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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 28 novembre 2019

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:


   Le Commissioni XI e XII,

   premesso che:

    in base ai dati Eurostat, l'Italia è lo Stato con il più alto tasso di over 65 rispetto alla popolazione di età compresa fra i 15 e i 64 anni. Già nel 2017, è stato rilevato che il 35 per cento degli italiani aveva più di 65 anni, cinque punti percentuali sopra rispetto alla media europea;

    si tratta di una moltitudine di persone, molte delle quali fanno fatica a prendersi cura di sé, hanno bisogno di assistenza da parte dei loro familiari o, addirittura, con le loro pensioni, devono aiutare economicamente figli e nipoti in difficoltà;

    è chiaro che l'aumento dell'età media della popolazione, di per sé un dato positivo, ha tra le sue conseguenze più rilevanti la crescita dei bisogni sanitari e socio-assistenziali degli individui non autosufficienti e in condizioni di fragilità;

    tutto ciò pone di fronte all'esigenza di adottare urgenti iniziative, nell'ambito di un ampio progetto di riforma, con il fine di migliorare il sostegno economico, i servizi sociali e sanitari, destinati agli anziani. Ciò conferirebbe un concreto supporto anche a tutte le famiglie, considerata la loro crescente vulnerabilità, per la difficoltà di conciliare lavoro e accudimento dei congiunti, e la fatica nella cura dei disabili e dei «grandi anziani», alla luce dell'impegno totalizzante che ciò comporta;

    bisogna garantire, innanzitutto, un aumento dell'assegno previdenziale per conferire un potere d'acquisto maggiore ai pensionati e, dunque, un miglior tenore di vita, attraverso l'introduzione di un sistema di rivalutazione equo, poiché, in base alle modalità di calcolo della rivalutazione annuale delle pensioni, non tutti i pensionati godono del 100 per cento della rivalutazione;

    anche per individuare maggiori risorse per un aumento delle pensioni, è necessario fare chiarezza nei conti dell'Inps e avere un quadro preciso su come intervenire normativamente per una netta separazione fra previdenza ed assistenza. Al riguardo, è indispensabile un accorto monitoraggio della spesa assistenziale, a cui vanno aggiunti un più efficace contrasto all'evasione fiscale e contributiva, quali misure fondamentali per la sostenibilità del sistema pensionistico;

    a tutela della salute, va garantita un'adeguata erogazione dei livelli essenziali di assistenza in sanità, superando ogni criticità e, soprattutto, mettendo fine, alle disparità di servizi offerti tra le regioni, per escludere le migrazioni interne. A tal fine, si ritiene necessario conferire in materia più poteri allo Stato allo scopo di assicurare ai cittadini, ovunque essi risiedano, adeguati ed eguali livelli essenziali di assistenza;

    si deve intervenire per contrastare l'abuso e la cattiva gestione delle liste di attesa in ambito sanitario, che comporta inevitabilmente una grave violazione del diritto alla salute del cittadino, posto che lo stesso, troppo spesso non vede onorato, in tempi ragionevoli, l'impegno di cura da parte del servizio sanitario. Con un più adeguato coordinamento ed una maggiore efficienza istituzionale, la riduzione delle liste di attesa consentirebbe un miglior esito delle cure, inferiori costi per ridotta incidenza di errori nel processo sanitario e diminuirebbe il numero dei ricoveri per recidiva o complicanze;

    ed ancora, una vera emergenza in Italia sono gli anziani non autosufficienti, il cui numero è destinato a crescere. Si tratta di persone che presentano gravi difficoltà a interagire con il proprio ambiente a causa della perdita permanente, totale o parziale, delle abilità fisiche, psichiche, sensoriali, cognitive o relazionali necessarie, a svolgere le azioni essenziali della vita quotidiana senza l'aiuto di altri;

    sono circa 4 milioni le famiglie con un parente non autonomo a carico e l'assenza di una compiuta strategia da parte del pubblico lascia totalmente alle famiglie il peso organizzativo dell'assistenza, nonché, in gran parte, l'onere economico. Non a caso, i dati Istat evidenziano un bisogno di assistenza nel 58 per cento degli anziani con gravi difficoltà nelle attività di cura della persona, risolto, per oltre il 50 per cento, con l'aiuto di una persona del nucleo familiare;

    le misure di sostegno che riconosce lo Stato sono inadeguate sotto il profilo delle risorse e tale problema si è aggravato pesantemente, negli ultimi anni, in ragione della crisi economica. Pertanto, si rende necessario ed urgente un piano per la non autosufficienza che preveda risorse e idonei strumenti organizzativi,

impegnano il Governo:

   ad adottare iniziative per il ripristino di un sistema di rivalutazione equo che tuteli il potere di acquisto dei pensionati;

   ad assumere iniziative normative finalizzate a realizzare una riforma del sistema pensionistico caratterizzata dalla separazione della spesa previdenziale da quella assistenziale;

   ad adottare le dovute iniziative per assicurare a tutti i cittadini del territorio nazionale adeguati ed eguali livelli essenziali di assistenza in sanità, per escludere le migrazioni interne a cui attualmente sono costretti i pazienti;

   ad assumere iniziative di contrasto della mala gestione delle liste di attesa in ambito sanitario, affinché siano adempiuti tempestivamente i servizi di cura ai cittadini per garantire il diritto alla salute;

   ad adottare urgentemente iniziative, anche normative, per istituire un piano per la non autosufficienza a favore degli anziani e delle famiglie impegnate nella loro cura, che preveda congrue risorse e idonei strumenti organizzativi.
(7-00382) «Rizzetto, Bellucci».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della giustizia, il Ministro per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione, per sapere – premesso che:

   il 15 ottobre 2019 presso il Consiglio d'Europa ove si sono riuniti i Ministri della giustizia, il Ministro della giustizia italiano ha annunciato un progetto sui sistemi di intelligenza artificiale per decidere «procedimenti elementari»;

   segnatamente ha dichiarato che alcuni dei progetti più ambiziosi che sta iniziando ad ipotizzare in Italia, unitamente al Ministro per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione, riguardano il ricorso a sistemi di intelligenza artificiale per la decisione in prima istanza di procedimenti di natura elementare, quale per esempio le impugnazioni contro sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada, lasciando comunque alla parte ricorrente il diritto di richiedere una revisione della decisione da parte del giudice;

   il Ministro Bonafede ritiene, per come dichiarato, che altro punto importante sia il ricorso a sistemi di intelligenza artificiale dotati di funzionalità predittive da porre a disposizione degli utenti del sistema giustizia per la previsione dell'esito, probabile esito, di giudizi di struttura elementare in modo da disincentivare, ove possibile, il ricorso alla giustizia da parte dei soggetti più probabilmente soccombenti e incentivare così il ricorso a soluzioni stragiudiziali di componimento delle liti;

   di questa progettualità annunciata a Strasburgo come già in essere non vi è alcuna traccia nei documenti economici all'esame, né tantomeno il Ministro Bonafede ha cennato alcunché in sede parlamentare, il 23 ottobre 2019, in audizione sulle linee generali sull'azione del suo dicastero;

   nel merito della questione, la possibilità di una diffusione di decisioni giudiziarie algoritmiche in materia penale ha richiamato l'attenzione, e destato la preoccupazione, proprio del Consiglio d'Europa il quale, tramite la propria Commissione per l'efficacia della giustizia (Cepej), il 4 dicembre 2018 ha adottato la Carta etica europea per l'uso dell'intelligenza artificiale nei sistemi di giustizia penale e nei relativi ambienti;

   proprio in relazione ai procedimenti penali, il documento avverte che, anche se non sono specificamente progettati per essere discriminatori, l'uso di algoritmi basati sull'intelligenza artificiale ha mostrato il rischio di favorire la rinascita di teorie deterministiche a scapito delle teorie dell'individualizzazione della pena;

   allo stato attuale, quanto meno in Europa, gli algoritmi predittivi della pericolosità criminale (e, più in generale, gli automated decision systems) non hanno avuto accesso nelle aule penali, anche perché, a precludere loro tale accesso, si erge l'articolo 15 della direttiva 95/46/CE, confluito nell'articolo 22 del nuovo regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali, entrato in vigore il 25 maggio 2018. Tale articolo stabilisce, infatti, che ogni persona ha il diritto di non essere sottoposta ad una decisione che produca effetti giuridici o abbia effetti significativi nei suoi confronti, fondata esclusivamente su un trattamento automatizzato di dati destinati a valutare taluni aspetti della sua personalità –:

   se il Governo non intenda chiarire se e a quale soggetto sia stato affidato uno studio di progettazione di software specifici in ambito giudiziario;

   se, alla luce di quanto riportato in premessa, il Governo non intenda fornire gli opportuni chiarimenti in merito alle tipologie di infrastrutture analizzate al fine della realizzazione del progetto richiamato, specificando la somma destinata, la provenienza delle risorse impiegate nel progetto citato e i capitoli di spesa interessati;

   se non intenda indicare i tempi stimati per l'attuazione del progetto citato in premessa e se, in merito allo studio di fattibilità progettuale, sia stato interpellato il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza al fine di valutare le «direttive Nis» per la realizzazione del medesimo progetto.
(2-00576) «Bartolozzi, Aprea, Battilocchio, Brambilla, Calabria, Cannatelli, Cannizzaro, Carrara, Casciello, Costa, Cristina, D'Ettore, Della Frera, Fatuzzo, Dall'Osso, Cassinelli, D'Attis, Ferraioli, Fiorini, Labriola, Milanato, Occhiuto, Pettarin, Pittalis, Polidori, Rotondi, Ruggieri, Santelli, Sarro, Sandra Savino, Spena, Versace, Zanettin, Zanella, Vietina, Anna Lisa Baroni».

Interpellanza:


   La sottoscritta chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro per il sud e la coesione territoriale, per sapere – premesso che:

   il 4 novembre 2019 la trasmissione Report ha dedicato parte della puntata ad un'inchiesta sul federalismo fiscale e sull'autonomia differenziata;

   la trasmissione ha ordinato e rielaborato, in collaborazione con Openpolis, una serie di banche dati con l'obiettivo di realizzare un tagliando del federalismo, e di fare luce sui criteri di finanziamento degli enti locali dopo la legge n. 42 del 2009;

   l'articolo 117 della Costituzione attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep) concernenti i diritti civili e sociali, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, mentre spetta alle regioni determinare ogni ulteriore intervento nel settore sociale;

   si tratta evidentemente di una previsione posta a garanzia dell'effettiva tutela dei diritti di cittadinanza sociale, volta ad impedire che l'ampliamento dei poteri locali si traduca in forti disuguaglianze territoriali, e realizzare un equilibrio tra le ragioni dell'autonomia e quelle dell'unità, contemperando le esigenze di differenziazione e quelle di uniformità;

   purtroppo, i Lep non sono mai stati definiti in modo compiuto, fatta eccezione per alcuni settori, perché non sono mai stati definiti i costi e i fabbisogni standard; così come non è stato realizzato il fondo perequativo, cioè il fondo di solidarietà dei comuni, che avrebbe dovuto coprire integralmente la differenza tra la capacità fiscale di ogni comune e il fabbisogno per i servizi ai cittadini;

   la mancata determinazione dei costi standard e l'assenza del fondo perequativo hanno fatto sì che si continuasse ad applicare il vecchio criterio della spesa storica, che cristallizza irragionevolmente tanto le situazioni di sperpero inefficiente che di spesa insufficiente;

   a Reggio Emilia, ad esempio, che offre più servizi, viene riconosciuto un fabbisogno standard di 139 milioni di euro, mentre a Reggio Calabria, che di servizi ne ha molti meno, di 104 milioni di euro, 35 in meno, pur avendo novemila abitanti in più;

   con riferimento all'attuazione della legge n. 42 del 2009, la Commissione bicamerale sul federalismo chiese al Ministero dell'economia e delle finanze una simulazione, un calcolo di quanto ogni cittadino italiano avrebbe dovuto avere nel momento in cui la legge sulle autonomie fiscali fosse entrata compiutamente in vigore;

   non è chiaro quale esito abbia avuto tale richiesta; certo è che nel passaggio dalla fase transitoria a quella definitiva, sono cambiate le carte in tavola e il Sud ancora una volta è stato penalizzato;

   Report ha ricostruito i dati: il comune che avrebbe guadagnato di più in questo scenario è Giugliano, in Campania, dove oggi mancano all'appello 33 milioni di euro (270 di euro pro-capite);

