Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 1 agosto 2019

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,

   premesso che:

    la depressione maggiore è un disturbo psichiatrico ampiamente diffuso del quale si registra un continuo, vertiginoso, aumento dei casi, pari ad oltre il 18 per cento se si prendono a riferimento gli anni tra il 2005 e il 2015;

    secondo l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), in particolare, la depressione rappresenta oggi la principale causa di malattie e disabilità a livello globale. In Europa, i cittadini affetti da questa problematica di salute mentale sono più di 35 milioni. In Italia, la situazione è analoga e riflette il medesimo trend. Soffre di depressione il 5,5 per cento della popolazione, ovvero circa 3,5 milioni di italiani, e si tratta di una cifra destinata ad aumentare;

    la depressione si manifesta tipicamente nella seconda e terza decade di vita con un picco nella decade successiva e, dunque, nel periodo più florido e produttivo della vita di una persona;

    le donne sono particolarmente esposte alla depressione sia direttamente sia come caregiver. L'incidenza della patologia si pone in un rapporto donna-uomo di 2:1;

    i sintomi associati alla depressione possono afferire alla sfera cognitiva, comportamentale, somatica e affettiva dell'individuo. La patologia ha, quindi, un impatto inevitabile sul «funzionamento» sociale e lavorativo del paziente e, di conseguenza, incide in maniera drammatica sulla qualità della vita dello stesso e dei suoi familiari;

    anche l'impatto socio-economico della depressione risulta pesantissimo. Si registrano costi diretti, immediatamente riconducibili al trattamento sanitario della patologia e, segnatamente, all'acquisto di farmaci, interventi psicoterapici e visite specialistiche, ma anche e soprattutto costi indiretti, ancor più rilevanti in termini di spesa rispetto ai primi, correlati in particolare alle assenze dal lavoro e alla scarsa produttività;

    sulla depressione, così come sulla malattia mentale in generale, grava ancora oggi una pesantissima stigmatizzazione fondata su stereotipi e luoghi comuni;

    solo il 50 per cento dei soggetti affetti da depressione ricevono adeguata diagnosi e cura in tempi peraltro ancora troppo lunghi (circa due anni);

    la depressione presenta spesso nel suo decorso naturale episodi di ricaduta sintomatologica che peggiorano l'esito prognostico a lungo termine della malattia;

    nel mese di gennaio 2019, è stato istituito un tavolo tecnico sulla salute mentale presso il Ministero della salute;

    nel mese di aprile 2019, è stato presentato alla Camera dei deputati, a cura di Fondazione Onda, un Manifesto dal titolo «depressione sfida del secolo» patrocinato dalla Società italiana di psichiatria e dalla società italiana di neuropsicofarmacologia, da Progetto Itaca e Cittadinanza attiva alla presenza di parlamentari di Camera e Senato appartenenti a tutti gli schieramenti,

impegna il Governo:

1) a promuovere campagne di sensibilizzazione della popolazione, attribuendo particolare rilievo al concetto di depressione come patologia curabile, al fine di combatterne lo stigma e aumentare il livello di consapevolezza e di corretta informazione della collettività in materia;

2) ad adottare iniziative per potenziare la ricerca scientifica, in modo da individuare le cure e le combinazioni terapeutiche più efficaci e innovative per il trattamento della patologia in esame;

3) ad attivare campagne di prevenzione e screening di comprovata validità scientifica, in modo da ridurre sensibilmente i tempi di attesa mediamente necessari per arrivare alla diagnosi di depressione;

4) ad adottare le iniziative di competenza per potenziare la rete dei servizi sanitari dedicati alla salute mentale, territoriali e della medicina generale e specialistica;

5) ad adottare iniziative per facilitare l'accesso alle cure su tutto il territorio nazionale;

6) a promuovere le iniziative necessarie per attivare un piano nazionale di lotta alla depressione che evidenzi i bisogni e gli strumenti, con il coinvolgimento di tutti gli interlocutori, specialisti, psichiatri, neuropsichiatri, psicologi, medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, e anche insegnanti e famiglie nonché associazioni di pazienti.
(1-00236) «Boldi, Panizzut, De Martini, Foscolo, Lazzarini, Sutto, Tiramani, Ziello».


   La Camera,

   premesso che:

    la demenza è una malattia cronica neurodegenerativa caratterizzata dalla progressione più o meno rapida dei deficit cognitivi, dei disturbi del comportamento e del danno funzionale con perdita dell'autonomia e dell'autosufficienza con vari gradi di disabilità e conseguente dipendenza dagli altri;

    tale patologia è stata definita secondo il rapporto dell'Organizzazione mondiale della sanità e dell’Alzheimer's Disease International (Adi) del 2012 «una priorità mondiale di salute pubblica»;

    in Italia, il numero totale dei pazienti con demenza è stimato in oltre un milione e circa 3 milioni sono le persone direttamente o indirettamente coinvolte nell'assistenza dei loro cari;

    il maggior fattore di rischio associato all'insorgenza della demenza è l'età e, per questo motivo, il progressivo incremento della popolazione anziana comporterà un aumento della prevalenza dei pazienti affetti da demenza; secondo proiezioni elaborate dall'Istat nel 2050 ne saranno colpiti circa due milioni di cittadini, in prevalenza donne;

    il «piano nazionale demenze – strategie per la promozione ed il miglioramento della qualità e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel settore delle demenze» approvato con accordo del 30 ottobre 2014 dalla Conferenza unificata tra il Governo, le regioni e le province autonome, e pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 9 del 13 gennaio 2015, fornisce indicazioni strategiche per la promozione e il miglioramento degli interventi nel settore, non soltanto con riferimento agli aspetti terapeutici specialistici, ma anche al sostegno e all'accompagnamento del malato e dei familiari lungo tutto il percorso di cura;

    il piano focalizza la propria attenzione sulle misure di sanità pubblica che possano promuovere interventi appropriati e adeguati, di contrasto allo stigma sociale, garanzia dei diritti, conoscenza aggiornata, coordinamento delle attività, finalizzati alla corretta gestione della demenza;

    a partire da febbraio 2015 la realizzazione del piano viene monitorata attraverso il «Tavolo di monitoraggio dell'implementazione del Piano nazionale per le demenze (Pnd)», coordinato dal Ministero della salute, che ha lo scopo di rendere in azioni concrete gli obiettivi del Piano stesso;

    l'Istituto superiore di sanità, su mandato e con il finanziamento del Ministero della salute, sta conducendo delle attività che riflettono questo approccio e vengono pubblicate sul sito internet dedicato;

    il morbo di Alzheimer è la patologia neurodegenerativa più frequente: ne soffrono 50 milioni di persone a livello globale di cui seicentomila in Italia, viene definita malattia «familiare» perché coinvolge il nucleo familiare dell'individuo che ne soffre;

    dal G8 di Londra (2013), interamente dedicato all'Alzheimer, si è diffuso un forte orientamento a considerare le demenze una priorità, orientamento confermato dal piano globale sulle demenze dell'organizzazione mondiale della sanità del 2017;

    sono passati 5 anni dall'approvazione del piano e si è fatto troppo poco per metterlo in pratica; gli enti competenti hanno implementato alcuni servizi assistenziali come i centri di residenzialità e diurni e l'assistenza domiciliare, ma l'assistenza rimane limitata e permangono differenziazioni territoriali in termini di quantità di offerta e di qualità degli standard dei servizi;

    in Italia esistono centri di eccellenza nati soprattutto grazie alla volontà di soggetti privati; tra gli altri, ad esempio, nella città di Monza, «Il Paese Ritrovato» rivoluziona il modo di intendere la cura e l'assistenza di persone con demenza o Alzheimer, garantendo loro di vivere l'autonomia residua in libertà e al tempo stesso di usufruire della necessaria assistenza e protezione. Il progetto, nato su iniziativa della cooperativa sociale La Meridiana ed avviato un anno e mezzo fa in collaborazione con gli enti pubblici: comune di Monza, regione Lombardia, Ats Brianza e Asst Monza, ha richiesto un investimento di oltre 10 milioni di euro di cui la maggior parte sono stati raccolti attraverso libere donazioni operate da famiglie, cittadini, imprese ed associazioni,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per garantire le misure previste nel piano nazionale demenze, approvato con accordo in conferenza unificata del 30 ottobre 2014, attraverso appositi finanziamenti che, al momento, risultano assolutamente insufficienti;

2) a prevenire e contrastare la diffusione di demenze nella popolazione, con particolare riferimento alla malattia di Alzheimer;

3) a sostenere la ricerca scientifica sulle demenze, con particolare riferimento alla malattia di Alzheimer;

4) ad adottare le iniziative di competenza per incrementare, in maniera capillare sul territorio nazionale, la diffusione di centri ad alta specializzazione, come le unità di valutazione Alzheimer, necessari per supportare i medici di medicina generale – oltre ai pazienti – nelle fasi di diagnosi;

5) ad adottare iniziative per sostenere e formare adeguatamente le famiglie dei soggetti affetti da demenza, con particolare riferimento alla malattia di Alzheimer;

6) ad incentivare la diffusione di progetti pubblici o privati che garantiscano assistenza continuativa ai pazienti affetti da patologie neurodegenerative e loro familiari.
(1-00237) «Mandelli, Gelmini».


   La Camera,

   premesso che:

    Il Fondo globale, partnership progettata per accelerare la fine dell'Aids, della tubercolosi e della malaria come epidemie, è un'organizzazione-meccanismo internazionale che mobilita e investe oltre 4 miliardi di dollari l'anno al fine di sostenere programmi gestiti da esperti locali in oltre 100 Paesi. Il lavoro è svolto in collaborazione con i Governi, la società civile, le agenzie tecniche, il settore privato e le persone colpite dalle malattie, e ha come obiettivo principale quello della rimozione degli ostacoli che ad oggi, non consentono ancora di debellare definitivamente le suddette malattie;

    la Global Fund Strategy è una road map pluriennale che definisce le priorità su come il nostro partenariato del Fondo può possa accelerare i progressi contro l'Hiv, la tubercolosi e la malaria e migliorare la salute globale, includendo anche obiettivi e traguardi ambiziosi per misurare i progressi;

    il Fondo globale raggruppa le risorse del mondo a livello mondiale da investire strategicamente in programmi da attuare nei Paesi sottosviluppati più poveri, al fine di aiutarli a trovare rimedi e strumenti per sostenerli, capaci di porre fine ad epidemie che non colpiscono più il resto del mondo. Il Fondo opera in 140 Paesi concentrando il 92 per cento delle risorse nei Paesi a reddito basso e medio-basso che registrano un'alta incidenza delle tre malattie. Il 73 per cento dei programmi sono attuati in Africa;

    con i suoi investimenti – circa 4 miliardi di euro l'anno – dalla sua creazione ad oggi il Fondo globale ha contribuito a salvare oltre 27 milioni di vite e il numero dei decessi dovuto ad Aids, Tbc e malaria si è ridotto di oltre un terzo. Solo nel 2017, con il sostegno del Fondo globale 17,5 milioni di persone hanno ricevuto la terapia antiretrovirale contro l'Hiv, con un calo di morti per Aids del 40 per cento dal 2000 al 2017, e del 43 per cento del rischio di nuove infezioni da Hiv. Nel 2017, 1,8 milioni sono state le persone nuovamente infette che hanno contratto il virus, segno che la malattia non è debellata, ma che l'intervento può essere decisivo. 5 milioni di persone affette da Tbc sono state curate e sono state distribuite 197 milioni di zanzariere per la prevenzione dalla malaria;

    il Fondo globale ha erogato finora oltre 38 miliardi di dollari a sostegno di azioni di lotta contro le tre epidemie proposte da organismi di coordinamento dei Paesi implementatori – Country Coordinating Mechanisms, Ccm – ed in linea con i loro piani sanitari nazionali, vagliati da un apposito organismo tecnico indipendente – Technical Review Panel, Trp, – e, infine, approvate da un comitato composto da esperti del Fondo Globale e da partner bilaterali;

    al fine di assicurare un migliore accesso ai farmaci a minor prezzo, il Fondo ha intrapreso un'ambiziosa strategia di market shaping, sfruttando la sua posizione di attore chiave nella salute globale, al fine di facilitare la creazione di un mercato farmaceutico «più sano», in grado cioè di favorire l'accesso a farmaci essenziali con prezzi più convenienti, coniugati a standard di qualità più elevati;

    inoltre, il Fondo globale si pone l'obiettivo di valorizzare le comunità dei Paesi più poveri, partendo dal presupposto che la copertura sanitaria universale – Uhc – può essere raggiunta soltanto con il loro attivo coinvolgimento. Pertanto, investe nella formazione delle operatrici e degli operatori sanitari di base che agiscono a livello comunitario. Ciò ha contribuito a incrementare l'accesso non soltanto ai servizi per la prevenzione e cura delle epidemie, ma anche a quelli per la salute materno-infantile, nonché allo screening delle malattie non trasmissibili;

    il Fondo globale raccoglie fondi e ricostituisce le sue risorse in cicli triennali noti come rinnovi mediante apposite Conferenze a cui partecipano gran parte dei Paesi sono invitati i suoi donatori. Fondamentale è stato il sostegno della società civile e delle persone colpite dalle malattie, che hanno guidato e spinto i Governi ad un contributo costruttivo al fine di ridurre la diffusione di queste terribili malattie. Grazie a ciò c'è stato un costante aumento, a partire dal 2002, delle risorse a disposizione. Circa il 95 per cento del finanziamento totale proviene dai Governi dei donatori, mentre il restante 5 per cento proviene dal settore privato, da fondazioni private e da iniziative di finanziamento innovative;

    l'approccio di partnership del Global Fund incoraggia, quindi, risposte agili e massima partecipazione. I Paesi implementatori assumono un ruolo guida nel determinare dove e come combattere al meglio le tre malattie, e i partner amplificano gli sforzi per raggiungere le persone colpite dalle malattie. Collettivamente, si sfruttano la migliore esperienza possibile, le intuizioni e l'innovazione nei settori pubblico e privato, dalla consegna più rapida di farmaci essenziali a metodi più efficaci per raggiungere le persone più bisognose;

    ad ottobre 2018, in occasione della sedicesima conferenza del Global Fund a Lione, il Fondo globale ha annunciato l'obiettivo di raccogliere almeno 14 miliardi di USD nel prossimo triennio, in occasione della sesta conferenza di rifinanziamento che si svolge a ottobre 2019. Ciò consentirebbe al fine di salvare 16 milioni di vite entro il 2023, dimezzando in questo modo il tasso di mortalità, e prevenendo 234 milioni di infezioni ed eradicando queste malattie. Il tasso di incidenza relativo alle tre epidemie si ridurrebbe del 42 per cento entro il 2023 rispetto ai livelli del 2017. Essenziale dunque è il rifinanziamento del Fondo che, dopo innumerevoli passi avanti, si potrebbe trovare ad affrontare un rallentamento dovuto alla minaccia di mancanza dei fondi e alla resistenza a insetticidi e farmaci;

    l'Italia è uno dei principali donatori del Fondo avendo devoluto un totale di 971,09 milioni di euro (in assoluto il nono donatore pubblico). Il nostro Paese è da sempre un forte sostenitore del Fondo globale e ha svolto un ruolo di centrale importanza nella creazione del Global Fund al Vertice G8 di Genova nel 2001. Nel 2005 si è tenuta a Roma la prima conferenza di rifinanziamento tra donatori per ricostituire le risorse del Fondo globale. In occasione della quinta conferenza del Fondo globale, l'Italia ha impegnato 140 milioni di euro per il periodo 2017-2019 aumentando del 40 per cento l'impegno rispetto al precedente contributo. Il 5 per cento di questo impegno è riservato al finanziamento diretto di attività di assistenza tecnica ai programmi del Fondo realizzate da attività sinergiche nel proprio Paese con iniziative programmatiche e di cooperazione tecnica poste in essere dalle organizzazioni specializzate della società civile, delle università e dei centri di ricerca italiani nei Paesi in via di sviluppo. Tutti i 22 Paesi prioritari della cooperazione italiana hanno beneficiato o stanno ancora beneficiando di programmi del Fondo globale;

    in data 25 giugno 2019 si è svolto l'incontro della vice ministra Emanuela C. Del Re con Peter Sands, direttore esecutivo del Fondo globale per la lotta ad Aids, tubercolosi e malaria. Durante l'incontro Sands ha illustrato l'analisi realizzata dal Fondo globale a sostegno della campagna di rifinanziamento in vista della quinta conferenza di rifinanziamento che si terrà ad ottobre 2019 a Lione. L'obiettivo è un incremento del 15 per cento rispetto alla Quinta conferenza di rifinanziamento del 2016 di Montréal, a cui si aggiungeranno 46 miliardi di dollari di finanziamenti nazionali da parte dei Paesi in via di sviluppo implementatori;

    Sands ha sottolineato inoltre che porre fine alle epidemie di Aids, Tbc e malaria entro il 2030 è uno degli scopi del 3° obiettivo di sviluppo sostenibile dell'Agenda 2030 sottoscritta da 193 Governi nel 2015 in ambito Onu. È emerso, nella stessa giornata in una conferenza al Senato, che ogni giorno quasi 1.000 ragazze e giovani donne vengono contagiate dall'Hiv ed il numero di bambini che muoiono per la malaria è ancora altissimo. Il sostegno che l'Italia ha dimostrato nei confronti del Fondo globale ha permesso enormi passi in avanti nella lotta contro le discriminazioni che ha portato e porterà a benefìci per l'intera umanità;

    grazie a maggiori investimenti, scoperte scientifiche, riduzione dei costi e un migliore know how sono stati raggiunti importanti successi. La diffusione dell'Hiv ha iniziato a rallentare e l'incidenza della Tbc e della malaria è diminuita. Nel 2017 si sono registrati 940.000 decessi per cause correlate all'Aids, in diminuzione rispetto a 1,4 milioni del 2010 e 1,9 milioni del 2004. Circa 54 milioni di persone sono state salvate tra il 2000 e il 2017 grazie alla diagnosi e alla cura della Tbc. Infine, il numero dei decessi nel mondo a causa della malaria è sceso a 435.000, mentre nel 2016 se ne registravano 451.000 e 607.000 nel 2010;

    le tre epidemie continuano, tuttavia, a imporre un tributo devastante in termini di vite umane ed i notevoli progressi potrebbero rallentare a causa dell'insufficienza dei finanziamenti, nonché all'aumento della resistenza a insetticidi e farmaci. Pertanto, senza un incremento degli investimenti vi è il concreto rischio di assistere nei prossimi anni ad una recrudescenza di Aids, Tbc e malaria;

    a livello globale le malattie correlate all'Aids rimangono comunque la causa principale di morte per le donne di età compresa fra 15 e 49 anni; il 66 per cento delle nuove infezioni fra persone di 10-19 anni colpisce il sesso femminile, questa percentuale sale al 79 per cento nell'Africa orientale e meridionale; la tubercolosi multiresistente ai farmaci (Mdr-Tb) è in aumento, con circa 600.000 persone colpite in tutto il mondo nel 2017. Inoltre, solo il 25 per cento delle infezioni dovute a tale forma di Tbc, la cui terapia è molto più costosa e prolungata, è diagnosticato e curato e le percentuali di successo rimangono comunque più basse rispetto alla Tbc farmaco-sensibile. L'aumento della tubercolosi multiresistente rappresenta, pertanto, una crescente minaccia alla sicurezza sanitaria globale. Infine, sebbene i casi di malaria siano diminuiti di 20 milioni dal 2010 al 2017, l'Organizzazione mondiale della sanità, Oms, ha sottolineato come i dati relativi al triennio 2015-2017 evidenzino la mancanza di progressi significativi nella riduzione dei casi di malaria a livello globale,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per un aumento del contributo italiano in linea con l'obiettivo del Fondo, al fine di assicurare una continuità con l'impegno degli anni precedenti e un riconoscimento internazionale all'Italia, soprattutto in considerazione della compatibilità con l'attuale dinamica di stanziamenti della cooperazione italiana;

2) a riconfermare con fermezza la necessità di rafforzamento dei sistemi sanitari dei Paesi sottosviluppati più poveri al fine di poter giungere ad una sicurezza sanitaria globale, in particolare, attraverso iniziative di cooperazione allo sviluppo volte a sostenere:

   a) il processo di attuazione della copertura sanitaria universale (Uhc) e lo sforzo globale volto a sviluppare sistemi sanitari resilienti, contribuendo a rafforzare il ruolo delle comunità locali nell'erogazione dei servizi sanitari;

   b) tutte le azioni volte a ridurre ed eliminare le discriminazioni di genere e la violenza contro le donne, adolescenti e bambine, impegnandosi nel contrasto di abusi e pratiche altamente lesive della loro incolumità fisica, quali le mutilazioni genitali femminili e i matrimoni forzati o precoci.
(1-00238) «Sabrina De Carlo, Suriano, Ehm, Di Stasio, Olgiati, Cabras, Siragusa, Cappellani, Carelli, Colletti, Del Grosso, Emiliozzi, Perconti, Romaniello».

Risoluzione in Commissione:


   La XII e XIII Commissione,

   premesso che:

    il settore agroalimentare è ormai da tempo impegnato in una sfida globale che non riguarda soltanto la capacità di approvvigionamento ma anche e soprattutto la domanda di qualità e sanità della produzione;

    i consumatori, nell'acquistare gli alimenti, chiedono trasparenza e garanzia e tale esigenza richiama le aziende a precise responsabilità riguardo alla gestione dell'informazione in etichetta;

    per alcuni alimenti, in particolare per la carne, la tracciabilità risponde non solo all'esigenza di trasparenza come processo senza soluzione di continuità a partire dal campo e dall'allevamento, ma è memoria di tutto ciò che può diventare elemento di valorizzazione e pregio del prodotto;

    con riferimento al settore zootecnico il rispetto dei requisiti sanitari e di benessere animale, in misura superiore rispetto a quanto già previsto per legge, conferisce un valore aggiunto al prodotto e trasforma la tracciabilità da strumento di conoscenza per i consumatori a vero e proprio marchio di qualità del prodotto;

    l'elaborazione di sistemi in grado di garantire la qualità impegna gli operatori della filiera zootecnica ad innovare continuamente attraverso la razionalizzazione dei processi e la ricerca di soluzioni capaci di assicurare le migliori condizioni di vita negli allevamenti intensivi, il minor impatto ambientale e la più alta fiducia dei consumatori rispetto a quello che mangiano;

    con riferimento alla sanità pubblica veterinaria eccellenti risultati sono già stati conseguiti attraverso alcuni progetti sperimentali e in particolare nell'ambito del sistema «ClassyFarm» promosso dal Ministero della salute e da alcuni istituti zooprofilattici finalizzato alla categorizzazione dell'allevamento in base al rischio;

    la sostenibilità economica delle produzioni di origine animale richiede una riqualificazione delle tecniche di allevamento che può realizzarsi anche attraverso gli strumenti di sostegno previsti nei programmi di sviluppo rurale quali i pagamenti ecosistemici a fronte di impegni che garantiscono una riduzione dell'uso dei farmaci e dell'emissione di azoto e ammoniaca nell'ambiente;

    appare infatti preferibile mantenere inalterato il livello delle norme cogenti e perseguire l'innalzamento degli standard attuando politiche di incentivazione a cui gli allevatori possono aderire;

    è pertanto indispensabile individuare uno standard volontario certificabile per la valutazione del benessere animale al fine di evitare il moltiplicarsi di regole e procedure tra le aziende e di consentire agli operatori che vi aderiscono di poter valorizzare le procedure di allevamento, trasporto e macellazione attraverso un apposito segno distintivo;

    nel pacchetto legislativo per la Pac post 2020 adottato nel 2018 dall'esecutivo comunitario, la Commissione europea raccomanda di andare oltre i requisiti minimi di legge stabiliti dalla normativa unionale e dalle legislazioni nazionali in fatto di benessere animale, anche al fine di migliorare la risposta dell'agricoltura europea ad una opinione pubblica che chiede alimenti sicuri e sostenibili ottenuti con pratiche rispettose degli animali allevati,

impegnano il Governo:

   a definire un sistema di qualità nazionale a cui gli allevatori possano aderire volontariamente basato sul rispetto di norme tecniche stabilite, armonizzando l'insieme dei requisiti sanitari e di benessere animale collegati agli aspetti zootecnici e produttivi, con riferimento agli animali destinati alla produzione alimentare, distinto per specie, razza, orientamento produttivo e metodo di allevamento;

   ad includere il sistema «ClassyFarm» nel sistema di qualità nazionale per quanto riguarda i requisiti legati alla sanità animale;

   a definire uno specifico segno distintivo per identificare i prodotti conformi al sistema di qualità nazionale di cui al precedente impegno e, compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili, ad avviare campagne di comunicazione finalizzate a promuovere tale segno distintivo;

   al fine del controllo dell'insieme dei requisiti stabiliti per l'adesione al sistema di qualità in parola, ad assumere iniziative per riconoscere forme di certificazione garantite dal rilascio di accreditamento in conformità al regolamento (CE) 765/2008;

   nel rispetto delle prerogative regionali, ad indirizzare opportunamente gli strumenti finanziari messi a disposizione dalla Politica agricola comune, già a partire dall'attuale programmazione 2014-2020, al sostegno degli allevatori che decidono di aderire al sistema di qualità nazionale in parola;

   ad istituire, nel più breve tempo possibile, la banca dati unica zootecnica di cui all'articolo 4, comma 5, del decreto legislativo 11 maggio 2018, n. 52, con l'obiettivo di rendere fruibili, per i soggetti abilitati, tutti i dati a carattere sanitario e zootecnico disponibili, al fine di sviluppare un servizio di consulenza aziendale, qualificato e capillare;

   nel rispetto delle prerogative regionali, ad accelerare l'attuazione della misura «Consulenza aziendale», già prevista nell'ambito dei Programmi di sviluppo rurale, in modo da rendere disponibile un servizio di assistenza tecnica qualificato e all'altezza delle aspettative degli allevatori.
(7-00304) «Cillis, Sarli, Parentela, Del Sesto, Cadeddu, Gallinella, Maglione, Alberto Manca, Marzana, Gagnarli, Pignatone, Cassese».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   DALL'OSSO, VERSACE, BOND e RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro per la famiglia e le disabilità, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   barriera architettonica è un qualunque elemento costruttivo che impedisca, limiti o renda difficoltosi gli spostamenti o la fruizione di servizi;

   un elemento che non costituisca barriera architettonica per un individuo può invece essere di ostacolo per un altro;

   la legge quadro italiana che tratta il problema dell'accessibilità è la legge n. 13 del 1989, che stabilisce i termini e le modalità in cui deve essere garantita l'accessibilità ai vari ambienti, con particolare attenzione ai luoghi pubblici;

   devono essere garantite l'accessibilità, la visitabilità e l'adattabilità, come specificato dal decreto ministeriale n. 236 del 1989, che stabilisce anche, per gli edifici e gli spazi privati, i parametri tecnici e dimensionali correlati al raggiungimento dei tre livelli di qualità sopra riportati;

   i Piani per l'eliminazione delle barriere architettoniche (articolo 32, comma 21, della legge n. 41 del 1986 e articolo 24, comma 9, della legge n. 104 del 1992) sono uno strumento che ha la finalità di conoscenza delle situazioni di impedimento, rischio e ostacolo per la fruizione di edifici e spazi pubblici e rappresentano il punto di partenza per la redazione di Piani pluriennali di abbattimento delle barriere architettoniche;

   i disabili in Italia sono circa 4 milioni e nell'ultimo rapporto delle Nazioni Unite, l'Onu sostiene che l'Italia non è un Paese a misura di disabile a causa di fondi scarsi, del «clima» discriminatorio e soprattutto delle barriere architettoniche;

   la strategia europea sulla disabilità 2010-2020, proposta dalla Commissione europea, interviene in alcuni settori prioritari tra cui l'uguaglianza, l'occupazione, la salute e l'accessibilità –:

   come stia operando il Governo al fine di garantire una vita più agevole alle persone disabili;

   quali iniziative abbia intrapreso il Governo e quali intenda porre in essere, anche in vista della presentazione del disegno di legge di bilancio, per favorire hic et nunc l'abbattimento delle barriere almeno nei luoghi istituzionali, aperti al pubblico e nel settore dei trasporti;

   se il Governo abbia intenzione di adottare iniziative per rendere più rigorose le sanzioni per coloro i quali non garantiscano la fruizione dei servizi anche alle persone con disabilità e nel caso positivo, con quali tempistiche;

   se il Governo abbia valutato la possibilità di essere promotore di un progetto europeo condiviso a tutela dei disabili e se la stessa trasversalità possa essere creata anche in ambito nazionale con un gruppo di lavoro ad hoc aperto alle associazioni maggiormente rappresentative senza alcun onere aggiuntivo da parte dello Stato.
(3-00945)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARCO DI MAIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   in data 23 luglio 2019 è stata raggiunta una importante intesa tra la regione Emilia-Romagna e le parti sociali in merito al sostegno al reddito in favore dei lavoratori, dipendenti e autonomi del settore privato, anche agricolo, colpiti nelle loro attività a seguito della criticità che ha riguardato il viadotto Puleto e della conseguente chiusura della superstrada E45;

   l'accordo raggiunto interessa i lavoratori dei comprensori di Bagno di Romagna, Cesena, Mercato Saraceno, Montiano, Sarsina, Verghereto, Roncofreddo, Sogliano al Rubicone e Sant'Agata Feltria e stabilisce la gestione delle indennità, che potranno coprire periodi di sospensione dalla attività lavorativa, anche non continuativi, tra il 16 gennaio e il 15 luglio 2019;

   tuttavia, occorre che il Governo provveda in tempi rapidi allo sblocco del complesso iter burocratico, considerato che non ha ancora provveduto neppure alla ripartizione delle risorse tra le regioni Emilia-Romagna, Umbria e Toscana interessate, appunto, dalle ripercussioni economiche negative dovute alla chiusura della E45;

   ulteriori attese per ragioni burocratiche aggraverebbero le già pesanti ricadute economiche e sociali che in questi mesi si sono abbattute sulle comunità locali, sui lavoratori e sul tessuto economico dei territori interessati –:

   in considerazione dell'importante intesa raggiunta in Emilia-Romagna, quali siano i tempi di emanazione del provvedimento di riparto delle risorse di cui all'articolo 40 del decreto-legge n. 34 del 2019 nonché della definizione dei criteri applicativi al fine di erogare rapidamente le misure di sostegno al reddito per i lavoratori, dipendenti e autonomi, del settore privato colpiti dalla chiusura del viadotto «Puleto» sulla E45.
(5-02666)


   PAITA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il decreto-legge n. 32 del 2019, il cosiddetto decreto «sblocca cantieri», convertito dalla legge n. 55 del 2019 all'articolo 4, comma 12-octies, prevede che «Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con il presidente della Giunta regionale della Liguria, nomina, con proprio decreto e senza oneri per la finanza pubblica, il Commissario straordinario per il completamento dei lavori del Nodo ferroviario di Genova e del collegamento dell'ultimo miglio tra il Terzo Valico dei Giovi e il Porto storico di Genova, in deroga alla procedura vigente»;

   suddetta legge è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 14 giugno 2019;

   sulla stampa si è appreso che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con la regione Liguria avrebbe deciso di proporre alla Presidenza del Consiglio, per la nomina di commissario ai sensi della richiamata norma l'ingegner Marco Rettighieri, già commissario e attualmente presidente del consorzio Cociv, e che dal mese di febbraio 2019 ricopre anche il ruolo di responsabile dell'attuazione del «Programma straordinario di investimenti urgenti» per la ripresa e lo sviluppo del porto di Genova;

   nonostante gli annunci e il termine trascorso dei 30 giorni previsti per legge, ad oggi non risulta essere stato emanato il suddetto decreto di nomina a commissario –:

   quali siano le ragioni della mancata emanazione del previsto decreto di nomina e quali iniziative il Governo intenda assumere, con la massima urgenza, affinché si proceda tempestivamente a nominare il commissario in considerazione della rilevanza dei lavori per il completamento dei lavori del nodo ferroviario di Genova e del collegamento dell'ultimo miglio tra il Terzo Valico dei Giovi e il Porto storico di Genova e affinché non si accumulino ulteriori ritardi per opere così strategiche per il sistema infrastrutturale nazionale.
(5-02675)


   FIANO, BOSCHI, MARCO DI MAIO, MORANI e ROTTA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   da un video circolato sul web si è appreso che una moto d'acqua della polizia di Stato sarebbe stata utilizzata per scopi ludici da un familiare del Ministro dell'interno, sembrerebbe su richiesta di quest'ultimo che si trovava in vacanza a Milano Marittima, anziché essere impiegata per attività volte a garantire la sicurezza nazionale e, nel caso, quella specifica del Ministro medesimo;

   così facendo, il Ministro, ad avviso degli interroganti, ha esposto gli uomini in divisa, che quotidianamente mettono a repentaglio la propria vita per garantire la sicurezza dei cittadini – e che tendenzialmente non possono che accettare le sue richieste – ad un accertamento per un eventuale utilizzo improprio dei mezzi dell'amministrazione che sono stati impiegati per attività di intrattenimento ludico, e con un conseguente rischio per l'incolumità degli agenti e dei familiari del Ministro;

   inoltre, alcune persone – che nel video non si sono identificate – sono intervenute chiedendo prima un documento al reporter che stava riprendendo la scena e, successivamente, cercando di impedirgli di riprendere le immagini, nonostante si trovasse su una spiaggia aperta al pubblico –:

   anche in qualità di garante dell'unità politico-amministrativa del Governo, se ritenga che i fatti riportati in premessa configurino un uso improprio dei mezzi dell'amministrazione, chi siano le persone non identificate, intervenute nel tentativo di impedire al reporter di effettuare le riprese, e sulla base di quale normativa si sarebbe cercato impedire le riprese al giornalista, peraltro identificatosi.
(5-02676)


   INCERTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   la figura della consigliera di parità è disciplinata dal codice delle pari opportunità di cui al decreto legislativo n. 198 del 2006, dal decreto legislativo n. 5 del 2010 (che ha recepito la direttiva europea 2006/54/CE) e dal decreto 80/2015;

   la norma prevede tre figure di consigliera di parità, diverse per bacino di intervento e non legate da rapporti gerarchici: la consigliera regionale di parità, la consigliera provinciale di parità e la consigliera nazionale di parità, operante presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali;

   la consigliera di parità è una professionalità esperta di mercato del lavoro, pari opportunità e politiche di genere che riveste un ruolo istituzionale con funzioni di promozione, vigilanza e controllo sui temi delle pari opportunità e antidiscriminazione nel mercato del lavoro dell'ambito territoriale di riferimento;

   la consigliera regionale e quella provinciale hanno sede, rispettivamente, nell'ente regione e nell'ente provincia, ma non sono dipendenti dell'ente stesso e il loro ambito di competenza non è l'amministrazione, ma l'intero territorio di riferimento;

   le consigliere di parità sono nominate, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per le pari opportunità, su designazione delle regioni e delle province, sentite le commissioni rispettivamente regionali e provinciali tripartite di cui agli articoli 4 e 6 del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469;

   nell'esercizio delle proprie funzioni, la consigliera è un pubblico ufficiale con obbligo di segnalazione all'autorità giudiziaria dei reati di cui viene a conoscenza, trattandosi di un organismo di garanzia e vigilanza per quanto riguarda il rispetto della legislazione di parità;

   il 3 luglio 2019 la Conferenza unificata, Stato-regioni e autonomie locali, ha deliberato circa la determinazione dei criteri di attribuzione delle indennità mensili alle consigliere di parità regionali, delle città metropolitane e delle province;

   con la legge n. 56 del 7 aprile 2014 «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni» alle amministrazioni locali presso cui le consigliere sono incardinate è attribuito il compito di stanziare dal proprio bilancio i fondi per pagare le indennità e il funzionamento dell'ufficio, nonostante sia la Conferenza unificata stato regioni ed enti locali a deliberare l'ammontare massimo dell'indennità mensile secondo quanto previsto dall'articolo 18 del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, che istituisce il «Fondo per l'attività delle consigliere e dei consiglieri di parità»;

   dopo le continue proteste della «Rete nazionale delle consigliere dei consiglieri di parità» (articolo 18 del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198) circa l'irrisorietà della cifra da due anni prevista a tale scopo (68 euro lordi mensili), nell'ultima seduta di luglio 2019, tali importi sono stati rivisti, portando a 780 euro mensili lordi l'indennità delle consigliere regionali, ma lasciando a 68 euro mensili lordi quella delle provinciali;

   questa decisione, ad avviso dell'interrogante, appare quantomeno incomprensibile, considerando che le due figure (regionale e provinciale) hanno pressoché gli stessi compiti, nonché illegittima, perché discriminatoria: in Italia è infatti vietato retribuire diversamente persone che svolgono le stesse mansioni –:

   se il Governo sia a conoscenza della situazione e in che modo intenda adoperarsi affinché le norme introdotte dal decreto legislativo n. 198 del 2006, dal decreto legislativo 2010 (che ha recepito la direttiva europea 2006/54/CE) e dal decreto n. 80 del 2015 siano attuate concretamente, mettendo le consigliere di pari opportunità nelle condizionale di svolgere con dignità il loro mandato e le loro funzioni.
(5-02678)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PEZZOPANE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   in base a quanto previsto dal decreto-legge n. 32 del 2019, cosiddetto sbloccacantieri, convertito dalla legge n. 55 del 17 giugno 2019 il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e sentito il presidente della regione Abruzzo, avrebbe dovuto procedere, entro il 3 luglio 2019, alla nomina del commissario straordinario per la messa in sicurezza dell'acquifero del Gran Sasso;

   ad oggi della nomina del commissario di cui sopra non vi è traccia;

   si era addirittura arrivati a ipotizzare la chiusura del traforo autostradale del Gran Sasso per la enorme criticità della situazione ambientale;

   si tratta di un ambito acquifero che rifornisce 700.000 abruzzesi;

   l'osservatorio indipendente sull'acqua del Gran Sasso, promosso dalle associazioni Wwf, Legambiente, Mountain Wilderness, ARCI, ProNatura, Cittadinanzattiva, Guardie ambientali d'Italia-Gadit, Fiab, Cai e Italia Nostra, pur non essendo pregiudizialmente contrario, ha più volte ribadito fondate critiche all'emendamento governativo che ha introdotto la nomina di questo nuovo commissario, a partire dalla mancanza di garanzie sugli effettivi poteri, su una dotazione finanziaria inadeguata e insufficiente rispetto gestione del rischio nel sistema idrico del Gran Sasso;

   è altresì noto che, nonostante la previsione normativa, non risulta esservi alcun impegno in merito all'allontanamento delle sostanze pericolose stoccate all'interno dei laboratori dell'Istituto nazionale di fisica nucleare;

   questo ritardo aumenta ulteriormente le preoccupazioni circa la reale presenza di un piano di soluzione del problema in questione che ha una rilevanza nazionale –:

   quali siano le ragioni del ritardo e quali iniziative intenda conseguentemente assumere per rendere operativa la norma di cui in premessa e assicurare al territorio un programma di interventi per mettere in sicurezza l'acquifero del Gran Sasso con il pieno coinvolgimento delle istituzioni locali e del mondo associativo.
(4-03478)


