Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVIII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 13 dicembre 2019

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TOPO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   come noto, in base all'articolo 23, del decreto-legge 4 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, si prevede la possibilità, per i soggetti che accedono al pensionamento con i requisiti della cosiddetta «quota 100» o che accedono al trattamento pensionistico di vecchiaia o anticipato, di richiedere una somma pari all'indennità di fine servizio maturata, mediante finanziamento bancario agevolato, entro l'importo massimo di 45.000 euro. Il finanziamento e i relativi interessi sono restituiti integralmente a valere sull'indennità di fine servizio liquidata al pensionato, secondo la tempistica di liquidazione definita a normativa vigente;

   per l'operatività del suddetto meccanismo di finanziamento e, quindi per la sua concreta fruibilità, il comma 2, del citato articolo 23, dispone che sia stipulato un accordo quadro tra i Ministri del lavoro e delle politiche sociali, dell'economia e delle finanze, della pubblica amministrazione, e l'Associazione bancaria italiana, sentito l'Inps entro 60 giorni dalla data di conversione in legge del provvedimento in questione;

   ai sensi del successivo comma 3 è stato istituito un apposito Fondo di garanzia per l'accesso a tali finanziamenti, con una dotazione iniziale pari a 75 milioni di euro per il solo 2019;

   a quanto consta all'interrogante e in base alle molte segnalazioni dei diretti interessati, a tutt'oggi — ovvero a oltre sei mesi dal termine previsto dal citato decreto-legge — non risulta ancora sottoscritto l'accordo quadro con l'Abi pregiudicando così l'accesso a tale importante istituto che faciliterebbe la condizione di migliaia di pensionati ex dipendenti delle pubbliche amministrazioni;

   è di tutta evidenza che tale situazione sta determinando una grave frustrazione dei diritti di migliaia dei pensionati che hanno potuto accedere all'anticipo pensionistico stabilito da «quota 100», già nel 2019;

   peraltro, visto che lo stanziamento per la copertura dei relativi oneri è stato previsto per il solo 2019, qualora non rifinanziato per gli ulteriori due anni di vigenza di «quota 100», verrebbe definitivamente precluso l'accesso a tale opportunità di anticipazione del trattamento di fine servizio –:

   quali siano le ragioni della mancata sottoscrizione del citato accordo quadro con l'Abi e quali iniziative intenda assumere il Governo per perfezionare, nei tempi più ravvicinati, la procedura in questione, oltre che per dare continuità alle citate disposizioni almeno per l'intera durata della vigenza della normativa recante la cosiddetta «quota 100».
(5-03295)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   VIETINA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   come noto, la legge n. 3 del 2019, recante «Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici», ha modificato gli articoli 158, 159 e 160 del codice penale;

   in via di estrema sintesi, la riforma introdotta – inserita in fase emendativa nel corso dell'esame in sede referente alla Camera dei deputati, con un'operazione di «ampliamento del perimetro del provvedimento» del tutto discutibile e rocambolesca – sospende il corso della prescrizione dalla data di pronuncia della sentenza di primo grado (sia di condanna che di assoluzione) o dal decreto di condanna, fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o alla data di irrevocabilità del citato decreto;

   la legge n. 3 del 2019, all'articolo 1, comma 2, fissa l'entrata in vigore della riforma della prescrizione al 1° gennaio 2020. Lo stesso Governo pro tempore aveva infatti preannunciato in maniera chiara la volontà di realizzare entro tale termine un intervento riformatore del codice di procedura penale volto alla drastica riduzione dell'irragionevole durata dei processi in Italia, intendendo così marginalizzare l'impatto concreto dell'eliminazione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado. In buona sostanza, ad avviso dell'interrogante le forze di Governo dell'epoca, consapevoli che l'intervento così operato era «una bomba nucleare sul processo» (per usare le parole dell'allora Ministro per la pubblica amministrazione Giulia Bongiorno), da un lato hanno collocato l'ordigno, dall'altro hanno spostato il tempo dell'esplosione;