   Reggio Calabria avrebbe dovuto ricevere 41 milioni in più, 229 euro pro-capite; Crotone 13 milioni, 206 euro pro-capite; Taranto 39 milioni, 198 euro pro-capite; Catanzaro 15 milioni, 168 euro pro-capite; Bari 53 milioni, 166 euro pro-capite; Napoli 159 milioni, 164 euro pro-capite;

   questo è quanto avrebbero dovuto avere comuni e cittadini, se si fosse applicata compiutamente la legge sul federalismo fiscale. Il calcolo dei fabbisogni standard, infatti, fa sì che siano i comuni del Centro-nord Italia ad avere i maggiori fabbisogni. In particolare, i comuni della Toscana (727 euro pro-capite in media) seguiti da quelli dell'Emilia Romagna (724 euro pro-capite). In coda alla classifica la Campania (584 euro pro-capite), la Puglia (567 euro pro-capite) e la Calabria (535 euro pro-capite);

   il caso esemplare è quello degli asili nido. Nel 2016 al 55 per cento dei comuni italiani che non ne aveva o aveva un'offerta bassissima è stato assegnato un fabbisogno zero;

   piccoli correttivi sono stati introdotti nel mese di luglio 2019 dalla Commissione tecnica dei fabbisogni standard, per superare almeno in parte questa evidente contraddizione. Anche qui emerge un'ampia differenza territoriale. Il fabbisogno pro-capite sulla popolazione 0-2 va dai 1.944 euro dell'Emilia-Romagna ai 1.054 della Lombardia, fino ai 238 euro della Campania o i 167 euro della Calabria;

   al Sud, che, sulla base dell'analisi dei servizi esistenti, da sempre viene finanziato meno, il livello dei servizi è sempre sotto il minimo costituzionale e la popolazione è condannata a una qualità della vita inferiore a quella del Centro-nord, dalla sanità agli asili nido, dall'università all'assistenza agli anziani, dalla scuola ai trasporti (basta pensare all'alta velocità ferroviaria: 1402 chilometri al Centro-nord e 181 al Sud) –:

   se il Governo non ritenga di adottare le iniziative di competenza per procedere con urgenza alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep), quali livelli inderogabili di quantità e qualità dei servizi offerti e garantirne l'uniformità sull'intero territorio nazionale, come sancito dall'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, tenendo conto delle differenze degli effettivi fabbisogni, al fine di garantire equità sociale e ridurre il differenziale del Mezzogiorno col resto del Paese;

   se il Governo non ritenga di adottare le iniziative di competenza per superare il criterio della spesa storica, approdando finalmente al metodo dei costi standard;

   se il Governo non ritenga di adottare le iniziative di competenza per realizzare compiutamente il fondo perequativo previsto dalla Costituzione.
(2-00577) «Elvira Savino».

Interrogazione a risposta orale:


   SILVESTRONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   nella tarda serata del 12 novembre 2019 la città di Venezia e le isole limitrofe sono state colpite in modo tragico e la totalità della città di Venezia, così come i comuni litoranei di Caorle, Jesolo, Cavallino Treporti e Chioggia, sono stati investiti dall'acqua alta;

   l'acqua proveniente, anche dal mare, ha raggiunto i 187 centimetri, molto vicino alla quota massima registrata del 1966;

   il centro previsioni e segnalazioni maree della città aveva previsto nel corso della giornata e circa 5 ore prima una quota di allerta; le eccezionali condizioni atmosferiche hanno portato a un picco di 187 centimetri intorno alle 23,15 senza che il Mose fosse stato messo in azione;

   nell'immediato, si sono potuti riscontrare ingenti danni anche ai beni culturali, oltre che alle strutture e infrastrutture sia pubbliche che private;

   nonostante il comune di Venezia abbia messo in atto tutte le misure a salvaguardia della sicurezza della città e della popolazione, al fine di evitare ulteriori danni il Mose non è stato attivato;

   dal 2003 è in fase di realizzazione il citato Mose finalizzato alla difesa di Venezia e della sua laguna dalle acque alte eccezionali e oggi risulta funzionante, anche se in modalità provvisoria;

   considerato che tutte le barriere del Mose sono oggi operative in fase di collaudo, anche se in fase provvisoria, esse potevano essere attivate, onde consentire sia la salvaguardia di Venezia sia un collaudo unitario dell'intera barriera –:

   se il Governo sia a conoscenza delle motivazioni ostative all'innalzamento delle barriere del Mose.
(3-01160)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PAITA e NOBILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   la struttura di missione denominata «Italia Sicura» ha finanziato importanti progetti finalizzati al contrasto del dissesto idrogeologico, in considerazione dell'altissimo rischio a cui è sottoposto il territorio italiano in generale;

   in particolare, il territorio ligure è caratterizzato da un'estrema fragilità, come purtroppo i recenti fatti di cronaca hanno dimostrato, riportando al centro dell'attenzione dell'opinione pubblica le criticità relative alla cura del territorio e al potenziamento e consolidamento del sistema infrastrutturale italiano, in generale, e ligure, in particolare;

   si fa riferimento, più nello specifico, all'ondata di maltempo in Valbormida che ha generato, tra l'altro, il crollo del Viadotto «Madonna del Monte» sull'autostrada A6, Savona-Torino, nel tratto tra Savona e Altare, in direzione Torino, determinando conseguentemente il blocco del bivio A6-A10;

   le conseguenze del maltempo non si sono chiaramente fermate al crollo del viadotto su citato, ma hanno prodotto anche la chiusura della strada provinciale 29 del Colle di Cadibona nonché disagi alle linee ferroviarie, con particolare riferimento alla Savona-Aqui;

   tali chiusure hanno generato disagi notevoli per i pendolari, costretti a viaggiare in situazioni precarie e non tollerabili;

   Gianni Berrino, assessore ai trasporti della regione, ha dichiarato di aver concordato con Trenitalia un piano complessivo che porterà a un incremento dei treni sulle linee pendolari interregionali, ma i pendolari dovranno rimanere in tale incresciosa condizione sino al 5 dicembre 2019, dal momento che, dopo il crollo del ponte Morandi, Trenitalia sarebbe già al massimo dello sforzo operativo e servirà tempo per far confluire mezzi e uomini da altri territori;

   è utile considerare che il contrasto dei cambiamenti climatici passa per l'aumento della resilienza dei territori e delle infrastrutture;

   tra le prime decisioni del Governo «gialloverde» si segnala l'azzeramento di «Italia Sicura», struttura voluta dal Governo Renzi e finalizzata a compattare le competenze e facilitare gli iter burocratici. Tale strumento di regia e semplificazione ha comportato lo sblocco di due terzi dei cantieri aperti, consentendo altresì interventi specifici nell'ambito dell'edilizia scolastica –:

   se il Governo sia a conoscenza delle specifiche criticità riscontrate in Valbormida, con particolare riferimento alla non tollerabile situazione dei pendolari, e quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, si intendano porre in essere al fine di accelerarne la risoluzione;

   quali urgenti iniziative di competenza il Governo intenda porre in essere, più in generale, per il contrasto dei danni subiti dal territorio ligure a causa del dissesto idrogeologico;

   se il Governo non ritenga che la soppressione della struttura di missione «Italia Sicura» abbia rappresentato un concreto freno agli interventi di contrasto ai cambiamenti climatici e di aumento della resilienza territoriale e infrastrutturale.
(5-03212)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FOTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   negli ultimi giorni gran parte del territorio nazionale è stato interessato da eventi meteorologici di eccezionale intensità che hanno determinato una grave situazione di pericolo sia per l'incolumità delle persone sia per la fruibilità delle infrastrutture. Al riguardo, il gruppo parlamentare di Fratelli d'Italia ha immediatamente richiesto – ma a tutt'oggi non risulta svolta – un'informativa urgente da parte del Governo;

   i summenzionati eventi hanno determinato esondazioni di corsi d'acqua, movimenti franosi, danneggiamenti alle infrastrutture viarie, ad edifici pubblici e privati, nonché alla rete dei servizi essenziali e alle opere di difesa idraulica;

   anche il territorio della provincia di Piacenza risulta duramente colpito, soprattutto nelle zone pedecollinari e montane, con gravissimi danni – in particolare – al già precario sistema infrastrutturale, la qual cosa impedisce l'utilizzo dei tradizionali collegamenti e, quindi, di raggiungere frazioni a tutt'oggi infatti isolate. In particolare, desta fondata preoccupazione lo stato in cui versano la ex strada statale n. 654 di Val Nure e la strada statale n. 45 di Val Trebbia, a partire da località Centomerli, più volte oggetto di atti di sindacato ispettivo presentati dall'interrogante. Quanto alla viabilità comunale nei comuni di montagna, in molti casi essa appare non solo inutilizzabile ma anche irrimediabilmente compromessa;

   appare necessario provvedere tempestivamente a porre in essere tutte le iniziative di carattere straordinario finalizzate al superamento della grave situazione determinatasi a seguito degli eventi meteorologici che qui interessano;

   detta situazione di emergenza, per intensità ed estensione, non è fronteggiabile con mezzi e poteri ordinari –:

   se il Governo abbia ricevuto specifica richiesta da parte della regione Emilia-Romagna di deliberazione dello stato di emergenza e se, conseguentemente, siano stati disposti nelle aree colpite dal maltempo della regione, in particolare in quelle della provincia di Piacenza, opportuni e dovuti sopralluoghi da parte dei tecnici del dipartimento della protezione civile, anche in collaborazione con i tecnici della predetta regione;

   se sussistano i presupposti previsti dall'articolo 7, comma 1, lettera c), e dall'articolo 24, comma 1, del decreto legislativo n. 1 del 2018, per la deliberazione dello stato di emergenza;

   in considerazione anche dei gravissimi danni subiti dal comparto agricolo, se risultino attivate le procedure per il riconoscimento dello stato di calamità naturale.
(4-04199)


   LUCA DE CARLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   è stata adottata il 3 luglio 2019 la decisione del Comitato europeo dei diritti sociali (EUROPEAN COMMITTEE OF SOCIAL RIGHTS COMITÉ EUROPEEN DES DROITS SOCIAUX), con notificazione del 25 luglio 2019 e relativa pubblicazione del 26 novembre 2019, in merito alla denuncia presentata dall'Unione generale lavoratori – Federazione nazionale Corpo forestale dello Stato (Ugl – Cfs) e Sindacato autonomo polizia ambientale forestale (Sapaf);

   il Comitato ha giudicato l'assorbimento del Corpo forestale dello Stato (Cfs) nell'Arma dei carabinieri una violazione dei diritti sociali dei dipendenti che, divenendo personale militare, hanno perso le libertà sindacali prima garantite, trasgredendo così i princìpi della Carta sociale europea (European Social Charter) –:

   quali iniziative il Governo intenda assumere in seguito al suddetto pronunciamento e se, in particolare, intenda valutare l'ipotesi di assumere tempestive iniziative normative per il ripristino di un Corpo di polizia ambientale.
(4-04206)


   TONELLI, IEZZI, BORDONALI, DE ANGELIS, INVERNIZZI, MATURI, MOLTENI, STEFANI e VINCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto riportato in un recente articolo de Il Giornale, nei giorni scorsi il Ministero dell'interno avrebbe inviato alle questure una direttiva nella quale si avvertiva del rischio elevatissimo di un attacco terroristico nel nostro Paese;

   in particolare, tale rischio risulterebbe da una specifica informativa dei servizi d’intelligence ove «viene segnalata la divulgazione tramite web di messaggi di natura jihadista contenenti minacce nei confronti dell'America, dei Paesi dell'Unione, europea (Italia compresa) e dei loro obiettivi, con particolare riferimento alle stazioni di servizio per il rifornimento di carburante, nonché di gasdotti e oleodotti»;

   secondo fonti dell’intelligence, tuttavia il pericolo concreto di attentati non si limiterebbe a tali obiettivi e l'allerta in Italia, come nel resto d'Europa, è dunque ai livelli massimi;

   dopo la notizia della scoperta di un giacimento petrolifero in Iran, Paese tra i maggiori detentori di petrolio e sanzionato dall'America dopo la crisi dell'accordo sul nucleare, personaggi dell'Isis avrebbero interesse, quindi, a colpire, in particolare, obiettivi legati alla distribuzione di fonti energetiche e carburanti e, in generale, a compiere atti terroristici, soprattutto nelle grandi città;

   la circolare invita poliziotti, carabinieri e finanzieri a «rafforzare le misure di vigilanza e controllo del territorio a tutela degli obiettivi sensibili e in particolare le principali stazioni di servizio e gli obiettivi a esse collegati, nonché a ogni ulteriore obiettivo ritenuto sensibile per la circostanza»: «soggetti con comportamenti anomali o sospetti», auto parcheggiate e cassonetti della spazzatura che potrebbero «celare ordigni inesplosi» nonché ad operare controlli soprattutto nelle «piazze, centri di aggregazione», «palazzi istituzionali e l'esterno della Città del Vaticano», anche con l'impiego di unità cinofile;

   sarebbero state allertate anche le Api (aliquote di primo intervento) dei carabinieri e le Uopi (unità operative di primo intervento) della polizia;

   al centro dell'attenzione, oltre al web, vi sarebbero non solo soggetti già radicalizzati ma anche coloro che possono in qualche modo aver avuto contatti con possibili jihadisti;

   l'allerta sarebbe legata soprattutto alla possibile infiltrazione tra i migranti di jihadisti, considerato l'aumento degli ingressi illegali sulle coste italiane per effetto delle politiche migratorie dell'attuale Governo, soprattutto di quelli dalla Tunisia, la prima nazionalità tra quelle dichiarate allo sbarco (2.588 arrivi nel 2019) e uno dei Paesi più esposti ai movimenti jihadisti;

   benché sino ad oggi fortunatamente nel nostro Paese non si siano verificati attentati grazie all'impegno quotidiano delle forze di polizia e dei militari e soprattutto al loro lavoro sinergico, nonché alle indubbie capacità dei servizi di intelligence italiani, l'Italia è, tuttavia, tra i Paesi a maggior rischio considerato che proprio dall'Italia hanno transitato molti attentatori che hanno compiuto stragi in Europa;

   tuttavia, ad aggravare la situazione sopra descritta, pare che gli Stati maggiori dell'Esercito italiano non siano neanche stati informati del gravissimo rischio di attentati terroristici per via istituzionale, bensì lo abbiano appreso dall'articolo de Il Giornale, che avrebbe destato legittimamente notevole stupore tra gli stessi militari;

   sarebbe di assoluta gravità se, dato l'elevato rischio a cui è esposto il nostro Paese, la notizia di una allerta così alta non fosse stata comunicata simultaneamente anche ai responsabili delle forze militari, sia per il rischio di possibili obiettivi sensibili sotto la giurisdizione militare, sia per l'assoluta necessità di coordinamento tra queste ultime forze e le forze della polizia per un efficace contrasto al terrorismo jihadista e la prevenzione degli attentati –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, se corrisponda al vero quanto riferito dalla stampa e quali iniziative ritenga opportuno adottare a tale riguardo.
(4-04210)


   RAMPELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   l'Anac, con regolamento sul funzionamento del consiglio approvato nel 2015, articolo 2, comma 3, ha previsto che «in caso di cessazione dall'incarico per dimissioni, decadenza, impedimento permanente, il Presidente ne dà comunicazione al Consiglio e alle autorità competenti ad avviare il procedimento di nomina»;

   il Consiglio dell'Autorità, con delibera n. 919 del 16 ottobre 2019, ha approvato un nuovo regolamento concernente l'organizzazione ed il funzionamento che al comma 4 dell'articolo 3 dispone: «Nelle more della nomina di cui al comma precedente, ed in caso di assenza o impedimento temporaneo, le funzioni attribuite dalla legge e dal presente Regolamento al Presidente sono svolte dal componente del Consiglio con maggiore anzianità nell'ufficio o in caso di pari anzianità, dal più anziano d'età»;

   la composizione del Consiglio e le modalità di nomina sono attualmente disciplinate dall'articolo 13, comma 3, del decreto legislativo n. 150 del 2009 e successive modificazioni e integrazioni, che stabilisce le modalità di nomina del presidente e dei quattro componenti dell'Anac;

   la modifica apportata con il nuovo regolamento, ad avviso dell'interrogante, disattende il citato decreto legislativo n. 150 del 2009, secondo il quale la nomina del presidente avviene con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, previo parere favorevole delle Commissioni parlamentari competenti espresso a maggioranza dei due terzi dei componenti e non spetta al Consiglio dell'Anac con proprio Regolamento;

   con l'articolo 52-quater del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 96 del 2017, è stato disposto l'ingresso dell'Anac nella disciplina generale delle autorità amministrative indipendenti di cui alla legge n. 481 del 1995;

   in merito alla composizione del Consiglio dell'Anac ed alle modalità di nomina, si rileva un disallineamento tra l'articolo 13, comma 3, del decreto legislativo n. 150 del 2009 e l'articolo 2, comma 7, della legge n. 481 del 1995, che stabilisce che «Ciascuna Autorità è organo collegiale costituito dal presidente e da due membri», oltre alle modalità di nomina dei componenti delle autorità indipendenti;

   ne consegue che l'Anac è l'unica autorità con un collegio composto da cinque componenti anziché da tre; la nomina avviene con sistemi lievemente diversi per il presidente e i componenti, comunque con una procedura «rafforzata»;

   le dimissioni anticipate dal presidente Cantone nello scorso mese di ottobre, a parere dell'interrogante, rischiano di avere gravi ripercussioni in ordine alla finalità istituzionale dell'Anac che svolge un ruolo fondamentale per la prevenzione della corruzione sia nell'ambito delle commesse pubbliche di lavori, servizi e forniture, sia in ogni altro settore della pubblica amministrazione e società partecipate e controllate, rappresentando un importante strumento di controllo istituzionale sull'operato della pubblica amministrazione –:

   se il Governo non intenda adottare iniziative normative urgenti per uniformare la modalità di nomina e la composizione del Consiglio di Anac a quanto previsto per tutte le altre Autorità, in linea con i principi dettati dalla legge n. 481 del 1995 e dall'articolo 52-quater del decreto legislativo n. 50 del 2017, valutando, in tale contesto, l'ipotesi dello scioglimento del Consiglio in carica, in scadenza il prossimo 11 luglio 2020, in modo tale da pervenire ad un immediato generale ricambio della governance al fine di garantire nell'immediato la piena funzionalità di Anac;

   se intenda adottare urgenti iniziative normative per «livellare» il trattamento giuridico ed economico del personale Anac rispetto a quello delle altre autorità indipendenti, al fine di superare il consistente contenzioso pendente al Tar Lazio, garantendo, in particolare, una più stretta uniformità tra il trattamento applicato ai dipendenti dell'Anac e quello previsto per i dipendenti dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato.
(4-04211)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   è di pochi giorni fa la notizia di due inchieste svolte distintamente dalle testate giornalistiche L'Espresso e Il Giornale che avrebbero evidenziato l'assunzione da parte del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale di otto consulenti;

   in particolare, agli stessi sarebbero stati attribuiti stipendi con la qualifica di dirigenti o funzionari per una spesa complessiva pari ad euro 700.000 annui, secondo quanto emerso dalle inchieste giornalistiche;

   tale notizia, come si può immaginare, è stata riportata dalla maggior parte degli organi di stampa e ha destato non poco scalpore e indignazione tra l'opinione pubblica, atteso che l'ingente somma prevista per le retribuzioni degli incarichi ricade sulla spesa pubblica, quindi sui cittadini;

   inoltre, le inchieste giornalistiche hanno effettuato una comparazione con gli incarichi di collaborazione attribuiti dai precedenti Ministri: il Ministro uscente Moavero Milanesi aveva una squadra composta da otto consulenti per un costo nel 2019 pari ad euro 200.000; l'ex Ministro Angelino Alfano aveva uno staff di nove persone per un costo totale pari ad euro 587.000; Paolo Gentiloni aveva speso, nel 2016, per il suo staff 468 mila euro; Federica Mogherini durante il suo mandato alla Farnesina durato otto mesi aveva speso 265 mila euro per una squadra composta da cinque persone; Emma Bonino, Ministra per dieci mesi tra il 2013 e il 2014, aveva speso 370 mila euro;

   da quanto sin qui rappresentato, emergerebbe con tutta evidenza un maggior costo a carico del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale rispetto ai precedenti Ministri;

   le scelte effettuato dal Ministro interrogato, se corrispondenti a vero, tuttavia, confliggerebbero con l'impegno di tutti i gruppi parlamentari di contenere la spesa pubblica della politica ed espresso in numerosi atti di indirizzo al Governo negli ultimi anni;

   peraltro, tale intendimento è stato fortemente ribadito anche dal gruppo parlamentare del MoVimento 5 stelle e dallo stesso Ministro;

   in effetti, il maggior costo che il Ministro avrebbe previsto per i suoi diretti collaboratori, ad avviso dell'interrogante, stride con gli indirizzi del suo dicastero ed in genere dell'attuale Governo;

   orbene, a parere dell'interrogante, sarebbe lecita l'indignazione dei cittadini che ben consapevoli delle alte qualifiche e competenze proprie dei funzionari e dirigenti già presenti presso tutti gli uffici del Ministro e in grado di coadiuvare l'attività di Governo, sono costretti a pagare di tasca propria i costi dei consulenti per una spesa superiore rispetto a quanto accaduto negli ultimi anni con i precedenti Ministri;

   in siffatta scelta, ci si domanda dove si collocherebbe la battaglia del Ministro sui tagli dei costi della politica e per il contenimento della spesa pubblica –:

   se il Ministro interrogato, ove trovino riscontro i fatti riportati dalla stampa, intenda chiarire le motivazioni tecnico-giuridiche della necessità di ampliare il proprio staff e in genere delle spese per i diretti collaboratori e se intenda valutare l'opportunità di rivedere tali decisioni al fine di contenere la spesa pubblica.
(4-04208)

AFFARI EUROPEI

Interrogazione a risposta scritta:


   BIANCHI. — Al Ministro per gli affari europei, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   la prevista uscita di Campione d'Italia dall'area doganale svizzera il 1° gennaio 2020 suscita molti timori tra i cittadini dell’enclave, che hanno segnalato la questione ai più alti livelli istituzionali per sollecitare un rinvio. Il passaggio dallo spazio doganale svizzero a quello dell'Unione europea, in programma tra poco più di un mese, comporterà molti cambiamenti nella vita dei campionesi, quali però non è ancora ben chiaro;

   alcuni servizi erogati attualmente dalla Svizzera, ad esempio poste e telecomunicazioni, non potranno più essere tali. Per altri, come l'assicurazione malattia o la raccolta dei rifiuti, sarà necessario avviare trattative con lo Stato elvetico;

   il Governo ticinese ha sollecitato le autorità italiane per avere risposte ai numerosi interrogativi e garanzie per il pagamento dei debiti contratti, dell'ordine di cinque milioni di franchi;

   l'ingresso nello spazio doganale dell'Unione europea dal quale resterà esclusa Livigno, porterà all'introduzione di un'imposta sul valore aggiunto: «È istituita l'imposta locale sul consumo di Campione d'Italia (ILCCI) che si applica alle forniture di beni, alle prestazioni di servizi nonché alle importazioni effettuate nel territorio del Comune per il consumo finale». Ad incassarla sarà il comune, a pagarla «chi nel territorio del Comune effettua, nell'esercizio di impresa, arti o professioni, forniture di beni e prestazioni di servizi. Sono altresì soggetti passivi d'imposta i consumatori finali che effettuano importazioni nel territorio del Comune»;

   il Governo istituirà l'imposta locale sul consumo a Campione, un comune che fino ad oggi è rimasto fuori dall'applicazione dell'iva. Il testo approvato dal Consiglio dei ministri stabilisce che «le aliquote dell'imposta si applicano in misura pari alle percentuali stabilite dalla legge federale svizzera per l'imposta sul valore aggiunto». L'iva locale verrà fissata al 7,7 per cento, una quota decisamente bassa rispetto al 22 per cento italiano, ma che colpisce un'economia già in difficoltà, perché toglie quel vantaggio competitivo che gli italiani vantavano nei confronti dei vicini svizzeri –:

   se il Governo intenda adottare iniziative nelle competenti sedi europee al fine di posticipare l'entrata in vigore della direttiva europea 2019/475 che prevede l'inclusione del comune italiano di Campione d'Italia e delle acque italiane del lago di Lugano nel territorio doganale dell'Unione europea, prevista entro il 31 dicembre 2019, al fine di predisporre la necessaria definizione del passaggio alla nuova situazione doganale in maniera graduale e coordinata.
(4-04212)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GUIDESI, GOLINELLI, BUBISUTTI, GASTALDI, LIUNI, LOLINI, LOSS, MANZATO e VIVIANI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   il protrarsi di eventi climatici avversi in tutto il Paese sta producendo effetti negativi e disagi sui cittadini e imprese e il settore agricolo vive momenti molto difficili e la conta dei danni ancora in fase di avanzamento prefigura conseguenze economiche disastrose;

   le piogge persistenti a carattere alluvionale, in particolare in tutto il bacino padano, stanno rendendo difficoltosa, da parte delle aziende zootecniche, la gestione e l'utilizzazione agronomica degli effluenti;

   le condizioni meteorologiche, infatti, non permettono le normali lavorazioni di stagione, tra le quali la concimazione di fondo propedeutica alle semine autunno vernine necessarie a contenere il dilavamento del suolo, come anche la capacità di stoccaggio aziendale si va assottigliando con la conseguenza di un rischio ambientale e sanitario;

   l'articolo 40 del decreto ministeriale 25 febbraio 2016 prevede che le regioni e le province autonome possano individuare decorrenze diverse, relativamente ai divieti di utilizzazione agronomica degli effluenti zootecnici e delle acque reflue e del digestato nonché dei concimi azotati e degli ammendanti organici, in relazione a specifiche condizioni pedoclimatiche locali e possono altresì prevedere un'organizzazione del periodo di divieto diversa che tenga conto sia degli andamenti climatici della stagione autunnale, sia di quelli della stagione primaverile e dei loro riflessi sulla corretta gestione delle colture;