   SURIANO, EMILIOZZI, ALAIMO, SARLI, TROIANO e GRIPPA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   la Commissione per le adozioni internazionali (Cai) è stata istituita nel 1998 allo scopo di vigilare e verificare il corretto procedimento di adozione internazionale e il suo funzionamento e le sue relative competenze sono normate dalla legge n. 184 del 1983, articolo 38, del decreto-legge n. 181 del 2006 (articolo 1, comma 19-quinquies) e del decreto del Presidente della Repubblica n. 108 del 2007;

   la Cai svolge dei compiti fondamentali, poiché collabora con le autorità centrali degli altri Stati per l'attuazione delle convenzioni internazionali in materia di adozione, propone al Governo la stipulazione di accordi bilaterali, autorizza gli enti preposti alle adozioni verificandone i requisiti di legge richiesti, custodisce e pubblica l'albo di tali enti autorizzati, valuta nei singoli casi il superiore interesse del minore e autorizza l'ingresso nel nostro Paese dei minori adottati o affidati a scopo di adozione;

   in particolare, l'articolo 4 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 108 del 2007 prevede la composizione della stessa commissione secondo uno schema ben definito in modo tale che i commissari scelti rappresentino la Presidenza del Consiglio, i 7 Ministeri competenti, la Conferenza unificata. In aggiunta a tali figure istituzionali è prevista anche la presenza di 3 esperti e di 3 rappresentanti delle associazioni a carattere nazionale;

   secondo la cronologia dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di nomina dei commissari, ci sono ancora delle posizioni vacanti nell'organigramma della Commissione e questa è una situazione che purtroppo persiste nel tempo e che stenta a essere regolarizzata. A quanto risulta agli interroganti, restano da nominare ad oggi un componente per la Presidenza del Consiglio dei ministri, uno per il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, due per l'Anci e Upi e uno per le regioni;

   tali nomine risultano essere vacanti almeno dal 2015, ma la forte rilevanza anche sul piano internazionale di tale Commissione necessita di un indirizzo ben preciso proveniente da tutti gli enti territoriali e dai dicasteri coinvolti, comprese ad esempio le linee guida e la programmazione specifica per i minori adottati in tema di pubblica istruzione –:

   se il Governo intenda adottare le iniziative di competenza per procedere al completamento delle nomine dei commissari, chiedendo anche alla Conferenza unificata di comunicare i propri rappresentanti, al fine di dare piena operatività all'intera Commissione e ottemperare alle finalità della Convenzione sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale;

   se la Presidenza del Consiglio dei ministri sia in possesso del report aggiornato a tutto il 2018 delle statistiche e dei fascicoli relativi alle adozioni in corso.
(4-03488)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   il Jcpoa è l'accordo nucleare stipulato nel 2015 dai membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'Onu più la Germania e l'Unione europea con l'Iran, nato con l'obiettivo di limitare il programma di ricerca nucleare di Teheran, offrendo in cambio una revoca delle sanzioni imposte dal Consiglio di sicurezza. Tuttavia, l'uscita dal Jcpoa degli Stati Uniti nel 2018 e la conseguente reintroduzione delle sanzioni hanno reso questo accordo vulnerabile e hanno accentuato le tensioni tra Stati Uniti ed Iran;

   le sanzioni primarie hanno impedito alle società americane qualunque tipo di commercio con società iraniane, ma soprattutto le sanzioni secondarie – che consistono nel negare l'accesso al mercato statunitense a soggetti di Paesi terzi che conducono attività commerciali o finanziarie con la Repubblica Islamica e nel congelare o sequestrare i fondi di aziende che abbiano filiali o siano presenti negli Stati Uniti e che intrattengono scambi con l'Iran – hanno fatto in modo che molte aziende internazionali abbiano interrotto ogni rapporto commerciale con l'Iran per il timore di restare esclusi dal mercato Usa;

   nel mese scorso, l'Unione europea ha annunciato la messa a punto del Instrument in Support of Trade Exchanges (Instex), ovvero un meccanismo di scambio di beni tra aziende europee ed iraniane senza il ricorso a transazioni finanziarie e che opera al di fuori del sistema di pagamenti internazionali Swift dominato dal dollaro americano;

   la Francia, la Germania e il Regno Unito hanno giocato un ruolo attivo e di primo piano nella messa a punto del meccanismo;

   nella prima fase, Instex provvederà ad attuare quanto già deciso dalla Corte internazionale di giustizia il 3 ottobre 2018, ovvero vendere i beni «umanitari» (cibo, prodotti agricoli, medicinali e dispositivi medici), gestendone i relativi flussi finanziari. Successivamente, questo sistema di pagamento potrebbe essere utilizzato anche per gli altri scambi commerciali e potrebbe essere importante soprattutto per le le piccole o medie imprese, poco esposte agli interessi economici con gli Usa;

   secondo i dati Eurostat nel 2016, il primo anno in cui l'accordo Jcpoa ha consentito alle imprese internazionali di riallacciare i rapporti con l'Iran, sono state 640 le imprese italiane importatrici e ben 4.943 quelle esportatrici di prodotti dal Paese mediorientale: rispettivamente, un aumento del 16,7 per cento e del 17,4 per cento rispetto all'anno precedente. In particolare l’export di macchinari, apparecchiature elettriche e prodotti chimici ha contato nel 2017 per circa il 69,5 per cento delle esportazioni italiane verso l'Iran. Un valore totale, secondo i dati Istat elaborati dalla Farnesina, di oltre 1 miliardo e 734 milioni di euro e in crescita rispetto al 2016 di circa il 12,3 per cento –:

   quale sia la posizione del Governo in merito al meccanismo Instex.
(5-02672)


   QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   il 19 luglio 2019, nello stretto di Hormuz, le Guardie della Rivoluzione iraniane hanno sequestrato una petroliera britannica con 23 uomini di equipaggio, la Stena Impero della società Stena Bulk, parrebbe, dopo il rifiuto della stessa ad una richiesta di ispezione, per ragioni di sicurezza;

   il Ministro degli esteri britannico, Jeremy Hunt, ha chiesto a Teheran di interrompere il sequestro «illegale» della nave, minacciando azioni di ritorsione nei confronti dell'Iran;

   l'episodio si inserisce in un quadro di instabilità crescente in Medio Oriente, in particolare nell'area di Hormuz e del Golfo Persico, confine naturale che divide i due principali rivali nella regione mediorientale, l'Iran e l'Arabia Saudita. E si inserisce altresì nello schema conflittuale tra l'amministrazione Trump e l'Iran;

   la Gran Bretagna ha annunciato una missione per la libera navigazione dello Stretto di Hormuz e gli Stati Uniti hanno formalmente chiesto alla Germania di partecipare alla missione, insieme a Francia e Regno Unito, ma, per il momento, il Ministro della difesa tedesco ha soprasseduto, chiedendo che si faccia una analisi «molto concreta della situazione e relativamente a tutti i punti», e che si chiarisca in che cosa la missione esattamente consista;

   la possibilità di una missione navale multinazionale, con il coinvolgimento di Paesi dell'Unione europea e della regione, nello Stretto di Hormuz, è stata discussa al Comitato politico e di sicurezza dell'Unione (Cops), dove, parrebbe che alcuni Stati europei tra cui Italia, Francia, Danimarca e Paesi Bassi abbiano sostenuto l'idea di organizzare la missione di pattugliamento per assicurare la libertà di navigazione nell'area;

   il capo di Stato maggiore della Marina militare, l'ammiraglio di squadra Cavo Dragone, ha dichiarato che il coinvolgimento italiano non è da escludere per interessi, mezzi ed esperienza. Con la missione Atalanta, «abbiamo un'unità navale per sei mesi all'anno nell'area limitrofa. Se richiesto, potrebbe agire a doppio cappello e dare una mano al pattugliamento qualora il governo ne ravveda la necessità». Da sempre, lo Stretto di Hormuz «è un crogiolo di attività e un'area di estremo interesse strategico per l'Italia, e infatti ci siamo già stati tante volte»;

   per ora il Governo italiano non si è espresso ufficialmente sulla questione –:

   se la Gran Bretagna o gli Stati Uniti abbiano chiesto ufficialmente all'Italia di partecipare alla missione di pattugliamento dell'area e, in tal caso, quale sia la posizione del Governo al riguardo.
(5-02674)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARTINCIGLIO, CANCELLERI, D'ORSO, CASA, SCERRA e DAVIDE AIELLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   nel territorio agrigentino – in particolare in quello racalmutese e paesi limitrofi – il tasso di incidenza tumorale è in forte aumento, con registrazione di casi «atipici»;

   in particolare, la recrudescenza delle malattie di tipo oncologico e genetico che da qualche tempo si manifesta in molte cittadine del comprensorio minerario della provincia di Agrigento – che da Cattolica Eraclea arriva fin sotto monte Cammarata e da lì raggiunge e supera l'altipiano di Racalmuto interessando al suo passaggio le città di Agrigento, Favara, Aragona, Comitini e, risalendo da Ravanusa, scende fino al mare di Licata, interessando numerosi siti anche delle provincie di Caltanissetta ed Enna – confermerebbe la gravità del danno per la salute pubblica dovuto all'esistenza dei siti minerari dismessi;

   secondo i medici, l'incremento della patologia potrebbe, infatti, essere ricondotto all'esistenza di discariche abusive, allo scorretto smaltimento dei rifiuti nonché alla presenza di miniere all'interno delle quali parrebbe siano stati stoccati, già da tempo, rifiuti tossici di vario tipo, ivi incluse scorie radioattive;

   in particolare, il censimento dei siti minerari dismessi realizzato da Apat (oggi Ispra) ex articolo 22, comma 1, della legge n. 179 del 2002 rileverebbe l'esistenza di 3.006 siti minerari dismessi appartenenti a tutte le regioni italiane, di cui ben 761 sarebbero presenti in Sicilia che, per l'effetto, risulta la prima regione «mineraria» d'Italia, seguita con notevole stacco da Sardegna (con 438), Toscana (con 413) e Piemonte (con 378 siti);

   l'inventario nazionale redatto ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 117 del 2008 – contenente l'elenco delle strutture di deposito dei rifiuti di estrazione chiuse o abbandonate «che hanno gravi ripercussioni negative sull'ambiente o che, a breve o medio termine, possono rappresentare una grave minaccia per la salute umana o l'ambiente» – rivelerebbe l'esistenza di ben 209 siti che concorrono a elevare il rischio per la salute dei cittadini;

   secondo i dati disponibili si evincerebbe che i molti siti dismessi presenti nella provincia di Agrigento sarebbero tutti contrassegnati da un indice di pericolosità medio e medio alto, con evidente pregiudizio per la salute dei cittadini;

   a ciò si aggiunga che nella stessa tabella non sarebbero indicati i siti ove giacciono da decenni migliaia di tonnellate di materiale di scavo meglio conosciuto come «rosticcio di miniera» abbandonato a cielo aperto, il cui carico inquinante non è mai stato compiutamente indagato;

   neanche il «registro dei tumori» sembrerebbe, quantomeno allo stato attuale, in grado di registrare l'entità dei problemi legati all'inquinamento ambientale, specificatamente ai problemi sopra indicati;

   la preoccupante mancanza di attenzione che, ad avviso dell'interrogante, l'attuale amministrazione regionale siciliana presta alla gestione e allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani il cui abbandono acuisce i gravissimi problemi ambientali dei territori suggerirebbe un sollecito intervento governativo –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione descritta in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intendano intraprendere per salvaguardare la salute dei cittadini e la salubrità dell'ambiente;

   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ritenga opportuno adottare iniziative, per quanto di competenza e con il coinvolgimento delle autonomie territoriali interessate, per favorire la messa in sicurezza e la riparazione del danno ambientale nei territori afferenti le miniere dismesse, con la predisposizione di piani per il monitoraggio ambientale – in particolare relativo alle analisi chimiche e radioattive – delle acque di falda e dei terreni della provincia agrigentina che allo stato attuale potrebbero essere inquinati molto pesantemente;

   se il Ministro della salute ritenga opportuno adottare iniziative volte a emanare nuove direttive circa la redazione del «registro dei tumori», al fine di rivelare correttamente l'entità dei problemi legati all'inquinamento ambientale, con particolare riguardo a quelli sopra indicati.
(5-02668)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   negli anni si sono susseguite numerose denunce a partire da quella presentata dall'associazione licatese «A testa alta» e risalente al dicembre 2013;

   l'interrogante ha già presentato, durante la XVII legislatura, l'interrogazione a risposta scritta n. 4-07211 con la quale si chiedeva all'allora Governo di intervenire su una discarica abusiva presente a Licata, in provincia di Agrigento;

   nonostante gli appelli e l'interesse dei media, l'area demaniale compresa tra la sponda destra della foce del fiume Salso e il porto turistico «Marina di Cala del Sole» continua a essere luogo di abbandono abituale di ingenti quantitativi di manufatti in Eternit e di altri rifiuti speciali pericolosi e nocivi per la salute e l'ambiente, con conseguente pericolo per la salute pubblica;

   a quanto risulta all'interrogante, in questi anni non sarebbe stato posto in essere alcun intervento di rimozione dei rifiuti e di ripristino ambientale né sarebbero state adottate misure volte a impedire la reiterazione degli scarichi di abbandoni abusivi;

   l'area è ancora priva finanche di una recinzione, un cancello ed è lasciata aperta a chiunque volesse entrarvi per sversare, in pieno centro abitato, rifiuti nocivi per la salute pubblica, lasciandoli a diretto contatto con il terreno, esposti agli agenti atmosferici, con conseguente inquinamento del suolo e delle falde acquifere sottostanti;

   la foce del fiume Salso si trova piena di cumuli di rifiuti di ogni genere e, in particolare, oli esausti, vernici, piastrelle rotte, una quantità enorme di amianto in frantumi, sfaldato e polverizzato, guaine di cavi elettrici, pneumatici fuori uso, siringhe intrise di sangue;

   tale discarica a cielo aperto confinerebbe non solo con il porto turistico ma anche con un edificio scolastico, il comando di polizia municipale e le caserme dei vigili del fuoco, dei carabinieri e della Guardia di finanza;

   l'associazione licatese «A testa alta» il 30 luglio 2019 ha diffidato l'assessorato regionale del territorio e dell'ambiente alla rimozione e smaltimento nei termini di legge dei rifiuti abbandonati nell'area in questione, al ripristino delle normali condizioni igienico-sanitarie e ambientali, all'avvio delle procedure operative e amministrative previste dall'articolo 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e all'adozione delle misure volte ad impedire la reiterazione degli scarichi di abbandoni abusivi ad opera di ignoti, con particolare riferimento alla realizzazione di idonea recinzione;

   secondo la stessa associazione, infatti, a seguito dell'intervenuta decadenza dalla concessione demaniale marittima, dichiarata con decreto del dirigente generale n. 470 del 16 giugno 2014, i conseguenziali obblighi di custodia e vigilanza dell'area spetterebbero all'assessorato regionale del territorio e dell'ambiente;

   l'atto di diffida è stato inviato per conoscenza anche al nucleo operativo ecologico dei carabinieri di Palermo e ai carabinieri di Licata per l'accertamento di eventuali responsabilità penali ai sensi dell'articolo 328, secondo comma, del codice penale –:

   se e quali iniziative di competenza siano state messe in opera o si intendano assumere per verificare l'eventuale inquinamento del suolo alla foce del fiume Salso e delle falde acquifere del fiume stesso, anche per il tramite del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente.
(4-03483)


   GIANNONE, CUNIAL e BENEDETTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   nelle ultime settimane le campagne salentine sono state flagellate da incendi e roghi devastanti. Il 27 giugno 2019 le fiamme si sono sviluppate nel territorio di San Pietro Vernotico, Torchiarolo e Porto Badisco, dove non solo hanno distrutto ettari di ulivi secolari, con più di cento alberi travolti dall'ondata di fuoco, ma addirittura hanno lambito abitazioni e autovetture;

   sono almeno duecento poi gli ulivi carbonizzati nella zona di Tricase, ai quali (aggiungere gruppi di altri quaranta-cinquanta fra Ugento, Lecce ed altri punti della provincia;

   a Gallipoli nel Parco naturale di Punta Pizzo, un corpo carbonizzato è stato ritrovato dai vigili del fuoco dopo lo spegnimento del terzo incendio sviluppatosi nella zona. Il rogo è partito dalla litoranea vicino ad un parcheggio abusivo, sequestrato anni fa alla criminalità organizzata;

   la vegetazione distrutta è la fascia più sensibile del parco, quella dei 12 metri che si affacciano sulla scogliera, dove crescono i ginepri;

   si tratta di un vero disastro ambientale, peggiorato e ancor più pericoloso rispetto a quanto accade ogni estate, proprio per gli incendi volti a distruggere interi ettari di uliveti;

   è una situazione difficile da fronteggiare nonostante il pronto intervento dei vigili del fuoco e dei volontari, intervenuti con tempestività per mettere in sicurezza tutte le persone che si trovavano in quei luoghi, tra cui numerosi turisti in villeggiatura;

   oltre agli ingenti danni ambientali, che si ripercuotono su una delle zone più belle della penisola, sono da non sottovalutare le gravi perdite economiche che potrebbero colpire ulteriormente uno dei settori economici più floridi della regione Puglia, come il turismo e l'agricoltura;

   il Ministro Costa ha più volte ribadito l'impegno delle istituzioni per contrastare roghi e incendi che avvelenano l'aria e la salute. Ne è un esempio il recente caso della regione Campania, ove con il protocollo «Terra dei fuochi» sono stati stanziati più uomini e risorse nei luoghi più critici della regione;

   l'eccezionale incremento del numero di interventi per incendi nella regione Puglia non è più gestibile a causa delle scarse risorse di uomini del corpo nazionale dei vigili del fuoco –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative intendano intraprendere, per quanto di competenza, per garantire la tutela dell'ambiente e della salute nel Salento e in tutta la regione Puglia;

   se non sia necessaria un'opera di prevenzione e repressione degli incendi mediante il potenziamento di organico dei vigili del fuoco e delle forze di polizia che operano sul territorio, per prevenire e contrastare eventuali atti criminosi che possono determinare gravi problemi per la collettività, permettendo così di valutare la probabile natura dolosa della maggior parte dei roghi;

   se non sia necessario adottare iniziative per implementare le risorse economiche destinate ad aumentare i mezzi a disposizione dei vigili del fuoco.
(4-03491)


   SPENA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   da diverse settimane gli abitanti dei comuni di Monte Compatri, di Colonna, San Cesareo (Roma) e delle zone limitrofe, denunciano, in particolare nelle ore serali e notturne, un forte odore acre, nauseabondo e irritante per le vie respiratorie, forse provenienti dalla zona industriale del vicino comune di San Cesareo. In alcuni casi si sono registrati giramenti di testa e conati di vomito;

   si tratta di una situazione che costringe centinaia di persone e famiglie a chiudere porte e finestre, nonostante il gran caldo di queste settimane, e vede i residenti riunirsi in assemblee pubbliche;

   i sindaci di Monte Compatri e di Colonna hanno già presentato un esposto per presunto inquinamento atmosferico, nonché allertato le autorità competenti –:

   quali iniziative urgenti, nell'ambito delle proprie competenze, si intendano avviare, anche promuovendo una verifica da parte del Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, al fine di individuare la fonte da cui provengono i cattivi odori di cui in premessa, e verificare quanto prima se vi sia rilascio di inquinanti con conseguenti effetti nocivi sulla salute pubblica.
(4-03500)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

   la località Fiordo, costituita da profonde insenature e rocce a strapiombo sul mare che creano uno dei posti più spettacolari e rinomati della Costiera amalfitana che costituisce patrimonio mondiale dell'umanità ed è sottoposta a importanti vincoli paesaggistici, è posta al confine tra i territori di Furore e Conca dei Marini, in provincia di Salerno;

   all'incirca due anni fa, tale località fu colpita da un grave incendio che provocò un pericolo di caduta massi a causa del quale i rispettivi comuni di competenza avrebbero emanato delle ordinanze interdittive di accesso alla spiaggia per persone e/o cose;

   ai fini della risoluzione della problematica, e quindi per far sì che la località turistica fosse nuovamente frequentata e messa in sicurezza, i comuni di Furore e Conca dei Marini avrebbero predisposto una perizia geologica per comprendere come rimuovere tutti i fattori di rischio del costone roccioso, per poi approvare un progetto esecutivo dei lavori di somma urgenza per l'importo di euro 51.861,64, il cui finanziamento sarebbe stato chiesto alla regione Campania-direzione generale governo del territorio;

   la regione Campania-direzione generale lavori pubblici e protezione civile – unità operativa speciale ufficio del genio civile di Salerno, però, con nota prot. n. 277436 del 3 maggio 2019 avrebbe negato la richiesta, sostenendo in primis la mancanza della «somma urgenza» indicata dai comuni e in secundis che l'intervento prospettato all'interno del progetto non sarebbe stato comunque adeguato per assicurare la fruizione pubblica del Fiordo;

   sarebbe stato richiesto, inoltre, a quanto consta all'interrogante, il riesame all'istanza e della situazione sarebbe stato anche informato il presidente della giunta regionale della Campania, Vincenzo De Luca. In tale occasione, in particolare, sarebbe stata evidenziata la necessità e l'urgenza della realizzazione del progetto in quanto per il 7 luglio 2019 era stata prevista la nota manifestazione «Tuffi dalle Grandi Altezze», per la quale sarebbe stato stipulato un contratto con la Rai per la diretta dell'evento –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti e dell'urgenza dei lavori relativi alla messa in sicurezza del Fiordo e, nel caso, se non intenda adottare iniziative, per quanto di competenza e in sinergia con la regione e gli enti locali, per favorire la messa in sicurezza del costone roccioso ed evitare gravi rischi per l'ambiente e il paesaggio, attesa l'importanza storica e la notorietà del Fiordo, collocato in una delle località più famose e conosciute d'Italia.
(4-03504)


   ROTONDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   la direttiva (UE) 2019/904 del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 giugno 2019 sulla riduzione dell'incidenza di determinati prodotti di plastica sull'ambiente impone di promuovere sistemi che privilegino l'uso di prodotti e sistemi riutilizzabili sostenibili e non tossici in luogo dei prodotti monouso;

   la citata direttiva impone agli Stati membri di adottare le misure necessarie per conseguire una riduzione ambiziosa e duratura del consumo dei prodotti di plastica monouso elencati nella parte A dell'allegato, in linea con gli obiettivi generali della politica dell'Unione in materia di rifiuti, in particolare la prevenzione dei rifiuti, in modo da portare a una sostanziale inversione delle crescenti tendenze di consumo; siffatte misure intendono produrre entro il 2026 una riduzione quantificabile del consumo dei prodotti di plastica monouso elencati nella parte A dell'allegato sul territorio dello Stato membro rispetto al 2022;

   entro il 3 luglio 2021 gli Stati membri sono obbligati a preparare una descrizione delle misure adottate ai fini della ridetta riduzione delle plastiche monouso, notificandola alla Commissione e rendendola pubblica;

   altri Paesi europei (Regno Unito) hanno già posto in essere delle azioni positive rispetto a questo delicatissimo tema; in Italia la normativa è ancora applicata a macchia di leopardo (Riviera Adriatica, litorale campano, Napoli, alto Tirreno, Liguria, Sicilia) non essendoci ancora una regolamentazione uniforme;

   l'individuazione di macchine per un packaging compatibile con l'ambiente richiede tempi e valutazioni rispetto alla produttività e alla capacità di ottenere un prodotto che sia realmente di tutela per l'ambiente e che, soprattutto, non generi altre tipologie problemi. A titolo esemplificativo, è noto che è in commercio una cannuccia, probabilmente a base mais, edibile dopo l'uso: tuttavia, la coltivazione del mais necessita di molta acqua, risorsa che, come noto, si sta drasticamente riducendo nel corso del tempo;

   risulta, inoltre, all'interrogante che dotarsi di macchinari atti allo scopo presuppone tempi lunghi che saranno necessariamente troppo lunghi, se non si affronta la problematica in questione con le tempistiche imposte dalla complessità della materia, rischiando altrimenti di incappare nell'ennesima procedura d'infrazione dell'Unione europea;

   è certamente indispensabile spendere di più a tutela dell'ambiente, ma è parimenti indispensabile fornire al comparto industriale un quadro normativo di riferimento certo entro il quale potersi muovere –:

   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno di adottare le opportune iniziative di natura normativa e amministrativa, volte a consentire al comparto industriale del nostro Paese di adeguarsi per tempo ai complessi e stringenti obblighi derivanti dalla normativa europea in materia;

   se non ritenga opportuno indirizzare l'azione di Governo, in sede di applicazione della predetta direttiva, affinché siano incentivate e favorite misure atte all'impiego di prodotti adatti a un uso multiplo e idonei a essere riutilizzati e riciclati;

   se non ritenga opportuno adottare idonee iniziative, anche normative, finalizzate a evitare che l'adempimento degli obblighi europei in materia di riduzione del consumo dei prodotti di plastica monouso non comporti restrizioni dei mercati sproporzionate e discriminatorie, atteso che tali restrizioni sono previste solo quale facoltà e non quale obbligo in capo agli Stati membri (in linea con il disposto dell'articolo 4 della direttiva 2019/904/UE).
(4-03505)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta scritta:


   RACCHELLA. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

   gli archivi di Stato sono uno dei luoghi strategicamente rilevanti per la trasmissione della memoria e del sapere storico, attraverso i quali si studia il passato per capire il presente e progettare il futuro;

   il loro ruolo, tuttavia, oggi sembra essersi svuotato;

   le cause sono varie, la mancanza di personale specializzato innanzitutto, con la conseguente assenza di ricambio generazionale, le recenti assunzioni, infatti, non riescono a coprire tutti i posti lasciati vacanti da una valanga di pensionamenti;

   ne deriva un sovraccarico di lavoro e di responsabilità che grava sui pochi dirigenti rimasti;

   è altresì preoccupante la mancanza del personale di supporto e dei custodi che tengono aperti gli archivi e assicurano la consultazione delle carte nelle sale studio;

   a tutto questo si aggiunge una situazione economico-finanziaria da tempo sempre più precaria che rende molto difficile gli interventi di inventariazione e di ordinamento delle carte versate, e che, a causa degli spazi inadeguati, mette a serio rischio le stesse operazioni di versamento della documentazione destinata alla conservazione;

   a Venezia, l'Archivio dei Frari è stato costretto a ridurre notevolmente i servizi, causando notevoli disagi –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione suesposta e quali iniziative in merito ritenga opportuno adottare al fine di tutelare un patrimonio italiano quale quello degli archivi di Stato.
(4-03493)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LOSACCO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   con la sospensione del servizio di leva obbligatorio è stato introdotto nelle Forze armate un sistema di reclutamento per il personale del ruolo della truppa, basato su ferme volontarie di durata prefissata;

   l'accesso a queste ferme avviene attraverso il superamento di bandi di concorso che prevedono il possesso di titoli di studio e il superamento di prove selettive di varia natura, sia culturale che psicoattitudinale;

   gli idonei, dichiarati vincitori, sono ammessi alle rispettive ferme, annuali o quadriennali alla scadenza delle quali possono essere raffermati per ulteriori periodi, sempre a tempo determinato o transitare nel servizio permanente effettivo;

   questo procedimento in vigore ormai da quasi 20 anni ha consentito una selezione molto qualificata del personale, messa in luce durante le prove concorsuali e confermata durante il servizio prestato;

   il Codice dell'ordinamento militare prevede, con una serie di norme, misure di protezione sociale per i volontari che hanno subito ferite o lesioni, riconosciute dipendenti da causa di servizio. Tali misure, dal punto di vista indennitario si concretizzano nella erogazione di un «equo indennizzo» che nel caso di un soldato, cui si riconosca una invalidità ascrivibile intorno al 35 per cento, si configura in un trattamento, una tantum, di circa 7.200 euro;

   i trattamenti garantiti dalla assicurazione INAIL cui avrebbe diritto, a parità di infermità riconosciuta, quello stesso militare se assicurato con l'Istituto, sarebbero costituiti da una rendita annuale di circa 15 mila euro;

   la disparità di trattamento, a danno del militare protetto nel regime dell'equo indennizzo è evidente;

   tra le misture di protezione sociale stabilite dal Codice dell'ordinamento militare, vi è anche la possibilità per il volontario in ferma prefissata che ha subito ferite o lesioni in servizio a causa di una infermità ascrivibile alla quarta e alla quinta categoria della Tabella A allegata al DPR 30 dicembre 1981, n. 834, di transitare nel servizio permanente o nelle qualifiche funzionali del personale civile del Ministero della difesa;

   da questa possibilità, che garantisce la continuità di un rapporto di lavoro, sono però esclusi i volontari in ferma prefissata di un anno, ancorché ulteriormente raffermati e i volontari giudicati idonei ma non vincitori nei concorsi interni per il passaggio alla ferma quadriennale. Quindi, il transito nei ruoli del servizio civile è riconosciuto ai soli volontari vincitori del concorso per il passaggio alla ferma quadriennale o già transitati nel servizio permanente effettivo;

   il combinato disposto delle norme inserite nel Codice dell'ordinamento militare appare, a parere degli interroganti, poco rispettoso degli articoli 35 e 38 della Carta, che definiscono costituzionalmente tutelato il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni;

   in altri termini, qualunque sia la condizione del lavoratore: a tempo indeterminato, determinato, occasionale, pubblico o privato, gli deve essere garantita parità di condizioni sia nella prevenzione che nel diritto all'indennizzo o al risarcimento quando subisce un pregiudizio in relazione all'attività lavorativa svolta –:

   come il Ministro interessato intenda porre rimedio alla situazione descritta in premessa, che appare decisamente insostenibile.
(5-02679)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ALBERTO MANCA e PERANTONI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   nell'aprile del 2016 è stata disposta la chiusura delle due sezioni del nucleo investigativo del reparto operativo del comando provinciale carabinieri di Sassari. La 1a sezione si occupava di indagini indirizzate al contrasto della criminalità comune (ed organizzata), mentre la 2a sezione era costituita dalla sezione investigazioni scientifiche (Sis), l'organo tecnico-scientifico specializzato nell'attività di sopralluogo e repertamento sulla scena del crimine e nelle indagini tecniche relative alle sostanze stupefacenti, e comprendeva in sé il laboratorio per l'analisi di sostanze stupefacenti (Lass);

   disponendo di 3 addetti ai rilievi tecnici, due addetti al laboratorio analisi, un artificiere e un fotografo (totale 7 unità), la sezione in questione garantiva diuturnamente il pronto impiego di personale specializzato su tutta la provincia, intervenendo, laddove necessario anche in provincia di Nuoro, con reperibilità h. 24;

   senza le due sezioni, il comandante del nucleo investigativo è diventato l'unico responsabile del reparto, con il compito di gestire tutto il personale dipendente (circa 30 unita), accentrando inevitabilmente a sé le competenze che in passato erano distribuite tra i comandanti di sezione, i quali svolgevano in tal modo una penetrante azione di controllo sul personale dipendente. Ciascun comandante di sezione coordinava i servizi del personale dipendente, disponendone l'impiego su un memoriale e garantendo, di conseguenza, la copertura su tutto l'arco della giornata. Attualmente, i servizi del personale vengono riportati dall'ispettore più anziano su un unico memoriale, firmato dal comandante del nucleo, che risponde in prima persona sull'impiego dei militari. A parere degli interroganti è pertanto venuta meno l'azione di comando e coordinamento che prima era assicurata dai responsabili;

   nei locali che ospitavano il Lass dislocato presso la stazione carabinieri di Sorso, risultano ancora presenti macchinari di ingente valore e utilità, tra i quali un gascromatografo-FID, un gascromatografo-massa, due generatori (nuovi) per la produzione di aria e due generatori per la produzione di Idrogeno, utilizzati in passato per l'analisi delle sostanze stupefacenti che potrebbero essere ancora utilizzati, atteso che, invece, nelle condizioni attuali per ogni singolo sequestro di stupefacente i comandi della provincia di Sassari sono costretti a recapitare il tutto presso il Ris di Cagliari con un aggravio dei costi per l'amministrazione per gli spostamenti;

   il Ris di Cagliari non riesce ad evadere in tempi ragionevoli le richieste dei reparti dell'Arma territoriale, e, a quanto consta agli interroganti, molti procedimenti amministrativi sono stati archiviati dall'ufficio territoriale di Governo competente (per i ritardi delle analisi di laboratorio delle sostanze stupefacenti, esperite oltre i termini previsti dalla legge);

   per affrontare l'emergenza, poiché non sempre è reperibile il personale del nucleo investigativo ovvero non sono sufficienti le forze a disposizione, si fa ricorso a personale di altri comandi: le unità di detto personale, seppur in possesso della specializzazione di «addetto ai rilievi», avendo assunto da tempo un nuovo incarico, potrebbero aver perso la praticità e la conoscenza delle attrezzature tecniche da utilizzare per preservare al meglio la scena del crimine, con grave rischio per la buona riuscita delle indagini;

   dopo la chiusura della Sis, la provincia di Sassari è stata interessata da eventi criminali di rilevante gravità, tra i quali vari omicidi, tentati omicidi, tentate rapine: il necessario supporto tecnico è stato garantito dal solo personale della ex Sis, oramai ridotto a due unità, peraltro non sempre reperibili –:

   se il Ministro interrogato intenda prendere in considerazione l'ipotesi di una riapertura della Sis a Sassari, previa individuazione da parte del rispettivo comando provinciale, presso la propria sede, di idoneo locale da utilizzare come laboratorio per l'analisi di sostanze stupefacenti, al fine di evitare il continuo spostamento di uomini e mezzi verso Cagliari, garantendo in tal modo un evidente risparmio per l'amministrazione in termini di risorse e un guadagno in termini di efficienza;

   se non ritenga opportuna, allo stesso tempo, una valutazione in merito alla riapertura delle due sezioni originarie (con rispettivi comandanti), delle quali una dedita alle indagini e l'altra – ad incarico esclusivo – ai rilievi tecnici (compresi quelli svolti dai due ispettori artificieri), per garantire una copertura h. 24, assicurando in tal modo un pronto intervento in occasione del verificarsi di eventi delittuosi, al fine di garantire al nucleo quel grado di efficienza e professionalità largamente riconosciuto e apprezzato nel recente passato, sia da parte dell'autorità giudiziaria, sia da parte della popolazione provinciale e dei media locali, i quali davano ampio risalto e lustro all'immagine dell'Arma.
(4-03477)


   CORDA e IORIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   sulla Gazzetta Ufficiale 4a serie speciale n. 70 del 15 settembre 2017 è stato pubblicato il bando di concorso, per titoli ed esami, relativo al reclutamento di complessivi 41 ufficiali in servizio permanente nel ruolo speciale delle Armi dell'Arma dell'aeronautica, del Corpo del genio e del Corpo di commissariato;

   i vincitori sono stati convocati, il 22 ottobre 2018, per svolgere il previsto «corso applicativo» di circa 5 mesi presso l'Accademia militare dell'aeronautica di Pozzuoli. Tale personale vincitore di concorso è stato promosso con decreto della direzione del personale militare con decorrenza giuridico-amministrativa in data 1o ottobre 2018;

   i vincitori provenienti dal servizio permanente in altro ruolo sono stati quindi comandanti di missione per la frequenza del corso presso l'Accademia di Pozzuoli, in analogia a quanto già avviene nelle forze armate per la frequenza di altri corsi;

   a tal proposito, è bene evidenziare che il personale in questione ha frequentato il corso non in qualità di allievo frequentatore (fattispecie ben chiara ai sensi del codice dell'ordinamento militare), bensì di semplice frequentatore in quanto già in servizio permanente e già con il grado rivestito al momento dell'inizio del corso così come avviene per la medesima tipologia di personale vincitore di concorso in Esercito e Marina al quale viene riconosciuto il pagamento della prevista indennità di missione;

   per questa fattispecie di personale frequentatore di corso, pertanto, si deve applicare la normativa vigente in materia d'indennità di missione per i militari, in particolare il decreto del Presidente della Repubblica n. 344 del 1995, il decreto del Presidente della Repubblica n. 162 del 2002, il decreto del Presidente della Repubblica n. 171 del 2007 e il decreto del Presidente della Repubblica n. 52 del 2009, cosa che però, per quanto riguarda l'Aeronautica militare non avviene;

   è bene evidenziare che a tale personale frequentatore del corso a Pozzuoli, a quanto consta alle interroganti, non è stata riconosciuta nessuna indennità di missione per tutto il periodo del corso e che, alcuni, hanno già presentato istanza per il riconoscimento di tale diritto, ma ad oggi, nonostante siano scaduti i termini di risposta da parte dell'amministrazione ai sensi della legge n. 241 del 1990 e successive modificazioni, non è stata fornita alcuna risposta;

   risulta all'interrogante che anche al personale frequentatore dei corsi precedenti al 17° Corso Spe non sia mai stato riconosciuto il pagamento dell'indennità, di missione per la frequenza del medesimo corso e che tale mancanza sia emersa solo nei corsi ufficiali del ruolo speciale svolti presso l'Accademia di Pozzuoli e che invece, nei corsi che si svolgevano in passato presso la Scuola di Firenze, tale problematica, a normativa invariata, non è mai emersa;

   considerata anche la questione sollevata dalla prima firmataria del presente atto con interrogazione parlamentare n. 4-02883 del maggio 2019 con la quale si evidenzia un'altra grave criticità in seno al riconoscimento per tale personale dell'indennità di trasferimento prevista dalla legge n. 86 del 2000 all'atto della movimentazione ad altro ente al termine del corso applicativo presso l'Accademia sorge il dubbio che per quanto riguarda l'Aeronautica militare, ed in particolare il comando generale delle scuole, ci sia una non corrette e uniforme interpretazione delle norme in vigore diversamente da quanto avviene, invece, per le altre Forze armate sul medesimo tema e sulla stessa tipologia di personale vincitore di concorso interno per ufficiali del ruolo speciale –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;

   se ritenga di dover intraprendere iniziative nei confronti dello Stato Maggiore dell'Aeronautica militare per verificare le eventuali responsabilità nell'ambito dell'applicazione delle norme sul riconoscimento delle previste indennità di missione per il personale del 17° Corso Spe e precedenti presso l'Accademia aeronautica di Pozzuoli;

   se ritenga opportuno adottare con urgenza iniziative attraverso le competenti articolazioni della Forza armata, per procedere al pagamento dalle indennità di missione previste dalle normative vigenti.
(4-03496)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:

   appaiono sorprendenti i più recenti sviluppi della inchiesta su crack di Veneto Banca;

   il sostituto procuratore della Repubblica di Treviso, titolare dell'inchiesta, dottor De Bortoli ha chiesto l'archiviazione dell'azione penale nei confronti di tutti i consiglieri di amministrazione e dirigenti, ad eccezione dell'ex amministratore delegato Consoli, che ha visto comunque largamente ridimensionati i capi di imputazione;

   si ha l'impressione che l'istituto di credito di Montebelluna sia stato vittima sacrificale di decisioni sbagliate;

   in questi giorni, tra l'altro, il sito di informazione on line, VicenzaPiu.com, ha pubblicato stralci virgolettati della registrazione di una conversazione, avvenuta in un incontro presso la sede di Bankitalia, in data 19 febbraio 2014, in cui il responsabile della vigilanza dottor Barbagallo «suggeriva» una fusione di Veneto Banca con Banca Popolare di Vicenza, circostanza, questa, sempre negata dal dirigente, anche in sede di audizione presso la Commissione parlamentare di inchiesta;

   la fusione non ebbe luogo per la contrarietà del consiglio di amministrazione di Veneto Banca a «consegnarsi» alla governance di Banca Popolare di Vicenza;

   a fronte di quanto sta emergendo sui diversi fronti, il fondo di indennizzo, previsto dall'ultima legge di bilancio, che prevede un ristoro, alle sole persone fisiche, nella misura del 30 per cento del prezzo di carico delle azioni, appare, ad avviso dell'interpellante, del tutto inadeguato e ingiusto;

   Veneto Banca era una banca sostanzialmente sana, che scelte politiche errate, compreso l'obbligo di trasformazione in società per azioni in 18 mesi, hanno portato al crack;

   la storia delle banche popolari venete va quindi riscritta;

   di conseguenza i risparmiatori, senza eccezioni di sorta, persone fisiche o giuridiche, sono vittime incolpevoli e, se troveranno ulteriore conferma le risultanze delle diverse inchieste citate, meritano un ristoro completo, e non solo parziale, delle perdite subite –:

   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo, alla luce degli sviluppi delle inchieste sopra citate, per garantire agli azionisti e agli obbligazionisti di Veneto Banca l'integrale ristoro del danno patrimoniale subito.
(2-00475) «Zanettin».