   lo stesso Ministro della giustizia, Bonafede, aveva parlato di un «accordo politico» che «prevede che approfittiamo di questo anno anche per scrivere la riforma del processo penale. Il Governo avrà la delega dal Parlamento con scadenza 2019»;

   ebbene: dall'approvazione della riforma della prescrizione ad oggi, non è stata però esaminata dalle Camere alcuna proposta normativa concreta in tal senso. Solo a fine luglio 2019 è stato approvato dal Consiglio dei ministri «salvo intese» un disegno di legge delega che avrebbe dovuto stabilire i princìpi e criteri direttivi per riformare il processo civile, il processo penale, l'ordinamento giudiziario, la disciplina sull'eleggibilità e il ricollocamento in ruolo dei magistrati, il funzionamento e l'elezione del Consiglio superiore della magistratura e la flessibilità dell'organico dei magistrati. L'avvicendamento di maggioranza, il cambio di Governo, l'evoluzione in atto del quadro politico, lasciano facilmente immaginare che non si riuscirà ad approvare alcun testo prima della fine dell'anno. Senza dunque entrare nel dettaglio della riforma del processo penale è evidente che questa non potrà certamente essere operativa prima del 1° gennaio 2020, termine dal quale dispiegherà la sua efficacia la soppressione – di fatto – della prescrizione;

   ad ogni evidenza, ciò travolge e fa venire meno il presupposto – a giudizio dell'interrogante debolissimo e risibile – che aveva in qualche modo giustificato la sostanziale soppressione della prescrizione, altrimenti del tutto inaccettabile sia dal punto di vista politico che, prima ancora, giuridico. Inaccettabilità che, preme segnalare, è stata rilevata dagli operatori del diritto ad ogni livello – avvocati, magistrati, esponenti del mondo universitario – con una lunga serie di interventi, manifestazioni e scioperi;

   il 20 novembre e l'11 dicembre 2019 si sono svolte due interrogazioni a risposta immediata in Assemblea sul tema, in relazione alla quale il Governo ha dato risposte, ad avviso dell'interrogante, non soddisfacenti;

   mancano ormai 18 giorni: un intervento è ormai indifferibile e urgente –:

   se il Ministro interrogato intenda adottare iniziative normative urgenti per evitare l'ormai imminente entrata in vigore della riforma, o meglio dell'abolizione de facto, della prescrizione.
(3-01203)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


   DE MARTINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   a partire dal 1° gennaio 2020, tutte le navi per trasporto marittimo avranno l'obbligo di ridurre gli ossidi di zolfo dell'85 per cento; tale obbligo è stato stabilito dall'Imo (International Maritime Organization), con lo scopo di ridurre le emissioni di gas dovute all'ossido di zolfo, al fine di tutelare la salute pubblica e di proteggere l'ambiente;

   per effetto del predetto obbligo, le navi dovranno utilizzare combustibili per uso marittimo con un tenore massimo di zolfo dello 0,5 per cento rispetto al limite attuale del 3,3 per cento;

   a differenza del tradizionale gasolio attualmente impiegato, i combustibili per uso marittimo con ridotto tenore di zolfo hanno costi nettamente più elevati;

   l'aggravio di costi sostenuti per l'approvvigionamento di carburante conforme all'obbligo stabilito dall'Imo impone alle compagnie di navigazione un adeguamento (al rialzo) del tariffario;

   l'adeguamento tariffario operato dalle compagnie marittime si riverbererà sugli autotrasportatori (italiani e non) che viaggiano sulle navi delle linee merci del Mediterraneo, con un incremento stimato di circa 8 euro a metro lineare per ciascun rimorchio, la cui tariffa media di trasporto passerà dagli attuali 400 euro ai 500;

