet per migliorare la qualità dell'apprendimento agevolando l'accesso a risorse e servizi nonché gli scambi e la collaborazione a distanza».
(5-03420)

Interrogazione a risposta scritta:


   BELOTTI, LEGNAIOLI, COLMELLERE, LATINI, RACCHELLA, FOGLIANI, PATELLI, SASSO e FURGIUELE. — Al Ministro dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   all'ingresso dello studio del professor Antonio Villanacci, docente di metodi matematici dell'economia e delle scienze attuariali e finanziarie al dipartimento di scienze per l'economia e l'impresa dell'università di Firenze, è stato fotografato un foglio A4 con un testo dal titolo inequivocabile «Basta a Salvini e a questa destra orribile»;

   nel foglio viene riportato uno stralcio di un articolo del quotidiano «Il Manifesto» in cui si lanciano pesanti accuse a Salvini, tra cui di «voler eliminare gli avversari politici», che il capo della Lega «odia i diversi» e «porterebbe a zero i diritti civili conquistati negli ultimi 50 anni» e altri giudizi simili;

   lascia molto perplessi e al contempo sconcertati che un docente utilizzi la porta del proprio studio come bacheca per diffondere parole d'odio. Nessuno vieta a un docente di avere delle idee politiche, ma esternarle con tali metodi, manifestando palesemente il suo viscerale odio verso una precisa parte politica, denota totale mancanza di equilibrio e obiettività, due doti fondamentali per insegnare e per esercitare al meglio il ruolo di docente;

   intervistato da un quotidiano locale a seguito della notizia apparsa sulla stampa, il professore Villanacci dichiarava «Ho affisso quei fogli lo scorso agosto. Non mi sembrava di urtare alcuna suscettibilità. Quell'articolo diceva cose precise, anche se forti»;

   alla domanda del giornalista sulla volontà di togliere il cartello dalla porta, il professore Villanacci rispondeva «Dovesse chiedermelo il rettore, sì. Per ora ho ricevuto la solidarietà di molti studenti e colleghi», dimostrando così a giudizio degli interroganti, di non aver ancora capito la grave irregolarità commessa;

   il giorno seguente il rettore dichiarava, ancora alla stampa, che «i luoghi universitari devono rispondere a criteri oltreché di decoro, di rispetto per le opinioni altrui. Non ritengo accettabile l'uso degli spazi di Ateneo per finalità diverse da quelle che discendono dalle nostre missioni. Ho chiesto al professor Villanacci di rimuovere, il foglio affisso, ribadendogli le suddette considerazioni» –:

   se risultino ulteriori elementi al riguardo e quali iniziative di competenza, anche di carattere normativo, intenda assumere, a fronte di episodi quali quello segnalato in premessa.
(4-04529)

Apposizione di firme ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Gariglio e altri n. 7-00399, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 gennaio 2020, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bruno Bossio, Serracchiani.

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Ceccanti e altri n. 4-04510, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 gennaio 2020, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Di Giorgi, Carla Cantone.