Interrogazioni a risposta orale:


   VALLASCAS. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   con il decreto 30 dicembre 2015, il Ministero interrogato ha autorizzato, ai sensi dell'articolo 17, comma 3-bis, del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, la riscossione coattiva mediante ruolo dei crediti vantati dal gestore unico del servizio idrico integrato Abbanoa s.p.a., partecipata da regione e comuni della Sardegna, nei confronti degli utenti inadempienti e morosi;

   è il caso di rilevare che la gestione della società, sin dalla sua costituzione (1° gennaio 2006), si sarebbe caratterizzata per una molteplicità di disservizi nei confronti dell'utenza, tra i quali avrebbe assunto dimensioni allarmanti, per le implicazioni anche sociali che avrebbe avuto, il disordine nella contabilizzazione dei consumi con la conseguente emissione di fatture commerciali non corrispondenti ai servizi effettivamente erogati dalla società;

   questo stato di cose si sarebbe determinato per effetto delle numerose criticità che sarebbero sorte, in fase di costituzione, nel processo di trasferimento ad Abbanoa degli impianti, del personale e, in particolare, delle anagrafiche da parte delle vecchie gestioni municipalizzate;

   è il caso di segnalare che le citate anagrafiche sarebbero state in buona parte mancanti ovvero incomplete, circostanza che avrebbe obbligato la società, in alcuni casi, a censire ex novo le utenze;

   questa situazione, oltre a sollevare legittime perplessità sull'attendibilità del procedimento di lettura dei consumi effettuato a distanza di alcuni anni – tra l'altro su utenze in parte precedentemente sconosciute – avrebbe creato una molteplicità di problemi agli utenti che si sarebbero visti recapitare con ritardi pluriennali fatture commerciali dagli importi elevati: circostanza che, visto il lasso temporale trascorso, avrebbe di fatto impedito in molti casi agli utenti di esercitare il diritto di verifica dei consumi, privandoli della conseguente facoltà di contestare gli addebiti;

   a questo proposito, gli organi di stampa hanno ampiamente denunciato nel corso degli anni situazioni di grave disagio da parte degli utenti di Abbanoa per i numerosi casi di «bollette pazze»;

   nel settembre del 2015, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato aveva irrogato ad Abbanoa una sanzione pari a un milione e 80 mila euro (importo successivamente ridotto dal Consiglio di Stato) per pratiche commerciali scorrette nei confronti di numerosi consumatori;

   è il caso di rilevare che per l'Antitrust «alcune pratiche commerciali messe in atto dalla società non fossero rispondenti alla diligenza professionale che ci si attende da un gestore che opera in regime di monopolio per la fornitura di un bene vitale ed essenziale quale l'acqua e che dispone, per la riscossione dei crediti, di una importante leva commerciale come la minaccia di interrompere il servizio» (La Nuova Sardegna del 29 settembre 2015);

   nell'adunanza del 12 giugno 2019, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha deliberato un provvedimento analogo, irrogando alla società Abbanoa una nuova sanzione pari a 3 milioni 850 mila euro per pratiche commerciali scorrette;

   a fronte delle citate deliberazioni dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato e vista l'acclarata difficoltà nella gestione della contabilità dei consumi, che presenta numerosi e gravi elementi di incertezza nella determinazione dei crediti vantati, la riscossione coattiva mediante ruolo dei crediti, oltre ad attribuire ad Abbanoa un potere coercitivo abnorme rispetto alla già prevista leva dello slaccio dell'utenza, sembrerebbe, in questo caso, uno strumento immotivato e, per alcuni profili, ingiusto, perché attribuito, nell'ambito della riscossione dei crediti, a una società che avrebbe dimostrato molteplici criticità e lacune proprio nella determinazione di consumi e crediti -:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle difficoltà di Abbanoa nella contabilizzazione dei consumi e nella gestione dei crediti nonché nei rapporti commerciali con gli utenti;

   se non ritenga opportuno adottare le iniziative di competenza per revocare il decreto richiamato in premessa del 30 dicembre 2015.
(3-00942)


   LOREFICE, CANCELLERI, MARTINCIGLIO e RUGGIERO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   molti risparmiatori siciliani, in particolare della provincia di Ragusa, hanno investito nei titoli azionari della Banca popolare agricola di Ragusa (di seguito, BaPR), un istituto di credito di grande tradizione reputato solido, attratti dall'incremento di valore costante non soggetto ad oscillazioni, e dalla possibilità di ottenere agevole liquidazione mediante riacquisto della banca medesima;

   la BaPR, a partire dal 2016, ha ridotto progressivamente le operazioni di riacquisto di azioni proprie, fino ad azzerarle nel settembre del 2017; dal 2018 la negoziazione delle azioni avviene solo sul mercato Hi-Mtf, il cosiddetto «borsino», che ha registrato consistenti flessioni del valore nominale dei titoli; il «blocco» del riacquisto è stato motivato dalla Banca dall'incremento degli ordini di vendita – indotto dalle tensioni conseguenti al dissesto delle banche popolari del Nordest – dalle limitazioni al riacquisto delle azioni proprie, imposte dagli articoli 77 e 78 del regolamento Crr, regolamento (UE) n. 575 del 2013 e dal regolamento delegato (UE) n. 241 del 2014; in particolare, l'articolo 77 del regolamento Crr prescrive preventiva autorizzazione dell'autorità competente (la Banca d'Italia) alla Banca sia per riacquisto integrale o parziale o rimborso degli strumenti di capitale primario di classe 1 sia per effettuare rimborso, anche anticipato, ripagamento o riacquisto degli strumenti aggiuntivi di classe 1 o degli strumenti di classe 2, prima della loro scadenza contrattuale;

   contestualmente, le disposizioni di vigilanza per le banche (circolare n. 285 del 2013 e successive modificazioni e integrazioni) ferma restando l'applicazione degli articoli 77 e 78, prescrivono, nel caso di riacquisto di strumenti di capitale, l'obbligo per la banca di valutare attentamente i rischi legali e reputazionali, specie quando coinvolgano clienti non professionali, e di assicurare pieno rispetto delle norme in materia di trasparenza, correttezza e conflitti di interesse;

   i risparmiatori temono di non rientrare più in possesso dei propri risparmi e le implicazioni derivanti dalla cessione di crediti esigibili a «Ibla spa», una società costituita il 12 luglio 2018 con capitale di 10 mila euro e da un unico socio, la Stichting Halep con sede ad Amsterdam;

   a partire da gennaio 2019 il Governo ha disposto l'apertura di un tavolo, al fine di trovare soluzioni concordate tra le parti;

   il 14 maggio 2019 è stata approvata una mozione alla Camera che impegna il Governo, tra l'altro, ad istituire apposita commissione di riforma del diritto bancario, finalizzata a individuare sistemi di tutela dei risparmiatori, dei depositanti, dei mutuatari, e norme di prevenzione delle crisi bancarie;

   la riforma delle banche popolari, prevista dal decreto-legge n. 3 del 2015, prorogata al 31 dicembre 2020 dal decreto-legge n. 34 del 2019 dovrà pertanto essere orientata in tal senso;

   occorrerebbe valutare, d'intesa con Banca d'Italia, i criteri utilizzati da BaPR nella cessione dei crediti, sia nell'individuazione dei cessionari sia nella svalutazione del portafoglio crediti in sofferenza; la consistenza, le garanzie e i beneficiari dei crediti deteriorati di più elevato ammontare; eventuali conflitti di interesse degli organi di amministrazione e controllo;

   occorrerebbe altresì verificare, d'intesa con la Banca d'Italia, quante posizioni classificate da BaPR tra i crediti vivi siano segnalate dalla Banca d'Italia tra le cosiddette «sofferenze rettificate»; se le operazioni di cessione siano state effettuate nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia di accantonamenti per perdite su crediti; la legittimità della distribuzione dei dividendi per 8,8 milioni nonostante la sostanziale riduzione del patrimonio netto; il numero di soci con basso profilo di rischio a cui sarebbero state eventualmente vendute azioni dal 2014 ad oggi in violazione del Testo unico della finanza; se l'erogazione del credito sia stata subordinata al contestuale acquisto di azioni –:

   quali iniziative il Governo, per quanto di competenza, intende assumere, anche nell'ambito del tavolo tecnico ministeriale di cui in premessa, al fine di evitare la reiterazione di prassi bancarie che possono generare ulteriori riduzioni del valore delle azioni e per affrontare i profili critici relativi alla situazione della banca segnalati in premessa.
(3-00943)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 10 del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, recante «Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi», convertito, con modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019, n. 58, introduce la possibilità per il soggetto che sostiene le spese per gli interventi di cui agli articoli 14 e 16 del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 90 (rispettivamente, interventi di efficienza energetica e di riduzione del rischio sismico), di ricevere, in luogo dell'utilizzo della detrazione, un contributo anticipato dal fornitore che ha effettuato l'intervento, sotto forma di sconto sul corrispettivo spettante;

   tale contributo è recuperato dal fornitore sotto forma di credito d'imposta, di pari ammontare, da utilizzare in compensazione, in 5 quote annuali di pari importo, senza l'applicazione dei limiti di compensabilità;

   la predetta legge dispone, inoltre, che i fornitori che hanno effettuato l'intervento possono, a loro volta, cedere il credito d'imposta ai propri fornitori di beni e servizi;

   ai sensi del comma 3, entro il 29 di luglio 2019, dovrà essere emanato il decreto del direttore dell'Agenzia delle entrate, per definite le modalità attuative delle citate disposizioni, comprese quelle relative all'esercizio dell'opzione da effettuarsi d'intesa con il fornitore;

   l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha inteso formulare alcune considerazioni in merito alle criticità concorrenziali derivanti dalla norma in questione rilevando che la stessa appare suscettibile di creare restrizioni della concorrenza nell'offerta di servizi di riqualificazione energetica a danno delle piccole e medie imprese, favorendo i soli operatori economici di più grandi dimensioni;

   sempre secondo quanto rilevato dall'Autorità, il nuovo sistema di incentivazione fiscale, di particolare appetibilità per la domanda, si pone quale meccanismo fruibile, nei fatti, solo dalle imprese di grande dimensione, che risultano le uniche in grado di praticare gli sconti corrispondenti alle detrazioni fiscali e quindi la norma in questione genererebbe un'indebita distorsione del mercato a vantaggio di pochi operatori;

   l'ulteriore cessione del credito d'imposta ai fornitori di beni e servizi sembrerebbe unicamente spostare la problematica già esposta in capo ad altri operatori;

   secondo quanto riportato dai rivenditori di elettronica di consumo, i consumatori avrebbero altresì interrotto gli acquisti in attesa dell'emanando provvedimento dell'Agenzia delle entrate, generando un evidente danno per gli operatori –:

   quali orientamenti i Ministri interrogati intendano esprimere, per quanto di competenza, con riferimento a quanto esposto;

   se non ritengano, in conformità a quanto evidenziato anche dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, di adottare iniziative per evitare che gli effetti possano essere negativi e penalizzanti per le piccole imprese che non saranno in grado di sostenere il sistema;

   quali iniziative, anche normative, urgenti e indifferibili intendano intraprendere, al fine di riconsiderare profondamente l'intero impianto normativo dell'articolo 10 del decreto-legge n. 34 del 2019.
(5-02667)

FAMIGLIA E DISABILITÀ

Interrogazione a risposta scritta:


   SILVESTRONI. — Al Ministro per la famiglia e le disabilità, al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   i tribunali per i minorenni in Italia sono stati istituiti nel 1934 con la consapevolezza che fossero necessarie competenze specifiche e in un'ottica di sostegno familiare del minore;

   la legge n. 328 del 2000 ha definito le modalità di gestione associata tra comuni e Asl attraverso la costituzione dei piani di zona, nei quali è previsto anche il servizio di tutela minori, e di attuazione dei provvedimenti emessi dall'autorità giudiziaria (tribunale per i minorenni, tribunale ordinario) per conto di tutti i comuni che compongono l'ambito distrettuale;

   desta sgomento quanto emerso e sta emergendo dall'indagine nota come «Angeli e Demoni» che vede al centro la rete dei servizi sociali della Val D'Enza, accusati di aver redatto false relazioni per allontanare bambini dalle famiglie e collocarli in affido retribuito con un business da centinaia di migliaia di euro;

   si tratta di un dramma che pone importanti interrogativi in merito al sistema di monitoraggio puntuale delle case famiglie in materia di affido di minori al fine di impedire il riprodursi del fenomeno di inadempimenti dei principi di tutela delle vittime di illegalità, nonché di evitare che quanto accaduto possa ripetersi;

   oggi, più che mai, si impone la necessità dell'adozione di nuovi strumenti di controllo delle comunità alloggio presenti su tutto il territorio nazionale, e del potenziamento del sistema dei controlli sui soggetti responsabili dell'affidamento familiare e, laddove emergano responsabilità e negligenze in capo ad essi, di puntuali modalità con cui applicare gli opportuni provvedimenti sanzionatori;

   dall'avvio della XVIII legislatura, i lavori condotti dall'Osservatorio nazionale per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile, dall'Osservatorio nazionale sull'infanzia e l'adolescenza e dall'Osservatorio nazionale sulla famiglia non sono stati ancora riattivati, generando, in questo modo, un evidente vulnus in merito ad attività di fondamentale importanza per la programmazione e il monitoraggio degli interventi necessari a contrastare la violenza nei confronti delle persone minori di età, nonché azioni cardine per la creazione di risposte tarate su bisogni ed esigenze specifiche;

   l'affido, che dovrebbe costituire una misura temporanea di aiuto e protezione per i minori in difficoltà, funzionale al mantenimento della relazione con la famiglia d'origine, troppo spesso si trasforma in una soluzione permanente, caratterizzata da proroghe in oltre il 60 per cento dei casi dopo i ventiquattro mesi, con la conseguenza che non si raggiunge mai la situazione di stabilità familiare fondamentale per lo sviluppo del bambino in difficoltà nell'ambito della propria famiglia;

   la lacunosità dei dati relativi all'attuazione dell'istituto dell'affido rende difficoltoso avere un'esatta conoscenza dell'ampiezza del fenomeno ad oggi;

   solo nella città metropolitana di Roma Capitale nel 2017 venivano mappate circa 100 strutture residenziali per minori e madri con bambini, tra le quali, cooperative sociali, associazioni culturali e di volontariato, oltre che fondazioni, equamente distribuite tra Roma e i 120 comuni della provincia;

   nelle case famiglia il personale in esse impiegato potrebbe non essere sempre qualificato e selezionato per adempiere a mansioni e compiti della massima responsabilità, indispensabili alla tutela dei minori, delle madri e delle famiglie –:

   quali urgenti iniziative di competenza intendano porre in essere, in sinergia con gli enti locali, per garantire il controllo puntuale dei piani di zona territoriali soprattutto per il servizio di tutela dei minori e assicurarsi che esclusivamente personale altamente qualificato e selezionato possa essere occupato nelle case famiglia autorizzate, e se non ritengano opportuno adottare iniziative per prevedere l'obbligo di installazione di sistemi di video sorveglianza all'interno di tutte le case famiglia e nelle comunità di alloggio per minorenni.
(4-03490)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   ZOFFILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   nei giorni 11 e 12 luglio 2019 organi di stampa hanno riportato la notizia che Enrico Galmozzi, ex terrorista ed omicida, nonché fondatore dell'organizzazione armata di estrema sinistra denominata Prima Linea, ha pubblicamente minacciato il Ministro Matteo Salvini tramite un post su Facebook;

   la frase choc postata sul social network dall'ex terrorista risulta testualmente la seguente: «Giù la testa, coglione. Non fare il cinema che ti va di culo: una volta invece di spedirli li consegnavamo di persona...»;

   il post del Galmozzi, condannato ad oltre 22 anni di carcere per gli omicidi di Enrico Pedenovi (politico militante nell'MSI) e di Giuseppe Ciotta (addetto alla sorveglianza del Politecnico di Torino), è arrivato in risposta alle frase con cui il leader della Lega aveva commentato la notizia della busta con proiettile che gli è stata indirizzata e che la polizia di Stato di Sesto Fiorentino ha intercettato; frase che testualmente recitava «I proiettili in busta non mi fermeranno»;

   non è fantasioso interpretare la frase pubblicata da Galmozzi come inneggiante agli «anni di piombo» ed indicativa del clima di recrudescenza del brigatismo;

   gli omicidi per cui Galmozzi è stato condannato risalgono al 1976 e al 1977 e la sua storia successiva è nota al grande pubblico anche per i suoi legami con la compagna Giulia Borrelli nelle aule bunker dei processi istruiti per quelle azioni;

   indubbiamente si tratta di un commento che sa di minaccia e sorprende il fatto che ex terroristi, condannati, tra le altre cose, per omicidio, abbiano facoltà di esprimersi, con parole dal peso enorme, sui social network con la libertà di istigare ancora a delle atrocità contro uno dei massimi rappresentanti dello Stato italiano;

   nonostante le varie e numerose denunce pervenute agli organi competenti relative a quanto accade sotto i nostri occhi sui social media di questi terroristi, i loro profili Facebook non risultano ancora sospesi;

   Galmozzi utilizza i social network in maniera sistematica, per scrivere post e libri che fanno una sorta di resoconto della propria militanza; utilizza attivamente Facebook, soprattutto per attaccare il Ministro Salvini e per denigrare ed osteggiare ogni forma di politica di destra; lo fa tuttavia con un atteggiamento di sfida costante, come per riproporre la propria vicenda personale davanti agli occhi di tutti. E anche se il suo profilo – pubblico – in realtà conta poco più di 200 follower, il post su Salvini ha ottenuto un numero incredibile di condivisioni e di interazioni in generale;

   preme ulteriormente ribadire che Enrico Galmozzi, oltre ad aver fondato Prima Linea, il più agguerrito gruppo terroristico degli anni ’70, seconda solo alle Brigate Rosse per numero di persone che negli anni sono state colpite (39 totali, tra cui 16 sono state uccise), oltre alle vere e proprie azioni armate (si contano almeno 101 attentai rivendicati), è stato giudicato colpevole degli omicidi di Enrico Pedenovi di Giuseppe Ciotta e condannato a 22 anni e mezzo di carcere, di cui scontati dieci più tre di semilibertà –:

   se il Ministro sia a conoscenza dei gravissimi fatti sopra esposti;

   se risulti se siano state avviate indagini da parte delle procure competenti.
(4-03508)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   BERGAMINI, ZANELLA, SOZZANI, BALDELLI, GERMANÀ, MULÈ, PENTANGELO e ROSSO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il 30 luglio 2019, nel primo pomeriggio, il tamponamento tra mezzi pesanti, all'altezza del chilometro 4 del raccordo autostradale tra l'A1 e l'A14, in corrispondenza di Borgo Panigale, quartiere popoloso della città di Bologna ha portato alla morte di un autotrasportatore e al grave ferimento di un altro;

   il 6 agosto 2018 in corrispondenza del medesimo svincolo si verificava un gravissimo incidente automobilistico che, coinvolgendo mezzi pesanti adibiti al trasporto di materiali pericolosi quali Gpl e prodotti chimici, ha provocato l'esplosione sia del camion che trasportava prodotti chimici (prima esplosione) sia di quello che trasportava Gpl (seconda e ben più grave esplosione), causando 2 morti e ferendo gravemente 615 persone, per una stima complessiva di danni a cose e persone pari a circa 10 milioni di euro;

   il camion non risultava essere dotato dei più moderni sistemi di assistenza alla guida Adas che avrebbero potuto evitare l'errore umano dovuto a distrazione e resi obbligatori a partire dal 2015 sui camion di nuova immatricolazione come previsto dal regolamento (CE) 661/2009;

   i residenti e i piccoli imprenditori e commercianti della zona si dicono preoccupati per la pericolosità che ormai caratterizza il tratto di strada e, in generale l'intera viabilità dell'area;

   l'articolo 47, comma 2, del codice della strada reca la definizione dei veicoli di categoria N quali veicoli a motore destinati al trasporto di merci, aventi almeno quattro ruote, nonché le sottocategorie N1, N2 e N3 che distinguono all'interno della categoria i veicoli in considerazione della diversa massa massima: N1 fino a 3,5 t; N2 superiore a 3,5 t e fino a 12 t; N3 superiore a 12 t;

   nel nostro Paese il parco mezzi circolante risulta avere una anzianità rilevante: secondo i dati dell'Unione nazionale rappresentanti autoveicoli esteri (Unrae), l'età media supera i 13 anni, di fatto vanificando le disposizioni vigenti, poiché è evidente che i sistemi di guida assistita al fine di tutelare adeguatamente ed efficacemente la sicurezza e la salute delle persone dovrebbero essere in primo luogo previsti sui mezzi già circolanti, come quelli coinvolti negli incidenti sopra richiamati –:

   se il Ministro interrogato non ritenga di assumere tempestivamente iniziative di natura normativa e finanziaria volte a introdurre l'obbligo di installazione di sistemi di guida assistita retrofit sui mezzi del parco circolante adibiti al trasporto merci ed, in particolare, al trasporto di materiali pericolosi, ferma restando la necessità di tutelare e sostenere le imprese del settore dell'autotrasporto.
(3-00939)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ACQUAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   malgrado sia trascorso molto tempo dall'incendio di un automezzo pesante che transitava sotto la galleria «Castello», lungo il tratto della A14 direzione sud a poca distanza dal casello autostradale di Grottammare (AP), la circolazione stradale è ancora in quel tratto a senso unico alternato;

   detto tratto autostradale, anche per la presenza di alcune gallerie in successione, ha subito e sta subendo pesanti ricadute in termini di traffico rallentato, tempi di percorrenza, rischio di incidenti sempre più frequenti;

   il tratto complessivo interessato da dette criticità, giunte in ripetute e anche recentissime occasioni a causare pesantissimi blocchi della circolazione, con code protrattesi per ore, è di circa 8 chilometri e riguarda in particolare il segmento autostradale tra i caselli di Pedaso e Grottammare, sia in direzione nord che in direzione sud;

   ciò ha ingenerato e sta ingenerando una situazione molto grave in primo luogo per gli automobilisti in viaggio in questo delicato periodo feriale, ma anche per la comunità marchigiana, divisa letteralmente in due nella logistica da questa situazione –:

   quali siano i tempi di completamento degli interventi di manutenzione straordinaria della galleria «Castello» lungo il tratto della A14 direzione sud, nei pressi del casello autostradale di Grottammare (AP), e pertanto quali siano i tempi di ripristino della circolazione autostradale ordinaria a due corsie nei tratti della A14 interessati, sia nella direzione nord che nella direzione sud;

   se sia stato previsto, nell'affidamento dei lavori, un cronoprogramma e se lo stesso sia stato rispettato;

   se siano state previste e applicate nel contratto di appalto clausole contenenti la previsione di penalità per i ritardi di consegna delle opere da parte della impresa esecutrice dei lavori anzidetti;

   se non si ritenga opportuno adottare iniziative per sospendere il pedaggio per la tratta Pedaso-Grottammare, in entrambe le direzioni, come parziale misura a riparazione dei disagi.
(5-02665)


   FIORINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la bretella autostradale Campogalliano-Sassuolo, opera ancora mai avviata, è infrastruttura di collegamento tra la A22 e la strada statale 467 Pedemontana, ed è considerata una delle tre opere strategiche (insieme alla Cispadana e al Passante di mezzo) per lo sviluppo della regione Emilia-Romagna;

   la bretella Campogalliano-Sassuolo rappresenta una infrastruttura fondamentale per la zona e la sua realizzazione porterebbe, tra l'altro, un importante beneficio sgravando la viabilità ordinaria dal traffico soprattutto dei mezzi pesanti con effetti positivi anche per la sicurezza stradale;

   l'infrastruttura inoltre, sarebbe decisiva anche per i distretti industriali dell'Emilia, a cominciare da quei settori di eccellenza come l'industria ceramica. Il solo distretto di Sassuolo, occupa 25 mila addetti diretti e fattura oltre 6,5 miliardi di euro;

   l’iter procedurale è partito nel 2001, i lavori avrebbero dovuto avviarsi entro maggio 2018, ma sono stati bloccati per la decisione del Ministro interrogato di chiedere anche per quest'opera la valutazione «costi-benefici», per valutare l'opportunità di realizzare l'autostrada;

   il 20 marzo 2019 lo stesso Ministro interrogato confermava l'esito positivo dell'analisi costi-benefici;

   seppure si tratti di un'opera fondamentale per il distretto ceramico, e nonostante l'esito positivo della suddetta analisi costi-benefici, tutto rimane ancora fermo in attesa di fatto dell’«ok» definitivo del Ministro;

   la comunità locale e il tessuto produttivo, chiedono con forza da tempo l'inizio dei lavori della bretella Campogalliano-Sassuolo che è attesa da decenni;

   come ha dichiarato il presidente di Confindustria Ceramica, Giovanni Savorani, «è inaccettabile che il ministero non rispetti i tempi delle decisioni, e che venga trattato in questo modo l'intero distretto, che dà lavoro a 25 mila addetti diretti e altrettanti nell'indotto, così come non è accettabile il rischio che i cittadini continuano a correre su strade intasate da camion»;

   l'ennesimo ritardo da parte del Ministro per l'avvio dell'opera autostradale, rappresenta, ad avviso dell'interrogante, di fatto un inqualificabile e ingiustificato boicottaggio nei confronti della regione dei cittadini e delle tante realtà produttive presenti sul territorio –:

   quali siano le ragioni per le quali il Ministero ritardi l'avvio dei lavori per la realizzazione di un'opera strategica quale è la bretella autostradale Campogalliano-Sassuolo, con un danno fortissimo per i distretti industriali dell'Emilia, a cominciare da quei settori di eccellenza come l'industria ceramica.
(5-02670)


   GADDA, MARCO DI MAIO, GARIGLIO, QUARTAPELLE PROCOPIO e FRAGOMELI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   dal 27 luglio e sino al 26 ottobre 2019 l'aeroporto di Milano Linate ha sospeso la propria operatività per la realizzazione di lavori di ristrutturazione e, quindi, la quasi totalità dei voli sono stati dislocati presso l'aeroporto di Milano Malpensa situato in provincia di Varese (operazione denominata «bridge»);

   in data 15 luglio 2019, come da notizie di stampa, il sottosegretario per l'interno, Stefano Candiani, al termine della riunione del comando provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, affermava che la provincia di Varese è pronta: pur consapevoli degli immancabili disagi, il trasferimento dei voli di Linate a Malpensa è una grande prova che il territorio mostrerà di sapere gestire;

   alla riunione di cui sopra non ha partecipato l'Enac;

   sulla base dei dati resi disponibili da Assoaeroporti, lo spostamento dei voli da Linate a Malpensa, potrebbe comportare il raggiungimento di oltre 28.500 voli mensili, circa 950 movimenti al giorno, 4.000 voli in più rispetto al precedente massimo di agosto 2007;

   i decolli graveranno, in particolare, sugli abitati di Somma Lombardo e Casorate Sempione;

   in data 25 luglio l'Enac ha emesso un Notam (NOtice To Air Man) che impone, sino al 5 agosto 2019, l'utilizzo della pista 35R per i decolli e della 35L per gli atterraggi;

   tale decisione assunta da Enac risulterebbe essere avvenuta senza preventivamente avvertire gli enti locali con i quali, negli ultimi mesi, erano state concordate soluzioni operative differenti al fine di attenuare l'impatto sulla popolazione;

   l'Enac ha giustificato l'adozione delle nuove regole come ulteriore misura di sicurezza, considerata la diversa conformazione dell'aeroporto di Malpensa rispetto a Linate, per un periodo limitato di tempo per consentire al sistema Ats di adattarsi al nuovo volume di traffico;

   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 13 dicembre 1999 si procedeva al trasferimento programmato dei voli da Linate a Malpensa a norma dell'articolo 6, comma 5, della legge 8 luglio 1986, n. 349;

   con suddetto provvedimento si prevedevano misure finalizzate a ridurre l'impatto ambientale, e a individuare soluzioni complessive per il sistema aeroportuale milanese (Malpensa-Linate) che ne garantissero lo sviluppo e la valorizzazione sinergica nell'ambito dei collegamenti aerei e infrastrutturali;

   a distanza di 20 anni dal richiamato provvedimento, e considerata l'evoluzione intervenuta nel sistema, nei traffici aeroportuali, e nel territorio del sedime, sarebbe a giudizio degli interroganti prioritario avere visibilità rispetto al raggiungimento delle prescrizioni indicate nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in questione;

   il cosiddetto «bridge» pone ulteriore urgenza rispetto alle misure di compensazione nei confronti dei comuni del sedime aeroportuale, in ragione di quanto previsto per la tassa di imbarco di cui all'articolo 2, comma 11, della legge n. 350 del 2003, nonché per quanto concerne il potenziamento in termini di collegamenti, infrastrutture, presidi di sicurezza, servizi sanitari e amministrativi per il terminal di Malpensa –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa, con particolare riferimento al Notam Enac del 25 luglio 2019 e come intenda tempestivamente adoperarsi, per quanto di competenza, affinché vi siano garanzie sulla temporaneità della misura adottata, fugando la preoccupazione delle comunità locali rispetto ai requisiti di sicurezza;

   se il Governo intensa destinare quota parte delle tasse aeroportuali nei confronti degli enti locali coinvolti e stanziare risorse aggiuntive per la definizione di forme di compensazione, ambientali, infrastrutturali e di servizi, per i comuni dei sedime aeroportuale e per la struttura stessa di Malpensa;

   quanto sia stato effettivamente attuato delle previsioni del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri menzionato in premessa alla luce delle prospettive legate alla maggiore rilevanza assunta dall'aeroporto internazionale di Malpensa;

   quale sia il piano di sviluppo dei sistemi di trasporto nazionale, con particolare riferimento al trasporto aereo e agli scambi intermodali.
(5-02671)


   ROSATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   nell'aprile 2019 il sindaco di un piccolo centro della provincia di Novara ha chiesto un parere in merito alla copertura della spesa del servizio di trasporto scolastico in relazione all'entità delle quote di partecipazione finanziaria a carico dell'utenza;

   nel quesito, in particolare, si chiedeva se le quote di partecipazione finanziaria correlate al servizio pagate dall'utenza avrebbero dovuto completamente concorrere alla copertura integrale della spesa del medesimo e ciò anche per assicurare il conseguente equilibrio economico-finanziario in funzione del principio di invarianza finanziaria di cui all'articolo 5, comma 2, del decreto legislativo n. 63 del 2017, secondo cui il servizio di trasporto va realizzato senza determinare nuovi e maggiori oneri per gli enti territoriali ed in base al quale le quote di partecipazione diretta nella loro interezza debbono coprire integralmente la spesa complessiva del servizio;

   i magistrati della Corte dei conti del Piemonte con la deliberazione 46/2019, pubblicata sul sito della sezione regionale di controllo l'11 giugno, hanno osservato che il trasporto scolastico è un servizio pubblico, ma non potendo essere classificato tra quelli a domanda individuale, non possono allo stesso reputarsi applicabili i conseguenti vincoli normativi e finanziari che caratterizzano i servizi pubblici a domanda individuale, espressamente individuati dal decreto ministeriale n. 131 del 1983;

   in base a quanto stabilito dalla delibera della Corte dei conti, l'erogazione del servizio di trasporto scolastico non può essere gratuita e la sua copertura deve avvenire mediante il pagamento di un corrispettivo da parte del soggetto che richiede il servizio e che a sua volta deve essere posto a carico dell'utenza;

   questa decisione penalizza particolarmente le famiglie residenti nei piccoli centri e nelle realtà delle aree interne nelle quali il servizio di trasporto scolastico è fondamentale per il raggiungimento della scuola da parte dei bambini;

   è una decisione che può pregiudicare il principio costituzionalmente garantito del diritto allo studio;

   molti comuni del Friuli Venezia Giulia hanno attivato forme di protesta chiedendo, anche attraverso l'Anci, una soluzione normativa a questa enorme criticità che si è venuta a determinare –:

   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo al fine di tutelare gli enti locali nell'assicurare lo svolgimento di un importante e imprescindibile servizio pubblico, quale quello del trasporto scolastico, in particolare per le realtà demograficamente e orograficamente più complesse, a difesa del diritto allo studio, scongiurando che vengano penalizzati i residenti nei piccoli centri e nelle aree interne.
(5-02677)


   PAGANI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   si sta diffondendo tra il personale militare della Guardia costiera, soprattutto tra i volontari in ferma quadriennale che transitano in servizio permanente e tra il personale più anziano, un disagio diffuso in relazione ai piani annuali di reimpiego del personale, decisi sulla base di criteri stabiliti da circolari e dalle direttive discendenti;

   il personale VFP4, all'atto del passaggio nel servizio permanente, esprime le preferenze, che comunque non possono includere sedi situate nella regione di provenienza; tali preferenze sono inoltrate per via gerarchica e, se accolte dall'Amministrazione, diventano vincolanti per un periodo non inferiore a 7 anni;

   le graduatorie per l'assegnazione della sede di servizio dei suddetti graduati prendono in considerazione diversi parametri, a ciascuno dei quali si attribuisce un punteggio, che sembrano tenere in scarsa considerazione la formazione acquisita durante i corsi e i titoli di studio posseduti. Tra l'altro, il valore del punteggio attribuito a ciascun parametro è stato reso noto soltanto dopo la pubblicazione delle ultime assegnazioni di sede del 21° corso;

   la sede di impiego per i giovani all'inizio della carriera è particolarmente importante per la crescita professionale e le future opportunità lavorative;

   per le altre categorie i criteri recentemente adottati stabiliscono un limite d'età di 53 anni, oltre il quale non si potrebbero eseguire i trasferimenti d'autorità, al di fuori della sede di appartenenza. Tuttavia, in deroga a tale principio, troppo spesso si decidono trasferimenti a pochi anni dal pensionamento, nonostante questi trasferimenti d'autorità siano fonte di disagi economici, familiari e sociali;

   da notizie di stampa è emerso anche il caso limite di un militare della Guardia costiera che ha tentato il suicidio a causa di un trasferimento presso una nuova sede di servizio distante oltre 300 chilometri, con evidenti disagi per la sua persona e per la sua famiglia;

   la Guardia costiera ha condizioni d'impiego assimilabili a quelle delle forze di polizia e, nel disporre eventuali trasferimenti, sarebbe opportuno valutare attentamente l'impatto che queste decisioni possono assumere anche sulla attività di servizio, soprattutto nei casi in cui il militare è impegnato in indagini, disposte ed avviate dalla procura dove presta servizio, che possono anche prolungarsi nel tempo;

   mentre il Ministro della difesa si impegna sul tema dei ricongiungimenti familiari, arrivando a prevedere nuovi insediamenti al Sud, nulla di simile, ad avviso dell'interrogante viene preso in considerazione dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti che potrebbe valorizzare la grande base aerea di Grottaglie portandovi un nucleo aereo della Guardia costiera o dislocare nelle sedi di Taranto, Napoli o Salerno almeno navi/pattugliatori per potenziare i relativi compartimenti;

   per una convinzione molto sentita e sicuramente apprezzabile, decidono di prestare servizio nella Guardia Costiera o negli altri corpi militari dello Stato, giovani che intendono anche, con questa scelta, onorare una tradizione familiare. In questi casi, la presenza nel Corpo di persone con legami familiari non deve costituire né condizione di privilegio né motivo di svantaggio –:

   se intenda rendere noti i numeri dei posti tabellari suddivisi per ruolo e direzione marittima;

   se vi sia l'intenzione di dislocare nelle sedi di Taranto e Napoli uno o più pattugliatori d'altura, anche in considerazione della posizione strategica dei porti, nonché un nucleo aereo nella sede di Grottaglie, al fine di incrementare le relative posizioni tabellari in quelle sedi;

   se vi sia l'intenzione, vista l'attività analoga alle forze di polizia, di lasciare stabilmente il personale nella propria destinazione ed avvicinare chi ha altrettanto legittime aspettative, esclusivamente in sostituzione dei posti resi liberi da chi va in congedo o da chi viene trasferito a domanda.
(5-02680)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MURELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   da alcune settimane, con l'entrata in vigore dell'orario estivo 2019 di Trenitalia, è in atto la sostituzione progressiva dei treni Frecciabianca con i nuovi Frecciargento Etr 700 ad alta velocità, che dovrà concludersi entro il primo semestre 2020;

   fino a settembre 2019 la sostituzione dei treni avverrà sulla medesima linea su cui fino ad ora sono transitati i treni Frecciabianca; a partire da settembre, però, i nuovi treni Frecciargento Etr 700 saranno impiegati sulla linea ad alta velocità;

   la linea ad alta velocità Milano-Bologna-Bari-Lecce esclude tutti i capoluoghi di provincia dell'Emilia-Romagna (come, ad esempio, Piacenza), creando evidenti disagi ai pendolari che saranno costretti a spostarsi quotidianamente con i vecchi treni regionali, specialmente per raggiungere le principali città della Lombardia;

   fino ad oggi i cittadini pendolari dell'Emilia-Romagna hanno potuto usufruire di tariffe vantaggiose grazie all'abbonamento cosiddetto «Mi Muovo Tutto Treno», alla luce di un'apposita convenzione stipulata dalla regione Emilia-Romagna con Trenitalia; tale abbonamento, come chiarito dalla stessa regione, rimarrà valido solo fine a settembre, successivamente la convenzione «Mi Muovo Tutto Treno» con rinnovo mensile fino al 2020 permetterà la validità dell'abbonamento. Tuttavia, rimane sempre l'incognita dei mesi successivi nei quali vi è il concreto rischio che i pendolari debbano sostenere un costo molto più gravoso;

   i treni regionali, su cui saranno costretti a viaggiare i pendolari a partire da settembre 2019 per spostarsi da capoluoghi di provincia diversi da Bologna, si caratterizzano per la scarsa puntualità, la sporcizia e il degrado in cui versano;

   si evince poi che la fascia oraria 18-20 da Milano centrale utilizzata dai pendolari è abbastanza scoperta per numero di corse e vagoni disponibili per coprire tutte le richieste –:

   se e come intenda adoperarsi, d'intesa con Rete ferroviaria italiana e Trenitalia, al fine di pervenire a una soluzione di trasporto per tutti i cittadini pendolari dell'Emilia-Romagna esclusi dalla nuova linea ad alta velocità.
(4-03481)


   FIORINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il 2 luglio 2019 una donna in procinto di salire su un vagone fermo alla stazione di Bergamo, con dieci minuti di anticipo rispetto alla partenza dello stesso, veniva schiacciata dalle porte improvvidamente chiusesi;

   la signora veniva soccorsa da alcuni passeggeri e da agenti della Polfer e trasportata con l'ambulanza in ospedale dove le veniva diagnosticata l'incrinatura di alcune costole;

   Trenord, responsabile del convoglio interessato dall'incidente, è un operatore specializzato nel trasporto locale su ferro che gestisce il servizio ferroviario suburbano e regionale in Lombardia;

   la stessa azienda richiama che la polizia ferroviaria avrebbe svolto delle verifiche;

   risulta all'interrogante che altri casi analoghi si stiano registrando sull'intera rete ferroviaria mettendo in pericolo la sicurezza quotidiana di migliaia di pendolari;

   l'Agenzia italiana per la sicurezza delle ferrovie, (Ansf), successivamente ridenominata Ansfisa con decreto-legge n. 109 del 2018, cosiddetto decreto Genova), istituita ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 10 agosto 2007, n. 162, di recepimento della direttiva 2004/49/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 (direttiva relativa alla sicurezza delle ferrovie comunitarie) – tra gli altri – ha il compito di verificare l'applicazione delle norme adottate e validare i processi autorizzativi e omologativi di sistemi, sottosistemi e componenti, ivi inclusi quindi i sistemi di automatizzazione delle porte dei vagoni –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'incidente illustrato in premessa e di altri casi analoghi;

   se non ritenga opportuno adottare le iniziative di competenza affinché l'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali e autostradali avvii una indagine approfondita per comprendere se ed eventualmente quali anomalie e problematiche vi siano con riferimento ai sistemi, sottosistemi e componenti del trasporto ferroviario, con riguardo anche al comparto regionale e locale, nell'intero Paese.
(4-03487)


   GABRIELE LORENZONI, CATALDI, DEL MONACO, PARENTELA, RACHELE SILVESTRI, DE TOMA, SUT, ILARIA FONTANA, VARRICA, FRANCESCO SILVESTRI, TERZONI, TRANO, DE LORENZIS e SCAGLIUSI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la strada statale n. 4 Salaria è l'unica arteria stradale che collega la Capitale con il capoluogo della provincia di Rieti, per proseguire verso Ascoli Piceno attraversando l'area del cratere sismico venutasi a creare nel 2016;

   la stessa consolare a due corsie, una per senso di marcia, risulta essere sottodimensionata per il flusso di traffico in costante aumento soprattutto di natura pendolare, né esiste un collegamento ferroviario diretto dell'entroterra reatino e ascolano con la Capitale che possa alleggerirlo;

   i lavori relativi alla strada statale 4, ed in particolare l'adeguamento a 4 corsie della tratta tra Passo Corese e Rieti, rientrano negli interventi strategici individuati nella cosiddetta «legge obiettivo» n. 443 del 2001;

   sono frequenti gli incidenti, anche mortali, come riportato dalle cronache, che hanno causato 9 vittime tra il mese di novembre e dicembre 2018, e 2 vittime nel 2019, nel tratto compreso nella provincia di Rieti tra Passo Corese e il capoluogo, una serie di eventi luttuosi che hanno lasciato la comunità nello sconforto e hanno portato il vescovo della diocesi di Rieti a chiedere interventi urgenti alle istituzioni, tanto da definire la strada «Malaria»;

   la stessa strada necessita, quindi, di interventi di messa in sicurezza e potenziamento non più rinviabili soprattutto nei tratti più critici, in particolare nei pressi del chilometro 48 e del chilometro 60;

   il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti pro tempore Delrio, il presidente della regione Lazio Zingaretti e quello della regione Marche Ceriscioli, insieme all'ex amministratore delegato di Anas Armani, presentarono il 17 ottobre 2017, nel corso di una conferenza stampa presso la sala del consiglio della provincia di Rieti, il «Piano di potenziamento della S.S. 4 Salaria», con l'obiettivo di «agevolare la ripresa socio-economica nelle aree interessate dal sisma» per un fabbisogno complessivo di 854 milioni di euro;

   ad oggi gli unici interventi di potenziamento di prossimo avvio nel tratto da Roma a Rieti, finanziati anche con fondi regionali, sono la variante all'abitato di Monterotondo Scalo all'interno della città metropolitana di Roma, fuori dal cratere sismico ed estraneo al flusso di traffico pendolare dalle aree del cratere;

   risultano altresì finanziate le opere infrastrutturali per il miglioramento funzionale degli svincoli di Rieti con fondi non regionali;

   risultano programmati nel Contratto di programma 2016-2020 l'adeguamento della piattaforma stradale e la messa in sicurezza dal chilometro 56 al chilometro 64 per un importo dell'investimento pari a 68,38 milioni di euro ma finanziato solo con 14,24 milioni;

   risulta non programmato nel Contratto di programma 2016-2020 ma previsto dal «piano di potenziamento della S.S. 4 Salaria» l'adeguamento della piattaforma stradale dal chilometro 64 al chilometro 70 (Ornaro-San Giovanni Reatino);

   la regione Lazio assegnò all'itinerario Passo Corese-Rieti un importo di circa 60 milioni di euro (CDG0125694 del 22 ottobre 2007), come confermato dall'ex assessore con delega alle infrastrutture della regione Lazio, e attuale consigliere regionale e presidente della «commissione bilancio» Fabio Refrigeri in un'intervista al Messaggero locale del 4 novembre 2018: sarebbero ancora utilizzabili, per finanziare il «tratto più pericoloso [...] in particolare dal km 54,2 al km 64,6 [...]», circostanza poi confermata, nell'intervista a RietiLife TV del 13 dicembre 2018 –:

   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere, per quanto di competenza, per assicurare i finanziamenti già stanziati e la programmazione dell'adeguamento a 4 corsie nel tratto da Passo Corese a Rieti, come previsto dalla legge obiettivo, e per garantire il prima possibile l'avvio e il completamento delle opere di potenziamento e di adeguamento della strada statale Salaria nel tratto compreso nelle province colpite dagli eventi sismici del 2016.
(4-03492)


   FOTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   da circa tre settimane, con cadenza quasi giornaliera, lungo la tratta autostradale della A1 che collega Parma con Reggio Emilia in direzione Bologna, si formano code, nella fascia oraria 06,30-09,30, anche di 10-12 chilometri – con conseguenti impegni di tempo di percorrenza biblici – per asseriti lavori sulla tratta che qui interessa;

   appare quanto meno singolare che, nei fatti, chi percorre la detta tratta non riesca mai a trovare un cantiere in attività, tant'è che viene il ragionevole dubbio che altri siano le cause del formarsi di detti veri e propri blocchi;

   anche nella giornata del 1° agosto 2019 le code raggiungevano i 10 chilometri, nonostante gli avvisi ne indicassero 4 –:

   se intenda verificare presso il gestore della rete autostradale in questione le ragioni di una situazione non più ulteriormente sopportabile, se non altro perché non occasionale ma abituale, e richiedere allo stesso di assumere, con l'urgenza che il caso richiede ogni utile iniziativa al riguardo.
(4-03494)


   VILLANI, NAPPI, PROVENZA, TESTAMENTO, DI LAURO, GIORDANO, MANZO, DAVIDE AIELLO, MAGLIONE, BOLOGNA, CARBONARO e BARBUTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la costiera amalfitana riveste un ruolo fondamentale nel settore turistico del nostro Paese e dal 1997 è riconosciuto come patrimonio dell'Unesco;

   la strada statale 163 «Amalfitana» è la strada statale che collega tutti i comuni della Costiera Amalfitana, parte dalla fine della Penisola/Sorrentina passando per Positano per finire a Vietri sul Mare, per un totale di circa 50 chilometri;

   ad oggi, a causa soprattutto della grande e sempre crescente affluenza turistica, l'arteria è interessata in particolare nei mesi estivi da un traffico veicolare insostenibile che sta causando grossi disagi ai residenti, ai pendolari ed ai turisti stessi;

   l'attuale assetto viario risulta essere praticamente lo stesso di quello originario del 1850 e rappresenta nella sua storicità uno degli elementi più caratteristici del sito;

   il problema della viabilità in Costiera risulta essere oggetto di provvedimenti già dai primi anni ’80; infatti, a partire da quegli anni il prefetto di Salerno ha emanato una serie di ordinanze di urgenza finalizzate a fronteggiare la situazione;

   l'ordinanza prefettizia, emanata annualmente, è divenuta nel corso degli anni, da soluzione temporanea a soluzione permanente per far fronte al sempre maggiore intensificarsi del traffico soprattutto durante la stagione estiva;

   di recente l'ordinanza prefettizia è stata sostituita da un'ordinanza ordinaria emanata da Anas S.p.a. in quanto ente proprietario della strada;

   a causa dell'enorme traffico presente nella zona e a causa di alcuni tratti della statale che risultano particolarmente critici, come la strettoia di Cetara, il tratto di Minori/Castiglione, Amalfi centro, Praiano e Positano, ogni giorno si assiste a innumerevoli code che non restano circoscritta alla mera fluidità del traffico, ma sfociano in veri e propri problemi di vivibilità per i residenti, ordine pubblico e sanità;

   il tema della viabilità nella costiera si lega inesorabilmente a una visione unitaria di sviluppo e conservazione del territorio, che possa portare una maggiore vivibilità del territorio, non solo per i residenti ma anche per tutti i turisti che affollano l'area nel periodo estivo;

   nei mesi scorsi si è riunita una conferenza dei sindaci dei dodici comuni della costiera, i quali hanno proposto per la risoluzione del problema della viabilità la creazione di una Ztl territoriale che consenta un contingentamento del traffico, veicolare in base alla capacità di carico e transito della strada e ad altri parametri;

   la situazione risulta ormai al collasso e l'adozione di alcune misure quali la creazione di una Ztl permetterebbe di gestire a monte il problema del traffico, rendendo inutili ulteriori soluzioni, quali la creazione di gallerie o tunnel che avrebbero un impatto maggiore per il territorio –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della problematica esposta e quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di accelerare la soluzione della stessa, anche attraverso il coinvolgimento di Anas e di tutti gli enti territoriali interessati.
(4-03495)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   ZOFFILI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   nella notte tra lunedì 29 e martedì 30 luglio 2019 un duplice attentato ha colpito la politica e le istituzioni sarde: prima una bombola di gas è esplosa nella storica sede del Partito Democratico a Dorgali e, poco dopo, è stata incendiata l'auto del sindaco di Cardedu, Matteo Piras, eletto nel giugno del 2016 in espressione di una lista civica;

   in entrambi i casi, è certa l'origine dolosa e si stanno svolgendo le indagini per accertare i fatti;

   la solidarietà istituzionale è stata unanime, a partire dalla politica locale, che ha manifestato la necessità di investire maggiormente nella sicurezza in Ogliastra e, in particolare, nella sicurezza degli amministratori locali, poiché se viene colpito il sindaco di una comunità, conseguentemente tutta la comunità stessa è in pericolo, passando per la politica nazionale, fino al Parlamento europeo;

   alla gravità dei fatti descritti, mercoledì 31 luglio si è aggiunta la notizia di una lettera intimidatoria ricevuta nei giorni scorsi dal vicesindaco di San Teodoro, Alberto Melinu;

   tali ultimi fatti, che si aggiungono ad una lunga serie di attentati contro gli amministratori sardi, che fortunatamente non hanno visto coinvolte le persone, ma che potevano trasformarsi in una strage, hanno destato la preoccupazione degli abitanti che si sentono in pericolo; infatti, dalle immagini acquisite nel caso di Dorgali, pochi minuti prima dell'esplosione era passata una macchina con dei ragazzi a bordo che avrebbero potuto trovarsi coinvolti nell'esplosione, mentre la macchina di Piras era parcheggiata proprio sotto ai caseggiati –:

   quali iniziative di competenza intenda adottare per garantire la sicurezza degli amministratori locali e, conseguentemente, delle loro comunità, vista la lunga serie di attentati che ormai da anni interessano gli amministratori sardi e che, purtroppo, sembrano non diminuire.
(3-00944)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FREGOLENT. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   le palazzine denominate Ex Moi di Torino, realizzate nel 2006, sono state inizialmente occupate da profughi con lo status riconosciuto di «rifugiati» provenienti dal Nord d'Africa e, successivamente, da numerose altre etnie di immigrati. Secondo alcune stime sarebbero circa 1000 le persone presenti nei mesi scorsi nelle palazzine;

   il sindaco di Torino nel mese di agosto 2016 ha annunciato pubblicamente che dal mese di settembre 2019 sarebbe stato effettuato il censimento delle palazzine in previsione di un successivo sgombero;

   risulta all'interrogante che un censimento ufficiale complessivo delle palazzine non sia stato reso noto;

   nel mese di novembre 2017 è iniziata l'evacuazione delle palazzine: in quella occasione circa 100 migranti sono stati collocati in altre strutture cittadine;

   nel mese di agosto 2018 è stata successivamente evacuata un'altra delle palazzine, quella in cui risiedono prevalentemente nuclei familiari, con il trasferimento di circa 100 persone;

   nel mese di marzo 2019 sono poi state evacuate circa 180 le persone di origine africana;

   nel mese di luglio 2019 è terminato lo sgombero delle palazzine Ex Moi con l'evacuazione di circa 350 persone;

   negli scorsi mesi si sono già verificati episodi di rioccupazione dei locali già evacuati con il rischio quindi di sostituire, all'interno delle palazzine, famiglie censite con individui di cui non si conoscono le generalità;

   emergerebbe quindi una difformità fra il numero di persone evacuate e la stima iniziale degli occupati che potrebbe far emergere l'ipotesi della presenza di centinaia di individui, probabilmente clandestini e non regolarizzabili, ad oggi irrintracciabili e la cui condizione disperata potrebbe rappresentare un rischio per loro stessi e per l'ordine pubblico;

   emergono inoltre sulla stampa cifre contraddittorie sulle risorse che sarebbero state stanziate per evacuare le palazzine e per facilitare il trasferimento dei migranti nordafricani nelle strutture adatte a consentire l'avvio di percorsi lavorativi e di inclusione sociale: il Ministero dell'interno avrebbe stanziato oltre due milioni di euro, 3,5 milioni di euro sarebbero stati stanziati dalla Compagnia di San Paolo e 500 mila euro dalla regione Piemonte. Sempre secondo fonti stampa il Ministero dell'interno avrebbe messo a disposizione ulteriori 5 milioni di euro per aiutare quei migranti che accetteranno di ritornare nei loro Paesi di origine –:

   se l'evacuazione di tutte le palazzine sia stata preceduta da un completo e dettagliato censimento di tutte le persone inizialmente presenti;

   quante persone siano state ufficialmente evacuate e quante siano state ad oggi coinvolte da percorsi di inclusione sociale;

   quante risorse siano state complessivamente stanziate ad oggi (da enti pubblici e privati) per lo sgombero delle palazzine e per promuovere percorsi di inclusione sociale delle persone evacuate;
   quante risorse si preveda verranno stanziate (da enti pubblici e privati) per aiutare quei migranti che accettano di tornare in patria ad aprire un'attività;

   se siano state prese tutte le precauzioni necessarie per evitare che le palazzine possano essere rioccupate.
(5-02682)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIABURRO, PRISCO e CARETTA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il lavoro del vigile del fuoco è un lavoro rischioso, difficile, faticoso, usurante e che richiede elevate doti professionali abbinate ad altrettanto elevate prestazioni psicofisiche. I vigili del fuoco sono professionisti formati per affrontare ogni tipo di emergenza. Lavoratori turnisti, che sanno quando inizia il loro turno di servizio, ma non sanno se e quando il loro turno finirà. Si tratta di lavoratori e volontari sempre disponibili a risolvere i tanti problemi che una società sempre più fragile si trova ad affrontare, sia di giorno che di notte, sia con il caldo che con il freddo, nei giorni festivi e in quelli feriali;

   queste importanti figure lavorative che tutelano i cittadini ogni giorno non sono assicurati dall'Inail (Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro) per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Quindi, il rimborso delle spese mediche, che tocca a loro anticipare, dipende dal riconoscimento, lungo e incerto, della causa di servizio che interviene a distanza di molto tempo, spesso di anni. Questo è indubbiamente un paradosso inaccettabile, soprattutto in relazione al livello di rischio che i vigili del fuoco sono costretti ad affrontare nello svolgimento del proprio lavoro. Tale esclusione sembrerebbe basarsi su di una supposta, ma del tutto infondata, autonomia di intervento, nel presupposto che il sistema di welfare «interno al Corpo» sappia assicurare prestazioni equivalenti a quelle infortunistiche;

   la limitata copertura assicurativa di cui i vigili del fuoco dispongono (e si pagano) è quella dell'Ona (Opera nazionale di assistenza per il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco). Lo Stato ha erroneamente considerato l'Ona come un ente finanziato dallo Stato, facendolo rientrare nella procedura della decurtazione del 50 per cento dei fondi in riassegnazione dal Ministero dell'economia e delle finanze. Ma in realtà l'Ona si auto-finanzia con una quota parte delle prestazioni rese dal personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco sui servizi di prevenzione e vigilanza, nonché con il versamento di alcune trattenute a carico del personale. Venute meno le risorse, e quindi fortemente ridimensionata l'assicurazione Ona, gli infortunati devono fare fronte alle necessità di cura a loro spese, salvo rimborso dopo l'eventuale riconoscimento della causa di servizio;

   è necessario dunque che al più presto i vigili del fuoco siano inseriti sotto la copertura Inail, in modo tale che possano rientrare in un sistema che tuteli gli infortuni sul lavoro e riconosca le malattie professionali ai dipendenti del Corpo nazionale adeguato alle esigenze attuali. Un sistema strutturato, non soggetto a interpretazioni o a clientele, che garantisca pari opportunità e diritti per tutte le lavoratrici e i lavoratori in fase di riconoscimento della causa di servizio, con forme di equo indennizzo simili o migliori delle attuali, e che si avvalga del servizio sanitario nazionale, basandosi su principi di prevenzione, controllo e formazione del personale –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intenda, per quanto di competenza, adottare iniziative volte all'inserimento dei vigili del fuoco sotto la copertura Inail, in modo tale che la salute di uomini e donne che mettono la propria vita a servizio dello Stato e dei cittadini sia giustamente tutelata.
(4-03480)


   PASTORINO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   la legge n. 3 del 2019, all'articolo 1, comma 14, prevede testualmente che «i partiti e i movimenti politici, nonché le liste di cui al comma 11, primo periodo, hanno l'obbligo di pubblicare nel proprio sito internet ovvero per le liste di cui al comma 11, nel sito internet del partito o del movimento politico sotto il cui contrassegno si sono presentate nella competizione elettorale, il curriculum vitae fornito dai loro candidati e il relativo certificato penale rilasciato dal casellario giudiziale non oltre novanta giorni prima della data fissata per la consultazione elettorale. Ai fini dell'ottemperanza agli obblighi di pubblicazione nel sito internet di cui al presente comma non è richiesto il consenso espresso degli interessati»;

   la disposizione in questione, ad avviso dell'interrogante evidentemente confusa e imprecisa, è priva di qualsiasi riferimento normativo atto ad individuare in modo inequivocabile quale sia il certificato penale richiesto;

   peraltro risulta priva anche dell'indicazione delle norme derogate in riferimento al, non richiesto, consenso degli interessati;

   pertanto di fatto e di diritto risulta inapplicabile e sottopone i soggetti obbligati al rischio da un lato di sanzioni, dall'altro di azioni di responsabilità da parte dei singoli candidati;

   inoltre, in spregio al principio consolidato che prevede la gratuità e l'esenzione dai bolli per tutta la documentazione necessaria al procedimento elettorale, la norma prevede esclusivamente che le imposte e ogni altra spesa siano ridotti alla metà, ma di fatto, come si evince dalla visione dei certificati penali pubblicati sul sito internet del Ministero dell'interno, i costi per l'emissione di questo, imprecisato, certificato penale, sono i più svariati;

   numerosi candidati di quasi tutte le formazioni politiche, in riferimento alle ultime elezioni europee (maggio 2019), hanno ottenuto dagli uffici pubblici un certificato «elettorale del casellario giudiziale», apparentemente identico al certificato «penale», con l'unica differenza appunto nella definizione «elettorale». L'impercettibile differenza può e, di fatto, ha tratto in inganno numerosi candidati e liste, le quali però si sono viste recapitare una formale contestazione dalla Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici, alla quale potrebbe far seguito una sanzione. Senza considerare che, evidentemente, nemmeno i funzionari dei tribunali avevano chiaro quale certificato dovesse essere consegnato;

   per le formazioni politiche, in assenza della collaborazione del singolo candidato, è materialmente impossibile ottenere il certificato penale, rischiando di incorrere in una sanzione pecuniaria, peraltro significativa, pur non avendo una responsabilità diretta nella eventualità di una omessa pubblicazione;

   pur essendo già intervenute modifiche sostanziali della legge citata, anche al suddetto comma 14, in tali occasioni il Governo ha dato parere negativo su tutte le proposte emendative tese a rendere più chiara e applicabile questa disposizione, escludendo per esempio che la richiesta dei certificati potesse essere fatta dai delegati di lista –:

   quali siano le ragioni in base alle quali, nell'ambito delle sue funzioni, il Governo non abbia ritenuto utile inviare una circolare esplicativa a tutti gli uffici periferici, nella quale fosse indicato quale certificato penale dovesse essere prodotto, a richiesta dei candidati, e quale dovesse essere l'importo, ridotto alla metà, delle spese e dei bolli esigibili;

   quali iniziative concrete intendano promuovere, posto che il procedimento elettorale appare da questa disposizione pesantemente condizionato, per garantire l'accesso più largo possibile e senza condizionamenti irragionevoli di tutti i cittadini alle competizioni elettorali.
(4-03485)


   COSTANZO, PALLINI, CIPRINI, DAVIDE AIELLO, PERCONTI, DE LORENZO, CUBEDDU, INVIDIA, TUCCI, SIRAGUSA, GIANNONE e AMITRANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   nella prima settimana di febbraio 2019 la rappresentanza di Vercelli del sindacato autonomo dei vigili del fuoco Conapo ha incontrato il prefetto Michele Tortora per esporre le problematiche del comando provinciale, dalla mancanza di personale all'assenza di alcuni automezzi di soccorso;

   all'incontro in prefettura erano presenti il vice segretario regionale Alessandro Basile, il segretario provinciale Conapo, Luca Filetti, e Alessandro Boni della segreteria provinciale;

   i rappresentanti del comando vercellese hanno poi ribadito, come riportato dal quotidiano on-line La Sesia in data 6 febbraio 2019, la carenza di personale (37 unità operative su 156 totali, ripartite tra graduati e vigili permanenti, a cui si aggiungono 11 unità assenti per malattie di lunga durata e leggi speciali) con forti limitazioni del turn over e situazioni di stress psico-fisico per i lavoratori che devono rientrate al di fuori del proprio turno per garantire i soccorsi. Tale carenza è accentuata nel ruolo dei capi squadra, per i quali si quantifica un'assenza pari a circa il 75 per cento che influisce sul sistema di soccorso, complicando inoltre la formazione del personale che non può aumentare il proprio bagaglio professionale a causa dello scarso numero del personale in servizio;

   in una nota del Conapo riportata dal quotidiano La Sesia si legge che «altrettanto importante è l'assenza di un'autoscala o piattaforma aerea nella Valsesia, che limita la rapidità di intervento ai piani alti e che espone a maggiori rischi i vigili durante le attività di soccorso»;

   il Sindacato Conapo aveva già fatto presente in una lettera del 10 giugno 2017 al direttore regionale Piemonte dei vigili del fuoco come «a causa della particolare morfologia del territorio, lunga oltre 150 km, le autoscale in dotazione al Comando impiegassero troppo tempo per raggiungere le aree montane, costringendo in via eccezionale il personale operativo a effettuare operazioni congiunte con piattaforme aeree messe a disposizione da altre Amministrazioni»;

   nel territorio comprendente il lago Maggiore, in cui operano battelli e traghetti per il trasporto di mezzi (auto e camion) e fino a 600 passeggeri verso le sponde e le isole Borromee, oltre al trasporto di studenti e lavoratori anche frontalieri, risulta l'utilizzo di una sola e non più idonea imbarcazione antincendio, come riportato dal quotidiano La Stampa in un articolo dell'11 agosto 2018;

   Alberto Antoniazzi, segretario provinciale Conapo di Verbania, aveva denunciato al quotidiano on-line Verbano-24 il 21 luglio 2018 come «nel pieno della stagione turistica l'unico mezzo in grado di garantire un minimo di standard antincendio risulta fuori servizio da quasi un mese, e allo stato attuale non si conoscono i tempi di ripristino»;

   le acque del Verbano, che comprendono anche le tre isole Borromee, Pescatori e Isola Bella, sono le più trafficate rispetto agli altri laghi italiani e per questo necessiterebbero di avere disposizione mezzi navali antincendio, in modo da garantire un efficace e completo servizio di soccorso rivolto alla popolazione che vive e lavora nei pressi del lago in questione –:

   se non ritenga opportuno adottare iniziative per garantire con urgenza una piattaforma aerea dislocata presso il distaccamento dei vigili del fuoco di Varallo Sesia, richiesta rimasta inevasa da circa quattro anni;

   quali iniziative intenda assumere per affrontare la carenza cronica di personale operativo nel Vercellese e per gestire adeguatamente il sistema di soccorso tecnico urgente e presso il lago Maggiore, anche fornendo una nuova e più efficiente imbarcazione antincendio al comando di Verbania.
(4-03486)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   in qualità di parlamentare della Repubblica italiana, nelle settimana scorse l'interrogante ha ricevuto alcune segnalazioni da parte di appartenenti alle forze dell'ordine, riconosciuti vittime del dovere nella graduatoria pubblicata nel mese di marzo 2019, riguardanti un eventuale ritardo da parte degli uffici preposti per la liquidazione dei benefìci economici che la legge attribuisce alle vittime del dovere; i ritardi per quanto riguarda le forze dell'ordine (appartenenti alla polizia di Stato, Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza, Corpo forestale, polizia penitenziaria, polizie municipali), di competenza del Ministero dell'interno, sarebbero dovuti alla mancata, ovvero ritardata, sottoscrizione dei decreti attuativi da parte del capo della polizia. In relazione a tali segnalazioni l'interrogante riceveva altresì conferma dall'ufficio preposto «vittime del dovere», e cioè di essere – effettivamente – in attesa della firma del capo della polizia;

   per tale ragione, in data 17 luglio 2019, l'interrogante ha presentato una interrogazione parlamentare al Ministro dell'interno Matteo Salvini, per quanto di competenza, che presenta, tra l'altro, toni lievi e sicuramente non accusatori e con la quale, per di più, si dava anche conto dei ritardi dovuti al cospicuo numero delle pratiche da definire e si chiedeva, come da prassi, se i fatti risultassero confermati e, nel caso, quali urgenti iniziative di competenza il Ministro interrogato intendesse adottare. Azione non solo legittima, essendo prerogativa dei parlamentari svolgere una funzione di controllo sull'operato del Governo, ma anche giustificata dalle segnalazioni pervenute all'interrogante. È dovere dell'interrogante, come di ogni altro parlamentare, presentare interrogazioni su determinati fatti, atti o comportamenti che richiedano dei chiarimenti da parte dei Ministri competenti affinché si attivino controlli e verifiche finalizzate all'accertamento della verità;

   in relazione alla suddetta interrogazione si pubblicava un comunicato stampa atteso che si è ritenuto opportuno per dare una risposta a tutti i cittadini interessati alla questione;

   all'interrogazione non è stata data risposta sui fatti contestati bensì una replica a giudizio dell'interrogante sgarbata, offensiva e arrogante, diffusa addirittura a mezzo stampa, da parte del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, lesiva delle prerogative costituzionali dei parlamentari;

   questa la parte di essa che si ritiene oltremodo oltraggiosa: «attribuire responsabilità inesistenti, additando al pubblico ludibrio pubblici Funzionari, parandosi dietro pilateschi “pare” e senza svolgere la ben che minima verifica, è un comportamento riprovevole che qualifica, in negativo, solo chi se ne rende attore»;

   a parere dell'interrogante, l'espressione de qua è del tutto insussistente, oltre che diffamatoria e oltraggiosa; appare necessario ricordare che l'interrogazione parlamentare, in quanto atto di sindacato ispettivo, trae origine da segnalazioni (di privati cittadini, di organi di stampa) la cui veridicità va accertata dai Ministri competenti e che pertanto l'uso di un linguaggio dubitativo e condizionale è del tutto legittimo. Un parlamentare non può svolgere le sue funzioni con il timore di essere ingiustamente attaccato e «sbeffeggiato» da un rappresentante di un Ministero, e, tra l'altro, se così fosse, verrebbero lesi i princìpi costituzionali posti a tutela dell'azione politica dei parlamentari di cui agli articoli 67 e 68 della Costituzione;

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative di competenza intenda porre in essere al riguardo, anche al fine di tutelare le funzioni costituzionali dei parlamentari della Repubblica Italiana e affinché simili ingiustificati attacchi non possano compromettere gli spazi di democrazia nella nostra Nazione, nonché, per quanto di competenza, per accertare eventuali responsabilità in ordine alla replica del Dipartimento di pubblica sicurezza richiamata in premessa.
(4-03506)


   LONGO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   sono tantissimi i discendenti di italiani nati all'estero, in particolare nell'America Latina, che, pure essendo titolari del diritto al riconoscimento della cittadinanza italiana, sancito dalla legge n. 91 del 1992 e, ancor prima, dalla legge n. 555 del 1912, per problemi burocratici e di contrastanti interpretazioni normative, non riescono ad ottenere il riconoscimento in questione;

   nel merito, si richiama la circolare K.28.1 dell'8 aprile 1991, che presenta un elenco dei documenti che devono istruire le pratiche per il riconoscimento della cittadinanza italiana dinanzi ai consolati o ai comuni, a seconda della residenza dell'interessato. Siffatta circolare precisa che l'istanza presentata in Italia dovrà essere redatta su carta bollata e corredata dalla seguente documentazione: a) estratto dell'atto di nascita dell'avo italiano rilasciato dal comune di nascita; b) atto di nascita di tutti i suoi discendenti in linea retta, compreso quello della persona rivendicante il possesso della cittadinanza italiana; c) atto di matrimonio dell'immigrato, munito di traduzione ufficiale se avvenuto all'estero; d) atto di matrimonio dei suoi discendenti, in linea retta, compreso quello dei genitori della persona rivendicante il possesso della cittadinanza italiana; e) certificato rilasciato dalla competenti autorità dello Stato estero attestante che l'avo a suo tempo non acquistò la cittadinanza dello Stato estero anteriormente alla nascita dell'ascendente dell'interessato; f) certificato attestante che né gli ascendenti in linea retta né la persona rivendicante il possesso della cittadinanza italiana vi abbiano mai rinunciato ai sensi della legge n. 555 del 1912; g) certificato di residenza;

   nel mese di giugno 2019 l'ufficio cittadinanza del comune di Roma a quanto consta all'interrogante ha respinto la richiesta avanzata dal cittadino brasiliano C.C.G. volta ad ottenere l'iscrizione anagrafica in base alla circolare di cui sopra, a causa della mancata presentazione dell'estratto dell'atto di matrimonio del capostipite emigrato all'estero, non rinvenuto né in Brasile, né in Italia. L'interessato ha rappresentato, quindi, che tale documento non era imprescindibile per il riconoscimento del suo status civitatis italiano, poiché la dichiarazione di nascita del figlio del citato capostipite era stata resa dal padre stesso, con il conseguente riconoscimento della paternità nell'atto di nascita, ai sensi dell'articolo 181 del codice civile italiano del 1865, in vigore alla data di nascita del suo antenato, 9 aprile 1935, che così recitava: «Il riconoscimento di un figlio naturale si farà all'atto di nascita, o con atto autentico anteriore o posteriore alla nascita»;

   esiste nel nostro ordinamento giuridico una pluralità di fonti e queste sono disposte secondo una scala gerarchica che non permette a una norma inferiore di porsi in contrasto con una norma di fonte superiore. Considerato che il codice civile del 1865, in quanto legge, è norma di rango superiore rispetto alle circolari del Ministero dell'interno, l'antinomia tra le due fonti può essere considerata soltanto apparente, poiché la corretta interpretazione della circolare ministeriale in questione non può che essere nel senso di considerare l'elenco dei documenti suindicati come un elenco meramente esemplificativo, visto che non tutti contraevano matrimonio;

   i figli cosiddetti naturali, riconosciuti nell'atto di nascita, non erano – e non lo sono a tutt'oggi – passibili di perdere i propri diritti di cittadinanza decorrenti dalla filiazione –:

   alla luce di quanto riportato in premessa, quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano adottare al fine di fare chiarezza sia sulla corretta procedura da adottare per quanto riguarda il caso sopra esposto, sia sull'omogeneità dell'applicazione della circolare K.28.1 sull'intero territorio nazionale.
(4-03509)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:

   dal 1994, con l'adozione del Testo unico delle norme in materia di istruzione, il diploma di maturità magistrale conseguito entro l'anno scolastico 2001/2002 ha costituito titolo abilitante all'insegnamento nella scuola dell'infanzia e nella scuola primaria, un principio mantenuto anche dopo l'istituzione del corso di laurea in scienze della formazione primaria;

   in materia, l'orientamento del Ministero è stato contraddittorio, avendo prima dapprima escluso per tali docenti la possibilità di presentare domanda di inserimento nelle graduatorie ad esaurimento, utilizzate anche per le immissioni in ruolo, e successivamente, invece, riconosciuto il valore abilitante di tali diplomi, ma soltanto ai fini dell'inserimento nella seconda fascia delle graduatorie di istituto, quelle utilizzate per le supplenze;

   la sentenza del Consiglio di Stato del 16 aprile 2015 n. 1973, ha tuttavia annullato il decreto ministeriale che impediva ai docenti in possesso del diploma magistrale abilitante l'iscrizione nelle graduatorie ad esaurimento e tale orientamento è stato ribadito anche dal Consiglio di Stato con le sentenze n. 3628, 3673, 3675, 3788 e 4232 del 2015;

   nel 2016 tuttavia, nonostante l'univoca e ormai consolidata posizione assunta fino ad allora, la VI sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza n. 364 del 2016, ha disposto la remissione all'Adunanza plenaria del medesimo Consiglio della sola «questione della riapertura delle graduatorie ad esaurimento, per i possessori di diploma magistrale conseguito entro l'anno scolastico 2001/2002»;

   l'Adunanza plenaria, con la sentenza n. 11 del 2017, ha rigettato l'appello dei diplomati magistrali;

   l'applicazione di tale sentenza porterebbe al licenziamento di 6.669 insegnanti già assunti con contratti a tempo indeterminato e confermati in ruolo dopo il superamento dell'anno di prova e ben 55.000 diplomati magistrali si troverebbero non solo cancellati dalle graduatorie ad esaurimento, dove avevano ottenuto l'inserimento con riserva, ma anche nell'impossibilità di lavorare sia nelle scuole pubbliche che in quelle paritarie, posto che l'affermata assenza di abilitazione precluderebbe loro qualsiasi attività di insegnamento;

   inoltre, l'applicazione della sentenza n. 11 del 2017, causerebbe la revoca di oltre ventimila incarichi al 30 giugno o 31 agosto 2019 e di oltre ventimila supplenze brevi assegnate ai diplomati magistrali;

   la decisione dell'Adunanza plenaria è stata contestata con un reclamo collettivo al Consiglio d'Europa, con un ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo, nonché attraverso la presentazione di un ricorso per Cassazione per eccesso di potere giurisdizionale;

   la Corte di Cassazione, con la recentissima ordinanza pubblicata in data 22 luglio 2019, ha confermato la legittimità della sentenza n. 11/2017 dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, non entrando nel merito delle questioni sollevate ma escludendo che la sentenza sopra richiamata, essendo frutto di una mera interpretazione delle norme giuridiche, sia viziata da eccesso di potere giurisdizionale da parte da parte dell'Organo di vertice della giustizia amministrativa;

   tutto ciò avviene proprio alla vigilia della immissione in ruolo dei docenti;

   è prevedibile che il disposto del dettato normativo articolato e contraddittorio sulla materia e delle risultanze giudiziarie darà luogo a una serie numerosissima di ricorsi individuali ai tribunali amministrativi regionali, con una ulteriore e grave incertezza a danno sia dei docenti interessati che degli studenti;

   l'ordinanza della Corte di Cassazione del 22 luglio 2019 rappresenta, a giudizio degli interpellanti, un elemento di novità tale da rendere indispensabile una presa di posizione immediata da parte del Governo –:

   se non ritenga di assumere iniziative urgenti, anche di carattere normativo, per garantire la continuità didattica e il regolare avvio del prossimo anno scolastico, attraverso la riapertura delle graduatorie ad esaurimento a tutto il personale docente in possesso di un'abilitazione all'insegnamento, nonché al fine di evitare sperequazioni tra i lavoratori della scuola pubblica italiana.
(2-00476) «Lollobrigida, Frassinetti, Mollicone, Bucalo».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LACARRA, SERRACCHIANI, DEL BARBA, PEZZOPANE, SIANI e BORDO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   la prova scritta del concorso per il reclutamento di dirigenti scolastici, svoltasi in data 18 ottobre 2018, è attualmente oggetto di numerosissime contestazioni sfociate in circa 2000 richieste di accesso agli atti da parte dei candidati, a seguito di una serie di circostanze che inducono a porre in dubbio l'effettiva trasparenza e regolarità della procedura concorsuale in questione;

   in data 27 marzo 2019 sono state pubblicate le graduatorie degli ammessi alla prova orale, senza indicazione del punteggio ottenuto nel corso della prova scritta;

   in data 19 aprile 2019 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha diramato una nota con la quale comunicava il posticipo dell'accoglimento delle istanze di accesso agli atti concernenti gli elaborati dei concorrenti ammessi alla prova orale successivamente alla pubblicazione delle graduatorie idonei/vincitori, in imminenza, dunque delle immissioni in ruolo;

   i principali elementi di criticità sono rappresentati dalle anomalie derivate dall'analisi statistica dei dati;

   sulla base dell'elenco degli ammessi, il Comitato «Trasparenza è Partecipazione» – nato su iniziativa di un gruppo di docenti che hanno partecipato al concorso — a quanto consta all'interrogante, ha effettuato un'analisi dalla quale si registra una forte differenziazione tra il numero di ammessi delle regioni del Sud e di quelli delle regioni del Nord, nonché, percentuali di ammissioni molto diverse a seconda dell'aula di svolgimento della prova scritta;

   il suddetto Comitato, sulla base di ulteriori elaborazioni, sempre a quanto consta agli interrogante, rileverebbe una difformità di trattamento nelle operazioni di correzioni delle singole commissioni nonché dei tempi di correzione, che risulterebbero in alcuni casi palesemente inadeguati, stanti la complessità e la mole delle risposte fornite dai candidati;

   inoltre, il medesimo Comitato sosterrebbe, che le analisi statistiche dimostrerebbero scientificamente che il processo di correzione non è stato soggetto a dispersione naturale ma su di esso sarebbero intervenute quelle che in gergo, con particolare riferimento al controllo statistico dei Processi, sono dette cause esterne o speciali fermo restando che non è compito della statistica descrittiva individuare tali cause;

   in data 3 luglio 2019 il Tar ha annullato l'intera procedura concorsuale, accogliendo parte di un ricorso che contestava l'incompatibilità di alcuni membri della Commissione che ha definito i quadri di valutazione delle prove;

   il 12 luglio 2019 il Consiglio di Stato ha sospeso l'ordinanza del Tar, tenuto conto del «preminente interesse pubblico alla tempestiva conclusione della procedura concorsuale» e fissato l'udienza pubblica per la discussione del ricorso nel merito al 17 ottobre 2019 –:

   se non intenda adottare immediatamente le iniziative di competenza allo scopo di garantire agli interessati e all'opinione pubblica tutte le informazioni utili a fugare qualsiasi dubbio in merito alla correttezza e alla trasparenza della procedura concorsuale in questione, anche mediante la pubblicazione dei correlati dati statistici ufficiali, in modo tale da consentire la verifica delle numerose anomalie contestate e attinenti alla redazione delle schede e dei verbali di valutazione.
(5-02683)

Interrogazione a risposta scritta:


   PASTORINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   in Gazzetta Ufficiale n. 105 del 7 maggio 2019 è stato pubblicato il decreto ministeriale n. 327 del 9 aprile 2019, recante «Disposizioni concernenti il concorso per titoli ed esami per l'accesso ai ruoli del personale docente della scuola dell'infanzia e primaria su posto comune e di sostegno, le prove d'esame e i relativi programmi»;

   specificatamente, sono previste 10.624 assunzioni per l'anno scolastico 2020/2021 e 6.335 per l'anno scolastico 2021/2022. In base a quanto si apprende da notizie di stampa, il bando è pronto e verrà pubblicato in Gazzetta Ufficiale entro la prima settimana di agosto 2019;

   tuttavia, se così fosse, significherebbe l'esclusione dalla partecipazione di tutti gli studenti giunti al termine del quinto anno e che stanno terminando il corso di studi e gli ultimi esami secondo i tempi del ciclo quinquennale previsti dal Ministero per il corso di laurea in scienze della formazione primaria, il cui titolo, in base all'articolo 3 del decreto n. 327 del 9 aprile 2019, rientra fra i requisiti di ammissione al suddetto concorso;

   infatti, il quinto anno del citato corso terminerà alla fine di ottobre 2019 con la prima sessione di laurea fissata per il mese successivo. Sarebbe paradossale e, secondo l'opinione dell'interrogante, ingiusto escludere per pochi mesi tutti gli studenti attualmente iscritti all'ultimo anno del corso sviluppato ad hoc per lo svolgimento della professione indicata;

   si tratta di studenti prossimi alla laurea che con dedizione e sacrificio — molti di loro sono studenti lavoratori — hanno rispettato i tempi di studio, ma rischiano di non poter partecipare al concorso –:

   se, sulla base di quanto esposto in premessa e alla luce del fatto che l'immissione in ruolo è prevista per settembre 2020, ritenga possibile e opportuno, uno slittamento dell'emanazione del suddetto bando a gennaio 2020, al fine di permettere l'accesso alle selezioni anche agli studenti che stanno terminando il percorso quinquennale.
(4-03482)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   LUCA DE CARLO e OSNATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il decreto-legge n. 4 del 2019 recante «Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni», è stato approvato il 28 gennaio 2019, con entrata in vigore a partire dal 29 gennaio 2019;

   all'articolo 4 comma 15, il suddetto decreto-legge prevede che «In coerenza con le competenze professionali del beneficiario e con quelle acquisite in ambito formale, non formale e informale, nonché in base agli interessi e alle propensioni emerse nel corso del colloquio sostenuto presso il centro per l'impiego ovvero presso i servizi dei comuni, il beneficiario è tenuto ad offrire nell'ambito del Patto per il lavoro e del Patto per l'inclusione sociale la propria disponibilità per la partecipazione a progetti a titolarità dei comuni, utili alla collettività, in ambito culturale, sociale, artistico, ambientale, formativo e di tutela dei beni comuni, da svolgere presso il medesimo comune di residenza, mettendo a disposizione un numero di ore compatibile con le altre attività del beneficiario e comunque non inferiore al numero di otto ore settimanali.[...]» –:

   quali siano i tempi di attuazione delle procedure di collocazione dei beneficiari presso i comuni di residenza e quando dunque gli enti pubblici potranno realmente disporre di tale forza lavoro, di utilità alla collettività;

   se sia previsto il cumulo delle ore non lavorate dal momento dell'inizio del percepimento del reddito di cittadinanza fino al giorno del primo impiego presso il comune e se siano quindi tali ore redistribuite nella pianificazione lavorativa settimanale.
(3-00941)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ROSATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   i lavoratori iscritti presso la Fondazione Enasarco (Ente nazionale di assistenza per gli agenti e rappresentanti di commercio) lamentano da anni la paradossale condizione in cui versano in materia di trattamento pensionistico, a causa della peculiarità delle norme disciplinanti l'attività del proprio ente di riferimento;

   la Fondazione Enasarco costituisce, infatti, un unicum nell'ordinamento previdenziale italiano, prevedendo una copertura contributiva di natura integrativa ma di carattere obbligatorio; gli aderenti sono dunque soggetti a una doppia contribuzione, dovendo versare anche all'Inps;

   purtroppo, a differenza degli altri lavoratori aderenti a un fondo di previdenza obbligatoria, agli iscritti Enasarco sono preclusi la totalizzazione e il cumulo dei trattamenti previdenziali, in quanto, come affermato anche recentemente dalla Corte di cassazione, i contributi versati all'Inps e all'Enasarco riguardano necessariamente periodi lavorativi coincidenti, per i quali è esclusa la possibilità di accesso ai predetti istituti normativi;

   un agente o rappresentante di commercio, quindi, in caso di cessazione dell'attività prima di aver raggiunto i 20 anni di versamenti obbligatori all'Enasarco (la soglia minima richiesta dall'istituto), per non disperdere gli anni di contributi corrisposti, deve inevitabilmente ricorrere ai versamenti volontari;

   in definitiva, una grande parte di lavoratori iscritti all'Ente in questione, pur versando una doppia contribuzione previdenziale nel corso della propria attività professionale, si trova nella condizione di beneficiare unicamente del trattamento pensionistico Inps e di non poter disporre della pensione integrativa assicurata dall'Enasarco –:

   quali urgenti iniziative, anche di carattere normativo, intenda assumere al fine di tutelare gli iscritti all'Enasarco, assicurando loro la piena valorizzazione in termini di trattamento pensionistico di tutti i contributi previdenziali versati e ponendo così fine a una evidente anomalia del sistema previdenziale italiano.
(5-02664)