   per una regione come la Sardegna l'incremento tariffario si tradurrà in una vera e propria stangata, tanto per gli autotrasportatori sardi, quanto per i cittadini sardi, che subiranno indirettamente un danno economico –:

   alla luce di quanto esposto in premessa se il Governo non ritenga opportuno adoperarsi, nelle opportune sedi, al fine di valutare l'adozione di opportune iniziative di competenza, anche di carattere normativo, atte a prevedere specifiche deroghe agli obblighi citati o, in alternativa, delle misure di compensazione per evitare in particolare che il settore dell'autotrasporto sardo sia penalizzato.
(4-04340)

INTERNO

Interrogazione a risposta scritta:


   DAVIDE AIELLO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   in data 8 dicembre 2019 la trasmissione televisiva «Le Iene» ha mandato in onda un servizio che denuncia le vicende mafiose subite negli anni dalle sorelle Pilliu, nella città di Palermo;

   citando un articolo che ha trattato della medesima vicenda pubblicato dal Fatto quotidiano in data 20 novembre 2019: «C'è un palazzo a Palermo, vicino allo stadio della Favorita, che spiega meglio di un trattato, la mafia e l'antimafia.»;

   si tratta di un palazzo edificato in piazza Leoni senza che fossero rispettate le distanze minime legali dall'abitazione delle sorelle Pilliu. Ha ottenuto le autorizzazioni edilizie grazie alla corruzione di un assessore da parte di Pietro Lo Sicco, già condannato per questa vicenda e che alcuni mesi fa è stato nuovamente arrestato per reato di associazione mafiosa, come riportato dal giornale di Sicilia il 22 gennaio 2019;

   le sorelle Rosa e Savina Pilliu si sono sempre opposte alle minacce mafiose evitando che le proprie abitazioni fossero abbattute in favore dello stabile abusivo (utilizzato anche come covo da diversi mafiosi tra cui Giovanni Brusca che vi ha trascorso parte della propria latitanza); attualmente questo edificio, come il patrimonio di Lo Sicco, sarebbe gestito dall'amministratore giudiziario dottor Turchio;

   dall'inchiesta giornalistica emerge la situazione di difficoltà economica e di abbandono in cui vivono le sorelle a seguito del crollo della propria abitazione, nonostante spetti a loro un risarcimento: una sentenza, «la n. 416/2018», avrebbe stabilito che tra le cause del danno si debbano rilevare le responsabilità dell'amministratore giudiziario, che ad oggi non ha ancora provveduto ad alcun indennizzo;

   alle sorelle è stato inoltre negato il risarcimento da parte del «Fondo di Solidarietà per le vittime della mafia», in quanto non sarebbero state ritenute vittime di mafia. Eppure, come si evince da un articolo di Repubblica del 31 ottobre 2001, le stesse hanno usufruito del contributo previsto dalla regione siciliana per le vittime delle cosche e del racket;

   emerge inoltre il fatto che alle sorelle sarebbe stata offerta la possibilità di avvalersi del programma di protezione e della cifra di 4 milioni di euro. Questa possibilità non è stata concretizzata in quanto le stesse, in modo coraggioso, orgoglioso e caparbio, non vogliono cambiare nome, abbandonare la loro città e la loro casa, divenuta ormai simbolo della legalità e della lotta alla mafia, di chi non si arrende e di chi non si lascia «prevaricare in quanto donna»; tant'è che è intenzione delle stesse di utilizzare gli indennizzi a loro spettanti, per il ripristino delle casette e per persone che non trovano lavoro, in modo che non siano costrette a pagare il «pizzo», avanzando la richiesta che queste case non vengano abbattute nemmeno dopo la loro morte, «per testamento» e possano eventualmente divenire un museo sulla resistenza alla mafia –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;