   la gestione dei divieti tramite bollettino tiene in considerazione anche le problematiche inerenti alla qualità dell'aria; infatti, per evitare aumenti significativi di particolato sottile, di cui l'ammoniaca è un precursore, sarebbe preferibile distribuire gli spandimenti su periodi meteorologicamente più favorevoli, rispetto a concentrarli in pochi giorni;

   ci si trova nell'approssimarsi del periodo di divieto continuativo – dal 1° dicembre al 31 gennaio – degli spandimenti, previsto dall'articolo 40, comma 2, del suddetto decreto ministeriale, e in presenza di previsioni meteorologiche che non prefigurano la possibilità di apertura di «finestre» temporali adeguate a consentire le attività da qui fino alla fine del mese di novembre;

   una deroga all'articolo 40 del decreto ministeriale 25 febbraio 2016 che preveda la possibilità di effettuare operazioni di spandimento degli effluenti all'interno del periodo, per un massimo di sette giornate o, in alternativa, di autorizzare a determinarsi in tal senso qualora, come attestato dalle previsioni meteo, persistano le avverse condizioni climatiche, sarebbe non solo in linea con la «direttiva nitrati», che non prevede un esplicito periodo di divieto, ma richiede che lo stesso sia individuato sulla base delle condizioni del suolo, climatiche e dell'uso del terreno al fine di garantire il mantenimento durante i periodi piovosi di un quantitativo minimo di copertura vegetale, ma potrebbe anche consentire di evitare, come avvenuto in passato, il ricorso a ordinanze sindacali urgenti che, in assenza di disposizioni derogatorie, le amministrazioni locali si vedranno costrette ad adottare ricorrendo i presupposti di emergenza sanitaria o di igiene pubblica;

   il 6 agosto 2019 nelle Commissioni ambiente e agricoltura del Senato della Repubblica è stata approvata una risoluzione a conclusione dell'affare assegnato n. 93 sulla normativa sui nitrati di origine agricola, con la quale si impegnava il Governo pro tempore a valutare l'opportunità di una revisione dell'articolo 40 del decreto ministeriale 25 febbraio 2016, volta a superare la fissazione di un preciso periodo temporale ai fini dell'applicazione del divieto continuativo di almeno 60 giorni degli spandimenti degli effluenti zootecnici, tenendo conto dei cambiamenti climatici in atto che rendono più opportuna una distribuzione dei medesimi spandimenti in periodo meteorologicamente più favorevoli –:

   se non ritengano indispensabile adottare un'iniziativa urgente, per quanto di competenza, che consenta, in deroga, di effettuare le operazioni di spandimento degli effluenti come esposte in premessa e di dar seguito a quanto previsto nella risoluzione sull'argomento approvata al Senato.
(5-03213)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'IPPOLITO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il quotidiano Il Fatto Quotidiano dell'1° aprile 2019 a pagina 10, in un articolo a firma di Lorenzo Giarelli dal titolo «Rifiuti & cosche: gli appalti ad aziende a rischio mafia», segnalava che tra le imprese protagoniste della gestione del sistema dei rifiuti, risultano iscritte all'Albo gestori ambientali, del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, numerose aziende che, secondo varie prefetture, risultano a rischio di infiltrazioni mafiose; ciò si verificherebbe a causa delle maglie troppo larghe offerte dall'attuale normativa che disciplina il funzionamento del citato Albo;

   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ad avviso dell'interrogante sorprendentemente, avrebbe invece replicato di ritenere le norme regolamentari sufficientemente stringenti dovendo semmai ipotizzarsi l'opportunità di una modifica legislativa ispirando a una visione di maggior favore le norme antimafia;

   la circostanza della presenza, tra le ditte iscritte all'Albo per la gestione della filiera di rifiuti, soggetti non in regola con la certificazione antimafia, è stata confermata dal presidente dello stesso albo, in data 1° ottobre 2019, in sede di audizione davanti la Commissione bicamerale sul ciclo illecito dei rifiuti, la cosiddetta Commissione ecoreati; in tale occasione, il Presidente dell'albo ha dichiarato che talune di queste imprese sono state cancellate dall'albo; alcune sono state poi reiscritte a seguito di pronunce della giustizia amministrativa;

   l'albo gestori ambientali, previsto dal decreto legislativo n. 152 del 2006, è disciplinato con decreto ministeriale n. 120 del 3 giugno 2014 che ha abrogato e sostituito il precedente decreto 28 aprile 1998, n. 406;

   le nuove norme ridisegnano la disciplina autorizzativa dell'intera filiera rifiuti, con disposizioni, però, che effettivamente appaiono all'interrogante incongrue, contraddittorie, irragionevoli, di minore garanzia per la collettività e di maggior favore, al contrario, di un sistema in conflitto d'interessi;

   si citano, tra le disposizioni più rilevanti, a titolo d'esempio:

    l'articolo 3, comma 1, che prevede la composizione del comitato nazionale dell'albo stabilendo che in esso siedano ben otto componenti del mondo imprenditoriale di cui alcuni rappresentanti delle categorie degli autotrasportatori, delle organizzazioni che rappresentano i gestori dei rifiuti, delle imprese che effettuano attività di bonifica dei siti e dei beni contenenti amianto, quest'ultimi – a parere dell'interrogante – in palese conflitto d'interessi, attesi i compiti e le funzioni del Comitato nazionale (confusione dei ruoli di controllato e controllore);

   ancora l'articolo 3, comma 6, che affida i compiti di segreteria al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ma il successivo comma 7 rinvia alla stipula di apposita convenzione con l'Unione italiana delle camere di commercio che ad oggi prevede una segreteria composta per sette ottavi da membri della stessa Unioncamere;

   l'articolo 10, che non prevede, tra i requisiti per l'iscrizione e, nella prassi l'esclude, l'attestazione della insussistenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle imprese o degli enti che si iscrivono, consistente nella informazione interdittiva antimafia di cui all'articolo 91 del citato decreto legislativo n. 159 del 2011;

   l'articolo 12, che manda esente da responsabilità il titolare dell'iscrizione all'albo per i casi di irregolarità di gestione;

   l'articolo 17, che non subordina (come previsto nel previgente regolamento) l'iscrizione delle ditte, per gran parte delle attività disciplinate, alla presentazione di idonea garanzia finanziaria a favore dello Stato;

   l'articolo 22, che prevede un termine per il rinnovo dell'iscrizione all'Albo eccessivamente lungo (cinque o dieci anni);

   sempre in sede di audizione in commissione bicamerale sono state affrontate questioni relative alla compatibilità degli incarichi ricoperti da membri del Comitato nazionale e a possibili situazioni di conflitto di interessi; da ultimo si rileva che il Presidente dell'albo è stato rinnovato nell'incarico, nel febbraio 2018, per il terzo quinquennio e, considerato che si tratta di una persona di oltre 70 anni, a giudizio dell'interrogante dovrebbe essere stato già posto in quiescenza –:

   se non si ritenga quanto mai opportuno e urgente adottare iniziative per riportare sui binari dell'ortodossia amministrativa l'organizzazione e la governance di questo importante organismo;

   se non ritenga necessario e opportuno, conseguentemente, avviare l’iter per la modifica del decreto ministeriale n. 120 del 2004.
(4-04205)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo. — Per sapere – premesso che:

   il Ministro interrogato ha coniato, nel 2014, un'iniziativa di spiccato interesse, denominata «Io vado al Museo», che consiste nel prevedere l'ingresso libero in alcuni musei, aree archeologiche e parchi statali durante la prima domenica di ogni mese;

   lo scopo della novità risiedeva (e risiede tuttora) nell'incentivare la riscoperta dell'enorme patrimonio artistico-culturale della Penisola, anche di quei complessi meno noti, poiché meno popolari;

   da domenica 1° dicembre 2019 si potrà usufruire nuovamente degli ingressi gratuiti in alcuni musei e zone archeologiche elencati nel nuovo cartellone nazionale;

   quest'ultimo, tuttavia, non ricomprende più Salerno e numerosi centri della provincia, in cui si trovano siti estremamente importanti che attraversano anni e anni di storia. Si ricorda, il Teatro ellenistico-romano e il Museo archeologico nazionale di Sarno, l'Area archeologica del teatro ellenistico-romano di Nocera Superiore, il Museo archeologico nazionale di Eboli, il Museo civico di Polla, il Museo archeologico di Atena Lucana, il Lapidario dianense e il Museo diocesano di Teggiano, la Cappella San Giuseppe di Sala Consilina e il Museo degli antichi saperi di Buonabitacolo;

   a parere dell'interrogante, la permanenza di tali notevoli luoghi all'interno del cartellone nazionale sarebbe fondamentale per incrementare il numero di visitatori e la conseguente promozione turistica della provincia di Salerno, il cui territorio, unico in Italia per le sue straordinarie bellezze naturali, storiche e culturali, andrebbe valorizzato da parte del Governo attraverso politiche di maggiore sponsorizzazione –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative intenda porre in essere per favorire il reinserimento dei siti di cui in premessa in questa importante iniziativa nazionale, affinché non venga mortificato il patrimonio artistico della provincia di Salerno, e se non intenda chiarire le motivazioni della scelta effettuata.
(4-04198)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   IORIO e DEL MONACO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   i nuclei cinofili dell'Esercito, composti da un militare qualificato conducente cinofilo ed un cane qualificato Military working dog, sono uno strumento operativo indispensabile e che costituisce, per i nostri militari in Patria e all'estero, un significativo sensore in grado di rilevare la presenza di qualsiasi tipo di sostanza esplosiva, ovunque occultata, e di elementi ostili in prossimità di essa;

   il military working dog non è da considerarsi un militare a tutti gli effetti e la vita operativa del quadrupede termina allorquando non è più in grado di garantire gli standard richiesti dall'impiego;

   è notizia degli ultimi giorni la battaglia di civiltà per garantire, a fine servizio, l'assistenza veterinaria ai «cani con le stellette», promossa dal Consiglio intermedio di rappresentanza del comando logistico dell'Esercito;

   al termine del loro servizio, della durata di circa 8 anni, i cani militari vengono congedati e «alienati». Ormai in pensione, sono abbandonati al buon cuore del prossimo e a qualche famiglia interessata all'adozione;

   in taluni casi infausti, invero, vengono lasciati nei canili a morire di solitudine o, nella peggiore delle ipotesi, soppressi dopo buona parte della loro vita spesa al servizio di un Paese che ha investito denaro per addestrarli a fiutare esplosivi, droga, mine antiuomo;

   l'Enpa (Ente nazionale protezione animali) in una recente nota, si è rivolta direttamente al Ministro della difesa, al fine di far sentire la propria voce e di impegnare il Ministero a reintrodurre nel primo veicolo legislativo utile, la previsione l'assistenza veterinaria per i cani in «pensione»;

   l'Ente, infatti, nel ricordare l'impegno che i cani con le stellette danno nei principali teatri di guerra, nonostante «le numerose difficoltà e il forte stress cui sono sottoposti senza far venire mai meno il proprio affetto e la propria lealtà», ha sottolineato come, «alla sensibilità degli individui, però non corrisponde ancora una pari sensibilità delle Istituzioni alle quali basterebbe soltanto attuare un provvedimento giusto, economico e doveroso per dimostrare la propria attenzione e riconoscenza»;

   l'Enpa, pertanto, propone di: «garantire ai cani ceduti al personale militare l'assistenza veterinaria a carico del servizio veterinario militare» e a tal proposito istituire «un'assicurazione sulla vita dell'animale» che possa consentire allo stesso di vivere una serena vecchiaia –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della problematica in questione e quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di reintrodurre l'assistenza veterinaria per i cani militari in «pensione».
(5-03210)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   ZANETTIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   il sito di informazione VicenzaPiu.com ha pubblicato il testo di una mail datata 26 novembre 2019 indirizzata alle associazioni dei consumatori da Intesa San asseritamente riservata, del seguente tenore, avente ad oggetto la nuova piattaforma Consap:

