Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Domenica 22 dicembre 2019

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,

   premesso che:

    sul territorio pratese, malgrado l'importante azione di controllo delle forze dell'ordine e le segnalazioni pressanti delle rappresentanze economiche e sociali, permane da anni la discrasia creata dalla presenza di imprese che, operando al di fuori di regole e normative, alimentano un sistema di illegalità e di sfruttamento lavorativo che ha condotto, sei anni fa, alla tragedia della Teresa Moda, nel cui rogo persero la vita sette persone di nazionalità cinese;

    recentemente, il tribunale di Prato ha emesso la prima sentenza di condanna in Italia per il reato di sfruttamento di manodopera, previsto e punito dall'articolo 603-bis del codice penale, nei confronti di due imprenditori cinesi che sfruttavano 21 connazionali;

    la condanna è stata pronunciata perché sono state riscontrate situazioni di sfruttamento dei lavoratori che vanno ben oltre il semplice, quanto esecrabile, «lavoro nero»; sono stati accertati, infatti, turni di lavoro – dalle 13 alle 16 ore – con tre pause di soli 10 minuti al giorno per la consumazione dei pasti. Le 21 vittime, poi, dormivano in un unico appartamento, adiacente lo stabilimento produttivo, stipati in circa 90 metri quadrati. Nessun diritto a ferie o permessi e paghe di pochi euro al giorno;

    il caso venuto alla luce con la sentenza del tribunale di Prato, la prima in Italia che ha applicato l'articolo 603-bis del codice penale, non è però isolato: la procura della Repubblica ha evidenziato un complesso intreccio tra sfruttamento della manodopera ed elusione di norme, a tutti gli effetti un «Mondo Sommerso»;

    si deve evidenziare, peraltro, che secondo le recenti statistiche demografiche della provincia di Prato i residenti cinesi sono più di 25 mila, su un totale di oltre 257 mila abitanti (dati Istat più recenti), ma il dato non è rappresentativo della reale situazione demografica della zona pratese, atteso che si registra una sovrapposizione tra residenti e cittadini con permesso di soggiorno ed è verosimile che ci siano individui di nazionalità cinese privi di documenti; il dato, secondo fonti autorevoli potrebbe attestarsi su una comunità cinese di circa 40 mila unità;

    del resto, la ragguardevole presenza di questa comunità nella città di Prato è confermata anche dal vertiginoso aumento degli ultimi anni di bambini cinesi nelle scuole pratesi: in soli trent'anni gli stranieri sono aumentati dal 2 per cento al 20 per cento e la metà di questi è rappresentata proprio da cinesi; non esiste altra realtà in Europa che registri una densità di persone di questa nazionalità in rapporto alla popolazione;

    a ciò si aggiunga che, se da un lato la struttura scolastica pratese ha fronteggiato tale situazione con numerose iniziative inclusive, dall'altro essa continua a registrare una delle più elevate percentuali di abbandono (più del 26 per cento) proprio alle scuole superiori, correlato, appunto, al precoce avvio al lavoro da parte delle famiglie di origine;

    dunque, quello che noi chiamiamo «Mondo Sommerso», denunciato sotto altro nome dalla procura esiste e resiste, con pesanti e molteplici ricadute economiche di migliaia di soggetti costretti a lavorare e vivere nel cono d'ombra dell'illegalità;

    si tratta di un esercito di donne e uomini, di ragazze e di ragazzi che costituiscono la forza di un'economia parallela che attua un dumping commerciale sistematico e genera un flusso finanziario incontrollato e completamente sottratto alla fiscalità generale;

    un'indagine della Guardia di finanza di diversi anni fa, che coinvolse circa trecento persone, accertò l'esistenza di un «money transfer» che, nell'arco di soli sei mesi, aveva consentito, ad una sola persona, di eseguire ben 2.500 operazioni, consentendo la fuoriuscita di 10 milioni di euro verso la Cina. La realtà emersa da quell'indagine era ben peggiore; infatti, i diversi money transfer sparsi sul territorio avevano consentito una emorragia di danaro in nero dal Pratese verso l'Estremo Oriente per un flusso di oltre 2,2 miliardi di euro;

    oggi, a dieci anni di distanza, il problema dell'evasione, pur avendo assunto altre forme, persiste, per nulla stemperato: intraprendenti imprenditori cinesi, consigliati d professionisti, continuano ad evadere ingentissime somme di danaro;

    quello che si definisce «mondo sommerso», secondo quanto affermato dal procuratore generale, dottor Giuseppe Nicolosi, si è traslato in un fenomeno di criminalità di tipo mafioso, dove la malavita cinese gestisce imponenti traffici di denaro liquido da reinvestire in attività apparentemente lecite. Come rivelato da un'indagine del 2018 della direzione distrettuale antimafia di Firenze, denominata «China truck», le due economie s'intrecciano e si alimentano osmoticamente. Questa indagine ha condotto in carcere, assieme a decine di nostri connazionali, il presunto capo della triade italiana Zhang Naizhong: questa persona è considerata dagli organi inquirenti «il capo dei capi», colui, che, proprio da Prato, comandava mezza Europa. Le accuse contro la sua organizzazione sono paradigmatiche della capacità dell'organizzazione di diversificare gli interessi, anche criminali, dei clan cinesi. Si va dal trasporto merci, alla gestione di sale giochi e centri benessere sino al traffico internazionale di rifiuti;

    in materia di rifiuti, l'ex presidente di Asm e attuale amministratore di Revet, Alessandro Canovai, ha sottolineato il dato della produzione dei rifiuti urbani, che vede Prato agli ultimi posti in Italia, con una grossa penalizzazione nella classifica delle province più «green». Canovai ha asserito che: «Quando aumenta la produzione pro capite dei rifiuti urbani come nel caso di Prato i casi sono due: o nei rifiuti urbani finiscono molti speciali e, quindi, a parità di abitanti il numero chilogrammi/abitanti anno cresce oppure ci sono un buon numero di residenti che non sono censiti. Nel caso di Prato la crescita è di circa il 5 per cento. Quindi viene da pensare che ci siano cittadini invisibili che producono rifiuti ma non sono censiti»;

    la problematica è però più grave di stranieri non censiti: è del 21 novembre 2019 la notizia della denuncia di due persone di nazionalità cinese residenti a Prato per ipotesi di reato di gestione illecita di rifiuti; a seguito di alcune segnalazioni di residenti, che lamentavano di trovare i cassonetti di via Aretina e dintorni pieni di materiale tessile di scarto, i carabinieri avrebbero deciso di effettuare un servizio di appostamento. Gli accertamenti eseguiti dai militari dell'Arma hanno portato a rinvenire un furgone che è risultato trasportare 40 sacchi del peso di 40 chilogrammi circa, per un totale di 1.600 chilogrammi di scarti tessili derivanti da lavorazioni industriali;

    a ciò si aggiunga quanto già emerso dall'indagine della direzione distrettuale antimafia del capoluogo Toscano: capannoni stracolmi di rifiuti, false iscrizioni all'Albo nazionale gestori ambientali abilitati, trasporti di soggetti non abilitati. I rifiuti delle imprese tessili del pratese – quello di Prato è il primo distretto tessile europeo, nonché capitale mondiale per la produzione di tessuti «cardati ecosostenibili», realizzati con fibre riciclate –, in larga parte in mano ai cinesi, ma con forti partnership con alcuni cittadini italiani della zona: si parla della cosiddetta «Prato Waste», un vasto sistema afferente alla produzione dalle ditte a conduzione cinese attive nella provincia di Prato che smaltivano illecitamente rifiuti che poi finivano in varie regioni d'Italia ed in Africa. I reati contestati sono di attività organizzata volta al traffico illecito di rifiuti anche verso l'estero;

   al descritto contesto, si aggiunga che dal 13 novembre 2019 è attivo un nuovo servizio di trasporto merci su rotaia che da Prato, via Verona, collegherà l'interporto della Toscana centrale con la Cina, senza alcuna sosta. Un treno composto da trentasette container da dodici metri ciascuno;

   alla luce di tutto quanto illustrato pare sempre più indispensabile mettere uno «stop» a questo «mondo sommerso». Invero, l'aumento dei flussi commerciali può certamente rappresentare un'ottima opportunità, ma ciò a condizione che siano costruite le premesse per una concorrenza leale, dando un preciso segnale sul fatto che la normativa nazionale sul lavoro e sull'impresa né si piega e né si modella. In caso contrario, quindi, nella vigenza del «sistema Prato», questo collegamento più veloce tra l'Italia e la Cina può portare ad una crescita di questa patologia, perché potranno arrivare merci a bassissimo costo da trasformare o commercializzare direttamente nella piena illegalità; tra l'altro, il modello produttivo del sistema illegale che si basa sullo sfruttamento lavorativo del personale si è, via via, allargato ad altre lavorazioni del tessile tradizionale, risalendo la filiera produttiva fino alla tintoria, alla rifinizione e alla stampa del tessuto, sino a giungere ad attività commerciali storiche del centro della città di Prato;

   il procuratore Nicolosi ha definito quella di Prato una procura «di frontiera», dove su circa 1.000 procedimenti annui per la violazione della normativa sul lavoro, almeno 900 sono a carico di imprenditori cinesi, con un quotidiano impegno in indagini e sequestri a carico di questi cittadini messo in campo in condizioni di endemica carenza di organico;

   uno dei nodi cruciali da risolvere nel Pratese per garantire un'adeguata presenza dello Stato e contrastare l'imponente densità criminogena di quella zona, è quello della promozione di Prato dalla fascia C alla fascia B, come le città di Lucca e Pisa che, stando al piano di riorganizzazione delle questure allo studio al Viminale, avranno rispettivamente 344 e 300 poliziotti. Come evidenziato dal segretario provinciale del Sindacato italiano appartenenti polizia (Siap), l'attuale classificazione non è adeguata all'attuale contesto socio-criminale che deve essere fronteggiato anche tramite la riorganizzazione della questura;

   dall'altro canto, vi è il gravissimo problema dei controlli da parte dell'Agenzia delle entrate e del personale della Guardia di finanza che non hanno sufficienti dotazioni organiche: la specificità di questo distretto, se non lo si vuole abbandonare ad una zona franca di illegalità, necessita di una specifica attenzione tramite la predisposizione di un vero e proprio piano speciale per la città di Prato,

impegna il Governo:

1) ad incrementare i controlli di competenza su tutto il distretto industriale di Prato, al fine di contrastare e reprimere gli illeciti connessi al mondo del lavoro, anche attraverso iniziative per lo stanziamento di maggiori risorse economiche in favore degli organi di vigilanza, in modo particolare gli ispettorati del lavoro e, in raccordo con le regioni, le Asl;

2) ad adottare le iniziative di competenza per incrementare la dotazione organica della Guardia di finanza di Prato, del corpo magistratuale ed amministrativo degli uffici giudiziari di Prato e dei locali uffici dell'Agenzia del territorio, svincolando questi ultimi dalle «missioni» stabilite dal Ministero dell'economia e delle finanze;

3) a valutare, per l'inquadramento nella fascia più elevata della questura di Prato, l'utilizzazione di nuovi parametri, oltre a quelli già previsti dalla normativa vigente – basati sostanzialmente su territorio ed abitanti – per garantire un maggiore equilibrio tra le peculiarità degli specifici contesti territoriali, la valenza criminologica degli stessi ed il numero di agenti a disposizione, al fine di rispondere alle attuali esigenze di sicurezza;

4) ad adottare iniziative per garantire, a livello nazionale, informazioni e supporto ai lavoratori, anche attraverso l'attivazione e la pubblicizzazione, considerate le specificità idiomatiche, di un numero telefonico nazionale di pubblica utilità presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, per consentire la denuncia di illeciti lavorativi, che assicuri adeguate forme di tutela del denunciante;

5) a promuovere, per quanto di competenza, l'utilizzo dei servizi pubblici per l'impiego nel reclutamento della manodopera attraverso iniziative volte ad introdurre sgravi fiscali, assicurativi, previdenziali o burocratici, in particolare a favore delle aziende del tessile che operano nella legalità;

6) a promuovere, con riferimento alle aziende virtuose del tessile, semplificazioni ed agevolazioni in relazione agli adempimenti previsti dalla vigente normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro;

7) ad adottare iniziative per implementare un sistema di sostegno alle imprese produttrici che consenta loro di collegare il prezzo dei beni al costo di produzione.
(1-00305) «Mazzetti, Gelmini».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VIII e IX,

   premesso che:

    lo stretto internazionale di Bonifacio, compreso tra il Parco nazionale dell'Arcipelago di La Maddalena e il Parco nazionale del Sud della Corsica (istituendo Parco internazionale delle Bocche di Bonifacio), Area marina protetta speciale per biodiversità (2001), Santuario internazionale dei cetacei (2002), Patrimonio mondiale Unesco (2006), ha ottenuto nel 2011 lo status di Particulary Sensitive Sea Area (Pssa), in assoluto la prima del Mar Mediterraneo e la seconda al mondo a riguardare uno stretto internazionale. La speciale valenza e fragilità di tale area impone l'adozione di tutte le misure necessarie a rafforzarne la protezione ambientale. L'Assemblea dell'Organizzazione marittima internazionale (Imo) nella risoluzione A.982(24) raccomanda per l'area Pssa dello stretto di Bonifacio tre strategie operative fondamentali per la tutela ambientale: rotte tracciate, controllo radar e pilotaggio raccomandato (risoluzione del Comitato per la protezione dell'ambiente marino dell'Imo – Resolution of IMO MEPC.204(62) del 15 luglio 2011);

    la convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare UNCLOS, ratificata dall'Italia con legge 2 dicembre 1994, n. 689, all'articolo 192, sancisce l'obbligo degli Stati di proteggere e preservare l'ambiente marino. Allo stesso tempo l'articolo 44 prevede che, negli stretti, gli Stati rivieraschi non debbono ostacolare il passaggio in transito, considerato il carattere strategico degli stessi. Tuttavia, le rotte delle oltre tremila navi che ogni anno solcano lo stretto di Bonifacio, spesso rischiando collisioni e sversamenti, destano preoccupazioni soprattutto per la protezione dell'ambiente marino e impongono l'individuazione delle giuste precauzioni. Il traffico navale costituisce infatti non solo una fonte di inquinamento del mare, con ricadute allarmanti in caso di incidente, ma una minaccia per le specie marine sensibili al passaggio delle navi e per gli ecosistemi acquatici, compromessi dall'invasione di specie aliene trasportate dalle imbarcazioni nelle acque di sentina e di zavorra;

    il recente disastro che ha visto un cargo battente bandiera di Antigua Barbuda, diretto a Port-Saint-Louis-du-Rhone, finire sugli scogli nei pressi di Bonifacio intorno alle 3 di domenica 13 ottobre 2019, impone di trovare soluzioni concrete condivise con le Autorità francesi. Infatti, nonostante l'alta operatività del Piano d'intervento franco/italo/monegasco per la prevenzione e la lotta contro gli inquinamenti marini (Ramogepol) e del Piano italiano operativo di pronto intervento per la difesa del mare e delle zone costiere dagli inquinamenti accidentali da idrocarburi e da altre sostanze nocive del 2013, un eventuale sversamento in mare di idrocarburi a seguito di un sinistro marittimo causerebbe in questo stretto un disastro senza precedenti, devastando l'ambiente e l'economia di un territorio a forte vocazione turistica. In questi casi la prontezza d'intervento è l'elemento essenziale per contenere gli eventuali danni ambientali;

    sebbene lo status di Pssa di un'area marina protetta ricadente in uno stretto possa incidere sulla valutazione circa la gravità del danno, le competenze applicative degli Stati rivieraschi rimangono limitate alla definizione delle perdite o danni sofferti in conseguenza della violazione di proprie leggi e regolamenti. Un'ottimale protezione dell'equilibrio ambientale richiederebbe l'adozione di ulteriori misure di tutela, già adottate in altri contesti internazionali, quali la previsione di un pilotaggio obbligatorio, la chiusura di rotte a determinate tipologie di navi, l'assistenza di rimorchiatori per garantire la sicurezza della navigazione all'interno della Pssa o nelle sue vicinanze, la comunicazione preventiva delle rotte pianificate;

    l'efficacia degli interventi condotti in situazioni di urgenza in un tratto di mare particolarmente pericoloso come le Bocche di Bonifacio presuppone che gli Stati rivieraschi dispongano di adeguate informazioni in merito alle navi straniere in transito, in particolare di quelle che trasportano merci pericolose;

    il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare provvede all'organizzazione del pronto intervento per la difesa del mare e delle zone costiere dagli inquinamenti causati da incidenti e assicura i servizi di pronto intervento antinquinamento per la salvaguardia delle coste e dei mari italiani attraverso una convenzione con la società Castalia, che opera con una flotta di navi d'altura e costiere dislocate nei principali porti italiani e in prossimità delle zone di mare più sensibili dal punto di vista ambientale;

    l'attuale dislocamento delle unità antinquinamento per il nord della Sardegna (un'unità d'altura, la Koral a Golfaranci e una unità Costiera, la Ecogiglio, a Porto Torres), non è commisurato al rischio di disastro ambientale al quale è costantemente esposto lo stretto di Bonifacio a causa dell'elevato traffico di grandi navi come gasiere, petroliere e porta container;

    in ragione dell'attuale regime di Stretto internazionale delle Bocche di Bonifacio, non è possibile prevedere un servizio di pilotaggio obbligatorio. Come già rilevato, la potestà prescrittiva degli Stati rivieraschi negli stretti incontra, infatti, forti limitazioni con riferimento al sistema di pilotaggio considerato l'obbligo di non negare, ostacolare ovvero compromettere il diritto di passaggio in transito sancito dalla Convenzione Unclos;

    a quanto consta, dalla parte francese il pilotaggio viene operato da una stazione di pilotaggio di Bonifacio, mentre per la porzione di mare di competenza nazionale, il servizio è stato istituito con piloti e mezzi delle corporazioni di Olbia e Porto Torres, quali marittimi abilitati ai sensi dell'articolo 96 del codice della navigazione;

    il ricorso al servizio di pilotaggio nelle Bocche di Bonifacio è condizionato anche alla possibilità di avvalersi del servizio in tempi ragionevoli a partire dalla richiesta; la carenza di mezzi in loco fa sì che i tempi di prontezza siano condizionati dalla distanza dalle Bocche delle basi dei mezzi oggi impiegati (Porto Torres e Olbia);

    i mezzi impiegati vengono approntati dalle corporazioni dei piloti, ai sensi dell'articolo 99 Regolamento nav. Mar. In fase iniziale, l'acquisizione di una pilotina e la sua gestione in loco, così come gli ulteriori costi fissi (strutture, apparecchiature, manutenzione dei mezzi, amministrazione, formazione, e altro) rappresentano un onere eccessivo per la corporazione di piloti, considerato che le tariffe, prestabilite in apposito decreto, vengono introitate solo dopo le prestazioni di pilotaggio, peraltro assai ridotte data la natura volontaria del ricorso al servizio da parte delle navi in transito;

    sulla necessità di rafforzare le azioni di monitoraggio attraverso un presidio permanente sono state avanzate richieste anche da parte della regione Sardegna,

impegna il Governo:

   ad assumere le iniziative necessarie ad agevolare e incentivare nelle acque di competenza dello Stato italiano l'istituzione di un servizio di pilotaggio permanente ed efficiente, prevedendo un sistema di contenimento e sgravio dei costi, per le corporazioni di piloti;

   a valutare l'opportunità di assumere iniziative, nelle opportune sedi internazionali, volte a tutelare un'area di importanza ambientale e strategica nei traffici marittimi come quella delle Bocche di Bonifacio, mediante ulteriori e più specifiche misure protettive associate al riconoscimento come Particularly Sensitive Sea Area (Pssa) che garantiscano la sicurezza della navigazione e contestualmente la protezione dell'ambiente marino e degli ecosistemi vulnerabili;

   ad assumere iniziative per implementare il sistema di informazione sulle navi in transito nello stretto di Bonifacio, anche rafforzando gli accordi di collaborazione con lo Stato francese.
(7-00394) «Deiana, Marino, Alberto Manca, Ilaria Fontana, Daga, D'Ippolito, Federico, Licatini, Maraia, Micillo, Ricciardi, Rospi, Terzoni, Varrica, Vianello, Vignaroli, Zolezzi, Braga, Buratti, Del Basso De Caro, Morgoni, Orlando, Pellicani, Pezzopane, Muroni, Fregolent, Occhionero, De Lorenzis, Termini, Barbuto, Luciano Cantone, Carinelli, Chiazzese, De Girolamo, Ficara, Grippa, Raffa, Paolo Nicolò Romano, Scagliusi, Serritella, Spessotto».


   La VII Commissione,

   premesso che:

    è noto che l'Italia possiede il patrimonio culturale più importante al mondo, che copre un arco cronologico che si estende dalla più alta antichità fino ai tempi attuali; innumerevoli sono i siti ed i monumenti di assoluto rilievo storico, non solo per la cultura nazionale ma altresì per quella europea e mondiale: numerosi sono infatti i siti riconosciuti dall'Unesco «patrimonio mondiale dell'umanità»;

    tale patrimonio è certamente un veicolo di cultura e grazie ad esso, oltre che ovviamente a tutte le testimonianze documentali, è stato possibile ricostruire la storia del nostro Paese fin dai tempi più remoti;

    è stato quindi possibile insegnare nelle scuole italiane la storia a partire dalle antiche civiltà italiche sviluppatesi prima della romanizzazione della penisola, in particolare quella degli Etruschi ma non solo: si pensi, ad esempio, ai Messapi, ai Sanniti, agli Osci, ai Sicani e altri;

    la storia di tali culture e di tali popolazioni non è sufficientemente valorizzata ed insegnata nelle scuole italiane, ma di una in particolare non vi è traccia alcuna, nonostante sia stata una delle civiltà più importanti tra quelle sviluppatesi nel bacino del Mediterraneo a partire dall'età del bronzo fino all'età del ferro e in epoca storica: ci si riferisce alla civiltà nuragica (o a quelle pre-nuragiche), sviluppatasi e fiorita in Sardegna tra il XVIII ed il VI sec. a.C., per declinare successivamente, in seguito alla conquista dell'isola da parte dei Cartaginesi prima e dei Romani dopo;

    la storia della civiltà nuragica è di importanza tale che non può essere ignorata nei libri di storia e nella formazione culturale dei giovani: si consideri che le testimonianze di tale civiltà giunte fino ai nostri tempi costituiscono circa il 20 per cento del patrimonio archeologico italiano;

    le emergenze monumentali, infatti, sono talmente numerose che ad oggi non è stato possibile effettuarne un censimento completo: in Sardegna sono stimati tra i 7.000 ed i 10.000 nuraghi, moltissimi dei quali ancora inesplorati, centinaia di tombe ipogee, alcune delle quali decorate in modo raffinato e di architettura spettacolare, decine di dolmen, menhir, «tombe dei giganti» e «pozzi sacri», oltre opere manifatturiere splendide e uniche, come i bronzi votivi, noti come «bronzetti nuragici»;

    in particolare, i nuraghi (da Nur = mucchio di pietre, mucchio cavo) sono costruzioni di pietra a forma tronco conica, soluzioni architettoniche inedite per l'epoca, le cui mura arrivano anche a 4 metri di larghezza e possono raggiungere un'altezza di oltre 20 metri, realizzate con blocchi di pietra ciclopici, alcuni dei quali raggiungono il peso di svariate tonnellate;

    quindi, mentre in Egitto venivano costruite le piramidi e nella quasi totalità dell'odierna Unione europea si edificavano capanne e palafitte, in Sardegna nascevano i maestri dell'architettura mondiale dell'età del bronzo, che hanno trasformato l'isola nella terra più densamente costruita dell'epoca e, oggi, in un immenso museo a cielo aperto;

    risale ad alcuni decenni fa la scoperta nella Sardegna centro-occidentale di un complesso di sculture nuragiche a tutto tondo in un sito ancora parzialmente esplorato, scolpite in arenaria gessosa locale e raffiguranti arcieri, spadaccini e lottatori alti più di due metri, noti come «Giganti di Mont'e Prama», che presumibilmente sono le più antiche sculture a tutto tondo con sembianze umane realizzati nell'odierna Europa, in quanto antecedenti ai kouroi greci e, nel bacino del Mediterraneo, cronologicamente successive solo alla statuaria egizia;

    i Nuragici, già prima dell'arrivo dei Fenici, ricoprirono un ruolo di primo piano nei contatti tra i popoli del Mediterraneo e tra le più importanti civiltà dell'epoca: si ritroveranno i segni della loro presenza in Spagna, Turchia, Tunisia, a Cipro, Creta, in Etruria, Lazio, Sicilia e a detta di alcuni studiosi devono essere identificati con gli «Shardana» (SRDN) menzionati in papiri ed iscrizioni egizie fin dal 1350 a.C.; in particolare, i nuragici influenzarono certamente la nascente civiltà etrusca attraverso scambi commerciali che diffusero le loro usanze ed i loro manufatti, come i raffinati bronzi figurati nuragici e le ceramiche, grazie alle quali si è accertata la prima produzione di vino in Europa, attestata in Sardegna già dal 1200 a.C.;

    le radici della civiltà nuragica sono così profonde che ancora oggi numerosi nomi e toponimi derivano etimologicamente dalla lingua parlata in quei tempi così remoti; allo stesso modo, nei libri di testo è totalmente assente la storia della Sardegna, sebbene le vicende storiche che hanno interessato l'isola siano determinanti per la nascita del nostro Paese;

    il Regno di Sardegna ebbe inizio formalmente a Roma — come «Regnum Sardiniae et Corsicae» — nell'antica basilica di San Pietro il 4 aprile del 1297 allorché papa Bonifacio VIII, per risolvere la contesa tra Angioini e Aragonesi circa il Regno di Sicilia (che aveva scatenato i moti popolari passati alla storia come Vespri siciliani), attraverso la bolla «Ad honorem Dei onnipotenti Patris» investì il re d'Aragona Giacomo II dello ius invadendi sulla Sardegna e sulla Corsica; fino ad allora la Sardegna era governata da sovrani indipendenti chiamati «Giudici»;

    solo nel 1420 gli Aragonesi riuscirono ad ottenere il pieno controllo dell'isola, che, dopo la fusione della corona di Aragona con quella di Castiglia, passò sotto il controllo del re di Spagna fino al 1718 quando in seguito al trattato di Londra Vittorio Amedeo II di Savoia la cedette in cambio della Sicilia; da allora in poi la Sardegna divenne fondamentale per il percorso che avrebbe portato all'unità d'Italia, contribuendo in modo decisivo con i suoi uomini e le sue risorse al cammino verso lo Stato unitario, fino all'apice del sacrificio raggiunto durante la grande guerra con gli uomini della Brigata Sassari;

    eppure nei libri scolastici non è rinvenibile alcun accenno a tali importanti avvenimenti storici, nonostante sia evidente la rilevanza e l'importanza degli stessi per la comprensione della storia d'Italia; così come, allo stesso modo e per gli stessi motivi, è importante l'approfondimento delle vicende storiche di tutte le regioni italiane, perché sia patrimonio comune l'apporto che ciascuna di esse ha portato alla nascita del nostro Paese;

    all'epoca nuragica, i libri di testo scolastici non dedicano praticamente nessuno spazio, salvo — al più — poche righe, che non danno certamente un quadro esaustivo e coerente con le recenti evidenze scientifiche;

    difatti, le «Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati nella scuola primaria» prevedono per il secondo biennio lo studio della storia della «maturità delle grandi civiltà dell'antico Oriente», delle «civiltà fenicia e giudaica» e delle «popolazioni presenti nella penisola italica in età preclassica», ma incomprensibilmente non contemplano lo studio della più importante civiltà sviluppatasi nel Mediterraneo occidentale e in Europa durante l'età del bronzo; viceversa, attraverso lo studio di tale periodo, i giovani apprenderanno come agli albori della cultura occidentale il nostro Paese abbia recitato un ruolo di primo piano nel quadro delle civiltà del Mediterraneo, già 1.000 anni prima della nascita di Roma, attraverso la civiltà nuragica della Sardegna;

    allo stesso modo non viene dedicato alcuno spazio alla storia della Sardegna, seppure essa possa dirsi fondamentale ed intimamente connessa alle vicende che hanno portato alla nascita dello Stato unitario;

    l'articolo 117, secondo comma, lettera n), della Costituzione attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia inerente alle norme generali sull'istruzione,

impegna il Governo:

   ad attivarsi e a mettere in atto ogni iniziativa di competenza affinché:

    a) nei programmi di studio, a partire dalla scuola primaria e secondaria, sia inserita la storia della civiltà nuragica;

    b) vengano previste, nella fascia dell'obbligo di istruzione ed a fini didattici, pubblicazioni monografiche di approfondimento che illustrino la storia regionale, per ambiti omogenei regionali o macroregionali, rapportandola al quadro nazionale, al fine di rafforzare il valore formativo e culturale dell'insegnamento della storia.
(7-00393) «Lattanzio, Perantoni».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MULÈ. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione. — Per sapere – premesso che:

   il 17 dicembre 2019, presso il Tempio di Adriano, la Ministra per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione ha presentato il piano di azione «2025», il documento programmatico elaborato per l'innovazione e la digitalizzazione del Paese;

   come riportato da un articolo di stampa del Sole24ore Davide Casaleggio, presente all'evento al Tempio di Adriano, avrebbe lavorato all'elaborazione del documento programmatico del Ministero, insieme ad altri 17 esperti in materia di innovazione;

   il coinvolgimento attivo del dottor Casaleggio nell'elaborazione di un programma governativo in materia di digitalizzazione e innovazione tecnologica desta perplessità a parere dell'interrogante perché Casaleggio è presidente della Casaleggio Associati, azienda che tra le sue attività prevede quella della consulenza digitale nei confronti di imprese, strategie di rete, nonché attività di pubbliche relazioni nell'ambito dell'innovazione tecnologica, senza considerare nella sua qualifica di presidente dell'Associazione Rousseau ha notoriamente rapporti con esponenti del movimento 5 stelle, tra i quali anche quelli che ricoprono incarichi di Governo;

   il rischio che il coinvolgimento attivo del dottor Casaleggio nell'elaborazione del programma di azione del Ministro per l'innovazione e la digitalizzazione possa configurare il rischio di porre in essere situazioni di conflitto di interessi, a giudizio dell'interrogante non può essere escluso –:

   se quanto riportato da notizie di stampa su un coinvolgimento diretto nell'elaborazione del programma di azione 2025 del dottor Davide Casaleggio corrisponda al vero e, in tale caso, quali siano state le motivazioni che hanno indotto il Ministro interrogato a prevedere un coinvolgimento diretto del dottor Casaleggio in un piano di azione governativa e se l'opera svolta abbia previsto una remunerazione ovvero sia stata a titolo gratuito;

   chi siano gli altri 17 esperti che hanno contribuito all'elaborazione del piano, quali siano stati i criteri di individuazione nonché le modalità di coinvolgimento.
(5-03331)

Interrogazione a risposta scritta:


   FRATOIANNI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   da un articolo pubblicato il 14 dicembre 2019 sul sito www.articolo21.org si apprende che il 12 dicembre 2019 Rainaldo Graziani, figlio di uno dei fondatori dell'organizzazione neofascista Ordine Nuovo, ha pubblicato un post su Facebook attraverso il quale, oltre a ringraziare gli aderenti al ricostituito movimento, richiama il motto delle S.S. «Onore e fedeltà» adottato da Ordine Nuovo fin dalla fondazione;

   il 12 dicembre 2019 ricorreva il cinquantesimo anniversario di Piazza Fontana, ferita ancora aperta nel nostro Paese;

   le sentenze sulla suddetta strage alla fine hanno dimostrato che dietro quell'attentato c'era il gruppo veneto di Ordine nuovo, nato negli anni ’50 come centro studi e divenuto movimento politico poco prima della strage;

   Ordine Nuovo è stato sciolto dal Ministero dell'interno nel 1973 e fu il motore politico della strategia della tensione, come raccontano le tante inchieste degli anni ottanta e novanta;

   il giornalista Andrea Palladino ha dato conto del post scritto da Rainaldo Graziani, scrivendone sul quotidiano La Repubblica, spiegando ai lettori chi fosse Graziani figlio;

   dal resoconto di Palladino, collaboratore de La Repubblica, La Stampa, L'Espresso, si apprende che Rainaldo Graziani, oltre a rivendicare apertamente la prosecuzione di quel centro studi promosso dal padre, sarebbe il punto di riferimento in Italia di Aleksandr Dugin, politologo e filosofo russo, sostenitore di tutti i movimenti sovranisti e populisti;

   poco dopo la pubblicazione dell'articolo sono cominciate ad arrivare delle rabbiose reazioni contro l'autore del pezzo e sarebbe stato lo stesso Graziani a lanciare l'attacco, attraverso questo post su Facebook, che pare avere, peraltro, un intento intimidatorio: «Ecco chi è Andrea Palladino... malafede o incapacità professionale?», e il testo è accompagnato dalla foto del giornalista;

   Graziani definisce Palladino un «mascalzone», ne storpia il nome, chiamandolo «Pallidino» e prosegue: «porgo al giornalaio palladino tutta la mia disistima, disprezzo e scherno» e conclude «suggerendo» a La Repubblica di essere «prudenti con pallidino...»;

   tale post, lanciato in una comunità social composta da appartenenti alle tante sigle della destra radicale, ha scatenato una raffica di insulti e minacce più o meno esplicite e violente, come quella di Emanuele Campilongo, capo dell'organizzazione «Aprilia in prima linea» che scrive: «Nulla da aggiungere. Stampatevi ben in testa il nome e il volto di costui»;

   nei giorni successivi sono apparsi commenti di questo genere «(...) caro camerata piuttosto oliamo le armi e manteniamo asciutte le polveri», «troppa importanza ad insetto partigian globalista come il giornalista in questione»;

   a parere dell'interrogante non è possibile nell'Italia del 2019, che annunciare apertamente la ricostituzione dell'organizzazione neofascista Ordine Nuovo passi inosservato e non porti ad alcun intervento, non fosse altro per seguire il dettato costituzionale;

   chi ha annunciato la «rinascita» di quella organizzazione ne rivendica la storia e lo fa in un giorno non casuale, una data drammatica per la democrazia e per il Paese, il 12 dicembre, strage di Piazza Fontana;

   come se non bastasse esiste anche la possibilità di insultare, mettere alla berlina e persino minacciare il giornalista che ha semplicemente riportato una notizia di assoluto interesse, visto il contenuto e i fondati timori circa la pericolosità del fascismo di ritorno, fenomeno provato anche da inchieste giudiziarie recentissime –:

   di quali elementi disponga il Governo circa quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare per prevenire tali episodi di intimidazione al fine di garantire maggior tutela e «agibilità» agli operatori del mondo dell'informazione, consentendo loro di continuare a svolgere il proprio lavoro senza dover subire alcuna forma di pressione, minaccia, intimidazione o insulto;

   se esista un Osservatorio presso il Ministero dell'interno dedicato al fenomeno neofascista, alle loro organizzazioni e agli sviluppi violenti ed intimidatori delle loro iniziative.
(4-04380)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   l'Alto rappresentante dell'Unione europea per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, ha recentemente dichiarato che «l'Unione europea intende avviare i lavori per realizzare l'equivalente europeo del cosiddetto “Magnitsky act” degli Stati Uniti. Su richiesta di numerosi Stati membri, abbiamo concordato di avviare i lavori preparatori per un regime sanzionatorio globale per far fronte a gravi violazioni dei diritti umani che sarà l'equivalente europeo del cosiddetto Magnitsky act degli Stati Uniti»;

   già nel dicembre 2018, in occasione del 70° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, i Ministri degli affari esteri europei avevano approvato all'unanimità la proposta olandese per un atto legislativo basato sul modello del Global Magnitsky Act a livello europeo («EU Global Human Rights SanctionsRegime») e nel marzo 2019 il Parlamento europeo ha votato una risoluzione a favore di un regime di sanzioni dell'Unione europea, che porterà simbolicamente il nome di Sergei Magnitsky;

   la legge Magnitsky prende il nome dal legale russo anti-corruzione Sergei Magnitsky, che nel 2007-2008 denunciò pubblicamente una frode fiscale su larga scala che coinvolgeva funzionari di polizia, magistrati, ispettori del fisco, banchieri e organizzazioni criminali di stampo mafioso e che in seguito alle sue denunce, fu arrestato e – dopo undici mesi di detenzione senza processo in condizioni durissime — morì in una prigione di Mosca, a 37 anni, nel novembre del 2009. L'imprenditore statunitense Bill Browder, suo assistito, lanciò quindi una campagna affinché venissero imposte sanzioni mirate nei confronti dei funzionari coinvolti, finalizzate ad impedire loro di entrare nel territorio Usa ed escluderli dal sistema economico-finanziario americano;

   nel 2012 il Congresso americano approvò il Magnitsky Act, che prevedeva sanzioni individuali consistenti, in particolare, nel congelamento dei beni e nel rifiuto del rilascio del visto d'entrata negli Stati Uniti. Nel 2016 la legge è stata ampliata con il Global Magnitsky Human Rights Accountability Act, che permette al Governo degli Stati Uniti di imporre sanzioni mirate nei confronti di individui responsabili di violazioni dei diritti umani e di gravi atti di corruzione in qualsiasi Paese;

   anche il Canada, il Regno Unito, l'Estonia, la Lettonia, la Lituania e l'Olanda, hanno già adottato norme simili al Global Magnitsky Act;

   da notizie a mezzo stampa, parrebbe che, in merito alle dichiarazioni di Borrell di cui sopra, cinque Paesi europei, tra cui l'Italia, abbiano espresso riserve –:

   se tali riserve siano vere e, in tal caso, per quale ragione il Governo sarebbe contrario all'adozione di un atto che è un efficace strumento legislativo per contrastare l'impunità in quei Paesi in cui tortura e abusi dei diritti umani sono pratiche sistematiche.
(5-03325)


   QUARTAPELLE PROCOPIO, PICCOLI NARDELLI e ANDREA ROMANO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   è in corso un appello per sostenere il rilascio dello storico russo Jurij Dmitriev, specialista della storia del gulag;

   il 13 dicembre 2016 Jurij Dmitriev è stato arrestato e accusato di produzione di materiale pedopornografico. Dmitriev è stato assolto con formula piena dalle accuse di pedofilia il 5 aprile 2018, dopo le numerose testimonianze a suo favore, sia dei testimoni chiamati dalla difesa, sia degli esperti chiamati a intervenire, che hanno stabilito senza ombra di dubbio l'innocenza dello storico riguardo all'accusa di aver prodotto materiale pornografico, l'assenza di tendenze pedofile in Dmitriev e la sua totale integrità mentale. Nel giugno 2018 la Corte Suprema della Carelia ha annullato il verdetto e ordinato un secondo processo. Dmitriev è stato nuovamente arrestato ed è attualmente in carcere in attesa di giudizio. Rischia una condanna fino a 15 anni in una colonia penale;

   a partire dagli anni Ottanta, Dmitriev ha lavorato sulla storia del Gulag e non si è solo limitato alla ricerca storica, ma anche a ricerche archeologiche sul campo per trovare i luoghi di sepoltura di molte vittime dei gulag e ha così scoperto, ad esempio, un luogo nascosto nel fitto delle foreste della Carelia, dove circa settemila vittime del Grande Terrore staliniano sono state fucilate e seppellite tra il 1937 e il 1938. Dmitriev è diventato una delle figure più importanti nel lavoro di preservazione della memoria delle vittime dei gulag, soprattutto in occasione delle giornate della memoria organizzate ogni anno a Sandormoch (il 5 agosto) e Krasnyj Bor (il 30 ottobre);

   il Gulag e la figura di Stalin sono oggi al centro di una «guerra di memoria» in Russia, in cui il passato torna ad agitare il presente. Anche l'identità delle vittime di Sandormoch viene oggi messa in discussione. L'arresto di Dmitriev e il processo a suo carico sono diventate un caso pubblico in Russia, scatenando l'indignazione di molti cittadini, che hanno avviato una campagna in suo favore –:

   se il Governo intenda esprimere il proprio sostegno all'iniziativa e sostenere, nei rapporti bilaterali con la Russia e nei consessi multilaterali, il rilascio di Dmitriev e la possibilità di proseguire il suo fondamentale lavoro di ricerca e l'impegno sociale sulla storia e sulla memoria delle vittime del gulag.
(5-03328)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SIRAGUSA e SABRINA DE CARLO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   l'Aire, l'anagrafe della popolazione italiana residente all'estero, è stata istituita nel 1990, a seguito dell'approvazione della legge n. 470 del 27 ottobre 1988 «Anagrafe e censimento degli italiani all'estero» e dell'emanazione del suo regolamento di esecuzione, decreto del Presidente della Repubblica n. 323 del 6 settembre 1989;

   al 1° gennaio 2019, gli iscritti all'Aire, risultano essere, in termini assoluti, 5.288.281 persone. Dallo studio condotto dalla Fondazione Migrantes, si evince che dal 2006 al 2019 la mobilità italiana è aumentata del 70,2 per cento, passando, in valore assoluto, da poco più di 3,1 milioni di iscritti all'Aire nel 2006 ai quasi 5,3 milioni di oggi;

   dall'anagrafe risulta che quasi la metà degli italiani iscritti all'Aire è originaria del Sud e delle isole, 48,9 per cento di cui il 32 per cento del Sud e il 16,9 per cento delle Isole, il 35,5 per cento proviene dal Nord e il 15,6 per cento dal Centro. Più della metà, il 51,5 per cento, è iscritto all'Aire per espatrio e continua la crescita degli iscritti per nascita, di cui fanno parte 39,7 per cento;

   da nessun dato, però, si può desumere il tempo complessivo di residenza in Italia degli italiani iscritti all'Aire –:

   se il Governo sia a conoscenza del suddetto dato;

   quanti italiani iscritti all'Aire abbiano avuto la residenza in Italia per almeno 10 anni e quanti italiani iscritti all'Aire, invece, non abbiano mai risieduto in Italia.
(4-04373)


   DELMASTRO DELLE VEDOVE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   è attualmente in corso una vicenda giudiziaria che vede coinvolti due bambini italiani, attualmente in Danimarca al seguito della madre e del suo compagno. Il padre ha sporto regolare denuncia nei confronti della madre per sottrazione e trattenimento di minore all'estero ai sensi dell'articolo 574-bis del codice penale, in quanto i bambini sono stati portati in Danimarca e iscritti all'Aire il 27 agosto 2018 pur essendo gli stessi privi di qualsiasi documento valido per l'espatrio;

   contro l'iscrizione all'Aire il padre ha manifestato espresso dissenso all'Ambasciata d'Italia in Danimarca, diffidando il Cancelliere a non procedere con l'iscrizione all'Aire. Contro tale iscrizione è tuttora pendente un procedimento penale presso la Procura del tribunale di Roma;

   l'interrogante è venuto a conoscenza del fatto che, il 6 novembre 2019, il capo della cancelleria consolare dell'Ambasciata d'Italia a Copenaghen, Stefano Salmaso, ha richiesto al padre dei due bambini di fornire il proprio assenso al rilascio del passaporto dei figli minori entro un termine perentorio di 7 giorni. Qualora l'assenso non fosse pervenuto, il capo della cancelleria ha preannunciato una procedura che prevede l'emissione di un decreto, firmato dal Console nella sua funzione di giudice tutelare, nel quale si stabilisce il rilascio dei passaporti validi per l'espatrio;

   rammentato che la funzione del giudice tutelare è «tutelare» la parte più debole, in questo caso i bambini oggetto di contenzioso tra i genitori, appare all'interrogante decisamente sproporzionata a favore di una delle due parti la decisione di concedere il passaporto valido per l'espatrio in barba al principio della bigenitorialità;

   il principio della bigenitorialità, che prevede anche la tutela del genitore più debole, chiede il mantenimento di significativi rapporti con entrambi i genitori, obiettivo che il padre ha cercato di perseguire con il dissenso manifesto alla concessione di un documento valido per l'espatrio, in quanto avente il ragionevole dubbio che la madre possa trasferirsi in un Paese con cui l'Italia non ha siglato un trattato di estradizione e, pertanto, sfuggire alla giustizia italiana –:

   se sia corretta la procedura indicata dal capo della cancelleria Stefano Salmaso, in relazione all'esercizio dei poteri del console in funzione di giudice tutelare;

   se il Governo intenda assumere con estrema urgenza le iniziative di competenza, ove ne sussistano i presupposti, anche tramite un'apposita circolare, per evitare, nelle more di un procedimento giudiziario, la concessione di documenti validi per l'espatrio o l'iscrizione all'Aire di bambini potenzialmente vittime di sottrazione e trattenimento di minore all'estero.
(4-04385)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:

   il decreto del Presidente della Repubblica n. 254 del 2003, che regolamenta la gestione dei rifiuti sanitari, dispone, all'articolo 1, comma 3 che: «Le autorità competenti e le strutture sanitarie adottano iniziative dirette a favorire in via prioritaria la prevenzione e la riduzione della produzione dei rifiuti. I rifiuti sanitari devono essere gestiti in modo da diminuirne la pericolosità, da favorirne il reimpiego, il riciclaggio e il recupero e da ottimizzarne la raccolta, il trasporto e lo smaltimento»;

   il medesimo decreto stabilisce altresì che i rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo debbano essere smaltiti mediante termodistruzione nel più breve tempo tecnicamente possibile in impianti autorizzati (articolo 10) e prevede, per questo tipo di rifiuti, la possibilità di eliminare la condizione di pericolo tramite processo di sterilizzazione (articoli 7, 9 e 11 del medesimo decreto); in Italia secondo l'Ispra vengono prodotti ogni anno oltre 170 mila tonnellate di rifiuti sanitari a rischio infettivo con un costo della gestione classica (incenerimento o smaltimento in discarica) superiore a 2.000 euro a tonnellata. La gestione industriale mediante sterilizzazione «on site» consente il risparmio di oltre il 50 per cento e la riduzione di volume del 60 per cento, riducendo il volume dei rifiuti da smaltire. Sono in corso sperimentazioni per il recupero di materia «a freddo» dei rifiuti sterilizzati;

   a seguito del rinvenimento di legionella oltre i limiti di norma presso le torri di raffreddamento dell'impianto di trattamento termico dei rifiuti gestito dalla ditta Mengozzi spa, il sindaco del comune di Forlì ha disposto con ordinanza sindacale n. 25 del 29 novembre 2019 l'immediato fermo operativo dell'impianto, con l'ordine contestuale di disinfezione delle torri e di provvedere alla revisione della valutazione del rischio;

   la concentrazione rilevata da parte dell'Arpa di Bologna è risultata essere di 220.000 u.f.c./litro (il limite di allarme scatta a 1.000 u.f.c.); nel gennaio 2019 la stampa riporta 2 casi di legionella a Forlì a 10 chilometri dall'inceneritore in una Rsa; nel settembre 2018 un'epidemia di legionella (sierotipo 2) portò a più di 1.000 ospedalizzazioni in provincia di Brescia e Mantova. Fu ritrovata anche in quel caso in alcune torri di raffreddamento ma con un sierotipo apparentemente diverso da quello riscontrato nei pazienti, presente invece nelle acque del fiume Chiese. Ci sono indagini in corso. L'azienda Mengozzi oggi fa parte del gruppo Ecoeridania. L'impianto di Forlì è autorizzato per l'incenerimento annuo di 32000 tonnellate di rifiuti sanitari. Di fatto, a quanto consta all'interrogante, Ecoeridania, tramite le aziende del suo gruppo, detiene il monopolio a livello nazionale nel trattamento termico dei rifiuti sanitari;

   la sterilizzazione in situ dei rifiuti avrebbe potuto prevenire, o almeno ridurre, la formazione e la propagazione dei batteria di legionella;

   secondo lo studio «An Inventory Of Sources And Environmental Release Of Dioxin-Like Compounds In The U.S. for the years 1987, 1995 and 2000» dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente statunitense (Epa), negli Stati Uniti d'America oltre il 26 per cento delle diossine emesse nell'atmosfera era dovuto all'incenerimento dei rifiuti ospedalieri nel 2000 –:

   se i Ministri interpellati siano al corrente della presenza di legionella o altri germi contagiosi per via inalatoria oltre i limiti in altri inceneritori, in particolare autorizzati al trattamento di rifiuti sanitari a rischio infettivo;

   se non ritengano di dover promuovere per quanto di competenza, una campagna di monitoraggio di tutte le torri di raffreddamento degli inceneritori, in particolare di quelli che trattano rifiuti infettivi;

   se intendano adottare le iniziative di competenza per ridurre il monopolio della gestione dei rifiuti infettivi in Italia;

   se intendano promuovere, per quanto di competenza, modifiche alla normativa vigente e adottare iniziative per favorire la sterilizzazione in situ presso le strutture ospedaliere dei rifiuti infettivi;

   se intendano promuovere una campagna di dosaggio delle diossine in caso di combustione di rifiuti a rischio infettivo;

   se intendano promuovere una valutazione sulla possibilità di riciclaggio dei rifiuti sanitari sterilizzati, in luogo dell'incenerimento.
(2-00606) «Zolezzi, De Girolamo, Alberto Manca, Nappi».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MURONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il Coordinamento nazionale tutela fiumi - Free Rivers Italia ha inviato il 24 ottobre 2019 al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare una nota sottoscritta da oltre 80 associazioni e comitati di tutta Italia, con la quale ha chiesto delucidazioni in merito al confronto avviato da Ispra con le Arpa per la definizione delle modalità di certificazione degli impianti idroelettrici i quali devono rispettare i decreti direttoriali Sta 29 e 30 e in particolare le tabelle 11 e 13 del decreto direttoriale Sta 29 per accedere alla incentivazione prevista dal decreto «FER»;