   PEZZOPANE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   i lavoratori operanti nei servizi del comparto vigilanza e servizi fiduciari lamentano condizioni economiche e di operatività sempre più precarie e pericolose;

   a tutela della propria professionalità, le organizzazioni sindacali di settore sollecitano da tempo alcune modifiche al decreto del Ministero dell'interno del 1° dicembre 2010, n. 269, al fine di introdurre misure in grado di garantire la massima sicurezza nel corso dell'adempimento del servizio;

   le suddette organizzazioni sindacali ritengono che una non corretta interpretazione della norma riguardante il numero minimo di componenti dell'equipaggio comporti una sua riduzione da 3 a 2 unità, con conseguente aumento dei rischi per l'incolumità delle guardie private giurate e dei cittadini che potrebbero rimanere coinvolti nei casi di fatti criminosi compiuti nei luoghi ove si effettuano le operazioni di trasporto valori;

   altri aspetti critici, segnalati dalle organizzazioni sindacali, sono rappresentati dalla possibilità di avviare una impresa del settore, al di sotto delle 20 unità produttive, con requisiti e strutture minime, sottovalutando la delicatezza di tale attività;

   anche in termini di flessibilità e ottimizzazione dei turni di lavoro, la disciplina vigente – decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 – non prevedendo più deroghe per il settore, non consente ai lavoratori del comparto la possibilità di operare con la necessaria tranquillità, causando in tal modo una riduzione della qualità del servizio offerto;

   inoltre, in molti casi, che non appaiono all'interrogante regolamentati in maniera corretta ed adeguata nella sfera di applicazione della contrattazione collettiva nazionale, il personale non «decretato» viene utilizzato in maniera impropria, anche se economicamente più vantaggiosa, in compiti di sicurezza sussidiaria o fiduciaria, rendendo ancor più palese l'esistenza di un vuoto legislativo;

   si deve infine considerare il basso livello delle retribuzioni del settore –:

   quali urgenti iniziative di competenza, anche di carattere normativo, intendano adottare al fine di garantire la massima sicurezza e la necessaria ottimizzazione dei tempi di svolgimento dell'attività svolta dai lavoratori del comparto di vigilanza e servizi fiduciari.
(5-02681)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRATOIANNI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   da un articolo pubblicato su La Gazzetta del Mezzogiorno.it, il 30 luglio 2019, si apprende che l'Arpal, l'Agenzia regionale per il lavoro Puglia avrebbe inviato una lettera di convocazione rivolta a «tutti i beneficiari del reddito di cittadinanza» invitandoli a presentarsi il 2 agosto presso la propria sede, in Fiera del Levante, per «partecipare ad un seminario informativo sul Reddito di cittadinanza»;

   secondo gli ultimi dati diffusi dall'Anpal, l'organismo nazionale che opera nello stesso settore di quello regionale Arpal, aggiornati al 23 luglio 2019, le domande di reddito di cittadinanza accolte su Bari sono 23.176;

   la lettera-invito sarebbe datata 24 luglio 2019 e firmata dal responsabile del centro per l'impiego di Bari, Luca Dibello, e a ben leggere non si tratterebbe, a parere dell'interrogante non di un blando invito a partecipare al seminario ma un vero e proprio ordine, tanto che, stando a quanto pubblicato nell'articolo citato, nella lettera si può leggere che «la mancata presentazione potrà essere giustificata solo attraverso valida documentazione probante» e quindi dietro la presentazione di un documento ufficiale che attesti dei motivi specifici e dettagliati per non aver potuto partecipare all'incontro;

   la lettera si concluderebbe con la seguente frase: «La non partecipazione sarà causa di segnalazione ai sensi della legge n. 26 del 2019», cioè la norma che ha introdotto il reddito di cittadinanza e che ne disciplina l'erogazione e l'eventuale decadenza dal diritto;

   su 23.176 domande accolte e facendo una media di nuclei familiari di poco meno di tre persone, si può arrivare a stimare oltre 58 mila tra uomini, donne e bambini, che alle 9 di mattina del 2 agosto 2019 saranno costretti a mettersi in fila per entrare presso gli uffici Arpal in Fiera;

   all'interrogante appaiono poco chiari il motivo di questo seminario e soprattutto la modalità di convocazione e l'obbligo di presenza per i beneficiari del reddito di cittadinanza;

   a parere dell'interrogante si è di fronte a una inaccettabile operazione di marketing da parte dell'Arpal Puglia e ci si augura che comunque non abbia niente a che vedere con la ventilata ipotesi di una visita concomitante del Ministro interrogato nel capoluogo pugliese –:

   di quali elementi disponga il Ministro interrogato in merito alla vicenda di cui in premessa, con particolare riguardo alle ragioni del seminario informativo sul reddito di cittadinanza previsto per il 2 agosto 2019 e circa i criteri per cui l'eventuale mancata partecipazione dovrebbe costituire causa di segnalazione ai sensi della legge n. 26 del 2019, che ha introdotto il reddito di cittadinanza e che disciplina l'erogazione dello stesso e l'eventuale decadenza dal diritto.
(4-03484)


   TOCCALINI, ANDREA CRIPPA, COMENCINI, FRASSINI, GASTALDI, GOBBATO, GOLINELLI, EVA LORENZONI, LUCCHINI, MARCHETTI, MATURI, PIASTRA, PRETTO, RIBOLLA, STEFANI, VALBUSA e ZIELLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   la legge 30 dicembre 2018, n. 145, ha previsto il cosiddetto «bonus eccellenze», in favore dei datori di lavoro privati che assumono a tempo indeterminato, nel corso del 2019, soggetti particolarmente meritevoli in possesso di laurea magistrale o di dottorato di ricerca;

   l'incentivo consiste nell'esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, con esclusione dei premi e contributi per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, per un periodo massimo di 12 mesi, decorrenti dalla data di assunzione, nel limite massimo di 8.000 euro per ogni rapporto di lavoro in oggetto;

   il bonus spetta per i contratti di lavoro a tempo indeterminato anche a tempo parziale – in tal caso proporzionalmente ridotto – e si applica anche agli accordi di trasformazione di rapporti di lavoro a termine in contratti a tempo indeterminato intervenuti sempre nel corso del 2019 e fermo restando il possesso dei requisiti generali;

   la legge ha previsto che l'istituto nazionale della previdenza sociale provveda, con apposita circolare, a stabilire le modalità di fruizione dell'esonero;

   la legge precisa che per ottenere l'esonero si applicano le procedure, le modalità e i controlli previsti dal decreto del Ministro dello sviluppo economico 23 ottobre 2013, nonché le richiamate disposizioni recate dall'articolo 24 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134;

   non è chiaro se con il rinvio alle norme dell'articolo 24 del citato decreto-legge n. 83 del 2012, si renda necessaria l'adozione di un nuovo decreto del Ministro dello sviluppo economico per integrare quello del 23 ottobre 2013, specificamente richiamato dall'articolo 1, comma 715, della legge n. 145 del 2018;

   le risorse per il finanziamento dell'incentivo, nel limite di 50 milioni di euro per il 2019 e di 20 milioni per il 2020, sono poste a carico dei programma operativo nazionale «Sistemi di politiche attive per l'occupazione» e, a tal fine, è previsto che l'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal) provveda a rendere tempestivamente disponibili le predette risorse al fine di determinare la data di effettivo avvio delle agevolazioni –:

   quali iniziative intenda adottare il Governo al fine di velocizzare la definizione degli adempimenti amministrativi, ed eventualmente l'adozione di decreti necessari, che la legge pone a carico dei soggetti istituzionali citati in premessa, in assenza dei quali la disciplina che ha istituito il «bonus eccellenze» non potrà trovare effettiva e concreta applicazione.
(4-03502)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI, FORESTALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   FOTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   sia una legge della regione Emilia-Romagna che lo statuto del Consorzio di bonifica di Piacenza prevedono il voto elettronico per il rinnovo degli organi consortili;

   il Consorzio di bonifica di Piacenza già più volte ha svolto turni elettorali senza utilizzare il voto prescritto dalla legge e dallo statuto;

   in argomento, a quanto consta all'interrogante, esiste un contenzioso proprio per invalidare le elezioni siccome non svolte come prescritto;

   invitata – da una presa di posizione della Lega e del Movimento 5 stelle in consiglio regionale – ad intervenire, la giunta regionale, e in ogni caso i consiglieri Pd, hanno respinto l'invito ad attivarsi presso il Consorzio precitato, affinché si svolgesse con il voto elettronico il prossimo (e vicinissimo) turno elettorale;

   la vicenda in questione appare significativa anche alla luce dell'esigenza di una più ampia riflessione sulla governance dei consorzi di bonifica, in rapporto alla rilevanza del ruolo che sono chiamati a svolgere –:

   se non si intendano adottare le iniziative di competenza, anche di carattere normativo, per assicurare un'adeguata governance degli enti in questione ed il loro effettivo funzionamento, a partire dall'elezione dei relativi organi.
(4-03507)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta orale:


   POLVERINI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   ai sensi delle disposizioni di cui all'articolo 6 del decreto legislativo n. 165 del 2001 (Testo unico del pubblico impiego) con il piano triennale del fabbisogni del personale 2019-2021 (Ptfp) la pubblica amministrazione definisce l'organizzazione degli uffici, al fine di accrescerne l'efficienza, razionalizzare il costo del lavoro pubblico entro i limiti imposti dai vincoli di finanza pubblica e migliorare l'utilizzazione delle risorse umane, assicurando la formazione e lo sviluppo professionale dei dipendenti;

   ai sensi del successivo articolo 35, comma 4, le procedure di reclutamento sono svolte da ciascuna amministrazione sulla base del richiamato piano di cui all'articolo 6 che dispone, altresì, al comma 6, che le amministrazioni che non provvedono a tali adempimenti non possono assumere nuovo personale;

   in virtù del richiamato combinato disposto, quindi la mancata approvazione del predetto Ptfp comporta anche l'applicazione del regime sanzionatorio di cui all'articolo 10 del decreto legislativo n. 150 del 2009, generando l'impossibilità di procedere ad assunzioni di personale;

   il medesimo articolo 6 dispone la rivisitazione annuale del predetto piano, mentre il comma 5-ter del richiamato articolo 35 dispone che le graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche rimangono vigenti per un termine di tre anni dalla data di pubblicazione e quindi la validità di tali graduatorie dovrebbe essere ancorata all'adozione del Ptfp laddove quest'ultimo contempli, al suo interno, l'utilizzo delle medesime, ovvero la necessità di avvalersi dei profili ivi presenti;

   la rimodulazione del piano su base annuale, pertanto, sarebbe opportuno che si effettuasse anche in considerazione delle mutate esigenze delle amministrazioni interessate rilevate nel corso dell'anno e del triennio di vigenza delle graduatorie stesse;

   tuttavia, vale la pena considerare che laddove vi sia un'amministrazione priva di proprie graduatorie vigenti, oppure vi sia la necessità di assumere profili diversi rispetto a quelli disponibili nelle graduatorie, sarebbe opportuno procedere, successivamente ad apposita ricognizione all'interno delle graduatorie vigenti presso altre amministrazioni per profili analoghi anche secondo un principio di equivalenza, all'utilizzo delle graduatorie rispondenti alle predette necessità, avvalendosi delle modalità di cui all'articolo 3, comma 61, terzo periodo, della legge 24 dicembre 2003, n. 350;

   con l'approvazione del decreto-legge n. 4 del 2019, la sottrazione dei servizi educativi e scolastici comunali alle disposizioni relative al sostanziale superamento dell'istituto dell'idoneità concorsuale, ha travolto anche l'ultra vigenza delle graduatorie in essere;

   all'articolo 33, i commi da 2-bis a 2-quater, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (cosiddetto decreto crescita), introdotti nel corso dell'esame alla Camera, intervengono in merito alle procedure concorsuali per il reclutamento del personale educativo degli enti locali, disponendo che ai relativi concorsi si applichino le norme generali che ampliano, in via transitoria, i limiti di durata delle graduatorie a seconda dell'anno di approvazione, con riferimento agli anni 2010-2018 –:

   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative di natura normativa volte a prevedere la proroga di tutte le graduatorie vigenti fino alla fine dell'anno, entro il quale la vigente normativa ne prevede la scadenza, ovvero l'adozione di una proroga selettiva per profili già inseriti tra le carenze di organico nel piano dei fabbisogni predisposto dalle amministrazioni, dove abbiano adempiuto alla definizione dello stesso e, laddove ciò non fosse riscontrabile, facendo riferimento alle carenze in base alle dotazioni organiche preesistenti;

   se intenda adottare iniziative al fine di offrire immediate risposte alle amministrazioni, soprattutto enti locali e sedi decentrate delle amministrazioni di Stato che, utilizzando l'istituto della convenzione, mai abrogato dalla normativa vigente, possono attingere dalle graduatorie delle altre amministrazioni.
(3-00940)

SALUTE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:

   da articoli di stampa locale si apprende che a causa delle gravi carenze di organico, l'Asp 8 Siracusa ha disposto la chiusura immediata e provvisoria del pronto soccorso di Noto, trasferendo tutta l'attività su quello di Avola, sede, nella nuova rete ospedaliera del DA 22/2019, del Polo per acuti. Per far fronte a tali carenze, nei giorni precedenti al provvedimento di chiusura, l'Asp aveva pubblicato un avviso interno per l'espletamento in regime di plus orario di turni aggiuntivi presso i pronto soccorso dei due ospedali dove prestavano servizio soltanto nove medici. La procedura aveva già fatto seguito all'espletamento di altre procedure di mobilità e di reclutamento di personale a tempo determinato, risultate vane. Successivamente alla predisposizione dei turni, cinque dei nove medici avrebbero presentato certificazione di inidoneità al lavoro per motivi di salute, riducendo di fatto l'organico disponibile a quattro medici per entrambi i pronto soccorso. Da qui la decisione di chiudere quello di Noto;

   la direzione aziendale avrebbe trasmesso cautelativamente gli atti all'autorità giudiziaria, considerato che la vicenda è apparsa insolita e meritevole dei dovuti approfondimenti;

   la chiusura del pronto soccorso di Noto rischia di creare pesantissimi disagi a tutta la zona sud della provincia di Siracusa, che, soprattutto dai mesi di maggio a ottobre, vede un notevole incremento di presenze dovuto all'importante flusso turistico, rischiando di creare ulteriore sovraffollamento negli altri pronto soccorso della zona;

   si evidenzia inoltre che in provincia di Siracusa insiste il polo petrolchimico più grande d'Europa, che vede occupati migliaia di lavoratori da tutta la provincia (forse anche oltre) per cui, l'offerta sanitaria andrebbe adeguata anche rispetto a tale circostanza e il pronto soccorso di Noto è forse uno dei pochi in grado di garantire un'assistenza a norma nella provincia, essendo dotato anche di camera calda, di sala operatoria, oltre al servizio di elisoccorso diurno e notturno;

   quanto accaduto comporta un'ulteriore riduzione dell'efficienza dell'offerta sanitaria in una zona della Sicilia che risulta carente già per molti altri aspetti;

   la provincia di Siracusa fa i conti non solo con la carenza di personale medico e sanitario, ma anche con carenze strutturali di alcuni ospedali: a maggio 2019 un distacco dell'intonaco del soffitto di una stanza dell'ospedale Umberto I di Siracusa ha provocato il ferimento di due ricoverati, nel mese di giugno il «Comitato Pro Trigona» avrebbe messo in discussione il certificato di agibilità dell'ospedale 4 di Avola;

   tale criticità è destinata ad acuirsi a seguito dell'entrata in vigore delle disposizioni sul pensionamento anticipato («quota 100»), che inciderà sulla consistenza numerica del personale sanitario in servizio, rischiando di compromettere l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza;

   l'articolo 11 del decreto-legge n. 30 del 2019 ha l'obiettivo di rivedere i limiti alla spesa di personale del servizio sanitario nazionale salvaguardando nel contempo l'equilibrio economico finanziario del sistema, nel rispetto degli adempimenti relativi all'erogazione dei livelli essenziali di assistenza;

   il comma 3 dell'articolo 11 prevede che regioni e province autonome, previo accordo con il Ministero della salute e il Ministero dell'economia e delle finanze, possono ulteriormente incrementare i limiti di spesa di cui al comma 1 di un ammontare non superiore alla riduzione della spesa già sostenuta per servizi sanitari esternalizzati prima dell'entrata in vigore del decreto-legge;

   sembrerebbe, inoltre, che negli ultimi mesi i cittadini della zona sud della provincia di Siracusa avrebbero messo in atto proteste contro la paventata chiusura dell'ospedale «Trigona» e perché ritengono che alla zona sud siano stati assegnati la metà dei posti letto previsti dal decreto Balduzzi:

   nel report 2009-2012 dell'Asp di Siracusa, tuttavia, si legge che a Noto saranno assicurate anche le funzioni per acuti grazie a una innovativa sperimentazione pubblico-privato che assicurerebbe una completa offerta ospedaliera, tanto ad Avola quanto a Noto -:

   se sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e se non ritenga opportuno attivare le iniziative di competenza per acquisire un quadro aggiornato circa il rispetto dei livelli essenziali di assistenza negli ospedali di Noto, Avola, Siracusa e in tutti gli ospedali della provincia, al fine di garantire il diritto fondamentale alla salute che troppo spesso, negli ultimi anni, sembra essere stato messo in secondo piano, per carenza di personale, non solo medico, e carenze strutturali, anche alla luce delle esigenze di razionalizzazione imposte dal piano di «rientro»;

   di quali elementi disponga circa l'effettiva presenza dei posti letti assegnati dal «decreto Balduzzi» agli ospedali della provincia di Siracusa e circa l'eventuale chiusura definitiva dell'ospedale Trigona di Noto, tenuto conto che grazie, ad una innovativa sperimentazione pubblico-privato, potranno essere assicurate anche le funzioni per acuti e quindi un'offerta ospedaliera completa tanto a Noto quanto ad Avola anche alla luce di quanto predisposto dal decreto-legge n. 30 del 2019, nonché alla luce di quanto riportato sul report 2009-2012 dell'Asp di Siracusa in ordine alle procedure inerenti alla sperimentazione gestionale pubblico-privato a Noto.
(2-00477) «Ficara, Grippa, Scerra, Lorefice».

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'ATTIS. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il 9 maggio 2019 si sono svolte a Stresa le votazioni con strumento elettronico per l'elezione del consiglio direttivo nazionale della Snc (società di neurochirurgia, neurologia e neuroradiologia ospedaliera);

   tale elezione è stata inficiata 1) dalla mancata identificazione dei votanti, 2) dalla mancata pubblicazione sul sito della società del regolamento, e quindi dalla impossibilità di valutare se era contemplato e possibile il voto tramite strumento elettronico;

   l'articolo 48 della Costituzione garantisce la personalità del voto con l'obbligo della identificazione dei votanti nei termini di legge;

   la Sno rientra nell'elenco delle società e delle associazioni tecnico-scientifiche pubblicato dal Ministero della salute, in attuazione dell'articolo 5 della legge n. 24 del 2017, e pertanto è tenuta ad operare secondo principi di legittimità e trasparenza in conformità al dettato costituzionale –:

   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere, per quanto di competenza, in relazione alle elezioni del consiglio direttivo nazionale della Sno del 9 maggio 2019;

   se, in mancanza di una nuova elezione espletata in condizioni di pieno rispetto dei principi costituzionali e della legge, il Ministro non ritenga necessario adottare le iniziative di competenza per la sospensione della Sno dall'albo delle società scientifiche e associazioni tecnico-scientifiche pubblicate dal Ministero in attuazione dell'articolo 5 della legge n. 8 del 2017.
(4-03479)


   CECCANTI e DE FILIPPO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   ai sensi del comma 538 dell'articolo 1 della legge n. 145 del 2018 il Ministro della salute emana un decreto per l'istituzione degli elenchi speciali ad esaurimento ai quali si possono iscrivere quegli operatori che abbiano svolto, per almeno tre anni negli ultimi dieci, le attività riconducibili alle professioni sanitarie entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della medesima legge;

   tale limite è stato superato. Il ritardo nell'emanazione di tale decreto attuativo sta generando frustrazione e preoccupazione nelle persone interessate per il ragionevole terrore di perdere il proprio lavoro dopo decenni di attività lavorativa nel servizio sanitario nazionale o in strutture sanitarie private;

   in queste ore i rappresentanti delle associazioni maggiormente rappresentative e gli ordini provinciali stanno emettendo giudizi di non conformità, pur trattandosi di titoli conformi al pregresso ordinamento e iscrivibili negli elenchi speciali;

   a quanto consta agli interroganti il decreto sarebbe pronto da mesi e non sarebbe emanato per tutelare oltremodo una specifica categoria di operatori in spregio alle altre migliaia di lavoratori che nel frattempo rischiano di perdere il proprio lavoro;

   il Ministero, a quanto risulta agli interroganti, avrebbe consigliato alle regioni di aspettare il 31 dicembre 2019 prima di procedere individualmente per coloro che si trovassero non iscritti all'Ordine –:

   se trovi conferma quanto esposto in premessa e per quali ragioni il decreto ministeriale non sia stato ancora emanato dal Ministro a circa 200 giorni dall'entrata in vigore della legge n. 145 del 2018;

   se non sia il caso di emanare, nelle more dell'emanazione del decreto, una circolare relativa al comportamento da seguire in questa fase di transizione.
(4-03489)


   GEMMATO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto si evince dalla segnalazione inviata dall'Associazione igienisti dentali italiani ad alcuni dirigenti del Ministero della salute e del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, pare sussistano alcune problematiche legate alla qualità di alcuni corsi di formazione online erogati da un istituto spagnolo e al conseguente riconoscimento in Italia dei titoli ottenuti dagli studenti che consentirebbe loro di operare nel nostro Paese senza la necessaria professionalità;

   in particolare, l'Aidi si riferisce all'istituto «Ilerna online», che sarebbe riconosciuto dal Ministero dell'istruzione spagnolo e che promuoverebbe sul proprio sito internet corsi di formazione online relativi alla professione di Igienista dentale. L'istituto preciserebbe ai potenziali studenti che, una volta ottenuto il titolo di studio, «... potranno richiedere il riconoscimento della qualifica professionale in Italia in tempi brevi, in italiano, a distanza e senza alcuna necessità di doversi recare nella sede in Spagna...»;

   l'istituto spagnolo, sul proprio sito internet, preciserebbe inoltre che «(...) La qualifica professionale che si ottiene è interamente riconoscibile in Italia (...)» e che gli studenti che si iscrivono «(...) saranno quindi legittimati a esercitare la libera professione di igienisti dentali come se fossero in possesso di una laurea triennale (...)»;

   l'Aidi segnala, inoltre, che l'istituto erogherebbe anche un servizio di riconoscimento del titolo ottenuto a seguito del corso online presentandolo ai propri potenziali studenti «(...) come mero adempimento burocratico (...)» e non come processo amministrativo selettivo e discrezionale, e da effettuarsi preso il Ministero della salute sulla base di direttive dell'Unione europea relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali;

   l'Aidi sottolinea, ancora, che l'istituto spagnolo farebbe solo «... cenno alla possibile richiesta per mezzo di decreto ministeriale di una misura compensativa (espressione volutamente vaga)...» ovvero alla necessità di svolgimento di esami presso le università italiane volti ad accertare le effettive competenze acquisite dagli studenti durante i corsi effettuati all'estero oppure online e propedeutici al riconoscimento dei titoli professionali ottenuti;

   secondo l'Aidi l'istituto spagnolo non accennerebbe in alcun modo alle «... evidenti (macroscopiche) differenze (qualitative e quantitative) tra il corso pubblicizzato e i corsi di laurea erogati in Italia nonché ai criteri periodicamente stabiliti per determinare il fabbisogno italiano di professionisti in Igiene Dentale (...)»;

   una ulteriore segnalazione della stessa problematica è stata inoltrata ai Ministeri anche dalla Conferenza permanente delle classi di laurea delle professioni sanitarie che, in particolar modo, ha richiesto al dicastero di adottare una serie di provvedimenti volti a garantire il più possibile la qualità dei professionisti sanitari operanti in Italia. In particolar modo, la Conferenza avrebbe proposto:

    a) di richiedere alle università straniere che desiderano e/o che hanno attivato percorsi formativi in Italia, gli stessi requisiti di accreditamento vigenti per i corsi di studio italiani, quali l'evidenza di una dotazione di strutture didattiche, di un corpo docente di ruolo per quantità e Ssd, e di strutture assistenziali adeguate a quantità e tipologia di Drg in coerenza ai corsi integrati ed ai Ssd inclusi nell'ordinamento del corso di studio;

    b) di obbligare gli atenei italiani che rilasciano titoli congiunti con università straniere a indicare nella propria offerta didattica (scheda SUA) tale peculiarità, dandone piena evidenza anche in accordo ai processi di accreditamento vigenti (AVA 2.0);

    c) di applicare alle università straniere che hanno sede in Italia, autonome o con rilascio di titolo congiunto, le stesse regole di accesso programmato per numero di posti, procedure, data e contenuti delle prove di ammissione, in accordo alle normative ministeriali vigenti –:

    se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero e, in caso affermativo, quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare al fine di garantire maggiormente la qualità dei futuri professionisti sanitari operanti sul territorio italiano che conseguono titoli abilitanti la professione di igienista dentale all'estero, ovvero tramite corsi online, eventualmente considerando anche le istanze e i suggerimenti della Conferenza permanente delle classi di laurea delle professioni sanitarie.
(4-03498)


   SARLI, SPORTIELLO e GRIPPA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il giornale La Repubblica, cronaca di Napoli del 19 luglio 2019, riporta la notizia di un tentato suicidio di una donna, affetta da schizofrenia e residente nella città di Napoli;

   lo svolgersi dei fatti ha visto prima il tentativo della donna di procurarsi ferite con un coltello, per, poi, concludersi con un salto dalla finestra, che le ha procurato profonde ferite alla testa e un conseguente ricovero ospedaliero;

   precedentemente nella stessa giornata, un'ora prima dell'accaduto, allertato dai familiari, si era recato presso l'abitazione lo specialista psichiatrico dell'Asl competente territorialmente, che aveva valutato le condizioni della donna malata e suggerito il ricovero, ma per il giorno dopo;

   i familiari della donna malata, dalle pagine del giornale La Repubblica, mettono sotto i riflettori la condotta del medico dell'Asl per la sua errata previsione sui tempi del ricovero della donna malata, così come lanciano un allarme rispetto alla tenuta delle attività dei centri salute mentale, che dovevano sopperire alla chiusura dei manicomi ma che hanno subìto tagli drastici nei finanziamenti; tali riduzioni di finanziamenti hanno messo in difficoltà le funzioni dei centri di salute mentale e di conseguenza i malati e le loro famiglie risulterebbero essere abbandonati;

   la cura per i pazienti psichiatrici, continuano i familiari della donna, non può consistere nel contenimento del «pericolo sociale» del malato, ma nel suo pieno inserimento nel contesto sociale. Serve dare continuità alla «legge Basaglia» che mette al centro percorsi inclusivi e di condivisione per la cura e la riabilitazione dei malati psichiatrici –:

   se intenda, per il tramite del commissario ad acta per il rientro dal disavanzo sanitario della regione Campania, verificare se siano assicurati i percorsi di cura e di riabilitazione previsti dai livelli essenziali di assistenza, per i pazienti con disturbi mentali assistiti dalle strutture dell'Asl Napoli 1;

   quale sia lo stato delle attività dei centri di salute mentale a Napoli e in Campania e quanti siano i malati presi in carico nonché il numero dei tentati suicidi in Campania e in Italia legato a patologie schizofreniche;

   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare affinché siano appurate eventuali disfunzioni operative nel caso del tentato suicidio della malata schizofrenica sopra descritto.
(4-03499)


   SPORTIELLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il decreto 2 aprile 2015, n. 70, Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera, all'allegato 1, prevede:

    al punto 1.4, che le linee guida dovranno fornire indicazioni, in modo che i criteri di ammissione ai trattamenti ospedalieri siano: specificamente definiti per l'ammissione di ricovero ordinario in strutture/UO ospedaliere per acuti; ricoveri diurni in strutture/UO ospedaliere per acuti;

    al punto 1.5 prevede che le regioni nell'adottare la riorganizzazione della rete ospedaliera nel rispetto della dotazione di posti letto assumono come riferimento un tasso di ospedalizzazione pari a 160 per mille abitanti di cui il 25 per cento riferito a ricoveri diurni;

    al punto 8.1.1 è prevista all'interno del disegno globale della rete ospedaliera l'articolazione delle reti per patologia che integrano l'attività ospedaliera per acuti e post acuti con l'attività territoriale, in particolare: rete infarto; rete ictus; rete traumatologica; rete neonatologica e punti nascita; rete medicine specialistiche; rete oncologica; rete pediatrica; rete trapiantologia; rete terapia del dolore; rete malattie rare;

   il commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro sanitario campano, con decreto n. 103 del 28 dicembre 2018, al punto 7.5.4 - macro-area della Asl NA 3 Sud, descrive che il patrimonio edilizio della Asl NA 3 Sud fa rilevare una carenza di strutture utilizzabili nell'area dell'emergenza/urgenza. Ulteriore complessità è rappresentata dalle forti criticità di viabilità esistenti in penisola sorrentina, dove insiste un rilevante flusso turistico;

   viene riportato il numero dei posti letto delle case di cura per la degenza dei malati acuti dell'Asl NA 3 Sud;

   il presidio ospedaliero Torre del Greco rimane dotato di proprio pronto soccorso e viene configurato anche quale polo oncologico e di lungodegenza e riabilitazione;

   il presidio ospedaliero Torre del Greco è abbinato al presidio ospedaliero, «S. Anna SS. Madonna della Neve» di Bosco Trecase, i due ospedali costituiscono «Gli Ospedali riuniti area vesuviana»;

   l'associazione Pro Maresca di Torre del Greco ha denunciato (in una sua nota di giugno 2019) che la mancanza di posti letto per l'assistenza ospedaliera per malati acuti comporta per gli abitanti del territorio sul quale insiste l'Asl NA 3 Sud gravi rischi per la salute; molti pazienti sono costretti a ricorrere alla mobilità passiva regionale o extra regionale per vedere garantito il diritto alla salute –:

   se non si intendano adottare le iniziative di competenza, per il tramite del commissario ad acta per il rientro dai disavanzi sanitari della regione Campania, per verificare quanti siano i posti letto destinati alla rete della medicina di emergenza/urgenza per i malati acuti che necessitano d'interventi sanitari ed ospedalieri di carattere complesso nell'Asl NA 3 Sud;

   se sia a conoscenza del numero di pazienti residenti nell'area territoriale dell'Asl NA 3 Sud che utilizzano la mobilità regionale ed extra regionale per assicurarsi le cure;

   se sia a conoscenza del numero di pazienti assistiti dalle strutture dell'Asl NA 3 Sud riconducibili ai flussi turistici e quali conseguenze abbiano in termini di erogazione dei servizi sanitari della suddetta Asl;

   se, anche per il tramite del Commissario ad acta per l'attuazione del Piano di rientro dai disavanzi, non si intenda appurare se il presidio ospedaliero Maresca di Torre del Greco sia, eventualmente, sottodimensionato per quanto riguarda i posti letto afferenti alla rete di medicina di emergenza/urgenza;

   se non si intenda accertare il grado di erogazione dei livelli essenziali di assistenza per i cittadini di Torre del Greco e dell'intera area vesuviana e se, eventualmente, non si intenda valutare l'avvio di una verifica nella Asl NA 3 Sud per accertare se siano state rispettate tutte le procedure previste a garanzia della qualità e dell'appropriatezza delle cure.
(4-03501)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:


   LOSACCO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   come riportato dagli organi di informazione, tutti i beneficiari pugliesi del reddito di cittadinanza sono stati convocati il 2 agosto 2019 in Fiera del Levante per un seminario formativo di cui però non sono chiari né gli obiettivi né le modalità di svolgimento;

   sempre secondo gli organi di informazione, l'Arpal Puglia ha inviato una lettera di convocazione per ciascun precettore, con intimazione a presentarsi e sottolineando come «la mancata presentazione potrà essere giustificata solo attraverso valida documentazione probante.» Inoltre, si sottolinea sempre nella lettera, «la non partecipazione sarà causa di segnalazione ai sensi della legge n. 26 del 2019» ossia il provvedimento che ha introdotto il reddito e che ne disciplina l'erogazione e l'eventuale decadenza dal diritto;

   le organizzazioni sindacali hanno espresso scetticismo, sottolineando come, non essendo chiari gli scopi e anche la platea complessiva – non è chiaro, ad esempio, se deve presentarsi solo il beneficiario o anche il nucleo familiare – questo seminario, cui, sulla carta, prenderanno parte non meno di 23 mila persone, ha il vago sapore di una manifestazione di propaganda per il Governo;

   tutto questo appare, ad avviso dell'interrogante, fortemente lesivo della privacy e della riservatezza cui ha diritto un cittadino rispetto a dati sensibili quali quelli relativi alla propria condizione economica e a quella della sua famiglia;

   nel patto per il lavoro e in quello per l'inclusione sociale che il beneficiario del reddito è chiamato a sottoscrivere non si fa menzione alcuna della partecipazione a simili eventi, che in alcun modo possono prefigurarsi come un momento di attivazione sociale e lavorativa, nonché volto alla redazione del bilancio delle competenze o all'impegno ad accettare una delle 3 offerte lavorative che rispondano a un principio di congruità –:

   in che modo questa convocazione si collochi rispetto alla cornice normativa che ha introdotto il reddito di cittadinanza, considerato che l'intera normativa sulle politiche attive del lavoro risulta essere ancora nebulosa e priva di certezze e se e quali iniziative di competenza intenda assumere in relazione a quanto riportato in premessa, posto che la situazione appare assolutamente anomala e lesiva della riservatezza, della privacy e della dignità dei suoi beneficiari.
(3-00938)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FOTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   Selta s.p.a. è un'azienda che opera nell'ambito della cyber security e degli impianti ad alta tecnologia digitale (quali – ad esempio – l'automazione delle reti di telecomunicazione, elettriche e ferroviarie) e ha proprie sedi a Cadeo (in provincia di Piacenza), Tortoreto Lido (Teramo), Roma e Avellino, presso le quali sono impiegate complessivamente 250 persone;

   a seguito del ricorso presentato ai sensi dell'articolo 161, comma 6, della legge fallimentare da Selta S.p.a. davanti il tribunale di Milano – sezione fallimentare di Milano – il predetto tribunale nominava un commissario giudiziale con il compito di vigilare sull'attività di Selta S.p.a. fino alla scadenza del 1° aprile 2019 per la presentazione di concordato preventivo o di domanda di omologa di accordi di ristrutturazione dei debiti;

   con decreto del 1° aprile 2019, il tribunale di Milano indicava in tre il numero dei commissari giudiziali ritenuti opportuni «stante la sussistenza sia di problematiche aziendali e industriali e di prosecuzione della gestione con un numero non trascurabile di lavoratori, sia di problematiche giuridiche che i contratti ed appalti in corso comportano»;

   il 13 maggio 2019 veniva depositata in cancelleria al tribunale di Milano la relazione ex articolo 28 del decreto legislativo n. 270 del 1999;

   con decreto del 12 giugno 2019 il tribunale di Milano dichiarava l'apertura della procedura di amministrazione straordinaria della società «Selta Sp.a.»;

   con decreto 27 giugno 2019 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale serie generale n. 157 del 6 luglio 2019) il Ministro dello sviluppo economico provvedeva alla nomina dei commissari straordinari di Selta S.p.a. nelle persone degli stessi professionisti già designati quali commissari giudiziali in data 10 aprile 2019 «al fine di garantire la continuità dell'attività gestoria nonché nell'ottica di ottimizzare le risorse e valorizzare l'esperienza acquisita»;

   se è vero che l'avvio delle dette procedure è servito a sbloccare una situazione di incertezza e immobilismo nell'azienda, già fortemente compromessa a causa di errate scelte gestionali che avevano causato un passivo complessivo di circa 47 milioni di euro, altrettanto vero è che appare fondamentale la particolare attenzione che il Ministero dello sviluppo economico deve prestare alla questione che qui interessa;

   anche a fronte degli impegni assunti dal sottosegretario per lo sviluppo economico Davide Crippa in occasione della risposta resa all'atto di sindacato ispettivo n. 5-01120 a firma dell'interrogante, se sia tuttora attivo il tavolo di confronto la cui costituzione era stata ipotizzata dal rappresentante del Governo e quali iniziative e risultati ne siano conseguiti.
(5-02669)


   VIANELLO, DAGA, DEIANA, D'IPPOLITO, FEDERICO, ILARIA FONTANA, LICATINI, ALBERTO MANCA, MARAIA, RICCIARDI, ROSPI, TERZONI, TRAVERSI, VARRICA, VIGNAROLI e ZOLEZZI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   è noto che presso il Centro Oli Val d'Agri (Cova), nel comune di Viggiano, nel periodo che va dall'anno 2016 all'anno 2017, si è verificata una perdita di petrolio da alcune cisterne, risultate corrose, causando una grave situazione di inquinamento ambientale del territorio circostante, comprese le falde acquifere, compromettendo finanche la potabilità dell'acqua;

   nell'aprile 2019, proprio in ordine agli sversamenti di petrolio verificatisi a Viggiano tra il 2016 e il 2017, la procura della Repubblica di Potenza ha disposto l'arresto dell'allora direttore dello stabilimento Cova e indagato altre dodici persone, per disastro ambientale;

   nell'ambito della medesima vicenda, è altresì noto che un ingegnere, dirigente del Cova, si è tolto la vita, lasciando delle lettere in cui il medesimo assumeva che le corrosioni delle cisterne fossero già state accertate in precedenza all'evento a seguito di ispezioni ad hoc, poi sottaciute per ordini superiori;

   l'ingegnere assumeva che all'interno del greggio ci fossero sostanze in grado di lesionare e corrodere le cisterne, se non rispondenti a determinate caratteristiche tecniche. Da fonti di stampa, emerge che il medesimo, in una specifica mail, riferirebbe che le stesse condizioni di pericolo sussisterebbero anche per le cisterne presenti nella raffineria Eni di Taranto (dove viene destinato il greggio del Cova);

   è noto il dovere di vigilanza, per le parti di propria competenza, ai fini del rilascio e dei successivi rinnovi dell'autorizzazione, da parte del Ministero dello sviluppo economico, anche in ordine ai requisiti previsti dalla legge per la regolarità dei serbatoi –:

   quali iniziative siano state assunte dal Governo, per quanto di competenza, per verificare la sicurezza dei serbatoi dello stabilimento della raffineria Eni di Taranto ai fini del rilascio dell'autorizzazione allo svolgimento dell'attività e della conformità alle norme tecniche previste dalla legge e alla regolamentazione in materia da applicare alla progettazione, costruzione, installazione, conduzione e manutenzione, nonché ai controlli e agli interventi relativi ai serbatoi;

   se si intenda promuovere per quanto di competenza e di concerto con le autorità locali l'esecuzione di campionamenti per verificare eventuali contaminazioni delle matrici ambientali.
(5-02673)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ROSPI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   l'impianto Itrec è un impianto nucleare italiano, situato nel centro di ricerca Enea-Trisaia di Rotondella (Matera), gestito dalla società Sogin s.p.a. e utilizzato per la conservazione e la sperimentazione del ritrattamento del combustibile nucleare derivato da un ciclo uranio-torio;

   la Sogin s.p.a., società di Stato incaricata della bonifica ambientale dei siti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi provenienti dalle attività industriali, ha rilevato l'esercizio dell'impianto al fine di attuarne la disattivazione e lo smantellamento, limitandone le funzioni alla gestione delle materie nucleari presenti e dei rifiuti radioattivi;

   nel centro di Rotondella sono presenti 84 barre di uranio-torio che, negli anni tra il 1969 e il 1971, ai sensi di un accordo mai ratificato dal Parlamento italiano, giunsero dal reattore di Elk River, nel Minnesota (Stati Uniti d'America) all'allora Cnen, oggi Itrec;

   all'interno del centro nel corso degli anni ci sono stati diversi avvenimenti anomali, quali alcune perdite di liquido contaminato dell'intonaco di protezione del monolite interrato contenente rifiuti radioattivi derivanti dalle pregresse attività dell'impianto;

   è di questi giorni la notizia che la Commissione ambiente ed energia della Conferenza delle regioni e province autonome sta discutendo sullo schema di decreto del Presidente del Consiglio, su proposta del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di approvazione del programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito dei rifiuti radioattivi, che prevede le linee guida sulla gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare esaurito fino alla fase di smaltimento;

   lo schema di decreto riguarda anche lo smaltimento delle barre di uranio contenute all'interno del centro Itrec di Rotondella;

   dagli organi di stampa si viene a sapere della possibilità che all'interno della regione Basilicata venga individuato il sito nazionale delle scorie radioattive;

   il territorio lucano è un territorio altamente sismico, con ampie zone in dissesto idrogeologico, per questo non idoneo alla installazione del deposito unico di stoccaggio delle scorie nucleari –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intendano assumere al fine di fare maggiore chiarezza, anche attraverso il coinvolgimento della società Sogin s.p.a., in merito alla possibilità che venga individuato in Basilicata il sito unico nazionale delle scorie radioattive.
(4-03497)


   CAPARVI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   l'Enel s.p.a. è presente a Gualdo Cattaneo con un sito denominato «Centrale P. Vannucci di Bastardo» da oltre mezzo secolo e in questo periodo ha prodotto energia elettrica attraverso olio combustibile denso (dal 1967 al 1990) e carbone (dal 1991 fino al 2017);

   per ben mezzo secolo il territorio del comune di Gualdo Cattaneo, del comune di Giano dell'Umbria e dei comuni limitrofi ha subito, per le ragioni della combustione, un inquinamento atmosferico;

   la centrale termoelettrica denominata «Centrale di Bastardo», sita a Gualdo Cattaneo, risulta essere in regola dal punto di vista ambientale, avendo l'autorizzazione integrata ambientale fino a tutto il 2023 (ed essendo ad oggi ancora un impianto disponibile ad entrare in esercizio in 1000 minuti);

   l'amministrazione comunale di Gualdo Cattaneo e l'amministrazione comunale di Giano dell'Umbria vogliono partecipare alla definizione delle linee di indirizzo ed essere protagoniste delle scelte industriali che Enel s.p.a. intende fare sul proprio territorio, al fine di preservare l'ambiente e tutelare la salute dei cittadini;

   l'impianto di Enel s.p.a. ha costituito per anni il centro industriale di maggior consistenza sul territorio, essendo stato anche volano dello sviluppo economico del territorio dei comuni sopra citati;

   le amministrazioni comunali sono contrarie al progetto Futur-e promosso da Enel s.p.a. e dalla regione Umbria che prevede la vendita del sito senza un vero futuro per il medesimo;

   la presenza di Enel s.p.a. sul territorio rimane fondamentale per il comune di Gualdo Cattaneo e per il comune di Giano dell'Umbria –:

   se risulti come Enel s.p.a. intenda reindustrializzare l'isola produttiva e le aree pertinenti all'impianto, sviluppando magari un hub tecnologico improntato alla green economy, grazie alle competenze ed alla professionalità che Enel s.p.a. può vantare insieme alle altre società del gruppo;

   se il Governo intenda, alla luce delle considerazioni sopra esposte, adottare le iniziative di competenza per collocare, quale polo strategico, entro gennaio 2020, la centrale «P. Vannucci di Bastardo» all'interno dell'elenco nazionale del «Capacity Payment», e per bloccare il processo di vendita in atto con il progetto Futur-e.
(4-03503)


   OCCHIONERO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   l'associazione Nuovo Senso Civico di Lanciano ha presentato, in data 2 novembre 2018, un ricorso straordinario ex articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, n. 1199, in relazione all'autorizzazione alla costruzione ed esercizio dell'opera denominata Metanodotto Larino-Chieti;

   il metanodotto Larino-Chieti è un'opera che è parte del piano di sviluppo decennale degli investimenti 2014-2023 che è stata inserita nella rete nazionale di trasporto del gas e prevede la realizzazione di un metanodotto della lunghezza di 11 chilometri;

   diverse amministrazioni comunali hanno espresso pareri contrari, ad esempio il comune di Lanciano con atto del 20 febbraio 2015 prot. 0010040;

   con delibera di giunta le regioni Molise e Abruzzo hanno espresso l'intesa per il rilascio dell'autorizzazione al metanodotto Larino-Chieti;

   le linee guida della Commissione europea sulla valutazione ambientale strategica (Vas) in relazione ai piani di sviluppo chiariscono che le aziende private sono assoggettate alla direttiva 42/2001/CE in quanto equiparabili a un soggetto che svolge una funzione pubblica e quindi il metanodotto doveva essere soggetto a valutazione di impatto ambientale e a valutazione di incidenza ambientale (Vinca);

   sussisterebbe una dubbia legittimità della dichiarazione di variante automatica introdotta con il decreto autorizzativo del metanodotto Larino-Chieti in quanto costituisce variante agli strumenti urbanistici, dei piani di gestione territoriali e tutela del territorio;

   la Corte di giustizia europea con sentenza 22 settembre 2011 si è espressa statuendo che una normativa che preveda varianti automatiche di piani senza la assoggettabilità a Vas delle stesse sia contraria alle norme comunitarie e in particolare alla direttiva 42/2001/CEE;

   si registrerebbe anche una non conformità all'articolo 89 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001;

   per quanto attiene allo stoccaggio Stogit al momento del rilascio del decreto autorizzatorio questo sarebbe stato privo di piano di emergenza esterno. Il rapporto di sicurezza è del 2015, ma non risulta ancora approvato definitivamente dal Comitato di coordinamento regionale;

   il metanodotto fa parte di un progetto più ampio, che prevede il collegamento con i pozzi di estrazione e gli stoccaggi esistenti, come il «Treste», o in progetto, come quelli di San Martino sulla Marrucina e del Sinarca. Quest'ultima opera interesserà i comuni di Guglionesi, Montecilfone, Palata e Montenero di Bisaccia e, date le caratteristiche (immagazzinamento di 300 milioni di metri cubi ed erogazione giornaliera di 3,2 milioni di metri cubi), desta ancor più preoccupazione;

   in base a quanto previsto dalla «direttiva Seveso» è un impianto a rischio di incidente rilevante, pertanto necessita del piano di emergenza esterno per la popolazione;

   è evidente l'inopportunità di realizzare siffatte opere in un territorio che, già fragile, è stato interessato di recente dall'apertura di una nuova faglia;

   il metanodotto Larino-Chieti, oltre all'area archeologica di Montenero di Bisaccia, attraverserà 8 siti di interesse comunitario per la biodiversità, una zona di protezione speciale e il bosco Corundoli di Montecilfone. Per tale ragione l'area è classificata come Iba (Important Bird Areas);

   i lavori, particolarmente invasivi, comporteranno l'espianto di un numero elevato di alberi e piante di particolare pregio. Ciò nonostante il consiglio comunale di Montecilfone, con delibera n. 23 del 1° dicembre 2018, ha concesso a SGI la servitù di passaggio nel bosco Corundoli per la somma di 70.000 euro;

   il Comitato I Discoli del Sinarca, nei mesi scorsi, ha promosso una raccolta firme al fine di impedire che i lavori arrechino danni all'area in questione –:

   quali siano gli orientamenti del Governo sulle criticità evidenziate in premessa;

   se, alla luce di quanto espresso in premessa, il Governo non ritenga necessario che il tracciato del metanodotto Larino – Chieti venga modificato accogliendo le istanze della popolazione locale.
(4-03510)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Gadda e altri n. 7-00237, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 aprile 2019, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Martina.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Scalfarotto n. 5-01268, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 gennaio 2019, deve intendersi sottoscritta anche dalla deputata Quartapelle Procopio.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Gabriele Lorenzoni n. 5-02430, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 luglio 2019, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Cataldi, Del Monaco, Parentela, Rachele Silvestri, De Toma, Sut, Ilaria Fontana, Varrica, Francesco Silvestri, Terzoni, Trano, De Lorenzis, Scagliusi.