   «con riferimento al Fondo Indennizzo Risparmiatori, anche grazie alla collaborazione con le vostre Associazioni, sono stati modificati i moduli per richiedere ad Intesa Sanpaolo la copia della documentazione necessaria per presentare domanda di rimborso presso il portale CONSAP. I clienti dovranno ora specificare, nel nuovo modulo, se la richiesta riguardi un indennizzo forfettario o non forfettario.
   In questa seconda ipotesi la nostra Banca, oltre alla documentazione indicata da CONSAP nella news pubblicata il 15/10/2019 sul proprio sito internet, consegnerà anche l'eventuale documentazione bancaria relativa alla prestazione del servizio di investimento che venisse richiesta dal Risparmiatore, entro 30 giorni e senza spese per il richiedente.
   Ad oggi, dunque, le richieste indirizzate a Intesa Sanpaolo possono essere formulate, per ciascun nominativo, compilando uno dei due moduli allegati:
   • Richiesta di copia documentazione per accesso al FIR
   • Richiesta documentazione ai fini FIR relativa a titoli acquisiti per successione.
   Rimangono invariate le modalità di inoltro delle domande:
   • alle Banche in LCA;
   oppure
   • alla Filiale ISP: tramite posta elettronica, PEC, consegna a mani o raccomandata.
   Per le AA.CC (Associazioni consumatori) rimane invariata la possibilità di usufruire della task force dedicata, inviando una mail PEC al seguente indirizzo di Intesa Sanpaolo:
   taskforceFIR@pec.intesasanpaolo.com»

   il travaglio dei risparmiatori «azzerati» dunque continua, con adempimenti formali posti a loro carico, che cambiano di giorno in giorno, in un tourbillon apparentemente inestricabile;

   il Corriere della Sera, edizione veneta, in data 21 novembre 2019, ha riferito che fino ad oggi sono circa 16.000 le domande già presentate al portale Consap –:

   se intenda adottare le iniziative di competenza per chiarire se le domande già presentate alla data del 26 novembre 2019, in base alla documentazione precedentemente rilasciata dalla banca depositaria, possano considerarsi comunque regolari o, alla luce della recente mail di Intesa, risultino lacunose sotto il profilo documentale e necessitino conseguentemente di una integrazione.
(4-04203)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   MUGNAI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   come noto, la legge n. 3 del 2019, recante «Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici», ha modificato gli articoli 158, 159 e 160 del codice penale;

   in via di estrema sintesi, la riforma introdotta – inserita in fase emendativa nel corso dell'esame in sede referente alla Camera dei deputati, con un'operazione di «ampliamento del perimetro del provvedimento» del tutto discutibile e rocambolesca – sospende il corso della prescrizione dalla data di pronuncia della sentenza di primo grado (sia di condanna che di assoluzione) o dal decreto di condanna, fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o alla data di irrevocabilità del citato decreto;

   la legge n. 3 del 2019, all'articolo 1, comma 2, fissa l'entrata in vigore della riforma della prescrizione al 1o gennaio 2020. Lo stesso Governo pro tempore aveva infatti preannunciato in maniera chiara la volontà di realizzare entro tale termine un intervento riformatore del codice di procedura penale volto alla drastica riduzione dell'irragionevole durata dei processi in Italia, intendendo così marginalizzare l'impatto concreto dell'eliminazione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado. In buona sostanza, ad avviso dell'interrogante le forze di Governo dell'epoca, consapevoli che l'intervento così operato era «una bomba nucleare sul processo» (per usare le parole dell'allora Ministro per la pubblica amministrazione Giulia Bongiorno), da un lato hanno collocato l'ordigno, dall'altro hanno spostato il tempo dell'esplosione;

   lo stesso Ministro della giustizia, Bonafede, aveva parlato di un «accordo politico» che «prevede che approfittiamo di questo anno anche per scrivere la riforma del processo penale. Il Governo avrà la delega dal Parlamento con scadenza 2019»;

   ebbene: dall'approvazione della riforma della prescrizione ad oggi, non è stata però esaminata dalle Camere alcuna proposta normativa concreta in tal senso. Solo a fine luglio 2019 è stato approvato dal Consiglio dei ministri «salvo intese» un disegno di legge delega che avrebbe dovuto stabilire i principi e criteri direttivi per riformare il processo civile, il processo penale, l'ordinamento giudiziario, la disciplina sull'eleggibilità e il ricollocamento in ruolo dei magistrati, il funzionamento e l'elezione del Consiglio superiore della magistratura e la flessibilità dell'organico dei magistrati. L'avvicendamento di maggioranza, il cambio di Governo, l'evoluzione in atto del quadro politico, lasciano facilmente immaginare che non si riuscirà ad approvare alcun testo prima della fine dell'anno. Senza dunque entrare nel dettaglio della riforma del processo penale è evidente che questa non potrà certamente essere operativa prima del 1o gennaio 2020, termine dal quale dispiegherà la sua efficacia la soppressione – di fatto – della prescrizione;

   ad ogni evidenza, ciò travolge e fa venire meno il presupposto – a giudizio dell'interrogante debolissimo e risibile – che aveva in qualche modo giustificato la sostanziale soppressione della prescrizione, altrimenti del tutto inaccettabile sia dal punto di vista politico che, prima ancora, giuridico. Inaccettabilità che, preme segnalare, è stata rilevata dagli operatori del diritto ad ogni livello - avvocati, magistrati, esponenti del mondo universitario – con una lunga serie di interventi, manifestazioni e scioperi;

   il 20 novembre 2019 si è svolta un'interrogazione a risposta immediata in Assemblea sul tema (n. 3-01129), in relazione alla quale il Governo ha dato una risposta, ad avviso dell'interrogante non soddisfacente;

   mancano ormai 33 giorni: un intervento è ormai indifferibile e urgente –:

   se il Ministro interrogato intenda adottare iniziative normative urgenti per evitare l'ormai imminente entrata in vigore della riforma, o meglio dell'abolizione de facto, della prescrizione.
(3-01159)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FERRI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   in data 31 maggio 2017 è stato indetto con decreto ministeriale un concorso per la copertura di 320 posti di magistrato ordinario;

   i candidati hanno terminato le prove scritte ed orali previste dal concorso nel maggio 2019;

   la prima graduatoria dei vincitori è stata pubblicata – con riserva – in data 24 luglio 2019;

   in data 16 ottobre 2019 è stata poi pubblicata una seconda graduatoria definitiva, dalla quale i vincitori del concorso risultano essere 251;

   dopo la pubblicazione della graduatoria, prima che i vincitori possano prendere servizio, è previsto che il Ministro della giustizia debba firmare il decreto di nomina;

   attualmente non risulta all'interrogante che il Ministro della giustizia Alfonso Bonafede abbia firmato alcun decreto di nomina per i vincitori risultanti dalla graduatoria pubblicata in data 24 luglio 2019;

   la mancata nomina impedisce di fatto ai vincitori di effettuare il tirocinio e svolgere conseguentemente le loro funzioni lavorative;

   il concorso in magistratura richiede ad ogni singolo candidato un notevole impegno, anni di studio, ingenti spese e sacrifici;

   alcuni dei vincitori hanno lasciato un precedente lavoro o richiesto aiuti economici alle proprie famiglie durante gli anni di preparazione al concorso, ritrovandosi in questo momento nell'impossibilità di lavorare;

   i 251 vincitori ormai da più di 4 mesi attendono risposte e hanno il diritto di iniziare a svolgere il lavoro per il quale hanno sostenuto anni di sacrifici;

   in data 29 ottobre 2019 è stato peraltro indetto con decreto ministeriale un nuovo concorso per la copertura di 310 posti di magistrato ordinario;

   risulta ingiustificato che, a fronte della pubblicazione del nuovo concorso, i vincitori del precedente non abbiano ancora iniziato a svolgere neppure il necessario tirocinio;

   il Ministro della giustizia ha inoltre sottolineato più volte la necessità di ampliare il ruolo del personale organico della magistratura –:

   se il Ministro interrogato intenda celermente adottare il decreto ministeriale di nomina dei vincitori del concorso indetto il 31 maggio 2017, permettendo loro di iniziare a svolgere il tirocinio, e spiegare le ragioni di questo ritardo che incide negativamente anche sull'organizzazione e sul funzionamento degli uffici giudiziari perché ritarda la presa di possesso nelle sedi al termine del tirocinio.
(5-03211)

Interrogazione a risposta scritta:


   VERSACE e GELMINI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il 22 settembre del 2014, il tunisino Mootaz Chaanbi, sposato con l'italiana Daniela Bani, con la quale viveva a Palazzolo (Brescia) insieme ai due figli minori, ha ucciso la moglie infliggendole 37 coltellate in camera da letto. Il tutto mentre uno dei figli, minore, si trovava in casa;

   prima che il delitto venisse scoperto, l'assassino – con lucidissima freddezza – ha portato i figli da un conoscente, ha ritirato denaro dalla banca e ha preso un aereo per tornare in Tunisia, ove vive tuttora, e da dove ancora oggi mantiene contatti con conoscenti in Italia;

   il 26 giugno 2017, dopo un processo in contumacia, la corte d'assise di Brescia lo ha condannato a 30 anni di carcere per l'omicidio della moglie;

   il 14 giugno 2019, la Corte di Cassazione ha confermato in via definitiva la condanna a 30 anni di carcere;

   nonostante l'ordine di cattura europeo e la richiesta di estradizione che sarebbe stata già inoltrata parrebbe che Chaanby si trovi ancora in Tunisia, in custodia cautelare temporanea;

   è d'immediata evidenza che questo stato d'incertezza è deleterio per la famiglia di Daniela: le poche informazioni in ordine all'effettiva detenzione dell'assassino e la temporaneità della custodia nella quale a tutto concedere si trova fanno vivere quotidianamente la madre di Daniela e i due nipotini che ora vivono con lei con il «fantasma» di Chaanby, che da un giorno all'altro potrebbe tornare per «concludere» il macabro lavoro iniziato cinque anni fa. Un timore nient'affatto infondato: ormai da molti mesi la famiglia di Daniela riceve telefonate e comunicazioni anonime dalla Tunisia dal tono fortemente minaccioso;

   di fronte a tutto ciò, non si può aspettare il consumarsi dell'ennesima tragedia annunciata; in questo caso, la giustizia ha fatto il suo corso, e manca solo l'ultimo tassello dell'estradizione, che si ritiene condizione fondamentale per chiudere finalmente questa triste vicenda –:

   se trovi conferma che il Governo abbia provveduto ad inoltrare la richiesta di estradizione di Mootaz Chaanbi, a che punto sia l’iter procedurale per l'estradizione e, nel caso, quali ragguagli e chiarimenti intendano fornire in merito ai tempi previsti per il rientro del condannato in Italia per l'esecuzione della pena;

   se il Governo, alla luce di questi fatti, e in particolare della forte attenzione da parte dell'opinione pubblica sulla vicenda, abbia assunto le necessarie iniziative di competenza per favorire una fattiva e concreta collaborazione tra le autorità nazionali e quelle tunisine, anche alla luce dell'adesione di entrambi i Paesi all'Interpol, e per tutelare i parenti di Daniela Bani dal rischio di ritorsioni di Mootaz Chaanbi.
(4-04197)

INNOVAZIONE TECNOLOGICA E DIGITALIZZAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   SERRITELLA. — Al Ministro per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione. — Per sapere – premesso che:

   i processi e gli strumenti informatici, con uno sviluppo in continuo divenire, hanno assunto un ruolo di fondamentale importanza per la società. Questi permettono un aumento della produttività, un risparmio di energie, una diminuzione degli sprechi e soprattutto un risparmio sui costi;

   a tali scopi è stata creata l'Agenzia per l'Italia Digitale, che è l'agenzia tecnica della Presidenza del Consiglio con il compito di garantire la realizzazione degli obiettivi dell'Agenda digitale italiana e contribuire alla diffusione dell'utilizzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, favorendo l'innovazione e la crescita economica;

   al fine di proseguire il percorso di digitalizzazione è stato emanato il decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, recante disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12;

   la suddetta normativa, in particolare al comma 2 dell'articolo 8-ter, disciplina i cosiddetti smart contract, i quali «soddisfano il requisito della forma scritta previa identificazione informatica delle parti interessate, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall'Agenzia per l'Italia Digitale con linee guida da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto»;

   ancora al comma 4 del suddetto articolo si prevede che «entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, l'Agenzia per l'Italia Digitale individua gli standard tecnici che le tecnologie basate su registri distribuiti debbono possedere»;

   ad oggi, pur essendo la normativa entrata in vigore il 15 dicembre 2018, a quanto consta all'interrogante l'Agenzia per l'Italia Digitale non ha ancora adempiuto alle previsioni di legge;

   l'Agenzia per l'Italia Digitale ha unicamente istituito, mediante la determinazione n. 116/2019, un «Gruppo di lavoro per la predisposizione delle linee guida e standard tecnici relativi alle tecnologie basate su registri distribuiti e smart contract» –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda porre in essere al riguardo.
(4-04196)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   BALDINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   risulta all'interrogante che in data 22 novembre 2019, sia girata sui social network la notizia – comprovata anche da un filmato – del transito di 8 pullman turistici tedeschi, sulla A22 all'altezza dell'uscita Rovereto sud/Lago di Garda nord, provenienti dal Brennero;

   i pullman in questione presentavano vetri oscurati e sembravano essere scortati da autopattuglie dei carabinieri, in testa e in coda al convoglio, quasi a testimoniarne la volontà di tutelare la sicurezza del transito;