   «Da quanto ci è stato riferito – si legge nella nota – sembra che per la verifica della conformità, le ARPA siano invece orientate ad applicare le tabelle delle direttive distrettuali, modificate dalle Autorità Distrettuali in senso assai meno tutelante. Ciò sarebbe in pieno contrasto con quanto richiesto dal decreto FER e concordato con le DG Env e Concorrenza della Commissione europea; è del tutto evidente che se venissero applicate le tabelle del rischio delle direttive distrettuali sarebbe un pericoloso passo indietro rispetto alle tutele raggiunte con il FER e vanificherebbe il lavoro svolto finora, mentre l'applicazione stringente di quanto previsto nel FER metterebbe fine a quelle pratiche nefaste che hanno permesso autorizzazioni e incentivi a più di un migliaio di progetti che non rispettano la DQA, anche successivamente all'apertura della procedura europea di preinfrazione EU-PILOT 6011/2014 ENV;

   inizialmente il decreto FER non prevedeva incentivi per gli impianti su corsi d'acqua naturali. In seguito alle richieste di informazioni della DG Competition della Commissione europea, il MISE (Ministero dello sviluppo economico) e il MATTM (Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare) hanno riaperto agli impianti sui corsi naturali, a patto però che questi rispettino rigorosamente le Linee Guida Ministeriali 29 e 30 STA. Fin da subito le Associazioni firmatarie hanno manifestato al MISE e al MATTM la loro contrarietà a questo compromesso, evidenziando che le direttive derivazioni distrettuali, anziché limitarsi a individuare le soglie degli impatti come previsto dal DD STA 29, hanno modificato le tabelle del rischio in senso assai meno tutelante» –:

   alla luce di quanto sopra esposto, se trovi conferma che le direttive relative alle derivazioni distrettuali, in tutti i distretti tranne in quello delle Alpi orientali, non si sono limitate a definire le soglie degli impatti ma hanno modificato le tabelle in senso molto meno tutelante di quanto previsto nelle linee guida Sta 29 con il risultato di autorizzare e incentivare derivazioni che per il decreto direttoriale Sta 29 non potrebbero essere assentite;

   se il Governo intenda adottare le iniziative di competenza affinché l'incentivo «FER» venga assegnato esclusivamente agli impianti idroelettrici che rispettino le tabelle 11 e 13 delle linee guida di cui al decreto direttoriale 29 Sta come previsto dal decreto «FER» e non le tabelle modificate in senso assai meno tutelante da parte delle autorità distrettuali.
(5-03326)

Interrogazione a risposta scritta:


   MICELI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   in data 8 agosto 2019 lo sportello unico per le attività produttive del comune di Modica ha approvato il progetto di costruzione di un impianto per la produzione di biometano, dichiarando la pubblica utilità, l'indifferibilità e l'urgenza dell'intervento il cui committente risulta la società Biometano Ibleo s.a.r.l., i cui principali azionisti risultano società del gruppo Leocata, leader nel settore agricolo, e la Sicilian Biogas Refinery s.r.l. in parte riconducibile all'onorevole Giovanni La Via;

   secondo quanto descritto dal reportage dal titolo «Odore di sopruso», realizzato dal canale YouTube «Editoria Partecipata», il progetto dell'impianto si estenderà per una superficie di settantamila metri quadri e sarà composto da Sette vasche di digestione da 32 metri di diametro, 2 ciminiere da 12 metri e una di riserva di 10 con una produzione standard di 499 metri cubi, per ogni ora e che verrà edificato nella contrada Zimmardo Bellamagna, zona agricola di interesse archeologico e naturalistico, sede, tra l'altro, di una antica necropoli;

   hanno destato perplessità l'inconsueta rapidità dell'iter burocratico e l'assenza, in sede di conferenza di servizi, della competente Soprintendenza per i beni culturali e ambientali – che, ad avviso dell'interrogante, doveva ritenersi interessata, data la prossimità dell'area destinata all'impianto a zone di rilevanza storica ed ambientale –, il fatto che l'area in questione è stata giudicata da alcuni tecnici a rischio idrogeologico – specie in caso di piogge –, e che l'apporto di una gran quantità di materia prima comporterebbe notevoli emissioni gassose ed odorigene, oltre che un sovraccarico del trasporto delle suddette materie prime su arterie stradali ad oggi non idonee al flusso dei mezzi pesanti, nonché il fatto che nel progetto non si fa menzione delle modalità con cui il biogas prodotto verrà immesso nella distribuzione della rete di gasdotti;

   l'area di futura edificazione dell'impianto è inserita in un'area a forte vocazione turistica, con una gran quantità di strutture alberghiere, agroturistiche e di ristorazione e risulta più vicina al centro abitato del comune di Pozzallo rispetto a quello del comune di Modica – cosa che ha creato malumori e portato a manifestazioni organizzate e ricorsi da parte della comunità e della amministrazione pozzallesi non coinvolte nelle decisioni da parte dell'amministrazione modicana;

   l'interrogante ritiene che debba prevalere in via principale l'interesse per la salute dei cittadini, la salvaguardia del territorio e l'effettività del principio di leale collaborazione tra le pubbliche amministrazioni rispetto ad altri, pur importanti, interessi economici e di sviluppo delle energie rinnovabili –:

   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se, alla luce delle criticità che emergono dal caso in questione, non intenda assumere iniziative normative volte a rendere più stringente la disciplina relativa all'ubicazione di impianti come quello di cui in premessa che insistono in aree di rilevante pregio ambientale e paesaggistico e di notevole interesse archeologico, e che presentano anche profili di possibile rischio sul piano idro-geologico e della salute dei cittadini.
(4-04383)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   FERRAIOLI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   l'area archeologica di Velia, il Parco archeologico di Paestum e la Certosa di Padula sono parte di un più esteso sito, denominato «Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano con le aree archeologiche di Paestum e Velia e la Certosa di Padula», iscritto, già nel 1998, nella lista del patrimonio mondiale dell'Unesco;

   onde salvaguardare il sito archeologico di Elea-Velia, la regione Campania si è attivata, con legge 8 febbraio 2005, n. 5, per la «costituzione di una zona di riqualificazione paesistica ambientale intorno all'antica città di Velia». Una zona, che, certamente, andava e va protetta da un piano particolareggiato di riqualificazione, atto anche a precludere eventuali e non autorizzati interventi di modifica di un territorio che si intendeva e si intende tutelare;

   il piano andava redatto (d'intesa tra i comuni di Ascea e Casal Velino e le soprintendenze per i beni archeologici e per i beni architettonici e per il paesaggio, il patrimonio storico/artistico/etnoantropologico) entro 12 mesi dalla pubblicazione della legge, decorsi i quali la regione Campania avrebbe provveduto alla nomina di un commissario ad acta. Il lavoro, in tal senso, fu affidato a un gruppo di esperti in progettazione che pur «operando in sintonia» con le sopraintendenze non ha, ancora oggi, concluso e regolamentato quanto prescritto da chiare disposizioni normative;

   ad oggi, a quanto consta all'interrogante, restano operativi, assoluti e invalicabili solo i divieti che gravano sugli abitanti della zona, esasperati e sistematicamente onerati dalla necessità di doversi attivare per «ogni e qualunque istanza innanzi alla giustizia amministrativa»;

   sono sistematici e persistenti i dinieghi degli organi afferenti alle varie soprintendenze; sistematici e ripetitivi sono i dinieghi e i disagi che rendono difficile la vita degli abitanti. Gli abitanti dei luoghi avvertono quelle che appaiono all'interrogante prevaricazioni delle autorità che sembrano ignorare i diritti minimi di ogni persona. Molti hanno dovuto ricorrere, a tutela delle «ordinarie esigenze» di vita, all'assistenza legale. Sono davvero eccessivi i vincoli posti a tutela della cura e della conservazione di un bene culturale, e davvero ignorati i diritti minimi, spettanti ad ogni cittadino, legittimato (che viva in un luogo «sacro per la storia») a curare opere di necessaria manutenzione della casa di abitazione e dei terreni circostanti e di difesa da intrusioni di animali selvatici che liberamente fanno scorribande, anche in ore diurne, a ridosso dei terreni intorno alle case coloniche ma anche in pieno centro abitato –:

   quali iniziative il Governo intenda adottare a tutela e a salvaguardia dell'area archeologica di Velia, patrimonio dell'umanità dell'Unesco e sito di assoluto e straordinario valore e pregio storico, culturale ed ambientale;

   quali iniziative di competenza si intendano adottare per evitare di comprimere eccessivamente i diritti e le libertà dei cittadini per il solo fatto di abitare in luoghi di alto valore archeologico;

   di quali elementi disponga il Governo circa il «Piano particolareggiato di riqualificazione» previsto dalla legge, cui avrebbero dovuto contribuire le competenti soprintendenze.
(4-04378)


   NOVELLI, PETTARIN, SANDRA SAVINO e BUBISUTTI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:

   il 2 dicembre 2019 il Consiglio dei ministri ha approvato il regolamento di riorganizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo in attuazione di quanto disciplinato dal decreto-legge n. 104 del 2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 132 del 2019;

   dal relativo comunicato stampa pubblicato sul sito della Presidenza del Consiglio, si apprende che il regolamento «provvede alla riorganizzazione dello stesso Ministero e degli uffici di diretta collaborazione del ministro. [...], adegua l'assetto del Dicastero al trasferimento delle competenze dello Stato in materia di turismo dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e rafforza la presenza del Mibact sul territorio», potenziando le funzioni di tutela del patrimonio culturale, e rafforzando le strutture competenti in materia di creatività contemporanea e quelle dedicate alla digitalizzazione del patrimonio culturale;

   si apprende inoltre dalla stampa che il regolamento prevede l'istituzione di sette nuovi musei autonomi e che saranno create dieci nuove soprintendenze;

   la riorganizzazione della rete museale per quel che è dato sapere agli interroganti, non toccherà in alcun modo la situazione organizzativa del Friuli Venezia Giulia, così che non è dato sapere se quanto previsto dai decreti attuativi della riforma operata dal Ministro pro tempore Bonisoli, congelata in settembre 2019 di cui, appunto non si ha notizia, sarà attuato o meno;

   nello specifico, secondo indiscrezioni, la riorganizzazione della rete museale friulana avrebbe previsto la centralizzazione nel Museo di Miramare delle responsabilità di gestione del Museo archeologico nazionale di Cividale, del Museo archeologico nazionale e della cripta degli scavi della basilica di Aquileia, del futuro Museo nazionale di archeologia subacquea di Grado e del museo paleocristiano di Aquileia con il conseguente superamento del polo museale regionale;

   nonostante il Ministro interrogato abbia voluto illustrare il contenuto del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ai componenti della Commissione cultura della Camera, resta che del regolamento non se ne conosce ancora il testo con la conseguenza che rimangono oscure le possibili conseguenze della riorganizzazione sul sistema dei musei del Friuli Venezia Giulia;

   l'attuale polo museale del Friuli Venezia Giulia comprende il Museo archeologico nazionale di Cividale, il Museo storico e il Parco del Castello di Miramare, oltre al Museo archeologico nazionale e il Museo paleocristiano di Aquileia di cui, nel 2018, in sede di rinnovo dell'Accordo Stato-regione Friuli Venezia Giulia del 2016 per la valorizzazione del patrimonio culturale della città di Aquileia, è stato previsto il conferimento in uso alla Fondazione Aquileia –:

   se corrisponda al vero quanto esposto in premessa in merito alla possibilità che il Museo archeologico nazionale di Cividale possa essere accorpato al Museo di Miramare, considerato peraltro che a giudizio degli interroganti una decisione di tal fatta non porterebbe in alcun modo ad una maggiore efficienza del settore tenuto anche conto del fatto che si auspica una celere definizione e attuazione della Convenzione cosiddetta Aquileia;

   se non ritenga di promuovere idonee iniziative normative volte a prevedere, nell'ottica di una maggiore autonomia delle regioni, che la gestione dei beni culturali del Friuli Venezia Giulia in particolare del polo museale attualmente nazionale, veda un primario coinvolgimento della regione Friuli Venezia Giulia
(4-04388)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   BAGNASCO. — Al Ministro della difesa, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   l'Agenzia Industrie Difesa, ente istituito come strumento di razionalizzazione e ammodernamento delle unità industriali del Ministero della difesa, possiede numerose unità produttive, tra le quali lo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze, unico ente autorizzato alla coltivazione della cannabis a fini terapeutici sul territorio nazionale;

   il 13 giugno 2019, l'Agenzia Industrie Difesa ha indetto una gara a procedura aperta accelerata per l'aggiudicazione della fornitura presunta di 400 chilogrammi di cannabis per corrispondere alle esigenze dello Stabilimento chimico farmaceutico di Firenze e soddisfare la domanda crescente a cui i pazienti sottopongono il sistema sanitario nazionale. Il bando prevedeva tre distinti lotti di prodotto, differenti nella concentrazione di principi attivi, per un importo presunto di 1.520.000 euro e l'utilizzo del criterio del prezzo più basso ai fini dell'aggiudicazione di ogni singolo lotto;

   il 15 luglio 2019 i tre lotti di prodotto sono stati aggiudicati a un unico vincitore, l'azienda Aurora Deutschland, con uno sconto percentuale del 55,5 per cento sul primo lotto (1,78 euro/g), 57,1 per cento (1,29 euro/g) sul secondo e 41,1 per cento (1,77 euro/g) sul terzo, per un totale di 692.000 euro. I prezzi di aggiudicazione risultano essere molto al di sotto della media di mercato e difficilmente sostenibili sotto il profilo dei costi produttivi, ed è forte la preoccupazione che questo approccio possa aver avuto un impatto sulla qualità dei prodotti fitocannabinoidi a danno dei pazienti;

   il 5 settembre l'Agenzia industrie e difesa ha emanato un decreto di annullamento della procedura di gara in autotutela relativamente al terzo lotto del bando «cannabis infiorescenza ad alto contenuto di CBD». La motivazione dichiarata dell'annullamento risiede nella «sopravvenuta irrilevanza, nel quadro del fabbisogno nazionale, della tipologia Cannabis infiorescenza ad alto contenuto di CBD» che lo Stabilimento militare chimico farmaceutico ha ritenuto quindi non necessaria;

   in sede di svolgimento dell'interrogazione n. 5-02970, il 31 ottobre 2019, presso la Commissione affari sociali della Camera in cui si affrontava anche il caso dell'annullamento sopramenzionato, il Sottosegretario per la salute delegato ha sostenuto una motivazione differente rispetto a quanto dichiarato nel decreto dell'Agenzia industrie difesa, relativo invece alle caratteristiche del prodotto. In particolare, nella risposta il sottosegretario ha precisato che il lotto rifiutato non risultava conforme alle specifiche tecniche di buona manifattura EU-GMP (Good manufacturing practice), in quanto non risultavano essere stati effettuati i prescritti studi di stabilità del prodotto;

   si prende atto di quanto dichiarato dal Governo, che cita come motivazione per l'annullamento del terzo lotto di fornitura della gara, la non conformità del prodotto alle tecniche di buona manifattura, indispensabili per garantire la giusta qualità ai fruitori del prodotto –:

   quali iniziative di competenza si intendano adottare al fine di garantire i più alti standard, qualitativi e l'offerta dei migliori prodotti, superando il massimo ribasso come principale criterio per l'aggiudicazione della fornitura dei prodotti terapeutici.
(4-04374)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   CASCIELLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   come noto, la legge n. 3 del 2019, recante «Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici», ha modificato gli articoli 158, 159 e 160 del codice penale;

   in via di estrema sintesi, la riforma introdotta – inserita in fase emendativa nel corso dell'esame in sede referente alla Camera dei deputati, con un'operazione di «ampliamento del perimetro del provvedimento » del tutto discutibile e rocambolesca – sospende il corso della prescrizione dalla data di pronuncia della sentenza di primo grado (sia di condanna che di assoluzione) o dal decreto di condanna, fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o alla data di irrevocabilità del citato decreto;

   la legge n. 3 del 2019, all'articolo 1, comma 2, fissa l'entrata in vigore della riforma della prescrizione al 1° gennaio 2020. Lo stesso Governo pro tempore aveva infatti preannunciato in maniera chiara la volontà di realizzare entro tale termine un intervento riformatore del codice di procedura penale volto alla drastica riduzione dell'irragionevole durata dei processi in Italia, intendendo così marginalizzare l'impatto concreto dell'eliminazione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado. In buona sostanza, ad avviso dell'interrogante le forze di Governo dell'epoca, consapevoli che l'intervento così operato era «una bomba nucleare sul processo» (per usare le parole dell'allora Ministro per la pubblica amministrazione Giulia Bongiorno), da un lato hanno collocato l'ordigno, dall'altro hanno spostato il tempo dell'esplosione;

   lo stesso Ministro della giustizia, Bonafede, aveva parlato di un «accordo politico» che «prevede che approfittiamo di questo anno anche per scrivere la riforma del processo penale. Il Governo avrà la delega dal Parlamento con scadenza 2019»;

   ebbene: dall'approvazione della riforma della prescrizione ad oggi, non è stata però esaminata dalle Camere alcuna proposta normativa concreta in tal senso. Solo a fine luglio 2019 è stato approvato dal Consiglio dei ministri «salvo intese» un disegno di legge delega che avrebbe dovuto stabilire i princìpi e criteri direttivi per riformare il processo civile, il processo penale, l'ordinamento giudiziario, la disciplina sull'eleggibilità e il ricollocamento in ruolo dei magistrati, il funzionamento e l'elezione del Consiglio superiore della magistratura e la flessibilità dell'organico dei magistrati. L'avvicendamento di maggioranza, il cambio di Governo, l'evoluzione in atto del quadro politico, lasciano facilmente immaginare che non si riuscirà ad approvare alcun testo prima della fine dell'anno. Senza dunque entrare nel dettaglio della riforma del processo penale è evidente che questa non potrà certamente essere operativa prima del 1° gennaio 2020, termine dal quale dispiegherà la sua efficacia la soppressione – di fatto – della prescrizione;

   ad ogni evidenza, ciò travolge e fa venire meno il presupposto – a giudizio dell'interrogante debolissimo e risibile – che aveva in qualche modo giustificato la sostanziale soppressione della prescrizione, altrimenti del tutto inaccettabile sia dal punto di vista politico che, prima ancora, giuridico. Inaccettabilità che, preme segnalare, è stata rilevata dagli operatori del diritto ad ogni livello – avvocati, magistrati, esponenti del mondo universitario – con una lunga serie di interventi, manifestazioni e scioperi;

   il 20 novembre e l'11 dicembre 2019 si sono svolte due interrogazioni a risposta immediata in Assemblea sul tema, in relazione alle quali il Governo ha dato risposte, ad avviso dell'interrogante, non soddisfacenti;

   mancano ormai 9 giorni: un intervento è ormai indifferibile e urgente –:

   se il Ministro interrogato intenda adottare iniziative normative urgenti per evitare l'ormai imminente entrata in vigore della riforma, o meglio dell'abolizione de facto, della prescrizione.
(3-01223)

Interrogazione a risposta scritta:


   GIANNONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   la Convenzione di New York del 1999 sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, ratificata nel ’91, stabilisce, all'articolo 3, che «in tutte le decisioni relative ai fanciulli, (...) l'interesse superiore del fanciullo deve avere una considerazione preminente». L'articolo 12 garantisce al minore «il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa», prevedendo «la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne»;

   la convenzione di Istanbul del 2011, all'articolo 5, obbliga gli Stati ad astenersi da qualsiasi atto di violenza verso le donne, prevedendo all'articolo 31 «al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, siano presi in considerazione gli episodi di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione»;

   la Convenzione di Strasburgo stabilisce, nel combinato disposto degli articoli 3 e 6, il diritto del minore ad essere informato e di esprimere la propria opinione nei procedimenti che lo riguardano, imponendo all'autorità giudiziaria di permettergli di esprimere la propria opinione e tenerla in debito conto;

   il codice civile, all'articolo 315-bis, riconosce il diritto del fanciullo – che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età inferiore se capace di discernimento – ad essere ascoltato in tutte le questioni che lo riguardano;

   così come riportato da un recente articolo de «Il Giornale» – 15 dicembre 2019 – Alessio (nome di fantasia) è un bambino di 13 anni che chiede a gran voce di tornare a vivere con sua madre, dopo essere stato allontanato da casa dai servizi sociali;

   tutto ha inizio nel 2010 quando Giada, la madre, chiede la separazione dal padre del bambino, denunciando: «erano anni che subivo, non ho mai avuto il coraggio di denunciare, ma Alessio vedeva tutto e la situazione era diventata pesantissima»;

   durante la prima udienza, il padre chiederà senza successo, che Alessio gli venga affidato. In Corte d'appello, dopo aver denunciato la madre di non essere in grado di accudire il bimbo, chiede addirittura che venga messo in casa famiglia. La proposta viene accettata e i giudici dispongono una consulenza tecnica per valutare le capacità genitoriali della madre;

   la consulente nominata dal Tribunale fa valutare il profilo psicologico della mamma ad una associazione che ha un conflitto di interesse in quanto si tratta di «un'associazione in cui la responsabile figurava nella sua stessa persona e il consulente legale era l'avvocato al quale si era rivolto l'ex marito di Giada»: la madre viene giudicata «simbiotica» addossandogli comportamenti del tutto inappropriati;

   Alessio viene, senza preavviso, forzatamente prelevato da scuola e accompagnato in casa famiglia, a portarlo via, sotto gli occhi di tutti, ben otto persone, tra operati e polizia;

   le prove che raccontano la realtà obbligata in cui era costretto a vivere Alessio non verranno mai prese in considerazione dal Tribunale: i verbali dell'educatore non contano, a dirlo sarà proprio il giudice che, dopo aver acquisito solo alcune delle prove documentali, dichiara in sentenza: «...rimane superfluo acquisire tutti i verbali e le videoregistrazioni degli incontri avvenuti presso il servizio sociale tra madre e figlio». A nulla servirà la scelta di Alessio che scrive una lettera al giudice chiedendogli di accogliere la richiesta di tornare a vivere con la madre;

   nell'ultima udienza viene affidato di nuovo al padre; adesso vive con lui dal 31 luglio, ma Alessio non si rassegna a questa decisione, ogni volta che può ribadisce: «voglio tornare a vivere con la mamma, con lei era tutto più bello» –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare, anche sul piano normativo, affinché venga data effettiva applicazione alle convenzioni internazionali, garantendo il pieno diritto di ascolto del minore, così come peraltro previsto dal codice civile.
(4-04379)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   SILVESTRONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   il decreto-legge varato domenica 15 dicembre 2019 per il salvataggio della Banca Popolare di Bari prefigura una vera e propria nazionalizzazione, non temporanea come nel caso di Mps, e si tratterebbe del quinto salvataggio di una banca in quattro anni;

   la vicenda della Popolare di Bari è lunga circa 10 anni e ora rischia di trasformarsi in una vera e propria catastrofe per l'economia, a partire da quella locale, rispetto alla quale fonti della Banca d'Italia hanno detto che se la Popolare di Bari venisse liquidata, le ricadute «sarebbero assai rilevanti»;

   quanto alle cause del fallimento della Banca Popolare di Bari ovviamente non possono essere esenti da responsabilità i direttori che a vario titolo evidentemente non hanno tutelato gli investitori e i correntisti e i dipendenti, tra questi anche dei premiati a livello governativo come Angelo Bonerba, nuovo direttore della comunicazione del gruppo Ferrovie dello Stato Italiane che ha sostituito Carlotta Ventura;

   il succitato Angelo Bonerba, da quanto si apprende, dal 2009 al 2015 ha lavorato in Federmeccanica come media advisor e, negli ultimi tre anni è stato responsabile della comunicazione e delle relazioni istituzionali della Banca Popolare di Bari, proprio poco prima di andare a ricoprire il prestigioso incarico al gruppo Ferrovie dello Stato italiane;

   il gruppo Ferrovie dello Stato italiane è un asset strategico nazionale al quale vengono demandate funzioni di rilievo per il rilancio infrastrutturale per la mobilità ma anche per la competitività commerciale e turistica in campo europeo –:

   quali urgenti iniziative di competenza il Governo intenda adottare, al fine di superare le criticità potenzialmente lesive dei principi di buona gestione e di tutela dell'immagine aziendale del gruppo Ferrovie dello Stato italiane soprariportate.
(3-01225)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CASSINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il passante ferroviario di Genova è un complesso di collegamenti tra le linee ferroviarie afferenti al nodo di Genova che collega le diverse stazioni dell'area metropolitana della città;

   a causa della particolare configurazione della città di Genova le linee ferroviarie potenziano in modo rilevante il servizio di trasporto urbano della città, che si estende come una sottile striscia lungo il mare per circa 30 chilometri e lungo i 2 torrenti principali Polcevera e Bisagno;

   a partire dagli anni ottanta del XX secolo il traffico ferroviario del nodo di Genova ha iniziato a mostrare di avere raggiunto i limiti di criticità con il transito di oltre 200 treni giornalieri tra le stazioni di Genova Brignole e Genova Sampierdarena;

   sono in corso importanti lavori di potenziamento del nodo di Genova tra cui il quadruplicamento dei binari tra Voltri e Piazza Principe (completamento della bretella di Voltri-Borzoli fino a Sampierdarena), il sestuplicamento dei binari tra Piazza Principe e Brignole (prolungamento delle gallerie San Tomaso e Colombo fino a Brignole), e la realizzazione di altre 5 stazioni nel territorio del comune e di una stazione di testa dedicata all'alta velocità nei pressi di Terralba;

   a quanto consta all'interrogante ancora non è stata formalizzata la nomina del nuovo commissario. Una nomina attesa dall'approvazione del decreto «sblocca cantieri» a luglio 2019 e che è indispensabile per far ripartire i lavori sul nodo genovese, fermi da due anni;

   questi lavori, il cui completamento era previsto inizialmente per il 2023, si inseriscono nel più ampio progetto alta velocità/alta capacità chiamato Terzo valico dei Giovi, inquadrato come parte del potenziamento di ambito europeo della direttrice Genova-Rotterdam;

   non sono neppure stati individuati i poteri che saranno attribuiti al commissario, passaggio fondamentale, perché il commissario possa lavorare poi per sbloccare il cantiere –:

   quali iniziative di competenza intenda adottare per fare in fretta, affinché si eviti di accumulare altri ritardi, posto che altrimenti si arriverà a breve al collasso della rete ferroviaria genovese, inoltre si chiede un intervento in audizione con aggiornamenti su altri cantieri ferroviari liguri tra cui quelli relativi al completamento del raddoppio a Ponente e della Pontremolese, già inserite nel contratto di servizio, che devono essere tra le opere prioritarie nella ripartizione del Fondo infrastrutture.
(5-03330)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIGLIO VIGNA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   notizie di stampa riportano della campagna Pendolaria presentata da Legambiente: un dossier che rappresenta le 10 linee peggiori del trasporto pendolare, ossia le situazioni, in diverso modo, emblematiche per capire da dove si dovrebbe partire per rilanciare l'offerta di trasporto pubblico su ferro, con beneficio in termini di meno inquinamento e meno congestione nelle città, di qualità della vita e di ridotta spesa per le persone, ricordando che ogni giorno prendono questi treni circa 3 milioni di utenti;

   nel report di quest'anno Legambiente ha «bocciato» la ferrovia Torino-Chivasso-Ivrea-Aosta di Rfi risultando essa essere al nono posto tra le dieci peggiori d'Italia;

   si descrive una linea lunga 66 chilometri non elettrificata tra Ivrea ed Aosta, con nessun finanziamento per la realizzazione dell'opera al momento disponibile. Il problema principale nell'immediato riguarda l'inadeguata composizione dei treni, 3 carrozze, a volte anche 2, che comporta già ad Ivrea un pressoché totale riempimento del treno, mentre per chi sale a Chivasso le condizioni di viaggio diventano proibitive;

   dai pendolari giungono continue segnalazioni di eccessivo affollamento e di scarsità di carrozze, anche sui treni delle fasce mattutine e serali più utilizzate da lavoratori e studenti;

   con l'entrata in servizio dei treni bimodali dal 6 ottobre 2019, ai problemi di affollamento si sono aggiunti anche quelli relativi a questa categoria di treni, che per ora non sono ancora stati usati sulle corse a maggior frequentazione, come era assolutamente prevedibile, consultando la capienza di questi convogli. Introduzione obbligata proprio per poter entrare nella stazioni di Torino, dove i diesel sono proibiti;

   il cambio treno e la sosta prolungata ad Ivrea, che varia dai 6 a 15 minuti, non hanno migliorato la situazione. Nel frattempo, quindi, i disagi subiti dai pendolari continuano, con corse in ritardo, molto spesso a causa dei guasti ai numerosi passaggi a livello presenti sulla linea, con il record per la tratta tra Quincinetto e Chivasso con 49 passaggi a livello, una media di uno per chilometro;

   recentemente Rfi ha confermato che sarà avviata la progettazione definitiva dell'elettrificazione della tratta Aosta/Ivrea, assieme a una serie di interventi di velocizzazione per garantire velocità più elevate («rango C»), ma anche per migliorare gli incroci nelle stazioni attraverso la possibilità di effettuare movimenti contemporanei, che evitano cioè di tenere a lungo fermi i treni in attesa di incrocio, e l'implementazione di sistemi di controllo e sicurezza più evoluti come l'Scmt, il sistema di controllo marcia treno –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione e se non intenda predisporre tutte le procedure di monitoraggio affinché, dopo decenni, si proceda a un definitivo e doveroso ammodernamento della linea come indicato da Rfi, a favore di centinaia di migliaia di persone che ogni giorno prendono il treno in situazioni di degrado inaccettabili.
(4-04367)


   CIRIELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   nei giorni scorsi la strada statale 163 della Costiera amalfitana sarebbe stata colpita da una frana di grosse dimensioni verificatasi nei pressi della località Capo d'Orso nel comune di Maiori;

   da organi di stampa si apprende che, a causa della stessa, sarebbero necessari lavori molto complessi con, quindi, una durata piuttosto prolungata;

   ciò avrebbe comportato la chiusura della strada in entrambi i sensi di circolazione, provocando gravi disagi ai residenti, ai pendolari, nonché ai tanti operatori alberghieri e turistici. Una paralisi che, soprattutto a ridosso delle festività natalizie, determinerebbe una grossa perdita dal punto di vista economico nel territorio;

   appare opportuno evidenziare come l'episodio descritto costituirebbe solo uno dei tanti che negli anni hanno interessato il medesimo tratto stradale, posto che vi sarebbe una situazione di vera e propria emergenza che per decenni è stata oggetto di tavoli tecnici, discussioni e provvedimenti con risultati purtroppo fallimentari;

   in particolare, il tracciato è accidentato e non di rado si verificano frane che impediscono totalmente la viabilità; la carreggiata presenta dimensioni limitate (massimo 3,30 metri), parapetti e ringhiere pericolanti e fatiscenti che non rispettano le norme vigenti in materia di sicurezza stradale con il concreto e serio pericolo che, in caso di incidente, le autovetture e cicli/motocicli coinvolti possano precipitare in mare;

   a parere dell'interrogante, la strada statale de qua, in relazione alla sua importanza per il territorio nazionale, dovrebbe essere sottoposta a interventi di estrema urgenza;

   essa, infatti, costituisce la principale arteria di collegamento tra la Costiera amalfitana, Salerno e la Penisola sorrentina ed è caratterizzata da peculiarità paesaggistiche, architettoniche e artistiche che fanno della Costiera un patrimonio culturale apprezzato a livello mondiale, tant'è che innumerevoli sono i turisti europei ed extraeuropei che decidono di trascorrervi le loro vacanze. Si può, quindi, affermare che essa sia una delle strade statali più importanti d'Italia;

   sarebbe, pertanto, oltremodo necessario offrire delle risposte ai cittadini e agli operatori turistici di tutta la zona circa una seria programmazione che metta in sicurezza il territorio, specificando le risorse pubbliche della regione Campania che dovranno essere impiegate a tal fine –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative di competenza intenda porre in essere per procedere a un immediato intervento che possa risolvere la situazione descritta in premessa, così come è stato fatto per le altre regioni colpite dal maltempo, e cercare, in tal modo, di evitare delle gravi ripercussioni.
(4-04377)


   IOVINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la via Variante 7-bis), con una lunghezza pari a circa 7 chilometri, rappresenta il nuovo percorso della strada statale 7-bis di Terra di lavoro nata per collegare Capua ad Avellino, passando per Napoli e l'intera area nolana; essa insiste su una serie di popolosi e trafficati centri abitati che ricomprendono vari comuni, tra cui Nola;

   da quanto si apprende da fonti di stampa locali, il 19 dicembre 2019, nel centro abitato del comune di Nola attraversato per un tratto dalla strada statale suindicata, si sono verificati notevoli disagi alla quotidiana circolazione degli autoveicoli dovuti non soltanto alla pioggia incessante e ai numerosi allagamenti ma soprattutto a causa dell'improvvisa apertura di una voragine all'altezza di via san Massimo, creatasi al passaggio di un tir precipitato con le ruote posteriori all'altezza degli edifici «Rossini» e di un altro mezzo pesante che transitava contemporaneamente sul versante opposto, anch'esso rovinosamente sprofondato con le ruote laterali;

   le avverse condizioni meteorologiche dovute alla pioggia incessante hanno reso difficoltosi gli interventi dei mezzi di soccorso, in primis quelli della polizia municipale e dei vigili del fuoco, ma fortunatamente nessun danno a persone è stato rilevato;

   si ritiene opportuno sottolineare come l'evento verificatosi abbia comportato una serie di disagi alla circolazione non soltanto nel comune di Nola ma anche nei paesi circostanti sui quali va a defluire la viabilità, tra cui il comune di San Paolo Belsito;

   l'evento occorso pone, quindi, una serie di interrogativi circa le condizioni in cui versano le reti viarie dei comuni sopra citati nonché sulle modalità con cui certi lavori vengono effettuati, lasciando presupporre quindi una certa incuria nello stato di gestione e di manutenzione ordinaria da parte delle amministrazioni locali interessate;

   considerato che negli ultimi tempi l'area in cui si è verificato il disagio è stata interessata da alcuni lavori manutentivi ai sottoservizi, finalizzati al miglioramento della viabilità, risulta opportuno appurare che non vi sia stato un eventuale nesso con quanto verificatosi –:

   se non ritenga necessario e quantomai opportuno adottare iniziative per chiarire la dinamica dell'accaduto, specificando quali siano state le principali cause che hanno determinato tale disagio;

   se il Governo abbia adottato o intenda adottare iniziative, per quanto di competenza, tese a rimuovere le cause più comuni del degrado del corpo stradale, al fine di conservare lo stato e la fruibilità della strada e mantenere gli impianti e le opere in condizioni di valido funzionamento e di sicurezza e se, in particolare, siano state eseguite le opportune verifiche sui lavori.
(4-04382)


   MUSELLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il servizio di trasporto pubblico tra le Isole Eolie e Milazzo o Messina è fornito dalle società Ustica Lines, NGI e Siremar;

   tali società assolvono di fatto un servizio pubblico essenziale di trasporto per gli abitanti delle isole Eolie, soprattutto nei periodi di ferie e vacanze, considerando una maggiore affluenza di passeggeri;

   in data 22 dicembre 2019, nonostante le condizioni meteorologiche non fossero così impeditive perlomeno nelle prime ore della giornata, sono state sospese tutte le corse sia degli aliscafi che della nave;

   secondo il puntuale servizio di monitoraggio del «meteo» mare «Windfinder» alle ore 7 della mattina del 22 dicembre 2019 le onde raggiungevano appena 1,4 metri, condizioni certamente non proibitive di viaggio, condizioni che non avrebbero potuto arrecare pericolo alcuno per la sicurezza del trasporto passeggeri, e che in altre occasioni non hanno impedito la partenza degli aliscafi in situazioni climatiche anche peggiori;

   tale servizio, proprio per la sua natura di «essenzialità», deve assolutamente essere garantito onde evitare disagi sia ai residenti delle isole che ai lavoratori, considerato anche che il 22 dicembre 2019 vi erano anche famiglie con bambini che sono state costrette a rimanere a Milazzo, sostenendo, così, ingenti spese economiche –:

   di quali elementi disponga il Governo in relazione alla sospensione del servizio operato dalle compagnie di cui in premessa, considerando il fatto che assolvono un servizio pubblico essenziale, e se non intenda assumere, per quanto di competenza e in raccordo con la regione Siciliana, iniziative volte a disciplinare le modalità dei collegamenti con le isole minori in situazioni meteorologiche avverse con l'obiettivo di assicurare pienamente il diritto alla mobilità dei cittadini.
(4-04386)


   BORDONALI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   da quanto si apprende da informazioni di stampa il comune di Brescia non ha ottenuto il finanziamento richiesto al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per realizzare il progetto della tramvia;

   come noto, la legge di bilancio 2018, al fine del potenziamento di interventi nel settore dei sistemi di trasporto rapido di massa, ha rifinanziato il Fondo Investimenti, istituito ai sensi dell'articolo 1, comma 140, della legge 11 dicembre 2016, n. 232;

   la Conferenza Stato-regioni, ha, infatti, reso noto il decreto che istituisce due graduatorie per i progetti presentati, in totale 33 provenienti da una ventina di città italiane al di sopra dei 100 mila abitanti per usufruire delle risorse del bando sul trasporto rapido di massa, che il ministero delle infrastrutture e dei trasporti aveva varato per compensare il gap infrastrutturale dei capoluoghi italiani;

   la prima graduatoria è composta dai progetti immediatamente accettati e che verranno immediatamente finanziati con i 2,3 miliardi di euro messi a disposizione dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;

   la quota più consistente di risorse assegnate, pari a 2 miliardi e 319 milioni di euro, riguarda 17 progetti di trasporto pubblico locale presentati dalle città di Roma, Milano, Firenze, Bologna, Torino, La Spezia e Bergamo. Si tratta di nuove linee metropolitane, tramvie, filobus, e fondi per l'acquisto di materiale rotabile, per dare una risposta alla domanda di mobilità sostenibile, ridurre l'impatto ambientale, l'incidentalità e il consumo energetico;

   altri 2,2 miliardi di euro sono stati assegnati alle Regioni per il rinnovo del parco autobus del trasporto pubblico locale e la sostituzione dei mezzi inquinanti;

   il progetto del comune di Brescia prevedeva la corresponsione di 250 milioni di euro in cofinanziamento per realizzare il progetto della tramvia;

   successivamente, la società Brescia Mobilità ha stretto un accordo con Ferrovie dello Stato italiane e ha presentato alla giunta comune i dettagli del progetto: 23 chilometri di infrastruttura (il 35 per cento in sede riservata) da realizzarsi in project financing, formula per la prima volta sperimentata dal comune. Il costo finale dell'operazione è di 391 milioni, di cui 191 (il 49 per cento) richiesti allo Stato e 199 in project financing. A tale somma ne vanno aggiunti altri 60 per opere complementari: parcheggi scambiatori, connessioni pedonali, semafori (chiesti al Ministero);

   ancorché la fattibilità del progetto fosse stata valutata positivamente comunque il progetto non è stato ritenuto idoneo ad essere inserito nella prima graduatoria;

   a differenza di quanto sostenuto dall'assessore alla mobilità, e cioè che «L'avviso pubblico dichiarava precisi parametri solo sui soggetti partecipanti (...) [e che] non erano noti i criteri con i quali il ministero avrebbe valutato i vari progetti», l'allegato n. 2 all'avviso di presentazione delle istanze per accesso alle risorse per il trasporto rapido di massa prevedeva che gli elementi per la valutazione delle proposte sarebbero stati adottati nel rispetto delle indicazioni delle disposizioni legislative vigenti (decreto ministeriale 300 del 16 giugno 2017 «Linee guida per la valutazione degli investimenti in opere pubbliche») e comunque la valutazione delle proposte di intervento avrebbe tenuto conto anche di: coerenza dell'intervento con gli strumenti di pianificazione; effetti dell'intervento in materia di risparmio energetico, impatto ambientale, riduzione incidentalità; fattibilità tecnico-economica dell'intervento; sostenibilità finanziaria gestionale ed amministrativa, connessa allo stato di avanzamento del progetto e dell’iter procedurale di approvazione; attivabilità del progetto in tempi certi, connessa al grado di maturità e condivisione del progetto; eventuale disponibilità di cofinanziamenti a fondo perduto o con finanza di progetto;

   secondo le dichiarazioni dell'assessore Manzoni «Brescia non è stata promossa ma rimandata» –:

   quali siano le criticità del progetto proposto dal comune di Brescia, e più specificatamente le motivazioni per le quali sia stato escluso dalla prima assegnazione dei fondi, e se ci siano ulteriori concrete possibilità di finanziamento dell'opera stessa.
(4-04387)

INTERNO

Interrogazioni a risposta orale:


   DEIDDA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il Centro addestramento e istruzione professionale (Caip) della polizia di Stato con sede ad Abbasanta e un centro all'avanguardia per l'istruzione dei servizi scorte e sicurezza e per la formazione di polizie straniere e ha ospitato, soprattutto in passato, stage del Nocs e di altre forze speciali di polizia europee ed extraeuropee;

   lo stesso centro ospita al suo interno il reparto prevenzione crimine Sardegna e il gruppo cinofili con cani antidroga, antiesplosivo e per ordine pubblico;

   recentemente è stata prospettata l'ipotesi che il Caip di Abbasanta possa ospitare i corsi per allievi agenti della polizia di Stato, diventando in tal modo un centro di addestramento e di formazione a livello nazionale;

   il Caip di Abbasanta ha rivestito e riveste tuttora un ruolo fondamentale per l'oristanese e per l'intero territorio regionale, anche da un punto di vista economico, e la possibile apertura dei corsi di allievo agente della polizia di Stato si configurerebbe come un'importante iniezione di fiducia, in particolare per le nuove generazioni;

   l'apertura di tali corsi potrebbe altresì determinare, oltre all'aumento del personale dedito all'insegnamento, un conseguente incremento degli organici della polizia di Stato in tutta la regione e, in particolare, nella provincia di Oristano;

   il consiglio regionale della Sardegna, con l'approvazione di una mozione il 6 novembre 2019, ha sottolineato l'importanza del presidio e del suo massimo utilizzo –:

   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto, quali iniziative intenda portare avanti per l'ulteriore valorizzazione del Caip di Abbasanta e se si intenda includere tra le attività di formazione del centro il corso allievi agenti di polizia.
(3-01222)


   POTENTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la città di Livorno è stata di recente colpita dal decesso di due giovani donne e del salvataggio in extremis di un ragazzo in coma, sempre in ragione di uso-abuso di sostanze stupefacenti e alcool. Il primo caso di decesso riguarda una diciannovenne livornese ed è avvenuto in una discoteca fuori città e a causa di cessione di sostanze psicotrope; il secondo caso è accaduto la notte del 31 ottobre 2019 all'interno di capannoni abbandonati di una ex area industriale alle porte della città di Livorno, ove si è tenuto un raduno cosiddetto «rave party» che ha visto la partecipazione di circa 1.500 persone. Questo assembramento di persone, tra cui molti giovani stranieri, ha avuto luogo anche con veicoli, accampandosi all'interno delle strutture per tre giorni e oltre due notti e intrattenendosi con il cosiddetto «sballo»;

   gli episodi seguono le azioni dell'autorità giudiziaria contro i fenomeni di ingente traffico internazionale di droga che vedono Livorno come una delle città maggiormente colpite a causa delle rotte marittime del naviglio in scalo. Infatti, con sistematica periodicità, le cronache cittadine danno notizia di sequestri di cocaina in centinaia di chilogrammi per volta e di situazioni di aggressione alle forze di polizia ogni volta che si interviene nelle zone «sensibili» del centro urbano. Da informazioni ricavabili dal locale comando della Guardia di finanza la città è descritta come luogo di un ingente circolazione di liquidità monetaria, che non ha paragoni rispetto a molti altri centri italiani;

   i vari fenomeni citati parrebbero indicare che la città stia progressivamente divenendo un punto di riferimento per le attività collegate al transito, alla vendita e al consumo di droghe, con «basisti stanziali» dei narcotrafficanti e «consumatori al minuto» che ivi organizzano, come accaduto, occasioni di consumo collettivo;

   dopo segnalazione anonima del 4 novembre 2019, nell'area di piazzale interna e attigua ai capannoni conosciuti come «ex Trw», dopo l'allontanamento di quasi tutti i partecipanti, è stata rinvenuta nella sua auto, cadavere, una giovane trentenne, Moira Piermarini –:

   se e di quali informazioni disponga il Ministro interrogato riguardo al rinvenimento dopo molte ore della giovane presso il luogo del rave party del 31 ottobre 2019 e sugli interventi effettuati dalle forze di polizia; se e quali iniziative di competenza il Ministro intenda assumere riguardo alla preoccupante crescita di episodi criminali legati alla droga che si verificano nella città portuale di Livorno, alla luce dei flussi di denaro di cui in premessa e dell'aumento di consumatori di droghe nella città.
(3-01224)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FERRO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il servizio di polizia postale e delle comunicazioni della polizia di Stato svolge compiti di prevenzione, controllo e repressione degli illeciti penali e amministrativi rientranti nella vasta e complessa materia delle comunicazioni, delle attività criminose aventi ad oggetto la rete Internet ed in generale del crimine informatico;

   il servizio centrale della polizia postale e delle comunicazioni ha sede a Roma e coordina 20 compartimenti regionali e 80 sezioni territoriali;

   le dotazioni della polizia postale e delle Comunicazioni necessitano, tanto a livello di servizio centrale quanto a livello di compartimenti regionali, di una costante implementazione in modo tale da poter rispondere alle rapide evoluzioni tecnologiche in materia di pedopornografia, cyberterrorismo, copyright, hacking, protezione delle infrastrutture critiche del Paese, e-banking, giochi e scommesse on line e cyberbullismo;

   nonostante i notevoli e importanti compiti attribuiti, l'organico dei compartimenti della polizia postale e delle comunicazioni è sottodimensionato e nessun provvedimento in senso contrario risulta ancora essere adottato;

   in alcuni compartimenti si sono rilevate carenze infrastrutturali gravi che hanno interessato le linee internet in uso –:

   se il Governo non ritenga necessario potenziare l'organico dei compartimenti della polizia postale e delle comunicazioni;

   quali urgenti iniziative di competenza intenda adottare il Ministro interrogato per l'implementazione delle dotazioni informatiche e tecnologiche della polizia postale e delle comunicazioni, tanto a livello di servizio centrale quanto a livello di compartimenti regionali.
(4-04370)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   è di pochi giorni fa la notizia di una protesta avvenuta a Foggia da parte di oltre cento immigrati;

   nel dettaglio, sembrerebbe che la stessa sia stata organizzata dal comitato a sostegno dei migranti, denominato «Comitato Lavoratori delle Campagne», per stigmatizzare le norme che regolano il rilascio dei permessi di soggiorno nonché per richiedere migliori condizioni di lavoro;

   la ribellione sarebbe avvenuta inizialmente nei pressi del centro commerciale «GrandApulia» e, successivamente, davanti la sede della questura di Foggia dove i migranti si sarebbero spostati a bordo di due pullman;

   da fonti giornalistiche si apprende che, a causa della protesta, gli utenti del centro commerciale sarebbero stati bloccati, sia internamente che in strada. Per di più, sarebbe stato bloccato anche uno dei principali incroci cittadini, ovvero quello tra viale Fortore e Corso del Mezzogiorno, provocando così una vera e propria paralizzazione della città;

   gli agenti della polizia, intervenuti per cercare di ripristinare l'ordine e proteggere i cittadini, sarebbero stati colpiti da sassi che i migranti avrebbero lanciato contro di essi, causando, tra l'altro, il ferimento di due agenti e il danneggiamento di due mezzi della polizia;

   gli animi dei manifestanti si sarebbero ancor più infervorati quando uno di essi sarebbe stato bloccato dai poliziotti. Gli stessi, infatti, avrebbero minacciato di continuare a rimanere dinanzi la sede della questura, dove l'uomo era stato portato, fin quando non ne sarebbe avvenuta la liberazione;

   la situazione descritta, non trattandosi di una forma di attivismo del tutto pacifica, avrebbe così messo in pericolo gli abitanti di Foggiai –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative di competenza intenda porre in essere, in primo luogo per garantire maggiormente la sicurezza dei cittadini e, in secondo luogo, per assicurare una maggiore celerità nel controllo dei flussi migratori, al fine di evitare ulteriori episodi come quelli di cui in premessa.
(4-04371)