  L'interrogazione a risposta scritta Ciaburro n. 4-03382, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 luglio 2019, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Prisco.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Rizzo e altri n. 5-02616, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 luglio 2019, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Saitta.

  L'interrogazione a risposta scritta Caso n. 4-03470, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 luglio 2019, deve intendersi sottoscritta anche dalla deputata Giordano.

Cambio dell'ordine dei firmatari ad una mozione.

  La mozione Ianaro, D'Uva e Iezzi n. 1-00193 pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 giugno 2019, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Ianaro, Iezzi e D'Uva».

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:

   interrogazione a risposta in Commissione Costanzo e altri n. 5-01734 del 21 marzo 2019 in interrogazione a risposta scritta n. 4-03486;

   interrogazione a risposta in Commissione Gabriele Lorenzoni e altri n. 5-02430 del 3 luglio 2019 in interrogazione a risposta scritta n. 4-03492.

ERRATA CORRIGE

  Risoluzione Cardinale ed altri n. 7-00237 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 206 del 10 luglio 2019.

   Alla pagina 7438, seconda colonna, aggiungere, in fine, la seguente riga: «Ritiro di firma ad una risoluzione e cambio presentatore».

   Alla pagina 7438, seconda colonna, la riga quindicesima deve intendersi soppressa.

   Alla pagina 7468, seconda colonna, le righe dalla trentaseiesima alla trentanovesima devono intendersi soppresse.

   Alla pagina 7469, seconda colonna, aggiungere, in fine, le seguenti righe: «Ritiro di una firma ad una risoluzione e cambio presentatore. Risoluzione Cardinale ed altri n. 7-00237, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 206 del 10 luglio 2019: è stata ritirata la firma della deputata Cardinale e, conseguentemente, la risoluzione deve intendersi presentata dalla deputata Gadda:».

  Interrogazione a risposta scritta Amitrano e altri n. 4-03430 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 216 del 26 luglio 2019. Alla pagina 7834, seconda colonna, dalla riga quarantunesima alla riga quarantaduesima deve leggersi: «“spazzamare” potrebbe provocare delle ricadute, oltre che sullo stato dell'ambiente e», e non come stampato.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BIGNAMI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   nella camera di consiglio del 31 ottobre 2017 la seconda sezione del Tar ha stabilito di accogliere il ricorso di alcuni Comitati, associazioni e cittadini contro la sopraelevazione, autorizzata, della discarica Tre Monti di Imola;

   il Tar ha dunque annullato la delibera di giunta della regione Emilia-Romagna n. 2262 del 21 dicembre 2016 avente ad oggetto «provvedimento di VIA del progetto per l'ampliamento della discarica Tre Monti: recupero volumetrico in sopraelevazione del 3° lotto nel comune di Imola (BO) - Proponenti CON.AMI ed Herambiente» e altri atti a essa connessi;

   secondo il Tar, il parere non favorevole della Soprintendenza al progetto di ampliamento andava tenuto in debita considerazione anche in riferimento alla sopraelevazione, «non foss'altro perché lo stesso riguardava anche la porzione del progetto di sopraelevazione – già oggetto di parere negativo – e non soltanto la realizzazione del 4° lotto»;

   il progetto di cui si rendeva noto il deposito con Bollettino ufficiale della regione del 23 settembre 2015 prevedeva infatti un recupero volumetrico in sopraelevazione per 375.000 tonnellate e la realizzazione di un quarto lotto (ampliamento) per 1.125.000 tonnellate. A seguito del parere negativo della Soprintendenza, l'iter proseguiva per la sola sopraelevazione che poi veniva autorizzata con la delibera della giunta regionale sopra richiamata;

   il Tar, in sostanza, ha specificato che il parere negativo della Soprintendenza andava considerato nel suo complesso e che la regione avrebbe dovuto valutare l'impatto ambientale in un'ottica complessiva dell'intervento;

   a seguito della sentenza del Tar l'assessorato regionale competente confermava comunque l'autosufficienza della regione nonostante lo «stop» dell'impianto Tre Monti;

   tuttavia, la giunta procedeva a fare ricorso al Consiglio di Stato per l'annullamento, previa sospensione, della sentenza del Tar sopra richiamata, con delibera della giunta regionale n. 300 del 5 marzo 2018;

   è tuttora in corso la procedura di valutazione di impatto ambientale, con proponenti ConAmi e Herambiente, per l'ampliamento della discarica Tre Monti per 1.125.000 tonnellate;

   va rilevato che la discarica di Imola ha oltre 40 anni di vita ed era nata per soddisfare un bisogno di stoccaggio rifiuti prettamente territoriale. Negli anni tuttavia questa discarica ha accolto rifiuti da ogni parte d'Italia, pertanto si è giunti alla sua saturazione in tempi relativamente brevi;

   nel corso dei due iter valutativi (il primo concluso con l'autorizzazione della sopraelevazione, il secondo ancora in essere) comitati e cittadini hanno evidenziato la necessità di procedere a una puntuale valutazione di impatto sanitario dato l'evidente impatto ambientale di tale impianto e considerando ormai insostenibile un ampliamento di tali dimensioni per una discarica tanto datata –:

   se il Ministro della salute intenda, per quanto di competenza, promuovere una indagine epidemiologica che includa un approfondimento sulle aree circostanti, analizzando anche i dati presenti nell'atlante della mortalità della regione Emilia-Romagna che vedono il territorio dell'ausl di Imola al primo posto per alcune malattie del sistema respiratorio e verificando anche le matrici ambientali (aria, suolo, sedimenti e acque);

   se si intenda, per quanto di competenza, promuovere, anche per il tramite del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, una verifica all'interno del perimetro della discarica ove attualmente persistono superamenti dei limiti di legge (CSC) per parametri quali cromo VI, arsenico, cianuri liberi, nitriti, solfati, ferro ed altri per valutare una eventuale messa in sicurezza.
(4-00039)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si precisa che la discarica Tre Monti di Imola non è inserita in alcuna procedura d'infrazione di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  Le autorizzazioni degli impianti di trattamento e smaltimento dei rifiuti attengono alle competenze delle singole regioni (articolo 196 del decreto legislativo n. 152 del 2006) e in presenza di superamenti delle CSC, è sempre la regione ad avere la titolarità della messa in sicurezza/bonifica ai sensi del titolo del testo unico ambientale.
  Per quanto riguarda il caso di specie la regione Emilia Romagna, anche sulla base dell'agenzia regionale di prevenzione ambiente ed energia (ARPAE) e dell'assessorato politiche per la salute, ha rappresentato quanto segue.
  Sotto il profilo dell'impatto sanitario nei confronti della popolazione residente, la discarica Tre Monti è già stata oggetto di valutazione preliminare nel periodo 2012-13, nell'ambito del progetto «Sorveglianza epidemiologica sullo stato di salute della popolazione residente intorno agli impianti di trattamento dei rifiuti (SESPIR)», promosso dal Ministero della salute.

  Lo studio in questione, realizzato dalle regioni Emilia-Romagna, Piemonte, Lazio, Campania e Sicilia e dall'istituto superiore di sanità, ha inteso valutare l'impatto sulla salute della popolazione residente in prossimità degli impianti di smaltimento di rifiuti solidi urbani delle cinque regioni, oltre che fornire metodologie e strumenti operativi per la realizzazione di sistemi di sorveglianza in materia di rifiuti e salute nel territorio nazionale.
  Per quanto concerne, in particolare le discariche, secondo lo studio in questione, l'effetto di tali impianti è limitato, almeno in riferimento agli esiti sanitari più rilevanti, essendo essenzialmente riconducibile a disturbi e disagi conseguenti agli odori percepiti in stretta prossimità dell'impianto e ciò in linea con la letteratura internazionale.
  In merito al progetto di ampliamento e sopraelevazione della discarica Tre Monti si precisa che il dipartimento di sanità pubblica dell'azienda Usl di Imola, fin dall'inizio del suo iter di valutazione, ha posto particolare attenzione agli aspetti dell'impatto sulla salute della popolazione.
  A tal riguardo la regione ha evidenziato che, nell'ambito del provvedimento di VIA del progetto, tenendo conto dell'evoluzione più recente della letteratura scientifica, è stata inserita, tra le prescrizioni, la realizzazione di un programma di sorveglianza sanitaria a lungo termine dell'impatto sanitario esercitato dalla discarica, del quale si riportano di seguito i primi risultati.
  Il programma in particolare è complessivamente riferito a due periodi:

   il periodo 2013-2016, finalizzato a stabilire l'attuale livello di rischio sanitario associabile alle residenze in prossimità della discarica;

   il periodo 2017-2020, finalizzato ad individuare eventuali scostamenti del rischio sanitario sperimentati dalla popolazione residente in prossimità della discarica.

  L'analisi effettuata, con riferimento al primo periodo sopra indicato, anni 2013-16, avente ad oggetto i quattro esiti sanitari richiesti dal programma di sorveglianza sanitaria e ritenuti di interesse sulla base della letteratura scientifica, ovvero le malformazioni congenite e il basso peso alla nascita, la prevalenza di asma bronchiale, e di neoplasia pancreatica, non ha mostrato incrementi significativi del rischio, evidenziando tassi di prevalenza di tali eventi sanitari nella popolazione considerata come potenzialmente «esposta», in quanto residente in prossimità della discarica, simili o spesso inferiori a quelli caratterizzanti la popolazione di riferimento.
  Tali risultati, pur con la cautela dovuta alle ridotte dimensioni della popolazione residente in prossimità della discarica, alla possibilità – mai del tutto esclusa negli studi epidemiologici non sperimentali — di interferenze da parte di fattori confondenti non misurati, ed infine alla tipologia degli indicatori sanitari utilizzati, non consentono di associare il verificarsi di effetti nocivi in ambito sanitario alla residenza in prossimità del sito di trattamento rifiuti preso in esame.
  Per quanto riguarda invece il superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) nelle acque dei piezometri di controllo della discarica, la regione riferisce che, in ottemperanza alla determinazione della struttura autorizzazioni e concessioni di Arpae Bologna (DET-AMB-2016-2529 del 26 luglio 2016), è stata completata la rimozione totale delle vasche di stoccaggio del percolato VI e V2 e di tutto il materiale di riporto presente, eliminando così la sorgente primaria di contaminazione. Sono stati effettuati campioni di controllo del fondo scavo che hanno rilevato l'assenza di contaminazione residua del suolo.
  L'ultima campagna di monitoraggio Arpae, di novembre 2017, sui piezometri sia interni che esterni alla discarica, rileva ancora superamenti per i solfati e il manganese, con una leggera riduzione dei solfati rispetto alla campagna precedente.
  La regione evidenzia inoltre un aumento della concentrazione di ferro, per tutti i piezometri ma anche per quelli di controllo (bianchi) esterni alla discarica. L'aumento può essere correlato alle attività di cantiere che si sono svolte per tutto il 2017 per la sistemazione dell'area e la rimozione delle citate vasche.
  Sempre la regione precisa che non si è riscontrata la presenza di fenoli, indici di possibile contaminazione da percolato, né di metilfenol, né il superamento per il boro, a differenza di quanto rilevato nelle precedenti campagne.
  In un unico piezometro, in occasione dell'ultimo campionamento, si è riscontrato un leggero superamento dell'arsenico e su un altro una concentrazione anomala di nitriti ma essendo gli unici valori leggermente al di sopra della norma a fronte di altri precedenti campionamenti sotto soglia, si ritiene di attendere gli esiti di ulteriori campionamenti prima di poterli considerare statisticamente significativi per le valutazioni.
  Inoltre la regione evidenzia come non si sia riscontrato neanche in passato, il superamento del cromo VI né di cianuri liberi.
  Si evidenzia, in conclusione che solo il completamento del monitoraggio delle acque sotterranee, che durerà due anni oltre la fine dei lavori, come previsto dalla citata DET-AMB-2016-2529 del 26 luglio 2016, permetterà di verificare l'efficacia degli interventi di sistemazione dell'area delle vasche V1/V2, nonché la necessità di predisposizione di ulteriori interventi.
  Si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ridurrà in alcun modo lo stato di attenzione sulla tematica.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.


   BORDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la mattina dell'11 dicembre 2018 è scoppiato un incendio in un'abitazione della città di San Giovanni Rotondo (provincia di Foggia), probabilmente causato da una fuga di gas, che ha causato la morte di un giovane diversamente abile rimasto bloccato all'interno dell'edificio;

   il tragico evento ha fatto riemergere la questione della mancata attivazione di un distaccamento dei vigili del fuoco nella stessa città, tant'è che l'intervento è stato effettuato dalle unità in servizio a Manfredonia, che dista 25 chilometri e con un dislivello di 570 metri, quindi percorrendo una strada di montagna caratterizzata da tornanti e curve;

   San Giovanni Rotondo, città di residenza della famiglia d'origine del Presidente del Consiglio dei ministri Conte, ha più di 20.000 abitanti ed è sede del santuario in cui visse, operò e morì san Pio e del policlinico «Casa Sollievo della Sofferenza»: luoghi visitati e frequentati da una media annua di 2.000.000 di persone;

   proprio per tale, massiccio afflusso, in occasione di particolari festività ed eventi, il comando provinciale dei vigili del fuoco di Foggia ha più volte istituito un presidio fisso distaccando unità in servizio a Manfredonia, sguarnendo una postazione al servizio di oltre 50.000 residenti e un'area connotata dalla presenza di attività a rischio di incidente rilevante, superfici boscate, porti merci e turistici con presenze rilevanti;

   il 3 dicembre 2018 la segreteria territoriale dei vigili del fuoco della UIL-pubblica amministrazione ha avanzato al Ministero dell'interno, nelle persone del Ministro interrogato e del sottosegretario con delega per i vigili del fuoco, Stefano Candiani, formale richiesta di istituzione di un distaccamento permanente dei vigili del fuoco a San Giovanni Rotondo, avvalorata anche dal fatto che la città di san Pio è parte integrante del parco nazionale del Gargano e ha nel proprio territorio ampie porzioni di superficie boscata di elevato pregio naturalistico –:

   se e in quali termini si intenda procedere per l'istituzione del distaccamento permanente dei vigili del fuoco nella città di San Giovanni Rotondo.
(4-01866)

  Risposta. — Il dispositivo di soccorso del comando dei vigili del fuoco di Foggia, oltre alla sede centrale, è costituito da sei distaccamenti territoriali: quattro con 34 unità di personale (Cerignola, Lucera, Manfredonia e San Severo); due con 30 unità (Deliceto e Vico del Gargano).
  La dotazione organica complessiva del personale dei ruoli operativi (vigili, capi squadra e capi reparto) è stata fissata in 306 unità, con decreto del Ministro dell'interno dell'11 aprile 2017.
  Rispetto a tale contingente, attualmente, sono presenti 297 unità (101 capo reparto/capo squadra e 196 vigili del fuoco). Si registra, pertanto, una carenza percentuale del - 0,98 per cento, nel ruolo di capo squadra/capo reparto, minore rispetto alla carenza nazionale, pari al - 7,22 per cento e del - 3,92 per cento nel ruolo di vigile del fuoco, minore rispetto alla carenza media nazionale del -4,26 per cento.
  Per quanto riguarda, in particolare, le esigenze di ulteriore potenziamento del dispositivo di soccorso nel territorio della città di San Giovanni Rotondo, si sottolinea che in occasione di eventi di particolare interesse — come le festività religiose richiamate nell'interrogazione — vengono istituiti appositi presidi formati da una o più squadre.
  Inoltre, negli ultimi anni, nell'ambito delle iniziative disposte per la campagna antincendi boschivi, il Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile del Ministero dell'interno ha istituito un distaccamento stagionale presso una struttura di proprietà del comune, non utile, però, a ospitare un distaccamento definitivo.
  Tanto premesso, si assicura che l'attività operativa svolta dalle sedi territoriali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco è oggetto di costante monitoraggio, ai fini dell'individuazione delle eventuali necessità di ottimizzazione del dispositivo di soccorso, da conseguirsi sulla base dei necessari provvedimenti normativi.
  Pertanto, le esigenze del territorio foggiano saranno adeguatamente considerate in occasione delle prossime modifiche da apportarsi al decreto sopra citato, nel rispetto dei nuovi aumenti di organico disposti per legge e nel quadro di insieme delle priorità di potenziamento rilevate in ambito nazionale.
  Al riguardo, si comunica che sono attualmente in corso di svolgimento l'85° corso di formazione, iniziato il 27 dicembre 2018 e rivolto a 223 allievi vigili del fuoco, e l'86° corso di formazione, con decorrenza 14 maggio 2019, rivolto a 650 allievi vigili del fuoco assunti in attuazione della legge di bilancio 2019, che ha previsto un potenziamento dell'organico di 1.500 unità nel biennio 2019-2010.
  Ulteriori 200 unità saranno assunte, con decorrenza 7 ottobre 2019, in attuazione della legge n. 145 del 2018. Sempre nella stessa data è prevista anche l'assunzione straordinaria di 100 unità, ai sensi della legge di bilancio 2018.
  Inoltre, entro la fine dell'anno saranno assunte altre 838 unità di vigili del fuoco, a copertura delle cessazioni dal servizio avvenute nel 2018.
  Da ultimo, si informa che nel rispetto dei nuovi aumenti di organico disposti per legge e nel quadro delle priorità di potenziamento delle sedi del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, rivelate in ambito nazionale, con decreto del Ministro dell'interno 28 marzo 2019, è stato soppresso il distaccamento di Barletta nell'ambito del comando di Bari ed è stato istituito il nuovo comando di Barletta-Andria-Trani.
  

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Stefano Candiani.


   BRAMBILLA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   il 19 febbraio 2019 è stato pubblicato sul portale infodifesa.it un articolo a firma «Il personale graduato», dal titolo «Esercito: demansionamento dei conduttori ultra 40enni e disinteresse per i cani in congedo»;

   dal testo si desume quanto segue: 1) i cani dell'unità cinofila dell'Esercito, considerati «militari a tutti gli effetti» e impiegati anche all'estero in azioni di ricerca esplosivi e di bonifica, sono operativi fino all'età di otto anni, durante i quali ricevono cibo, cure veterinarie e, se del caso, anche decorazioni; 2) raggiunta l'età massima, gli animali «congedati» possono essere affidati ad un civile o, come accade per lo più, al loro conduttore, che deve prendersene cura in toto, pagando di tasca propria cibo, terapie e medicine; 3) c'è un limite di età anche per il conduttore, al quale, compiuti 40 anni, non è più consentito l'abbinamento con un altro cane operativo –:

   se corrisponda a verità quanto esposto nell'articolo e, in tal caso, se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative per garantire una serena vecchiaia ad animali così benemeriti e per non disperdere la professionalità dei loro conduttori.
(4-02399)

  Risposta. — I nuclei cinofili dell'Esercito, composti da un militare qualificato conducente cinofilo ed un cane qualificato Military working dog, sono uno strumento operativo che costituisce, per i nostri militari in Patria e all'estero, un significativo sensore in grado di rilevare la presenza di qualsiasi tipo di sostanza esplosiva ovunque occultata e di elementi ostili in prossimità di essa.
  Quanto al suo
status giuridico, il Military working dog — figura che, anche a seguito di un mio personale impulso, è attualmente oggetto di approfondimento da parte dello Stato maggiore dell'esercito — non si può ancora considerare un militare a tutti gli effetti; nondimeno, ogni singolo aspetto della sua vita, dal concepimento fino alla riforma (passando per l'allevamento, il supporto veterinario, l'alimentazione, la selezione, la formazione e l'addestramento), sono sotto la responsabilità del gruppo cinofili del centro militare veterinario dell'Esercito ed interamente a carico della Forza armata che considera l'animale quale parte integrante della propria «famiglia».
  Riguardo alla vita operativa del quadrupede, essa ha termine allorquando il cane non è più in grado di garantire gli standard richiesti dall'impiego (a titolo di esempio, si sono avuti casi esemplari di cani che hanno operato fino ai 10 anni di età). Gli animali non più idonei sono riformati con deliberazione di una apposita commissione, dopodiché l'Autorità logistica
centrale concede l'autorizzazione alla cessione degli stessi; in merito, l'articolo 534, comma 3, deldecreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010 (cosiddetto TUOM) prevede la cessione gratuita a favore di enti, amministrazioni pubbliche, enti zoofili o associazioni dotate di personalità giuridica, privati cittadini che ne facciano richiesta, università per le esigenze delle facoltà di medicina veterinaria o di altri istituti scientifici.
  In tale ottica, il conducente cinofilo che, avvalendosi di tale previsione normativa chiedesse la cessione gratuita del cane riformato, lo farebbe quale privato cittadino, assumendosi, pertanto, l'obbligo di farsi carico del mantenimento e della cura del quadrupede. Dal punto di vista etico, la cessione gratuita di un cane riformato al suo ex-conducente risponde a principi di garanzia e tutela della salute e del benessere dell'animale stesso, oltre che ad un sentimento di legame e riconoscenza per aver prestato servizio nella Forza armata.
  A tal riguardo, è allo studio la possibilità di stipulare una convenzione per consentire la gratuità delle prestazioni veterinarie a favore dei cani riformati e ceduti ai conducenti militari. Al contrario, l'assegnazione di un vitalizio al cane a «fine servizio», prospettata dall'autore dell'articolo richiamato nell'atto, potrebbe plausibilmente far gravitare l'interesse verso detto sussidio piuttosto che nei confronti dell'animale che ha servito la Patria.
  Quanto al presunto limite dei 40 anni di età per il personale conducente cinofilo e alla paventata dispersione di
know how al termine del percorso operativo del militare, va rappresentato che, non essendo in vigore alcun vincolo anagrafico, l'eventuale riassegnazione, al termine di un ciclo operativo, di un ulteriore Military working dog è esclusivamente subordinata alla valutazione, da parte della linea di comando, sull'affidabilità, sull'efficienza psico-fisica e sul mantenimento degli standard qualitativi che il graduato conducente cinofilo potrà assicurare insieme al nuovo cane.
  Va infatti precisato che, nel corso del proprio ciclo operativo, il nucleo cinofilo viene sottoposto a controlli di qualità, almeno una volta all'anno ovvero prima di ogni immissione in teatro operativo. Il mancato superamento di tale controllo determina uno specifico ciclo di addestramento e ricondizionamento e l'effettuazione di un ulteriore test di verifica che, in caso di esito negativo, comporta il reimpiego del militare su tutto il territorio nazionale e la riassegnazione del cane ad un altro conducente, ovvero la sua cessione a titolo gratuito. Pertanto, la decisione in merito all'assegnazione di un nuovo cane al conducente cinofilo discende dalle esclusive valutazioni di opportunità e di impiego effettuate dalla catena gerarchica, la quale, dovendo garantire alla Forza armata elevati standard operativi, è tenuta a bilanciare le aspirazioni del personale dipendente con la necessità di non disperdere le peculiari caratteristiche del
Military working dog, che sono uniche, pregiate ed impiegabili per un periodo di tempo limitato, e che ho, tra l'altro, avuto modo di apprezzare nel corso di una mia recente visita al Centro militare veterinario di Grosseto.
  

La Ministra della difesa: Elisabetta Trenta.


   CASSINELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   nel sistema carcerario italiano ogni giorno si registrano proteste di detenuti contro le disposizioni di amministrazione penitenziaria, aggressioni continue ai poliziotti penitenziari, casi quotidiani di colluttazioni e celle devastate;

   come hanno denunciato i sindacati della polizia penitenziaria e tra essi il Sappe, i numeri riferiti al 2018 – con una popolazione detenuta inferiore a quella attuale di oltre 60.400 presenze – sono indegni per un Paese civile visto che nelle carceri italiane si sono verificate 7.784 colluttazioni, 1.159 ferimenti, 91 evasioni (8 quelle femminili), 10.423 atti di autolesionismo, 61 suicidi, 1.198 quelli sventati dalle donne e dagli uomini del Corpo;

   le organizzazioni sindacali da tempo denunciano il depotenziamento del ruolo di Corpo di polizia dello Stato per la polizia penitenziaria dopo che in questi ultimi anni si è registrata una serie continua di provvedimenti a giudizio dell'interrogante sbagliati e gravi, come ad esempio l'imposizione dei numeri degli organici del Corpo negli istituti e nei servizi penitenziari senza alcuna logica, la soppressione delle centrali operative regionali della polizia penitenziaria che segue la scelta di chiudere sul territorio carceri (come quello di Savona) e provveditorati regionali dell'amministrazione penitenziaria (come quello di Genova) in ragione di supposte razionalizzazioni;

   secondo alcune recenti linee guida diffuse dal capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Francesco Basentini, a breve potrebbe registrarsi la chiusura, per presunta anti-economicità – avendo entrambe un numero di detenuti inferiore al limite di 100 presenze – anche delle carceri liguri di Chiavari e Imperia;

   alcune strutture carcerarie italiane sono come polveriere pronte a esplodere e, tra queste, spiccano le realtà delle case circondariali di Genova Marassi e di Sanremo –:

   quali iniziative intenda assumere al fine di istituire un tavolo permanente al Ministero della giustizia per monitorare la situazione penitenziaria e trovare, di concerto con le organizzazioni sindacali del Corpo di polizia penitenziaria, idonee soluzioni anche per dare piena esecutività alle recenti norme dipartimentali sulla tutela della quiete notturna negli istituti penitenziari, con l'incentivazione a tenere salubri ritmi sonno-veglia.
(4-03072)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame l'interrogante, nel fare riferimento agli eventi critici di cui risente il sistema carcerario italiano, quali aggressioni ai danni della polizia penitenziaria, colluttazioni, danneggiamenti ed evasioni, correlandoli ai provvedimenti che nel corso degli ultimi anni hanno ridimensionato e depotenziato il Corpo, richiamando altresì la chiusura del carcere di Savona e adombrando una prossima chiusura delle carceri liguri di Chiavari ed Imperia, a fronte di realtà dello stesso territorio molto complesse, come quelle di Genova Marassi e Sanremo, chiede di sapere quali iniziative il Ministro della giustizia intenda assumere al fine di istituire un tavolo permanente per monitorare la situazione penitenziaria e trovare, di concerto con le organizzazioni sindacali del Corpo di polizia penitenziaria, idonee soluzioni anche per dare piena esecutività alle recenti norme dipartimentali sulla tutela della quiete notturna negli istituti penitenziari, con l'incentivazione a tenere salubri ritmi sonno-veglia.
  Va considerato in premessa che questo il Ministero della giustizia annovera tra le sue priorità l'obiettivo di un miglioramento generalizzato e complessivo del sistema penitenziario.
  Il conseguimento di tale obiettivo passa, tra l'altro, attraverso l'innalzamento degli standard e dei livelli di sicurezza all'interno delle strutture detentive.
  In tale direzione si iscrive la circolare adottata lo scorso 9 ottobre dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, che ha inteso perseguire una mirata politica di valorizzazione dell'istituto del trasferimento per ragioni di sicurezza, previsto dall'articolo 42, legge n. 354 del 1975.
  I benefici che ne possono conseguire, in termini di incremento dei livelli di sicurezza nelle strutture detentive, sono resi evidenti dal ben più consistente ricorso a tale strumento che, per effetto della richiamata circolare, si è registrato dalla data della sua adozione al mese di marzo scorso (n. 1550 detenuti trasferiti), rispetto al numero ben più esiguo di occasioni in cui vi si è fatto ricorso nel medesimo periodo del biennio precedente (n. 1143).
  La sicurezza delle carceri passa anche attraverso un attento e costante monitoraggio dei flussi detentivi all'interno delle varie strutture del territorio che punti ad una sistematica perequazione demografica.
  A tal fine la competente direzione generale dei detenuti e del trattamento attua con continuità, a livello nazionale, un'intensa opera di monitoraggio dei livelli di presenza/capienza dei posti disponibili delle strutture penitenziarie, intervenendo sia a livello locale, sollecitando i singoli provveditorati regionali a provvedere a una più equa distribuzione dei detenuti sul territorio del distretto di competenza, sia provvedendo, se del caso, alla movimentazione dei detenuti in sedi extra-distretto.
  L'evidente correlazione fra eventi critici e tasso di affollamento ha indotto l'attuale formazione governativa a perseguire una concreta politica di incremento di posti detentivi.
  Rilevano, in questo senso, gli stanziamenti per il corrente anno, nell'ordine di 13 milioni di euro per gli investimenti e di 23,6 milioni di euro per manutenzione ordinaria e riparazioni, nonché il decreto-legge Semplificazione che ha conferito al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, tra l'altro, la possibilità di individuare immobili nella disponibilità dello Stato, al fine della loro riconversione in strutture carcerarie.
  Sulla scia del nuovo corso inaugurato da tale provvedimento, è stata avviata una proficua collaborazione con il Ministero della difesa e l'agenzia del demanio per il reperimento di caserme da poter riconvertire in istituti penitenziari che ha già dato i suoi frutti con la recente sottoscrizione del protocollo d'intesa con il Ministro della difesa per la riconversione in struttura penitenziaria della Caserma «Cesare Battisti» adiacente all'area delle ex acciaierie di Bagnoli, mentre è in previsione la prossima consegna della caserma Bixio di Casale Monferrato, ed è allo studio la possibilità di riconvertire altre caserme a Grosseto e Bari.
  Sempre sul fronte dell'edilizia penitenziaria occorre dare atto dell'avvenuto completamento nel 2018, da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dei tre padiglioni detentivi da 200 posti ciascuno presso gli istituti penitenziari di Parma, Lecce e Trani, avviati dal piano carceri, mentre è previsto entro il corrente anno il completamento dei due padiglioni detentivi da 200 posti presso gli Istituti penitenziari di Sulmona e Taranto; per l'effetto, è in previsione il raggiungimento di 51.500 posti regolamentari.
  Inoltre, nel 2020 è prevista anche l'ultimazione del nuovo padiglione in realizzazione presso la Casa di reclusione di Milano «Opera» per ulteriori 400 posti detentivi. Dei circa 3.500 posti attualmente risultanti inagibili, circa 1.000 sono già compresi nei procedimenti e negli interventi avviati con i finanziamenti del piano carceri e con la successiva rimodulazione deliberata dal comitato paritetico per l'edilizia.
  A tutto questo, va aggiunto che è stata già espletata un'attività di verifica di disponibilità di aree interne alle cinte murarie degli istituti penitenziari già attivi, finalizzata all'inserimento di nuove strutture modulari, capaci di ospitare 120 detenuti ciascuna, per ulteriori 3.000 nuovi posti complessivi, da realizzarsi sotto la regia di questa amministrazione, in attuazione dell'articolo 7 del decreto-legge n. 135 del 14 dicembre 2018 sulla semplificazione, utilizzando le risorse da assicurarsi progressivamente nei prossimi anni sul cap. 7300.
  Il programma dei lavori è stato approvato con decreto del Ministro della giustizia 15 marzo 2019, adottato d'intesa con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e pubblicato secondo quanto previsto dall'articolo 21, comma 7, del decreto legislativo n. 50 del 2016.
  Sono già state avviate le procedure urbanistiche per i primi quattro moduli (due a Santa Maria Capua Vetere, uno a Vigevano e uno a Civitavecchia) inseriti nel programma finanziario 2019 e per altri quattro moduli (due a Rovigo e due a Perugia) che saranno inseriti nel programma finanziario 2020, per complessivi 960 posti detentivi.
  Con specifico riferimento alla soppressione della casa circondariale di Savona, disposta a dicembre 2015, occorre evidenziare che sono in corso i procedimenti a cura del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per la ricerca dell'area del nuovo istituto penitenziario della città; sono altresì in corso la progettazione e realizzazione di nuove strutture detentive per un totale di circa 3.500 nuovi posti, che, sommati ai 51.500 sopracitati, porterebbero al raggiungimento di un realistico obiettivo di medio termine, entro il 2025, di circa 55.000 posti detentivi.
  Per quanto attiene alle case circondariali di Chiavari ed Imperia presso cui, alla data del 27 giugno 2019, risultano allocati rispettivamente 61 e 96 detenuti, non è in programma alcuna soppressione o chiusura delle stesse.
  Il miglioramento complessivo del sistema carcerario è perseguito anche con mirate politiche assunzionali messe in campo da questa formazione governativa, dopo che nel corso della precedente legislatura, con il decreto legislativo n. 95 del 2017, si è dato corso alla riduzione degli organici del Corpo di polizia penitenziaria, passati da 45.121 unità a 41.202 unità.
  In particolare, nella finanziaria per il 2019, legge 30 dicembre 2018, n. 145, articolo 1, commi 382 e 383, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, al fine di incrementare l'efficienza degli Istituti penitenziari, nonché per le indifferibili necessità di prevenzione e contrasto della diffusione dell'ideologia di matrice terroristica in ambito carcerario, è stato autorizzato all'assunzione straordinaria di 1.300 unità, con decorrenza 10 marzo 2019, mediante scorrimento delle graduatorie vigenti, attingendo, in via prioritaria, da quelle approvate nell'anno 2017 e, per i posti residui, in parti uguali, da quelle approvate nell'anno 2018. Pertanto, nei mesi di novembre e dicembre scorsi, avuto riguardo alle autorizzazioni intervenute relativamente al
turn-over ordinario, si è proceduto all'assunzione di più di 1.500 unità, vincitori dei concorsi le cui graduatorie sono state approvate nel 2018, mentre, a partire dal mese di marzo 2019, l'amministrazione penitenziaria è stata autorizzata all'assunzione degli idonei dei concorsi le cui graduatorie sono state approvate nel 2017, nonché all'assunzione degli idonei delle graduatorie approvate nel 2018, fino al raggiungimento della consistenza delle 1.300 unità autorizzate dalla citata legge di stabilità.
  Inoltre, in data 24 giugno 2019 è stato calendarizzato l'avvio del 176° corso di formazione per la nomina alla qualifica iniziale del ruolo agenti/assistenti per un totale di 320 unità, mentre il 16 settembre 2019 prenderà avvio il 177° corso, che vede coinvolti un totale di 980 unità.
  Lo scorso 31 maggio, sono stati immessi in ruolo un totale di 248 agenti (174° corso), mentre, il 31 luglio 2019. saranno immessi in ruolo complessive 1.221 unità appartenenti al medesimo ruolo (175° corso).
  Si sono di recente concluse le procedure che hanno comportato il passaggio nei ruoli di 971 vice ispettori, mentre, a breve, si concluderanno quelle relative all'immissione in ruolo di 2.851 sovrintendenti; è prevista l'attivazione, altresì, nel breve periodo, di ulteriori analoghe procedure.
  In aderenza alla normativa inaugurata con la legge di stabilità, innanzi richiamata, nella
Gazzetta Ufficiale — IV serie speciale n. 18 del 5 marzo 2019, è stato già pubblicato un bando di concorso per complessive 754 unità i cui vincitori saranno auspicabilmente assunti entro la fine del corrente anno.
  Di tale politica, hanno già fruito, almeno in parte le case circondariali di Genova Marassi e Sanremo.
  Detto che il tasso di affollamento presso tali strutture è, nel primo caso, sostanzialmente in linea con quello nazionale e, nel secondo, lievemente al di sotto, per quanto attiene alle dotazioni organiche, entrambe fanno registrare una carenza nel ruolo degli ispettori e sovrintendenti, bilanciata da un esubero nel ruolo degli agenti/assistenti.
  Sotto questo profilo, è stata operata una prima correzione all'attuale carenza degli ispettori con il transito al ruolo superiore di 10 neo vice ispettori del Corpo presso la casa circondariale di Genova Marassi, e di un'unità nella sede di San Remo, già amministrate dai predetti istituti, mentre per il ruolo dei sovrintendenti, l'imminente conclusione delle procedure concorsuali sopra richiamate rappresenterà, senz'altro, un serbatoio utile di risorse a cui attingere per colmare le scoperture delle varie strutture del territorio.
  Per quel che attiene al quesito posto dall'interrogante, giova rimarcare che, proprio nell'ottica di una costante vigilanza sull'adeguatezza delle dotazioni organiche, con P.C.D. 8 aprile 2019, presso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, è stato costituito il «Gruppo di lavoro per l'elaborazione di proposte organiche finalizzate all'individuazione di nuove piante organiche del personale di Polizia penitenziaria e all'individuazione di strumenti organizzativi finalizzati a una migliore gestione degli eventi critici in ambito penitenziario».
  Il summenzionato gruppo ha concluso i propri lavori e il 29 maggio 2019, si è tenuto un primo incontro con le organizzazioni sindacali rappresentative del Corpo, illustrativo delle risultanze dei lavori stessi, nonché propedeutico a ulteriori riunioni nelle quali sarà approfondita la tematica in questione.
  Da ultimo, per quel che attiene alla circolare 2 maggio 2019, recante «Tutela della quiete notturna negli Istituti penitenziari. Incentivazione a tenere salubri ritmi sonno-veglia. Garanzia di un inderogabile fascia di rispetto di sette ore per notte», la stessa è intervenuta dopo aver preso atto di una significativa disomogeneità nella disciplina degli orari della vita detentiva.
  Si è pertanto proceduto ad introdurre regole tese a garantire la civile e pacifica convivenza fra i ristretti, in quanto un utilizzo poco responsabile da parte degli stessi degli apparecchi radiotelevisivi può arrecare un significativo disturbo alla quiete della sezione, potendo giungere, in taluni casi, a costituire motivo di liti tra detenuti e, quindi, di turbamento per l'ordine e la sicurezza interna dell'istituto.
  Sulla puntuale osservanza di tale circolare è in corso un attento monitoraggio da parte della direzione generale competente.
  