   se e quali iniziative di competenza, anche di carattere normativo, abbiano adottato o intendano adottare al fine di dimostrare la vicinanza dello Stato alle vittime di mafia, come le sorelle Pilliu, prevedendo, in questo caso e in quelli analoghi, un tempestivo risarcimento dei danni subiti, anche attraverso un rimborso da parte dell’«Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata» e verificando – ed eventualmente concedendo – la possibilità alle stesse sorelle di accedere al Fondo di solidarietà per le vittime della mafia;

   se non ritengano opportuno adottare iniziative, per quanto di competenza, per garantire, una volta ripristinate le abitazioni di loro proprietà in piazza Leone a Palermo, l'istituzione in tali edifici di un museo sulla resistenza alla mafia.
(4-04337)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   Safilo Group S.p.A., l'azienda italiana che produce e distribuisce occhiali, controllata dal 2009 dal fondo olandese Hal, ha approvato un nuovo piano industriale, che si basa su una profonda trasformazione digitale e un drammatico ridimensionamento delle attività italiane;

   la società ha annunciato che, nel 2020, procederà a ben 700 esuberi su 2600 dipendenti;

   a pagare il prezzo più alto del piano industriale in questione, è lo stabilimento di Martignacco (Udine), di cui è prevista la chiusura e l'esubero dei suoi 250 dipendenti, nonostante sia considerato il più performante per efficienza e produttività;

   i sindacati hanno indetto per venerdì 13 dicembre 2019 uno sciopero generale in tutti gli stabilimenti e hanno chiesto al Ministero dello sviluppo economico un incontro urgente sulla vertenza, visto l'elevato numero di esuberi, che avranno gravi ricadute nei territori interessati: oltre al Friuli, i pesanti tagli riguardano lo stabilimento di Padova, dove sono a rischio 50 lavoratori e quello di Longarone (Belluno) con 400 esuberi;

   a quanto è dato sapere, il ridimensionamento del personale è dovuto, in particolare, alla perdita di importanti licenze del settore lusso del gruppo Lmvh;

   è necessario intervenire con urgenza per salvaguardare i lavoratori interessati dagli esuberi ed individuare tutti gli ammortizzatori sociali disponibili a loro tutela;

   non si possono consentire i drammatici effetti del piano industriale adottato da Safilo, sulle attività italiane, da un punto di vista sociale ed economico –:

   se il Governo intenda assumere urgenti iniziative, compresa l'attivazione dei contratti di solidarietà per tutelare i lavoratori di Safilo che, nel 2020, rischiano la perdita del posto di lavoro;

   se e quali iniziative si intendano adottare per limitare il drammatico impatto che il nuovo piano industriale potrebbe avere sui territori interessati, sotto il profilo economico sociale, anche mediante l'istituzione di un tavolo di confronto.
(5-03294)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BIGNAMI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   con decreto del 21 ottobre 2019 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, recante: «individuazione dei Paesi nei quali non è possibile acquisire la certificazione sulle dichiarazioni ISEE ai fini del Reddito di cittadinanza», sono stati individuati i Paesi (il cui elenco è contenuto nell'allegato) i cui cittadini sono tenuti a produrre la certificazione di cui all'articolo 2, comma 1-bis del decreto-legge n. 4 del 2019, limitatamente all'attestazione del valore del patrimonio immobiliare posseduto all'estero dichiarato ai fini dell'Isee;

   tale elenco, limitato appena a 19 Paesi, appare, a parere dell'interrogante, eccessivamente ristretto;

   il decreto-legge n. 4 del 2019 prevede che le disposizioni relative alla produzione della certificazione attestante l'esistenza, o l'inesistenza, di patrimonio immobiliare all'estero non si applichino: a) nei confronti dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea aventi lo status di rifugiato politico; b) qualora convenzioni internazionali dispongano diversamente; c) nei confronti di cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea nei quali è oggettivamente impossibile acquisire le certificazioni di cui al comma 1-bis;