   dagli articoli che accompagnano il video, unitamente ai commenti degli utenti rivolti alla notizia in questione, è emerso il sospetto che il convoglio di pullman tedeschi trasportasse migranti rientranti nella categoria dei cosiddetti Dublinanti – cittadini stranieri irregolari identificati nei Paesi in cui sono approdati, ove hanno formulato la domanda di protezione internazionale che hanno poi raggiunto altri Paesi dell'Unione europea –, probabilmente fatti rientrare in maniera coatta dalla Germania in ragione della disciplina vigente nell'ambito dell'Unione europea in materia di determinazione dello Stato competente per l'esame della domanda di protezione internazionale;

   infatti, il regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide (rifusione) e prevede, nello specifico, che lo Stato membro che ha ricevuto una domanda di protezione internazionale e ritiene che un altro Stato membro sia competente per l'esame della stessa può chiedere a tale Stato membro di prendere in carico il richiedente in quanto Paese di primo approdo;

   stando ai dati pubblicati da Il Sole 24 ore nel maggio 2019 dal 1° gennaio all'8 maggio 2019 a fronte di 857 migranti approdati in territorio italiano, 710 sono gli immigrati «dublinanti» riportati in Italia dalla sola Germania;

   non sussistendo un accordo ufficiale tra Roma e Berlino sul versante della gestione dei rientri dei cittadini immigrati, già identificati in Italia, è andata consolidandosi negli anni una prassi secondo cui alla Germania è consentita la partenza mensilmente di un gruppo massimo di 50 immigrati «dublinanti» esclusivamente per via aerea, attraverso due voli charter su cui deve essere presente anche la polizia;

   pertanto, considerando che i suddetti pullman turistici possono accogliere fino a 50 passeggeri, ne deriva che nel citato convoglio potevano essere presenti, potenzialmente, fino a 400 immigrati, contravvenendo, ove ciò fosse confermato, in maniera palese alla prassi bilaterale di cui sopra con ovvi riverberi in termini di sicurezza pubblica, di oneri in capo allo Stato di destinazione e di dubbi applicativi afferenti alla disciplina in materia suindicata;

   solleva ulteriori riflessioni la presenza di una «scorta», non costituendo di per sé detti mezzi – pur se marcianti in convoglio – un «trasporto eccezionale» ai sensi del codice della strada;

   sarebbe auspicabile fornire chiarimenti circa quanto verificatosi e sopra descritto, in ragione del carattere virale che ha assunto la notizia in questione e dei rischi connessi alla propagazione di informazioni sensibili potenzialmente lesive della sicurezza pubblica, anche nella prospettiva di stanare eventuali «notizie false» ciclicamente incombenti sul web –:

   se il Governo intenda approfondire, per quanto di competenza, le dinamiche di ciò che è accaduto, eventualmente fornendo chiarimenti circa la natura del convoglio di cui in premessa e in particolare in ordine alle ragioni che avrebbero condotto all'autorizzazione della presenza di una scorta e se si intenda, promuovere un accordo, in sede bilaterale, per definire regole chiare e certe per l'attuazione dei respingimenti secondari, anche nella prospettiva di contenere il numero di immigrati «dublinanti» che accedono in Italia.
(3-01161)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BITONCI, BELOTTI, ANDREUZZA, BADOLE, BISA, COIN, COLMELLERE, COMENCINI, COVOLO, FANTUZ, FOGLIANI, LORENZO FONTANA, GIACOMETTI, LAZZARINI, MANZATO, MATURI, PATERNOSTER, PRETTO, RACCHELLA, STEFANI, TURRI, VALBUSA, VALLOTTO e ZORDAN. – Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   nei giorni scorsi, organi di stampa locale di Padova e del Veneto riportavano la notizia secondo cui prima dell'inizio della partita di calcio del 10 novembre 2019 tra Padova e Sud-Tirol presso lo stadio Euganeo di Padova, ad alcuni tifosi del Padova sarebbe stato impedito, da parte di funzionari di pubblica sicurezza, di entrare con la bandiera del Veneto;

   la notizia ha creato molto stupore, sia tra i tifosi, che a livello politico, tanto che il presidente della regione del Veneto ha parlato di gesto «incivile», oltre al fatto che numerosi consiglieri regionali veneti si sono adoperati per richiedere chiarimenti su quanto accaduto;

   nel corso della partita Padova-Rimini del 24 novembre 2019, alcuni tifosi del Padova hanno introdotto la bandiera del Veneto e il questore di Padova ha annunciato nei loro confronti una sanzione amministrativa, precisando altresì che analoga disposizione sarebbe stata assunta nei confronti dei tifosi del Pisa presenti a Cittadella (Padova) e che esponevano, tra le altre, bandiere della Repubblica Pisana, ovvero recanti il medesimo simbolo della città di Pisa;

   il questore euganeo, sul punto, ha dichiarato durante una conferenza stampa convocata ad hoc che «Possono entrare allo stadio solo le bandiere delle due tifoserie e quella italiana. In questo caso si trattava di una bandiera venetista e quindi la normativa vigente ne impediva l'ingresso. Non si è proceduto a nessun sequestro, è rimasta all'esterno. Ogni settimana prima della partita si riunisce il Gos, Gruppo operativo della sicurezza, che autorizza di volta in volta l'ingresso di bandiere e striscioni, che talvolta possono cambiare. Prima della partita vengono srotolati e controllati. Ma per le bandiere la norma è molto chiara»;

   la determinazione dell'Osservatorio sulle manifestazioni sportive dell'8 marzo 2007 precisa in materia di esposizione di bandiere che la disciplina autorizzativa prevista per gli striscioni «dovrà essere applicata per le bandiere, fatte salve quelle riportanti solo i colori sociali della propria squadra e quelle degli Stati rappresentati in campo»;

   si tratta di una misura di ordine pubblico finalizzata a non introdurre all'interno degli stadi striscioni, vessilli, bandiere che possano suscitare sdegno nel pubblico, perché rappresentanti atti di intolleranza o di discriminazione razziale. La bandiera, invece, è un emblema foriero di messaggi informativi tant'è che nel nostro ordinamento è previsto il reato di vilipendio al tricolore. Inoltre, la bandiera viene percepita e riconosciuta come un segno distintivo della propria individualità politico-sociale, dei valori e degli ideali che essa rappresenta e costituisce così un tratto della personalità umana;

   la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 189 del 1987, si è pronunciata, su un caso analogo, dichiarando la illegittimità costituzionale degli articoli 1 e 3 della legge 24 giugno 1926, n. 1085, che prevedevano il divieto di esporre in pubblico bandiere senza la preventiva autorizzazione delle autorità politiche locali e ciò sul presupposto della necessaria coesistenza di altri valori e ideologie di cui le bandiere sono portatrici e della irrazionalità della sanzione;

   è del tutto evidente che, durante lo svolgimento di una partita tra due squadre italiane, la bandiera nazionale non avrebbe senso, e i sentimenti di appartenenza territoriale sono spesso rappresentati dalle bandiere regionali, che quindi vengono tranquillamente esposte, come simboli di «pezzi» dello Stato, in «sostituzione» del Tricolore –:

   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere con riguardo agli episodi di cui in premessa, considerato che finora nessun altro soggetto istituzionale ha applicato restrittivamente il divieto di esposizione di bandiere territoriali.
(5-03215)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   continuano le discriminazioni nei confronti di centinaia di candidati del concorso per l’«assunzione di 893 allievi agenti della polizia di Stato», alcune delle quali ampiamente illustrate con l'interrogazione a risposta scritta n. 4-02150, depositata a suo tempo e per la quale non è ancora pervenuta alcuna risposta, e con l'ordine del giorno n. 9/1550/8 accolto dal Governo;

   la più grave discriminazione è stata attuata mediante l'articolo 11, comma 2-bis del decreto-legge n. 135 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 12 del 2019 in relazione allo scorrimento della graduatoria, che modificava i requisiti per accedere alle successive prove, escludendo chi fosse maggiore di ventisei anni e non avesse conseguito il diploma di istruzione secondaria;

   come noto, inizialmente il bando di corso del 26 maggio 2017 prevedeva come requisito per la partecipazione al concorso pubblico non aver compiuto il trentesimo anno di età ed essere in possesso del solo titolo di studio della licenza media;

   a causa della modifica dei requisiti di accesso al concorso, molti giovani candidati risultati idonei non vincitori sono stati esclusi dallo scorrimento e si sono visti negare la possibilità di partecipare alle successive prove;

   siffatta situazione ha inevitabilmente generato una grave e illegittima discriminazione tra i partecipanti, nonché la violazione della lex specialis del bando e dei principi di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa;

   per tale ragione, molti dei candidati che nel 2017 erano risultati idonei ma non vincitori, sono stati estromessi dalla graduatoria di scorrimento;

   questi hanno fatto ricorso al Tar al fine di vedere tutelati i propri legittimi interessi e a fine maggio del 2019 sono stati ammessi in via cautelare alle selezioni e hanno potuto sostenere le successive prove psicofisiche attitudinali;

   di questi, circa 455 candidati sono risultati idonei, avendo superato tutte le prove, ma per loro sopraggiunge una ulteriore discriminazione: la loro idoneità è «con riserva» e, pertanto, sono stati nuovamente esclusi dalla graduatoria finale per l'avvio al corso di formazione, iniziato il 29 agosto 2019;

   il Tar del Lazio, sezione prima quater, il 13 settembre 2019 ha accolto, con ordinanza, gli ulteriori ricorsi che i candidati esclusi dal corso di formazione avevano presentato, disponendo la loro ammissione;

   a parere dell'interrogante, siffatta situazione sta eludendo gravemente le aspettative di tanti giovani che hanno ampiamente dimostrato la loro preparazione con il superamento di tutte le prove concorsuali e che tutt'oggi si vedono esclusi senza alcuna prospettiva formativa e lavorativa –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, e accertata la fondatezza degli stessi, se intenda adottare iniziative di competenza per verificare che sia stata data attuazione all'ordinanza del Tar del Lazio emessa il 13 settembre 2019 e, in ogni caso, quali urgenti iniziative intenda porre in essere per eliminare la grave ingiustizia che stanno subendo i 455 candidati esclusi dal corso di formazione.
(4-04204)


   SPESSOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la deliberazione della giunta regionale del Veneto n. 1379 del 23 settembre 2019, pubblicata sul Bollettino ufficiale della regione del Veneto n. 108 del 27 settembre 2019, ha indetto il referendum regionale consultivo sul progetto di legge n. 8 di iniziativa popolare relativo a «Suddivisione del Comune di Venezia nei due Comuni autonomi di Venezia e Mestre» per il 1° dicembre 2019 e ha approvato il quesito da rivolgere alla popolazione elettorale del comune di Venezia;

   la deliberazione della giunta comunale di Venezia n. 354 del 31 ottobre 2019 ha fissato in numero 25 gli spazi per la propaganda elettorale relativa al referendum di cui sopra, nonché le posizioni ove dovranno essere collocati gli stessi;

   tale deliberazione, applicando le disposizioni minime previste dall'articolo 2 della legge 4 aprile 1956, n. 212, letto in combinato disposto con l'articolo 1, comma 400, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, ha creato di fatto un'assenza di informazione sulla consultazione referendaria nella città di Venezia dove sono presenti solo n. 6 spazi elettorali;

   l'azienda municipale dei trasporti ACTV, tramite la propria concessionaria, ha negato l'utilizzo a pagamento degli spazi di affissione dinamica sui mezzi per effettuare comunicazione referendaria, senza darne alcun motivo formale;

   ai cittadini che hanno esposto drappi sui balconi delle proprie case sono state prospettate ammende e gli stessi sono stati obbligati a rimuovere i drappi della polizia locale, su indicazione del prefetto, a giudizio dell'interrogante in palese contrasto con la sentenza della Corte Costituzionale n. 161 del 1995 che fissa sostanzialmente il principio per cui alle consultazioni referendarie non si applicano i divieti pubblicitari a cui sono sottoposte le consultazioni elettorali;

   in molti casi il comune di Venezia ha negato l'utilizzo degli spazi pubblici di proprietà comunale per l'organizzazione di convegni e dibattiti;

   i rappresentanti dell'amministrazione comunale (sindaco e assessori), invitano espressamente ad astenersi dal voto, anche tramite post e informazioni sui propri canali «social» privati e nelle occasioni di intervento pubblico;

   tali comportamenti, ad avviso dell'interrogante, minano alla base i diritti politici dei cittadini e il principio che stabilisce «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» di cui all'articolo 117, secondo comma della Costituzione –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza degli atti e dei comportamenti esposti in premessa;

   se intenda adottare ogni iniziativa di competenza, anche di carattere normativo e urgente, allo scopo di assicurare la trasparenza e la correttezza del procedimento referendario di cui in premessa e di quelli analoghi.
(4-04213)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   LATINI, FOGLIANI, PATELLI e RACCHELLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   il Presepe è da sempre uno dei più importanti simboli della tradizione cristiana del nostro Paese, rappresenta la famiglia e la concordia, nel solco della più autentica tradizione popolare italiana;