   SERRACCHIANI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la questura di Gorizia alla data odierna trova sede nel Palazzo degli Stati Provinciali di piazza Cavour 8, sino al 2016 di proprietà della ex provincia e ora passato – sulla base della legge regionale n. 20 del 2016 – al comune di Gorizia;

   con accordo regione Friuli Venezia Giulia Agenzia del demanio si è trovata una nuova collocazione per la sede della questura di Gorizia, in piazza San Francesco, in quanto suddetto palazzo versa in condizioni statiche precarie e già più volte segnalate anche dalle organizzazioni sindacali che ne denunciano le critiche condizioni lavorative;

   in data 12 novembre 2019 l'ufficio di gabinetto della questura di Gorizia ha diramato una informativa relativamente ai danni strutturali occorsi in seguito a un violento acquazzone, per cui si è reso necessario l'intervento urgente dei vigili del fuoco per la messa in sicurezza del sito: si è registrata la caduta di alcune tegole dal cornicione anteriore del palazzo della questura, sita in piazza Cavour n. 8, sul marciapiede sottostante nei pressi della porta carraia per l'entrata degli automezzi. Fortunatamente la caduta del materiale non ha causato danni a persone o cose;

   nella mattinata del 13 novembre 2019, sono state segnalate, per le ragioni precedentemente esposte, importanti infiltrazioni d'acqua presso gli uffici della Digos, posti nel piano ammezzato tra il primo ed il secondo piano di questa struttura. A seguito di ciò personale dipendente dell'ufficio tecnico logistico ha effettuato, con urgenza, un sopralluogo nei locali interessati, constatando alcuni spandimenti sia nei predetti uffici che nei locali della soffitta;

   all'esito di questi sopralluoghi, l'ufficio della questura di Gorizia ha inviato una nota dettagliata corredata di immagini fotografiche al comune di Gorizia, proprietario dello stabile, richiedendo urgenti interventi di ripristino delle zone ove sono state riscontrate le criticità esposte;

   suddette problematiche si sommano dunque alla già precaria situazione del Palazzo degli Stati Provinciali, motivo per cui si è proceduto di concerto con la regione autonoma del Friuli Venezia Giulia all'individuazione di una nuova sede. Alla data odierna, però, a quanto consta all'interrogante, non solo non è ancora stato dato avvio al trasferimento, ma la data continua a slittare –:

   se sia a conoscenza della precaria situazione in cui versano la sede della questura e gli agenti che vi lavorano all'interno;

   se sia a conoscenza delle motivazioni del continuo rinvio del trasferimento della questura di Gorizia nei locali di via San Francesco;

   se il Ministero dell'interno abbia predisposto un cronoprogramma per il suddetto trasferimento, posto che ogni giorno in più che passa rappresenta un pericolo sul piano della sicurezza sul luogo di lavoro per gli agenti della polizia di Stato di Gorizia e un rischio per le persone che si recano al suo interno.
(4-04375)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   risale a qualche settimana fa la notizia della morte di una bambina di soli cinque mesi avvenuta nel campo rom della Muratella a Roma;

   gli operatori del 118, chiamati dal padre della piccola nel momento in cui al mattino si è accorto che la stessa aveva smesso di respirare, dopo vani tentativi di rianimazione, hanno dovuto dichiararne il decesso;

   i carabinieri, il cui intervento è stato richiesto dai medici, recatisi sul posto hanno potuto ravvisare il contesto in cui la bambina viveva. La famiglia, composta da madre, padre, cinque figli e i nonni, abitava in un van di all'incirca 7 metri quadrati in non v'erano riscaldamenti né tantomeno acqua. I genitori erano disposti sul letto, i nonni per terra e i figli, di cui la più piccola era quella che ha perso la vita, erano avvolti con coperte sudicie;

   dalle prime analisi sembrerebbe che la bambina fosse denutrita. La compagnia dei carabinieri di Roma Eur indagherebbe sul caso. In particolare, i genitori sarebbero accusati di omicidio come conseguenza di altro delitto, maltrattamenti, posto che la piccola sarebbe stata in completo stato di abbandono, senza cibo e cure di ogni specie. Pertanto, sarebbe stata già avviata la procedura per sospendere la responsabilità genitoriale sugli altri figli i quali, a seguito della tragedia, sono stati accompagnati in un centro d'accoglienza;

   a parere dell'interrogante, l'episodio appena descritto evidenzierebbe una situazione già nota, dal momento che le condizioni di vita nei campi rom sarebbero sempre connotate da degrado e miseria; ciò che maggiormente preoccupa e che meriterebbe maggiore attenzione da parte delle istituzioni è lo stato in cui sarebbero costretti a crescere i bambini;

   da fonti giornalistiche si apprende che oltre 20 mila bambini vivrebbero nei campi rom in Italia e oltre 4.000 solamente nella Capitale. Di questi all'incirca 1.300 hanno tra gli zero e i sette anni, costretti a stare in una condizione in cui vi sarebbe una completa violazione di tutti i diritti fondamentali a questi riconosciuti dall'ordinamento nazionale e internazionale. Non ci si riferirebbe al diritto all'alfabetizzazione, all'educazione e in generale allo studio, posto che la frequentazione di una scuola apparirebbe come un vero e proprio miraggio. Ci si riferirebbe a quelle condizioni igienico-sanitarie, quegli spazi vitali necessari che, difettando, metterebbero costantemente a rischio la vita dei fanciulli. Difatti, molto spesso le abitazioni delle famiglie sarebbero costituite da case realizzate con teloni di plastica e cartoni o tende da campeggio situate nei pressi di alcune discariche, in cattivo odore e rifiuti;

   le situazioni di degrado suesposte sono note o quantomeno dovrebbero essere note alle autorità competenti, al sindaco, ai servizi sociali nonché ai tribunali minorili competenti per materia e territorio e ci si domanda, lecitamente, come mai debbano accadere tali tragici eventi senza che nessuno ancora sia intervenuto per porvi rimedio ed evitare futuri e più gravi situazioni. Sarebbe opportuno, difatti, che i bambini venissero tolti da tali contesti e che venissero loro assicurate una vita e una crescita dignitosa, dal punto di vista fisico e psicologico –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative di competenza intendano porre in essere al fine di verificare la situazione complessiva del campo rom citato in premessa, che, ad avviso dell'interrogante, rivela inadempienze da parte degli organi competenti, e per evitare future tragedie come quella di cui in premessa.
(4-04376)


   IOVINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   con il protocollo d'intesa stipulato il 18 luglio 2007 veniva costituito il «Comitato intercomunale di sicurezza e solidarietà», tra i comuni di Ercolano, Portici e San Giorgio a Cremano;

   all'epoca venne prevista la possibilità di promuovere forme associative tra Comuni di aree omogenee per la gestione dei servizi in esso elencati (primo fra tutti, la lotta all'illegalità), ai fini di una ripartizione razionale delle risorse sul territorio, in misura rispondente ai bisogni di sicurezza cittadina;

   negli anni — considerati i continui mutamenti dei contesti sociali ed economici, e dunque di disponibilità delle risorse — sono stati istituiti molteplici tavoli di confronto tra prefettura di Napoli, forze dell'ordine, sindaci e associazioni locali. Il tutto è avvenuto nel tentativo di mettere in campo strategie comuni, nonché politiche tese a fronteggiare i fenomeni della devianza, del bullismo, dell'illegalità e della criminalità organizzata;

   tuttavia, nonostante gli sforzi tesi a combattere i fenomeni criminosi, ad oggi continua ad esistere un importante problema relativo alla sicurezza pubblica, con particolare riferimento ai comuni di Portici ed Ercolano, che non può più essere sottovalutato. Di seguito si riportano, a dimostrazione di quanto segnalato, alcuni fatti di cronaca avvenuti negli ultimi tempi;

   tra marzo e aprile 2018, si sono susseguiti numerosi «raid» criminali nei comuni di Portici ed Ercolano: furti (una decina in un solo mese), fenomeni collegati alla «banda del crick» (come soprannominata dalla stampa locale), aggressioni ad opera di «baby gang» operate in pieno cittadino;

   una escalation di criminalità che, nonostante gli sforzi posti in essere dalle forze dell'ordine, continua ad essere causa un crescente senso di insicurezza insinuatosi oramai tra la popolazione residente nei due rispettivi comuni;

   la grandezza geografica dei due territori e il numero delle forze dell'ordine a disposizione, che non riuscirebbero a coprire l'estensione territoriale dei due comuni che contano oltre 100 mila abitanti, accentuano in maniera particolare il problema descritto;

   l'attività criminale, dati gli ultimi avvenimenti, pare non essersi placata: basti pensare che il 21 settembre 2019 una bomba carta è stata fatta esplodere dinanzi all'ingresso di una palestra di largo Arso a Portici: l'attentato, sul quale tuttora sono in corso le relative indagini, si presume collegato a fenomeni di racket;

   nello stesso giorno, sempre a Portici, così come riportato anche dai media nazionali, gli agenti di polizia del commissariato locale sono intervenuti per provare a fermare un «folle» inseguimento che avveniva tra due scooter in pieno centro: uno dei due conducenti, un noto pregiudicato 47enne della zona, stando a quanto riportato dai giornali, ha raccontato ai poliziotti di essere stato inseguito da due uomini armati che avrebbero esploso alcuni colpi di pistola;

   appare evidente che, in seguito a tali fatti, tenuto conto delle giustificate preoccupazioni avanzate dai cittadini di Portici ed Ercolano e considerate altresì le richieste avanzate agli amministratori locali negli ultimi anni in tema di maggiore presenza di forze dell'ordine a garanzia della pubblica sicurezza, vi sia la necessità di un intervento più fermo e determinato a combattere la criminalità, di concerto con tutti gli attori istituzionali coinvolti –:

   quali iniziative il Ministro interrogato, per quanto di competenza, intenda porre in essere per riaffermare la piena legalità nei comuni di Portici ed Ercolano, stante la necessità di garantire un miglioramento della percezione di sicurezza da parte dei cittadini e un rinnovato rapporto di fiducia tra gli stessi e le istituzioni;

   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno, valutate le risorse disponibili per tali interventi, garantire una maggiore presenza di forze dell'ordine all'interno dell'area che comprende i due comuni.
(4-04381)


   GIGLIO VIGNA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   le cronache hanno riportato come a pochi minuti prima dell'inizio della partita di Serie A di domenica 24 novembre 2019 tra il Torino e l'Inter, le due tifoserie siano venute in contatto in curva Primavera;

   secondo una ricostruzione la società Torino calcio ha organizzato la vendita dei ticket per Torino-Inter in due fasi: la prima dedicata ai possessori della tessera Cuore Granata, la seconda senza vincoli di alcun tipo, anche perché in merito non c'erano indicazioni da parte dell'Osservatorio delle manifestazioni sportive, l'ufficio del Viminale che si occupa della valutazione dei pericoli annessi alle cosiddette partite «a rischio»;

   la vendita libera è partita martedì 12 novembre 2019. Il martedì successivo, 19 novembre, ad avviso dell'interrogante, in netto e colpevole ritardo, quindi, dalla questura arriva la richiesta di interrompere la vendita libera: secondo quanto spiega il club granata, al Torino è stato in quel momento chiesto di rimettere il vincolo della tessera Cuore Granata e così è stato fatto, ma gran parte dei biglietti erano già venduti;

   la curva Primavera dovrebbe essere un settore dedicato alle famiglie, ma da tempo, come risulta anche alla società Torino calcio, è lì collocato un gruppo ultrà in disaccordo con il tifo organizzato della curva Maratona;

   la composizione di parte degli spettatori in curva ha fatto sì che alle provocazioni e ai primi gesti di violenza arrivati dai tifosi ospiti presenti si sia arrivati a vere scene di violenza –:

   se e quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare affinché possa essere garantita una più attenta valutazione da parte dell'Osservatorio delle manifestazioni sportive e delle questure, nell'ottica di evitare il ripetersi in futuro di episodi come quello riportato in premessa.
(4-04384)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MURELLI, DURIGON, CAFFARATTO, CAPARVI, LEGNAIOLI, EVA LORENZONI, MINARDO e MOSCHIONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   organi di stampa nazionali riportano la notizia secondo la quale gli stranieri con permesso di soggiorno permanente, ovvero quelli che non sono cittadini del nostro Paese, ma ai quali viene riconosciuto il diritto di stare in via definitiva in Italia senza dover per forza ripresentare domanda ogni anno, potrebbero essere mantenuti a spese dello Stato anche per anni;

   secondo la normativa europea di riferimento, dopo almeno 5 anni consecutivi di soggiorno legale in un altro Paese dell'Unione, si acquisisce automaticamente il diritto al soggiorno permanente. Si può quindi chiedere un documento di soggiorno permanente che conferma il diritto a soggiornare in modo permanente nel Paese in cui si vive, senza particolari condizioni;

   oggi il reddito di cittadinanza spetta a cittadini italiani o dell'Unione europea, cittadini di Paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo, o apolidi in possesso di analogo permesso, cittadini di Paesi terzi familiari di cittadini italiani o comunitari, titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente e titolari di protezione internazionale, e il requisito è che si stia in Italia da 10 anni di cui almeno gli ultimi 2 consecutivi;

   questo comporta che uno straniero dopo questo periodo, se perde o lascia il lavoro, percepisce la disoccupazione per circa due anni. Subito dopo scatta il reddito di cittadinanza –:

   se e quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda urgentemente adottare con riguardo alla vicenda sopra descritta, al fine di correggere prontamente la distorsione riscontrata.
(5-03329)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   ALEMANNO e BOLOGNA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   la sepsi o setticemia viene considerata un'urgenza medica e l'Organizzazione mondiale della sanità nel maggio 2017 l'ha definita emergenza sanitaria globale. Oggi, questa sindrome clinica, causata da una risposta anomala e generalizzata dell'organismo a un'infezione, determina un danno a carico di uno o più organi, mettendo in serio pericolo la vita stessa, e uccide quattro volte di più del tumore del colon, cinque volte di più dell'ictus e dieci volte di più dell'infarto miocardico;

   la sua mortalità nei casi più gravi può raggiungere il 70 per cento (è la prima causa di morte negli ospedali americani) e la sua incidenza è in continuo aumento. Nel mondo ogni anno si ammalano di sepsi, ventisei milioni di persone (di cui 3 milioni di bambini);

   in Europa si contano più di 700.000 casi di sepsi all'anno di cui uno su cinque ha esito fatale. Chi sopravvive, spesso, riporta conseguenze organiche e psichiche per tutto il resto della vita. Si tratta di una vera e propria emergenza medica con un tasso di mortalità ancora troppo elevato;

   è la patologia con il costo di ospedalizzazione più alto: nei casi più gravi dai 25.000 ai 50.000 euro/caso. Per le sue caratteristiche cliniche è difficilmente diagnosticabile, specialmente nelle fasi più precoci e può colpire chiunque senza distinzione di età, sesso, condizioni di salute precedenti;

   in Italia il tasso di mortalità medio è del 15 per cento, mentre sale al 30-35 per cento negli episodi settici severi, fino a superare il 50 per cento nello shock settico (100.000 casi all'anno). È la prima causa di morte nelle unità di terapia intensiva non coronarica. È stato scientificamente provato che moltissime morti potrebbero essere evitate con una diagnosi precoce e un trattamento tempestivo –:

   se il Ministro interrogato intenda fornire dei dati precisi sul tema di cui in premessa;

   se nella strategia del Ministero della salute sia in programma qualche attività, a livello di piano sanitario, per facilitare la diagnosi di Sepsi, l'identificazione dei pazienti a rischio e modulare il percorso terapeutico.
(3-01221)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LUCASELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   con l'atto di sindacato ispettivo n. 4-03654 del 27 settembre 2019 è stata sottoposta al Ministro interrogato la questione del servizio di partoanalgesia erogato dalle strutture sanitarie pugliesi e, in particolare, delle misure di potenziamento del reparto di maternità e ginecologia dell'unità ospedaliera Perrino di Brindisi, alla luce della prevista chiusura dell'omologo reparto presso la casa di cura Salus;

   in Italia, la partoanalgesia è stata inserita nei livelli essenziali di assistenza (Lea) con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 aprile 2008, n. 23, che, al comma 3 dell'articolo 37, dispone che «il Servizio sanitario nazionale garantisce le procedure analgesiche nel corso del travaglio e del parto vaginale nelle strutture individuate dalle regioni e all'interno di appositi programmi volti a diffondere l'utilizzo delle procedure stesse. Le regioni adottano adeguate misure per disincentivare il ricorso al parto cesareo in un numero di casi superiore a un valore percentuale/soglia sul totale dei parti, fissato dalle stesse regioni»;

   le nuove linee guida dell'Organizzazione mondiale della sanità, divulgate a febbraio 2018, riconoscono l'adozione dell'epidurale come diritto per la donna che dovrà partorire, evitando il dolore e il medesimo principio è stato confermato nel dispositivo del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 18 marzo 2017 con l'aggiornamento dei Lea;

   a fronte della richiesta di informazioni da parte del Ministero della salute, la Regione Puglia, con lettera prot. 00392 del 22 ottobre 2019, nel rappresentare lo stato dell'arte dell'implementazione della partoanalgesia nei punti nascita di livello, al punto d), con specifico riferimento all'ospedale SS. Annunziata di Taranto riportava: «sono in corso le assunzioni degli anestesisti, il servizio di partoanalgesia verrà attivato entro il mese di novembre del corrente anno»;

   nonostante gli annunci e le promesse fatte, ad oggi, a quanto risulta all'interrogante il servizio non sarebbe stato attivato, né sarebbe stato espletato il concorso per l'assunzione degli anestesisti –:

   di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa e, in particolare, in relazione ai motivi per i quali il servizio di partoanalgesia dell'ospedale di Taranto non sia stato attivato e quali iniziative di competenza intenda adottare per assicurare il servizio, anche nell'ottica della riduzione del numero di parti cesarei, garantendo il rispetto dei livelli essenziali di assistenza in Puglia come nelle altre realtà regionali.
(5-03327)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BAGNASCO, NEVI, VERSACE, BOND, BRAMBILLA, MUGNAI e NOVELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il linfedema è una malattia invalidante che finalmente l'Inps riconosce come cronica disabilitante, di non facile controllo e con tendenza evolutiva. La prevalenza del linfedema in Italia è di circa 350.000 casi;

   la classificazione eziopatogenetica lo suddivide in linfedema primario e secondario: le forme primarie (42 per cento) sono localizzate prevalentemente agli arti inferiori; le forme secondarie sono le più frequenti (58 per cento) correlate al trattamento di patologie oncologiche (carcinoma della mammella, utero e ovaie, intestino, testicolo, melanomi, sarcomi);

   l'incidenza del linfedema secondario dell'arto superiore è veramente alta (25 per cento) nelle donne sottoposte a chirurgia mammaria con dissezione ascellare (circa 45.000/anno), con un aumento della percentuale (35 per cento) dopo radioterapia associata. In Italia è possibile stimare in circa 9.000 casi;

   la terapia prevede la presa in carico del paziente da parte di un team riabilitativo, con specifica preparazione linfologica, che, dopo il trattamento fisico-decongestivo, effettua la prescrizione e il collaudo di un tutore elastico;

   per il mantenimento e l'ottimizzazione dei risultati ottenuti con una terapia combinata, le linee guida evidenziano l'importanza della terapia compressiva con tutore elastico, standard o su misura, a seconda del caso clinico e a discrezione dello specialista che ha preso in carico il paziente;

   il tutore standard, che permette di ridurre i costi, può essere prescritto solo nel linfedema iniziale, ma nei successivi stadi clinici, a causa dell'arto dismorfico, è necessario prescrivere il tutore su misura che deve essere sostituito almeno ogni 6 mesi per garantire la necessaria compressione;

   nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 2017, che definisce i nuovi livelli essenziali di assistenza (Lea) nell'allegato 5, elenco 1, alla voce ausili su misura, sono elencati gli ausili per terapie individuali prescrivibili esclusivamente ad assistiti affetti sia da linfedema primario cronico che per assistiti affetti da linfedema secondario stabilizzato dopo la chirurgia oncologica;

   per la mancata emanazione dei provvedimenti attuativi dei nuovi Lea, questi malati sono costretti a provvedere personalmente a questa spesa, non indifferente, almeno due volte l'anno e la stessa spesa li accompagnerà tutta la vita;

   peraltro, se qualche regione che ha provveduto autonomamente a dare contributi ai pazienti a fronte di spese comprovate di tutori elastocompressivi su misura, nella maggior parte delle regioni i pazienti non usufruiscono di alcun aiuto –:

   se non intenda adottare le iniziative di competenza per provvedere, quanto prima, all'emanazione dei decreti attuativi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sui nuovi Lea, stabilendo le nuove tariffe per i tutori elastocompressivi su misura.
(4-04368)


   FERRO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   è partita da tre direttori delle cardiochirurgie calabresi la denuncia contro «le azioni pubblicitarie mascherate per arruolare pazienti» per porre un freno alla piaga della migrazione sanitaria;

   in una lettera aperta, firmata da Pasquale Mastroroberto, professore ordinario di chirurgia cardiaca e direttore dell'Uoc e scuola di specializzazione di cardiochirurgia dell'università «Magna Graecia» – Apu «Mater Domini» di Catanzaro, Daniele Maselli, direttore del dipartimento di chirurgia cardiovascolare – Sant'Anna Hospital di Catanzaro e Pasquale Fratto, direttore dell'Uoc di cardiochirurgia – Grande Ospedale Metropolitano di Reggio Calabria, si legge: «Il giorno 13 dicembre è stato organizzato a Ciro Marina il 1° workshop “Incontri Calabresi di aggiornamento in Cardiologia 2019”. Niente di particolarmente strano se non fosse che sia il direttore del corso che tutti i relatori provengono da una istituzione lombarda e più precisamente l'IRCCS Policlinico San Donato di San Donato milanese (MI), senza il coinvolgimento di cardiologi e men che meno dei direttori delle tre cardiochirurgie calabresi»;

   secondo i tre dirigenti calabresi è difficile considerare tutto questo solo un evento scientifico con finalità di divulgazione medica, ma appare, invece, chiaro che gli obiettivi sono strettamente correlati a incentivare l'arruolamento di pazienti che devono essere sottoposti ad una procedura cardiochirurgica;

   un singolo intervento cardiochirurgico può arrivare a costare decine di migliaia di euro e la concorrenza tra le grandi strutture sanitarie porta al paradosso inaccettabile che la sanità diventa business;

   un interessante report dell'Osservatorio Gimbe segnala come nel 2017 il valore della mobilità sanitaria è ammontato a 4,6 milioni di euro e presenta saldi estremamente variabili tra Nord e Sud del Paese, con le 3 regioni capofila dell'autonomia differenziata – Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna – che incassano l'88 per cento del saldo attivo, mentre il 77 per cento di quello passivo grava su Puglia, Sicilia, Lazio, Calabria e Campania;

   in particolare, la Calabria finisce nel mirino della voracità delle strutture settentrionali, nonostante le strutture nel settore cardiochirurgico vantino prestazioni di tutto rispetto, come evidenziato dagli ultimi dati diffusi dal «Programma nazionale esiti» di Agenas;

   incentivare pazienti e famiglie calabresi ad affrontare lunghi viaggi per sottoporsi non solo ad interventi chirurgici ma anche a normali esami diagnostici che potrebbero tranquillamente effettuare «in loco» in centri di eccellenza, comporta un costo notevole e, di conseguenza, un grave danno economico per una sanità già gravata da enormi problemi;

   tale denuncia si aggiunge a un fenomeno di cui si era occupato il Corriere della Calabria nelle scorse settimane, raccontando la storia di Giuseppe Minutolo, medico di Gioia Tauro che ha rifiutato un contratto con una struttura lombarda che prevedeva dei bonus per ogni paziente calabrese «trasferito» al Nord, sulla base del tipo di intervento previsto;

   proprio il Corriere della Calabria ha cercato di ricostruire un «sistema» che vale diversi milioni di euro e coinvolge diversi consulenti anche in Calabria, come la denuncia dei tre dirigenti sembra avvalorare –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative di competenza intenda adottare, per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali, per porre un freno a questa costante e immotivata «fuga» dalla sanità calabrese, riducendo l'impatto di un fenomeno dalle enormi implicazioni sanitarie, sociali, etiche ed economiche;

   quali siano i dati aggiornati sul fenomeno della migrazione sanitaria dalle regioni del Sud alle strutture del Nord Italia e quali iniziative di competenza intenda adottare per verificare se esista un vero e proprio «sistema» a danno della sanità meridionale e, in particolare, calabrese.
(4-04369)


   SAPIA, NESCI e D'ARRANDO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   con note alla struttura commissariale del Governo, il primo firmatario della presente interrogazione, acquisiti i relativi atti, ha posto senza riscontro il problema dell'assegnazione dell'incarico di primario di ginecologia e ostetricia dell'azienda ospedaliera di Reggio Calabria a professionista sprovvisto, a quanto pare, dei requisiti di legge essenziali per detto conferimento, nonché numerose altre questioni di legalità;

   nel 2019 è stato disposto il blocco del turnover del personale sanitario della Calabria ed è stato varato uno specifico decreto, convertito in legge, per la nomina di commissari straordinari delle aziende del servizio sanitario regionale, in massima parte non ancora designati;

   in sede di conversione del riferito decreto è stato previsto lo sblocco del turnover del personale sanitario delle Calabria, allo stato inattuato e teorico;

   il tavolo interministeriale di verifica dell'attuazione del summenzionato piano di rientro non ha validato diversi decreti di autorizzazione ad assumere sottoscritti dalla struttura commissariale del Governo, che nel complesso hanno previsto, in quanto a reclutamento, un'inadeguata percentuale di medici e invece autorizzato l'assunzione di figure tecniche e amministrative in un contesto generale segnato da gravi carenze di professionisti nel settore dell'emergenza-urgenza;

   la struttura commissariale nominata nel gennaio 2019 ha visto le dimissioni del sub-commissario per ragioni mai pubblicamente chiarite e la sua sostituzione, a distanza di settimane, con altro;

   di recente la struttura commissariale ha provveduto con decreto ad autorizzare oltre 400 assunzioni, che ad avviso degli interroganti, possono ritenersi del tutto inutili a coprire le carenze di organico;

   dal gennaio 2019 la struttura commissariale del Governo non ha ridefinito la rete dell'assistenza ospedaliera né il fabbisogno di personale delle aziende del Servizio sanitario regionale e, come le precedenti, non ha riattivato gli ospedali di Praia a Mare e Trebisacce, come invece impongono remote sentenze definitive;

   la Calabria ha flussi di emigrazione sanitaria che costano 320 milioni di euro all'anno, a fronte di trasferimenti statali per circa 3,5 miliardi di euro annui e un disavanzo annuo che ha superato i 170 milioni annui, senza contare i notori problemi di ricognizione contabile relativi all'Asp di Reggio Calabria;

   negli ospedali calabresi vi sono riconosciute professionalità nel settore chirurgico, ma il Ministero della salute ha sottoscritto con la regione Veneto e l'azienda ospedaliera di Padova un accordo per la realizzazione di un progetto di riorganizzazione dell'attività chirurgica sul territorio calabrese, di cui, stando alle notizie della stampa, ancora non si conoscono origini, modalità e obiettivi precisi;

   i deputati Sapia e Nesci hanno formalmente diffidato il Consiglio dei ministri a non approvare due nomine di commissari aziendali (Asp di Cosenza e azienda ospedaliera di Reggio Calabria) proposte dalla struttura commissariale governativa, per mancanza dei requisiti essenziali di legge degli interessati –:

   se i decreti commissariali debbano essere valutati dal tavolo interministeriale di verifica e, in caso affermativo, se non si ritenga di dover adottare le iniziative di competenza per provvedere alla sostituzione dei dirigenti responsabili apicali;

   quali ragioni abbiano impedito la nomina dei vari suddetti commissari straordinari;

   per quali motivi il sub-commissario di cui in premessa si sia dimesso e quali motivi tecnici esistano alla base della nomina del sostituto;

   quali siano le valutazioni dei Ministri interrogati sull'operato della struttura commissariale, anche per gli aspetti di tenuta della legalità, e se non ritengano opportuna la sostituzione della medesima;

   di quali elementi si disponga circa le ragioni del suddetto accordo per la realizzazione di un progetto di riorganizzazione dell'attività chirurgica sul territorio calabrese e circa le effettive origini, le modalità di attuazione e gli obiettivi da raggiungere;

   di quali elementi si disponga circa l'idoneità dei soggetti indicati dalla struttura commissariale per la guida delle suddette aziende del Servizio sanitario regionale calabrese, ad avviso degli interroganti, privi dell'esperienza professionale precipuamente richiesta dalla legge.
(4-04389)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ALEMANNO e DAVIDE CRIPPA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il codice delle assicurazioni private prevede, all'articolo 187-ter, l'obbligo per i soggetti destinatari della vigilanza dell'Ivass di aderire al costituendo arbitro assicurativo;

   le citate disposizioni normative non pregiudicano il ricorso a ogni altro strumento di tutela previsto dall'ordinamento, fermo restando quanto previsto dall'articolo 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28;

   la misura dell'arbitrato assicurativo, utile alla riduzione delle controversie del settore, è in via d'attuazione secondo recenti notizie. Infatti, l'Ivass sta lavorando, in collaborazione con gli uffici del Ministero dello sviluppo economico, per dare avvio alle attività del nuovo arbitro assicurativo;

   con lo stesso si costituirà per il settore assicurativo un sistema di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di contratti assicurativi, in analogia a quanto già realizzato per il settore bancario (Abf) e finanziario (Acf);

   sono in corso le attività per reclutare e formare il personale e realizzare la piattaforma informatica per la presentazione e l'efficiente gestione dei ricorsi. Il servizio tutela del consumatore dell'Ivass è affidatario delle competenze di segreteria tecnica dell'arbitro assicurativo e, per l'avvio dello stesso, il legislatore ha ampliato di 45 unità la pianta organica dell'istituto;

   l'arbitro assicurativo diventerà un nuovo strumento per conseguire un'ampia tutela degli assicurati, dei danneggiati e degli aventi diritto a prestazioni assicurative e, allo stesso tempo, garantirà rapidità, economicità ed effettività di tale tutela. L'impatto positivo sulla fiducia degli assicurati concorrerà al buon funzionamento del mercato assicurativo, che è un fattore essenziale per contribuire alla crescita economica e al benessere dei cittadini –:

   si intendano fornire elementi circa i tempi previsti per l'adozione del decreto Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della giustizia, su proposta dell'Ivass, che determinerà i criteri e le procedure di risoluzione delle controversie e di composizione dell'organo decidente, nonché la natura delle controversie oggetto dell'azione dell'arbitro.
(5-03323)


   BADOLE, ANDREUZZA, BAZZARO, BISA, COLMELLERE, COMENCINI, COVOLO, FANTUZ, FOGLIANI, GIACOMETTI, LAZZARINI, MOSCHIONI, PATERNOSTER, PRETTO, RACCHELLA, STEFANI, TURRI, VALBUSA, VALLOTTO e ZORDAN. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   Safilo Group, leader mondiale nel settore dell'occhialeria di alta gamma, fondato nel 1934 da Guglielmo Tabacchi e controllato dal 2009 dal fondo olandese Hal, ha presentato in data 10 dicembre 2019 il businessplan 2020-2024 che prevede una profonda trasformazione digitale e un drammatico ridimensionamento delle attività italiane;

   il gruppo ha fatto sapere che l'uscita delle licenze del lusso Moët Hennessy Louis Vuitton SE (Lvmh) e la prevedibile flessione del business legata alla perdita del marchio Dior entro il 2020, rendono necessario l'avvio di un piano di riorganizzazione e ristrutturazione industriale, che risponda al nuovo scenario produttivo che l'azienda si troverà presto a dover gestire, con il conseguente riallineamento delle proprie strutture. Nel piano sono annunciati 700 esuberi e la chiusura totale dello stabilimento di Martignacco (Udine), in cui operano circa 250 addetti. Altri 400 esuberi sono previsti nello stabilimento di Longarone (Belluno), nel quale verrà quasi dimezzato l'attuale organico di 900 addetti, e gli ultimi 50 esuberi riguardano la sede di Padova. Al momento, dal piano non sembrerebbe essere toccata la sede veneziana di Santa Maria di Sala, ma si teme che, in caso di mancato rinnovo delle licenze di Gucci Dior e di Fendi, tra il 2020 e il 2023, lo stabilimento salese possa seguire le medesime sorti di quello di Martignacco. Da quanto annunciato l'azienda manderà a casa quasi un dipendente su 4 sul totale dei 2.600 dipendenti;

   Safilo ha fatto sapere che il piano è pensato per salvaguardare la competitività aziendale a favore dei lavoratori che rimangono in forza. Sugli esuberi previsti la società ha aperto un tavolo negoziale con le organizzazioni sindacali e i rappresentanti dei lavoratori per individuare tutti gli ammortizzatori sociali disponibili per limitare gli impatti sulle persone coinvolte;

   proprio nel giorno dell'annuncio del piano industriale (arrivato a mercati chiusi) Safilo ha chiuso con un balzo in borsa di oltre 10 punti percentuali per aver rinnovato la licenza Marc Jacobs (proprio del gruppo (Lvmh) in anticipo rispetto alle previsioni e solo il giorno successivo alla notizia della ristrutturazione aziendale è arrivato a perdere oltre il 20 per cento sul mercato azionario milanese –:

   se e quali urgenti iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, i Ministri interrogati intendano adottare a salvaguardia dei livelli occupazionali di Safilo Group e, più in generale, a tutela di una delle più importanti realtà italiane nel settore dell'occhialeria di alta gamma.
(5-03324)

Interrogazione a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il mercato della distribuzione di carburanti è un settore strategico per l'economia nazionale, con un valore che si aggira sui 45 miliardi di euro all'anno di fatturato complessivo e che ingloba circa 80 mila lavoratori fra titolari, collaboratori e dipendenti, occupati presso oltre 22 mila impianti nella rete ordinaria e circa 450 aree di servizio autostradali;

   nonostante ciò, il settore presenta numerose criticità, denunciate da tempo dagli operatori, con ricadute preoccupanti anche sui livelli occupazionali;

   in particolare, Anisa (Associazione nazionale imprese servizi autostradali) ha evidenziato la gravissima situazione di crisi del comparto, che registra una continua perdita di volume nelle vendite di carburanti (-65,67 per cento sul 2001 e -59,63 per cento sul 2007 e -4,25 per cento sul 2017) ma anche una flessione dell'erogato medio (-66,98 per cento sul 2001) che porta circa il 60 per cento dei punti vendita a non giustificare l'equilibrio economico tra costi e ricavi;

   nel complesso, le ragioni della crisi di settore sono essenzialmente due: la dilagante illegalità, come ampiamente denunciata da tempo dalle maggiori associazioni di categoria e rappresentanze sindacali del settore; la necessità di ammodernamento della rete carburanti, da realizzarsi attraverso un vero e proprio piano programmatico di incentivazione a specifici investimenti «carbon free», anche finalizzati alla riconversione dell'assetto attuale e non più tramite nuove e inefficienti misure di riduzione del numero degli impianti, peraltro già previste dalla recente legge n. 124 del 4 agosto 2017, che di principio rischiano, ad avviso dell'interrogante, di alterare soltanto gli equilibri del mercato a vantaggio delle «Major» (Eni) e multinazionali petrolifere);

   secondo un rapporto del febbraio 2018 ogni anno entrano in Italia 3 miliardi di litri di carburante illegale, circa il 10 per cento del totale, corrispondentemente ai quali si stimano almeno 2 miliardi di evasione dell'Iva sui carburanti, cifra generata come è ben noto dall'utilizzo delle «lettere d'intento» per l'acquisto in esenzione Iva nella commercializzazione dei carburanti –:

   quali urgenti iniziative di competenza, anche di carattere normativo, intenda assumere il Governo per affrontare la gravissima problematica dell'illegalità denunciata da tempo nel settore della distribuzione dei carburanti, che rischia di aggravare irrimediabilmente le condizioni economiche ed occupazionali degli operatori del comparto, anche attraverso l'attivazione di un tavolo tecnico permanente che valuti, altresì, strumenti efficaci di contrasto ai fenomeni di evasione, contraffazione e concorrenza sleale, di concerto con le organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative, nonché enti, autorità e forze di polizia preposte ai controlli e alle verifiche ispettive;

   quali urgenti iniziative di competenza, anche di carattere normativo, intenda assumere il Governo per ammodernare la rete carburanti, senza aggravare di ulteriori costi ed oneri gli operatori del comparto, prevedendo eventualmente l'incentivazione di carburanti alternativi, nuove forme contrattuali da tipizzare che tutelino contestualmente le posizioni dei titolari delle autorizzazioni e dei gestori in veste di liberi imprenditori, nella considerazione basilare che qualsivoglia misura mirata alla chiusura forzosa degli impianti per presunta «inefficienza» o per «obsolescenza» o per nuova fattispecie di «incompatibilità» eventualmente ed appositamente delineata dal legislatore per l'ipotetica «razionalizzazione» del settore, contrasterebbe inevitabilmente con il principio inderogabile della «libertà di stabilimento» sancito dall'ordinamento dell'Unione europea (articolo 49-54 del trattato sul finanziamento dell'Unione europea) ed integralmente recepito con decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge 6 agosto 2008 n. 133 (articolo 83-bis, comma 17), che viceversa sancisce il principio della «liberalizzazione» degli esercizi commerciali e quindi la loro apertura incondizionata, al fine di generare un beneficio al consumatore finale in termini di risparmio sul prezzo del prodotto.
(4-04372)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Davide Aiello n. 4-04337, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 dicembre 2019, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Alaimo.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta immediata in Commissione Bagnasco n. 5-03303 del 17 dicembre 2019.

Ritiro di una firma da una interrogazione.

  Interrogazione a risposta scritta Spessotto e Grippa n. 4-04365, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 dicembre 2019; è stata ritirata la firma del deputato Grippa.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   ALEMANNO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   con provvedimento del 30 marzo 2018, decretava lo scioglimento d'autorità della Edilcoop Salentina, con sede legale in Lecce, via Cesare Battisti 70, per gravi irregolarità riscontrate a seguito delle risultanze emerse dall'ispezione straordinaria effettuata dagli ispettori del Ministero dello sviluppo economico;

   gli ispettori avevano riscontrato che la cooperativa non persegue lo scopo sociale e mutualistico, avendo integrato il proprio oggetto sociale originario di cooperativa edilizia senza scopo di lucro con lo svolgimento di attività commerciali e di intermediazione immobiliare;

   la cooperativa, infatti, aveva allargato il suo raggio di attività alla compravendita di impianti fotovoltaici, percependo contributi in conto esercizio e, successivamente, aveva provveduto alla costruzione e alla gestione in proprio di un impianto fotovoltaico a Martano (Lecce), vendendo l'energia elettrica prodotta a terzi distributori;

   trattasi dunque secondo l'interrogante una cooperativa cosiddetta «spuria», situazione insanabile a prescindere da calcoli di prevalenza o meno dell'assetto mutualistico. Con la modifica statutaria, di fatto l'Edilcoop Salentina non è più una cooperativa edilizia;

   la cooperativa ha impugnato il provvedimento del Ministero dello sviluppo economico davanti al Tar di Lecce con ricorso n. 389/2018;

   il Tar di Lecce ha accolto l'istanza di sospensiva in sede cautelare con ordinanza n. 233/18 e successivamente ha accolto il ricorso della cooperativa con la sentenza n. 1365/2019, con condanna delle amministrazioni resistenti e dei soci-interventori alle spese di lite quantificate in euro 5.000 e in solido al pagamento del compenso del consulente tecnico d'ufficio, quantificate in euro 7.686,35, sentenza definita «storica» dall'avvocato della cooperativa con la motivazione che «scopo di lucro e mutualità» possono coesistere;

   ciò, ad avviso dell'interrogante, è in contrasto con tutto l'ordinamento vigente in materia di cooperative edilizie –:

   se il Ministro interrogato intenda fornire informazioni rispetto alle iniziative che si intendono intraprendere in relazione alle cooperative edilizie;

   se con riferimento alla sentenza del Tar che ha annullato il decreto di scioglimento del Ministero, si intenda procedere all'impugnazione davanti al Consiglio di Stato.
(4-03819)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sentita la direzione generale competente, si rappresenta quanto segue.
  L'interrogante fa riferimento alla vicenda della Edilcoop Salentina Soc. Coop. a.r.l., società cooperativa edilizia per azioni, con sede legale in Lecce.
  Come correttamente ricorda l'interrogante, la società cooperativa è stata raggiunta da un provvedimento di scioglimento d'autorità ai sensi dell'articolo 2545 septiesdecies del codice civile, adottato in data 30 marzo 2018 dalla competente direzione generale del Ministero dello sviluppo economico.
  Il provvedimento di scioglimento della Edilcoop Salentina è stato adottato dal Ministero dello sviluppo economico sulla base delle risultanze di una ispezione straordinaria, dalla quale sono emerse gravi irregolarità, sia sotto il profilo mutualistico perseguito dalla cooperativa, sia sotto il profilo gestionale, affidato all'organo amministrativo dell'ente.
  Lo scioglimento è stato decretato al termine di un procedimento istruttorio avviato in contraddittorio con la società cooperativa, la quale ha presentato controdeduzioni che non sono state ritenute soddisfacenti, né atte ad inibire lo scioglimento.
  La cooperativa ha poi impugnato il provvedimento del Ministero dello sviluppo economico davanti al TAR Puglia, sezione di Lecce, il quale ha accolto l'impugnazione con decisione nella camera di consiglio del giorno 19 giugno 2019 (presidente Antonio Pasca), sentenza della sezione prima di Lecce n. 1365/2019, pubblicata il 29 luglio 2019.
  Al riguardo, si rappresenta che il Ministero dello sviluppo economico ha provveduto ad investire l'avvocatura generale dello Stato della richiesta di patrocinio, fornendo tutti gli opportuni elementi istruttori per la proposizione dell'impugnazione dinanzi al Consiglio di Stato.
  Quanto alla richiesta di informazioni formulata dall'interrogante sulle iniziative che si intendono intraprendere in relazione alle cooperative edilizie, si rappresenta quanto segue.
  In ottemperanza a quanto disposto con decreto legislativo 2 agosto 2002, n. 220, recante norme in materia di riordino della vigilanza sugli enti cooperativi, le cooperative edilizie non aderenti alle associazioni nazionali di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo sono sottoposte alla vigilanza del Ministero dello sviluppo economico, che la esercita mediante revisioni cooperative ordinarie ed ispezioni straordinarie disciplinate dallo stesso decreto legislativo.
  Le revisioni cooperative nei confronti degli enti cooperativi aderenti alle associazioni nazionali di rappresentanza sono effettuate dalle associazioni stesse, a mezzo di revisori da esse incaricati, ai sensi dell'articolo 2, comma 4 del citato decreto legislativo n. 220 del 2002.
  La revisione del Ministero dello sviluppo economico ha, di norma, cadenza biennale. Sono tuttavia assoggettate a revisione annuale le società cooperative edilizie di abitazione e i loro consorzi iscritti all'albo nazionale, come previsto agli articoli 13 e 15 della legge 31 gennaio 1992, n. 59 recante «Nuove norme in materia di società cooperative».
  Per quello che attiene alle ispezioni straordinarie, in ottemperanza al Titolo III del citato decreto legislativo n. 220 del 2002, il Ministero dello sviluppo economico dispone specifici programmi, che comprendono: accertamenti a campione, accertamenti sollecitati da esposti di soci o altri soggetti interessati, accertamenti determinati sulla base delle risultanze di apposita istruttoria d'ufficio avviata a seguito di esigenze di approfondimento derivanti dalle revisioni. Le esigenze di aggiornamento emergono infatti ogni criticità che possano far presumere che si tratti di enti cooperativi cosiddetti «spuri».
  Nell'anno corrente è stata avviata una campagna straordinaria nei confronti di gruppi di cooperative edilizie che presentano le seguenti potenziali criticità:

   presenza dei medesimi amministratori in più enti cooperativi aventi la finalità di fornire alloggi ai soci;

   mancata instaurazione dello scambio mutualistico in capo ai medesimi amministratori;

   eterodirezione e quindi assenza di autonomia organizzativa per le cooperative aderenti a consorzi, le quali, a queste condizioni, sono di fatto accomunabili ad imprese immobiliari e di costruzione. In molti casi, le cooperative che rientrano in questa fattispecie fanno capo ad amministratori non interessati all'acquisizione dell'alloggio.