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   CIRIELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la Cooperativa Sciangrilà opera nella provincia di Salerno e si occupa di minori dal 2010, agendo sia nell'ambito del disagio socio-economico che nell'ambito del diritto penale minorile. Attualmente è inserita anche nel progetto ministeriale «Fami» di prima accoglienza di minori migranti;

   la cooperativa consta all'incirca di quindici dipendenti, dislocati su tre case famiglie, due a Montecorvino Pugliano e una a Battipaglia;

   secondo quanto segnalato all'interrogante, sembrerebbe che vi siano rapporti di lavoro, sebbene formalmente regolarizzati, che in sostanza non rispettino la normativa vigente in materia di oneri e retribuzioni in favore dei dipendenti. Risulterebbero infatti casi di lavoratori che hanno prestato e prestano tutt'oggi servizio per la suddetta cooperativa e non vengano adeguatamente remunerati, ma, anzi, da mesi, non verrebbe loro corrisposta alcuna retribuzione nemmeno a titolo di mero rimborso spese: si registrano circostanze in cui, addirittura, il pagamento non avverrebbe da oltre sette mesi;

   nonostante il contratto di lavoro preveda trenta ore di lavoro settimanale, a quanto consta all'interrogante risulterebbero casi di dipendenti costretti a lavorare per un diverso e maggiore orario di lavoro anche nei giorni festivi e in orario notturno;

   questa condizione, che mal si concilia con i principi cardine di uno Stato democratico fondato sul lavoro e sui diritti dei lavoratori, avrebbe costretto anche a presentare dimissioni per giusta causa e quindi alla disoccupazione;

   la scorrettezza è data soprattutto dal fatto che la Cooperativa Sciangrilà è un'organizzazione non lucrativa di utilità sociale (Onlus) e che pertanto gode di agevolazioni fiscali e per tali ragioni, quindi, disporrebbe di diversi modi per ottenere i fondi necessari per il loro funzionamento e per lo svolgimento della propria attività –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti e, considerata la gravità degli stessi, quali iniziative di competenza intenda assumere per fare chiarezza sulle circostanze che avrebbero causato la crisi aziendale e le criticità segnalate in premessa;

   quali siano gli orientamenti del Governo al riguardo, posto che la cooperativa agisce anche nell'ambito del progetto ministeriale FAMI.
(4-01409)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione di cui in esame, concernente le presunte violazioni in materia di lavoro ascrivibili alla cooperativa «Sciangrilà» Onlus, si rappresenta quanto segue.
  La cooperativa di cui trattasi, costituita il 10 giugno 2010 ed avente sede legale nel comune di Montecorvino Pugliano, provincia di Salerno, fornisce assistenza per tutti quei minorenni che vivono situazioni di disagio socio-economico nell'ambito territoriale di riferimento.
  Più specificamente, la cooperativa «Sciangrilà» gestisce due comunità alloggio per minori, vale a dire la «Arabafenix» e la «Hagrid», con sedi situate rispettivamente nei comuni di Battipaglia e Montecorvino Pugliano.
  In merito ai fatti esposti dall'interrogante si rende noto che l'Ispettorato territoriale del lavoro di Salerno ha effettuato due distinti accessi ispettivi presso le due sedi testé citate.
  Più in particolare, presso quella di Battipaglia, esercente per l'appunto attività di centro di accoglienza per minori, sono stati trovati in servizio tre dipendenti, tutti regolarmente assunti, che hanno rilasciato, su richiesta del personale ispettivo, apposite dichiarazioni relative allo svolgimento del rapporto di lavoro, con particolare riguardo all'orario svolto, nonché alle retribuzioni percepite.
  Da quanto emerso in sede di accesso ispettivo sono state ravvisate delle problematicità relative a dei ritardi nella corresponsione delle retribuzioni, nonché una non puntuale registrazione dell'orario di lavoro svolto dai dipendenti nell'apposito Libro unico del lavoro.
  Analoga situazione è stata riscontrata presso l'altra sede della cooperativa, vale a dire quella di Montecorvino Pugliano, anch'essa destinata a richiedenti asilo di età minore, e dove sono stati individuati altri quattro dipendenti.
  Tenuto conto delle criticità evidenziate, l'Ispettorato territoriale del lavoro di Salerno ha reso noto che gli accertamenti svolti sono oggetto di specifico approfondimento e valutazione, anche al fine di considerare l'eventuale adozione dei provvedimenti direttamente consequenziali alla definizione dell'istruttoria sul caso.
  Ciò che preme sottolineare in questa sede, infatti, è che, occorre assicurare un corretto funzionamento dell'intero sistema di accoglienza, specie quando questo si rivolge alle persone più fragili ed a rischio di emarginazione sociale, come lo sono i minori stranieri non accompagnati.
  È per questa ragione che si ritiene necessario che gli organi istituzionalmente competenti svolgano le verifiche del caso, per scongiurare il rischio che dietro lo svolgimento di queste attività, che voglio ribadire trovano pieno fondamento nei principi solidaristici che ispirano la nostra Costituzione, si possano perseguire fini di lucro o, comunque, verificare intollerabili situazioni di abuso di tutte quelle migliaia di persone che svolgono la propria attività di assistenza al fine di garantire un percorso di integrazione sociale a queste persone particolarmente fragili.
  A tal proposito, e rispondendo anche in merito all'inserimento della cooperativa in questione nel progetto Fami (Fondo asilo migrazione e integrazione), si segnala che questo Fondo viene gestito in Italia dal Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, il quale ultimo ha, altresì, disciplinato le eventuali cause di esclusione degli enti gestori di questi progetti di accoglienza, motivo per il quale confido nel fatto che, ove all'esito della definizione degli accertamenti sulla cooperativa «Sciangrilà» dovessero essere accertate delle irregolarità, saranno tempestivamente adottati tutti i provvedimenti sanzionatori del caso.
  Concludo questa mia risposta, dunque, garantendo un attento monitoraggio sulla vicenda impegnandomi nel riferire gli aggiornamenti sul caso in esame.
  

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Claudio Durigon.


   CIRIELLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   il fronte Jugoslavo fu uno dei tanti teatri della seconda guerra mondiale in cui si consumarono innumerevoli barbarie che portarono a migliaia di vittime;

   in particolare, da fonti storiche si apprende che, anche durante la fase finale del conflitto e nell'immediato dopoguerra, le autorità jugoslave e le truppe partigiane si resero responsabili di tanti atti di violenza e di atrocità nei confronti dei militari italiani;

   degno di particolare rilevanza e memoria è l'eccidio dei superstiti del 1° battaglione bersaglieri volontari «B. Mussolini». Da ciò che emerge dai racconti di uno dei testimoni superstiti, sembrerebbe che, a seguito dell'arresa del battaglione, il 30 aprile 1945, i bersaglieri vennero trasportati a Tolmino. Lì, alcuni di essi furono uccisi immediatamente, altri vennero gettati in una caverna che poi venne fatta esplodere, altri ancora iniziarono un lungo calvario all'interno del campo di concentramento di Borovnica;

   in questi anni molte sarebbero state le iniziative a favore del recupero delle salme dei martorizzati da parte di molti parenti delle vittime uccise dai partigiani jugoslavi, di svariate associazioni e di alcuni superstiti del conflitto ma, ad oggi, non sono state poste in essere azioni concrete;

   ad esempio, nel 1996, alcuni senatori presentavano una mozione — mai discussa — in cui si denunciavano chiaramente le atrocità commesse dai partigiani jugoslavi, descrivendo quanto accaduto come un vero crimine per l'umanità e con cui si impegnava il Governo pro tempore a intraprendere ogni iniziativa utile per il recupero dei resti delle vittime;

   a parere dell'interrogante apparirebbe opportuno dare ai caduti una giusta sepoltura nel loro suolo patrio per mettere fine a questa tragica ed inumana vicenda e ridare dignità a coloro i quali hanno sacrificato la loro giovane vita per amore della patria –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative di competenza intenda porre in essere affinché possano essere recuperati i resti dei bersaglieri martiri, per rendere loro i dovuti onori.
(4-02364)

  Risposta. — La tematica illustrata nell'interrogazione è da tempo all'attenzione della Difesa, stante l'elevato valore etico-morale che essa riveste e nella condivisione delle legittime istanze e aspettative di quanti desiderano rimpatriare i resti mortali dei propri congiunti sacrificatisi per onorare la Patria.
  Il dicastero, per il tramite del commissariato generale per le onoranze ai caduti, provvede a tutte le attività di ricerca e sistemazione provvisoria e definitiva dei caduti in guerra nei sacrari/cimiteri militari in Italia e all'estero, così come all'attuazione delle opportune forme di commemorazione.
  Il commissariato generale, affinché le spoglie di militari e civili morti a causa della guerra potessero essere onorati in perpetuo, si è adoperato, fin dagli anni successivi al 2° conflitto mondiale, per evitare che migliaia di sepolture provvisorie venissero disperse.
  Nel merito della vicenda ripercorsa nell'atto, già in passato sono state dedicate risorse materiali e finanziarie per le attività di ricerca dei resti mortali dei militari del 1° battaglione bersaglieri volontari «B. Mussolini» – 8° reggimento «La Marmora» – dispersi a Tolmino, nonché per gli scavi nell'area interessata, ma senza, purtroppo, esito positivo.
  Più nello specifico, nel 2008 è stata effettuata una ricerca nella zona di Tolmino, cui hanno preso parte, oltre al personale del commissariato generale, un commilitone dei bersaglieri scomparsi, profughi e persone informate sui fatti da testimoni oculari, le cui risultanze, anche in questo caso, sono state negative.
  Successivamente, nella primavera del 2011, a conclusione delle attività propedeutiche (testimonianze dei reduci, acquisizione di materiali e documenti storici) ai futuri scavi, sono state eseguite indagini geofisiche in tre siti storici corrispondenti alla «galleria» e al «trincerone» sul Pan di zucchero (colle sovrastante Tolmino) e all'ossario tedesco sulla piana alluvionale del fiume) Isonzo.
  La ricerca, condotta nel quadro delle indagini promosse dalla commissione italo-slovena appositamente istituita nel 1998, è stata affidata dall'associazione familiari dei caduti dispersi a Tolmino a un professore universitario di Padova, incaricato di effettuare rilievi geofisici al fine di individuare, con l'impiego di dispositivi moderni e non invasivi, indizi utili a localizzare la caverna dove i bersaglieri – così è stato ipotizzato – potrebbero essere stati ammassati e uccisi dalle formazioni partigiane yugoslave, negli eventi del maggio 1945.
  Nei tre siti oggetto di indagine sono stati effettuati quattro distinti rilievi che hanno interessato anche un settore denominato il «sentiero», individuato sulla base delle indicazioni provenienti dai sopralluoghi, dalle testimonianze storiche e dalla morfologia del sito.
  L'indagine ha evidenziato anomalie del terreno riconducibili alla presenza di una cavità solo nel sito «sentiero», mentre non è stata rilevata la presenza di altre cavità nei siti «galleria», «trincerone» e «ossario tedesco».
  Nel marzo 2013 sono stati nuovamente effettuati degli scavi che hanno interessato la stessa area «Sentiero», ma non è stato portato alla luce alcun elemento significativo e, ancora una volta, il risultato è stato negativo.
  Alla luce di quanto finora esposto – e con la certezza di aver fatto tutto il possibile – mi spiace molto dover constatare che, nonostante l'impegno profuso: e le risorse investite, in particolare dalla Difesa, i militari risultano tuttora dispersi, poiché, di fatto, i loro resti mortali, che potrebbero essere ancora oggi sepolti in Slovenia, non sono mai stati rinvenuti.
  Il commissariato generale ha posto e continua a porre la massima attenzione sulla vicenda, cercando di determinare, con ragionevole certezza, il luogo dove eventualmente programmare futuri lavori di ricerca di caduti italiani, anche se, ad oggi, non è possibile individuare una zona dove proseguire l'attività precedentemente e più volte intrapresa.
  Soltanto l'identificazione di un'area ben definita sulla base di elementi certi, consentirebbe al commissariato generale di richiedere alle autorità slovene le necessarie autorizzazioni per procedere con ulteriori ricerche e scavi.
  La Difesa – e per essa il commissariato generale – assicurerà sempre, così come avviene per tutti i casi analoghi all'estero e in Italia, la massima attenzione e collaborazione per valutare concrete e definite indicazioni che dovessero provenire dalle associazioni, dai ricercatori o dagli storici, relativamente alla possibile localizzazione dei caduti italiani ancora non individuati.
  Rendo noto, in ultimo, che nel 1997 l'ambasciatore italiano a Lubiana ha interpellato il sindaco di Tolmino riguardo alla possibilità di erigere una croce commemorativa in tale località, nel luogo dove, il 10 maggio 1945, furono sacrificati circa 100 bersaglieri italiani.
  In quell'occasione, il primo cittadino ha riferito di non avere alcuna notizia in merito all'uccisione dei bersaglieri nel territorio della sua giurisdizione, in quanto allora nell'area di Tolmino non vi erano più militari italiani, precisando, altresì, che quelli catturati furono trasferiti nel campo di prigionia di Borovnica presso Lubiana.
  Prima di concludere, tengo a sottolineare che la Difesa continuerà, comunque, a conferire ogni possibile attenzione alla valenza etica della vicenda, al fine di onorare – nel tempo, nei modi e nelle forme più adeguate – la memoria di quanti hanno donato alla Patria il loro bene più prezioso, la vita.

La Ministra della difesa: Elisabetta Trenta.


   CONTE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   nella mattinata del 10 luglio 2018 un incendio è divampato all'interno dello stabilimento ex Stir di Battipaglia, in provincia di Salerno;

   la struttura è attualmente adibita al trattamento a freddo dei rifiuti indifferenziati;

   le fiamme, secondo le prime ricostruzioni, si sarebbero levate dal capannone dove viene stoccata la frazione organica stabilizzata; i vigili del fuoco hanno domato rapidamente l'incendio e la situazione è tornata alla normalità;

   permane la gravità del fatto, su cui gli inquirenti dovranno fare luce: modalità, cause, eventuali moventi e ragioni di contesto;

   si tratta del secondo rogo in un impianto di trattamento dei rifiuti sul territorio tra Eboli e Battipaglia, dopo quello avvenuto nella serata del 24 giugno 2018, nei locali dell'azienda Nappi sud, già oggetto di una interrogazione del sottoscritto presentata in data 27 giugno 2018, recante il n. 4-00567;

   nell'atto di sindacato ispettivo sopra menzionato si dava conto di una serie di altri episodi significativi (giugno 2017, incendio presso l'azienda Sele Ambiente, anch'essa impegnata nel trattamento dei rifiuti; giugno 2018, sequestro di un impianto di trattamento di rifiuti speciali per gravi violazioni di legge);

   si segnalava inoltre che in un tratto di meno di 7 chilometri, tra Eboli e Battipaglia, si è strutturata un'area industriale per il trattamento dei rifiuti composta da 20 impianti privati, capaci di trattare 2,5 milioni di tonnellate l'anno, e due impianti pubblici (Stir Battipaglia e Stir Eboli), che trattano 114 mila tonnellate l'anno di frazione organica;

   gli incendi e vari eventi gettano ombre e sollevano interrogativi, rispetto a un'area dove sono già molte le preoccupazioni per una situazione ambientale di allarme sociale;

   l'ulteriore incendio all'impianto di Battipaglia aumenta l'inquietudine, rafforza la preoccupazione e rende ancora più indispensabile un'azione decisa;

   va ribadito che per quell'area si rende indispensabile un piano di monitoraggio ambientale, epidemiologico e di impatto territoriale, oltre che una verifica su possibili infiltrazioni malavitose –:

   se, a maggior ragione dopo l'incendio nell'impianto di Battipaglia, il Ministro interrogato non ritenga di assumere rapidamente iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, sui temi posti in premessa.
(4-00733)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In data 10 luglio 2018 si è verificato un incendio presso l'area di discarica S.T.I.R. Battipaglia, attualmente gestita dalla provincia di Salerno.
  L'incendio veniva rapidamente domato dai Vigili del fuoco intervenuti sul posto.
  L'Arpa Campania riferisce che in data 16 luglio, i tecnici si recavano presso lo stabilimento al fine di effettuare i campionamenti di suolo
top soil volti a verificare l'eventuale contaminazione della matrice del suolo. Si procedeva quindi al prelevamento di campioni (TS1, TS2, TS3, TS4) in prossimità dei quattro lati dello stabilimento.
  Dall'esito analitico del campionamento di terreno emergeva che i campioni TS1, TS2, TS3 e TS4 presentavano valori di concentrazione superiori alla concentrazione soglia di contaminazione per i siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale, mentre i parametri per la concentrazione soglia di contaminazione per i siti ad uso commerciale ed industriale risultavano inferiori.
  Per quanto attiene la ricerca dei parametri PCB, PCDD, PCDF, emergevano valori di concentrazione inferiori alla concentrazione soglia di contaminazione per i siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale.
  La ricerca di fibre di amianto dava esito negativo.
  In merito al superamento delle CSC – stante la specifica destinazione d'uso della particella oggetto di indagine – lo stesso è da imputare ai valori del fondo naturale.
  Infine per quel che riguarda il superamento del parametro idrocarburi pesanti rilevati nel campione TS3, l'ARPAC, al fine di poter chiarirne la presenza, chiedeva al comune di Battipaglia informazioni circa la destinazione urbanistica della particella su cui è stato prelevato il campione.
  In merito alla ditta Sele Ambiente, tale impianto è stato interessato da un incendio verificatosi l'11 giugno 2017, per il quale l'ARPAC nel febbraio 2018 ha comunicato l'avvenuto ripristino delle strutture, degli impianti interessati dall'evento, la rimozione dei rifiuti combusti e dei rifiuti conseguenti all'incendio, nonché l'avvenuto espletamento delle attività finalizzate alla verifica degli eventuali superamenti delle CSC, ai sensi dell'articolo 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Proprio in considerazione dei frequenti eventi di combustione che si verificano negli impianti di stoccaggio rifiuti, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel marzo 2018, ha provveduto a pubblicare una circolare recante «Linee guida per la gestione operativa degli stoccaggi negli impianti di gestione dei rifiuti e per la prevenzione dei rischi», con l'obiettivo di prevenire l'innesco d'incendi e favorire la corretta gestione degli stoccaggi presso gli impianti di trattamento dei rifiuti. Sempre lo stesso Ministero ha avviato, congiuntamente al comando dei vigili del fuoco e alle autorità regionali, le attività finalizzate all'aggiornamento delle linee guida per una gestione in sicurezza dei rifiuti.
  In seguito, il Ministero dell'interno ha adottato apposita circolare del 13 luglio 2018, in seguito alla quale è stato deciso di sottoporre i siti regionali ad una più assidua attività e di inserirli, quali obiettivi da vigilare, nell'ambito dei piani di controllo coordinato del territorio, adottando determinazioni in tal senso, in sede di comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica.
  Sempre il Ministero dell'interno ha fatto presente, altresì, di aver richiamato l'attenzione sia del presidente della provincia di Salerno (ente gestore dell'impianto S.T.I.R. di Battipaglia) che del sindaco, richiedendo ad entrambi la massima collaborazione. I predetti enti hanno assicurato la loro tempestiva attivazione presso le società partecipate che gestiscono i siti di stoccaggio, affinché adottino le necessarie misure di difesa passiva nelle strutture interessate.
  La regione Campania, a sua volta, ha fatto presente di aver avviato, con delibera 705 dell'ottobre 2018 un rafforzamento delle attività di pattugliamento per i siti ritenuti maggiormente sensibili e vulnerabili e di aver previsto, con legge regionale n. 29 del 2018, l'elaborazione di linee guida volte all'implementazione di misure di prevenzione antincendio per gli impianti di trattamento dei rifiuti.
  A ciò si aggiunga che, in fase di conversione del decreto-legge n. 113 del 2018, è stata introdotta una norma che prevede l'obbligo per i gestori di impianti di stoccaggio e lavorazione dei rifiuti di dotarsi di un piano di emergenza interna al fine di controllare e circoscrivere gli incidenti e provvedere al ripristino dell'ambiente.
  La norma citata prevede altresì che il prefetto predisponga un piano di emergenza esterna e ne coordini l'attuazione al fine di limitare gli effetti dannosi di incidenti rilevanti.
  Inoltre, nel protocollo d'intesa sul «Piano d'azione per il contrasto dei roghi dei rifiuti» sottoscritto da diverse amministrazioni centrali e dalla regione Campania in data 19 novembre 2018, sono state introdotte, specifiche misure volte ad intensificare il coordinamento delle attività di prevenzione, gestione dell'evento e ripristino delle aree coinvolte dagli incendi, allo scopo di aumentare la sicurezza del territorio e garantire la tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini.
  Sempre nell'ambito delle azioni messe in campo dalle amministrazioni interessate alla questione dei roghi, il Ministero della salute, oltre alle consuete attività di monitoraggio e controllo, è in costante contatto con le autorità locali competenti per materia e territorio, rendendosi disponibile a promuovere un coordinamento delle azioni di monitoraggio e valutazione finalizzate a prevenire e limitare i danni all'ambiente e alla salute della popolazione residente nelle aree interessate dalla questione degli incendi.
  In ultimo si segnala che questo Ministero in considerazione degli episodi verificatisi continuerà a svolgere attività di monitoraggio e controllo, senza abbassare in alcun modo la soglia di attenzione sulla questione.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.


   D'ATTIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   in alcune dichiarazioni rilasciate il 2 settembre 2018 in una intervista a La Repubblica, il Ministro Tria individua nei porti del nord Adriatico e del nord Tirreno i beneficiari di accordi con la Cina per la «via della seta»;

   «la via della seta» si ferma al nord e ignora il sud, Brindisi in testa;

   se il terminale per la «Via della Seta» dovesse essere l'Adriatico del nord, con il sistema portuale che va da Venezia a Trieste e a Capodistria, l'area portuale pugliese, quindi anche Brindisi, potrebbe essere un anti-terminale per lasciare i container;

   gli stessi container possono essere poi distribuiti nel centro e sud Italia e nell'area del Mediterraneo;

   in più c'è la Turchia che è un partner economico-commerciale importantissimo per l'Italia;

   la crescita di quest'area portuale sarebbe utile per tutta quanta l'Unione europea;

   in fase di discussione del Documento di programmazione economico-finanziaria, le forze di governo hanno dimostrato l'intenzione di potenziare i porti del Mezzogiorno;

   le dichiarazioni di Tria, a giudizio dell'interrogante, sono molto preoccupanti per il Mezzogiorno, anche in previsione della prossima revisione della Rete dei trasporti transeuropea (Ten-T) per la quale ci si aspetta che, in difformità con le dichiarazioni sopracitate, il Governo convinca la Commissione europea a favorire i corridoi meridionali e a riportare nella mappa dei porti strategici quelli del sud come Brindisi e Catania –:

   se il Ministro dell'economia e delle finanze intenda spiegare la sua posizione che, a quanto risulta all'interrogante, non sembrerebbe essere quella del Governo;

   se corrisponda al vero che il Governo intenda escludere a priori i porti del sud Italia da questa visione;

   se il Governo intenda fare chiarezza rispetto agli accordi con la Cina sulla Via della Seta e se tali accordi considerino solo la disponibilità dei porti del nord Adriatico e del Tirreno, escludendo gli altri, soprattutto quelli del sud, alla luce delle dichiarazioni sopracitate;

   se non si intenda comunque cambiare rotta e incentivare più piani per lo sviluppo del sud.
(4-01175)

  Risposta. — Con il documento in esame, l'interrogante chiede chiarimenti in ordine agli accordi relativi alla «Nuova via della seta», l'iniziativa strategica della Cina per il miglioramento dei collegamenti e della cooperazione tra Paesi nell'Eurasia. Ciò in considerazione del fatto che il Ministro Tria, nel corso di un'intervista rilasciata ad un noto quotidiano, avrebbe individuato unicamente nei porti italiani del nord Adriatico e del nord Tirreno «i beneficiari» dei suddetti accordi con la Cina, escludendo l'area portuale pugliese ed in generale i porti del Mezzogiorno.
  Al riguardo, sentiti gli uffici dell'Amministrazione finanziaria ed il Ministero degli affari esteri, si rappresenta quanto segue.
  Il rafforzamento dei rapporti tra Italia e Cina nel settore dei trasporti, della logistica e delle infrastrutture, con specifico riferimento alle «Nuove Vie della Seta» nell'ambito della «iniziativa Belt and road (Bri)», è da tempo al centro dei colloqui ad alto livello politico tra i due Paesi.
  Le discussioni con la Cina relative alla Belt and road initiative presentano il sistema Italia nel suo insieme come possibile partner della Cina nelle iniziative di connettività euro-asiatiche, come ad esempio nel caso del Memorandum d'Intesa per la collaborazione in paesi terzi, recentemente firmato dal Ministero per lo sviluppo economico con la National development and reform commission (Ndrc).
  Il Governo italiano è da tempo interessato a valorizzare nel Mediterraneo la dimensione marittima e terrestre della connettività euro-asiatica. In tutte le occasioni di interazione con le controparti cinesi, il Governo italiano ha messo in luce il potenziale sviluppo di sinergie con il sistema italiano di porti, trasporti e infrastrutture, in coerenza con il rafforzamento delle reti di trasporto trans-europee. In questo contesto, si auspicano positivi sviluppi a beneficio dell'intero territorio nazionale.
  La partecipazione italiana al massimo livello al Forum Bri di Pechino nel maggio 2017 ha portato diretta testimonianza della disponibilità italiana a sviluppare progetti tra la Cina e l'intero sistema portuale italiano, senza distinzioni in ragione della collocazione dei singoli porti.
  

Il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze: Massimo Bitonci.


   DEIDDA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   nell'ambito dell'Aeronautica militare operano particolari strutture organizzative dei reparti operativi e periferici del servizio infrastrutture del comando logistico;

   tutte queste strutture sono caratterizzate da una forte capacità di proiezione e sono in grado di realizzare in qualunque ambiente, anche nei teatri operativi più complessi, come è dimostrato dalla attività fin qui svolta, infrastrutture e manufatti di grande qualità e affidabilità, a costi vantaggiosi per l'amministrazione;

   si avvalgono di personale militare e civile dotato di eccellente preparazione tecnico-scientifica e di grande competenza professionale;

   i componenti del reparto dell'8° Genio Campale, ma non solo questi, sono un esempio di professionalità e competenza, ma vivono da troppi anni una condizione di precarietà a causa degli eccessivi tagli all'organico e della fallace convinzione di risparmio con l'esternalizzazione delle opere e della formazione;

   sono una ventina i professionisti operanti in Sardegna e circa 200 in tutta Italia e vivono da circa vent'anni una condizione di precarietà non più tollerabile –:

   quali iniziative di competenza intenda assumere per stabilizzare questo personale e quali politiche intenda adottare per tutelare e favorire il ricambio generazionale nel settore civile del Ministero della difesa.
(4-02314)

  Risposta. — I reparti genio dell'aeronautica militare, da cui dipendono i rispettivi gruppi genio campale, svolgono attività finalizzate alla realizzazione e manutenzione delle infrastrutture, in modo da assicurare l'attività manutentiva connessa con esigenze operative in Patria e nei teatri fuori area, nei settori delle infrastrutture di volo e degli impianti a servizio dell'attività operativa.
  Le suddette attività avvengono nel rispetto delle procedure sancite dal codice degli appalti, decreto legislativo n. 50 del 2016, dalle relative linee guida dell'Autorità nazionale anticorruzione, avvalendosi quando necessario di personale esterno all'Amministrazione difesa, assunto a tempo determinato ai sensi dell'articolo 67, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 15 novembre 2012, n. 236.
  Il problema della stabilizzazione del personale civile che opera nei reparti del genio campale è argomento da tempo all'attenzione del Governo.
  In merito alle iniziative «da assumere per stabilizzare questo personale», si rende noto che la stabilizzazione in atto nella Difesa, prevista dall'articolo 20 del decreto legislativo n. 75 del 2017, riguarderà non tutti i lavoratori occasionali che operano nei reparti del genio campale (circa 200 in tutta Italia), ma solo quelli in possesso del titolo di studio (diploma di scuola secondaria di secondo livello — scuola superiore) obbligatorio per accedere all'area funzionale seconda, profilo di Assistente, con la specifica previsione nel bando concorsuale di una riserva del 50 per cento dei posti a loro favore.
  In tale quadro, quindi, la direzione generale per il personale civile ha provveduto, nell'ambito del piano triennale del fabbisogno di personale civile 2018-2020 e nei limiti delle risorse disponibili, ad imputare per l'anno 2020, n. 50 unità di assistente.
  La procedura concorsuale sarà esclusivamente rivolta all'assunzione di personale da collocare nella seconda area funzionale, con la qualifica di «Assistente Tecnico».
  In relazione a quanto precede, la Difesa, consapevole della oggettiva limitazione dei possibili concorrenti alla stabilizzazione, sta valutando, tramite un tavolo tecnico con le organizzazioni sindacali rappresentative dei lavoratori, la fattibilità di ampliare il bacino dei potenziali destinatari della stabilizzazione anche attraverso eventuali iniziative normative.

La Ministra della difesa: Elisabetta Trenta.


   DEL MONACO, ALAIMO, ANGIOLA, DEL SESTO, FRUSONE, GALANTINO, IORIO, NAPPI, PARENTELA, ROBERTO ROSSINI, CHIAZZESE, ERMELLINO, RIZZO, IOVINO, CORDA, ARESTA, TRAVERSI, GRIMALDI, GIOVANNI RUSSO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   il modello di gestione stipendiale – spettante ai militari delle 3 forze armate – di competenza di Ministero della difesa e Ministero dell'economia e delle finanze risulta all'interrogante non essere idoneo in termini di efficienza ed efficacia, in quanto le tempistiche di elaborazione delle variazioni stipendiali (due mesi dall'inserimento delle variazioni) sono decisamente troppo dilatate nel tempo;

   ci sono problematiche di comunicazione e interfaccia fra sistema stipendiale interforze e piattaforma stipendiale NoiPA, che comportano il disallineamento fra gli importi dovuti e quelli realmente corrisposti al personale;

   una generale rigidità della procedura NoiPA si ripercuote su tutto il personale interessato;

   esiste incertezza sui tempi e sui modi con cui sanare le menzionate anomalie;

   c'è carenza comunicativa, a quanto consta all'interrogante, con l'utenza da parte del servizio di assistenza NoiPA che, asserendo di fornire esclusivamente una procedura informatizzata utile ai fini del calcolo dei cedolini, demanda agli uffici di servizio di Forza armata anche la trattazione e la risoluzione di problematiche e anomalie originatesi nella procedura medesima;

   il Centro unico stipendiale interforze – che attualmente svolge il ruolo di «governance» – di fatto non ha alle dipendenze dirette (solo funzionali) né la banca dati unica stipendiale (a lead AM), né i centri stipendiali di Forza armata, con la conseguenza che la linea d'azione delineata dal citato organo di vertice non trova immediata ed omogenea azione amministrativa nei confronti dei militari delle forze armate;

   l'attuale architettura Ministero della difesa/Ministero dell'economia e delle finanze non definisce in modo chiaro e inequivocabile i livelli di responsabilità fra i vari attori che intervengono nell'elaborazione e nel pagamento del cedolino stipendiale NoiPa;

   relativamente all'emanazione delle disposizioni amministrative in materia di trattamento economico di attività, spesso vi è una sovrapposizione di funzioni e competenze fra Smd-Cusi e direzione generale per il personale militare –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti, se gli stessi corrispondano al vero e, in caso affermativo, se intenda assumere le iniziative di competenza per:

    a) adottare un altro sistema di elaborazione stipendiale che preveda l'elaborazione del cedolino in ambito difesa e il pagamento delle competenze con NoiPa (cosiddetto «modello carabinieri») nelle more che vengano risolte le criticità di comunicazione di flussi informatici Ministero della difesa/Ministero dell'economia e delle finanze;

    b) creare un sistema di gestione stipendiale del personale delle forze armate in chiave unitaria e interforze attraverso un unico centro amministrativo che garantisca e operi secondo omogeneità di trattamento verso tutti gli amministrati, nella piena applicazione delle norme, con tempi e modi ben definiti, assicurando altresì l'ottimizzazione delle risorse umane ed economiche del dicastero della difesa;

    c) connotare in chiave interforze la banca dati unica stipendiale (che attualmente gestisce la procedura stipendiale interforze), superando l'attuale impiego come organismo di F.A. Aeronautica;

    d) avviare un tavolo tecnico interministeriale tra il Ministero della difesa e il Ministero dell'economia e delle finanze per definire tutte le problematiche tecnico/amministrative/informatiche e, in modo univoco, i livelli di responsabilità dei diversi «attori» (il contabile di periferia, il Centro unico stipendiale interforze, la Banca dati unica stipendiale, il NoiPa) che, a vario titolo, agiscono sul cedolino degli amministrati;

    e) chiarire in modo inequivocabile il ruolo di «governance (Cusi)» e di «indirizzo amministrativo (Persomil)», con la creazione di un unico organismo interforze che assuma l'onere di essere unico polo di riferimento in materia di disciplina stipendiale;

    f) riesaminare l'attuale protocollo d'intesa, tra il Ministero della difesa e il Ministero dell'economia e delle finanze, prevedendo che per ogni anomalia generata dal Ministero dell'economia e delle finanze, l'eventuale cedolino straordinario che corregga l'errore procurato non sia posto a carico della Difesa.
(4-01685)

  Risposta. — Il sistema NoiPA gestisce attualmente numerose amministrazioni per oltre 2 milioni di dipendenti, garantendo risparmi e un controllo della spesa attraverso l'accentramento completo del sistema di pagamento.
  Ciò rappresenta, rispetto al passato, un'importante innovazione non solo in termini di efficienza ed efficacia della spesa pubblica, ma anche in termini di monitoraggio di una delle principali voci di spesa del bilancio pubblico.
  Tale sistema, sulla base di quanto previsto dall'articolo 1 della legge n. 296 del 2006 e, successivamente, dall'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, gestisce dal 2015 il trattamento economico del personale della Polizia di Stato (circa 100.000 amministrati) e, dal 1° gennaio 2016, anche quello delle tre Forze armate (esercito, marina e aeronautica, circa 185.000 amministrati) e della Guardia di finanza (circa 60.000 amministrati).
  L'Arma dei carabinieri è, invece, dotata di un sistema proprio che, confrontato con il NoiPa, è decisamente più efficiente.
  Poiché il sistema in questione opera al servizio di una moltitudine di utenti (dicasteri, enti, asl), è del tutto evidente che lo stesso risulti meno flessibile rispetto alle esigenze dell'amministrazione militare, il cui trattamento economico è caratterizzato da un'architettura particolarmente complessa.
  È innegabile, pertanto, che nel processo di erogazione delle competenze mensili ci siano state alcune criticità, quali quelle richiamate dall'interrogante; peraltro, sebbene la difesa abbia posto in essere alcuni affinamenti che hanno consentito una maggiore rispondenza alle esigenze del personale militare, il sistema stipendiale continua a creare disagi al personale della difesa.
  Tanto premesso, passo ora ad esaminare i singoli quesiti posti.
  Con riferimento al primo di essi, relativo all'adozione di un sistema di elaborazione stipendiale sul cosiddetto «modello carabinieri», si rende noto che nel tempo si è ripetutamente tentato di estendere tale modello anche al personale militare delle altre Forze armate.
  Il Ministero dell'economia e delle finanze ha però costantemente rappresentato l'impossibilità di estendere il predetto modello, ribadendo, come lo stesso sia da considerarsi temporaneo, anche per la stessa Arma dei carabinieri.
  In considerazione di ciò, sono stati avviati — dagli organi tecnico-amministrativi della difesa, in stretto coordinamento con NoiPA — approfondimenti finalizzati alla definizione di soluzioni strutturali che conseguano il definitivo e completo superamento delle criticità rilevate. In tale quadro si segnala, tra le varie misure individuate, l'implementazione anticipata per le Forze armate della piattaforma denominata
Cloudify, la quale, sviluppata in stretta coordinazione con i tecnici del Ministero dell'economia e delle finanze, garantirà la piena aderenza alle esigenze del personale, attraverso un collegamento diretto tra la periferia dell'organizzazione militare e il NoiPA, consentendo così il superamento delle criticità fino ad oggi emerse. Inoltre, è già in avanzata fase di progettazione la realizzazione di un portale condiviso Difesa-NoiPA dedicato alla gestione completamente informatizzata delle indennità operative, con regole di accesso e gestione attagliate alle specifiche esigenze della Difesa.
  Con riferimento, poi, alla creazione di «un sistema di gestione stipendiale del personale delle Forze armate in chiave unitaria e interforze attraverso un unico centro amministrativo...», si partecipa che il Centro unico stipendiale interforze (Cusi) è elemento di
governance in materia di trattamento economico.
  La completa acquisizione della banca dati unica stipendiale (Bdus) alle dirette dipendenze del Cusi, come l'acquisizione di elementi di organizzazione dell'area operativa e/o amministrativa, è subordinata anche alla disponibilità di una idonea sede, attualmente in fase di allestimento presso il comprensorio militare di via Marsala in Roma, che sarà presumibilmente completata entro il secondo semestre del 2020; ad oggi, sono state già avviate le attività propedeutiche all'ammodernamento delle infrastrutture del comprensorio.
  In ogni caso le procedure informatiche della Bdus, già armonizzate fra le tre Forze armate prima del passaggio a NoiPA, garantiscono la massima omogeneità nei trattamenti, mentre possono differire solo nelle modalità di perfezionamento delle attività amministrative, stanti le diverse organizzazioni interne alle Forze armate.
  Con riferimento, invece, alla possibilità di «avviare un tavolo tecnico interministeriale tra il Ministero della difesa e il Ministero dell'economia e delle finanze per definire tutte le problematiche tecnico/amministrative/informatiche...», si specifica che un tavolo tecnico interministeriale che previene, definisce, monitora e risolve le problematiche esistenti, è operativo dall'anno 2015. Tale tavolo è presso il Mef — Direzione centrale dei sistemi informativi e dell'innovazione e, per la difesa, è prevista la partecipazione di personale dello Stato Maggiore della difesa.
  Le problematiche affrontate sono state numerosissime, molte delle quali ormai superate, altre ancora esistenti in quanto dipendenti da fattori strutturali legati alla piattaforma stipendiale di NoiPa, sui quali è possibile intervenire solo con tempi medio-lunghi.
  Avuto riguardo, poi, al «ruolo di
governance (CUSI) e di indirizzo amministrativo (PERSOMIL)», si sottolinea che non vi è alcuna sovrapposizione tra le funzioni/competenze dei due organi, dal momento che le disposizioni emanate dalla Direzione generale del personale militare riguardano gli aspetti giuridici ed applicativi delle norme relative al trattamento economico, mentre le disposizioni del Cusi concernono le modalità tecniche da utilizzare per l'erogazione delle competenze.
  Tuttavia, come auspicato dall'interrogante, potrà essere valutato anche l'eventuale accorpamento di tali organi in un unico polo di riferimento in materia stipendiale.
  Con riferimento, infine, alla possibilità di rivedere il protocollo d'intesa Difesa-Mef per sanare i problemi di natura tecnica, si rende noto che le azioni necessarie a sanare le anomalie, da qualsiasi causa determinate, sono oggetto di costante coordinamento tra Cusi e NoiPA, proprio al fine di definire con maggiore efficacia e speditezza le modalità maggiormente idonee allo scopo.

La Ministra della difesa: Elisabetta Trenta.