   proprio per questo si ritiene debba essere adeguatamente valorizzato e per questo se ne intende incoraggiare l'allestimento nelle scuole, in quanto la scuola è il luogo per eccellenza di educazione e formazione e sarebbe decisivo che i ragazzi, a contatto con questa multiculturalità sempre più presente nelle scuole e nei luoghi di svago, conoscano, capiscano e concorrano a preservare i valori che hanno contraddistinto da sempre la nostra civiltà;

   tutto questo non intende minimamente mettere in dubbio la laicità dello Stato e delle istituzioni. A coloro i quali asseriscono che il presepe rappresenta un simbolo religioso che potrebbe infastidire altre religioni e fedi, è utile ricordare che la Corte europea dei diritti dell'uomo, il 18 marzo 2011, ha affermato il principio per cui il Crocifisso apposto in sedi pubbliche non ha nulla di coercitivo perché rappresenta un simbolo sinonimo di storia, cultura e tradizione. Se ciò vale, giustamente per il Crocefisso, ad avviso degli interroganti, ugualmente deve valere per il presepe, in quanto se c'è un simbolo che rappresenta la cultura italiana che si apre al mondo e dialoga con mondo è proprio il presepe;

   esiste uno stanziamento della regione Veneto di 50 mila euro alle scuole proprio per realizzare i presepi; precedentemente anche l'amministrazione comunale di Arezzo ha richiesto alle scuole comunali di allestire un piccolo presepe, sperando che l'invito fosse accolto anche dagli istituti statali, motivando la richiesta perché «È una tradizione importante alla quale non possiamo e non vogliamo rinunciare» –:

   se e quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare per preservare anche nelle scuole le più autentiche tradizioni nazionali, di cui il presepe è una delle espressioni più rilevanti.
(4-04209)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIPRINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il «workers buy out» è il fenomeno di ristrutturazione aziendale con il quale i lavoratori di un'impresa in crisi o in fallimento, grazie ad una serie di strumenti e al sostegno di attori sociali ed economici, decidono di acquistare il luogo di lavoro trasformandolo in cooperativa;

   i Wbo (lavoratori che acquisiscono l'azienda) si caratterizzano per un ridotto ricorso alla leva finanziaria, dal momento che, nella maggioranza dei casi, il problema strutturale dell'azienda target l'eccessivo livello di indebitamento;

   inoltre, il ricorso alla leva può essere evitato grazie all'intervento di intermediari specializzati, tra cui una serie di investitori istituzionali e finanziatori che, come accade nel caso italiano, apportano le risorse finanziarie necessarie per effettuare l'operazione;

   i Wbo europei consentono allo stesso modo di salvare posti di lavoro, aziende e comunità locali;

   la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese può rappresentare un valido strumento imprenditoriale per affrontare le sfide del futuro e salvaguardare i livelli occupazionali ma anche, come testimoniato da diverse esperienze a livello europeo e mondiale, per contribuire a uno sviluppo sostenibile dell'economia e della società;

   in Italia, così come in buona parte dell'Europa e dell'America, il workers buy out si realizza attraverso la forma cooperativa per ragioni di varia natura;

   tale fenomeno in Italia costituisce una realtà che, pur contenuta nei numeri, presenta un alto valore sociale e culturale, garantendo il posto di lavoro a migliaia di italiani nonché la sopravvivenza di una parte della produzione industriale del nostro Paese;

   negli ultimi anni, come evidenziato dai dati, il processo ha subìto un'improvvisa accelerazione grazie al maggior contributo di CFI e dei fondi mutualistici che, in un contesto socio-economico in difficoltà, hanno sostenuto un numero sempre più grande di progetti senza dimenticare la loro fattibilità;

   il loro successo economico dipende anche (soprattutto) dal sostegno che ricevono dagli investitori istituzionali e dalla risposta degli attori pubblici coinvolti nel processo, tra i quali l'Inps;

   recentemente gli operai dell'ex azienda Ceramisia di Città di Castello (Perugia), ai quali era stata comunicata la delocalizzazione in Armenia, con un investimento di 180 mila euro — derivante anche del Tfr e della «Naspi» loro spettante – hanno acquistato i macchinari utilizzati dalla vecchia proprietà e affittato il capannone, riuscendo a far nascere una nuova impresa (Ceramiche Noi) e salvaguardando i livelli occupazionali (www.ilfattoquotidiano.it del 19 novembre 2019);

   fondamentale in tutti i casi di avvio di una start up è la disponibilità immediata del capitale;

   a tal proposito, l'articolo 8 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22, prevede già la possibilità per il lavoratore di richiedere all'Inps la liquidazione anticipata in un'unica soluzione dell'importo della «Naspi» come incentivo per l'avvio di una società cooperativa nei processi di acquisizione dell'azienda da parte dei lavoratori;

   il problema è che i tempi di risposta da parte dell'Inps a fronte della richiesta del lavoratore dell'erogazione dell'anticipo «Naspi» in un'unica soluzione risultano difficilmente compatibili con la necessità da parte dei lavoratori di avere nel più breve tempo possibile la liquidità necessaria per far fronte agli impegni finanziari assunti;

   le cooperative di lavoro che nascono, quindi, non solo salvano posti di lavoro, agendo come ammortizzatori sociali, ma tutelano le capacità produttive dei lavoratori rafforzando l'economia dei rispettivi territori e creando capitale sociale;

   il successo economico, sociale e culturale di questo esempio di gestione aziendale e di risposta alla crisi che sta colpendo il Paese deve essere riconosciuto e trattato il più possibile per la sua peculiarità;

   a parere dell'interrogante, appare pertanto auspicabile incentivare i fenomeni descritti anche tramite la leva fiscale della detassazione del TFR reinvestito dal lavoratore nella nuova impresa –:

   quali iniziative intenda adottare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di accelerare la liquidazione in un'unica soluzione delle indennità «Naspi», spettante ai dipendenti nei casi di avvio di una nuova impresa e favorire i processi di «workers buy out» di acquisizione dell'azienda da parte dei lavoratori;

   quali iniziative di competenza, anche di tipo normativo, intenda adottare il Governo al fine di incentivare le operazioni di «workers buy out» di acquisizione dell'azienda da parte dei lavoratori descritte in premessa, anche tramite la leva fiscale della detassazione del Tfr reinvestito dal lavoratore nella nuova impresa, nonché dell'indennità «Naspi» spettante ai lavoratori sopra citati.
(4-04200)


   VARCHI, MASCHIO e BUCALO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   ha destato sconcerto e indignazione nell'opinione pubblica, la notizia che l'ex brigatista Saraceni, condannata a 21 anni per l'omicidio del giuslavorista D'Antona e attualmente agli arresti domiciliari, sia tra i beneficiari del reddito di cittadinanza;

   a norma di legge, per beneficiare del reddito di cittadinanza è necessario che il richiedente non sia sottoposto «a misure cautelari personali» e non sia stato condannato in via definitiva nei dieci anni precedenti la richiesta per reati gravissimi; dopo il caso Saraceni, sono emersi altri due nomi di ex terroristi beneficiari del sussidio: Massimiliano Gaeta, condannato, tra l'altro, per banda armata con finalità eversiva, e Raimondo Etro, condannato per concorso nel sequestro di Aldo Moro e per l'omicidio del giudice Riccardo Palma;

   non solo terroristi, ma anche delinquenti recidivi, spacciatori, rapinatori, ladri d'appartamento, stupratori, stalker, assassini e pedofili sono tra i possibili percettori di questa misura, poiché sono tutte categorie non escluse dalla norma, che contempla solo pochissimi reati di mafia e terrorismo;

   è di pochi giorni fa la notizia, riportata da testate giornalistiche locali e nazionali, che secondo l'ispettorato generale del lavoro sono 185 le persone che fino a giugno 2019 hanno incassato il reddito di cittadinanza, ma non ne avevano diritto: perché lavoravano in nero, o perché criminali, come lo spacciatore napoletano o cinque fermati per mafia a Ficarazzi, in Sicilia;

   tra i «furbetti del reddito» c'è anche chi è stato scoperto nel corso di tre distinte operazioni delle forze dell'ordine a Palermo, che nelle ultime settimane hanno arrestato altri nove «spaccaossa», due trafficanti di droga e una banda di contrabbandieri, che nel Canale di Sicilia stava trasportando un carico di sette tonnellate di sigarette destinate al mercato nero dell'isola;

   in particolare, tra i sei italiani arrestati c'è un trapanese che percepiva da giugno 1.000 euro di reddito di cittadinanza, così come cinque delle nove persone coinvolte nell'inchiesta che ha svelato il desolante scenario in cui si muovevano gli «spaccaossa» agli ordini dei boss di Brancaccio;

   anche uno dei presunti trafficanti di droga finito in arresto nel corso di un'operazione della Guardia di finanza tra Napoli e Palermo percepiva dalla scorsa estate cinquecento euro mensili di reddito di cittadinanza;

   tra i furbetti del reddito di cittadinanza, negli ultimi mesi nel capoluogo siciliano, c'è anche un uomo arrestato per furto di energia elettrica allo Zen e tre parcheggiatori abusivi; i dati sono sempre più sconfortanti, se si considera che da quando il reddito viene erogato, i «furbetti» scovati solo in Sicilia sono più di mille e da un capo all'altro dell'isola. Il maggior numero di casi si registra a Palermo e a Catania;

   sulla reale efficacia del reddito di cittadinanza possono esserci vedute diverse, ma una convinzione dovrebbe accomunare tutti: ex brigatisti e criminali, in generale, non dovrebbero percepire alcun sussidio dallo Stato –:

   se e quali urgenti iniziative di competenza il Governo intenda adottare con riguardo ai fatti esposti in premessa relativamente all'erogazione del reddito di cittadinanza a chi si è macchiato di gravi reati;

   quali urgenti iniziative stia ponendo in essere per il recupero delle somme corrisposte ai soggetti che non ne avevano diritto;

   se non ritenga di dover fornire elementi in merito al monitoraggio dell'attuazione di questa misura di sostegno al reddito e alle relative evidenti falle riscontrate.
(4-04201)


   FASSINA, FRATOIANNI e PALAZZOTTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   la legge n. 26 del 2019, che ha istituito il reddito di cittadinanza, assegna ad Anpal Servizi, (già Italia Lavoro s.p.a.), società in house di Anpal, un ruolo strategico nell'organizzazione dei servizi e nella gestione del reddito di cittadinanza, affidandole uno stanziamento di 270 milioni di euro per il triennio 2019-2021;

   Anpal Servizi, prima dell'assunzione dei navigator, disponeva di 1.103 addetti, di cui circa 654 con contratti a tempo determinato e di collaborazione. Con l'assunzione dei circa 3 mila nuovi collaboratori – i cosiddetti navigator – l'organico è ora composto al 90 per cento da tipologie contrattuali precarie;

   la legge n. 128 del 2019, recentemente approvata dal Parlamento, all'articolo 4 dispone la stabilizzazione dei 654 operatori precari. La norma è intervenuta per superare l'incredibile paradosso italiano degli operatori precari che ricollocano i disoccupati;

   la legge è chiara: per i lavoratori con contratti a tempo determinato che hanno maturato un'esperienza in azienda è prevista l'assunzione diretta con contratto a tempo indeterminato; ciò vale anche per coloro ai quali, scaduto il contratto a tempo determinato, l'azienda non aveva offerto alcuna, soluzione. Per tutti i collaboratori, che hanno maturato entro il 1° gennaio 2019 specifiche esperienze professionali presso Anpal Servizi (ivi compresi i rapporti intercorsi con Italia Lavoro s.p.a.), si stabilisce una specifica procedura concorsuale interna che consentirà, nel triennio 2019-2021, di completare il processo di stabilizzazione dei precari, valorizzando l'anzianità di servizio e l'esperienza acquisita;

   risulta agli interroganti che in occasione dell'incontro tra il management di Anpal Servizi e le Camere del lavoro autonomo e precario, svoltosi il 25 novembre 2019, l'azienda ha proposto un piano di stabilizzazione per meno di 400 lavoratori, prevedendo nel contempo persino l'assunzione di nuove figure professionali, i data scientist, e producendo una ulteriore riduzione della platea dei precari storici da stabilizzare;

   secondo quanto pubblicato su Linkiesta del 22 novembre 2019, a esser poco trasparente è anche la vicenda relativa alla piattaforma di incrocio domanda e offerta. Si prevede una ingiustificabile previsione di spesa di 25 milioni di euro, mentre per Ernst & Young ne basterebbero esclusivamente 600 mila. Si tratta di una ingente quantità di risorse su cui bisogna immediatamente fare chiarezza, visto che tali fondi pubblici potrebbero essere meglio utilizzati per stabilizzare tutti i precari;