  Parte delle citate attività ispettive straordinarie si sono concluse con provvedimento di scioglimento per assenza della natura mutualistica propria degli enti cooperativi. Alcune ispezioni sono tuttora in corso di svolgimento.
  Inoltre, si rappresenta che, presso la competente direzione generale del Ministero dello sviluppo economico, è operante il «Comitato per l'albo nazionale delle società cooperative edilizie di abitazione e dei loro consorzi», di cui all'articolo 13 della citata legge n. 59 del 1992.
  Infine, si rappresenta che il Ministero dello sviluppo economico ha avviato un proficuo dialogo con le associazioni di categoria che mira ad individuare soluzioni, anche normative, condivise, al fine di contrastare la falsa cooperazione e promuovere lo sviluppo delle cooperative su tutto il territorio nazionale.
  

Il Ministro dello sviluppo economico: Stefano Patuanelli.


   BAGNASCO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   dal 15 al 18 agosto 2019 circa 300 persone, tra dirigenti e militanti del Partito Radicale insieme all'Osservatorio delle Camere penali italiane, a diversi parlamentari, ai garanti delle persone private della libertà, hanno visitato 70 istituti penitenziari in 17 regioni;

   al 31 luglio 2019 i detenuti ristretti nelle carceri erano 60.254 per una capienza regolamentare di 50.480 e il personale di ogni livello ridotto nel suo organico;

   dall'inizio dell'anno nelle carceri italiane ci sono stati 29 suicidi;

   la delegazione che ha visitato il carcere di Ferrara il 31 agosto era composta da: Giovanni Archilletti, Tesoriere «Associazione Piero Capone Bologna», Maura Benvenuti, Partito Radicale, Silvia De Pasquale, Coordinamento «Associazione Piero Capone Bologna», Monica Mischiatti, Coordinamento «Associazione Piero Capone Bologna»;

   va rilevato che nel carcere di Ferrara:

    i detenuti presenti sono 369, ristretti nei 244 posti regolamentari;

    i detenuti lavoranti alle dipendenze dell'amministrazione sono 92;

    sono 85 i tossicodipendenti, mentre i casi psichiatrici sono 36; 19 detenuti sono in trattamento metadonico; 10 detenuti sono sieropositivi;

    29 ristretti sono in attesa del primo giudizio;

    gli agenti di polizia penitenziaria effettivamente in servizio sono 183 a fronte di una pianta organica che ne prevedrebbe 212 –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione descritta in premessa;

   quali iniziative intendano assumere affinché sia garantito il rispetto del terzo comma dell'articolo 27 della Costituzione;

   quali iniziative intenda adottare il Governo per riportare nella legalità costituzionale il carcere di Ferrara e per porre fine ai trattamenti disumani e degradanti ai quali sono oggigiorno sottoposti i detenuti;

   quali iniziative di competenza si intendano adottare per fronteggiare la gravissima situazione sanitaria;

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto sopra esposto se e in quale modo intendano intervenire al fine di garantire un adeguato livello di assistenza alla popolazione reclusa, in generale nelle carceri italiane e, in particolare, in quello di Ferrara;

   quali iniziative di competenza si intendano adottare per vigilare affinché venga garantito il diritto alla salute dei detenuti, considerata la presenza di un così alto numero di casi psichiatrici e di tossicodipendenti;

   se sia in funzione nelle carceri il servizio sanitario h24 e in che modo si intenda urgentemente far fronte ad eventuali gravi emergenze notturne.
(4-03682)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante, nel fare riferimento agli esiti della visita presso il carcere di Ferrara effettuata il 31 agosto 2019 da una delegazione dei Radicali italiani, da cui sono emerse una serie di criticità relative, in particolare, al sovraffollamento della popolazione detenuta ed alla scopertura degli organici di polizia penitenziaria, chiede di sapere se il Ministro della giustizia sia a conoscenza della situazione descritta, quali iniziative si intendano assumere affinché sia garantito il rispetto dell'articolo 27 della Costituzione, quali iniziative di competenza si intendano adottare per riportare nella legalità il carcere di Ferrara e porre fine ai trattamenti disumani e degradanti a cui sono sottoposti ogni giorno i detenuti, quali iniziative di competenza si intendano adottare per fronteggiare la grave situazione sanitaria, se ed in quale modo si intenda intervenire per garantire un adeguato livello di assistenza alla popolazione detenuta, quali iniziative si intendano assumere per vigilare affinché venga garantito il diritto alla salute dei detenuti, considerata la presenza di un così alto numero di detenuti psichiatrici o tossicodipendenti, quali iniziative si intendano adottare per migliorare il servizio sanitario h24 e in che modo si intenda far fronte ad eventuali gravi emergenze notturne.
  Va considerato in premessa che, alla data del 19 novembre 2019, presso la Casa circondariale di Ferrara risultano ristretti 378 detenuti rispetto a 244 posti disponibili, per una percentuale di affollamento pari al 156,6 per cento come tale superiore alla media del Paese che si attesta attorno al 128 per cento.
  Occorre innanzitutto chiarire che, pur a fronte del ridetto sovraffollamento, presso la struttura in argomento non si registra alcuna violazione dei parametri minimi stabiliti dalla Cedu, in quanto 5 detenuti risultano allocati in uno spazio compreso tra i 3 e i 4 metri quadrati, mentre i restanti 373 ristretti risultano avere a disposizione, nelle rispettive camere di pernottamento, uno spazio di vivibilità superiore ai 4 metri quadrati.
  Per quanto riguarda il consistente numero di detenuti stranieri (148 rispetto ai 230 italiani) va dato atto dell'azione che, in campo internazionale, il Ministero sta già conducendo al fine di favorirne il rimpatrio per l'espiazione del residuo pena nei rispettivi Paesi di origine, proseguendo i negoziati in essere, stipulando nuovi accordi e valorizzando altresì lo strumento dell'espulsione verso i paesi d'origine per quei detenuti la cui pena residua lo consenta.
  In particolare, è fermo proposito di questo Dicastero sviluppare e condurre in porto in temi ragionevoli i negoziati già in corso con molti Stati (Capoverde, Filippine, Tunisia, Vietnam, Cina), affinché, in linea con i risultati soddisfacenti già conseguiti nell'anno corrente (Argentina, Colombia, Kosovo, Mali, Libia, Niger, Nigeria, Taiwan, Paraguay) nuovi accordi vengano siglati anche nell'anno venturo e verranno aperti nuovi fronti di dialogo con Paesi come la Bolivia e Cuba.
  Nella medesima direzione deflattiva si iscrive la recente istituzione, presso il Ministero della giustizia, di un tavolo tecnico fra il Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria ed il Dipartimento per gli affari di giustizia con l'obiettivo di stimolare l'adozione e l'esecuzione di provvedimenti di espulsione dei detenuti stranieri
ex articolo 16, comma 5, decreto legislativo n. 286 del 1998 (Testo unico immigrazione) verso i Paesi d'origine, velocizzandone le procedure di identificazione all'atto dell'ingresso in carcere attraverso lo sviluppo di una sinergia virtuosa con gli uffici immigrazione delle questure, da un lato, ed i tribunali di sorveglianza, dall'altro, ciascuno per i profili di rispettiva competenza.
  Rientra fra gli intendimenti prioritari di questo Dicastero fronteggiare incisivamente il problema del sovraffollamento carcerario anche attraverso un serio e concreto rilancio dell'edilizia penitenziaria, puntando sia alla riqualificazione degli spazi esistenti, che all'incremento dei posti detentivi.
  Nel tracciare in questa sede un profilo delle più importanti linee di intervento, oltre a richiamare l'avvenuto completamento nel 2018, da parte del Mit, dei tre padiglioni detentivi da 200 posti ciascuno presso gli istituti penitenziari di Parma, Lecce e Trani, occorre dare atto dell'imminente ultimazione dei due padiglioni detentivi da 200 posti presso gli istituti penitenziari di Sulmona e Taranto e del nuovo padiglione in realizzazione presso la Casa di reclusione di Milano «Opera» per ulteriori n. 400 posti detentivi.
  Dei circa 3.500 posti attualmente risultanti inagibili, circa 1.000 sono già compresi nei procedimenti e negli interventi avviati con i finanziamenti del piano carceri e con la successiva rimodulazione deliberata dal Comitato paritetico per l'edilizia penitenziaria, curati dai competenti Provveditorati interregionali per le opere pubbliche del Mit.
  Sono in corso i procedimenti a cura del Mit, per la ricerca dell'area del nuovo istituto penitenziario di Savona e la progettazione e realizzazione di nuove strutture detentive, nonché a cura della Provincia autonoma di Bolzano, per il nuovo carcere della città, per un totale di circa 3.500 nuovi posti, che, sommati ai 51.500 sopracitati, porterebbero al raggiungimento di un realistico obiettivo di medio termine, entro il 2025, di circa 55.000 posti detentivi.
  Nel solco normativo tracciato dal cosiddetto decreto-legge semplificazione (decreto-legge, 14 dicembre 2018, n. 135, convertito con modificazioni dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12), si dovranno portare a compimento le riconversioni a uso penitenziario della ex Caserma «Battisti» di Bagnoli e della ex Caserma «Bixio» di Casale Monferrato, mentre è imminente il conferimento all'Amministrazione penitenziaria della caserma «Barbetti» di Grosseto e sono in corso gli studi di fattibilità per la riconversione della caserma «Capozzi» di Bari.
  Quanto alla dotazione organica della polizia penitenziaria, presso l'istituto in parola, le principali scoperture si registrano nel ruolo dei sovrintendenti compensate, almeno numericamente, dall'esubero nel ruolo degli agenti/assistenti.
  In ogni caso, al fine di un riequilibrio anche sul piano funzionale, con riferimento alla carenza dei sovrintendenti, va ricordato in questa sede che i vincitori del concorso interno a complessivi 2.851 posti proprio per la nomina alla qualifica di vice sovrintendente, al termine del corso di formazione, costituiranno un bacino significativo a cui attingere per colmare le diffuse scoperture che su tutto il territorio si registrano in questo profilo professionale.
  Si tratta di una misura che si innesta a pieno titolo nel più ampio alveo delle mirate politiche assunzionali perseguite da questo Ministero, anche nel comparto penitenziario.
  A tal riguardo ci si limita a evidenziare che è in atto il corso di formazione anche per i vincitori del concorso a 80 posti di vice commissario, mentre verranno completate le procedure concorsuali a complessivi 49 posti di ispettore superiore ed a complessivi 754 posti di allievo agente. Si provvederà, altresì, al completamento dell'assunzione straordinaria di 1.300 allievi agenti del Corpo di polizia penitenziaria — ai sensi dell'articolo 1, commi 382-383, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (legge di bilancio 2019) — anche mediante scorrimento delle graduatorie vigenti e verranno inoltre avviate, nei prossimi mesi, le procedure per la copertura dei posti di vice sovrintendenti conseguito all'incremento della dotazione organica previsto dall'articolo 44, comma 8, lettere
b) e b-bis), del decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 95 (di revisione dei ruoli delle forze di polizia), e alle vacanze disponibili dal 31 dicembre 2017 al 31 dicembre 2018.
  È altresì previsto un programma straordinario di assunzioni per i prossimi anni per un totale di 620 unità di polizia penitenziaria e di 150 unità del comparto funzioni centrali con un impegno di spesa di quasi sei milioni annui per il 2020 e per il 2021.
  In tale direzione, si confida realisticamente di poter disporre, a breve, di un ampio bacino di risorse umane a cui attingere per sanare le varie scoperture di cui risentono gli istituti di tutto il territorio e rispetto a cui saranno tenute in debita considerazione anche le esigenze della casa circondariale di Ferrara che, comunque, va ricordato, già nel mese di luglio 2019 ha fruito di un incremento di 9 unità.
  Sotto il profilo dell'assistenza sanitaria, presso l'istituto in argomento non si riscontra alcuna particolare criticità, essendo attivo un servizio di guardia medica continuativo nell'arco delle 24 ore.
  In termini più generali, occorre sottolineare che il potenziamento complessivo dell'assistenza sanitaria in contesto penitenziario, entro i limiti delle proprie competenze, riveste uno specifico rilievo nell'ambito delle linee programmatiche di questo Dicastero.
  Con specifico riguardo al segnalato incremento di problematiche di natura psicologica e psichiatrica in contesto carcerario, va dato atto che sono in corso progetti per incrementare o istituire nuove sezioni delle Atsm (Articolazioni per la tutela della salute mentale) presso varie strutture carcerarie del territorio.
  Inoltre, si fa presente che è intendimento di questa Amministrazione continuare a sviluppare la progettualità appena descritta, nonché proporre la riattivazione dei lavori del tavolo di consultazione permanente per la sanità penitenziaria presso la Conferenza unificata, per condividere con il Ministero della salute e le regioni la definizione di un regolamento organizzativo delle Articolazioni per la tutela della salute mentale con l'obiettivo di implementare l'assistenza psichiatrica negli istituti penitenziari, rendere omogenei i criteri di ammissione dei detenuti nelle Atsm e uniformare l'assistenza sul territorio nazionale.
  Proprio grazie alla necessaria sinergia con il servizio sanitario e con le regioni, si persegue l'obiettivo di ampliare e migliorare il servizio anche attraverso informazioni complete sullo stato di salute dei detenuti, un accesso veloce alle prestazioni sanitarie, un incremento dei reparti di medicina protetta
ex articolo del decreto-legge n. 187 del 1993 ed un rafforzamento del Piano nazionale di intervento per la prevenzione dei suicidi in carcere.
  A tal riguardo, per i profili di sua competenza, il Ministero della salute ha evidenziato che sono in corso i lavori del tavolo di consultazione permanente sull'attuazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° aprile 2008 e del Comitato paritetico per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari. In particolare, il suddetto Dicastero, ha rappresentato che il 15 gennaio 2019 si è svolta l'ultima riunione plenaria che ha tracciato un
focus sulle principali da sviluppare, individuandole nella revisione degli accordi Conferenza Stato-regioni e unificata, nel monitoraggio dei cambiamenti del settore e nella ripresa di un governo strategico della problematica gestione delle Rems che, giova ricordare, esulano dalla sfera di competenza di questo Dicastero, ai sensi del decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 211, convertito con modificazioni dalla legge 17 febbraio 2012, n. 9.
  Tali propositi si innestano a pieno titolo nel più ampio alveo delle coordinate operative che puntano ad un innalzamento complessivo della qualità della vita detentiva focalizzando particolare attenzione alla valorizzazione dei rapporti familiari e della genitorialità ed al miglioramento dell'offerta trattamentale, con specifico riguardo sia alle attività didattiche, che alle iniziative in campo lavorativo.
  Sotto il primo aspetto assumono particolare rilievo l'adozione di iniziative tese, fra l'altro, ad agevolare i colloqui dei detenuti con i familiari sia favorendone la prenotazione
on line sia soprattutto, a seguito dell'adozione della circolare del 30 gennaio 2019, attraverso l'impiego dell'applicativo Skype for business per i videocolloqui.
  Attualmente già in 122 istituti di reclusione su 190 risulta attivo e funzionante il sistema Skype — con il 64 per cento di copertura — così come in 12 su 17 tra Icam e asili nido — per una percentuale pari al 75 per cento.
  In parallelo è intendimento di questo Dicastero curare un
restyling logistico-strutturale attraverso l'allestimento e il miglioramento di spazi di accoglienza, animazione e supporto psicologico nelle strutture già esistenti.
  Sul piano trattamentale, occorre evidenziare che l'offerta didattica verrà potenziata e modernizzata sia grazie all'imminente rinnovo del protocollo d'intesa con il Miur, lungo un solco già tracciato dalla recente stipula, l'11 settembre 2019, del protocollo d'intesa con la Conferenza nazionale poli universitari (Cnupp) che prelude all'elaborazione di linee guida attraverso cui armonizzare i moduli di collaborazione fra atenei e mondo penitenziario, sia attraverso l'impiego del
web per sostenere gli esami a distanza ed espletare gli adempimenti burocratici funzionali e propedeutici.
  Ulteriore stimolo verrà impresso alle iniziative a carattere lavorativo, proseguendo nella diffusione del
format «Mi riscatto per...» ed estendendo la rete di contatti con il mondo imprenditoriale e delle cooperative così da ricreare, in contesto penitenziario, condizioni quanto più analoghe possibile al mercato del lavoro esterno e preparare al meglio i detenuti al re-ingresso nel tessuto produttivo all'atto della loro remissione in libertà.
  Il 14 ottobre 2019 il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha istituito un'innovativa articolazione centrale (denominata «Mi riscatto per il futuro») con il compito principale di agevolare l'incontro fra domanda ed offerta di lavoro in contesto detentivo, tra l'altro attraverso la costituzione ed implementazione di una banca dati costantemente aggiornata con le informazioni relative al profilo lavorativo-attitudinale dei soggetti ristretti così da incrementare sensibilmente le attività trattamentali a base lavorativa, favorendo per tale via il re-inserimento sociale.
  È fermo intendimento di questo Ministero valorizzare ed implementare in maniera significativa la funzionalità di tale struttura così da innalzare sensibilmente la percentuale dei detenuti lavoranti, che attualmente si attesta su una percentuale del 28 per cento passando attraverso un radicale rinnovamento dell'impostazione di sistema del lavoro penitenziario.
  Per tale via si potrà favorire la capillare diffusione di laboratori e progettualità negli istituti di tutto il territorio e la realizzazione di cicli produttivi in cui coinvolgere stabilmente la popolazione detentiva così da assicurarle percorsi formativi e professionali qualificanti, agevolmente spendibili nei vari rami produttivi del mondo del lavoro, in tal modo facilitando sensibilmente il percorso di recupero e reinserimento sociale.
  È del tutto ragionevole ritenere, in conclusione, che i propositi operativi sin qui sintetizzati impatteranno favorevolmente sulle condizioni e sulla qualità della vita detentiva in maniera trasversale su tutti gli istituti penitenziari tra cui, evidentemente, anche quello di Ferrara.
  

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   CIABURRO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   il 2° reggimento Alpini, reparto scelto dell'Esercito Italiano, fu costituito il 1° novembre 1882 a Bra (Cn) e durante la sua lunga storia ha difeso con valore la nostra Nazione nelle più importanti battaglie del secolo scorso. Questo reparto si è meritato la prima decorazione, in assoluto, al Valore ad un reparto alpino, non per un atto di guerra ma per un atto di solidarietà umana nei confronti della popolazione civile, la notte del 19 agosto 1883, quando il battaglione Alpini «Val Stura» del 2° reggimento Alpini accorse tempestivamente a spegnere un furioso incendio sviluppatosi nell'abitato di Bersezio (Cn). Anche nel nuovo millennio questo corpo scelto è stato impegnato in importanti missioni all'interno dei confini nazionali, per esempio nelle operazioni «Domino» (2004), «Strade Sicure» a Roma (2011), in Val di Susa (2011-2012), fino a quella odierna, nelle quali ha protetto e sta proteggendo i cittadini con senso del dovere e lealtà;

   la caserma Ignazio Vian-San Rocco Castagnaretta (Cn), dove è stanziato il 2° reggimento Alpini, vive da molti anni una situazione di particolare disagio. La struttura dove i circa 700 alpini vivono, lavorano e si addestrano presenta, infatti, gravi carenze strutturali dovute a circa sei anni di infiltrazioni continue che hanno causato ingenti danni sia all'esterno che all'interno dell'edificio, oltre ad aver obbligato la chiusura per motivi di sicurezza, non solo di molti uffici, ma anche della cappella della caserma. Tale disagio è stato provocato dai lavori per l'installazione di un impianto fotovoltaico avvenuti nel 2013, in seguito alla convenzione fra il Ministero della difesa e la società Difesa servizi spa, nell'ambito della mission riguardante la valorizzazione ambientale di strutture militari ai fini della produzione di energia derivante da fonti rinnovabili. Secondo una stima calcolata dal Genio militare nel 2015, l'ammontare dei danni infrastrutturali raggiungerebbe la cifra di 250.000 euro. In questi sei anni, in seguito a numerose sollecitazioni, sono stati eseguiti, da parte dei proprietari dell'impianto, numerosi interventi per cercare di porre rimedio alle infiltrazioni sopracitate, che però non hanno portato alla risoluzione definitiva della problematica;

   con una riunione del mese di settembre del 2018 fra la Difesa servizi spa e le Forze armate si è trovato l'accordo per la sostituzione del tetto e il rifacimento della copertura, tramite anche un ingente contributo dello stesso Genio militare, ma allo stato attuale ancora nulla di concreto è stato fatto per la definitiva messa in sicurezza della struttura –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle condizioni della caserma Ignazio Vian-San Rocco in Castagnetta (Cn) e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare al fine di agevolare ed accelerare i lavori di messa in sicurezza, in modo tale che si possa giungere in tempi brevi a un definitivo e risolutivo ripristino dell'intera struttura.
(4-02837)

  Risposta. — In forza della convenzione stipulata con la direzione dei lavori e del demanio del Ministero della difesa il 7 luglio 2011, Difesa Servizi ha ricevuto in consegna alcuni siti a terra e lastrici solari di caserme da valorizzare mediante l'installazione di impianti fotovoltaici.
  Difesa Servizi, quindi, ha indetto una procedura ad evidenza pubblica per selezionare gli operatori economici affidatari dei sedimi e dei lastrici in questione.
  Nel caso di specie, in data 6 marzo 2013 è stato sottoscritto il contratto con la Società ABC Investimenti s.r.l. per l'installazione di pannelli fotovoltaici sui lastrici solari della caserma Vian di Cuneo, impianto entrato in esercizio il 6 luglio 2013.
  Nel corso del periodo di affidamento in uso sono pervenute segnalazioni da parte del 2° Reggimento Alpini con sede presso la caserma Vian, relative ad infiltrazioni di acqua dai tetti interessati dall'installazione dell'impianto fotovoltaico.
  A seguito di ciò, Difesa Servizi ha provveduto a richiedere, in forza del citato contratto sottoscritto il 6 marzo 2013, il ripristino della piena funzionalità dei tetti alla Società ABC Investimenti, affidataria dell'impianto.
  Quest'ultima ha provveduto con numerosi interventi per il ripristino delle coperture senza, tuttavia, risolvere definitivamente il problema.
  Sebbene tali interventi siano stati effettuati con tempestività, fenomeni atmosferici conosciuti e di portata eccezionale (tra cui una tromba d'aria di straordinaria intensità in data 6 marzo 2017) hanno notevolmente aggravato la condizione dei lastrici solari.
  Pertanto, la ditta ABC Investimenti ha studiato ed individuato alcune soluzioni tecniche delle quali una finalizzata alla risoluzione definitiva del problema che è stata già condivisa dal 1° reparto infrastrutture di Torino, quale ente tecnico competente per area geografica.
  Tale soluzione prevede l'integrale sostituzione di tutte le travature lignee orizzontali di secondo ordine del tetto, previa rimozione e successivo riposizionamento di tutto l'impianto fotovoltaico. La ditta nello scorso mese di ottobre ha aperto il cantiere delle opere, la cui durata è stata stimata in 180 giorni.

Il Ministro della difesa: Lorenzo Guerini.


   CIRIELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   continua ad aggravarsi la carenza di personale presso il tribunale ordinario di Vallo della Lucania ed è di pochi giorni fa la notizia che il presidente del tribunale ha disposto con decreto n. 63 una variazione tabellare urgente e assegnato nuove e ulteriori funzioni ai giudici;

   si tratta di un'emergenza che andrebbe al più presto ripianata, in quanto a causa della carenza di organico i magistrati in servizio sono costretti a svolgere funzioni straordinarie rispetto a quelle che già esercitano con conseguente carico dei ruoli di udienza a loro assegnati;

   nel dettaglio, per quattro magistrati sono stati deliberati i trasferimenti e due sono in aspettativa anticipata da lavoro per gravidanza e, per tale ragione, a partire dal mese di novembre 2019, si legge, nel provvedimento «è necessario far fronte alla situazione prevedendo la copertura dei ruoli più delicati, non potendosi per il momento fare affidamento su trasferimenti e applicazioni future...»;

   le maggiori conseguenze di tale situazione sono rappresentate dall'inevitabile ritardo della trattazione e nella conclusione dei processi e dal congelamento dei ruoli civili non coperti, attesa l'impossibilità di provvedere diversamente alla loro copertura mediante gli istituti di supplenza interna;

   in tal modo, si prospetterebbe una inversione di marcia rispetto alle politiche legislative sino ad oggi avanzate dal Governo tese a snellire il carico processuale e a ridurre i tempi di definizione dei procedimenti giudiziari;

   siffatta decisione ha provocato una forte indignazione tra i cittadini, e in particolare tra gli avvocati, che unitamente ai magistrati del tribunale di Vallo della Lucania, sono i primi a subire le conseguenze di quanto si sta verificando;

   tale accaduto, infatti, lungi dall'assicurare la giustizia in tempi celeri e ragionevoli, comporta non solo una grave dilatazione dei tempi processuali ma anche un dispendio di costi e notevoli disagi per tutti i cittadini;

   a parere dell'interrogante, quindi, sarebbe opportuno intervenire al fine di risolvere la grave crisi del sistema giudiziario, in genere, affossato dalla miriade di cause pendenti e dalla carenza di organico e, in particolare, del tribunale di Vallo della Lucania, anche mediante nuove procedure concorsuali –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative di competenza intenda adottare per assicurare la piena funzionalità degli uffici del tribunale di Vallo della Lucania e per incrementare gli organici della magistratura ed evitare future situazioni come quella sopradescritta.
(4-04104)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si chiede di sapere quali impegni il Ministero della giustizia intenderà adottare per far fronte alle gravi carenze di organico di magistratura del tribunale di Vallo della Lucania.
  Al riguardo preme evidenziare che l'efficientamento del servizio giustizia rappresenta un obiettivo a cui si sta lavorando da tempo, puntando oltre che sul piano normativo, anche su quello degli organici, proprio per far fronte alle criticità di personale di cui risentono gli uffici giudiziari sul territorio, come quello di Vallo della Lucania.

  Tuttavia, va anche precisato che, per quanto riguarda la distribuzione degli affari e l'organizzazione interna agli uffici giudiziari, trattasi di materia tabellare devoluta alle valutazioni del Csm e dei capi degli uffici.
  Per quanto riguarda, invece, le dotazioni organiche, in data 1° dicembre 2016 è stato emesso il decreto ministeriale recante la determinazione delle piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, a seguito della revisione delle circoscrizioni giudiziarie di cui ai decreti legislativi n. 155-156 del 2012. E la ridefinizione delle piante organiche dei singoli uffici è stata parametrata alla nuova geografia giudiziaria dopo una lunga attività preparatoria e di raccolta dei dati conferenti, portata avanti anche con il contributo del Consiglio superiore della magistratura.
  Peraltro, la revisione della pianta organica del personale di magistratura non è pensata come una cristallizzazione definitiva delle scelte adottate, bensì come un dinamico ripensamento dei modelli organizzativi di funzionamento degli uffici; ed in quest'ottica il Ministero presta ascolto e rileva le proposte emergenti di eventuali rettifiche o integrazioni, comunque sempre da svilupparsi entro una logica di sistema e, in data 27 febbraio 2019, ha costituito uno specifico tavolo di lavoro per la definizione delle dotazioni organiche in relazione agli uffici giudiziari di primo e secondo grado.
  Con specifico riferimento all'ufficio giudiziario in questione, si evidenzia che con il decreto ministeriale 28 marzo 2019, pubblicato nel Bollettino ufficiale del Ministero della giustizia n. 9 del 15 maggio 2019, la pianta organica del personale di magistratura dei tribunali di Ravenna, di Tempio Pausania e di Vallo della Lucania è stata ampliata in ragione di un posto di presidente di sezione ed è stata, contestualmente, ridotta in ragione di un posto di giudice, sulla scorta di specifiche richieste inoltrate dai presidenti dei tribunali per un assetto funzionale e organizzativo degli uffici maggiormente rispondente alle rispettive esigenze operative.
  Si fa presente, inoltre, che l'articolo 1, comma 379, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021», ha disposto l'incremento di 600 unità del ruolo organico del personale di magistratura ordinaria, di cui 530 attribuibili agli uffici giudiziari diversi da quelli di legittimità, e previsto la conseguente rideterminazione delle piante organiche degli uffici.
  Tale procedura di revisione risulta già avviata, a cominciare dall'incremento della pianta organica del personale di magistratura degli uffici di legittimità di 70 posti complessivi.

  Si tratta probabilmente di un incremento senza precedenti che segna una svolta reale per il ripristino dello stato di salute degli uffici giudiziari di tutto il territorio, soprattutto di quelli periferici.
  Questa dimensione innovativa, in cui è allo studio anche l'istituzione di una quota di piante organiche flessibili distrettuali di magistrati da destinare in supporto alle sedi di ogni singolo distretto gravate da sacche di arretrato o situazioni eccezionali e contingenti, reca in dote un consistente serbatoio di risorse che consentirà di rivedere e potenziare tutte le piante organiche degli uffici in sofferenza, tra le quali, evidentemente, sarà tenuta in debita considerazione anche quella di Vallo della Lucania.
  Da ultimo, si aggiunge per completezza che un'attività di rinforzo è in atto anche con riferimento alla magistratura onoraria, essendo in corso di definizione gli adempimenti connessi alla distribuzione tra gli uffici territoriali della dotazione organica nazionale di complessive 8.000 unità, tra Giudici di pace e vice procuratori onorari.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   DONNO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   l'occupazione abusiva degli immobili costituisce da tempo una delle principali problematiche che affliggono i grandi centri urbani del Paese, conseguenza a volte della difficoltà di porre in essere politiche territoriali, urbanistiche e sociali, finalizzate alla riqualificazione delle aree periferiche e alla riduzione dei fattori di marginalità sociale. Il tema, come noto, è stato affrontato, sotto il profilo della tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, dal decreto-legge n. 14 del 2017, convertito, con modificazioni, nella legge n. 48 del 2017, che ha introdotto alcune significative innovazioni volte al superamento del fenomeno, in un'ottica di miglioramento delle condizioni di vivibilità delle città e di prevenzione delle situazioni di degrado e di condotte illecite;

   l'articolo del decreto-legge n. 14 del 2017 prevede che al fine di assicurare il concorso della forza pubblica per l'esecuzione dei provvedimenti di sgombero, il prefetto individui una scala di priorità che tenga conto della «tutela delle famiglie in situazioni di disagio economico o sociale»;

   con la circolare del 1° settembre 2018 del Ministero dell'interno, concernente disposizioni relative all'occupazione arbitraria di immobili, si rimanda ai prefetti, nell'ambito delle proprie competenze, attraverso l'istituzione del comitato per la sicurezza per organizzare le operazioni di sgombero, l'attuazione di un piano sociale per censire e identificare gli occupanti e la composizione dei nuclei familiari, con particolare riguardo alla presenza all'interno degli stessi di minori o altre persone in condizioni di fragilità, oltre alla verifica della situazione reddituale, e della condizione di regolarità di accesso e permanenza sul territorio nazionale e all'adozione di iniziative di esecuzione di sgomberi resi necessari da altre situazioni di rilievo, come le precarie condizioni di sicurezza degli immobili, che potrebbero emergere a seguito delle ordinanze contingibili e urgenti adottate dal sindaco;

   a seguito di indagini condotte dalla Guardia di finanza di Lecce nel 2018, sono emerse responsabilità importanti di politici, amministratori, dirigenti e funzionari del comune dello stesso capoluogo di provincia salentino per l'assegnazione illecita di alloggi popolari in cambio di voti;

   dai dati pervenuti dall'ente gestore Arca Sud, in data 10 luglio 2019 a seguito dell'esplicita richiesta di accesso agli atti, sono emersi che ad oggi sussistono 323 pratiche di decadenza relative alle case popolari in provincia di Lecce che attendono ancora di essere evase e che interessano nello specifico i comuni di Lecce, Nardo, Gallipoli, Copertino, Galatina, Squinzano, Maglie e Tricase;

   da quanto emerso dalle dichiarazioni in tribunale dallo stesso direttore di Arca Sud, Sandra Zappatore, resiste un meccanismo ormai consolidato, per imposizione dei politici sotto inchiesta, concernente il blocco degli sgomberi (fonte Nuovo Quotidiano di Puglia) –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto;

   quali urgenti iniziative intenda adottare affinché, per il tramite del prefetto, si completi l’iter riguardante lo sgombero delle case popolari in questione per permettere, al contempo, una immediata riassegnazione degli stessi immobili ai cittadini bisognosi;

   se non ritenga necessario e urgente promuovere, per quanto di competenza, un monitoraggio delle procedure di sgombero nelle altre province italiane, per garantire l'accesso agli alloggi popolari agli effettivi aventi diritto.
(4-03468)


   DONNO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   così come già segnalato in data 31 luglio 2019 con l'interrogazione n. 4-03468, l'occupazione abusiva degli immobili costituisce da tempo una delle principali problematiche che affliggono i grandi centri urbani del Paese, conseguenza a volte della difficoltà di porre in essere politiche territoriali, urbanistiche e sociali, finalizzate alla riqualificazione delle aree periferiche e alla riduzione dei fattori di marginalità sociale. Il tema, come noto, è stato affrontato, sotto il profilo della tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, dal decreto-legge n. 14 del 2017, convertito, con modificazioni, nella legge n. 48 del 2017, che ha introdotto alcune significative innovazioni volte al superamento del fenomeno, in un'ottica di miglioramento delle condizioni di vivibilità delle città e di prevenzione delle situazioni di degrado e di condotte illecite;

   l'articolo 11 del decreto-legge n. 14 del 2017 prevede che, al fine di assicurare il concorso detta forza pubblica per l'esecuzione dei provvedimenti di sgombero, il prefetto individui una scala di priorità che tenga conto della «tutela delle famiglie in situazioni di disagio economico o sociale»;

   con la circolare del 1° settembre 2018 del Ministero dell'interno, concernente disposizioni relative all'occupazione arbitraria di immobili, si domanda ai prefetti, nell'ambito delle loro competenze, attraverso l'istituzione del comitato per la sicurezza per organizzare le operazioni di sgombero, l'attuazione di un piano sociale per censire e identificare gli occupanti e la composizione dei nuclei familiari, con particolare riguardo alla presenza all'interno degli stessi di minori o altre persone in condizioni di fragilità, oltre alla verifica della situazione reddituale e della condizione di regolarità di accesso e permanenza sul territorio nazionale; si affida agli stessi il compito di adottare iniziative per l'esecuzione di sgomberi resi necessari da altre situazioni di rilievo, come le precarie condizioni di sicurezza degli immobili, che potrebbero emergere a seguito delle ordinanze contingibili e urgenti adottate dal sindaco;

   a seguito di indagini condotte dalla Guardia di finanza di Lecce nel 2018, sono emerse responsabilità importanti di politici, dirigenti e funzionari del comune dello stesso capoluogo di provincia salentino per l'assegnazione illecita di alloggi popolari in cambio di voti;

   dai dati pervenuti dall'ente gestore Arca Sud, in data 10 luglio 2019, a seguito dell'esplicita richiesta di accesso agli atti, è emerso che, ad oggi, sussistono 323 pratiche di decadenza relative alle case popolari che attendono ancora di essere evase e 405 casi di occupazioni abusive in provincia di Lecce e che interessano nello specifico, fra gli altri, i comuni di Lecce, Nardo, Gallipoli, Copertino, Galatina, Squinzano, Maglie e Tricase;

   da quanto emerso dalle dichiarazioni in tribunale dallo stesso direttore di Arca Sud, Sandra Zappatore, esiste un meccanismo ormai consolidato, per imposizione dei politici sotto inchiesta, concernente il blocco degli sgomberi –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;

   quali urgenti iniziative di competenza intenda adottare affinché i prefetti completino l’iter riguardante lo sgombero delle case popolari in questione per permettere, al contempo, una immediata riassegnazione degli stessi immobili ai cittadini bisognosi.
(4-03755)

  Risposta. — Come ricordato nelle interrogazioni, il decreto-legge 20 febbraio 2017 n. 14, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 aprile 2017 n. 48, ha introdotto alcune significative misure volte al superamento del fenomeno dell'occupazione abusiva degli immobili, in un'ottica di miglioramento delle condizioni di vivibilità delle città e di prevenzione delle situazioni di degrado e di condotte illecite.
  La disciplina, in materia è stata ulteriormente innovata con il decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132, che ha inasprito il quadro sanzionatorio in materia.
  Ulteriore, significativa novella ha riguardato l'articolo 11 del decreto-legge n. 14 del 2017, che è stato sensibilmente modificato quanto alle competenze del Prefetto, sia nello scongiurare nuove occupazioni sia nel procedere all'esecuzione delle ordinanze di rilascio emesse dall'autorità giudiziaria.
  Per quanto riguarda l'attività di prevenzione, con direttiva del Ministro, dell'interno del 19 dicembre 2018, è stata disposta una ricognizione di tutte le situazioni di abbandono degli immobili che possono costituire motivo di preoccupazione, sia sul piano dell'ordine e della sicurezza, sia su quello della tutela della pubblica e privata incolumità e delle condizioni igienico-sanitarie delle aree interessate. I prefetti sono stati, quindi, invitati a sottoporre gli esiti del monitoraggio all'attenzione del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, al fine di individuare le misure necessarie, in relazione al contesto locale, per prevenire le occupazioni di immobili abbandonati.
  Per quanto concerne l'analisi delle occupazioni in atto a livello provinciale, è stato dato mandato ai prefetti di svolgere un'attività di ricognizione e monitoraggio i cui esiti sono comunicati al Ministero dell'interno con cadenza trimestrale.
  Dai dati al momento, disponibili, risulta che in 31 province il fenomeno non è presente o non assume una connotazione particolarmente critica o problematica; in 26 province il dato rilevato è inferiore o di poco superiore alle 10 unità immobiliari occupate; mentre le situazioni di occupazione più significative si registrano in alcune grandi città come Roma, Milano, Napoli, Bologna e Firenze.
  Per quanto riguarda, in particolare, il fenomeno delle occupazioni abusive nella provincia di Lecce – cui si fa riferimento nell'interrogazione – l'azione della locale Prefettura si è sviluppata lungo le due direttrici sopracitate: la prevenzione di nuove occupazioni e l'esecuzione degli sgomberi.
  La prima attività ha coinvolto i vertici delle Forze di polizia e gli amministratori dei comuni di maggiori dimensioni (Lecce, Casarano, Copertino, Galatina, Gallipoli e Nardò) e di quelli commissariati ai sensi dell'articolo 143 del Tuel, nell'individuazione delle misure più adeguate volte a prevenire le occupazioni di immobili abbandonati.
  Nell'ottica, inoltre, di un più organico coinvolgimento della polizia locale nelle attività di presidio delle aree in cui insistono gli immobili in questione, sono state condivise con gli enti locali e Arca Sud Salento (ente gestore degli immobili di edilizia residenziale pubblica) le direttive per rendere l'azione di prevenzione maggiormente efficace sul territorio.
  Nel caso di beni immobili di proprietà privata, gli amministratori sono stati invitati a prescrivere ai proprietari le iniziative necessarie (messa in sicurezza, installazione di sistemi di difesa passiva, vigilanza privata o altri mezzi) da attuare entro un congruo termine, scaduto il quale i Sindaci dovranno adottare apposite ordinanze ai sensi degli articoli 50 e 54 del Tuel.
  Gli stessi responsabili delle amministrazioni locali sono stati invitati alla pianificazione degli interventi di riqualificazione urbana e sociale, da realizzare anche attraverso i finanziamenti europei inseriti nella programmazione regionale, promuovendo contestualmente, d'intesa con Arca Sud Salento, la tempestiva messa a disposizione degli alloggi già suscettibili di assegnazione.
  Per l'esecuzione delle ordinanze di rilascio emesse dall'Autorità giudiziaria, la Prefettura di Lecce, sulla base dell’
iter definito dal predetto articolo 11 del decreto-legge n. 14 del 2017, ha portato all'attenzione del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica i casi in cui l'attività di sgombero rendesse necessario il supporto della forza pubblica.
  In tali fattispecie, alla presenza di documentate situazioni di fragilità, per le quali i soggetti interessati non siano stati in grado di reperire autonomamente una sistemazione alloggiativa alternativa, il prefetto di Lecce ha riferito di aver convocato l'apposita cabina di regia per l'individuazione delle strategie a supporto.
  Il Prefetto ha precisato inoltre che, allo stato attuale, non sussistono ulteriori richieste di sgombero e che, in alcuni casi, è stato ottenuto anche il rilascio spontaneo dell'immobile da parte degli occupanti.
  Inoltre, in sede di comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, è stato approfondito il prospetto complessivo delle occupazioni illegittime predisposto da Arca Sud Salento, riferito a tutta la provincia, mentre il Prefetto è ora in attesa di analogo prospetto per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica del comune di Lecce.
  In tale sede è stato concordato un piano di priorità per differenziare, nell'ambito delle occupazioni
sine titulo, le occupazioni per le quali il titolo sia venuto meno per cause di decadenza o morosità da quelle abusive a titolo originario (come avviene nell'ipotesi in cui l'occupante si sia introdotto fraudolentemente nell'alloggio).
  Alla luce dei criteri e dei riscontri effettuati, la Prefettura sta programmando l'intervento della forza pubblica nell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, secondo una calendarizzazione che tiene conto delle eventuali situazioni di fragilità documentate.
  Infine, per quanto riguarda le indagini menzionate nell'interrogazione in materia di assegnazione indebita di alloggi popolari in cambio di voti, si rappresenta che, le investigazioni svolte dalla guardia di finanza di Lecce nel 2018 hanno dimostrato la connivenza, di alcuni amministratori pubblici con soggetti affiliati alla criminalità organizzata.
  Complessivamente, sono state denunciate all'autorità giudiziaria 48 persone, (di cui 16 appartenenti all'amministrazione comunale di Lecce) per i reati di abuso d'ufficio, peculato, falso in atto pubblico, corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio e corruzione elettorale.
  All'esito della predetta attività di indagine, in data 7 settembre 2018, è stata eseguita un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 7 persone, sono stati notificati 2 provvedimenti concernenti l'obbligo di dimora e 5 provvedimenti inerenti all'interdizione temporanea dai pubblici uffici.
  

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Vito Claudio Crimi.


   ERMELLINO, IORIO e ROBERTO ROSSINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   la direzione generale del personale civile ha divulgato una nuova circolare sul tema relativo ai benefici derivanti da supervalutazione di periodi di servizio in lavori insalubri e polverifici. Imbarchi ai sensi degli articoli 19 e 25 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, già lungamente dibattuto con il precedente vertice politico del dicastero della difesa senza giungere ad alcun esito;

   la circolare de quo rileva la mancata valorizzazione delle peculiari attività poste in essere dal Ministero della difesa; più in particolare, minimizza le caratteristiche d'impiego del personale civile con riferimento alle attività effettuate soprattutto nel pregresso, dettando una nuova linea interpretativa che, negando il riconoscimento dei diritti acquisiti e già iscritti a matricola di centinaia di dipendenti, ne ha improvvisamente impedito il collocamento in quiescenza;

   è innegabile che la natura retroattiva del provvedimento stia recando forte pregiudizio ai lavoratori in termini di riconoscimento dei privilegi in parola, portando all'annullamento, in molti casi, dei decreti di pensione già emessi e ponendo a carico degli stessi lavoratori addirittura l'onere di provare di aver diritto ai benefici previsti dalle norme vigenti;

   la realtà dei fatti evidenzia e fa emergere una situazione molto critica dimostrando che i vari enti, allorquando colpiti dai vari provvedimenti di riordino, chiusura e accorpamento non hanno curato e conservato in maniera diligente i fascicoli personali e le certificazioni del tempo di lavoro effettuato dai dipendenti negli ambienti insalubri e/o nei polverifici, oltre a non segnalare per tempo quanto previsto dalle norme vigenti;

   l'inosservanza delle procedure relative alla conservazione della documentazione probante, la cui responsabilità non può non ricadere interamente sull'Amministrazione, unitamente ai contrastanti interventi prodotti sull'argomento che non permettono di definire con chiarezza una tematica così delicata e sentita dal personale civile, è prodromica ad una situazione di disagio tra i lavoratori che senza dubbio inficia i rapporti di dipendenza con ovvie ricadute sull'intero sistema;

   da notizie di stampa si apprende che il Ministero per i beni e le attività culturali ha compiuto un passo avanti nel riconoscimento dei benefici pensionistici al personale che è risultato esposto alle sostanze insalubri così come previsto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973, rivendicando i periodi interessati dal beneficio anche se non in possesso del libretto di rischio. Più in particolare, le condizioni elencate nella circolare riferiscono esclusivamente all'onere di provare l'effettiva esposizione alle sostanze insalubri contenute nel famoso decreto luogotenenziale n. 110 del 1919, in virtù della specifica condizione professionale con i riferimenti agli enti nei quali si è prestato servizio –:

   se il Governo sia a conoscenza delle criticità riportate in premessa e quali iniziative intenda porre in essere per individuare una soluzione accettabile e definire al meglio il contesto giuridico nel quale modificare la norma, superando l'imbarazzo istituzionale derivante da quello che appare all'interrogante un intransigente atteggiamento di chiusura amministrativo;

   se il Governo intenda avviare iniziative atte all'organizzazione di appositi tavoli tecnici con lo scopo di individuare soluzioni interpretative ed amministrative a beneficio del personale dipendente – come fatto dal Ministero per i beni e le attività culturali – che vive un problema analogo ma affrontato con una visione amministrativa diametralmente opposta.
(4-03232)

  Risposta. — Con la circolare citata nell'atto, la direzione generale per il personale civile ha fornito chiarimenti, a normativa vigente, in merito all'estensione di alcuni benefici pensionistici oggetto dell'interrogazione in argomento, ribadendo l'imprescindibilità della compresenza del requisito (soggettivo) di appartenenza alla categoria (ex) operaia previsto dall'articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973 e del requisito (oggettivo) di «effettività dell'impiego nel polverificio o nelle lavorazioni insalubri», di cui al decreto legislativo n. 1100 del 1919, non essendo sufficiente l'appartenenza ad un profilo tecnico manuale (ex-operaio), che potenzialmente e in astratto potrebbe prevedere quella lavorazione.
  Tanto premesso, la circolare in parola, ispirandosi alla consolidata e univoca giurisprudenza, nell'affermare l'imprescindibilità dei requisiti di legge, non ha disposto alcun annullamento diretto e automatico di trascrizioni matricolari, ma ha disposto la verifica di quei periodi pregressi che avrebbero potuto non soddisfare il requisito di legge.
  La stessa ha, inoltre, riorganizzato gli assetti procedurali, abrogando le pregresse circolari riguardanti modalità desuete e anacronistiche di trascrizioni matricolari non più rispondenti alle attribuzioni degli Enti di impiego datori di lavoro dei dipendenti.
  Inoltre, l'attuale restrittivo contesto normativo in materia pensionistica impone la necessità che il riconoscimento del beneficio in questione (supervalutazione fino a cinque anni) trovi il presupposto su specifiche disposizioni normative, al fine di evitare, peraltro con ingiustificati oneri economici, sperequazioni tra il personale civile della Difesa.
  Per ciò che concerne «l'inosservanza delle procedure relative alla conservazione della documentazione probante» da parte degli enti, la competente direzione generale del personale civile – per quanto di competenza – ha chiarito sul proprio sito web (sezione «Domande più frequenti»), attraverso mirate indicazioni, che, nel caso di riconoscimenti «ora per allora» per i quali sia necessario accertare la effettività delle lavorazioni pregresse, l'accoglimento possa avvenire sulla base di informazioni documentali desunte dagli atti in possesso degli enti o dal fascicolo personale; nei casi dubbi è la stessa direzione generale a fornire il supporto ricognitorio del fascicolo personale dalla stessa detenuto.
  Al riguardo, si rappresenta che la Difesa ha in corso, da tempo, alcuni tavoli tecnici sull'argomento, anche al fine di individuare, di concerto con le altre Amministrazioni interessate, possibili soluzioni anche da un punto di vista normativo.