   stante l'elenco particolarmente ridotto, a questo punto è doveroso interrogarsi sull'equità della misura del reddito di cittadinanza, visto che i requisiti di accesso, in particolare per i cittadini stranieri e per quanto attiene patrimonio immobiliare all'estero, sono oggettivamente frutto di diverso trattamento. Per la stragrande maggioranza dei Paesi, infatti, lo Stato italiano ritiene che sia oggettivamente impossibile acquisire le suddette certificazioni, pertanto il reddito di cittadinanza potrebbe essere erogato a cittadini stranieri che possiedono patrimonio immobiliare nel Paese di origine senza che ciò, possa essere verificato e senza, che la legge dello Stato chieda controlli in tal senso;

   nelle premesse del citato decreto ministeriale si legge infatti che «in riferimento alla documentazione relativa al possesso dei requisiti reddituali e patrimoniali, con riferimento ai cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea, la componente non accertabile da parte della Agenzia delle entrate riguarda il patrimonio posseduto all'estero e i redditi da esso derivanti»;

   è di questi giorni la notizia, tra l'altro, che il messaggio dell'Inps del 3 dicembre 2019, ha confermato che, per le istanze prodotte dall'aprile 2019 da parte di cittadini extracomunitari, sarà disposto il rilascio della tessera relativa al reddito di cittadinanza, e si provvederà anche al pagamento delle mensilità arretrate –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti;

   sulla base di quali criteri siano stati individuati i Paesi di cui al citato decreto e per quale motivo manchino all'appello la stragrande maggioranza dei Paesi ai quali appartiene, tra l'altro, la grande maggioranza di cittadini stranieri risiedenti in Italia;

   quali urgenti iniziative di carattere normativo si intendano assumere per fare in modo che i requisiti richiesti per l'accesso al reddito di cittadinanza siano verificati in maniera univoca e oggettiva per tutti i richiedenti;

   quali iniziative di carattere normativo si intendano adottare alla luce di tali criticità, affinché tali modalità di sostegno vengano superate a favore di misure volte a incrementare davvero i livelli occupazionali.
(4-04338)


   DONZELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per le pari opportunità e la famiglia. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto riportato dalla stampa, il giudice del lavoro di Firenze ha condannato l'ispettorato del lavoro del capoluogo toscano con una sentenza che riconosce la conciliazione vita-lavoro un vero e proprio diritto soggettivo, come ha sottolineato in un comunicato stampa la regione Toscana che ha reso noto il fatto. Il tribunale del lavoro di Firenze ha accolto il ricorso presentato della consigliera regionale di parità della Toscana, Maria Grazia Maestrelli, volto all'accertamento della discriminazione collettiva a danno di 83 dipendenti dell'Ispettorato del lavoro di Firenze. L'ordinanza, secondo quanto appreso, avrebbe ordinato al direttore dell'ispettorato territoriale fiorentino di rimuovere gli ordini di servizio interni che non rispettavano l'ultimo contratto collettivo nazionale delle funzioni centrali, non solo non concedendo la flessibilità oraria cosiddetta «ulteriore» ai dipendenti genitori di ragazzi sotto i 16 anni, ma anche restringendo istituti tradizionali quali quelli dei permessi non retribuiti dei pubblici dipendenti, impedendo che gli stessi siano richiesti, in caso di necessità, la mattina. La questione nasce per il caso di una dipendente, madre separata di una bimba di 4 anni, sottoposta a procedimento disciplinare a seguito della applicazione di questi ordini di servizio, censurati per discriminazione. Il giudice ha quindi condannato l'ispettorato Fiorentino a mettersi a un tavolo con le rappresentanze sindacali per adeguare l'orario agli strumenti di conciliazione vita-lavoro, rimuovendo le fonti di discriminazione rilevate negli ordini di servizio dell'ispettorato Fiorentino sull'orario di lavoro. Un metodo, come ha sottolineato la consigliera di parità della regione Toscana, Maria Grazia Maestrelli, che «conferma una situazione che il mio ufficio denuncia da anni riguardo agli effetti negativi della mancata concessione delle misure di conciliazione vita-lavoro e il pregiudizio che di conseguenza sono costrette a subire le lavoratrici madri, purtroppo di sovente, costrette per tale ragione ad arrendersi ad un obsoleto retaggio culturale che impone alle donne di scegliere fra la famiglia e il lavoro. È prioritario che chi ha il compito e l'obiettivo di adoperarsi per l'affermazione dei principi di parità, pari opportunità e non discriminazione in ambito lavorativo sia per primo in grado di conoscere e riconoscere quali sono e devono essere le buone prassi organizzative da mettere in atto affinché le garanzie richieste dalla legge trovino riscontro efficace nelle condizioni di lavoro». «Fa specie constatare – ha rilevato la consigliera – che sia proprio l'ispettorato del lavoro a non esser stato capace di adottare al suo interno quelle risapute ed elementari misure, segnatamente per la famiglia e per le pari opportunità, che servono ad assicurare una conciliazione dei tempi vita-lavoro, in particolare alle madri lavoratrici». Una situazione messa in atto dall'istituzione che dovrebbe vigilare anche sulla non discriminazione di genere nei rapporti lavorativi;