   è, inoltre, molto grave la condotta antisindacale di Anpal Servizi che, in risposta allo sciopero del 20 novembre 2019 proclamato dalle Camere del lavoro autonomo e precario, a cui hanno aderito centinaia di collaboratori e numerosi dipendenti, Anpal Servizi, chieda a questi ultimi di abbattere il monte ferie e/o permessi per giustificare l'assenza nella giornata di sciopero. È vero che Anpal Servizi ha inoltrato ai lavoratori il 26 novembre una nota per ammettere l'errore commesso e assumere l'impegno a fare il possibile, perché si evitino in futuro situazioni analoghe, ma resta in ogni caso il grave attacco al diritto di sciopero, diritto soggettivo costituzionalmente presidiato;

   è altrettanto grave che sia negato alle Camere del lavoro autonomo e precario, l'organizzazione sindacale più rappresentativa in azienda, prima per numero di iscritte/i (ben oltre 150), il pieno riconoscimento dei diritti sindacali. Difesa della Costituzione significa anche effettiva garanzia della libertà, della democrazia, del pluralismo sindacale –:

   quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro interrogato in relazione alla condotta antisindacale di Anpal e se intenda convocare immediatamente un tavolo di confronto con le parti per continuare la trattativa, nel pieno rispetto della legge n. 128 del 2019.
(4-04202)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VIVIANI, BUBISUTTI, GASTALDI, GOLINELLI, LIUNI, LOLINI, LOSS, MANZATO, DI MURO e FOSCOLO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il settore olivicolo italiano sta affrontando un periodo di crisi, nel quale, oltre alle calamità atmosferiche, sono intervenuti anche altri fattori di danno, quali fitopatie e infestazioni;

   la filiera olivicola coinvolge oltre 400 mila aziende olivicole e può contare su 43 Dop e 4 Igp con un patrimonio di 250 milioni di piante e 533 varietà di olive;

   negli ultimi anni la mosca olearia (Bactrocera oleae) ha causato ingenti danni alle aziende olivicole, rovinando interi raccolti. La mosca olearia è considerata l'avversità più grave a carico dell'olivo e nelle regioni in cui è presente, soprattutto al Nord del Paese, condiziona sensibilmente l'entità e la qualità della produzione;

   la mosca olearia è un antico e temuto parassita che si ciba di frutti ed è responsabile della distruzione della drupa dell'olivo attraverso la creazione, all'interno dei frutti attaccati, di piccoli tunnel. Al contrario della Xylella, la mosca olearia non danneggia le piante ma solo i frutti;

   le numerose e ripetute prove di lotta biologica effettuate in Italia, rilasciando i parassitoidi con metodi inoculativi o inondativi, non hanno dato risultati soddisfacenti, così come la gestione dell'oliveto per favorire l'azione dei nemici naturali della mosca non pare influire significativamente sulle dinamiche che inducono le popolazioni del dittero ad accrescersi, causando infestazioni di rilevante impatto economico;

   la lotta larvicida è la metodologia di lotta maggiormente praticata nell'olivicoltura convenzionale ed è effettuata tramite l'utilizzo di insetticidi citotropici e/o sistemici che penetrano nella polpa dell'oliva e riescono a raggiungere e uccidere le uova e le giovani larve. I principi attivi con queste caratteristiche sono di sintesi ed in particolare il Dimetoato;

   il principale vantaggio del contenimento chimico larvicida consiste nella possibilità di intervenire anche ad infestazione in atto, bloccandone l'evoluzione e prevenendo il conseguente danno;

   il Dimetoato è un prodotto molto utilizzato in olivicoltura e di cui sono noti efficacia, i costi contenuti e la sua forte idrofilia che assicura un olio praticamente privo di residui;

   il Dimetoato era un prodotto studiato e collaudato nel tempo (da oltre 50 anni) che praticamente non aveva più segreti ed il suo utilizzo, con i dosaggi, le precauzioni ed i tempi di carenza prescritti non dava problemi. Esistono anche metodi alternativi, non chimici, come le eco trappole, l'utilizzo del rame, l'applicazione di caolino che sta dando buoni risultati ma con costi piuttosto elevati;

   ai sensi del regolamento (UE) 2019/1090 l'autorizzazione all'uso della sostanza attiva Dimetoato, per via delle criticità tossicologiche e ambientali emerse dalla valutazione della documentazione, è stata revocata per mancato rinnovo dell'approvazione da parte della Commissione europea; pertanto, le autorizzazioni dei prodotti fitosanitari contenenti la sostanza attiva Dimetoato sono revocate a decorrere dalla data 1° ottobre 2019 e i prodotti a base di questa sostanza potranno essere utilizzati solo sino al 30 giugno 2020 e quindi nella prossima stagione olivicola non potranno essere utilizzati e questo rischia di compromettere la prossima raccolta;

   con la revoca dell'autorizzazione all'utilizzo del Dimetoato restano solo due prodotti fitosanitari utilizzabili in olivicoltura tradizionale contro la mosca delle olive, il Fosmet e l'Acetamiprid, nonostante siano già consigliati nelle strategie di difesa, non sono sondati e verificati, non si conosce l'entità del residuo e a differenza del Dimetoato, sono liposolubili –:

   quali iniziative intenda assumere il Governo per tutelare per quanto di competenza, le aziende olivicole rispetto alle infezioni e alle fitopatie verificatesi negli ultimi anni, cagionate dalla cosiddetta mosca olearia, ma sopratutto quali iniziative intenda assumere, nelle competenti sedi europee, alla luce del mancato rinnovo dell'autorizzazione all'utilizzo del Dimetoato, per prevedere una possibile proroga per l'utilizzo dello stesso.
(5-03214)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta scritta:


   LUCIANO CANTONE, VILLANI, RIZZO, GRIPPA e SCERRA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per la pubblica amministrazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   è stata segnalata la possibile posizione di conflittualità del presidente Pietro Agen della camera di commercio del Sud est Sicilia e la violazione di norme sulla trasparenza riguardanti la gestione dell'ente;

   la camera di commercio del Sud est è un ente pubblico dotato di autonomia funzionale che svolge, nell'ambito della circoscrizione territoriale di competenza, comprendente i territori delle province di Catania, Ragusa e Siracusa, funzioni di interesse generale per il sistema delle imprese, curandone lo sviluppo nell'ambito delle economie locali;

   la presente interrogazione trova fondamento nell'esistenza di un'attività di monitoraggio svolta dal Codacons e dal giornale Sud Press e nell'interessamento della prefettura di Catania;

   viene segnalata la gestione sia politica che economica della camera di commercio del Sud est Sicilia alla luce di ben individuate problematiche ovvero:

    a) la possibile posizione di conflittualità del presidente, in ordine alla fondatezza di alcune affermazioni rese da Pietro Agen in un'intervista rilasciata al giornale circa l'appartenenza alla loggia massonica del «Grande Oriente d'Italia» di Palazzo Giustiniani dai primi anni ’80 a tutt'oggi, ancorché «messo in sonno»;

    b) gravi criticità amministrative che sarebbero rinvenibili, a giudizio dell'interrogante, nella delibera della giunta camerale del 15 febbraio 2018 n. 25 ed eventuali situazioni di conflitto testimoniate dall'esistenza di lettere di contestazione dei dipendenti preoccupati dalle molteplici e dispendiose iniziative della camera di consiglio a fronte di una gestione amministrativo-contabile che sembrerebbe far insorgere in loro, a quanto consta all'interrogante, il timore di non percepire, a fine mese, lo stipendio;

    c) è stato segnalato che il sito web non riporta dati e documenti che le pubbliche amministrazioni sono obbligate a pubblicare e la consultazione di alcuni provvedimenti sarebbe limitata a brevissimi periodi temporali;

   lo statuto della camera di commercio del Sud est Sicilia che, all'articolo 13, lettera f), stabilisce che non possono far parte del Consiglio «coloro che siano iscritti ad associazioni operanti in modo occulto o clandestino e per la cui adesione siano richiesti un giuramento o una promessa solenne». Tale divieto è ribadito dalla legge regionale n. 4 del 2010 e dall'articolo 13 della legge n. 580 del 1993. L'articolo 13, comma 3, dello statuto, come peraltro stabiliscono le leggi regionale e nazionale sull'ordinamento delle camere di commercio, prevede che «La perdita dei requisiti di cui al comma 1 o la sopravvenienza di una delle situazioni di cui al comma 2, lettere d), e) e f), comportano la decadenza dalla carica di consigliere»;

   occorre assicurare il rispetto della normativa sulla trasparenza ed anticorruzione e una sua concreta e pedissequa applicazione da parte della camera di commercio, sia in ordine alla tenuta e gestione del sito, sia in merito alle spese ed agli interventi anche strategici dalla stessa adottati;

   occorre altresì impedire le riferite inefficienze e azioni sproporzionate e apparentemente immotivate e dispendiose che fanno sì che ad essere fortemente pregiudicate siano le caratteristiche di trasparenza ed efficienza proprie di ogni camera di commercio, specie nei casi in cui le stesse detengano partecipazioni in molti settori strategici (ad esempio aeroporto) –:

   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e alle criticità segnalate e se intenda adottare ogni iniziativa di competenza, anche normativa, per assicurare il rispetto delle norme poste a tutela dell'indipendenza ed autonomia delle camere di commercio e impedire che coloro che siano iscritti ad associazioni come quelle sopracitate ricoprano incarichi pubblici di rilevanza i cui ambiti di interesse possano interferire con lo svolgimento dell'attività di ufficio.
(4-04207)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Formentini e altri n. 1-00248, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 ottobre 2019, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Giglio Vigna.

Apposizione di firme ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Provenza e Villani n. 7-00380, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 novembre 2019, deve intendersi sottoscritta anche dalle deputate: Sarli e Sportiello.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza Ficara e altri n. 2-00571, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 novembre 2019, deve intendersi sottoscritta anche dalla deputata Barzotti.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Zanichelli n. 4-04022, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 novembre 2019, deve intendersi sottoscritta anche dalla deputata Spadoni.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato dell'interrogazione a risposta scritta Iorio n. 4- 03986, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 250 del 31 ottobre 2019.

   IORIO e DEL MONACO. – Al Ministro della difesa. – Per sapere – premesso che:

   i nuclei cinofili dell'Esercito, composti da un militare qualificato conducente cinofilo ed un cane qualificato Military working dog, sono uno strumento operativo indispensabile e che costituisce, per i nostri militari in Patria e all'estero, un significativo sensore in grado di rilevare la presenza di qualsiasi tipo di sostanza esplosiva, ovunque occultata, e di elementi ostili in prossimità di essa;

   il military working dog non è da considerarsi un militare a tutti gli effetti e la vita operativa del quadrupede termina allorquando non è più in grado di garantire gli standard richiesti dall'impiego;

   è notizia degli ultimi giorni la battaglia di civiltà per garantire, a fine servizio, l'assistenza veterinaria ai «cani con le stellette», promossa dal Consiglio intermedio di rappresentanza del comando logistico dell'Esercito;

   al termine del loro servizio, della durata di circa 8 anni, i cani militari vengono congedati e «alienati». Ormai in pensione, sono abbandonati al buon cuore del prossimo e a qualche famiglia interessata all'adozione;

   in taluni casi infausti, invero, vengono lasciati nei canili a morire di solitudine o, nella peggiore delle ipotesi, soppressi dopo buona parte della loro vita spesa al servizio di un Paese che ha investito denaro per addestrarli a fiutare esplosivi, droga, mine antiuomo;

   l'Enpa (Ente nazionale protezione animali) in una recente nota, si è rivolta direttamente al Ministro della difesa, al fine di far sentire la propria voce e di impegnare il Ministero a reintrodurre nel primo veicolo legislativo utile, la previsione l'assistenza veterinaria per i cani in «pensione»;

   l'Ente, infatti, nel ricordare l'impegno che i cani con le stellette danno nei principali teatri di guerra, nonostante «le numerose difficoltà e il forte stress cui sono sottoposti senza far venire mai meno il proprio affetto e la propria lealtà», ha sottolineato come, «alla sensibilità degli individui, però non corrisponde ancora una pari sensibilità delle Istituzioni alle quali basterebbe soltanto attuare un provvedimento giusto, economico e doveroso per dimostrare la propria attenzione e riconoscenza»;

   l'Enpa, pertanto, propone di: «garantire ai cani ceduti al personale militare l'assistenza veterinaria a carico del servizio veterinario militare» e a tal proposito istituire «un'assicurazione sulla vita dell'animale» che possa consentire allo stesso di vivere una serena vecchiaia –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della problematica in questione e quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di reintrodurre l'assistenza veterinaria per i cani militari in «pensione».
(4-03986)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza Bartolozzi n. 2-00542 del 31 ottobre 2019.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Iorio e Del Monaco n. 4-03986 del 31 ottobre 2019 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-03210.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Miceli n. 4-04127 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 263 del 20 novembre 2019. Alla pagina 9622, seconda colonna, dalla riga decima alla riga sedicesima, deve leggersi: «aggiudicataria il raggruppamento temporaneo di impresa R.T.I. SIKELIA COSTRUZIONI s.p.a./T&C INTERNATIONAL s.r.l., sulla base del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, avendo praticato un ribasso del 36 per cento ed avendo», e non come stampato.