  Infine, in merito ad una circolare richiamata dagli interroganti, si segnala che in data 11 febbraio 2019 il Ministero dei beni e delle attività culturali ha sostenuto l'applicabilità dell'articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 1092 del 1973 nei confronti di tutto il personale effettivamente adibito all'esecuzione di lavori insalubri, a prescindere dal profilo professionale del dipendente. Al riguardo va sottolineato che la circolare del Ministero dei beni e delle attività culturali interviene in un contesto diverso, in cui l'esigenza era quella di riconoscere il beneficio a dipendenti in possesso di profili tecnici (litografi, restauratori) istituzionalmente impiegati nell'esecuzione di lavorazioni insalubri.
  

Il Ministro della difesa: Lorenzo Guerini.


   FARO, TROIANO, CARLA GIULIANO, MENGA, SCAGLIUSI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la strada statale 693 dei laghi di Lesina e Varano (SS 693), meglio nota come strada a scorrimento veloce (Ssv) del Gargano è un'importante strada statale che si presenta a una corsia per senso di marcia affiancata da banchine transitabili, sprovvista di intersezioni a raso e con qualche accesso privato. Dal 13 maggio 2005, la strada a scorrimento veloce del Gargano è stata classificata come strada statale 693 dei Laghi di Lesina e Varano e la sua lunghezza è stata calcolata in 60,400 chilometri. È la più fluida arteria stradale di penetrazione nel territorio del Gargano, collegando la rete autostradale italiana alle località settentrionali del promontorio, terminando nei pressi di Vico del Gargano. La strada si snoda essenzialmente lungo l'asse ovest-est. Proprio l'idea alla base della costruzione della Ssv del Gargano era quella di creare una congiunzione ad anello da San Severo a Foggia avendo come punto estremo orientale Vieste. In tal senso, bisogna osservare che di questo anello la SS 693 rappresenta il primo tratto, e l'ammodernamento della SS 89 tra Foggia e Manfredonia e la costruzione in tempi recenti della strada statale 688 di Mattinata fino a Mattinatella ne rappresentano la parte conclusiva. Il collegamento quindi tra Vico del Gargano, Peschici, Vieste e Mattinata risulta garantito solo dalla già citata SS 89 o dalle strade provinciali litoranee (SP 52 Vieste-Peschici, SP 53 Vieste-Mattinata), entrambe molto tortuose e che costringono all'attraversamento di Vieste. L'importanza della SS 693 ovviamente aumenta nel periodo estivo quando i centri costieri del Gargano diventano meta di numerosi turisti;

   il nord del Gargano è una area ad alta concentrazione turistica con record di presenze negli ultimi anni, in particolare nell'area compresa tra Peschici e Vieste. Infatti, secondo i dati della regione Puglia, in quell'area della regione Puglia si registrano circa 5.000.000 di presenze turistiche durante l'intera stagione turistica, tanto da rendersi necessario un miglioramento della rete stradale dei piccoli centri del Gargano. Inoltre, l'elevata presenza di turisti nei mesi caldi dell'anno rende necessario mettere in sicurezza le strade del Gargano attraverso il completamento della strada statale 693, al fine di decongestionare il traffico all'interno dei centri abitati che ad oggi sono fondamentale elemento di contatto tra la strada statale 693 e la SS89. Sul punto giova evidenziare che negli ultimi anni si è registrato un trend in aumento dei sinistri stradali proprio sulla SS. 693, infatti, si è passati dai 14 sinistri del 2017 ai 22 del 2018, mentre per quanto riguarda il 2019 solo nel primo semestre già si sono registrati 4 sinistri in un periodo di bassa affluenza della predetta strada. Tali dati evidenziano, quindi, la necessità di opere di messa in sicurezza, ovvero di opere che evitino il passaggio di grossi flussi veicolari attraverso i centri abitati. Interpellata l'Anas Puglia in merito agli interventi in programma sulla SS 693, la stessa in riscontro alle numerose missive, precisa che non sono in programma interventi di prolungamento della predetta strada statale fino a Peschici-Vieste –:

   se il Ministro interrogato abbia intenzione di procedere all'inserimento, nel prossimo contratto di lavori con Anas, del progetto di completamento della strada statale 693 con il relativo prolungamento da Vico del Gargano fino a Vieste;

   se sia stato previsto lo stanziamento dei fondi per il potenziamento della rete stradale nel nord del Gargano, attraverso il completamento della strada statale 693 con lo scopo di migliorare la viabilità dei luoghi indicati, in funzione dell'elevato numero di presenze turistiche che durante la stagione estiva aumentano esponenzialmente.
(4-03352)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazioni acquisite dalla società Anas e dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Nel corso del corrente anno ANAS ha pubblicato il bando di gara DG 06-19 per individuare l'operatore economico cui affidare, in regime di accordo quadro triennale, l'esecuzione dei lavori di manutenzione straordinaria finalizzati al risanamento strutturale delle opere d'arte su tutto il territorio nazionale.
  Con riguardo agli interventi e agli stanziamenti per la rete stradale garganica, il lotto 16 del bando in argomento è riservato all'area compartimentale Puglia, per un importo di circa 30 milioni di euro e, per le arterie citate dagli interroganti, prevede interventi manutentivi di risanamento di opere d'arte esistenti (ponti, viadotti, e altro).
  Per quanto riguarda invece la possibilità di collegare Vico del Gargano direttamente a Vieste, Anas ha evidenziato che è necessario pianificare preliminarmente il prolungamento della strada statale 693 dei Laghi di Lesina e di Varano — nota anche come strada a scorrimento veloce del Gargano — fino alla strada statale 89 Garganica. L'infrastruttura così delineata, con una estensione di circa 9 chilometri non è allo stato inserita nei piani programmatici.
  Ad ogni buon conto, si potrà valutare una modifica dei piani
de quibus all'esito di una specifica valutazione costi/benefici dell'intervento anche in termini di miglioramento della viabilità e d'incremento della sicurezza delle infrastrutture e della circolazione.
  Infine, per completezza d'informazione, si rappresenta che tra gli interventi programmati sulle strade del territorio pugliese passate in gestione ad Anas, con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 febbraio 2018, e finalizzati a recuperare il deficit manutentivo accumulato, a potenziare la viabilità e ad innalzare i livelli di sicurezza, vi è anche la strada provinciale 144 lungo la quale sono stati già avviati i lavori di manutenzione straordinaria, riguardanti in particolare le pavimentazioni e le barriere di sicurezza.
  

La Ministra delle infrastrutture e dei trasporti: Paola De Micheli.


   FERRO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto riportato dalle testate giornalistiche locali e dalle dichiarazioni di stampa, il futuro dell'area compartimentale Anas Calabria di Catanzaro è sempre più incerto;

   dopo l'indebolimento della sede del capoluogo di regione con il dirottamento di molti dirigenti di importanti settori verso la sede di Cosenza, a destare preoccupazione è anche il destino della sala operativa, punta di diamante della struttura Catanzarese per efficienza e sviluppo di lavoro. Si tratta, infatti, della prima sala operativa dopo quella nazionale con il maggior numero di eventi gestiti;

   nonostante ciò, l'Anas avrebbe presentato una proposta di rimodulazione organizzativa che porterebbe a una riduzione delle sale operative attive in Italia e che presumibilmente condurrà alla chiusura di una delle due sale attive in questo momento in Calabria;

   la riorganizzazione delle sale operative compartimentali decisa dall'Anas è stata adottata non tenendo conto di alcun criterio come la qualità del servizio, l'efficienza e l'importanza e, in particolare, senza considerare le reali condizioni dei territori interessati nonché le criticità che caratterizzano ognuno di essi in maniera peculiare;

   Catanzaro, collocata nella sede strutturale territoriale, gestisce più di 1.700 chilometri di strade, registra più di 11 mila eventi all'anno tra incidenti, emergenze neve e altro, fornisce supporto ai trasporti eccezionali, ha la gestione di ben 96 telecamere dislocate su tutto il territorio regionale, 18 pannelli a messaggio variabile tra cui, a mero titolo esemplificativo, quelli collocati tra Bagnara e Scilla – supportati da telecamere – che monitorano e forniscono la necessaria informazione sulla presenza eventuale di frane e caduta massi, ed ancora quelli posizionati lungo la tratta della strada statale 107 Silana Crotonese destinati, in particolare, alla gestione del piano neve, con tutta evidenza dei riflessi che tale attività ha sulla tutela dell'incolumità pubblica –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, accertata la veridicità e le motivazioni degli stessi, quali urgenti iniziative intenda assumere al fine di trovare una soluzione organizzativa realmente rispondente a criteri di efficienza per i singoli territori e comunità, anche attraverso l'apertura di un tavolo tecnico con i soggetti maggiormente rappresentativi.
(4-03582)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame si evidenzia quanto segue.
  La società Anas ha riferito di aver adottato un nuovo modello organizzativo per assicurare una migliore realizzazione dei processi aziendali.
  In particolare per potenziare il servizio di presidio della rete su tutto il territorio nazionale è stata prevista l'istituzione di 16 strutture territoriali.
  Conseguentemente, per uniformare la gestione dei flussi informativi connessi all'esercizio, con particolare riguardo alla tipologia di rete gestita e alla relativa organizzazione, nelle 16 strutture territoriali si rende necessaria l'istituzione di una sala operativa in turnazione h24.
  Le predette 16 sale operative compartimentali, con turnazione h24, andranno ad aggiungersi a 6 delle sale operative già esistenti in turnazione h8, tra cui è compresa quella di Catanzaro.
  Anas ha infine rappresentato che tale riorganizzazione consentirà una migliore risposta alle esigenze operative dei territori, ivi comprese le autostrade e gli itinerari strategici, tra cui l'autostrada A2.

La Ministra delle infrastrutture e dei trasporti: Paola De Micheli.


   ILARIA FONTANA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   l'Italia è stata oggetto in passato di procedura di infrazione europea per l'applicazione degli articoli 3, 4, 5 e 10 della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane;

   l'articolo 3 della direttiva stabilisce che tutti gli agglomerati siano dotati di impianti di depurazione delle acque reflue urbane;

   l'articolo 4 della direttiva stabilisce ulteriormente che le acque reflue siano sottoposte anche a trattamento secondario;

   l'articolo 5 della direttiva stabilisce che gli Stati membri devono individuare le aree sensibili ai sensi del relativo allegato II, nelle quali gli scarichi dovranno essere sottoposti a trattamenti più spinti di quelli previsti al precedente articolo 4;

   le acque reflue urbane dell'agglomerato di Civita Castellana confluiscono nell'area sensibile della riserva naturale di Nazzano Tevere-Farfa, attraversata dal fiume Tevere e sulla quale insiste un lago formatosi a seguito della realizzazione di una diga nel medio corso del fiume;

   per le ragioni espresse, l'agglomerato di Civita Castellana è stato inserito nella procedura di infrazione dell'Unione europea n. 2034 del 2009, per la non conformità a tutti e tre gli articoli 3, 4, e 5 della suddetta direttiva;

   con determinazione dirigenziale G15456 del 2017 la regione Lazio ha provveduto ad affidare la verifica preventiva della progettazione delle opere di collettamento dei poli di Civita Castellana, Sutri e Vignanello;

   le opere di depurazione delle acque fognarie, relative al polo di Civita Castellana a servizio anche dei comuni di Carbognano, Fabrica di Roma, Corchiano, Nepi, Castel S. Elia, Faleria e Calcata, sono ad oggi parzialmente terminate per quanto concerne il sistema depurativo, mentre non sono state più finanziate dalla regione Lazio, le necessarie opere di collettamento dai territori comunali interessati al centro depurativo di Civita Castellana;

   ad oggi, il depuratore costruito e funzionante, riceve soltanto un terzo degli scarichi fognari di Civita Castellana, e nulla dai comuni inizialmente previsti in progetto, lavorando di gran lunga al di sotto della propria potenzialità;

   a norma del capo VIII del decreto legislativo n. 300 del 1999, al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio sono attribuite la tutela delle risorse idriche e la relativa gestione, la sorveglianza, il monitoraggio e il recupero delle condizioni ambientali conformi agli interessi fondamentali della collettività e all'impatto sull'ambiente, con particolare riferimento alla prevenzione e repressione delle violazioni compiute in danno all'ambiente –:

   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo abbia adottato o intenda adottare e con quali tempistiche per assicurare il completamento delle opere in questione, alla luce delle procedure di infrazione in corso.
(4-04069)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare si precisa che per il sistema fognario-depurativo – incluso nel processo verticale del Servizio idrico integrato (S.I.I.) composto da acquedotto, fognatura e depurazione – la normativa di settore, in particolare l'articolo 149, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006, affida agli enti di governo d'ambito – in sede di predisposizione e/o aggiornamento del piano d'ambito – il compito di condurre le attività di ricognizione delle infrastrutture, programmazione degli interventi e redazione di un piano economico finanziario.
  Si fa presente, altresì, che ogni due anni gli Stati membri inviano alla Commissione europea informazioni di dettaglio sullo stato di attuazione della direttiva 91/271/CEE negli agglomerati con carico generato uguale o superiore a 2.000 abitanti equivalenti attraverso la compilazione di apposito questionario.
  Sulla base delle informazioni inserite dalla Regione Lazio, in data 15 giugno 2018, sul database in argomento per l'agglomerato di Civita Castellana, relative alla situazione al 31 dicembre 2016, emerge che tutti i reflui dell'agglomerato, avente un carico generato pari a 15.000 abitanti equivalenti, sono raccolti in rete fognaria; il 74,7 per cento del carico generato (11.200 abitanti equivalenti) è trattato conformemente ai requisiti della direttiva presso l'impianto di depurazione denominato «Centro storico» avente una capacità organica di progetto pari a 20.000 abitanti equivalenti e tipologia di trattamento secondaria e più spinta per la rimozione di azoto e fosforo; il restante 25,3 per cento, corrispondente a circa 3.800 abitanti equivalenti, attualmente, non risulta trattato presso alcun impianto di depurazione.
  Proprio in ragione di tale non completo trattamento dei reflui ai sensi degli articoli 4 e 5 della direttiva 91/271/CEE, l'agglomerato in argomento è oggetto della procedura d'infrazione n. 2017/2181, avviata dalla Commissione europea nei confronti dello Stato italiano nel maggio 2018.
  Per dare riscontro alla citata procedura, la Regione Lazio ha comunicato che «L'agglomerato è servito da un impianto di depurazione, adeguato con fondi regionali al fine di essere in grado di trattare tutti i reflui urbani prodotti nell'agglomerato. Al completamento delle lavorazioni in corso verranno eliminati e collettati gli scarichi non a norma presenti. Con D.G.R. n. 722/2006 la Regione Lazio ha, infatti, finanziato interventi di adeguamento sia del depuratore di Civita Castellana che del sistema fognario afferente, per un importo complessivo di euro 5.970.000,00. I lavori sono stati tutti completati, ad eccezione delle lavorazioni relative ad un attraversamento ferroviario di una delle dorsali fognarie previste in progetto. Tali lavorazioni, subordinate all'ottenimento della necessaria autorizzazione da parte di ATAC (già richiesta da parte del Comune di Civita Castellana), sono previste terminare entro tre mesi dall'ottenimento della stessa autorizzazione. La data prevista per il raggiungimento della conformità è il 31 dicembre 2019».
  È opportuno, inoltre, segnalare che, ai sensi dell'articolo 4-septies della recente legge 14 giugno 2019, n. 55 «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32, recante disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l'accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici», l'operato del Commissario straordinario unico, di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto-legge n. 243 del 2016 (convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2017, n. 18), è stato esteso anche alle altre due procedure d'infrazione in materia di acque reflue urbane, ivi compresa la procedura n. 2017/2181 in argomento.
  Tale previsione è stata finalizzata ad evitare l'aggravamento delle procedure medesime. Si precisa, al riguardo, che, fino ad oggi, l'operato del Commissario straordinario unico è stato circoscritto agli interventi relativi agli agglomerati oggetto delle procedure d'infrazione in materia di acque reflue urbane già interessate da Sentenze di condanna da parte della Corte di giustizia dell'Unione europea (cause C 251/17 e C 85/13).
  Alla luce delle informazioni acquisite, tenuto conto della rilevanza del tema in argomento, si rassicura, comunque, che le problematiche evidenziate sono tenute in debita considerazione da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che, per quanto di competenza, continuerà a svolgere le proprie attività di monitoraggio e sollecito, tenendosi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.


   FORMENTINI e BIANCHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   il quotidiano online, «il Piccolo»-Balcani, del 20 giugno 2019, riporta l'allarme lanciato da Greenpeace sulle ripercussioni transnazionali provocate dai fumi delle due future centrali a carbone della Bosnia, in Tuzla per 450 megawatt e in Banovici, per 350 megawatt, a circa 30 chilometri l'una dall'altra;

   la Bosnia è nota come uno dei Paesi balcanici più inquinati, a causa dell'energia prodotta a basso costo con l'utilizzo della lignite nelle centrali termoelettriche; la realizzazione delle due centrali a carbone, ossia del blocco 7 di Tuzla e del nuovo impianto di Banovici, peggiorerebbero una situazione che sembrerebbe già oltre i limiti per la tutela dell'ambiente e della salute pubblica;

   gli effetti negativi sulla salute pubblica provocati dalle emissioni delle due centrali a carbone potrebbero raggiungere città lontane anche centinaia di chilometri;

   tra le città interessate dai fumi il quotidiano riporta le città italiane di Trieste e di Napoli;

   sembra che Greenpeace ha elaborato modelli scientifici, rappresentando con mappe il trasporto degli inquinanti dai venti, per dimostrare gli effetti delle nuove centrali sulla salute della popolazione; i risultati si presentano allarmanti con pesanti ripercussioni negative;

   sembra che i modelli evidenziano un numero di circa mille morti premature in un decennio, causate esclusivamente dalle centrali di Tuzla e Banovici, con più dell'ottanta per cento dei casi al di fuori dei confini bosniaci, in particolare in Serbia, Italia, Romania, Ungheria, Croazia, Albania, Slovenia, Montenegro, oltre a centinaia di casi di recrudescenza di attacchi d'asma nei bambini, bronchiti croniche e un alto numero di giornate di assenza dal lavoro ogni anno;

   altri impatti sarebbero connessi ai depositi di mercurio provocati dall'utilizzo di carbone di bassa qualità che, tuttavia, interessano maggiormente il territorio locale, ma anche Sarajevo e Belgrado –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della realizzazione dei due impianti bosniaci, ossia del blocco 7 di Tuzla e del nuovo impianto di Banovici, e se intendano approfondire la fondatezza di quanto riportato in premessa e, nel caso, avviare le iniziative di competenza per la partecipazione al procedimento di Valutazione di impatto ambientale ai sensi della Convenzione sulla valutazione dell'impatto ambientale in un contesto transfrontaliero, fatta a Espoo il 25 febbraio 1991.
(4-03253)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In linea generale il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha fatto presente che la centrale di Tuzla in Bosnia è stata costruita negli anni Cinquanta, ed ancora oggi assicura l'energia a metà del Paese.
  Le proposte di riconversione della centrale presentate nel corso degli anni non si sono mai concretizzate, anche in considerazione del fatto che, alla sua operatività, si deve la sopravvivenza di varie miniere di carbone, anzi la Federazione di Bosnia Erzegovina ha recentemente deciso di costruire un nuovo cammino, il cosiddetto «blocco 7», che aumenterà, oltre che l'operatività della centrale, anche le emissioni nocive, nonostante sia previsto lo spegnimento di due dei settori più vecchi.
  L'Ambasciata d'Italia a Sarajevo, nel relazionare sulla questione, ha sottolineato come negli anni l'impatto ambientale in Bosnia sia peggiorato, contribuendo così al triste primato attribuitogli dall'Oms, quale paese con il più alto tasso di mortalità da inquinamento atmosferico. La stessa Ambasciata ha peraltro a più riprese segnalato, anche nel recente passato, i preoccupanti livelli di inquinamento riscontrabili a Sarajevo. Peraltro nello Stato sopravvivono ancora oggi 16 impianti di epoca jugoslava fortemente inquinanti.
  Si precisa inoltre che la Bosnia Erzegovina è parte della Convenzione di Espoo, quindi è tenuta a notificare alle altre parti gli eventuali effetti negativi transfrontalieri che possano risultare dalle valutazioni dell'impatto ambientale (ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della Convenzione).
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ha, ad oggi, ricevuto alcuna notifica dallo stesso Stato né tantomeno segnalazioni da parte di cittadini, associazioni o organizzazioni non governative che consentirebbero di attivare una consultazione transfrontaliera con l'Italia, nell'ambito della valutazione dell'impatto ambientale delle due future centrali a carbone.
  Né vi sono precedenti in cui sia stata attivata una consultazione transfrontaliera con altri Stati nell'ambito di valutazioni dell'impatto ambientale di centrali a carbone.
  In base alla Convenzione sulla valutazione dell'impatto ambientale in un contesto transfrontaliero, adottata il 25 febbraio 1991 a Espoo, qualora una parte, anche in assenza di notifica, ritenga che un'attività fra quelle dell'Appendice I, abbia un impatto transfrontaliero importante sul proprio territorio, può richiedere, ai sensi del comma 7 dell'articolo 3, uno scambio di informazioni «sufficienti al fine di iniziare un dibattito per determinare se un impatto transfrontaliero pregiudizievole importante è probabile. Se dette Parti sono concordi nel riconoscere che un impatto transfrontaliero pregiudizievole importante è probabile, si applicano le disposizioni della presente Convenzione. Se non riescono a raggiungere un accordo, una qualunque delle due parti può sottoporre la questione a una Commissione d'inchiesta in conformità con le disposizioni dell'Appendice IV affinché quest'ultima pronunci un parere sull'eventualità di un impatto transfrontaliero pregiudizievole importante, a meno che non decidano di comune accordo di fare appello ad un altro metodo per risolvere la questione».
  Tuttavia, considerando che la Bosnia-Erzegovina non è un Paese confinante con l'Italia, per attivare la procedura di cui al comma 7, articolo 3 sopra descritta, è necessario che al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare vengano forniti qualificati elementi conoscitivi, da cui si evinca la probabilità di un significativo impatto transfrontaliero.
  Su un piano più generale, l'Italia sostiene l'accelerazione della transizione dai combustibili tradizionali alle fonti rinnovabili, promuovendo il graduale abbandono del carbone per la generazione elettrica a favore di soluzioni che privilegino, sempre più, l'impiego delle sole rinnovabili per la parte residua e, nella fase di transizione, il gas.
  Secondo gli obiettivi del Piano nazionale integrato energia e clima italiano (PNIEC) è prevista una completa interruzione della produzione elettrica proveniente da carbone entro il 2025, con la chiusura delle otto centrali a carbone attualmente in funzione sul nostro territorio.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   Nello Trocchia è uno scrittore e giornalista di inchiesta di Piazza Pulita e collaboratore de Il Fatto Quotidiano;

   a causa delle sue inchieste su mafie, malaffare, intrecci tra politica, criminalità organizzata e gruppi eversori – l'ultimo dei suoi libri è sui Casamonica – è sotto vigilanza attiva;

   le prime minacce a Trocchia erano arrivate nel 2015, a seguito di alcuni articoli su Il Fatto Quotidiano, da parte di un esponente della criminalità organizzata, intercettato dalle cimici della procura di Napoli mentre pronunciava la seguente frase: «A quel giornalista gli spacco il cranio»;

   Nello Trocchia, non lasciandosi intimorire, ha continuato il suo lavoro di inchiesta e negli anni è stato vittima di altre intimidazioni e aggressioni, come quella subita dal vicesindaco di Casamicciola Terme mentre era inviato per un servizio sul terremoto del 2017 e quella avvenuta a Vieste dove stava facendo un'inchiesta sulle infiltrazioni mafiose nell'area del Gargano;

   nonostante sia sotto vigilanza, per la terza volta, ha subito un furto nella sua abitazione in provincia di Napoli e, in particolare, gli è stato sottratto il computer con informazioni sensibili sui suoi lavori giornalistici;

   a parere dell'interrogante è inquietante che nonostante il regime di vigilanza a cui è sottoposto, il giornalista Nello Trocchia subisca continui furti nella propria abitazione e per questo sarebbe opportuno che chi di competenza dedicasse una maggiore attenzione nei confronti di Trocchia e di tutti quei cronisti d'inchiesta spesso oggetto di minacce e intimidazioni per il loro rigoroso impegno al fine di garantire loro la massima sicurezza –:

   quali iniziative di competenza intenda assumere per garantire la massima tutela e «agibilità» professionale e culturale al giornalista e scrittore Nello Trocchia e, più in generale, a tutti quei cronisti italiani che coraggiosamente da anni, conducono inchieste rigorose su mafie, malaffare, intrecci tra politica, criminalità organizzata e gruppi eversori per consentire loro di lavorare senza dover subire alcuna forma di pressione, minaccia, intimidazione o insulto;

   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere, anche attraverso precise indicazioni alle prefetture, per monitorare attentamente situazioni come quelle esposte in premessa;

   quali iniziative di competenza intenda assumere per garantire, alla luce dei fatti esposti in premessa, l'incolumità di Nello Trocchia e della sua famiglia, vittime di continui furti nella loro abitazione in Campania, nonostante lo stesso sia sottoposto a vigilanza attiva.
(4-03360)

  Risposta. — L'esposizione al rischio del giornalista Nello Trocchia, autore di diverse inchieste sulla mafia, sulla criminalità organizzata e il malaffare, è da tempo seguita con attenzione dall'amministrazione dell'interno.
  Ciò premesso, le situazioni di potenziale esposizione al pericolo individuale sono esaminate, in attuazione della legge n. 133 del 2002, a un duplice livello.
  In sede locale il Prefetto presiede la riunione tecnica di coordinamento delle forze di polizia; in sede centrale, l'ufficio centrale interforze per la sicurezza personale (UCIS), presso il dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, coordina gli elementi trasmessi dalle diverse articolazioni sul territorio con i dati in possesso, e le determinazioni del caso.
  Secondo quanto riferito dalla prefettura di Roma, a seguito delle minacce subite dal dottor Nello Trocchia, già nel luglio del 2015, da parte di un boss della camorra, e segnalate alla Procura della Repubblica di Napoli, il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica di Roma ha disposto, nell'agosto dello stesso anno, l'espletamento delle misure di vigilanza idonee alla salvaguardia dell'incolumità del giornalista.
  Detta decisione veniva comunicata anche alle prefetture di Milano e Napoli – città abitualmente frequentate dall'interessato anche in ragione di motivi connessi alla sua attività professionale – che avevano già provveduto ad attivare analoghi dispositivi, poi revocati, rispettivamente nell'aprile e nel maggio del 2017, sulla base delle rivalutazioni periodicamente effettuate sulla permanenza dell'attualità del rischio in sede locale.
  La prefettura di Roma, nel mese di novembre del 2018, a seguito delle segnalazioni del dottor Nello Trocchia e degli accertamenti comunicati dalle forze di polizia sugli episodi di minaccia o aggressione, anche pregressi a danno del giornalista, ha effettuato la rivalutazione dell'esposizione al rischio del giornalista e confermato le misure già operative dal 2015.
  La stessa prefettura ha riferito che il profilo di rischio del giornalista è costantemente monitorato dagli organi di polizia in modo da valutare con la massima tempestività l'esigenza di procedere all'eventuale rimodulazione del dispositivo a tutela della sua sicurezza.
  Per quanto attiene ai furti subiti e ai tentativi di effrazione verificatisi tra il 2018 e il 2019 presso l'abitazione dei genitori del giornalista, si rappresenta che la questura di Napoli ha disposto i servizi di vigilanza adeguati al caso, dandone comunicazione, il 15 novembre scorso, alla Prefettura partenopea.
  Sulla questione della tutela dei giornalisti maggiormente esposti a minaccia, anche le circostanze citate, confermano l'attenzione riservata dalle autorità provinciali di pubblica sicurezza e dalle forze di polizia a tutti gli episodi di intimidazione in grado di incidere sulla loro libera determinazione nell'espletamento dell'attività professionale.
  Alla data odierna risultano attivi nei confronti di giornalisti 21 dispositivi di protezione di vario livello, in ragione del grado di valutazione del rischio, nonché 171 vigilanze espletate dalle forze di polizia.
  Al riguardo, si assicura che la loro protezione, al pari di quella di tutte le altre persone esposte a rischio, costituisce una priorità nella pianificazione dei servizi di polizia nell'ambito dei piani coordinati di controllo del territorio ed è oggetto di un'approfondita e periodica analisi e rivalutazione.
  A riprova che il tema è tra quelli seguiti dar Ministero dell'interno con la dovuta attenzione, si fa presente che presso il Viminale opera il «Centro di coordinamento per le attività di monitoraggio, analisi e scambio permanente di informazioni sul fenomeno degli atti intimidatori nei confronti dei giornalisti».
  Il citato organismo di coordinamento, anche attraverso lo scambio di informazioni tra i soggetti interessati, analizza infatti il fenomeno degli atti intimidatori nei confronti dei giornalisti e formula proposte per mirate strategie di prevenzione e contrasto, avvalendosi dell’«Organismo permanente di supporto».
  Quest'ultimo costituisce la sede per il confronto tra i referenti del mondo dell'informazione e i rappresentanti delle forze di polizia, ove si intende valorizzare, con il prezioso contributo degli stessi giornalisti, l'impegno di tutte le risorse disponibili sul territorio, sia in, chiave repressiva, che preventiva degli episodi di intimidazione rivolti al mondo dell'informazione.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo Sibilia.


   GAGLIARDI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   dal 15 al 18 agosto 2019 circa 300 persone, tra dirigenti e militanti del Partito Radicale insieme all'Osservatorio delle camere penali italiane, a diversi parlamentari, ai garanti delle persone private della libertà, hanno visitato 70 istituti penitenziari in 17 regioni;

   al 31 luglio 2019 i detenuti ristretti nelle nostre carceri erano 60.254 per una capienza regolamentare di 50.480 e il personale di ogni livello così ridotto nel suo organico;

   dall'inizio dell'anno nelle carceri italiane ci sono stati 29 suicidi;

   la delegazione che ha visitato il carcere di Chiavari (GE) il 17 agosto 2019 era composta da Alessandro Rosasco, Partito radicale; Claudia Bornico, Partito radicale; Angelo Chiavarini, Partito radicale; Raffaella Nardone, segretaria camera penale di La Spezia e membro dell'Osservatorio nazionale carcere; Larissa Gagliardini Valentina Ramacciotti, camera penale La Spezia; Luca Garibaldi, consigliere regionale del PD;

   si è rilevato che nel carcere di Chiavari:

    i detenuti presenti sono 56, ristretti nei 46 posti regolamentari;

    i tossicodipendenti in trattamento metadonico sono 26, i casi psichiatrici sono 3, molti detenuti sono affetti da epatite C, solo 1 in trattamento;

    i detenuti stranieri sono 22;

    gli agenti di polizia penitenziaria effettivamente in servizio sono 50 a fronte di una pianta organica che ne prevedrebbe 57, assegnati 51;

    vi è 1 educatore effettivamente in servizio, a fronte di pianta organica che ne prevedrebbe 2;

    vi è 1 psicologo per 14 ore al mese;

   i detenuti lavoranti alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria sono 11 e i detenuti lavoranti in carcere per conto di imprese e cooperative sono 6; semiliberi 2 –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione descritta in premessa;

   quali iniziative intendano assumere affinché sia garantito il rispetto del terzo comma dell'articolo 27 della Costituzione;

   quali iniziative di competenza intenda adottare il Governo per riportare nella legalità costituzionale il carcere di Chiavari e per porre fine ai trattamenti disumani e degradanti ai quali sono oggigiorno sottoposti i detenuti;

   quali iniziative di competenza si intendano assumere per fronteggiare la gravissima situazione sanitaria;

   se i Ministri interrogati intendano intervenire e in quale modo al fine di garantire un adeguato livello di assistenza alla popolazione reclusa, più in generale nelle carceri italiane e in particolare a quello di Chiavari;

   quali iniziative di competenza si intendano assumere per vigilare affinché venga garantito il diritto alla salute dei detenuti, considerata la presenza di un così alto numero di casi psichiatrici e di tossicodipendenti;

   se sia in funzione nel carcere di Chiavari il servizio sanitario h24 e in che modo si intenda urgentemente far fronte ad eventuali gravi emergenze notturne.
(4-03750)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante, nel fare riferimento agli esiti della visita presso il carcere di Chiavari effettuata il 17 agosto 2019 da una delegazione dei Radicali italiani, da cui sono emerse una serie di criticità relative, in particolare, al sovraffollamento carcerario, alle scoperture degli organici di polizia penitenziaria, alla presenza di una sola unità di educatore a fronte delle due unità previste in pianta organica, chiede di sapere se il Ministro della giustizia sia a conoscenza della situazione descritta, quali iniziative si intendano assumere affinché sia garantito il rispetto dell'articolo 27 della Costituzione, quali iniziative si intendano adottare per riportare nella legalità costituzionale il carcere di Chiavari e porre fine ai trattamenti disumani e degradanti a cui sono sottoposti ogni giorno i detenuti, quali iniziative di competenza si intendano adottare per fronteggiare la gravissima situazione sanitaria, se si intenda intervenire e in quale modo al fine di garantire un adeguato livello di assistenza alla popolazione reclusa, quali iniziative si intendano assumere per vigilare affinché venga garantito il diritto alla salute dei detenuti, considerata la presenza di un così altro numero di casi psichiatrici e di tossicodipendenti, se sia in funzione nel carcere di Chiavari il servizio sanitario h24 e in che modo si intenda urgentemente far fronte ad eventuali gravi emergenze notturne.
  Va considerato in premessa che, alla data del 25 novembre 2019, presso la Casa di reclusione di Chiavari risultano ristretti 59 detenuti rispetto ai 45 posti disponibili, per una percentuale di affollamento pari al 131,11 per cento che, come tale, non si discosta di molto dalla media nazionale la quale, a propria volta, si aggira sul 128 per cento.
  Va altresì dato atto del pieno rispetto dei parametri minimi stabiliti dalla Cedu, in quanto 8 detenuti risultano avere a disposizione, nelle rispettive camere di pernottamento, uno spazio compreso tra i 3 e i 4 metri quadrati, mentre i restanti 51 ristretti risultano avere a disposizione uno spazio di vivibilità superiore ai 4 metri quadrati.
  Per quanto riguarda il numero considerevole di detenuti stranieri (21 rispetto ai 38 italiani) va dato atto dell'azione che, in campo internazionale, il Ministero sta già conducendo al fine di favorirne il rimpatrio per l'espiazione del residuo pena nei rispettivi Paesi di origine, proseguendo i negoziati in essere, stipulando nuovi accordi e valorizzando altresì lo strumento dell'espulsione verso i Paesi d'origine per quei detenuti la cui pena residua lo consenta.
  In particolare, è fermo proposito di questo Dicastero sviluppare e condurre in porto in temi ragionevoli i negoziati già in corso con molti Stati (Capoverde, Filippine, Tunisia, Vietnam, Cina), affinché, in linea con i risultati soddisfacenti già conseguiti nell'anno corrente (Argentina, Colombia, Kosovo, Mali, Libia, Niger, Nigeria, Taiwan, Paraguay) nuovi accordi vengano siglati anche nell'anno venturo e verranno aperti nuovi fronti di dialogo con Paesi come la Bolivia e Cuba.
  Nella medesima direzione deflattiva si iscrive la recente istituzione, presso il Ministero della giustizia, di un tavolo tecnico fra il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ed il Dipartimento per gli affari di giustizia con l'obiettivo di stimolare l'adozione e l'esecuzione di provvedimenti di espulsione dei detenuti stranieri
ex articolo 16, comma 5, decreto legislativo n. 286 del 1998 (testo unificato sull'immigrazione) verso i Paesi d'origine, velocizzandone le procedure di identificazione all'atto dell'ingresso in carcere attraverso lo sviluppo di una sinergia virtuosa con gli uffici immigrazione delle questure, da un lato, ed i tribunali di sorveglianza, dall'altro, ciascuno per i profili di rispettiva competenza.
  Quanto alla dotazione organica della polizia penitenziaria, presso l'istituto in parola, l'unica reale carenza si registra nel ruolo dei sovrintendenti, compensata almeno numericamente dall'esubero nel ruolo degli agenti assistenti.
  In ogni caso, al fine di un riequilibrio anche sul piano funzionale, con riferimento alla carenza dei sovrintendenti, va ricordato in questa sede che i vincitori del concorso interno a complessivi 2.851 posti proprio per la nomina alla qualifica di vice sovrintendente, al termine del corso di formazione, costituiranno un bacino significativo a cui attingere per colmare le diffuse scoperture che su tutto il territorio si registrano in questo profilo professionale.
  Si tratta di una misura che si innesta a pieno titolo nel più ampio alveo delle mirate politiche assunzionali perseguite da questo Ministero, anche nel comparto penitenziario.
  A tal riguardo ci si limita a evidenziare che è in atto il corso di formazione anche per i vincitori del concorso a 80 posti di vice commissario, mentre verranno completate le procedure concorsuali a complessivi 49 posti di ispettore superiore ed a complessivi 754 posti di allievo agente. Si provvederà, altresì, al completamento dell'assunzione straordinaria di 1.300 allievi agenti del Corpo di polizia penitenziaria – ai sensi dell'articolo 1, commi 382-383, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (legge di bilancio 2019) – anche mediante scorrimento delle graduatorie vigenti e verranno inoltre avviate, nei prossimi mesi, le procedure per la copertura dei posti di vice sovrintendenti conseguito all'incremento della dotazione organica previsto dall'articolo 44, comma 8, lettere
b) e b-bis), del decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 95 (di revisione dei ruoli delle forze di polizia), e alle vacanze disponibili dal 31 dicembre 2017 al 31 dicembre 2018.
  È altresì previsto un programma straordinario di assunzioni per i prossimi anni per un totale di 620 unità di polizia penitenziaria e di 150 unità del comparto funzioni centrali con un impegno di spesa di quasi sei milioni annui per il 2020 e per il 2021.
  In tale direzione, si confida realisticamente di poter disporre, a breve, di un ampio bacino di risorse umane a cui attingere per sanare le varie scoperture di cui risentono gli istituti di tutto il territorio e rispetto a cui saranno tenute in debita considerazione anche le esigenze della casa di reclusione di Chiavari.
  Con specifico riguardo alle scoperture dell'area trattamentale,
medio tempore fronteggiate grazie al supporto di un operatore proveniente dalla Casa circondariale di Genova «Pontedecimo», giova evidenziare che la prossima definizione dell'interpello straordinario nazionale ha previsto l'integrazione delle unità mancanti, oltre a richiamare la procedura concorsuale per 50 posti relativi al profilo professionale di funzionario della professionalità giuridico-pedagogica, autorizzata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 giugno 2019, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 29 agosto 2019, n. 204.
  Il potenziamento complessivo dell'assistenza sanitaria in contesto penitenziario, entro i limiti delle proprie competenze, riveste uno specifico rilievo nell'ambito delle linee programmatiche di questo Dicastero.
  Con specifico riguardo al segnalato incremento di problematiche di natura psicologica e psichiatrica in contesto carcerario, va dato atto che sono in corso progetti per incrementare o istituire nuove sezioni delle Atsm (Articolazioni per la tutela della salute mentale) presso varie strutture carcerarie del territorio.
  Inoltre, si fa presente che è intendimento di questa Amministrazione continuare a sviluppare la progettualità appena descritta, nonché proporre la riattivazione dei lavori del tavolo di consultazione permanente per la sanità penitenziaria presso la Conferenza unificata, per condividere con il Ministero della salute e le regioni la definizione di un regolamento organizzativo delle Articolazioni per la tutela della salute mentale con l'obiettivo di implementare l'assistenza psichiatrica negli istituti penitenziari, rendere omogenei i criteri di ammissione dei detenuti nelle Atsm e uniformare l'assistenza sul territorio nazionale.
  Proprio grazie alla necessaria sinergia con il Servizio sanitario e con le regioni, si persegue l'obiettivo di ampliare e migliorare il servizio anche attraverso informazioni complete sullo stato di salute dei detenuti, un accesso veloce alle prestazioni sanitarie, un incremento dei reparti di medicina protetta
ex articolo 7 del decreto-legge n. 187 del 1993 ed un rafforzamento del Piano nazionale di intervento per la prevenzione dei suicidi in carcere.
  A tal riguardo, per i profili di sua competenza, il Ministero della salute ha evidenziato che sono in corso i lavori del tavolo di consultazione permanente sull'attuazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o aprile 2008 e del Comitato paritetico per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari. In particolare, il suddetto Dicastero, ha rappresentato che il 15 gennaio 2019 si è svolta l'ultima riunione plenaria che ha tracciato un
focus sulle principali da sviluppare, individuandole nella revisione degli accordi Conferenza Stato-regioni e unificata, nel monitoraggio dei cambiamenti del settore e nella ripresa di un governo strategico della problematica gestione delle Rems che, giova ricordare, esulano dalla sfera di competenza di questo Dicastero, ai sensi del decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 211, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 2012, n. 9.
  Tali propositi si innestano a pieno titolo nel più ampio alveo delle coordinate operative che puntano ad un innalzamento complessivo della qualità della vita detentiva focalizzando particolare attenzione alla valorizzazione dei rapporti familiari e della genitorialità ed al miglioramento dell'offerta trattamentale, con specifico riguardo sia alle attività didattiche, che alle iniziative in campo lavorativo.
  Sotto il primo aspetto assumono particolare rilievo l'adozione di iniziative tese, fra l'altro, ad agevolare i colloqui dei detenuti con i familiari sia favorendone la prenotazione
on line sia soprattutto, a seguito dell'adozione della circolare del 30 gennaio 2019, attraverso l'impiego dell'applicativo Skype far business per i video-colloqui.
  Attualmente già in 122 istituti di reclusione su 190 risulta attivo e funzionante il sistema
Skype – con il 64 per cento di copertura – così come in 12 su 17 tra Icam e asili nido – per una percentuale pari al 75 per cento.
  In parallelo è intendimento di questo Dicastero curare un
restyling logistico-strutturale attraverso l'allestimento e il miglioramento di spazi di accoglienza, animazione e supporto psicologico nelle strutture già esistenti.
  Sul piano trattamentale, occorre evidenziare che l'offerta didattica verrà potenziata e modernizzata sia grazie all'imminente rinnovo del protocollo d'intesa con il Miur, lungo un solco già tracciato dalla recente stipula, l'11 settembre 2019, del protocollo d'intesa con la Conferenza nazionale poli universitari (Cnupp) che prelude all'elaborazione di linee guida attraverso cui armonizzare i moduli di collaborazione fra atenei e mondo penitenziario, sia attraverso l'impiego del
web per sostenere gli esami a distanza ed espletare gli adempimenti burocratici funzionali e propedeutici.
  Ulteriore stimolo verrà impresso alle iniziative a carattere lavorativo, proseguendo nella diffusione del
format «Mi riscatto per...» ed estendendo la rete di contatti con il mondo imprenditoriale e delle cooperative così da ricreare, in contesto penitenziario, condizioni quanto più analoghe possibile al mercato del lavoro esterno e preparare al meglio i detenuti al re-ingresso nel tessuto produttivo all'atto della loro remissione in libertà.
  Il 14 ottobre 2019 il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha istituito un'innovativa articolazione centrale (denominata «
Mi riscatto per il futuro») con il compito principale di agevolare l'incontro fra domanda ed offerta di lavoro in contesto detentivo, tra l'altro attraverso la costituzione ed implementazione di una banca dati costantemente aggiornata con le informazioni relative al profilo lavorativo-attitudinale dei soggetti ristretti così da incrementare sensibilmente le attività trattamentali a base lavorativa, favorendo per tale via il re-inserimento sociale.
  È fermo intendimento di questo Ministero valorizzare ed implementare in maniera significativa la funzionalità di tale struttura così da innalzare sensibilmente la percentuale dei detenuti lavoranti, che attualmente si attesta su una percentuale del 28 per cento, passando attraverso un radicale rinnovamento dell'impostazione di sistema del lavoro penitenziario. Per tale via si potrà favorire la capillare diffusione di laboratori e progettualità negli istituti di tutto il territorio e la realizzazione di cicli produttivi in cui coinvolgere stabilmente la popolazione detentiva così da assicurarle percorsi formativi e professionali qualificanti, agevolmente spendibili nei vari rami produttivi del mondo del lavoro, in tal modo facilitando sensibilmente il percorso di recupero e reinserimento sociale.
  È del tutto ragionevole ritenere, in conclusione, che i propositi operativi sin qui sintetizzati impatteranno favorevolmente sulle condizioni e sulla qualità della vita detentiva in maniera trasversale su tutti gli istituti penitenziari tra cui, evidentemente, anche la casa di reclusione di Chiavari.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   GALANTINO, LUCASELLI, ZUCCONI, MOLLICONE, FOTI, BUTTI, MANTOVANI, CARETTA, DEIDDA, BALDINI, FRASSINETTI, BUCALO, MONTARULI, DONZELLI e FERRO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   dagli organi di stampa, l'interrogante ha appreso che l'ex Ministro della difesa Elisabetta Trenta, scelta dal M5S, vive nell'appartamento nel centro di Roma assegnatole come «alloggio di servizio»;

   la stessa Elisabetta Trenta, pur non ricoprendo più alcun ruolo pubblico, pare che abbia deciso di rimanerci, facendolo assegnare al marito, il Maggiore dell'Esercito Claudio Passarelli;

   la vicenda de qua, in caso di accertamento positivo, potrebbe interessare sia la magistratura contabile per valutare eventuali danni erariali, sia quella ordinaria per verificare la regolarità della procedura di assegnazione –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa o se tali fatti trovino conferma;

   nel caso tale vicenda trovi conferma, quali iniziative intenda adottare per garantire il principio di buon andamento della pubblica amministrazione che trova fondamento nella Carta costituzionale.
(4-04112)

  Risposta. — A premessa della risposta, per meglio inquadrare la vicenda nei suoi riferimenti giuridici, desidero specificare che la materia «alloggi di servizio» è disciplinata principalmente dal codice dell'ordinamento militare (decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66) e dal testo unico dell'ordinamento militare (decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90).
  L'immobile oggetto di attenzione è un alloggio di servizio classificato quale ASI (alloggio di servizio connesso con l'incarico) che, in aderenza all'articolo 281, comma 1, del decreto legislativo n. 66 del 2010 e all'articolo 313, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010, può essere assegnato al personale dipendente cui sono affidati incarichi che richiedano l'obbligo di abitare presso la località di servizio, ovvero che richiedano la costante presenza del titolare per il soddisfacimento delle esigenze di funzionalità e sicurezza del servizio medesimo.
  Passando ora a trattare la questione nel merito, di seguito sono riportati gli elementi così come rappresentati nella documentazione inviata dallo Stato maggiore dell'Esercito:

   in data 19 aprile 2019, è stata assegnata un'unità abitativa alla dottoressa Elisabetta Trenta, in virtù dell'incarico di «Ministro della Difesa» (incarico previsto nell'ambito della 1a fascia dell'elenco delle titolarità ASI – Civili);

   al termine del mandato, il comando militare della Capitale, organo deputato agli aspetti gestionali dell'alloggio, ha provveduto a comunicare all'utente la perdita del titolo, con richiesta di rilascio entro il 3 dicembre 2019, cioè 90 giorni dalla cessazione dell'incarico (articolo 329, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010);

   in data 18 settembre 2019, il Maggiore Claudio Passarelli, consorte della dottoressa Trenta, ha presentato un'istanza finalizzata alla concessione di un alloggio ASI in relazione all'incarico ricoperto, a decorrere dal 5 settembre 2019 («Aiutante di Campo del Segretario Generale della Difesa – Direttore Nazionale degli Armamenti»), appartenente alla 1a fascia delle titolarità ASI – Ufficiali;

   in data 2 ottobre 2019, esperite le necessarie verifiche, lo Stato maggiore dell'Esercito ha predesignato al militare richiedente l'alloggio ASI, già occupato dalla dottoressa Trenta ed in fase di rilascio, l'immobile nel quale lo stesso risultava domiciliato;

   il competente Comando militare della Capitale, in data 23 ottobre 2019, ha provveduto ad assegnare l'alloggio in argomento al Maggiore Passarelli.