   è un fatto grave che l'ispettorato del lavoro, non solo non faccia rispettare tali diritti, ma si renda in questo modo assolutamente non credibile negli obiettivi che dovrebbe perseguire –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa;

   quali iniziative intenda assumere per porre fine a tale situazione che riguarda l'ispettorato del lavoro di Firenze, nel rispetto delle normative e della sentenza del tribunale del lavoro;

   se non intenda assumere iniziative disciplinari nei confronti dei dirigenti che hanno provocato tale situazione.
(4-04341)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   DONZELLI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   le funzioni della professione chiropratica, disciplina di carattere paramedico la cui efficacia è provata nel trattamento del dolore alla schiena, non sono regolamentate in Italia come in altre nazioni europee, fra cui Francia, Gran Bretagna, Norvegia, Svezia, Svizzera, e altre ed extraeuropee come Stati Uniti d'America e in Canada. In molte di queste nazioni si prevede un percorso di studi di almeno cinque o sei anni. Di tutto ciò sembra non aver tenuto conto il Consiglio universitario nazionale nell'adunanza del 4 settembre 2019, che per il chiropratico ci «debba essere un percorso formativo universitario triennale con laurea abilitante». L'Associazione italiana chiropratici (Aic), che opera in Italia senza scopo di lucro dal 1974 per tutelare la formazione, le competenze ed i livelli qualitativi della professione chiropratica in linea con quanto stabilito dall'Organizzazione mondiale della sanità, è formata da professionisti chiropratici con lauree magistrali riconosciute dagli Stati in cui sono state rilasciate da università pubbliche o private accreditate e che costituiscono titoli abilitanti all'esercizio della professione. In questo contesto, a tutela della salute pubblica, è importante la definizione dei criteri per valutare l'equipollenza dei titoli e l'esperienza professionale: in Italia non esiste, ad oggi, un albo dei chiropratici. L'intervento si rende necessario anche per scoraggiare sedicenti guaritori non in possesso dei requisiti professionali per l'esercizio della professione, anche in considerazione del fatto che circolano in commercio alcuni manuali e video-corsi di manipolazione pericolosi per la salute dei cittadini –:

   quali iniziative intenda assumere il Governo, per quanto di competenza, per regolamentare la professione chiropratica ed evitare, a tutela della salute pubblica, l'esercizio di tale professione da parte di coloro i quali non hanno le competenze necessarie per farlo, anche a fronte del suddetto parere reso dal Consiglio universitario nazionale.
(4-04339)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Lupi e altri n. 1-00190, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 maggio 2019, deve intendersi sottoscritta anche dalla deputata Versace.