  La stessa scheda dello Stato maggiore dell'Esercito evidenzia che:

   tale predesignazione è stata possibile in quanto la normativa di riferimento (articolo 318, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010), stabilisce che l'alloggio ASI non possa essere concesso al personale che sia proprietario di un'abitazione idonea, disponibile e abitabile nell'ambito della circoscrizione ove presta servizio, «fatta eccezione per i titolari degli incarichi, compresi nella prima fascia degli elenchi degli incarichi, di particolare rilevanza quando gli alloggi siano ubicati all'interno o nelle immediate vicinanze di ...installazioni e comprensori militari»;

   le vigenti disposizioni in materia (articolo 323, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010) prevedono che solo «se soddisfatte le esigenze nell'ordine prioritario delle fasce, gli alloggi rimasti disponibili non consentono di soddisfare integralmente la fascia successiva, per quest'ultima si provvede a formare, per i titolari di cariche incluse nella fascia, una graduatoria» mentre – nel caso in esame – erano state già soddisfatte tutte le domande di alloggio ASI della 1a sessione 2019 (istanze di 1a, 2a e 3a fascia presentate dal 1° gennaio al 30 giugno 2019) ed erano ancora disponibili alloggi.
   

Il Ministro della difesa: Lorenzo Guerini.


   GRIBAUDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   la legge di bilancio per il 2019 ha disposto, per il triennio 2019-2021, il blocco della rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, con riferimento a quelli di importo superiore a tre volte il trattamento minimo dell'Inps (articolo 1, comma 260, legge n. 145 del 2018);

   pertanto, con decorrenza dal 1° gennaio 2019, tutte le pensioni di importo superiore a 1.539 euro (a valori 2019), che a legislazione previgente avrebbero avuto diritto a un incremento pari all'1,1 per cento (secondo l'indice di rivalutazione previsto dalla circolare Inps n. 122 del 27 dicembre 2018), sono soggette per legge al blocco della perequazione automatica;

   ciò nondimeno, le pensioni in pagamento da quella data risultano a tutt'oggi calcolate ad importo pieno, senza cioè l'applicazione della prevista riduzione, rimessa in via amministrativa a un successivo «conguaglio»;

   con comunicato del 30 dicembre 2018, l'Inps ha infatti informato che «alle pensioni in pagamento nel prossimo mese di gennaio non è stato possibile applicare la normativa sul sistema di rivalutazione delle pensioni introdotto dalla Legge di stabilità 2019» avendo l'istituto già elaborato entro novembre 2018 gli importi di pensioni rinnovate in applicazione della legislazione a quel momento vigente;

   lo stesso comunicato ha quindi rinviato a una successiva circolare dell'Inps l'illustrazione delle modalità di attuazione delle nuove norme sulla perequazione delle pensioni e l'indicazione dei tempi per i conguagli;

   la suddetta norma che ha disposto il blocco della perequazione automatica delle pensioni concorre alla copertura della manovra di bilancio per il 2019 in misura significativa, determinando un risparmio permanente di spesa pari a 3,6 miliardi di euro nel solo triennio 2019-2020 –:

   se il Governo non ritenga di assumere iniziative affinché ai pensionati ai quali è stato richiesto un sacrificio economico rilevante per la copertura della manovra di bilancio per il prossimo triennio sia data una piena e tempestiva informazione circa gli effetti del previsto blocco della perequazione automatica sui loro importi pensionistici, attuali e futuri;

   in particolare, se non ritenga di assumere iniziative per modificare la disciplina sopracitata considerato che il differimento sine die del «conguaglio» a carico dei pensionati appare all'interrogante lesivo del diritto alla certezza della prestazione previdenziale e sostanzialmente di dubbia legittimità, in quanto risulterebbe lasciata alla discrezionalità amministrativa la scelta dei tempi e delle forme per l'esazione di una prestazione patrimoniale che colpisce una vastissima platea di cittadini (circa 5 milioni di persone);

   se il Governo non valuti indispensabile provvedere nei tempi più rapidi all'applicazione del blocco della perequazione previsto nell'ambito dell'ultima legge di bilancio, in modo da: a) assicurare l'effettività di una norma che concorre significativamente alla copertura della manovra finanziaria; b) limitare al massimo l'importo dei conguagli che saranno posti a carico dei pensionati;

   se il Governo intenda chiarire le motivazioni alla base della tempistica per l'applicazione della norma sopra citata, considerato che il Governo ha stabilito che il conguaglio avverrà dopo le elezioni europee di maggio e che i pensionati a cui si è tornati a mettere le mani in tasca con l'ultima legge di bilancio se ne accorgeranno solo a urne elettorali chiuse.
(4-03834)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame l'interrogante richiama l'attenzione sulle disposizioni in materia di riduzione dei trattamenti pensionistici di cui all'articolo 1, comma 260, della legge 145 del 2018 (legge di bilancio 2019).
  In via preliminare va precisato che l'articolo 1, comma 260, della legge di bilancio; ha previsto una rimodulazione delle fasce di rivalutazione annuale delle pensioni, come attestato dalla circolare Inps n. 44/2019.
  Il legislatore, nella stesura della norma, si è fatto guidare dalla
ratio di tutelare le fasce più deboli procedendo alla determinazione di indici di perequazione del trattamento pensionistico in misura inversamente proporzionale all'aumentare delle fasce di importi dei trattamenti pensionistici, puntualmente enucleati dalla norma in parola.
  La circolare Inps n. 44 del 2019, applicativa della disposizione normativa anzidetta, evidenzia che una significativa modificazione della perequazione automatica avviene di fatto solo relativamente alle pensioni che superino di almeno 5 volte il minimo Inps, restando in concreto impercettibile per le pensioni più basse e poco rilevante per quelle il cui importo è da 4 a 5 volte il minimo Inps.
  In riferimento poi al quesito circa il differimento
sine die del «conguaglio», sollevato dall'onorevole interrogante, potenzialmente lesivo del diritto alla certezza della prestazione previdenziale, l'Inps, interpellato, riferisce che l'applicazione della nuova disposizione ha richiesto la predisposizione di una serie di fasi operative che hanno consentito di erogare i nuovi importi solo nel mese di aprile.
  Pertanto, in relazione al conseguente recupero dei conguagli per il periodo gennaio-marzo, l'istituto ha preventivamente effettuato una verifica degli importi, per valutare l'opportunità o meno di una eventuale ripartizione in più
tranche, al fine di ridurre il disagio nei confronti dei pensionati. All'esito di detta verifica è emersa l'opportunità di effettuare il recupero in un'unica soluzione sulla prima rata utile, giugno 2019.
  Detto questo tengo a precisare che questo Governo presta la massima attenzione alla situazione dei pensionati italiani mosso dal fermo proposito di tutelare, nella massima misura possibile e con gli interventi che si riveleranno via via più idonei, le loro condizioni pensionistiche.
  

La Sottosegretaria di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Francesca Puglisi.


   L'ABBATE, PIGNATONE, ALBERTO MANCA, GAGNARLI, CADEDDU, DEL SESTO, LOMBARDO, CASSESE, PARENTELA, CILLIS, GALLINELLA e MAGLIONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il punto 12 dell'Allegato I del decreto del Presidente della Repubblica n. 151 del 2011, recante l'elenco delle attività soggette alle visite e ai controlli di prevenzione incendi, riporta i depositi e/o le rivendite di liquidi infiammabili e/o combustibili e/o oli lubrificanti, diatermici, di qualsiasi derivazione, di capacità geometrica complessiva superiore a 1 metro cubo;

   con la circolare del Ministero dell'interno del 29 settembre 2017 del «Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile – Direzione centrale per la prevenzione e la sicurezza tecnica» denominata «Linee guida di prevenzione degli incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio delle attività di frantoio oleario-oleificio» si dispone che «i depositi di olio di oliva vergine costituiscono un'attività soggetta al controllo dei vigili del fuoco, in quanto, per quantitativi di olio maggiori di 1 metro cubo sono ascrivibili al p.to 12 dell'Allegato 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 151 del 2011»;

   la legge n. 154 del 2016 «Deleghe al Governo e ulteriori disposizioni in materia di semplificazione, razionalizzazione e competitività dei settori agricolo e agroalimentare, nonché sanzioni in materia di pesca illegale» all'articolo 1, comma 2, modifica l'articolo 1-bis, comma 1, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014 n. 116, inserisce le parole «olio di oliva» e innalza il precedente limite di 1 metro cubo a 6 metri cubi: ai fini dell'applicazione della disciplina dei procedimenti relativi alla prevenzione incendi, infatti, gli imprenditori agricoli che utilizzano depositi di prodotti di capienza non superiore ai 6 metri cubi, anche muniti di erogatore, ai sensi dell'articolo 14, commi 13-bis e 13-ter, del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, non sono tenuti agli adempimenti previsti dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 151 del 2011;

   nella scheda di sicurezza dell'oliva, ai sensi del regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006, nelle informazioni sulle proprietà fisiche e chimiche fondamentali e indicazioni generali, è scritto: cambiamento di stato: Temperatura di ebollizione/ambito di ebollizione: >ca. 350 °C; punto di infiammabilità: 288 °C; temperatura di accensione: >240 °C; pericolo di esplosione: prodotto non esplosivo; densità a 20 °C: 0,91 g/cm3; solubilità in/miscibilità con acqua: insolubile. Secondo la direttiva 67/548/CE, modificata dal regolamento (CE) n. 1272/2008, e i vari recepimenti nazionali, concernenti la classificazione, l'imballaggio ed etichettatura delle sostanze pericolose, queste vengono classificate secondo tre livelli di infiammabilità decrescenti: altamente infiammabili (F+), facilmente infiammabili (F) e infiammabili. Per le proprie caratteristiche fisico-chimiche, l'olio di oliva non rientra in nessuna di queste categorie, ma può essere annoverato tra i «combustibili», ovvero nelle sostanze che ossidate in un processo di combustione sprigionano energia termica. Gli oli di oliva non sono diatermici, requisito posto per tutte le fattispecie considerate per rientrare nella norma –:

   se i depositi di olio di un frantoio per la molitura delle olive siano da ritenersi ricompresi tra quelli indicati nel punto 12 dell'allegato al decreto del Presidente della Repubblica n. 151 del 2011, come da interpretazione del comando nazionale dei vigili del fuoco;

   qualora tali depositi non rientrino tra quelli di cui al punto 12 dell'allegato al decreto del Presidente della Repubblica n. 151 del 2011, in quale delle altre «attività» del medesimo allegato siano ricompresi;

   quale siano le caratteristiche fisico-chimiche dell'olio d'oliva legalmente riconosciute;

   se intenda assumere iniziative per l'emanazione di specifiche regole tecniche per gli impianti di stoccaggio degli oli di origine vegetale che tengano conto del loro peculiare rischio antincendio, difficilmente assimilabile a quello degli altri liquidi infiammabili o combustibili, in modo da prevenire uno sproporzionato e oneroso adeguamento dei depositi dei frantoi.
(4-02811)

  Risposta. — I depositi di olio vegetale alimentare, in particolare di olio di oliva, sono ascrivibili tra i depositi di liquidi combustibili, di qualsiasi derivazione, e conseguentemente soggetti ai procedimenti del decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151, se detenuti in quantità superiori ad un metro cubo (punto 12 dell'allegato I del decreto del Presidente della Repubblica n. 151 del 2011).
  Come evidenziato dall'interrogante la legge 28 giugno 2016, n. 154, in materia di semplificazione, razionalizzazione e competitività dei settori agricolo e agroalimentare esonera, esplicitamente, dai procedimenti previsti dal citato decreto n. 151 del 2011 gli imprenditori agricoli che detengono depositi di olio di oliva di capienza non superiore ai sei metri cubi.
  In ordine alla richiesta di emanare specifiche regole tecniche per gli impianti di stoccaggio degli oli di origine vegetale, si è ritenuto più opportuno, proprio in relazione alle peculiari caratteristiche di tali impianti, emanare, nel settembre 2017, apposite «Linee guida di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio delle attività di frantoio oleario-oleificio».
  Si sottolinea, infine, che tali linee guida, predisposte da questa Amministrazione in collaborazione con le associazioni di categoria (Filiera olivicola-olearia italiana-FOOI), costituiscono un utile strumento per l'individuazione delle misure antincendio più appropriate alla minimizzazione del rischio di incendio caratterizzante la specifica attività.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Vito Claudio Crimi.


   LATINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   la legge 3 maggio 2019, n. 37 (legge europea 2018), con il suo articolo 2, recante «Disposizioni in materia di professione di agente d'affari in mediazione», ha integralmente novellato l'articolo 5, comma 3, della legge 3 febbraio 1989, n. 39, restringendo significativamente il perimetro delle attività incompatibili con l'esercizio della mediazione immobiliare;

   l'intervento del legislatore è stato motivato, fra l'altro, dalla procedura di infrazione avviata dall'Unione europea proprio in relazione al regime normativo previsto dall'articolo 5 della citata legge che, nella sua formulazione originaria, prevedeva che l'esercizio dell'attività di mediazione fosse incompatibile sia con l'attività svolta in qualità di dipendente da persone, società o enti, privati e pubblici, ad esclusione delle imprese di mediazione, sia con l'esercizio di attività imprenditoriali e professionali, escluse quelle di mediazione comunque esercitate;

   dalla lettura della nuova formulazione dell'articolo 5, comma 3, legge n. 39 del 1989 sembra quindi doversi escludere, sia con riferimento all'attività di intermediazione creditizia (nelle forme consentite dalla legge) che con riferimento all'attività di amministrazione condominiale, che il nuovo testo consenta di adottare interpretazioni preclusive o atte ad affermare, in termini generali, un'incompatibilità con l'attività di mediazione immobiliare, fatto salvo il caso in cui, in concreto e con specifico riferimento a situazioni precise e documentate, si possa rinvenire un'effettiva situazione di conflitto di interessi;

   in risposta all'istanza di interpello inoltrata dall'Associazione Arco (Amministratori e revisori contabili) per sapere se l'agente (di affari in mediazione) immobiliare potrà o meno svolgere anche l'attività di amministratore di condominio in via professionale – tenuto conto del nuovo regime delle incompatibilità introdotto dal riformato articolo 5, comma 3, della legge n. 39 del 1989 – in data 22 maggio 2019, la direzione generale per il mercato, la concorrenza, il consumatore, la vigilanza e la normativa tecnica, divisione VI – registro imprese, regolazione e servizi digitali alle imprese del Ministero dello sviluppo economico, ha ritenuto che anche in relazione a questa nuova disciplina permanga l'incompatibilità di detta attività professionale con quella di amministratore condominiale: «sia ove quest'ultima venga intesa come professione intellettuale afferente al medesimo settore merceologico per cui viene esercitata la mediazione (rientrando, quindi, l'incompatibilità nell'ipotesi della lettera c) del nuovo articolo 5, comma 3, legge n. 39 del 1989), sia ove venga considerato l'aspetto imprenditoriale di rappresentanza di beni afferenti al medesimo settore merceologico (rientrando, quindi, nell'ipotesi di incompatibilità della lettera a) del nuovo articolo 5, comma 3, legge n. 39 del 1989); nonché trattandosi comunque di evidente conflitto di interesse per il mediatore immobiliare che, contemporaneamente a curare per il proprio cliente la vendita/acquisto di un immobile, lo amministra e lo gestisce per conto del condominio (lettera d) del nuovo articolo 5, comma 3, legge n. 39 del 1989)». In tale risposta veniva altresì ribadito che lo svolgimento di attività incompatibili con quella di agente di affari in mediazione determina, da parte degli uffici camerali, l'inibizione allo svolgimento di quest'ultima –:

   quali iniziative intenda adottare in relazione a tale questione, posto che tale interpretazione restrittiva fornita dalla direzione generale per il mercato, la concorrenza, il consumatore, la vigilanza e la normativa tecnica, divisione VI – registro imprese, regolazione e servizi digitali alle imprese del Ministero dello sviluppo economico, ad avviso dell'interrogante, si pone in contrasto con la ratio che ha portato il legislatore alla riforma dell'articolo 5, comma 3 della legge n. 39 del 1989 e, più in generale, con l'orientamento espresso dalla Commissione europea nella procedura di infrazione n. 2018/2175.
(4-03779)

  Risposta. — Si risponde ai quesiti oggetto dell'atto in esame rappresentando quanto segue.
  Come richiamato dall'interrogante, l'articolo 2 della legge 3 maggio 2019, n. 37 (legge europea 2018) ha novellato l'articolo 5, comma 3, della legge n. 39 del 1989, prevedendo l'incompatibilità dell'attività di mediatore immobiliare con quella di amministratore condominiale.
  Nello specifico, si evidenzia che tale previsione è volta ad adeguare i contenuti dell'ordinamento giuridico italiano al diritto europeo, anche alla luce della procedura di infrazione n. 2018/2175, con cui la Commissione europea aveva ritenuto che le incompatibilità con l'esercizio della mediazione – di cui all'articolo 5, comma 3, della legge n. 39 del 1989 – limitassero fortemente le attività che un agente immobiliare può svolgere.
  In particolare, la Commissione europea aveva osservato che la normativa comunitaria prevede che qualsiasi restrizione dell'accesso a una professione o, più in generale, a un'attività di prestazione di servizi, deve rispettare il principio di proporzionalità, ossia deve tener specificamente conto delle varie tipologie di professioni e deve essere dettata da un prevalente interesse generale.
  Invece, la normativa nazionale avrebbe rappresentato, a giudizio della Commissione, ben più di un divieto di conflitto di interessi, impedendo agli agenti immobiliari di esercitare qualunque altra attività diversa dall'intermediazione immobiliare, ostacolando la possibilità di sviluppare modelli commerciali innovativi e limitando la capacità degli agenti immobiliari di offrire servizi adattati alle necessità dei loro clienti.
  Riguardo, in particolare, alla risposta fornita all'istanza di interpello inoltrata dall'associazione Arco (Amministratori e revisori contabili), si coglie l'occasione per evidenziare che la predetta nuova disciplina sulle incompatibilità
de qua, è il risultato dell’iter parlamentare che ha avuto la legge europea in questione.
  L'iniziale proposta del Ministero dello sviluppo economico limitava, infatti, la previsione di incompatibilità con l'esercizio di attività imprenditoriali di produzione, vendita, rappresentanza o promozione dei beni afferenti al medesimo settore merceologico dell'attività di mediazione.
  Nel corso dell’
iter parlamentare, è stata inserita anche l'ulteriore previsione di incompatibilità con «l'esercizio congiunto di altra attività svolta in qualità di dipendente di ente pubblico o privato, o di dipendente di istituto bancario, finanziario o assicurativo ad esclusione delle imprese di mediazione, o con l'esercizio di professioni intellettuali afferenti al medesimo settore merceologico per cui si esercita l'attività di mediazione e comunque in situazioni di conflitto di interessi».
  A questo punto è opportuno osservare che la
ratio sottesa alla modifica normativa proposta dal Ministero dello sviluppo economico, rispondeva alla necessità di adeguare la disciplina sull'attività in discorso alle prescrizioni comunitarie, nonché garantiva al contempo (proprio nell'ottica della proporzionalità) la tutela del consumatore attraverso la previsione di una clausola che evitasse ogni conflitto di interessi del mediatore nell'attività svolta.
  Infatti, la modifica proposta verteva a limitare tale incompatibilità alle attività imprenditoriali e non più (come nella norma oggetto di procedura di infrazione) a quelle comunque svolte anche a titolo professionale e di lavoro dipendente.
  In tal modo, si intendeva far divenire l'incompatibilità di tipo relativo, vietando di essere al contempo mediatore (che per definizione del codice civile è soggetto equidistante tra le parti) e parte (in senso sostanziale, come produttore o commerciante di beni o servizi oggetto della attività mediatrice; ovvero in senso formale, in quanto agente o rappresentante di detti beni).
  Alla luce di tale ricostruzione, il Ministero dello sviluppo economico, qualora ricorrano le condizioni e tenuto conto degli interessi di tutti gli operatori del settore, potrà valutare l'opportunità e la possibilità tecnica di intervenire di nuovo sulla disciplina in parola, nel rispetto della disciplina comunitaria.

La Sottosegretaria di Stato per lo sviluppo economico: Alessia Morani.


   LEGNAIOLI, CASTIELLO, CANTALAMESSA, MURELLI, CAFFARATTO, CAPARVI, DURIGON, EVA LORENZONI e MOSCHIONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   notizie a mezzo stampa di quest'oggi riportano la notizia secondo la quale nella giornata del 13 settembre 2019 è scoppiato un incendio in un'azienda in provincia di Avellino, la lgs, che produce contenitori in plastica per batterie automobilistiche;

   le fiamme sono divampate poco dopo le 13,30 nel piazzale esterno all'azienda dove erano state stoccate le produzioni e non ci sarebbero al momento notizie di feriti o intossicati;

   il prefetto di Avellino ha dovuto convocare il dentro coordinamento soccorsi per fronteggiare eventuali criticità provocate dall'inquinamento e ha dichiarato lo stato di emergenza –:

   quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, il Ministro interrogato intenda adottare in relazione a vicende analoghe a quella riportata in premessa, allo scopo di salvaguardare la sicurezza nei luoghi di lavoro.
(4-03833)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante richiama l'attenzione su un incendio divampato all'interno della I.C.S. (Industria Composizione Stampati), azienda situata nell'area industriale di Avellino che produce contenitori in plastica per batterie automobilistiche, con specifico riferimento alla situazione di pericolo venutasi a creare ai suo interno e ai potenziali effetti devastanti per la salute non solo dei lavoratori, ma anche dei cittadini del territorio, oltreché per l'ambiente.
  Alla luce di quanto premesso, rappresento che il Ministero dell'interno, interpellato, ha riferito di aver immediatamente avviato, non appena acquisita la notizia, tutte le necessarie operazioni, in raccordo con le istituzioni chiamate ad intervenire, al fine di mettere in sicurezza l'area interessata e le zone limitrofe e che, a conclusione delle operazioni di spegnimento dell'incendio e di bonifica, la Procura della Repubblica di Avellino ha disposto il sequestro del sito.
  Con riferimento all'episodio, il Ministero della giustizia riferisce che è tuttora in corso una articolata attività investigativa. La procura di Avellino, d'altro canto, all'esito degli accertamenti più urgenti e nei limiti dell'accessibilità all'area interessata dall'incendio, ha proceduto al dissequestro di alcuni macchinari indispensabili per il prosieguo, presso altra struttura, dell'attività imprenditoriale.
  Alla luce dei fatti accaduti e con riferimento allo specifico quesito posto dall'onorevole interrogante, giova evidenziare che il decreto legislativo n. 81 del 2008, cosiddetto Testo unico della salute e sicurezza sui lavoro, nella sezione dedicata alle «sostanze pericolose», determina i requisiti minimi per la protezione dei lavoratori contro i rischi per la salute e la sicurezza che derivano, o possono derivare, dagli effetti di agenti chimici presenti sul luogo di lavoro. Inoltre il decreto ministeriale 10 marzo 1998 recante «Linee guida per la valutazione dei rischi di incendio nei luoghi di lavoro», stabilisce i criteri generali utilizzabili dalle imprese al fine di effettuare la valutazione dei rischi di incendio nei luoghi di lavoro.
  Infine, il decreto legislativo n. 105 del 2015 — emanato in attuazione della direttiva 2012/18/UE — contiene disposizioni finalizzate a prevenire incidenti rilevanti connessi a determinate sostanze pericolose e a limitarne le conseguenze per la salute umana e l'ambiente.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è intervenuto altresì nello specifico settore con la predisposizione di una serie di disposizioni sulla gestione operativa degli stoccaggi negli impianti di trattamento dei rifiuti e sulla prevenzione dei rischi correlati, che prevedono anche piani di emergenza interna e piani di emergenza esterna, con l'obiettivo di ridurre il rischio di nuovi eventi di potenziale pericolo per la salute umana e per l'ambiente.
  Tra le disposizioni richiamate si annovera il decreto-legge n. 113 del 2018, cosiddetto «decreto sicurezza», convertito in legge n. 132 del 2018 e la circolare 1121/2019 con la quale sono state aggiornate le linee guida, pubblicate net marzo del 2018, «per la gestione operativa degli stoccaggi negli impianti di gestione dei rifiuti e per la prevenzione dei rischi.».
  Conclusivamente, in aggiunta a quanto evidenziato, mi preme rammentare che a riprova dei fatto che il tema della sicurezza sul lavoro spicca nell'agenda di Governo per la priorità che gli è stata assegnata, questo Ministero ha avviato, proprio di recente, un confronto sui temi della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Ciò con l'obiettivo di avviare un dialogo costruttivo tra i diversi attori coinvolti, finalizzato alla individuazione di proposte condivise in ordine al rafforzamento e all'eventuale aggiornamento del quadro di tutele e di misure di prevenzione già disciplinate in maniera organica dal decreto legislativo n. 81 del 2008.
  

La Sottosegretaria di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Francesca Puglisi.


   LOVECCHIO, FARO e MISITI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   il canale Lagrimaro sito alla via Manfredonia chilometro 3,500 è caratterizzato da esalazioni di cattivi odori, acque reflue, a volte schiumose e con colorazioni atipiche causate probabilmente dallo sversamento illecito di liquami;

   numerose sono state le segnalazioni e denunce dei cittadini della zona: all'Arpa (dipartimento provinciale di Foggia), ai carabinieri di Cerignola, al consorzio di bonifica della Capitanata, al comando di polizia municipale di Cerignola, al sindaco del comune e, infine, all'Asl di Foggia (presso il dipartimento di prevenzione servizio di igiene e sanità pubblica);

   già a partire dal 2015 i residenti di Cerignola si sono rivolti agli enti preposti al controllo, constatando da parte di questi ultimi la completa indifferenza. Il 6 novembre 2015, la Onlus cittadinanzAttiva, con missiva a/r, ha richiesto con urgenza l'intervento da parte delle autorità ritenute competenti alla soluzione del problema;

   il 14 dicembre 2015 l'azienda sanitaria locale della provincia di Foggia, a seguito del sopralluogo avvenuto presso il canale ha accertato le precarie condizioni igienico-sanitarie dichiarando che «la natura di queste acque scure e a volte ricche di schiuma non è accertata, ma il cattivo odore che ne deriva ne segnala la dubbia provenienza. Non secondaria è la proliferazione di arbusti e la presenza di rifiuti di varia natura, che danno al sito un aspetto di grave abbandono e degrado» e richiedendo un intervento immediato delle autorità competenti;

   in data 17 dicembre 2015, il dipartimento provinciale di Foggia dell'Agenzia regionale per la prevenzione e la protezione dell'ambiente (Arpa), ha comunicato che le attività di indagine per l'accertamento dei responsabili di scarichi abusivi e/o di illeciti, che comportano fenomeni di inquinamento competono alle forze dell'ordine operanti in materia ambientale ed ha quindi trasmesso al corpo di polizia provinciale di Foggia e al Corpo forestale dello Stato di Foggia la richiesta, rimanendo a disposizione per qualsiasi tipo di supporto tecnico richiesto;

   numerose poi sono state le richieste di incontro con il sindaco di Cerignola, con l'assessore all'ambiente, con il comandante di polizia municipale e con il responsabile area tutela del territorio del comune di Cerignola affinché potessero essere verificate le condizioni igienico-sanitarie del canale;

   i fatti sovraesposti potrebbero creare problemi molto seri per i cittadini residenti della zona, mettendo a rischio, oltre la salute di tutti coloro che abitano il territorio, anche le coltivazioni degli agricoltori. Il rischio di inquinamento ambientale risulta infatti, essere molto elevato. L'inquinamento causato dallo scarico, da emissioni e da perdite di sostanze pericolose prioritarie deve essere arrestato e gradualmente eliminato –:

   quali iniziative, per quanto di competenza e in sinergia con gli enti territoriali, il Governo abbia intenzione di portare avanti nell'immediato affinché possa essere evitato un danno ambientale possano essere tutelati il territorio e la salute dei cittadini della zona.
(4-02830)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Per quanto riguarda la condizione del canale di Lagrimaro in agro di Cerignola (FG), considerata la specificità della questione, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha coinvolto gli enti interessati che hanno fornito, ciascuno per quanto di competenza, il proprio specifico contributo, che di seguito si sintetizza sia per quel che concerne lo stato del canale e sia per gli interventi in atto.
  L'Arpa Puglia ha riferito che il canale Lagrimaro è un canale artificiale creato per convogliare le acque meteoriche trattate dalle aziende ubicate nella zona industriale di Cerignola e che gli enti interessati nella gestione sono il comune di Cerignola e il Consorzio di bonifica per la Capitanata.
  È stato eseguito un sopralluogo presso il canale Lagrimaro, i cui esiti analitici non sono stati ancora ultimati. Dalla relazione di sopralluogo si evincono una serie di fattori concomitanti che generano lo stato di criticità del canale dovuto non solo a sversamenti incontrollati ma anche ad un forte fenomeno di abbandono di rifiuti.
  Dal campionamento effettuato le acque del canale sono apparse più simili ad un refluo che a un corso d'acqua. Il liquido ha presentato una colorazione scura con evidenti fenomeni di putrescenza che danno origine a miasmi persistenti. Già a livello visivo il canale è da ritenere a forte stato di degrado ambientale ed igienico-sanitario.
  La forte presenza di rifiuti, oltre che di folta vegetazione, ha reso prevedibile una verosimile assenza di regolare manutenzione del canale. In alcuni tratti non si è riscontrato il decorso delle acque che sono risultate stantie, con un ulteriore aggravio della già precaria condizione ambientale-sanitaria.
  In linea generale l'Arpa, stante la disponibilità ad effettuare eventuali campionamento ed analisi in occasione di indagini, al fine di accertare eventuali superamenti dei valori limite autorizzati o previsti dal decreto legislativo n. 152 del 2006, individua la necessità primaria di bonifica del canale con l'eliminazione dei rifiuti abbandonati nello stesso alveo e parti adiacenti.
  Per questo ultimo aspetto l'Arpa ha proposto una soluzione da mettere in atto tra il Consorzio per la bonifica della Capitanata, gestore del canale Lagrimaro e l'Amministrazione comunale di Cerignola, gestore della condotta della fogna bianca della zona industriale che, a sua volta, scarica nel canale in questione, la quale prevede che il Consorzio ripulisca il canale asportando i rifiuti e il secondo provveda al corretto smaltimento dei rifiuti presso impianti autorizzati.
  Il comune di Cerignola ha fatto presente altresì che è in corso la verifica delle autorizzazioni allo scarico delle acque meteoriche nella rete di fogna bianca rilasciate alle aziende insistenti in zona industriale. Alla conclusione delle attività, lo stesso comune potrà eseguire la predisposizione di un piano di controllo sul campo, con il supporto dell'Arpa Puglia, sugli scarichi autorizzati con caratteristiche di reflui civili ed industriali.
  Ancora il comune ha informato di aver avviato, di concerto con l'ATI, responsabile per l'Acquedotto pugliese della sanificazione delle reti idriche fognarie e dei lavori di manutenzione delle reti idriche fognarie ricadenti nell'ATI n. 1 della provincia di Foggia, una programmazione di verifiche ed ispezioni in continuo delle opere fognarie, soprattutto per evidenziare gli scarichi anomali che provocano scompenso del processo biologico di depurazione. In tale programmazione sarà inserita la verifica ed ispezione della rete di fogna ricadente in zona Pa, essendo il canale Lagrimaro tributario del Canale Fosso Pila.
  Il Presidente del Consorzio per la bonifica della Capitanata ha inoltre riferito che sono già in corso verifiche da parte dell'autorità competente.
  Il responsabile dello Struttura territoriale operativa Avellino-Foggia dell'Acquedotto pugliese ha comunicato, nel maggio 2019, che la società gestisce la rete di fognatura nera dell'abitato di Cerignola, ivi compresa quella presente nella zona industriale, e che l'impianto funziona regolarmente e senza disservizi.
  Infine, il Comando gruppo Carabinieri forestale di Foggia, in merito ai fatti ed eventi connessi al canale, ha effettuato, nel tempo, numerosi controlli che hanno determinato, negli anni 2017 e 2018, il deferimento all'autorità giudiziaria dei responsabili di due aziende per smaltimento illecito di reflui industriali nella rete della fogna bianca e, quindi, nel canale Lagrimaro.
  Attualmente sono in corso attività delegate dall'autorità giudiziaria.
  Per quanto riguarda gli aspetti precipuamente sanitari, il Ministero della salute ha programmato e avviato uno specifico intervento finalizzato alla verifica del degrado ambientale con risvolti di natura igienico-sanitaria, da probabile sversamento illecito di liquami, contattando, anche al fine di interventi congiunti, i Carabinieri forestali, e l'Arpa Puglia per eventuali campionamenti ed indagini analitiche, qualora ritenute necessarie.
  Il Ministero della salute si impegna a proseguire la propria azione di controllo e monitoraggio attraverso un contatto diretto e costante con le istituzioni locali e le autorità competenti, al fine di porre in essere ogni iniziativa utile alla protezione della salute pubblica e al rispetto della normativa vigente.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dal canto suo, assicura il proprio coinvolgimento unitamente alle altre Amministrazioni competenti, in un percorso di natura operativa finalizzato all'adozione di idonei provvedimenti inerenti alla tutela dei corpi idrici, alla disciplina degli scarichi, alla gestione delle bonifiche e al risarcimento del danno ambientale, atti a gestire tale emergenza ambientale.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.


   LUCCHINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   recentemente, come appreso sulle cronache locali e nazionali, diversi branchi di lupi si stanno pericolosamente avvicinando ai piccoli centri montani abitati dell'Oltrepò Pavese; attaccano le greggi, i bovini e animali domestici;

   a farne le spese è stato il cane Bric, a Scaparina, a 1.100 metri di altitudine, nei pressi di Brallo di Pregola;

   i proprietari del cane hanno trovato i resti dilaniati nel cortile di casa, che si trova esattamente sulla linea di confine tra Lombardia ed Emilia-Romagna. Dalle lesioni alla giugulare è inconfondibile il modus operandi dei lupi che ultimamente proliferano in maniera incontrollata nella zona, mettendo a serio rischio non solo gli animali domestici ma anche l'uomo stesso;

   i proprietari del cane enormemente dispiaciuti per la perdita dell'animale, considerato a tutti gli effetti un membro della famiglia, chiedono a gran voce l'intervento delle istituzioni e un indennizzo assicurativo relativo alla perdita del cane rinvenuto nella zona di cortile sul territorio dell'Emilia-Romagna;

   è operativa la procedura di riconoscimento dei danni occorsi a cose ed animali (domestici, d'allevamento e da reddito in genere) provocati da orsi e grandi carnivori, come il lupo, sul territorio di competenza della Regione Lombardia;

   il nuovo «Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia» del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in corso di approvazione (che sostituisce quello del 2002), prevede una serie di misure a difesa del lupo e a «minimizzare il suo impatto sulle attività dell'uomo»;

   tale piano riconosce che la presenza del lupo rende inevitabile «un certo grado di danni al bestiame» e, per questo motivo, intende prevedere maggiori risorse per i risarcimenti agli allevatori, allo scopo di incentivare misure di prevenzione degli attacchi come i cani «anti-lupo» e i recinti elettrici –:

   se il Ministro interrogato non ritenga doveroso esaminare il caso di cui in premessa e assumere tutte le opportune iniziative di competenza per garantire misure di indennizzo omogenee su tutto il territorio nazionale in ordine agli attacchi e ai danni provocati dal lupo ad animali domestici o di allevamento e alle persone, così evitando casi come quello sopra esposto ove le difformità normative tra le due regioni rendono ancora più evidente il problema.
(4-02689)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Il lupo è una specie particolarmente tutelata dal quadro normativo europeo. La convenzione di Berna lo inserisce tra le specie strettamente protette (allegato II) mentre la direttiva Habitat lo colloca tra le specie di interesse comunitario, la cui conservazione richiede la designazione di ZSC e una protezione rigorosa (allegati B e D).
  La specie è inserita tra quelle particolarmente protette dalla normativa nazionale (legge 11 febbraio 1992, n. 157, articolo 2 comma 1). In base al quadro normativo nazionale e comunitario sopra delineato, è vietata in generale l'uccisione di esemplari della specie.
  Le norme prevedono possibilità di deroga ai divieti di cattura o abbattimento, in caso di gravi danni e a condizione che non esistano soluzioni alternative praticabili e che la deroga non pregiudichi il mantenimento, in uno stato di conservazione soddisfacente, delle popolazioni del lupo.
  L'Italia si è dotata nel 2002 di un piano d'azione per la conservazione del lupo, che esclude la possibilità di attivare deroghe ai divieti di abbattimento.
  Come è noto è stato proposto un nuovo piano di conservazione e gestione del lupo in Italia, in corso di valutazione da parte della conferenza Stato-Regioni, nell'ambito del quale sono previste 22 azioni finalizzate ad agire sui fattori che minacciano la specie, tra cui azioni per la mitigazione della mortalità antropogenica (in cui rientra la regolamentazione della braccata nelle area adiacenti/contigue alle aree protette) e azioni per la prevenzione e mitigazione dei conflitti con le attività zootecniche, intendendo come indispensabile agire per mitigare l'impatto della specie al fine di garantire la sua conservazione.
  Tale piano è stato ampiamente riconosciuto dagli esperti e dalle stesse regioni come uno strumento valido e ben impostato per l'efficace conservazione e gestione del lupo, rimanendo aperto unicamente il confronto sulla possibilità e le modalità di ricorso ad eventuali deroghe al generale divieto di cattura e uccisione.
  Si tratta di un aspetto che ha polarizzato le posizioni delle diverse regioni e che il Ministero dell'ambiente suggerisce di affrontare secondo le specifiche esigenze regionali e locali, sempre nel rigoroso rispetto delle norme nazionali ed europee.
  Per quanto riguarda la predazione su ungulati selvatici da parte del lupo, l'Ispra precisa che l'elemento rientra tra i comportamenti naturali della specie ed evidenzia come la pianificazione faunistico-venatoria prevista all'articolo 10, comma 1, della legge n. 157 del 1992 abbia come finalità, per quanto attiene alle specie carnivore, la conservazione delle effettive capacità riproduttive e il contenimento naturale di altre specie.
  Riguardo la presenza del lupo nel nostro Paese, l'Ispra, evidenzia che l'incremento numerico e distributivo registrato negli ultimi decenni impone un costante sforzo di aggiornamento delle conoscenze sulla specie, anche al fine di fornire ai decisori dati scientifici credibili e autorevoli sui quali basare le scelte di conservazione e gestione.
  Proprio per questo obiettivo, il Ministero dell'ambiente ha incaricato l'istituto di elaborare e applicare una strategia nazionale di monitoraggio, che permetta di raccogliere dati standardizzati per tutto il territorio interessato dalla presenza del lupo, su distribuzione e abbondanza della specie e distribuzione e prevalenza dell'ibridazione con il cane (che rappresenta uno dei principali fattori di minaccia, riconducibile alla presenza sul territorio di cani vaganti e inselvatichiti).
  L'Ispra precisa che il monitoraggio verterà anche sulla raccolta di dati circa la diffusione dei danni agli animali domestici e l'applicazione ed efficacia dei metodi di prevenzione degli impatti, al fine di identificare le zone ove si concentrano i conflitti tra predatore e attività dell'uomo, come elemento utile per una più efficace gestione della materia.
  L'impostazione del piano di lavoro per la definizione della strategia di monitoraggio è stata discussa in un convegno organizzato da Ispra, che si è tenuto a Roma il 3-4 dicembre 2018, al quale hanno partecipato i principali esperti del lupo del mondo della ricerca, delle aree protette, delle regioni e province autonome e delle mondo delle associazioni.
  L'incontro ha permesso inoltre di fare il punto sulle conoscenze sul lupo in Italia, sui risultati dei progetti di monitoraggio, sui dati circa l'ibridazione con il cane domestico, sulle esperienze di mitigazione dei conflitti con le attività antropiche.
  Peraltro non esiste una base di dati aggiornata ed esaustiva sui danni causati dal lupo nel nostro Paese, tuttavia una ricognizione condotta dall'unione zoologica italiana su incarico del Ministero dell'ambiente, per il periodo 2010-2014, con dati relativi a 15 regioni, 2 province autonome e 9 parchi nazionali, pubblicati nel rapporto 2018 per l'Unione europea di Linnell e Cretois, indicava per l'Italia una media di 2.590 capi predati/anno, con indennizzi erogati in media di 1.439.308 euro/anno.
  Alla luce del quadro normativo nazionale e comunitario, sopra delineato, che impone che la mitigazione dei danni venga attuata prioritariamente escludendo il ricorso a rimozioni di esemplari di lupo, le tecniche di intervento in tale ambito prevedono l'applicazione di metodi di prevenzione degli attacchi e l'erogazione di indennizzi.
  La prevenzione degli attacchi da parte della specie non consiste nella mera introduzione di tecniche ma in un processo complesso che include il cambiamento delle modalità di gestione degli allevamenti non adatte alla presenza del predatore, la valutazione di ogni singolo contesto per l'individuazione di strategie specifiche per ciascuno e l'uso di più strumenti contemporaneamente.
  Le principali misure di prevenzione sono rappresentate da:

   presenza del pastore in alpeggio. È la condizione necessaria perché vengano attuate tutte le altre forme di prevenzione;

   recinzioni elettrificate (per il ricovero notturno delle greggi o di categorie di bestiame più vulnerabili, quali partorienti e nuovi nati);

   cani da guardiania (per i quali risulta fondamentale il corretto addestramento, volto anche a controllare l'aggressività nei confronti di estranei ed in particolare turisti);

   dissuasori.

  Inoltre, in diversi contesti sono stati introdotti con successo i cosiddetti «referenti zootecnici», ossia delle figure che supportano gli allevatori nella scelta e realizzazione dei metodi preventivi più idonei.
  In merito ai possibili attacchi nei confronti dell'uomo, la progressiva espansione dell'areale del lupo è all'origine delle crescenti interazioni con l'uomo, oltre che con le sue attività, e questo genera in diversi contesti del Paese allarme dei cittadini per possibili rischi per la loro sicurezza.
  Il lupo è attualmente segnalato anche in contesti diversi da quelli dove era tradizionalmente presente, quali gli ambienti di pianura, tanto da aver recentemente colonizzato anche le propaggini più estreme della Puglia e le immediate circostanze dell'aree urbane di Firenze e Roma. In diversi contesti nazionali il lupo frequenta abitualmente aree anche ad alta frequentazione umana, entrando all'interno di molti centri abitati, ad esempio, dell'Abruzzo, della Toscana o del Trentino e avvicinandosi regolarmente alle abitazioni dell'uomo in molte regioni del Paese.
  Dati ottenuti tramite monitoraggio di individui dotati di radio-collari indicano che la presenza del lupo all'interno di paesi e villaggi è molto frequente, anche se il comportamento elusivo della specie spesso determina che gli abitanti dei centri frequentati non siano coscienti di tale presenza, in particolare dove non sia presente copertura nevosa, che facilita il rilevamento della specie.
  In riferimento a possibili rischi di aggressioni nei confronti dell'uomo, i dati scientifici disponibili sia per l'Italia che su scala mondiale, indicano che tali rischi sono estremamente limitati.
  In merito alla frequentazione degli ambiti antropizzati si fa riferimento a quanto recentemente indicato nel
policy support statement prodotto dalla large carnivore initiative for Europe dell'IUCN in merito ai lupi «confidenti».
  Il processo di «abituazione» all'ambiente antropizzato (ossia l'instaurarsi di comportamenti di indifferenza del lupo a elementi dell'ambiente legati alla presenza umana, quali infrastrutture o veicoli), che avviene quando un animale selvatico, vivendo in un simile contesto, non riceve stimoli negativi o positivi, non rappresenta di per sé un pericolo.
  La definizione di lupo «confidente» va, invece, limitata ai casi in cui l'individuo manifesta ripetutamente tolleranza alla presenza dell'uomo (riconoscibile come tale, non protetto all'interno di un edificio o di un veicolo), o addirittura lo avvicina intenzionalmente, a distanze ravvicinate, che per convenzione si assumono inferiori ai 30 metri (tale distanza è anche la massima possibile per l'attuazione della tecnica dei proiettili di gomma).
  Nei casi in cui vi siano lupi abituati all'ambiente antropizzato, è preliminarmente opportuno evitare che gli individui siano sottoposti a processi di condizionamento positivo, favoriti, ad esempio, dalla presenza di fonti alimentari facilmente accessibili, che potrebbero determinare l'aumento della confidenza nei confronti dell'uomo.
  È quindi essenziale che vengano messe in atto tutte le azioni necessarie perché nell'area di presenza della specie siano esclusi fattori di questo tipo, ad esempio scarti di macellazione o scarti alimentari abbandonati sul territorio, oltre che vengano attuate tutte le strategie di prevenzione dal comportamento predatorio del lupo nei riguardi di animali domestici, sopra riportate (recinzioni elettrificate, ricovero notturno e diurno, per le categorie di bestiame più vulnerabili, e uso dei cani da guardiana).
  Tanto premesso, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a portare avanti gli interventi e le attività di competenza e a valutare con le regioni il sostegno a specifiche iniziative di conservazione e gestione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.


   NESCI, BARBUTO, TROIANO, ORRICO, D'IPPOLITO, SAPIA, MISITI, VILLANI, D'ARRANDO, TUCCI, NAPPI, MELICCHIO e GALLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   la provincia di Vibo Valentia soffre, ad oggi, di un grave vuoto istituzionale, dovuto alla mancata nomina di un nuovo procuratore della Repubblica a seguito della scomparsa del procuratore, il dottor Giordano Bruno, avvenuta nel dicembre 2018; tuttavia, a causa delle sue gravi condizioni di salute, già all'inizio del 2018, la procura della suddetta provincia era stata affidata, con incarico formalizzato nel mese di maggio, a un magistrato che aveva preso le funzioni soltanto nel novembre 2015;

   come riportato da un'indagine condotta dal quotidiano «Il Sole 24 Ore» nel 2018, sulla base di dati riferiti all'anno 2017, forniti dal dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, quella di Vibo Valentia si posiziona al primo posto, tra le provincie italiane, per numero di tentati omicidi, omicidi volontari e altri gravi delitti, che ne fanno una delle più pericolose a livello nazionale; in particolare, solo negli ultimi tre anni, la provincia di Vibo Valentia sarebbe stata teatro delle principali operazioni antimafia della regione, tra le quali: l'operazione «Overing», relativa ad organizzazione transnazionale dedita al narcotraffico; le operazioni «Gringia» e «Romanzo Criminale», relative alla faida tra le famiglie ’ndranghetiste dei Patania e Piscopisani, conclusesi con una dozzina di pesanti condanne per associazione mafiosa; l'operazione «Costa Pulita», relativa a due diversi gruppi criminali ’ndranghetisti collegati alla famiglia Mancuso, cosca predominante nell'universo criminale del territorio, che aveva ad oggetto i condizionamenti malavitosi nel settore turistico del litorale; l'operazione «Conquista», nei confronti di appartenenti alla cosca dei Bonavota di Sant'Onofrio, per gli omicidi di Cracolici Raffaele e di Di Leo Domenico; l'operazione «Stammer», relativa ad una vasta organizzazione transnazionale dedita al narcotraffico internazionale, che aveva importato tonnellate di cocaina dalla Colombia; le operazioni «Black Widows» ed «Errore Fatale», concernenti alcuni fatti di sangue rispettivamente nelle località di Sorianello e nei confronti della cosca Mancuso; a riprova della profonda situazione di disagio in cui la provincia del vibonese versa in assenza di un procuratore che ne monitori e ne segua gli sviluppi in ambito criminale, è dal segnalare l'episodio avvenuto il 30 maggio 2019, come riportato sulla versione online del quotidiano «Corriere della Calabria»; nel succitato episodio, il trentaduenne Francesco Olivieri, a seguito della condanna all'ergastolo emessa dal tribunale di Vibo, su richiesta del pubblico ministero Concertina Iannazzo, avrebbe cominciato a prendere «a calci la rete di separazione della gabbia in cui si trovava» minacciandola «pesantemente», tentando addirittura «di prendere la pistola agli agenti della Polizia penitenziaria intervenuti per calmarlo»; i fatti brevemente riportati evidenziano immancabilmente la necessità che la procura della Repubblica di Vibo Valentia si doti di un Procuratore nei più brevi tempi possibili, sulla scia della recentissima nomina del nuovo Presidente dissezione del tribunale di Vibo Valentia nella persona della dottoressa Tiziana Macrì, come riportato dal quotidiano «Corriere della Calabria» in un articolo del 18 giugno 2019; lo stesso procuratore della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, Nicola Gratteri, ha sottolineato, in una dichiarazione riportata nello stesso articolo, l'importanza e la necessità della nomina del procuratore di Vibo Valentia «per la collettività» e per l'intera «Procura distrettuale» –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei gravi fatti di cui in premessa e se non intenda, per quanto di competenza e nel rispetto dell'autonomia della magistratura, adottare iniziative volte alla copertura dell'organo vacante alla procura di Vibo Valentia.
(4-03168)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla copertura del posto di Procuratore capo della procura della Repubblica presso il tribunale di Vibo Valentia, va necessariamente premesso che le determinazioni in merito alla copertura dei posti di magistrati costituiscono prerogativa del Consiglio superiore della magistratura.
  Tuttavia, si segnala che l'ufficio della procura di Vibo Valentia è retto dalla dottoressa Filomena Alberti in virtù di un provvedimento di formale investitura del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro a partire dall'ottobre 2018.
  La scopertura effettiva del posto di capo dell'ufficio risale al 27 dicembre 2018 e la procedura per la copertura della vacanza, pubblicata dal Csm il 21 marzo 2019, si avvia ad imminente conclusione; lo scrivente Ministro della giustizia ha, infatti, già firmato l'atto di concerto per la futura nomina.
  Dal punto di vista della gestione delle attività giudiziarie e con riferimento anche ai gravi fatti di sangue di cui è menzione nell'interrogazione al Ministro della giustizia, preme evidenziare che i magistrati della procura di Vibo Valentia hanno fatto fronte agli episodi delittuosi con elevatissimo tasso di risoluzione sia in termini cautelari che di condanna. Tra il marzo 2018 (momento di inizio delle difficoltà del Procuratore Giordano) e l'attualità si sono registrati numerosi omicidi e tentati omicidi, tutti risolti in termini di individuazione dei colpevoli.
  Quanto, poi, al riportato episodio che ha visto vittima di gravi minacce il Sostituto dottoressa Concertina Iannazzo unitamente al Gup dottor Gianni Garofalo all'esito della requisitoria del P.M. nel processo a carico di Olivieri Francesco, si precisa che il Procuratore, su puntuale indicazione della medesima dottoressa Iannazzo, aveva già segnalato al Presidente del tribunale facente funzione l'accentuata pericolosità dell'imputato, sì da consentire la predisposizione degli strumenti di «contenimento» effettivamente adottati per lo svolgimento dell'udienza
de qua. Così come, immediatamente, si notiziava il Procuratore generale dell'accaduto per i provvedimenti di competenza.
  Per quanto riguarda le due vacanze di organico effettive, la Procura generale ha dato seguito alla richiesta, avanzata dal Procuratore di Vibo Valentia facente funzione, di applicazione endo-distrettuale di un magistrato a far data dal 3 settembre 2019 e per sei mesi, sì da consentire una migliore gestione degli impegni di udienza e delle altre incombenze dei sostituti in servizio presso la procura di Vibo Valentia.
  Inoltre, con delibera del 24 luglio 2019 il Consiglio superiore della magistratura ha pubblicato i due posti vacanti e deliberato per uno dei due.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   NOBILI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   è stato depositato il cosiddetto «Piano Lupo» – recentemente elaborato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – in sede di Conferenza Stato-regioni;

   in tale piano sono previste forti limitazioni alla caccia al cinghiale in braccata. È difatti prevista una rigida regolamentazione, valida per due anni, da applicare alle aree sensibili come i siti Rete Natura 2000 e le aree contigue adiacenti ai parchi nazionali e regionali;

   tale scelta in una regione come la Toscana inibirà la caccia al cinghiale in braccata su una estensione di circa 57 mila ettari di aree contigue e oltre 330 mila ettari di siti Rete Natura 2000. Cioè Sic, Sir e Zps;

   l'elevato numero di abbattimenti da parte delle squadre di cacciatori ha ridotto in buona misura il numero degli ungulati, riducendo altresì i danni che essi arrecano al mondo agricolo. Appare dunque logico che l'inibizione della caccia in braccata porterebbe ad una nuova prolificazione in massa, con ingenti danni all'agricoltura, al pari degli eventi predatori;

   d'altronde, le battute di caccia si svolgono in zone talvolta contigue alla presenza di allevamenti, allontanando lupi e canidi;

   inoltre, la caccia al cinghiale rappresenta un indotto economico rilevante per la suddetta regione, richiamando appassionati da tutto il territorio nazionale;

   il presidente di Federcaccia – Luciano Monaci – ha commentato il Piano Lupo, denunciando: «A Roma proprio non hanno capito di cosa stiamo parlando. (...) Come si fa anche solo a pensare che le braccate, fondamentali per ridurre il numero di cinghiali, siano di disturbo ad una specie, il lupo, in progressivo aumento ovunque?»;

   a Roma, di recente, si è svolto un convegno promosso da Ispra nel quale è stato messo da parte l'approccio scientifico e istituzionale che, sulla scorta dei dati e delle esperienza maturate anche in altri Paesi europei, ponevano l'esigenza di un cambio di passo, introducendo la possibilità di garantire le attività di gestione e di controllo della specie;

   invero, anche Coldiretti ha chiesto di capovolgere il punto di vista sulla questione e di «salvare le migliaia di pecore e capre sbranate, mucche sgozzate e asinelli uccisi», rilevando che «non si possono costringere all'abbandono tante famiglie che da generazioni vivono di allevamento e pastorizia»;

   d'altronde, dall'Associazione regionale Cacciatori Toscani (Arct), Francesco Rustici ha spiegato: «Le ricadute sarebbero devastanti per la caccia del cinghiale. Stiamo parlando di una specie problematica che oggi, grazie alle squadre e alla braccata, registra piani di prelievo annuali di circa 70 mila capi abbattuti in media» –:

   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per rivedere il cosiddetto Piano Lupo, considerati i rischi e le gravi ricadute dello stesso – alla luce delle ragioni citate in premessa – e se intenda assumere ogni iniziativa di competenza per garantire una plurima tutela dell'attività venatoria, degli agricoltori e degli allevatori toscani.
(4-02742)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Il lupo è una specie particolarmente tutelata dal quadro normativo europeo. La Convenzione di Berna lo inserisce tra le specie strettamente protette (allegato II) mentre la direttiva Habitat lo colloca tra le specie di interesse comunitario, la cui conservazione richiede la designazione di ZSC e una protezione rigorosa (allegati B e D).
  La specie è inserita tra quelle particolarmente protette dalla normativa nazionale (legge 11 febbraio 1992, n. 157, articolo 2 comma 1). In base al quadro normativo nazionale e comunitario sopra delineato, è vietata in generale l'uccisione di esemplari della specie.
  Le norme prevedono possibilità di deroga ai divieti di cattura o abbattimento, in caso di gravi danni e a condizione che non esistano soluzioni alternative praticabili e che la deroga non pregiudichi il mantenimento, in uno stato di conservazione soddisfacente, delle popolazioni del lupo.
  L'Italia si è dotata nel 2002 di un piano d'Azione per la conservazione del lupo che esclude la possibilità di attivare deroghe ai divieti di abbattimento.
  Come è noto è stato proposto un nuovo piano di conservazione e gestione del lupo in Italia, in corso di valutazione da parte della Conferenza Stato-regioni, nell'ambito del quale sono previste 22 azioni finalizzate ad agire sui fattori che minacciano la specie, tra cui azioni per la mitigazione della mortalità antropogenica (in cui rientra la regolamentazione della braccata nelle area adiacenti/contigue alle aree protette) e azioni per la prevenzione e mitigazione dei conflitti con le attività zootecniche, intendendo come indispensabile agire per mitigare l'impatto della specie al fine di garantire la sua conservazione.
  Tale piano è stato ampiamente riconosciuto dagli esperti e dalle stesse regioni come uno strumento valido e ben impostato per l'efficace conservazione e gestione del lupo, rimanendo aperto unicamente il confronto sulla possibilità e le modalità di ricorso ad eventuali deroghe al generale divieto di cattura e uccisione.
  Si tratta di un aspetto che ha polarizzato le posizioni delle diverse regioni e che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare suggerisce di affrontare secondo le specifiche esigenze regionali e locali, sempre nel rigoroso rispetto delle norme nazionali ed europee.
  Per quanto riguarda la predazione su ungulati selvatici da parte del lupo, l'Ispra precisa che l'elemento rientra tra i comportamenti naturali della specie ed evidenzia come la pianificazione faunistico-venatoria prevista all'articolo 10 comma 1 della legge n. 157 del 1992 abbia come finalità, per quanto attiene alle specie carnivore, la conservazione delle effettive capacità riproduttive e il contenimento naturale di altre specie.
  Riguardo la presenza del lupo nel nostro Paese, l'Ispra evidenzia che l'incremento numerico e distributivo registrato negli ultimi decenni impone un costante sforzo di aggiornamento delle conoscenze sulla specie, anche al fine di fornire ai decisori dati scientifici credibili e autorevoli sui quali basare le scelte di conservazione e gestione.

  Proprio per questo obiettivo, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha incaricato l'istituto di elaborare e applicare una strategia nazionale di monitoraggio, che permetta di raccogliere dati standardizzati per tutto il territorio interessato dalla presenza del lupo, su distribuzione e abbondanza della specie e distribuzione e prevalenza dell'ibridazione con il cane (che rappresenta uno dei principali fattori di minaccia, riconducibile alla presenza sul territoriali cani vaganti e inselvatichiti).
  L'Ispra precisa che il monitoraggio verterà anche sulla raccolta di dati circa la diffusione dei danni agli animali domestici e l'applicazione ed efficacia dei metodi di prevenzione degli impatti, al fine di identificare le zone ove si concentrano i conflitti tra predatore e attività dell'uomo, come elemento utile per una più efficace gestione della materia.
  L'impostazione del piano di lavoro per la definizione della strategia di monitoraggio è stata discussa in un convegno organizzato da Ispra, che si è tenuto a Roma il 3-4 dicembre 2018, al quale hanno partecipato i principali esperti del lupo del mondo della ricerca, delle aree protette, delle regioni e province autonome e delle mondo delle associazioni.
  L'incontro ha permesso inoltre di fare il punto sulle conoscenze sul lupo in Italia, sui risultati dei progetti di monitoraggio, sui dati circa l'ibridazione con il cane domestico, sulle esperienze di mitigazione dei conflitti con le attività antropiche.
  Peraltro non esiste una base di dati aggiornata ed esaustiva sui danni causati dal lupo nel nostro Paese, tuttavia una ricognizione condotta dall'Unione zoologica italiana su incarico del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per il periodo 2010-2014, con dati relativi a 15 regioni, 2 province autonome e 9 parchi nazionali, pubblicati nel rapporto 2018 per l'Unione europea di Linnell e Cretois, indicava per l'Italia una media di 2.590 capi predati all'anno, con indennizzi erogati in media di 1.439.308 euro all'anno.
  Alla luce del quadro normativo nazionale e comunitario, sopra delineato, che impone che la mitigazione dei danni venga attuata prioritariamente escludendo il ricorso a rimozioni di esemplari di lupo, le tecniche di intervento in tale ambito prevedono l'applicazione di metodi di prevenzione degli attacchi e l'erogazione di indennizzi.
  La prevenzione degli attacchi da parte della specie non consiste nella mera introduzione di tecniche ma in un processo complesso che include il cambiamento delle modalità di gestione degli allevamenti non adatte alla presenza del predatore, la valutazione di ogni singolo contesto per l'individuazione di strategie specifiche per ciascuno e l'uso di più strumenti contemporaneamente.
  Le principali misure di prevenzione sono rappresentate da:

   presenza del pastore in alpeggio. È la condizione necessaria perché vengano attuate tutte le altre forme di prevenzione;

   recinzioni elettrificate (per il ricovero notturno delle greggi o di categorie di bestiame più vulnerabili, quali partorienti e nuovi nati);

   cani da guardiania (per i quali risulta fondamentale il corretto addestramento, volto anche controllare l'aggressività nei confronti di estranei ed in particolare turisti);

   dissuasori.

  Inoltre, in diversi contesti sono stati introdotti con successo i cosiddetti «referenti zootecnici», ossia delle figure che supportano gli allevatori nella scelta e realizzazione dei metodi preventivi più idonei.
  In merito ai possibili attacchi nei confronti dell'uomo, la progressiva espansione dell'areale del lupo è all'origine delle crescenti interazioni con l'uomo, oltre che con le sue attività, e questo genera in diversi contesti del Paese allarme dei cittadini per possibili rischi per la loro sicurezza.
  Il lupo è attualmente segnalato anche in contesti diversi da quelli dove era tradizionalmente presente, quali gli ambienti di pianura, tanto da aver recentemente colonizzato anche le propaggini più estreme della Puglia e le immediate circostanze dell'aree urbane di Firenze e Roma. In diversi contesti nazionali il lupo frequenta abitualmente aree anche ad alta frequentazione umana, entrando all'interno di molti centri abitati, ad esempio, dell'Abruzzo, della Toscana o del Trentino e avvicinandosi regolarmente alle abitazioni dell'uomo in molte regioni del Paese.
  Dati ottenuti tramite monitoraggio di individui dotati di radio-collari indicano che la presenza del lupo all'interno di paesi e villaggi è molto frequente, anche se il comportamento elusivo della specie spesso determina che gli abitanti dei centri frequentati non siano coscienti di tale presenza, in particolare dove non sia presente copertura nevosa, che facilita il rilevamento della specie.
  In riferimento a possibili rischi di aggressioni nei confronti dell'uomo, i dati scientifici disponibili sia per l'Italia che su scala mondiale, indicano che tali rischi sono estremamente limitati.
  In merito alla frequentazione degli ambiti antropizzati si fa riferimento a quanto recentemente indicato nel
Policy support statement prodotto dalla Large Carnivore Initiative for Europe dell'IUCN, in merito ai lupi «confidenti».
  Il processo di «abituazione» all'ambiente antropizzato (ossia l'instaurarsi di comportamenti di indifferenza del lupo a elementi dell'ambiente legati alla presenza umana, quali infrastrutture o veicoli), che avviene quando un animale selvatico, vivendo in un simile contesto, non riceve stimoli negativi o positivi, non rappresenta di per sé un pericolo.
  La definizione di lupo «confidente» va, invece, limitata ai casi in cui l'individuo manifesta ripetutamente tolleranza alla presenza dell'uomo (riconoscibile come tale, non protetto all'interno di un edificio o di un veicolo), o addirittura lo avvicina intenzionalmente, a distanze ravvicinate, che per convenzione si assumono inferiori ai 30 metri (tale distanza è anche la massima possibile per l'attuazione della tecnica dei proiettili di gomma).
  Nei casi in cui vi siano lupi abituati all'ambiente antropizzato, è preliminarmente opportuno evitare che gli individui siano sottoposti a processi di condizionamento positivo, favoriti, ad esempio, dalla presenza di fonti alimentari facilmente accessibili, che potrebbero determinare l'aumento della confidenza nei confronti dell'uomo.
  È quindi essenziale che vengano messe in atto tutte le azioni necessarie perché nell'area di presenza della specie siano esclusi fattori di questo tipo, ad esempio scarti di macellazione o scarti alimentari abbandonati sul territorio, oltre che vengano attuate tutte le strategie di prevenzione dal comportamento predatorio del lupo nei riguardi di animali domestici, sopra riportate (recinzioni elettrificate, ricovero notturno e diurno, per le categorie di bestiame più vulnerabili, e uso dei cani da guardiana).
  Tanto premesso, il Ministero dell'ambiente continuerà a portare avanti gli interventi e le attività di competenza e a valutare con le regioni il sostegno a specifiche iniziative di conservazione e gestione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.


   OCCHIONERO. — Al Ministro della difesa, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

   il 12 luglio 1944 il Ministero della guerra, con telescritto n. 1444, ordinava la mobilitazione delle forze bonificatrici dei campi minati con la costituzione della 561A e della 562A Compagnia autonoma rastrellatori mine le quali entravano in attività nello stesso mese di luglio 1944, con circa 200 elementi ciascuna, la prima nel settore del basso Lazio fino ai territori delle province di La Spezia e Genova e la seconda nei territori dell'Abruzzo e del Molise fino alle province di Ravenna, Bologna e Ferrara;

   nel marzo del 1945 gli istruttori della 562A Compagnia autonoma rastrellatori mine addestravano cinquanta carabinieri e altri duecento genieri, quest'ultimi destinati a costituire la 563A Compagnia autonoma rastrellatori mine mentre, nel mese di agosto dello stesso anno, circa altri duecento militari andavano a rinforzare i reparti suddetti inquadrati, nella 564A Compagnia autonoma rastrellatori mine;

   tra il marzo 1945 e il maggio 1946, la 562A, la 563A e la 564A Compagnia autonoma rastrellatori mine portavano a compimento la bonifica di innumerevoli infrastrutture stradali, agricole e industriali nelle province della bassa emiliana, teatro di aspri combattimenti sulla «linea Gotica» e, in Friuli, lungo il fiume Tagliamento e le spiagge friulane;

   per disposizione del Ministero della guerra, nello stesso mese di agosto 1945, la 562A, la 563A e la 564A Compagnia passavano, ai fini operativi, alle dipendenze del Comando genio territoriale di Bologna, mentre non sono state reperite fonti che indichino sotto quale Comando passò la 561A Compagnia autonoma rastrellatori mine;

   dall'ottobre 1944 al novembre 1948 ufficiali provenienti dalle suddette compagnie e da altri reparti addestravano un totale di circa duemilacinquecento civili destinati, pur essi, alla bonifica del territorio nazionale;

   ancora oggi, nonostante le pochissime pubblicazioni specializzate e l'impegno trentennale del Comitato per la memoria della bonifica dei campi minati, associazione di promozione sociale, con sede in Campobasso, non si è riusciti a far aggiornare fogli e ruoli matricolari relativi ad alcuni caduti delle suddette compagnie i quali, in alcuni casi, sono registrati nelle liste del Commissariato per le onoranze ai caduti in guerra, con dati errati o incompleti, mentre gli archivi contenenti le notizie relative sia ai civili che al territorio sminato, pur essendo allocati presso, rispettivamente il 6° Reparto infrastrutture di Bologna, il 7° Reparto infrastrutture di Firenze, l'8° Reparto infrastrutture di Roma e il 10° Reparto infrastrutture di Napoli, non sono mai stati versati ai competenti Archivi di Stato e gli stessi carteggi, pur rivestendo valenze storica, non vengono tenuti in buone condizioni di conservazione e subiscono, come nel caso di quello di Roma, a quanto risulta all'interrogante, trasferimento che ne minano l'integrità;

   ciò contraddittoriamente a quanto avvenuto negli anni Novanta per l'archivio della direzione generale lavori, demanio, materiali, genio, divisione II, Genio Difesa il quale, anche se non ancora riordinato, è oggi in libera consultazione presso l'Archivio Centrale dello Stato;

   il Comitato suddetto, nonostante svariate corrispondenze e colloqui avuti, in tempi vari, con diversi enti militari e civili, non è riuscito a definire, a tutt'oggi, la collocazione dei faldoni contenenti le pratiche tecnico-amministrative dei reparti militari innanzi detti e, quindi, risulta impossibile avere riscontri di carattere storico e giuridico –:

   quali iniziative il Governo intenda attivare per la ricerca e il recupero del materiale documentario di cui in premessa e se non ritenga necessario assumere iniziative per far applicare ad esso l'articolo 41 del codice dei beni culturali, dando le opportune disposizioni agli uffici competenti.
(4-02420)

  Risposta. — In relazione alla vicenda evocata dall'interrogante, il Ministro della difesa ha interessato il dipendente commissariato generale per le onoranze ai caduti, il quale ha riferito che, ai fini del riconoscimento dello status di caduto o disperso – per la successiva fase di definizione della posizione giuridico-militare dei militari deceduti nel secondo conflitto mondiale – è stato preso a riferimento l'intervallo di tempo dal 10 giugno 1940 al 25 dicembre 1947 e sono stati inseriti nell'albo d'oro dei caduti della seconda guerra mondiale coloro i quali avevano i requisiti previsti dalla normativa di riferimento.
  Attualmente, presso il commissariato generale sono censiti sessanta caduti appartenenti alle compagnie richiamate in premessa all'atto, i cui dati sono stati inseriti, in passato, sulla base della documentazione {di varia tipologia, ma ufficiale) disponibile per ognuno di loro.
  Il commissariato generale ha, altresì, fatto presente che, qualora necessario, potrà procedere alla verifica/aggiornamento dei dati dei caduti, ovviamente avvalendosi di documentazione probatoria che dovrà pervenire unicamente da fonti ufficiali (uffici anagrafe, centri documentali, eccetera).
  Per quanto concerne gli avvenimenti storici delle compagnie genio rastrellatori di mine 561a, 562a, 563a e 564a, lo Stato Maggiore della difesa ha comunicato che i relativi diari storico-militari non sono mai pervenuti presso l'archivio storico dello Stato Maggiore dell'Esercito, dove sono custoditi, invece, alcuni fascicoli con carteggi degli anni 1943-1945 sull'attività di sminamento effettuata dall'Esercito italiano durante la seconda guerra mondiale.
  In particolare, nel fondo denominato N-1/11 Diari storici della seconda guerra mondiale, è presente un rapporto che risale al 9 ottobre 1944 dove sono riportati i nomi dei caduti e dei feriti della 562a compagnia rastrellatori di mine.
  Con riferimento al 7° reparto infrastrutture di Firenze, la documentazione riguardante la bonifica dei campi minati è stata depositata nel 2009 presso l'archivio dell'ufficio storico dell'Esercito, sito a Roma, in Via Etruria 23 ed è consultabile.
  Il fondo è attualmente ordinato in tre serie, di cui la prima, che: comprende il periodo che va dal 1945 agli anni ’90, è costituita da 290 buste che racchiudono pratiche di sminamento e del personale; la seconda (anni di riferimento 1945-1950) è composta da pratiche relative a bonifiche (soprattutto nelle province di La Spezia, Livorno e Pisa) e la terza (anni 1948-1987) raccoglie fascicoli di operazioni di bonifica, in ordine numerico progressivo.
  Relativamente ai documenti in possesso dei reparti infrastrutture 6° di Bologna e 10° di Napoli, l'ufficio storico dello Stato Maggiore dell'Esercito, per mancanza di spazio presso il proprio archivio storico e allo scopo di consentirne la disponibilità per la consultazione, ne disporrà il deposito: temporaneo o il versamento agli archivi di Stato territorialmente competenti, mentre la documentazione in giacenza presso l'8o reparto infrastrutture di Roma è stata recentemente depositata presso il citato archivio dell'ufficio storico dell'Esercito dove è possibile prenderne visione.
  Per quanto concerne, infine, le richieste riferite ai fogli matricolari, tale materiale cartaceo, predisposto all'epoca dai reparti di appartenenza dei militari, è custodito presso i centri documentali (ex distretti militari) di riferimento, in funzione del luogo di nascita di ogni singolo militare (caduto o disperso e anche reduce).

Il Ministro della difesa: Lorenzo Guerini.


   PASTORINO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   la legge n. 3 del 2019, all'articolo 1, comma 14, prevede testualmente che «i partiti e i movimenti politici, nonché le liste di cui al comma 11, primo periodo, hanno l'obbligo di pubblicare nel proprio sito internet ovvero per le liste di cui al comma 11, nel sito internet del partito o del movimento politico sotto il cui contrassegno si sono presentate nella competizione elettorale, il curriculum vitae fornito dai loro candidati e il relativo certificato penale rilasciato dal casellario giudiziale non oltre novanta giorni prima della data fissata per la consultazione elettorale. Ai fini dell'ottemperanza agli obblighi di pubblicazione nel sito internet di cui al presente comma non è richiesto il consenso espresso degli interessati»;

   la disposizione in questione, ad avviso dell'interrogante evidentemente confusa e imprecisa, è priva di qualsiasi riferimento normativo atto ad individuare in modo inequivocabile quale sia il certificato penale richiesto;

   peraltro risulta priva anche dell'indicazione delle norme derogate in riferimento al, non richiesto, consenso degli interessati;

   pertanto di fatto e di diritto risulta inapplicabile e sottopone i soggetti obbligati al rischio da un lato di sanzioni, dall'altro di azioni di responsabilità da parte dei singoli candidati;

   inoltre, in spregio al principio consolidato che prevede la gratuità e l'esenzione dai bolli per tutta la documentazione necessaria al procedimento elettorale, la norma prevede esclusivamente che le imposte e ogni altra spesa siano ridotti alla metà, ma di fatto, come si evince dalla visione dei certificati penali pubblicati sul sito internet del Ministero dell'interno, i costi per l'emissione di questo, imprecisato, certificato penale, sono i più svariati;

   numerosi candidati di quasi tutte le formazioni politiche, in riferimento alle ultime elezioni europee (maggio 2019), hanno ottenuto dagli uffici pubblici un certificato «elettorale del casellario giudiziale», apparentemente identico al certificato «penale», con l'unica differenza appunto nella definizione «elettorale». L'impercettibile differenza può e, di fatto, ha tratto in inganno numerosi candidati e liste, le quali però si sono viste recapitare una formale contestazione dalla Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici, alla quale potrebbe far seguito una sanzione. Senza considerare che, evidentemente, nemmeno i funzionari dei tribunali avevano chiaro quale certificato dovesse essere consegnato;

   per le formazioni politiche, in assenza della collaborazione del singolo candidato, è materialmente impossibile ottenere il certificato penale, rischiando di incorrere in una sanzione pecuniaria, peraltro significativa, pur non avendo una responsabilità diretta nella eventualità di una omessa pubblicazione;

   pur essendo già intervenute modifiche sostanziali della legge citata, anche al suddetto comma 14, in tali occasioni il Governo ha dato parere negativo su tutte le proposte emendative tese a rendere più chiara e applicabile questa disposizione, escludendo per esempio che la richiesta dei certificati potesse essere fatta dai delegati di lista –:

   quali siano le ragioni in base alle quali, nell'ambito delle sue funzioni, il Governo non abbia ritenuto utile inviare una circolare esplicativa a tutti gli uffici periferici, nella quale fosse indicato quale certificato penale dovesse essere prodotto, a richiesta dei candidati, e quale dovesse essere l'importo, ridotto alla metà, delle spese e dei bolli esigibili;

   quali iniziative concrete intendano promuovere, posto che il procedimento elettorale appare da questa disposizione pesantemente condizionato, per garantire l'accesso più largo possibile e senza condizionamenti irragionevoli di tutti i cittadini alle competizioni elettorali.
(4-03485)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, si chiede quali siano le iniziative concrete da poter assumere per rendere più esteso possibile l'accesso dei cittadini alle competizioni elettorali senza appesantire il procedimento con adempimenti che ne condizionano il percorso.
  Va preliminarmente evidenziato, per quanto di competenza del Dicastero che rappresento, che la disciplina del certificato del casellario giudiziale è contenuta nel testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313.
  Detto testo unico è stato di recente modificato dal decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 122. Con specifico riferimento al contenuto del certificato del casellario giudiziale ed al procedimento per il suo rilascio, il legislatore delegato ha innanzitutto unificato le tipologie di certificato rilasciabile su richiesta dell'interessato, in precedenza rappresentate dai certificati generale, penale e civile. Infatti, il nuovo testo dell'articolo 24 individua un'unica
species di certificato, che contiene tutte le iscrizioni esistenti nel casellario giudiziale a carico di un determinato soggetto, ad eccezione di quelle espressamente individuate nello stesso articolo e semplifica il suo contenuto, prevedendo che in esso non si faccia menzione né dell'ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova, né della sentenza che dichiara estinto il reato per esito positivo della stessa.
  È stato inoltre ridefinito il contenuto della certificazione per le pubbliche amministrazioni, mediante riformulazione degli articoli 28 e 39 del testo unico.
  In particolare, il nuovo testo dell'articolo 28 contempla due tipologie di certificato: selettivo, riportante le sole condanne per i reati ostativi rilevanti ai fini dei procedimenti amministrativi di competenza, e generale, contenente invece tutte le iscrizioni presenti nel casellario giudiziale a nome di una determinata persona, qualora la selezione delle iscrizioni pertinenti e rilevanti non sia consentita dal tenore delle norme che disciplinano i procedimenti stessi. Sono, altresì, espressamente individuate le iscrizioni non menzionabili, in linea con quanto previsto dall'articolo 24 per il certificato a richiesta dell'interessato.
  Con riferimento agli obblighi imposti dalla legge n. 3 del 2019, non sembra si possa dubitare – posto che i partiti politici non sono in alcun modo qualificabili come pubbliche amministrazioni o come incaricati di pubblici servizi e considerato il chiaro tenore letterale della norma citata dall'interrogante – del fatto che il certificato cui fanno riferimento gli articoli 14 e 15 della legge del 2019 debba essere identificato in quello disciplinato dall'articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica n. 313 del 2002, dovendosi di conseguenza escludere che il certificato possa essere richiesto direttamente dal partito o dal movimento politico e dovendosi invece ritenere che «interessato» al rilascio non possa che essere colui il quale intende presentare la sua candidatura.
  Non deve infatti indurre in errore la previsione secondo la quale «Nel caso in cui il certificato penale sia richiesto da coloro che intendono candidarsi alle elezioni di cui al presente comma, per le quali sono stati convocati i comizi elettorali, dichiarando contestualmente, sotto la propria responsabilità ai sensi dell'articolo 47 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, che la richiesta di tali certificati è finalizzata a rendere pubblici i dati ivi contenuti in occasione della propria candidatura, le imposte di bollo e ogni altra spesa, imposta e diritto dovuti ai pubblici uffici sono ridotti della metà», che, malgrado l’
incipit, non si contrappone ad una diversa disposizione volta a regolamentare il caso in cui il certificato sia richiesto dal partito o dal movimento politico, ma semplicemente individua i presupposti in presenza dei quali il richiedente ha diritto alla riduzione delle somme dovute ai pubblici uffici per il rilascio del certificato.
  L'unico obbligo che sembra gravare direttamente sui partiti o movimenti e la cui violazione è sanzionata ai sensi del comma 22 dell'articolo i della legge n. 3 del 2019, è quello, dunque, della pubblicazione del
curriculum vitae e del certificato.
  Pare così evidente che il legislatore abbia inteso rimettere a partiti, movimenti e liste, nel rispetto della loro autonomia, la gestione del rapporto con i candidati, anche con riferimento all'acquisizione del certificato penale, assicurando ai predetti enti, in relazione all'adempimento dell'obbligo di pubblicazione, un termine, non manifestamente incongruo, per provvedervi. La pubblicazione, infatti, deve avvenire entro il quattordicesimo giorno antecedente la data delle competizioni elettorali.
  Diverso dal certificato del casellario giudiziale è il «certificato del casellario giudiziale per ragioni di elettorato» di cui all'articolo 29 del decreto del Presidente della Repubblica n. 313 del 2002, che viene richiesto dall'interessato o dalla pubblica amministrazione e che contiene soltanto le iscrizioni che incidono sull'esercizio del diritto di voto.
  Sotto il profilo della questione relativa alla mancata gratuità del certificato penale, giova precisare che nelle «Istruzioni per la presentazione e l'ammissione delle candidature», pubblicate sul sito del Ministero dell'interno, si legge che «gli atti e i documenti richiesti dalla legge a corredo della presentazione delle candidature sono esenti dall'imposta di bollo». Orbene, tra i documenti richiesti dalla legge a corredo della presentazione delle candidature, elencati anche dalle stesse istruzioni, non figura il certificato del casellario. Da ciò deve desumersi che, qualora il candidato richieda il proprio certificato penale ai fini dell'esibizione al partito o movimento o lista di appartenenza, lo stesso sarà tenuto al pagamento del bollo oltre che dei diritti.
  L'interpretazione sopra esposta trova conferma, del resto, proprio nella legge n. 3 del 2019, la quale ha previsto che, qualora l'interessato dichiari sotto la propria responsabilità di richiedere il certificato per la finalità di rendere pubblici, in occasione della propria candidatura elettorale, i dati in esso riportati, le imposte di bollo e ogni altra spesa, imposta e diritto sono ridotti della metà.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   PELLICANI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

   il 24 gennaio 2018 presso il Consiglio di Stato si discuterà in merito al progetto di autorizzazione dell'impianto di stoccaggio di 9 mila metri cubi di Gpl in territorio di Chioggia in provincia di Venezia;

   l'Avvocatura di Stato si pronuncerà a difesa dell'impianto e per la sua realizzazione;

   tale posizione oggettivamente stride con il recentissimo comunicato stampa congiunto rilasciato dai Ministri dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti e per i beni e le attività culturali che si sono dichiarati contrari all'opera;

   il ricorso al Consiglio di Stato giunge dopo il pronunciamento del Tar che ha dato ragione alla Costa Bioenergie che ha impugnato la delibera di «stop» all'impianto e al ripristino dei luoghi dell'amministrazione comunale di Chioggia;

   appare quanto mai maldestro, ad avviso dell'interrogante, il tentativo degli esponenti dell'Esecutivo di scaricare le responsabilità sulla precedente amministrazione comunale, poiché la condotta del Governo appare più funzionale alla ricerca di alibi che non ad affrontare il merito della vicenda;

   il 24 gennaio 2018 si svolgerà proprio in concomitanza con la riunione del Consiglio di Stato una mobilitazione a Roma delle popolazioni locali contrarie all'opera;

   è stata promossa una «Carta di Chioggia» per chiedere al Governo di non autorizzare l'impianto articolata in sei punti argomentati, documento oggetto di ampi dibattiti a livello territoriale –:

   quale sia la posizione ufficiale del Governo sulla questione e quali iniziative intenda assumere al riguardo, anche rispetto alla posizione assunta dall'Avvocatura dello Stato, al fine di non procedere all'autorizzazione per la realizzazione di suddetto impianto nel territorio di Chioggia.
(4-03438)

  Risposta. — In merito all'atto di sindacato ispettivo in esame, sentita la direzione generale competente e sentito il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, si rappresenta quanto segue.
  Con il tema in discussione, si richiama l'attenzione sulla complessa vicenda del deposito costiero di prodotti petroliferi della società Costa Bioenergie S.r.l., sito in Val del Rio nel comune di Chioggia.
  A tal proposito, occorre premettere che il quesito posto dall'interrogante è riferito ad eventi conclusi negli scorsi mesi, in merito ai quali si espongono in questa sede i relativi aggiornamenti.
  Con sentenza del 28 febbraio 2019, n. 1396, il Consiglio di Stato ha confermato la precedente sentenza del T.A.R. Veneto che, accogliendo il ricorso proposto da Costa Bioenergie, aveva: annullato l'ordinanza di demolizione emanata dal comune di Chioggia (maggio 2017) e respinto la richiesta di annullamento del provvedimento di proroga del termine di ultimazione dei lavori (adottato dal Ministero dello sviluppo economico in data 24 maggio 2017).
  Nel frattempo, i lavori di realizzazione del deposito sono andati avanti, come disposto dalla citata sentenza del Consiglio di Stato, e al momento sarebbero in parte conclusi, al netto delle opere insistenti su aree demaniali, che allo stato risulterebbero oggetto di un apposito procedimento penale.
  Di conseguenza, allo stato non è stata ancora rilasciata la concessione demaniale marittima e non sono state definite le condizioni di esercizio, con riferimento al traffico delle navi gasiere, da parte degli organi competenti.
  A riguardo, si sottolinea altresì che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l'autorità di sistema portuale, dovrebbero chiarire al più presto le rispettive valutazioni, riguardo:

   1) alle condizioni di ingresso delle navi gasiere nel porto e l'esistenza di tutte le garanzie per la sicurezza;

   2) alla necessità o meno di una variante del piano regolatore portuale.

  Alla luce di tali circostanze, dunque, si informa che attualmente si è in attesa delle determinazioni di competenza del Ministero delle infrastrutture e trasporti, dicastero concertante in merito al parere sulla proroga del termine di ultimazione dei lavori.
  Si evidenzia, inoltre, che anche la posizione del Governo, circa l'infrastruttura in parola, non può prescindere dal contesto non del tutto definito, dagli accertamenti e dalle valutazioni in corso, nonché dal contenzioso ancora
in itinere.
  Si informa, tuttavia, che già dagli inizi dell'anno 2019, quando ancora si attendeva il giudizio del Consiglio di Stato, si è dato avvio, su
input del Ministro dello sviluppo economico, ad un dialogo con tutte le parti interessate, al fine di definire una posizione sulla fattibilità o meno dell'infrastruttura in parola.
  A tal riguardo, si sono svolti alcuni incontri ai quali hanno preso parte anche tutti i Ministeri competenti e le autorità locali, al fine di effettuare un riesame congiunto dello stato dell'arte della vicenda, alla luce degli avvenimenti che si sono succeduti nel tempo, e procedere all'individuazione di un percorso condiviso.
  Su tale scia, attualmente il Ministero dello sviluppo economico sta analizzando tutte le strade tecnicamente percorribili al fine di giungere, al più presto, alla definizione della problematica esposta dall'interrogante, nel rispetto del territorio costiero veneto e dei cittadini coinvolti.

Il Ministro dello sviluppo economico: Stefano Patuanelli.


   PRESTIGIACOMO e OCCHIUTO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   l'aeroporto internazionale di Catania, primo scalo del Mezzogiorno per traffico totale passeggeri e secondo scalo italiano per il traffico nazionale, è gestito dalla Sac Società Aeroporti Catania S.p.a., con capitale sociale detenuto per il 61,22 per cento dalle camere di commercio di Catania, Ragusa, Siracusa, per il 12,24 per cento ciascuno rispettivamente dalla città metropolitana di Catania, da Irsap Palermo e dal Libero consorzio comunale di Siracusa e per il 2,04 per cento dal comune di Catania;

   come riportato dai maggiori organi di stampa il 29 aprile 2019, è stato eletto il nuovo consiglio di amministrazione della Sac S.p.a. e, come ravvisato dal Codacons, sono state rilevate una serie di incongruenze e presunte irregolarità in merito alle procedure di nomina da parte della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura (Cciaa) del Sud-est Sicilia;

   in primo luogo, come si evince dalla delibera n. 27 del 23 aprile 2019 della giunta della Cciaa del Sud-est Sicilia, si apprende che la procedura di voto si è svolta a scrutinio palese, ma al tempo stesso non si riesce a prendere atto del dato relativo alla presentazione dei curricula, ovvero se essi siano stati presentati sulla base di preventive candidature e in quale misura valutati nella prospettiva dell'incarico da conferire;

   a quanto consta agli interpellanti in riferimento all'istanza di accesso agli atti proposti dal Codacons (prot. n. 74/IST/2019 del 2 maggio 2019 e prot. n. 80/IST/2019 del 15 maggio 2019), la Camera di commercio del Sud-est Sicilia, inspiegabilmente si sarebbe limitata a trasmettere le delibere in questione e non i curricula dei designati al nuovo consiglio di amministrazione della Sac s.p.a.;

   a ciò si aggiunge che dalla predetta delibera non si evince se i soggetti designati che figurano anche all'interno della giunta della Cciaa, sui quali sembrano gravare evidenti profili di incompatibilità, oltre ad astenersi si siano anche allontanati dal luogo della votazione;

   in tal senso l'articolo 24, comma 1, dello statuto della Cciaa del Sud-est Sicilia stabilisce che «il presidente della Cciaa, i componenti della giunta e del Consiglio devono astenersi dal prenderà parte alle deliberazioni e dall'adottare atti nei casi di incompatibilità previsti dalla legge con l'oggetto in trattazione» e il medesimo articolo, al comma 2, prevede che «il divieto di cui al precedente comma comporta anche l'obbligo di allontanarsi dalla sala delle sedute»;

   gli evidenti profili di incompatibilità si prefigurano poiché i soggetti designati dalla Cciaa, signori Privitera e Gambuzza, sembrerebbero figurare all'interno della giunta della Cciaa del Sud-est e nel consiglio di amministrazione della Società Soaco (controllata dalla medesima Cciaa in palese violazione rispetto a quanto stabilito dall'articolo 43, comma 5, dello statuto camerale della Cciaa del Sud-est Sicilia;

   parimenti, meritevole di attenzione è il dato relativo al fatto che tra i tre soggetti designati dalla Cciaa del Sud-est Sicilia non vi sia alcun soggetto di sesso femminile, violando quanto stabilito dall'articolo 44, comma 6 e articolo 46, comma 4, dello statuto della Cciaa del Sud-est Sicilia ai sensi del quale è garantita la presenza di genere diverso per almeno un terzo nel caso in cui il numero dei designati sia superiore a due;

   il rinnovo del consiglio di amministrazione della Sac Spa rappresenta un momento fondamentale per l'aeroporto di Catania anche dal punto di vista economico, considerato che la gestione della privatizzazione della stessa società, di cui si parla da anni, vale circa 1 miliardo di euro;

   a ciò si aggiunge che le polemiche relative alla privatizzazione della società sono altresì legate alle modalità di accorpamento di dubbia fattibilità delle camere di commercio di Siracusa, Ragusa e Catania che, allo stato attuale, detengono il 61,22 per cento del capitale sociale della società citata –:

   se il Governo, anche alla luce dei rilievi avanzati dal Codacons, non intenda adottare le iniziative di competenza, anche in relazione alle perplessità avanzate in ordine al procedimento di designazione dei vertici della società Aeroporti Catania S.p.a., in particolare istituendo un tavolo tecnico ministeriale, al fine di assicurare trasparenza e correttezza nei confronti della collettività e dagli utenti, per uno scalo aeroportuale di estrema rilevanza anche sul piano nazionale.
(4-03775)

  Risposta. — La regione Sicilia, come noto, ha proprie norme in materia di camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, essendo una regione a statuto speciale (si fa, in particolare, riferimento alla legge regionale 4 aprile 1995, n. 29, così come modificata dalla legge regionale 2 marzo 2010, n. 4).
  Tale normativa, invero, all'articolo 5 prevede che «l'assessorato regionale delle attività produttive esercita la vigilanza sul sistema camerale negli ambiti relativi ai bilanci, all'attività amministrativa e contabile, al funzionamento degli organi e allo svolgimento dei compiti di interesse generale». Tale attività di vigilanza nelle regioni a statuto ordinario è assegnata, invece, nell'ambito delle rispettive competenze, allo Stato e alle regioni.
  Resta, pertanto, nelle attribuzioni del Ministero dello sviluppo economico l'adozione di provvedimenti che disciplinano la finanza delle camere di commercio siciliane, quali la determinazione delle misure del diritto annuale e dei diritti di segreteria; mentre, alla luce della citata normativa, la vigilanza sulle camere di commercio nella Regione Sicilia, ivi compresa quella sul funzionamento degli organi, è esercitata dalla medesima Regione a statuto speciale.
  Ad ogni buon fine, si ritiene opportuno far presente che la nomina di rappresentanti camerali in seno ai consigli di amministrazione delle società partecipate ricade nell'autonoma determinazione delle medesime camere di commercio.
  Ciò premesso, nei limiti di competenza assegnati al Ministero dello sviluppo economico dalla normativa in materia, sono state acquisite le informazioni dalla amministrazione camerale interessata.
  In particolare, alla luce della delibera del 23 aprile 2019, n. 27, è emerso che la camera di commercio sud est Sicilia ha deliberato, le designazioni di propria competenza ai sensi dell'articolo 22 dello statuto della società e che i soggetti designati si sono astenuti dalla votazione.
  Nel merito delle criticità sollevate con riguardo alla rappresentanza di genere, segnalo che l'articolo 44, comma 6, dello statuto richiamato dagli interroganti, fa riferimento alle nomine di amministratori delle aziende speciali della camera di commercio. Tali amministratori «sono nominati dalla giunta camerale, secondo criteri e modalità stabiliti negli statuti delle aziende in modo da assicurare la professionalità e l'onorabilità degli stessi». Inoltre «nel caso in cui l'amministrazione assume la forma del consiglio di amministrazione con un numero di componenti superiore a due, deve essere garantita la presenza di genere diverso per almeno un terzo».
  Ciò premesso, sentiti gli uffici competenti del Ministero dello sviluppo economico, dalla lettura del citato comma 6, parrebbe evincersi una diversa fattispecie rispetto a quella in esame, trattandosi nel caso previsto dall'articolo 44 di aziende speciali camerali e non di società cui la camera partecipa.
  Se, da un lato, l'articolo 46 dello statuto richiamato dagli interroganti prevede al comma 4 che «nella nomina dei rappresentanti della camera di commercio negli organismi su indicati deve essere garantita la presenza di genere diverso per almeno un terzo nel caso in cui il numero dei designati sia superiore a due», corre l'obbligo di evidenziare che i medesimi requisiti, ivi compresi quelli di genere diverso, dovrebbero essere definiti anche nello Statuto della SAC, evenienza che al momento non si è potuta verificare.
  Ferma restando la competenza della regione a statuto speciale in materia di vigilanza della camera di commercio di cui si discute, il Ministero dello sviluppo economico potrà aggiornare tali informazioni, se richiesto, alla luce della ulteriore documentazione che la camera di commercio interessata si è riservata di inviare.

La Sottosegretaria di Stato per lo sviluppo economico: Alessia Morani.


   RAMPELLI e ROTELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la tratta Roma-Orte della linea ferroviaria alta velocità/alta capacità Roma-Milano, è condivisa dai convogli del servizio commerciale (Frecce ed Intercity di Trenitalia e Italo di NTV) e quelli del cosiddetto servizio universale, ossia i treni regionali (R) ed i treni regionali veloci (RV);

   i convogli del servizio universale che impegnano detta tratta servono l'entroterra dell'Alto Lazio, incluso il comune di Viterbo, l'Umbria tutta, l'entroterra toscano, Firenze inclusa, le Marcine e il comprensorio del Reatino;

   la percorrenza dell'alta velocità Orte-Roma, in luogo della linea storica transitante per numerose stazioni della Sabina, consente ai convogli interessati una riduzione dei tempi di percorrenza di oltre 30 minuti;

   negli ultimi anni, a fronte di un incremento del traffico commerciale sulla linea alta velocità, i convogli destinati al servizio universale subiscono penalizzazioni per le migliaia di pendolari che ne usufruiscono;

   la partenza dalla stazione di Roma Termini dei treni regionali in transito per il nodo di Orte è stata definitivamente attestata presso i binari 1 Est e 2 Est, con nuove banchine situate ad oltre 900 metri dalla testa dei binari normali, ora destinati in via esclusiva al servizio commerciale;

   nell'assenza di qualsiasi ausilio alla mobilità, come i tapis roulant, oltre all'impegno fisico, ne risulta un aggravio dei tempi di percorrenza di circa dieci minuti;

   nel susseguirsi dei cambi stagionali dell'orario ferroviario, i treni regionali e gli Intercity sulla tratta alta velocità Roma-Orte sono stati spinti a margine delle fasce di maggior affollamento della linea, creando veri e propri buchi nella copertura del servizio tra le 08:01 e le 11:49 e tra le 15:58 e le 17:12;

   nel primo caso, dopo l'Rv 2481 delle 08,01, l'offerta di trasporto pubblico da Orte a Roma è garantita unicamente dall'Rv 2305 delle 09,43, dirottato ormai da anni sulla linea storica con tempi di percorrenza più che raddoppiati, e dall'Rv 21713 delle 10,47, che matura ritardi sistematici anche oltre la mezz'ora oppure viene dirottato anch'esso sulla linea storica con i summenzionati disagi per l'utenza;

   anche i due Intercity che interessano la fascia del mattino sono stati progressivamente anticipati d'orario, sino ad ammucchiarsi letteralmente a ridosso dell'Rv delle 08,01, e molto spesso anche questi convogli – il cui costo è ingiustificatamente il doppio di quello di un Rv pur a parità di tempo di percorrenza - maturano sovente sostanziosi ritardi;

   nel secondo caso la fascia pomeridiana di rientro dei pendolari risulta non presidiata per oltre un'ora, con i convogli a ridosso di essa che risultano sovraffollati e anch'essi soggetti a frequenti ritardi e instradamenti in linea storica;

   la costruzione della tratta alta velocità/alta capacità Orte-Roma, come il resto della linea Av Roma-Torino, risulta essere stata interamente finanziata con fondi pubblici;

   l'ultimo bilancio disponibile del gruppo Ferrovie dello Stato italiane presenta un utile netto di esercizio di 552 milioni di euro, qualificandosi, a detta dell'amministratore delegato, come il miglior risultato di sempre –:

   se e quali iniziative di competenza intenda adottare per tutelare i pendolari della tratta Roma-Orte, garantendo la necessaria e doverosa puntualità, il ripristino di un'offerta adeguata anche nelle fasce di maggior affollamento della linea alta velocità, e scongiurando l'ipotesi che vedrebbe i treni regionali dirottati sulla tratta storica, nota come linea lenta;

   se corrisponda al vero quanto stimato dalle associazioni dei consumatori, che, a quanto consta agli interroganti, individuano nella clamorosa cifra di circa 1,7 miliardi di euro – pari ad un punto di prodotto interno lordo – il danno generato annualmente al sistema Paese dai ritardi e dai disservizi del trasporto ferroviario regionale.
(4-03177)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazioni acquisite dalla direzione generale per il trasporto e le infrastrutture ferroviarie e dalla società ferrovie dello Stato, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  In premessa si ricorda che le funzioni e i compiti di programmazione ed amministrazione in materia di servizi pubblici di trasporto di interesse regionale e locale sono stati conferiti alle regioni in base al titolo V della Costituzione e al decreto legislativo n. 422 del 19 novembre 1997. Nella specie, il servizio interregionale tra Orte e Roma è di competenza delle regioni Umbria, Toscana e Lazio.
  Per quanto riguarda i servizi richiamati dagli interroganti, Trenitalia ha segnalato che nel periodo tra il 10 maggio ed il 30 giugno 2019 i treni hanno avuto le seguenti
performance in termini di puntualità percepita dal cliente:

   il treno 2481 ha fatto registrare una puntualità del 94,2 per cento ed è giunto a destinazione con oltre 5 minuti di ritardo in 3 occasioni su 52 giorni di circolazione;

   il treno 2305 ha fatto registrare una puntualità del 98,4 per cento ed è giunto a destinazione con oltre 5 minuti di ritardo una sola volta in 61 giorni di circolazione;

   il treno 21713 ha fatto registrare una puntualità del 74,5 per cento arrivando a destinazione con un ritardo eccedente i cinque minuti in 13 occasioni su 51 giorni di circolazione.

  Anche al fine di limitare le criticità segnalate, nei contratti di servizio stipulati con l'Umbria e con il Lazio, sono stati previsti investimenti per l'acquisto di nuovi treni che comprendono anche convogli con velocità massima di 200 chilometri orari e destinati all'esercizio sulle tratte regionali percorrenti la linea direttissima Roma-Firenze.
  Per quanto concerne poi l'offerta intercity da Orte a Roma, sono operativi i treni Ic 531, in partenza da Orte alle ore 8.16 e l'Ic 533, in partenza da Orte alle ore 8.47.
  Detti intercity servono bacini di traffico differenti – Perugia ed Ancona – e, al fine di giungere a destinazione entro le 9.30, fermano ad Orte in orario piuttosto ravvicinato.
  L'orario di partenza del treno intercity 531 non ha subito variazioni nel corso degli ultimi anni, mentre per l'intercity 533, dal 9 dicembre 2018, l'orario di partenza da Ancona è stato anticipato in modo da consentire ai pendolari di arrivare in città entro le ore 10.00.
  Per quanto riguarda la fascia pomeridiana di rientro dei pendolari da Roma a Orte, il servizio è garantito da: treno intercity 540 in partenza da Roma Temini alle ore 15.35 per Ancona, con arrivo a Orte alle ore 16.07; treno intercity 592 in partenza da Roma Termini alle ore 15.40 per Trieste, con arrivo a Orte alle ore 16.15; treno intercity 596 in partenza da Roma Tiburtina alle ore 16.39. con arrivo a Orte alle 17.13 (treno Napoli-Milano); treno intercity 598 diretto a Firenze in partenza da Roma Termini alle ore 18.12, con arrivo a Orte alle ore 18.52.
  Quanto all'instradamento dei treni sulla tratta storica, Trenitalia evidenzia che ciò si rende necessario per i treni sia regionali che intercity o ad alta velocità per situazioni contingenti – esemplificativamente criticità a un treno precedente, guasto all'infrastruttura – che non consentono temporaneamente la prosecuzione del viaggio sulla medesima linea o comunque provocano un forte rallentamento alla circolazione complessiva.
  In tali situazioni, l'eventuale attesa della ripresa della regolare circolazione sulla linea Direttissima comporterebbe una sensibile amplificazione dei ritardi di tutti i treni.
  Nel concludere, al fine di superare le criticità evidenziate dalle Associazioni dei consumatori e dal comitato dei pendolari, si assicura che il Ministero delle infrastrutture e trasporti chiederà al gestore ferroviario di esplorare ogni utile ulteriore soluzione di viaggio volta a limitare i disagi dell'utenza e soprattutto di quella pendolare.

La Ministra delle infrastrutture e dei trasporti: Paola De Micheli.


   ROTTA e PEZZOPANE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   con determinazione n. RS30/176/2017 dell'8 maggio 2017 è stata bandita una procedura, ai sensi dell'articolo 60 del decreto legislativo n. 50 del 2016, suddivisa in 3 lotti, per l'affidamento della fornitura del servizio di contact center Inps-Equitalia;

   in particolare, la procedura di affidamento del lotto ha previsto la «fornitura di soluzioni e servizi di Contact Center Multicanale per l'erogazione di servizi informativi e dispositivi all'Utenza dell'INPS di Equitalia»;

   la suddetta procedura aperta è stata aggiudicata, con determina n. 131.2019, al raggruppamento temporaneo di imprese (Rti) Comdata s.p.a. – Network Contacts S.r.l. – Telesurvey Italia S.r.l. che ha, come previsto dal bando, garantito il rispetto della «clausola sociale», ovvero ha assicurato che tutti i lavoratori interessati – circa 2.800 in tutta Italia – saranno riassunti ai medesimi livelli occupazionali e salariali, nonché contrattuali, senza procedere a trasferimenti in altre sedi;

   tuttavia, il raggruppamento temporaneo di imprese (Rti) risultato aggiudicatario del servizio, nel processo di applicazione della suddetta «clausola sociale», ha esplicitamente illustrato le condizioni di assorbimento del personale attualmente attivo sulla commessa, dichiarando:

    che essa si applicherà soltanto al personale che ha effettuato almeno il 70 per cento delle loggature sulla Commessa;

    che si procederà all'assunzione ex novo dei lavoratori così individuati;

    che la retribuzione sarà quella complessiva percepita al 2 febbraio 2019;

    che l'inquadramento non sarà superiore al IV livello;

    che il personale TL sarà assunto con il medesimo livello e con la medesima retribuzione al 2 febbraio 2019;

    che il personale impiegato nelle cooperative sociali sarà assunto ex novo, previa instaurazione del rapporto associativo e non solo di un rapporto di lavoro subordinato, come quello in essere attualmente;

   in merito ai punti indicati, si segnala che:

    la definizione, a giudizio degli interpellanti, arbitraria, unilaterale e discrezionale di un perimetro di applicazione della suddetta clausola viola la normativa vigente: in nessuna previsione di legge, né di contratto, né in alcun accordo è mai stata individuata una soglia limite (il 70 per cento sopra richiamato) all'applicazione della clausola sociale;

    a ciò si aggiunga che non è dato comprendere né le ragioni, ove ve ne siano, né i parametri in base ai quali sia stato determinato tale limite, che non sembra tener in considerazione il fatto che la maggior parte dei lavoratori impiegati nel servizio di contact center hanno rapporti part-time, mentre il computo pare presupporre un conteggio sulla base di full-time;

    la violazione della clausola sociale determina una rilevante violazione del principio di non discriminazione e, quindi, dei diritti dei lavoratori. A solo titolo esemplificativo, si segnala, infatti, che risultano esclusi dalla clausola: i team leader, gli staff leasing, gli operatori in aspettativa, di qualunque genere concessa, ma soprattutto i lavoratori in malattia e le lavoratrici in maternità;

    la novazione del rapporto contrattuale, secondo gli interpellanti, confligge con quanto previsto dalla legge e dalla contrattazione che, invece, prevede la continuazione del rapporto di lavoro in capo al nuovo aggiudicatario, senza soluzione di continuità; infatti, tutti i lavoratori devono mantenere la propria retribuzione, così come percepita alla data della cessazione del rapporto con le imprese uscenti che avverrà il 30 novembre 2019 e non è, dunque, consentito individuare una data antecedente, a tale momento (il 2 febbraio 2019);

    devono, inoltre, essere garantiti inquadramenti dal III al V livello, così come contrattualmente previsto. Dunque appare agli interpellanti arbitraria l'attribuzione generalizzata del IV livello;

    gli operatori assunti nelle cooperative non possono essere costretti a diventare soci. Si sottolinea che le persone attualmente impiegate nelle cooperative sono per la maggior parte persone con disabilità che ad oggi sono lavoratori subordinati e non anche soci delle medesime;

    il rapporto associativo è altro e differente rapporto rispetto a quello di lavoro e, come tale, deve rimanere separato, oltre che nella piena ed assoluta disponibilità del diretto interessato;

    a ciò si aggiunga che la mancata attuazione della clausola sociale sta causando danni a tutti i lavoratori che operano esclusivamente sulla commessa, poiché le imprese uscenti hanno avviato procedure di licenziamento collettivo che si perfezioneranno il prossimo 30 novembre, nonostante i numerosi tentativi da parte dei sindacati e delle società uscenti di trovare un contatto con l'Rti subentrante;

    l'Inps che dovrebbe tutelare i lavoratori e vigilare sulla corretta applicazione della clausola sociale, anche in forza della specifica indicazione contenuta nel bando di gara, non sta richiamando il gestore della commessa, vincitore della gara di affidamento della fornitura del servizio, alle sue responsabilità, prime fra tutte la riassunzione ai medesimi livelli occupazionali e salariali di tutti i lavoratori –:

   se non ritenga di dover adottare le iniziative di competenza affinché si dia completa e corretta applicazione della clausola sociale, a tutela dei diritti dei lavoratori e dei livelli occupazionali, sulla base di quanto normativamente e contrattualmente previsto;

   se non ritenga di dover fissare con urgenza un incontro formale tra le parti e impedire che si proceda a licenziamenti che le aziende oggi impegnate hanno dovuto necessariamente promuovere, stanti le omissioni evidenziate.
(4-04079)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto concernente la procedura di gara per l'affidamento della fornitura del servizio di contact center Inps-Equitalia, rappresento quanto segue.
  L'Inps, interpellato in riferimento al presente atto di sindacato ispettivo, ha riferito che, nell'ambito della predetta procedura di gara, il lotto 1 della commessa, concernente il servizio operatori, è stato aggiudicato al raggruppamento temporaneo di imprese (RTI) costituito da Comdata S.p.a. e Network Contacts S.r.l. e che, in data 2 agosto 2019, è stato stipulato il contratto con detto raggruppamento temporaneo di imprese.
  Per quanto concerne l'applicazione della «clausola sociale», prevista dal bando, l'Inps rappresenta che negli atti di gara è stata inserita una clausola sociale stringente, tesa a garantire il posto di lavoro e il trattamento economico, ivi inclusa l'anzianità di servizio, di tutti gli operatori, compresi i subappaltatori, che risultino aver prestato servizio, in via continuativa ed esclusiva, nella predetta commessa nei sei mesi antecedenti alla sottoscrizione del contratto. In riferimento a questo particolare aspetto di carattere temporale, l'istituto ha riferito di aver proposto, in sede di predisposizione degli atti di gara, e, al fine di realizzare una condizione di miglior favore per i lavoratori, che la decorrenza dei sei mesi venisse «considerata a partire dalla vigenza contrattuale (quindi dal 2 febbraio al 2 agosto 2019), a fronte di un diverso orientamento dell'Autorità nazionale anti corruzione che ne stabilisce la decorrenza, di regola, nei sei mesi precedenti alla data di indizione della procedura di affidamento (linee guida n. 13, approvate con delibera n. 114 del 13 febbraio 2019)».
  Voglio altresì rammentare che l'articolo 3 comma 9, del disciplinare di gara, prevedeva: «al fine di garantire i livelli occupazionali esistenti, ai sensi dell'articolo 50 del decreto legislativo n. 50 del 2016 ed in applicazione dell'articolo 1, comma 10, della legge 11 del 2016, ove applicabile, in caso di successione di imprese nelle attività previste dalla presente procedura, l'appaltatore dovrà garantire la prosecuzione dei rapporti di lavoro in essere, tenendo conto, con le modalità stabilite dalla contrattazione collettiva nazionale, territoriale e aziendale vigente, delle esperienze ed anzianità maturate alla data del trasferimento».
  Rendo noto, inoltre, che nei giorni 29 e 31 ottobre e 4 novembre 2019, presso questo Ministero, si sono tenuti tre incontri cui hanno preso parte le organizzazioni sindacali di categoria, l'Inps e i rappresentanti del raggruppamento temporaneo di imprese (RTI) uscente e di quello subentrante.
  Nel corso dell'ultimo incontro, in particolare, i rappresentanti del Raggruppamento temporaneo di imprese subentrante hanno assicurato che – per effetto dell'applicazione della clausola sociale – verrà assunta a seguito del cambio di appalto la quasi totalità dei lavoratori precedentemente impiegati nella commessa (compresi i
team leader ed i lavoratori somministrati) e che gli stessi manterranno le medesime condizioni economiche e normative che avevano maturato con il precedente appaltatore (anzianità, orari, mansioni e livelli). Allo stato restano esclusi dall'applicazione della clausola sociale circa 150 lavoratori, per mancanza del requisito della esclusività dell'attività prestata nella commessa INPS. All'esito del confronto, tuttavia, raccogliendo gli inviti delle istituzioni presenti e delle organizzazioni sindacali, il nuovo aggiudicatario ha comunque manifestato l'impegno ad assumere tali lavoratori qualora dovessero aumentare i volumi di attività gestiti nell'ambito della commessa Inps.
  Desidero inoltre conclusivamente evidenziare che questo Governo ha riservato una attenzione particolare al comparto dei
call center avviando, con organizzazioni sindacali e datoriali, un dialogo collaborativo inteso ad affrontare e individuare soluzioni mirate alle criticità del settore.
  

La Sottosegretaria di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Francesca Puglisi.


   SANTELLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   la costruzione della nuova caserma militare che doveva nascere a Cutro si basa su un accordo di programma del 31 luglio 1998 sottoscritto tra i seguenti attori istituzionali: Ministero della difesa, regione Calabria, provincia di Crotone e il comune di Cutro;

   diventa difficile pensare che un progetto strategico quale quello sopra citato possa essere caduto nel dimenticatoio da tutta quella parte istituzionale che, ai massimi livelli, si era impegnata, tenuto conto delle varie emergenze che questo territorio è costretto ad affrontare, a partire dalla sicurezza, e considerato che un insediamento siffatto rappresenta un presidio in questo senso;

   la caserma militare di Cutro è stata pensata in linea con le strategie di nuova difesa e pronto intervento delle forze dell'ordine. Rappresenterebbe anche un investimento strategico di sviluppo del territorio di Cutro e dell'intera provincia di Crotone;

   sembra, invece, che questo territorio debba scontare in maniera continuata l'assenza delle istituzioni regionali e governative, che dovrebbero essere le prime a mantenere i patti sottoscritti in un accordo di programma;

   il comune di Cutro è rimasto sempre fedele alla sottoscrizione dell'accordo di programma, adempiendo a tutti gli impegni assunti. Il Ministero della difesa, invece, ad oggi, non ha ancora rispettato gli obblighi dell'accordo;

   allo stato attuale sono state realizzate 9 palazzine, complete e funzionali, da destinare ad alloggi militari e non sono stati portati a termine i lotti relativi all'addestramento e all'area dei servizi;

   diversi enti pubblici sono costretti, non avendo strutture idonee, a locare immobili privati con cannoni elevatissimi, di certo non in linea con i principi di spending review –:

   se il Ministro interpellato abbia piena conoscenza di quanto esposto in premessa;

   quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di:

    a) procedere al completamento dei lavori necessari alla realizzazione dei lotti relativi all'addestramento e all'area dei servizi e destinare la caserma all'uso previsto nell'accordo di programma;

    b) prevedere di riconvertire la struttura in maniera tale da renderla utilizzabile dalle pubbliche amministrazioni, evitando, così, che diventi un'altra cattedrale nel deserto.
(4-04110)

  Risposta. — Già in occasione di una risposta fornita in data 9 giugno 2010 all'interrogazione parlamentare n. 5-02931, presentata dall'onorevole Di Stanislao e svolta dinanzi alla IV Commissione difesa della Camera, il rappresentante del Governo pro-tempore aveva chiarito come, essendo venuta meno la motivazione posta alla base dell'originario progetto previsto nell'accordo di programma citato nelle premesse dell'atto in esame, andasse accantonata la possibilità di dar seguito al completamento della struttura militare sita nel comune di Cutro (Crotone) in località «Mascino».
  In particolare, in quella sede era stato ricordato come l'accordo di programma, sottoscritto nel 2000, ed il conseguente avvio del progetto per la realizzazione di un insediamento militare nel comune di Cutro traesse origine dalla necessità di dare concreta attuazione alla legge 23 dicembre 1996, n. 662, che prevedeva l'effettuazione del servizio obbligatorio di leva presso unità o reparti aventi sede nel luogo più vicino al comune di residenza del militare, salvo incompatibilità con le direttive strategiche e le esigenze logistiche delle Forze armate.
  Successivamente, per gli effetti dei provvedimenti discendenti dal combinato disposto di cui al decreto legislativo n. 215 del 2001 e alla legge n. 226 del 2004, che hanno sospeso il servizio di leva sostituendolo con un sistema di reclutamento su base esclusivamente volontaria in aderenza ad un nuovo modello di difesa totalmente «professionale», il Dicastero, nel manifestare il mancato interesse per le finalità istituzionali alla prosecuzione dell'opera, assicurava comunque un costante impegno, con una serie di iniziative a livello interministeriale, volte all'individuazione di soluzioni utili per il miglior utilizzo delle infrastrutture sino ad allora realizzate.
  Tra esse, merita una particolare menzione un'ipotesi progettuale, avallata anche dal comune di Cutro, relativa all'interesse manifestato dall'università della Calabria (UNICAL) – che avrebbe acquisito in concessione gratuita le palazzine già realizzate ed il terreno annesso, ai sensi del disposto dell'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 296 del 2005 – per la realizzazione di una struttura di ricerca in campo energetico.
  Tuttavia, nel corso di un recente incontro con le parti interessate, la Difesa ha dovuto prendere atto di un radicale mutamento del quadro di situazione anzidetto, a causa del venir meno dell'interesse da parte del citato Ateneo.
  Parallelamente, è stata discussa una possibile ipotesi di utilizzo di una palazzina per ospitare la stazione dei Carabinieri di Cutro, attualmente in locazione passiva con canone a carico del Ministero dell'interno. Tale ipotesi, ai fini della sua attivazione, è in fase di approfondimento tecnico/amministrativo.
  Alla luce di quanto precede, è intendimento della Difesa riprendere nuovi contatti anche a livello interministeriale, in sinergia con l'Agenzia del demanio che esercita la proprietà sugli immobili dello Stato, per una futura riconversione/valorizzazione del comprensorio in argomento.

Il Ministro della difesa: Lorenzo Guerini.


   SPENA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   la legge n. 145 del 2018 (bilancio 2019), ai sensi dei commi 283 e 284 dell'articolo 1, prevede a regime l'indennizzo per la cessazione di attività commerciale;

   la misura, istituita originariamente per il triennio 1996-1998 dall'articolo 1 del decreto legislativo 28 marzo 1996, n. 207, e successivamente prorogata in varie occasioni, è concessa ai sensi del comma 283, con decorrenza dal 1° gennaio 2019 agli esercenti il commercio al minuto e loro coadiutori, in misura pari al trattamento pensionistico minimo, per la cessazione definitiva di specifiche attività commerciali che, alla data di presentazione della domanda, abbiano più di 62 anni (se uomini) o più di 57 anni (se donne), e siano stati iscritti, al momento della cessazione dell'attività, per almeno 5 anni, in qualità di titolari o coadiutori, nella gestione dei contributi e delle prestazioni previdenziali degli esercenti attività commerciali presso l'Inps;

   l'indennizzo è altresì riconosciuto ai soggetti che esercitano, in qualità di titolari o coadiutori, attività commerciale al minuto in sede fissa, anche abbinata ad attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, ovvero che esercitano attività commerciale su aree pubbliche in possesso dei requisiti prescritti per il periodo 2009-2016, con termine di accoglimento per le relative domande al 31 dicembre 2017;

   vale la pena ricordare che il riconoscimento di tale misura è subordinato, nel periodo di riferimento: oltre che alla cessazione definitiva dell'attività commerciale, anche alla riconsegna dell'autorizzazione per l'esercizio dell'attività commerciale e dell'autorizzazione per l'attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, nel caso in cui quest'ultima sia esercitata congiuntamente all'attività di commercio al minuto; alla cancellazione del soggetto titolare dell'attività dal registro degli esercenti il commercio e dal registro delle imprese presso la Camera di commercio;

   il comma 284 dispone che l'aliquota contributiva aggiuntiva prevista per gli iscritti al fondo per gli interventi per la razionalizzazione commerciale, di cui all'articolo 5, decreto legislativo n. 207 del 1996, è dovuta dagli iscritti alla gestione dei contributi e delle prestazioni previdenziali degli esercenti attività commerciali. Tale gestione Inps opera mediante contabilità separata nell'ambito della gestione dei contributi e delle prestazioni previdenziali degli esercenti attività commerciali;

   stante la circolare Inps 24 maggio 2019, n. 77, l'indennizzo sarà riconosciuto solo alle chiusure a decorrere dal 1° gennaio 2019, lasciando quindi esclusi dalla misura i soggetti che, pur avendone i requisiti, hanno cessato l'attività commerciale nel biennio 2017-2018, quando la misura non era stata prorogata;

   ai sensi del richiamato articolo 5 l'indennizzo è alimentato tramite la predetta aliquota pari allo 0,09 per cento versata da tutti i commercianti ivi compresi, quindi, quelli che oggi risultano esclusi dall'applicazione della norma resa strutturale dalla legge di bilancio 2019;

   in considerazione dell'assenza di una indennità disoccupazione per i commercianti che chiudono l'attività e della difficoltà di ricollocarsi e riqualificarsi per il mercato del lavoro particolarmente per i soggetti con età uguale o superiore a 57 anni (per le donne) e 62 anni (per gli uomini) e alla nostra età è difficile ricollocarsi nel mondo del lavoro, la misura in questione ha sostanzialmente creato una nuova fattispecie di «esodati», quelli del commercio, come tra l'altro segnalato, a quanto consta all'interrogante, anche da Federcontribuenti –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto illustrato in premessa e quali iniziative intenda assumere tempestivamente per tutelare quanti hanno cessato l'attività commerciale nel biennio 2017-2018, al fine di garantire il medesimo diritto a parità di condizioni ed evitare così una preoccupante e assurda discriminazione.
(4-04003)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo indicato in oggetto, si rappresenta quanto segue,
  L'indennizzo per cessazione definitiva dell'attività commerciale istituita dall'articolo 1 del decreto legislativo 28 marzo 1996, n. 207, costituisce una misura che, nel corso degli anni, è stata riconfermata con successivi interventi legislativi soprattutto in ragione del fatto che la platea di destinatari della norma in parola è rappresentata da tutti quei soggetti che sono stati particolarmente colpiti dalla crisi che ha investito il Paese,
  La legge di bilancio 2019 (legge n. 145 del 2018), a differenza dei precedenti interventi legislativi, non ha «prorogato» la misura in parola ma, con l'articolo 1, comma 283, l'ha reintrodotta in misura stabile, rendendo di fatto strutturale, a decorrere dal primo gennaio 2019, l'indennizzo di cui si discute e contestualmente, con il comma 284 del medesimo articolo, ha stabilizzato l'obbligo di versamento, per gli iscritti alla relativa gestione pensionistica, del contributo aggiuntivo dello 0,09 per cento destinato in parte al fondo che finanzia l'indennizzo stesso.
  Il quesito sollevato dall'interrogante con l'odierno atto di sindacato ispettivo è riferito all'esclusione dal predetto beneficio di quella platea di soggetti che, pur in possesso dei requisiti previsti dall'articolo 2 del decreto legislativo n. 207 del 1996 al momento della domanda, non hanno diritto di accedere al beneficio avendo cessato l'attività prima del 1° gennaio 2019, ovverosia, nel caso specifico, nel biennio 2017-2018, Ciò in quanto le diverse disposizioni che hanno introdotto e successivamente prorogato l'indennizzo in esame sono state sempre ritenute applicabili per le cessazioni avvenute successivamente all'entrata in vigore delle norme stesse.
  Deve evidenziarsi che questo Governo, nel manifestare costante attenzione e sensibilità nei riguardi di una tematica di tale rilevanza e con il fermo proposito di sanare la lacuna legislativa, è intervenuto da ultimo con legge 2 novembre 2019, n. 128, di conversione del decreto-legge n. 101 del 2019, prevedendo l'estensione dell'indennizzo alle aziende, in possesso dei requisiti di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 207 del 1996, che hanno cessato l'attività commerciale nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2017 e il 31 dicembre 2018.
  Con tale disposizione, il Governo ha quindi completato il percorso normativo, precedentemente intrapreso, assicurando a tutti il diritto di beneficiare dell'indennizzo in parola.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Stanislao Di Piazza.


   TORTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la dimostrazione dei risultati di gestione di un comune avviene mediante il rendiconto della gestione, il quale comprende il conto del bilancio, il conto economico e lo stato patrimoniale;

   ai sensi dell'articolo 227 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, il rendiconto della gestione deve essere deliberato entro il 30 aprile dell'anno successivo dall'organo consiliare. La proposta deve essere messa a disposizione dei componenti dell'organo consiliare almeno 20 giorni prima dell'inizio della sessione consiliare in cui sarà esaminato il rendiconto;

   secondo il comma 2-bis dell'articolo 227 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in caso di mancata approvazione del rendiconto di gestione entro il termine del 30 aprile dell'anno successivo, si applica la procedura prevista dal comma 2 dell'articolo 141 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 che prevede anche lo scioglimento del comune che non approva il bilancio entro i termini stabiliti;

   nel comune di San Giovanni Teatino, nella provincia di Chieti, la mancata approvazione entro i termini previsti sembra essere diventata una condotta consolidata da parte dell'amministrazione;

   i consiglieri di minoranza del comune San Giovanni Teatino nella provincia di Chieti in data 10 maggio 2019 hanno segnalato al prefetto di Chieti l'avvenuta scadenza dei termini entro il quale approvare il bilancio. Nella stessa segnalazione si chiedeva al prefetto di assegnare un termine di 20 giorni per portare in discussione lo strumento finanziario;

   ad oggi, nulla è accaduto: a giudizio dell'interrogante, i tempi previsti dalla normativa vigente ai fini di un eventuale commissariamento devono necessariamente tener conto che il rendiconto deve essere deliberato entro il 30 aprile e che ad oggi, nonostante i solleciti, si è ad oltre un mese dalla scadenza prevista per la sua approvazione –:

   quali iniziative si intendano intraprendere per quanto di competenza, ai sensi delle norme vigenti in materia di approvazione del rendiconto di gestione, in particolare valutando se sussistano i presupposti per l'avvio della procedura di scioglimento del consiglio comunale in questione, ai sensi dell'articolo 141, comma 2, del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.
(4-03070)

  Risposta. — Il prefetto di Chieti il 14 maggio 2019, come prassi, ha richiesto a tutti i comuni di quella provincia di fornire notizie in merito all'approvazione del rendiconto di gestione per l'esercizio 2018, che, come ricordato nel testo dell'interrogazione, deve essere deliberato entro il 30 aprile dell'anno successivo a quello dell'esercizio cui fa riferimento – ai sensi dell'articolo 227, comma 2, del decreto legislativo n. del 2000.
  Il sindaco di San Giovanni Teatino, il 7 giugno 2019, ha dato riscontro alla predetta richiesta comunicando la mancata deliberazione del predetto rendiconto.

  Pertanto, l'11 giugno 2019, il prefetto ha diffidato il consiglio di quel comune all'adozione della delibera in questione, assegnando un termine di 20 giorni dalla notifica del provvedimento a tutti i consiglieri comunali.
  Il 6 luglio 2019, il consiglio comunale di San Giovanni Teatino ha approvato il rendiconto di gestione relativo all'esercizio finanziario 2018, nel termine prescritto, atteso che le predette notifiche sono state ultimate il giorno 24 giugno 2019.
  Su un piano più generale va anche evidenziato che, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, «tutta la procedura prevista nell'articolo 141, comma 2, del decreto legislativo n. 267 del 2000 è essenzialmente finalizzata a sollecitare l'approvazione del bilancio e dei rendiconto di gestione da parte del competente organo consiliare, ponendosi l'intervento sostitutivo come estrema misura sanzionatoria una volta constatato che, nonostante l'ulteriore termine appositamente assegnato dall'autorità prefettizia, l'organo consiliare sia comunque rimasto inattivo non provvedendo in merito: ne discende che deve propendersi per la natura ordinatoria-acceleratoria sia del termine di legge per l'approvazione del bilancio e del rendiconto, sia del termine ultimo fissato su iniziativa – dell'autorità prefettizia; in altre parole, l'inosservanza del termine di legge per l'approvazione ad opera del consiglio comunale del rendiconto di gestione non ha come conseguenza automatica lo scioglimento dello stesso, ma comporta l'apertura di un procedimento sollecitatorio, caratterizzato dall'assegnazione di un ulteriore termine acceleratorio, che può anche condurre all'adozione della grave misura dello scioglimento, ma solo a seguito della constatata inadempienza all'intimazione puntuale ed ultimativa dell'autorità prefettizia, che attesti l'impossibilità o la riottosità del Consiglio a procedere all'approvazione del documento contabile anche oltre il termine assegnato (cfr. in tal senso Consiglio di Stato, Sez. V, 19 febbraio 2007, n. 826); (...) la disposizione in commento è ispirata da una pervasiva logica sollecitatoria, tesa a consentire fino all'ultimo la libera espressione ed il mantenimento dell'assemblea scelta dal corpo elettorale» (così TAR Calabria, sezione Reggio Calabria, sentenza n. 195/2019, richiamando TAR Napoli, sezione I, sentenza n. 3574/2013; analogamente,
ex multis, TAR Salerno, sezione II, sentenza n. 596/2018).
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo Sibilia.


   TORTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la sicurezza e l'idoneità del luogo di lavoro sono elementi imprescindibili per il corretto svolgimento della propria funzione, ancora di più per coloro che sono al servizio dello Stato, come la polizia, che si occupa della tutela e della sicurezza pubblica;

   è assolutamente necessario un adeguato livello di protezione e di tutela del personale in servizio e delle sedi di servizio, ivi compresa la prevenzione dalla fuga o da aggressioni dei soggetti fermati;

   in data 27 giugno 2019, come riportato dalla testata giornalistica de «Il Centro», il segretario provinciale del Siulp di Chieti (Sindacato italiano unitario lavoratori della polizia), riporta all'attenzione pubblica un problema che aveva già più volte posto in evidenza nel passato;

   si afferma, nell'articolo di stampa, che gli ambienti di lavoro della questura di Chieti sono nettamente al di sotto dei parametri minimi di vivibilità (6 persone in meno di 20 metri quadrati), alcuni anche sporchi, poiché invasi dai piccioni e relativi escrementi;

   la mancanza di una camera di sicurezza adeguata genera una condizione di scarsa sicurezza sia per gli operatori sia per eventuali altri civili presenti all'interno della struttura;

   l'accesso ai piani superiori è spesso precluso a passeggini e disabili a causa dell'assenza o del mancato funzionamento dell'ascensore;

   la carenza di parcheggi in numero adeguato ad accogliere il personale genera continue tensioni e rallentamenti a una macchina operativa che dovrebbe, al contrario, viaggiare spedita –:

   se il Ministro sia a conoscenza della situazione in cui verte la questura di Chieti, ormai da anni;

   quali iniziative abbia intrapreso o intenda intraprendere per rendere più idonee le strutture della questura di Chieti e per invertire, in seguito alla quasi totale assenza di azioni in merito delle precedenti amministrazioni, e risolvere definitivamente la questione in essere con tempi certi, riportando la sicurezza e la tutela della pubblica incolumità al centro dell'interesse delle istituzioni politiche nell'interesse di ogni cittadino.
(4-03207)

  Risposta. — I fatti richiamati nell'interrogazione riguardano la situazione in cui versano gli edifici dove sono dislocati gli uffici della questura di Chieti.
  Tali uffici sono divisi fra le due sedi dislocate presso il Palazzo della provincia e la Caserma Spinucci, la situazione che manifesta maggiori criticità è quella del palazzo della provincia in quanto gli spazi vengono condivisi con altri due enti – prefettura e provincia – in un contesto di un edificio antico con manutenzione a volte carente, Anche l'edificio della caserma Spinucci, è condiviso con l'Esercito italiano.
  La situazione della insufficienza degli spazi si verifica in alcuni ambienti al piano terra della sede centrale occupati dalla Squadra Mobile, che sono da ritenere senz'altro insufficienti per il numero di operatori che vi prestano servizio.
  Al fine di attenuare, parzialmente, i disagi segnalati, con particolare riferimento alla mancanza di una camera di sicurezza, recentemente è stato approvato un progetto da parte dei competenti uffici del dipartimento della pubblica sicurezza, che prevede la realizzazione presso la caserma Spinucci di una camera di sicurezza, al momento è in corso di valutazione il finanziamento dell'opera.
  Quanto alle asserite precarie condizioni igieniche, si sottolinea che la situazione di «comunione» complica non poco, da un punto di vista burocratico, la gestione delle manutenzioni. In ogni caso si fa presente che di recente sono stati effettuati lavori di radicale pulizia e disinfestazione disposti dalla questura mediante procedura d'urgenza, delle aree esterne, attigue agli uffici della squadra mobile, nel cortile condiviso con prefettura e provincia.
  Effettivamente, l'accesso al piano superiore del Palazzo della provincia avviene per il tramite una scala angusta servita da un ascensore vetusto che è stato oggetto di numerosi interventi di manutenzione. Tale situazione, in alcune circostanze, ha creato problemi di accesso da parte dei disabili, i quali, comunque, sono stati sempre puntualmente serviti dal personale degli uffici, che scendendo al piano terra, ha assecondato le richieste anche di questi utenti. Grazie, comunque, all'ultimo intervento di manutenzione straordinaria, da parecchi mesi l'ascensore funziona perfettamente.
  Lo spazio per le auto, di servizio in uso agli uffici della sede centrale, invece, è da ritenersi sufficiente, mentre per le auto private vi è sufficiente disponibilità all'interno della caserma Spinucci dove tutto il personale è autorizzato ad accedere.
  Il problema, semmai, è rappresentato dalla collocazione urbanistica della sede, ubicata in pieno centro storico, che collide con le esigenze operative nei casi di emergenza quando la rapidità di movimento assume un ruolo essenziale.
  Per dare una risposta complessiva al problema, già da tempo, sono state avviate, una serie di iniziative, di concerto con l'Agenzia del demanio di Pescara, finalizzate ad ottenere la disponibilità di nuovi ambienti all'interno della predetta caserma Spinucci.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo Sibilia.


   ZUCCONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   Kme è una società tedesca controllata da Intek Group che opera con tre divisioni nei settori della produzione di rame, ottone e prodotti speciali;

   in Italia, la società, con la sede di Fornaci di Barga (Lucca), ricopre un ruolo strategico e di fondamentale importanza per l'intera Valle del Serchio e l'intera provincia di Lucca, generando indotto e reddito, impiegando circa 570 lavoratori e vantando una capacità produttiva di 90.000 tonnellate annue;

   da tempo lo stabilimento si trova al centro dell'attenzione mediatica nel tentativo di un rilancio industriale volto a garantire una continuità produttiva e occupazionale;

   l'azienda Kme ha deciso di trasformare l'impianto di Fornaci di Barga in un pirogassificatore;

   il progetto prevedrebbe un inceneritore di rifiuti a tutti gli effetti che, per quanto riguarda gli inquinanti emessi in atmosfera e i residui tossici solidi, sarebbe assolutamente equivalente agli inceneritori classici. Il combustibile sarebbe composto in primis da scarti di cartiera (scarto pulper, composto al 70 per cento da plastiche, fanghi e code) ma si prevedrebbe la possibilità di ricorso ad altre tipologie di rifiuti, dettagliatamente elencate nel SIA che accompagna il progetto: da quelli dell'alimentare a quelli del tessile e del conciario;

   il gassificatore emetterà una gamma di inquinanti che la fonderia attualmente non emette o che comunque non è autorizzata ad emettere, ovvero ammoniaca, acidi gassosi (acido cloridrico e fluoridrico), anidride solforosa, molti tipi di metalli pesanti variamente tossici (mercurio, tallio, arsenico, antimonio, manganese e altri) e idrocarburi policiclici aromatici (IPA, come il benzopirene, un cancerogeno certo);

   con molta probabilità la dispersione degli inquinanti, nonché la dimensione degli inquinanti sarà più pericolosa in quanto gli inquinanti aventi natura particolata emessi dal gassificatore saranno per l'87 per cento polveri fini e ultrafini (PM 2.5 e inferiori) mentre tale percentuale è del 50 per cento per quelle di fonderia; è noto in letteratura come le polveri fini e ultrafini siano molto più tossiche in quanto in grado di penetrare le difese naturali dell'apparato respiratorio ed entrare a contatto con tutti gli organi del corpo. Questo impianto rappresenta una bomba ecologica e sanitaria, un modo di agire che va in senso opposto all'economia circolare presente tra le proposte inserite all'interno del nuovo «Patto per lo sviluppo» della regione Toscana siglato dal Presidente Enrico Rossi il 12 luglio 2019 con 19 soggetti rappresentativi delle categorie produttive;

   il tutto avverrebbe in un contesto di scarsa dispersione di inquinanti dovuta a fattori orografici e climatici (valle ristretta fra catene montuose, scarsa ventilazione e inversione termica come certificato dalla regione) e di eccessi di mortalità e ricovero certificati su malattie cardiache, respiratorie e renali dall'Ars (Agenzia regionale di sanità) nell'ultimo studio epidemiologico presentato il 3 ottobre 2019 con dati aggiornati al 2015;

   il comune di Barga è uno dei più virtuosi della Toscana quanto a raccolta differenziata, dato che col sistema porta a porta ha raggiunto l'85 per cento di tasso di raccolta differenziata. Ci si troverebbe ad avere, quindi, un comune assolutamente virtuoso nella gestione dei rifiuti e «premiato», con un inceneritore di queste dimensioni nel suo territorio;

   il settore cartario rappresenta un'eccellenza del territorio lucchese in quanto vanta diverse aziende operanti in questo mercato che però hanno l'annoso problema di dover smaltire gli scarti del pulper;

   secondo dati Comieco, il distretto cartario lucchese ricicla circa 1,6 milioni di tonnellate di macero annue, una quantità di scarto all'umido di 70.000 tonnellate –:

   quali iniziative intendano adottare i Ministri interrogati, per quanto di competenza, nei confronti delle numerose aziende del distretto cartario lucchese per incentivare uno smaltimento del pulper che segua i dettami dell'economia circolare e allo stesso tempo per garantire il mantenimento dei relativi livelli occupazionali.
(4-04068)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare si precisa che, secondo quanto riferito dal comune di Barga, l'amministrazione comunale ha trasmesso alla regione Toscana osservazioni in cui evidenzia le incompatibilità del sito con la realizzazione dell'impianto in questione.
  Secondo il comune si tratterebbe, infatti, di un impianto di incenerimento (o coincenerimento) di rifiuti speciali industriali di notevoli dimensioni, che andrebbe a collocarsi nel centro abitato, lungo l'alveo del fiume Serchio, nella valle compresa tra le alpi Apuane e l'appennino Tosco Emiliano.
  Il comune medesimo, con nota del 15 marzo 2019, ha comunicato, inoltre, alla regione Toscana l'incompletezza formale e sostanziale della documentazione presentata anche rispetto a elementi già richiesti e non pervenuti ritenuti rilevanti per una esaustiva valutazione dell'intervento proposto, elencando nuovamente le carenze rilevate e precisando l'impossibilità di esprimere il proprio contributo.
  Più in particolare, il comune di Barga ha rilevato contrasti del progetto proposto sotto gli aspetti di competenza dal punto di vista sia urbanistico che paesaggistico, in quanto l'area risulta vincolata dal punto di vista paesaggistico e caratterizzata, per le proprietà orografiche, da condizioni climatiche e meteorologiche che determinano il ristagno degli inquinanti.
  La regione Toscana, con nota del 17 aprile 2019, ha chiesto alla Kme Italy s.p.a. integrazioni e chiarimenti evidenziando, nel contempo, potenziali aspetti di incompatibilità del progetto in rapporto a criteri escludenti di localizzazione definiti nel piano regionale di gestione dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati.
  Sempre secondo quanto riferito sia dal comune che dalla regione Toscana, l’
iter, risulta attualmente sospeso in quanto la regione, in considerazione della rilevanza e complessità delle integrazioni richieste dai diversi enti coinvolti nel procedimento, ha accolto l'istanza di proroga presentata dalla società di 180 giorni, fissando, quindi, il termine per il deposito della documentazione richiesta all'11 novembre 2019.
  Si segnala, altresì, che il comune ha presentato un ricorso straordinario al Capo dello Stato avverso la delibera di giunta regionale che approva una bozza di accordo con l'azienda per il rilancio industriale dello stabilimento attraverso la realizzazione del gassificatore dei rifiuti.
  La società ha presentato, a sua volta, ricorso al Tar Toscana, per l'annullamento della delibera del consiglio comunale di Barga avente per oggetto «interpretazione autentica del piano strutturale ...», nonché della nota di chiarimenti trasmessa dal comune alla regione Toscana dietro specifica richiesta della stessa in relazione alla presenza di invarianti strutturali di valenza ambientale.
  Tale ricorso è attualmente pendente. La presenza di tali invarianti costituisce criterio escludente per la realizzazione dell'impianto, ai sensi del Piano regionale di gestione dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati, come riportato nella nota della regione.
  Per quanto attiene gli aspetti strettamente occupazionali, la regione Toscana ha fatto presente di aver seguito costantemente, mediante l'unità di crisi del lavoro, la vicenda legata alla gestione degli ammortizzatori sociali e alle ricadute connesse, attivando tavoli di incontro in sede regionale e anche presso il Ministero dello sviluppo economico, affinché fossero trovate soluzioni più adatte alle dinamiche produttive dell'azienda e maggiormente condivise dalle parti sociali.
  In particolare, in accordo con le organizzazioni sindacali e con i vertici di KME, e con il supporto dei Ministeri dello sviluppo economico e del lavoro è stato possibile attivare in via eccezionale l'ammortizzatore della Cassa integrazione guadagni straordinari con la causale riorganizzazione per crisi complessa in proroga per tutto l'anno 2019, garantendone la copertura entro i limiti finanziari di stanziamento previsti.
  Sempre secondo quanto riferito dall'Amministrazione regionale, con particolare riguardo agli aspetti di partecipazione pubblica, con delibera della giunta regionale toscana n. 1062 del 5 agosto 2019, la giunta regionale ha disposto lo svolgimento di un'inchiesta pubblica ai sensi dell'art. 53 della legge regionale n. 10 del 2010 e con successivo atto la stessa provvederà a selezionare il presidente dell'inchiesta dall'elenco contenente i necessari requisiti e presupposti ai sensi del comma 2-
bis della medesima legge, così come modificata dalla legge regionale n. 25 del 25 maggio 2018.
  Da ultimo, per quanto attiene alle iniziative nei confronti delle numerose aziende del distretto cartario finalizzate ad incentivare uno smaltimento del
pulper che segua i dettami dell'economia circolare e allo stesso tempo per garantire il mantenimento dei relativi livelli occupazionali, si segnala che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è attualmente impegnato nella redazione del regolamento recante la disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto «scarto di pulper», ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
  Lo schema di regolamento individua, sulla base della delega contenuta nell'articolo 184-
ter, comma 2, del predetto decreto, i criteri nel rispetto dei quali i rifiuti «scarto di pulper», a valle di apposito trattamento e a condizione che soddisfino i requisiti stabiliti nel regolamento medesimo, cessano di essere qualificati come rifiuti per essere reintrodotti nel ciclo economico come prodotti «plastiche eterogenee a base di poliolefine».
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate sono tenute in debita considerazione da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ben conscio che ai positivi effetti ambientali della cessazione della qualifica di rifiuto –
End of Waste (EoW) si accompagna la possibilità di disporre utilmente, all'esito di opportune operazioni di riciclo e recupero, non più di un rifiuto ma di un prodotto che, in quanto tale, avrà un mercato e, quindi, un valore economico di cui potranno beneficiare le imprese ed i livelli di occupazione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.