   DELMASTRO DELLE VEDOVE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   la risoluzione conclusiva di dibattito in commissione n. 8-00002, sulla quale il Governo ha espresso parere favorevole ed approvata dalla III Commissione della Camera dei deputati nella seduta del 24 ottobre 2018, impegna il Governo medesimo ad avviare e proseguire percorsi volti a sottoscrivere trattati e/o accordi bilaterali con il Marocco, l'Albania, la Tunisia e la Nigeria, nonché con ulteriori Stati, per agevolare e semplificare il trasferimento dei detenuti al fine dell'esecuzione penale nello Stato di provenienza, attraverso strumenti e clausole che comprendano anche l'eliminazione della mancanza di consenso del detenuto dalle condizioni ostative –:

   quale sia lo stato di avanzamento dei lavori per la realizzazione dell'impegno.
(4-02239)

  Risposta. — In linea con gli impegni derivanti dalla risoluzione in questione, approvata dalla III Commissione della Camera dei deputati lo scorso 24 ottobre, il Governo italiano ha continuato a sostenere un sempre maggiore utilizzo degli strumenti di cooperazione tra Stati per il trasferimento dei detenuti ai fini dell'esecuzione della pena nei rispettivi Paesi d'origine.
  Negli ultimi mesi, anche grazie all'impulso del competente Ministero della giustizia, sono stati parafati accordi in materia di trasferimento delle persone condannate con il Niger (il 28 febbraio scorso, unitamente ad altri due Accordi in materia di cooperazione giudiziaria in materia penale), con la Libia (17-19 giugno) e con il Mali (2 luglio). Tali convenzioni, peraltro, come quella già parafata con il Senegal nell'aprile 2017, prevedono che si possa procedere al trasferimento della persona condannata prescindendo dal suo consenso nel caso in cui la sentenza definitiva di condanna, o un provvedimento amministrativo definitivo emesso in conseguenza di tale sentenza, disponga l'espulsione o altra misura per effetto della quale la persona condannata non potrà più soggiornare nel territorio dello Stato di condanna dopo la scarcerazione. Analoga disposizione è stata altresì prevista nell'accordo con il Kosovo, firmato l'11 aprile scorso.
  Sono inoltre in corso di negoziazione accordi con paesi a vario titolo significativi, quali Filippine (una bozza di testo di accordo è già all'attenzione delle parti), Taiwan (i negoziati sono stati avviati lo scorso 1° luglio), Vietnam (una delegazione vietnamita è attesa a Roma in autunno), Paraguay e Capo Verde (i cui negoziati sono previsti, rispettivamente, il 25 e 26 luglio prossimi ad Asunción e dal 16 al 20 settembre a Roma). Il Governo è inoltre in contatto con la repubblica popolare cinese, cui è stata trasmessa una bozza di Accordo. Per quanto concerne la Tunisia, a una prima richiesta di avvio di un negoziato in materia, formulata lo scorso aprile da una delegazione tecnica del Ministero della giustizia, le autorità tunisine hanno risposto con riserve. Il Ministero della giustizia intende riproporre l'apertura di un negoziato sul trasferimento dei detenuti in occasione di una prossima missione a Tunisi per lo svolgimento di trattative riguardanti l'accordo in materia di assistenza giudiziaria.
  Si segnala altresì che il Consiglio dei Ministri ha approvato, l'11 giugno scorso, il disegno di legge di ratifica ed esecuzione del Trattato con la Colombia in materia di trasferimento delle persone condannate, fatto a Roma il 16 dicembre 2016, insieme ad altri due accordi di estradizione e di assistenza giudiziaria in materia penale. Inoltre, come noto, è stato avviato l'iter parlamentare dei disegni di legge di ratifica ed esecuzione del trattato sul trasferimento delle persone condannate con l'Argentina, fatto a Buenos Aires l'8 maggio 2017, e con la Nigeria, fatto a Roma l'8 novembre 2016, già licenziati dal Senato nella seduta dell'11 luglio scorso.
  Con particolare riferimento all’
iter di ratifica da parte nigeriana, la procedura interna prevede la ratifica del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro della giustizia, sentito il Consiglio dei Ministri. A seguito della riconferma del Presidente Buhari alle elezioni presidenziali del 23 febbraio scorso, ci si attende che i lavori per la ratifica dell'accordo possano essere prossimamente ripresi, in seguito alla nomina del nuovo Governo. La nostra ambasciata ad Abuja sta seguendo gli sviluppi affinché il processo possa concludersi il più sollecitamente possibile.
  Per quanto riguarda il Regno del Marocco, il 1° aprile 2014 è stata firmata a Rabat una convenzione sul trasferimento delle persone condannate, non è ancora entrata in vigore. Infatti, mentre l'Italia ha notificato per via diplomatica la conclusione delle procedure di ratifica il 13 settembre 2016, da parte marocchina il testo – già licenziato dalla camera dei rappresentanti – non è stato tuttavia ancora approvato da parte della camera dei consiglieri. L'ambasciata a Rabat continua a monitorare da vicino la conclusione delle procedure interne nel rispetto delle prerogative del Parlamento marocchino.
  Con l'Albania è in vigore dal 25 giugno 2004 l'Accordo Aggiuntivo alla Convenzione europea sul trasferimento delle persone condannate del 21 marzo 1983, che consente di prescindere dal consenso dell'interessato al trasferimento dallo Stato di condanna verso quello di cui il condannato è cittadino in circostanze analoghe a quelle previste nei recenti accordi con Niger, Libia, Mali, Senegal e Kosovo sopra citati. L'effettiva attuazione di tale Intesa sta tuttavia registrando alcune criticità operative, ad esempio relative ai tempi del riconoscimento delle sentenze italiane di condanna da parte delle autorità albanesi o a difficoltà oggettive, di natura logistica, del sistema penitenziario dello Stato di provenienza. Il Ministero della giustizia continua a essere impegnato nella ricerca di soluzioni tecniche condivise con la parte albanese, al fine di superare tali barriere attuative ed interpretative e pervenire all'effettivo trasferimento in Albania di quei detenuti per i quali tutto il procedimento amministrativo è completo.
  In conclusione si assicura che il Governo – e in particolar modo il competente Ministero della giustizia, d'intesa con il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale – continuerà ad impegnarsi nella direzione auspicata, sia attraverso negoziati volti a sottoscrivere trattati e/o accordi bilaterali in materia di trasferimento dei detenuti, anche escludendo – ove possibile – la necessità del consenso del condannato, sia allo scopo di ridurre eventuali barriere burocratiche o applicative, sempre nel rispetto dei diritti della persona del detenuto.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Ricardo Antonio Merlo.


   DELMASTRO DELLE VEDOVE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   tra il 1943 e il 1945 sul confine orientale d'Italia si muovevano e si combattevano tedeschi, militari italiani, bande jugoslave agli ordini di Tito, reparti ustascia, fascisti croati, patrioti sloveni anticomunisti, partigiani bianchi anticomunisti;

   fra questi vi erano gli uomini della Decima flottiglia Mas che tentavano di difendere, disperatamente e con sprezzo della vita, il confine orientale dalla avanzata delle sanguinarie truppe titine;

   in particolar modo, una quarantina di uomini della Decima flottiglia Mas vennero inviati dal Principe Junio Valerio Borghese a Lussino a difesa delle località di Zabodaschi e Neresine;

   gli uomini di stanza a Zabodaschi si arresero e vennero deportati nei gulag;

   gli uomini di stanza a Neresine provarono a resistere e una volta sopraffatti dall'esercito titino vennero fatti prigionieri e condotti ad Ossero, ove, secondo le brutali e consolidate modalità titine, vennero dapprima costretti a scavarsi la fossa e successivamente infoibati negli ultimi giorni dell'aprile 1945;

   FederEsuli già nel 2008 aveva apposto, nel luogo del brutale infoibamento, una lapide in memoria dei nostri caduti;

   nei giorni scorsi una trentina di salme sono state ritrovate, seppur a distanza di più di 70 anni e a seguito della insistenza delle associazioni che da sempre richiedono di onorare i caduti;

   «Onorcaduti», struttura del Ministero della difesa, ha il compito, fra gli altri, della ricerca, del recupero e dell'eventuale rimpatrio e della definitiva sistemazione dei caduti italiani;

   amor patrio e pietà cristiana impongono la riesumazione dei corpi degli uomini della Decima flottiglia Mas infoibati nel cimitero di Ossero sull'isola di Lussino e la loro degna sepoltura in Patria –:

   come intenda agire il Ministro interrogato al riguardo e segnatamente se intenda celermente e senza indugio adottare iniziative per provvedere al rimpatrio delle salme dei caduti o, subordinatamente, per costituire un sepolcreto, coordinandosi con le autorità croate, sull'isola di Lussino.
(4-02938)

  Risposta. — Il commissariato generale per le onoranze ai caduti, nell'ambito delle proprie attribuzioni, provvede a tutte le attività di ricerca, individuazione e rimpatrio dei caduti, così come all'attuazione delle opportune forme di commemorazione.
  Il Commissariato generale si è adoperato, fin dagli anni successivi al 2° conflitto mondiale, affinché le spoglie di militari e civili morti a causa della guerra potessero essere onorati in perpetuo, evitando che migliaia di sepolture provvisorie venissero disperse.
  Nel merito della tematica illustrata nell'atto, la difesa – e per essa il Commissariato generale – grazie alla documentazione pervenuta nel corso degli anni dalla comunità di Neresine, è stato possibile individuare il luogo nei pressi di Ossero, sull'isola di Cherso, dove vennero sommariamente sepolti alcuni caduti in guerra in una fossa comune adiacente il muro di cinta del locale cimitero.
  Le operazioni di scavo e di esumazione dei resti umani, coordinate dal commissariato generale, sono state effettuate, dal 7 al 10 maggio scorsi, da una ditta specializzata croata e hanno portato al ritrovamento dei resti mortali mineralizzati di 27 caduti in guerra, ai quali non è stato possibile assegnare un nome o la nazionalità, a causa della mancanza di segni distintivi o di riconoscimento e, pertanto, sono da considerare tutti «caduti ignoti», anche se, sulla base delle testimonianze raccolte durante i lavori e delle segnalazioni giunte negli anni, è ragionevole presumere che siano caduti in guerra italiani.
  Non è stato possibile definire, inoltre, il reparto di appartenenza, non avendo rinvenuto sul luogo della sepoltura alcun elemento identificativo riconducibile a reparti combattenti della Repubblica sociale italiana. I resti dei caduti sono stati temporaneamente traslati presso il Sacrario militare di Redipuglia.
  L'attività di ricerca e di rimpatrio è stata possibile grazie all'accordo: tra i governi della Repubblica Italiana e della Croazia sulla sistemazione delle sepolture di guerra, siglato il 6 maggio 2000 a Roma e, in particolare, alla collaborazione che intercorre tra il commissariato generale e il Ministero dei difensori croato, ottimizzando gli sforzi congiunti nella ricerca, individuazione, esumazione e traslazione dei resti mortali delle vittime di guerra.
  Relativamente al quesito posto dall'interrogante, le spoglie saranno tumulate presso il sacrario caduti d'oltremare a Bari, nel corso di una solenne cerimonia che sarà celebrata, verosimilmente, entro l'anno in corso e la cui data sarà individuata a breve.

  Prima di concludere, tengo a precisare che il Ministero della difesa continuerà a conferire ogni possibile attenzione alla questione evocata dall'interrogante, nella condivisione delle legittime istanze e aspettative di quanti desiderano rimpatriare i resti mortali dei propri congiunti.
La Ministra della difesa: Elisabetta Trenta.


   DI SAN MARTINO LORENZATO DI IVREA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   la legge n. 89 del 2014 ha introdotto alla tabella dei diritti consolari da riscuotersi dagli uffici diplomatici un diritto di 300 euro da riscuotere per il trattamento della domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana di persona maggiorenne;

   in particolare, nei Paesi dell'America latina, l'accertamento della cittadinanza italiana jure sanguinis è diventato un percorso particolarmente complesso, tanto da richiedere il potenziamento delle ambasciate e delle sedi consolari;

   tale potenziamento sarebbe possibile anche considerando il fatto che, dei 300 euro incassati per ciascuna pratica di riconoscimento, il trenta per cento torna al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e dovrebbe essere reinvestito in servizi consolari –:

   a quanto ammontino le entrate in applicazione della legge n. 84 del 2014 nei consolati italiani in tutto il mondo e, in particolare, nei singoli Paesi;

   quante pratiche di riconoscimento di cittadinanza jure sanguinis siano state elaborate durante questo periodo in ciascuno dei consolati italiani in Argentina e Brasile;

   quante persone, in particolare in Argentina e Brasile, abbiano avviato ma non concluso la pratica di riconoscimento di cittadinanza e quanti siano ancora in lista d'attesa per iniziarla;

   a quanto ammonti il trasferimento di risorse in attuazione della legge n. 84 del 2014 e successive modifiche da parte del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale a favore dei consolati italiani in Argentina e Brasile;

   se i consolati di Argentina e Brasile, beneficiari di tali trasferimenti di risorse, abbiano mai restituito al Ministero parte delle risorse succitate;

   come i consolati di Argentina e Brasile abbiano utilizzato i fondi, a loro trasferiti in base alla succitata legge, al fine di rafforzare i servizi consolari per i cittadini italiani residenti o presenti all'estero;

   se i consolati abbiano destinato tali fondi prioritariamente alla contrattualizzazione di personale locale da destinare, sotto le direttive e il controllo dei funzionari consolari, allo smaltimento dell'arretrato riguardante le pratiche di cittadinanza presentate presso i medesimi uffici consolari in Argentina e Brasile, e, in tal caso, quale sia il numero dei contratti sottoscritti.
(4-02899)

  Risposta. — Si forniscono di seguito le risposte agli specifici quesiti sollevati dall'interrogante.
  Per quanto riguarda le pratiche di riconoscimento della cittadinanza italiana
iure sanguinis, si riporta di seguito il numero di quelle lavorate e concluse rispettivamente durante il 2017, il 2018 e nei primi cinque mesi del 2019 nei singoli consolati operanti in Argentina e Brasile.

   ARGENTINA:

    Consolato generale di Bahia Bianca: 2.737 pratiche nel 2017, 2.913 nel 2018 e 713 nel 2019;

    Consolato generale di Buenos Aires 4.401 pratiche nel 2017, 7.362 nel 2018 e 3.339 nel 2019;

    Consolato generale di Cordoba: 2.720 pratiche nel 2017, 2.730 nel 2018 e 709 nel 2019;

    Consolato generale di La Piata: 1.453 pratiche nel 2017, 2.671 nel 2018 e 1.437 nel 2019;

    Agenzia consolare a Lomas de Zamora: 2.522 pratiche nel 2017, 2.460 nel 2018 e 780 nel 2019;

    Consolato generale di Mar del Plata: 536 pratiche nel 2017, 465 nel 2018 e 174 nel 2019;

    Consolato generale in Mendoza: 2.601 pratiche nel 2017, 4.769 nel 2018 e 1.715 nel 2019;

    Agenzia consolare di Moron: 1.168 pratiche nel 2017, 1.097 nel 2018 e 605 nei 2019

    Consolato generale di Rosario: 3.641 pratiche nel 2017, 3.400 nel 2018 e 1.357 nel 2019.

   BRASILE:

    Ambasciata in Brasilia: 51 pratiche nel 2017, 251 nel 2018 e 16 nel 2019;

    Consolato generale di Curitiba: 3.240 pratiche nel 2017, 3510 nel 2018 e 1.884 nel 2019;

    Consolato generale di Porto Alegre: 5.758 pratiche nel 2017, 4.342 nel 2018 e 648 nel 2019;

    Consolato generale di Recife: 232 pratiche nel 2017, 384 nei 2018 e 198 nel 2019;

    Consolato generale di Rio de Janeiro: 4.494 pratiche nel 2017, 5.755 nel 2017 e 2.704 nel 2019;

    Consolato generale di Belo Horizonte: 1.132 pratiche nel 2017, 2.170 nel 2018 e 510 nel 2019;

    Consolato generale di San Paolo: 6.383 pratiche nel 2017, 6.698 nel 2018 e 1.714 nel 2109.

  Si rappresenta, inoltre, che le pratiche di riconoscimento di cittadinanza avviate ma non concluse in Argentina erano 7.944 a fine 2017, 7.679 a fine 2018 e circa 7.300 al giugno 2019, mentre in Brasile erano 6.018 pratiche a fine 2017, 12.002 a fine 2018 e circa 7.900 al giugno 2019. In Argentina, ad oggi, vi sono 10.028 persone in lista d'attesa, mentre in Brasile ve ne sono 237.553.
  Quanto alle entrate percepite in base al decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, esse sono state pari a 24.359.100 per il periodo 2016, 2017 e primo trimestre del 2018, di cui 8.376.900 euro in Argentina e 9.425.100 euro in Brasile (paesi che hanno registrato i maggiori introiti). Di queste, il 30 per cento è stato riassegnato a ciascuna circoscrizione consolare in attuazione della legge n. 232 del 2016, dunque 2.513.070 euro sono stati trasferiti ai consolati in Argentina e 2.827.530 euro a quelli in Brasile. Per quanto riguarda i restanti trimestri del 2018, si è in attesa della conclusione della procedura di autorizzazione delle riassegnazioni dei relativi introiti.
  Si segnala che i consolati, ai sensi della legge n. 232 del 2016 (articolo 1, comma 429), non possono restituire parte di tali risorse che devono, invece, essere «destinate al rafforzamento dei servizi consolari per i cittadini italiani residenti o presenti all'estero».
  In tal senso il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha indicato con istruzioni alla rete diplomatico-consolare la necessità di utilizzare i fondi riassegnati per le finalità di legge, con particolare riguardo al miglioramento e rafforzamento dei servizi consolari, nonché per favorire lo smaltimento dell'arretrato riguardante le pratiche di riconoscimento di cittadinanza. In linea con tali direttive, i consolati operanti in Argentina e Brasile hanno utilizzato le risorse ricevute per il miglioramento dei servizi all'utenza, modulando beninteso gli interventi a seconda delle specifiche necessità locali. Si citano, a titolo di esempio, il ricorso ad agenzie specializzate per coadiuvare l'allineamento degli schedari consolari e per procedere alla digitalizzazione dei fascicoli, le misure volte a migliorare le condizioni di ricevimento del pubblico o il rafforzamento delle dotazioni specie nel settore informatico. L'insieme di tali investimenti potrà certamente contribuire, in prospettiva, alla maggiore speditezza nella trattazione delle pratiche di cittadinanza
iure sanguinis, che com'è noto ha subito negli ultimi anni, proprio nei due Paesi oggetto della presente interrogazione, un aumento esponenziale.
  Quanto alle risorse umane, in un contesto di pressoché ininterrotta contrazione delle dotazioni finanziarie destinate al Maeci, la Farnesina, a conferma dell'attenzione riservata alle esigenze delle comunità di connazionali residenti all'estero, ha frattanto destinato l'aumento del contingente del personale a contratto, introdotto con le ultime due leggi di Bilancio, principalmente al rafforzamento degli uffici con attività consolare.
  In Argentina, è stato così potenziato il consolato generale di Bahia Blanca (2 unità a tempo indeterminato), il consolato di Mar del Plata (2 unità a tempo indeterminato), il consolato generale di Cordoba (2 unità a tempo indeterminato), il consolato generale di Rosario (3 unità a tempo indeterminato), il consolato di Mendoza (2 unità a tempo indeterminato) e l'agenzia consolare di Moron (2 unità a tempo indeterminato); in Brasile, invece, è stato disposto il rafforzamento dell'ambasciata a Brasilia (2 unità a tempo indeterminato), dei consolati generali di Rio de Janeiro (2 unità a tempo indeterminato), di San Paolo (3 unità a tempo indeterminato), di Curitiba (2 unità a tempo indeterminato), di Porto Alegre (2 unità a tempo indeterminato) e del consolato di Belo Horizonte (1 unità a tempo indeterminato).
  Sebbene il personale a contratto abbia mansioni essenzialmente istruttorie e di supporto al personale di ruolo della Farnesina, l'incremento delle unità appartenenti a tale categoria costituisce senz'altro una misura di grande importanza per alleviare la grave situazione di carenza di personale di cui da tempo soffre il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Ricardo Antonio Merlo.


   FERRO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   negli ultimi anni il numero dei cinghiali presenti in Italia è praticamente raddoppiato e, in molte aree del Paese, la presenza di ungulati ha raggiunto numeri incalcolabili;

   a parere dell'interrogante i cinghiali sono animali non necessari, dannosi e pericolosi e la loro presenza sul territorio italiano, ed in particolare in Calabria, è diventata oramai incontrollabile. In particolare, nelle province di Vibo Valentia e Catanzaro, si registrano situazioni di pericolo legate ad invasioni di cinghiali che, oltre a creare danni alle imprese agricole, agrituristiche e zootecniche, mettono in pericolo i cittadini, invadendo strade trafficate e centri abitati;

   i cinghiali sono animali pericolosi per le persone e rappresentano un grosso problema per agricoltori e imprese; infatti, sono molteplici e ingenti i danni causati alle colture e agli animali da questi ungulati, che gli agricoltori e le imprese non possono più sopportare;

   a fronte della acclarata inadeguatezza degli attuali metodi di selezione e controllo degli ungulati, occorre valutare metodologie alternative, che possano essere attuate anche avvalendosi dei proprietari o conduttori dei fondi agricoli o di operatori abilitati –:

   quali iniziative, anche di tipo normativo, intenda adottare al fine di individuare strumenti specifici e urgenti per contrastare il fenomeno crescente della presenza incontrollata dei cinghiali e quali misure finanziare intenda promuovere per riparare i danni ingenti agli imprenditori e agli agricoltori che questi ungulati stanno arrecando.
(4-00476)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Le problematiche connesse all'aumento di alcune specie faunistiche che arrecano danni, in particolare alle produzioni agricole, in ambiti protetti così come nei territori liberi alla caccia, sono ben note al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che da diversi anni intraprende, in collaborazione con il Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo di concerto con le regioni e con il supporto tecnico di ISPRA, azioni normative e di indirizzo per rendere più efficace la gestione del cinghiale su tutto il territorio nazionale.
  Il cinghiale rappresenta il principale fattore di conflitto tra specie animali e attività dell'uomo in molti contesti nazionali. La rilevanza della tematica è anche legata all'incremento numerico dei cinghiali, passati da 300-500.000 capi nel 2000, a oltre 600.000 nel 2005, fino a superare i 900.000 nel 2010 e, verosimilmente, attestatisi oltre il milione di capi negli ultimi anni. Il prelievo venatorio è cresciuto contestualmente da 93.000 capi nel 2000, a 115.000 nel 2005, a oltre 153.000 nel 2010 (fonte: banca dati ungulati ISPRA). In alcuni contesti del paese la situazione è diventata particolarmente grave, tale da richiedere interventi urgenti per mitigare in modo efficace gli impatti causati dal cinghiale.
  Gli strumenti previsti dalla normativa e attuabili sono diversi e riguardano:

   l'esercizio dell'attività venatoria, ai sensi degli articoli 13 e 18 (modificato, per ciò che concerne gli ungulati, dall'art. 11-quaterdecies, comma 5, della legge n. 248 del 2005) della legge 11 febbraio 1992, n. 157, che individuano, rispettivamente, i mezzi per l'esercizio dell'attività venatoria e le specie cacciabili e i periodi di esercizio di tale attività;

   il controllo numerico, ai sensi dell'articolo 19, commi 2 e 3, della sopra richiamata Legge.

  Se correttamente applicati, seguendo la normativa nazionale e le rispettive normative regionali di recepimento, questi strumenti consentono di contemperare i generali obiettivi di tutela delle specie selvatiche con l'attivazione di efficaci misure di mitigazione degli impatti e di limitazione della specie sul territorio ove ritenuto opportuno.
  Infatti, oltre alla disciplina dei prelievi venatori, il sopra richiamato articolo 19 della legge n. 157 del 1992 prevede la possibilità per le regioni di provvedere al controllo delle specie di fauna selvatica, anche nelle zone vietate alla caccia, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico, per la tutela del suolo, per motivi sanitari, per la selezione biologica, per la tutela del patrimonio storico-artistico, per la tutela delle produzioni zoo-agro-forestali ed ittiche. Lo stesso articolo, al comma 2, impone alle amministrazioni competenti di esercitare selettivamente tale controllo, di norma, mediante l'utilizzo di metodi ecologici su specifico parere tecnico dell'ISPRA. Qualora l'ISPRA verifichi l'inefficacia dei predetti metodi, le regioni possono autorizzare piani di abbattimento, condotti con qualsiasi mezzo, purché lo stesso risulti selettivo (cioè tale da intervenire unicamente su individui appartenenti alla specie bersaglio, limitando o evitando gli effetti negativi sulle altre componenti delle comunità biotiche).
  Per quel che attiene il controllo numerico di fauna selvatica nelle aree protette, la legge n. 394 del 1991 al comma 4, dell'articolo 11, prevede che il regolamento del parco stabilisce altresì le eventuali deroghe ai divieti di cui al comma 3, prevedendo eventuali prelievi faunistici ed eventuali abbattimenti selettivi necessari per ricomporre squilibri ecologici accertati dall'ente parco. Prelievi e abbattimenti dovranno avvenire per iniziativa e sotto la diretta responsabilità e sorveglianza dell'ente parco ed essere attuati dal personale dell'ente o da persone all'uopo espressamente autorizzate dal parco stesso. Il Ministero sta indirizzando i parchi nazionali alla prevenzione attraverso la cattura come strumento prioritario di contenimento del fenomeno in questione, sentiti gli indirizzi tecnici di ISPRA.
  La legge n. 221 del 2015 ha, infine, introdotto il divieto di immissione di cinghiali in natura, di foraggiamento artificiale per contrastare l'ulteriore proliferazione di questi animali e disincentivare fenomeni di bracconaggio, nonché il divieto di allevamento in alcuni ambiti contigui a quelli protetti, con un regime sanzionatorio di natura penale per i trasgressori.
  A quanto fin qui esposto si aggiungono diverse linee guida promosse dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con il supporto tecnico di ISPRA, fra cui «Linee guida per la gestione del cinghiale nelle aree protette seconda edizione».
  Quanto sopra nella consapevolezza che la gestione del cinghiale non rappresenta un fatto emergenziale ma una realtà da gestire in forma continuativa. Si tratta, infatti, di gestire in forma sostenibile la presenza di una specie diffusa naturalmente sul territorio, che per la grande capacità di incremento annuo deve necessariamente essere soggetta a gestione costante.
  Occorre, inoltre, ricordare che il mutato regime europeo sugli aiuti di stato ha vietato di indennizzare i danni da cinghiale al di fuori delle aree protette. Questa diversa situazione rende necessaria una più efficace prevenzione dei danni provocati dai cinghiali, sia attraverso l'abbassamento della densità di cinghiali, sia con opportuni strumenti di prevenzione, finanziabili anche attraverso i PSR.
  Con specifico riferimento al prelievo di cinghiali attuato nella regione Calabria, sulla base degli elementi acquisiti, pare emergere un limitato uso degli strumenti disponibili da parte dell'Amministrazione regionale. In particolare, risulta una situazione in cui l'attività venatoria si svolge quasi esclusivamente attraverso la caccia collettiva, attuabile ai sensi della normativa vigente per tre mesi l'anno. La caccia di selezione, che può essere realizzata anche per periodi temporali estesi, poiché rappresenta una tecnica a basso impatto ambientale, risulta viceversa attivata in Calabria solo dal 2017.
  Il Ministero, infine, ha attivato nei mesi scorsi, in collaborazione con il Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo e con ISPRA, un tavolo tecnico dove si sta affrontando il tema dei danni causati dalla fauna selvatica, in particolare degli ungulati, al fine di armonizzare e proporre misure di mitigazione del fenomeno, sperimentando nuove proposte di gestione tecnico-scientifiche, tenendo conto dell'equilibrio della biodiversità e di strumenti di prevenzione aggiornati.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.


   FERRO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   con una prima sentenza, nel 2007, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha dichiarato che l'Italia era venuta meno, in modo generale e persistente, agli obblighi relativi alla gestione dei rifiuti;

   nel 2013, la Commissione europea ha ritenuto che l'Italia non avesse ancora adottato tutte le misure necessarie per dare esecuzione alla citata sentenza: 218 discariche ubicate in 18 delle 20 regioni italiane non erano conformi alla direttiva «rifiuti»;

   nella sentenza del 2 dicembre 2014, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha confermato che l'Italia non ha adottato tutte le misure necessarie a dare esecuzione alla sentenza del 2007, condannandola a pagare una somma forfettaria di 40 milioni di euro;

   in particolare, la Corte di giustizia ha rilevato che l'inadempimento perdura da oltre sette anni e che, dopo la scadenza del termine impartito, le operazioni sono state compiute con grande lentezza; un numero importante di discariche abusive si registra ancora in quasi tutte le regioni italiane. Essa ha ritenuto quindi di infliggere una penalità decrescente, il cui importo è ridotto progressivamente in ragione del numero di siti che saranno messi a norma, computando due volte le discariche contenenti rifiuti pericolosi;

   la Corte ha condannato l'Italia a versare altresì una penalità semestrale a far data dal 2 dicembre 2014 e fino all'esecuzione della sentenza del 2007. La penalità è calcolata, per quanto riguarda il primo semestre, a partire da un importo iniziale di 42.800.000 euro. Da tale importo sono detratti 400.000 euro per ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi messa a norma e 200.000 di euro per ogni altra discarica messa a norma;

   le 200 discariche oggetto della sentenza sono ubicate nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Umbria e Veneto;

   l'Italia ha pagato 40 milioni di euro come multa forfettaria e 39.800.000, 33.400.000, 27.800.000 euro come multe relative al primo, secondo e terzo semestre successivo alla sentenza;

   la legge 28 dicembre 2015, n. 208, all'articolo 1, comma 813, prevede: «[...] Ai fini della tempestiva esecuzione delle sentenze di condanna rese dalla Corte di giustizia dell'Unione europea [...], al pagamento degli oneri finanziari derivanti dalle predette sentenze si provvede a carico del fondo di cui all'articolo 41-bis, comma 1, della presente legge, nel limite massimo di 50 milioni di euro per l'anno 2016 e di 100 milioni di euro annui per il periodo 2017-2020. A fronte dei pagamenti effettuati, il Ministero dell'economia e delle finanze attiva il procedimento di rivalsa a carico delle amministrazioni responsabili delle violazioni che hanno determinato le sentenze di condanna, anche con compensazione con i trasferimenti da effettuare da parte dello Stato in favore delle amministrazioni stesse»;

   in data 24 marzo 2017 il Consiglio dei ministri ha nominato commissario straordinario per la realizzazione degli interventi necessari all'adeguamento alla normativa vigente delle discariche abusive presenti sul territorio nazionale il generale di brigata dell'Arma dei carabinieri Giuseppe Vadalà –:

   quali siano le discariche abusive in procedura di infrazione successivamente alla scadenza del 2 giugno 2018 e, in particolare, quale sia lo stato di attuazione della bonifica delle discariche abusive ancora presenti sul territorio calabrese;

   quali iniziative concrete abbia assunto, a distanza di oltre un anno dalla sua nomina, il commissario straordinario del Governo;

   a che punto sia il procedimento di rivalsa – ai sensi dell'articolo 1, comma 813, della legge n. 208 del 2015 nei confronti delle amministrazioni responsabili delle violazioni citate in premessa.
(4-01202)

  Risposta. – Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Com'è noto, in data 2 dicembre 2014, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha pronunciato la sentenza nella causa C-196/13, non avendo l'Italia adottato le misure necessarie a dare esecuzione alla prima sentenza (C-135/2005). Con la predetta sentenza del 2 dicembre 2014, l'Italia veniva quindi condannata a versare una penalità semestrale iniziale di euro 42.800.000,00.
  Nello specifico la sentenza di condanna riguardava 200 siti da bonificare, di cui 80 affidate al commissario governativo Gen. B. CC. Giuseppe Vadalà.
  Al fine di agevolare la conclusione dei procedimenti di bonifica e messa in sicurezza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha avviato una intensa attività di supporto ai comuni e alle regioni interessate dalla procedura di infrazione, generando una consistente riduzione del numero di discariche oggetto di condanna con conseguente diminuzione della sanzione semestrale.
  Più precisamente, alla scadenza del 2 giugno 2018, le discariche abusive in procedura di infrazione erano 68, di cui 21 nel territorio calabrese. Grazie alla positiva interlocuzione con la Commissione europea, nel corso di due anni e mezzo circa, la Repubblica italiana ha diminuito le discariche in infrazione. Infatti, in data 1° giugno 2018, le autorità italiane hanno trasmesso alla Commissione elementi informativi volti a dimostrare l'avvenuta bonifica/messa in sicurezza di 13 discariche. La Commissione europea ha ritenuto la documentazione idonea e, pertanto, ad oggi le discariche in infrazione sono 55 di cui 52 affidate al Commissario, passando da una sanzione iniziale di 42,8 milioni a 11,6 milioni di euro.
  Si evidenzia che l'attività di messa in sicurezza/bonifica è in atto su tutti i siti nazionali.
  A ciò si aggiunga che il 2 dicembre 2018 sono stati inviati alla Commissione europea 8 dossier relativi a discariche messe in sicurezza e/o bonificate per le quali è stato chiesto lo stralcio dal pagamento della sanzione semestrale.
  Per quanto concerne, nello specifico, le discariche affidate al commissario governativo, si sottolinea che dall'inizio del mandato ad oggi, lo stesso ha fatto presente di aver svolto la propria azione secondo due direttrici principali: 1) promozione e coordinamento degli iter amministrativi dei lavori da svolgere con le regioni e i comuni attraverso le stazioni appaltanti; 2) analisi dei contesti operativi per la prevenzione degli illeciti. Lo stesso Commissario ha evidenziato di aver incentrato la propria attività sul «recupero dei luoghi manomessi» in modo tale da avviare le operazioni di bonifica secondo uno schema organizzato, articolato e sviluppato
ad hoc.
  In un anno e mezzo circa di attività, la struttura commissariale, grazie anche al supporto del Ministero dell'ambiente, ha rappresentato di aver messo in sicurezza/bonificato 28 siti.
  Per quanto attiene la situazione della regione Calabria si rappresenta che, a valle della seconda sentenza di condanna del 2 dicembre 2014, 43 dei 200 siti in infrazione erano localizzati nel territorio calabrese. Dei predetti 43 siti, 24 sono stati messi in sicurezza/bonificati e pertanto stralciati dalla procedura di infrazione e dal pagamento della sanzione semestrale.
  Alla data del 31 gennaio 2019 permangono in procedura di infrazione ancora 19 siti sui quali i lavori di bonifica/messa in sicurezza risultano avviati e in alcuni casi prossimi alla conclusione.
  Di seguito, si elencano i siti calabresi presso i quali sono in corso le attività di messa in sicurezza/bonifica:

   1. discarica comune di Acquaro, località Carrà; 2. discarica comune di Amantea, località Grasullo; 3. discarica comune di Belmonte calabro, località Manche; 4. discarica comune di Colosimi, località Colle Fratantonio; 5. discarica comune di Longobardi, località Tremoli tosto; 6. discarica comune di Mormanno, località Ombrele; 7. discarica comune di Sangineto, località Timpa di Civita; 8. discarica comune di Verbicaro, località Acqua dei bagni; 9. discarica comune di Badolato, località S. Marini; 10. discarica comune di Davoli, località Vasi; 11. discarica comune Magisano, località Finoieri; 12. discarica comune di Martirano, località Ponte del soldato; 13. discarica comune di Reggio Calabria, località Calderiti; 14. discarica comune di Petronà, località Pantano grande; 15. discarica comune di Sellia, località Aria; 16. discarica comune di Taverna, località Terrazzo; 17. discarica comune di Joppolo, località Colantoni; 18. discarica comune di Pizzo, località Marinella; 19. discarica comune di Sana Calogero, località Papaleo.

  In relazione all'azione di rivalsa, si specifica che ad aprile 2016 il Ministero dell'economia e delle finanze, coinvolgendo lo stesso Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e gli enti territoriali interessati, ha avviato il procedimento per l'acquisizione dell'intesa prevista dall'articolo 43, comma 7, della legge 23 dicembre 2012, n. 234, in ordine ai criteri di rivalsa da adottare ai fini del reintegro delle anticipazioni effettuate dal Ministero stesso per il pagamento delle sanzioni comminate dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea con la sentenza del 2 dicembre 2014. A tal riguardo, si evidenzia che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha risposto alla richiesta di avvio delle attività istruttorie menzionate programmando una serie di riunioni con le regioni coinvolte. Tali riunioni si sono svolte congiuntamente ai referenti del Ministero dell'economia e delle finanze-RGS nei mesi di maggio e giugno scorsi. Sono in via di definizione i criteri di valutazione da utilizzare per l'eventuale riparto degli oneri e pervenire quindi all'intesa richiesta dalla legge con tutti i soggetti a vario titolo interessati.
  Alla luce delle informazioni esposte, è evidente che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha seguito con costante attenzione le problematiche in argomento e rassicura che continuerà a svolgere le proprie attività di monitoraggio e sollecito senza ridurre in alcun modo il proprio impegno su tale tematica.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.


   FERRO, TRANCASSINI, BUTTI e FOTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   i siti di interesse nazionale (Sin) sono attualmente 39 e coprono una superficie corrispondente a circa il 3 per cento del territorio italiano;

   i procedimenti finalizzati alla bonifica dei Sin sono ben lontani dall'essere completati, così come rilevato dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella propria relazione di fine mandato sulle «Bonifiche nei siti di interesse nazionale»;

   nella succitata relazione, la Commissione permanente ha ribadito, riprendendo gli esiti dei lavori depositati il 12 dicembre 2012 dalla precedente Commissione parlamentare, che: «Un dato emerso in maniera evidente e che sin d'ora può essere sottolineato è quello concernente l'estrema lentezza, se non la stasi, delle procedure attinenti alla bonifica dei siti di interesse nazionale»;

   nel capitolo dedicato alla «strategia di riforma del Governo» contenuto nella nota di aggiornamento al documento di economia e finanza 2018 agli interroganti non risultano presenti misure o interventi, puntuali e diffusi sul tema delle «bonifiche dei siti inquinati», lacuna francamente inaccettabile, sia per le ragioni legate alla tutela dell'ambiente e della salute umana, sia per quelle legate al mancato recupero economico produttivo dei siti inquinati in un'ottica di sistema che consente la riduzione del consumo di suolo e il rilancio sociale e occupazionale delle aree interessate;

   alla mancata bonifica dei siti di interesse nazionale sono connesse gravi e impellenti problematiche sanitarie, come riportato anche dall'ultimo rapporto Sentieri (ed. 2018) sullo stato di salute delle popolazioni che vivono nei Sin e nei Siti di interesse regionale, redatto dall'Istituto superiore di sanità e presentato a giugno 2018 presso lo stesso Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare –:

   quali iniziative urgenti intenda adottare il Ministro interrogato per dare impulso alla bonifica dei siti di interesse nazionale, specificando se esista e quale sia la strategia del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel campo delle bonifiche, anche con riferimento alla bonifica e alla messa in sicurezza delle aree ricomprese all'interno del Sin di Crotone-Cassano-Cerchiara.
(4-01395)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  L'attività riguardante le procedure di bonifica, ivi incluse quelle relative ai Siti di bonifica di interesse nazionale (SIN), rappresenta uno degli obiettivi che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha messo al centro della propria attività di governo.
  In particolare, l'intensificazione della sicurezza del territorio, delle attività di bonifica e di risanamento ambientale dei siti contaminati, costituisce una delle priorità politiche che orienteranno le attività del Ministero nei prossimi anni.
  Al fine di dare concreta attuazione a tali obiettivi programmatici, il Ministero intende avviare un'attività di razionalizzazione e potenziamento delle procedure nei SIN, disciplinare l'esercizio di poteri sostitutivi in caso di inerzia degli enti competenti oltre ad introdurre una previsione sulla responsabilità erariale in caso di inadempimento degli enti coinvolti.
  Nel novero delle misure che lo stesso Ministero intende realizzare, rientra anche il rafforzamento della prevenzione e dei controlli in campo ambientale, con particolare riferimento alla fase di controllo dell'efficienza-efficacia degli interventi di messa in sicurezza d'emergenza, delle misure di prevenzione e dei progetti di bonifica, anche prevedendo un potere prescrizionale del Ministero medesimo, in fase di controllo.
  Con specifico riferimento al SIN di «Crotone-Cassano-Cerchiara», si segnala che il sito è stato perimetrato con decreto ministeriale Ambiente del 26 novembre 2002. L'area perimetrata a terra (riferita al solo sito di Crotone) è pari a circa 530 ettari, mentre l'area a mare è di circa 1.469 ettari (comprensivi di 132 ettari di area portuale).
  Con decreto del 9 novembre 2017 a firma del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stata ridefinita la perimetrazione del SIN per quanto riguarda le aree a terra (inclusione dei siti con presenza di conglomerato idraulico catalizzato).
  Ciò premesso, lo stato di attuazione degli interventi di caratterizzazione e bonifica per le aree comprese nel SIN è il seguente:

   aree per le quali sono stati presentati i risultati della caratterizzazione (49 per cento circa);

   aree contaminate con progetto di messa in sicurezza-bonifica dei suoli approvato con apposito decreto (25 per cento circa);

   aree contaminate con progetto di messa in sicurezza/bonifica della falda approvato con decreto (12 per cento circa);

   aree con procedimento concluso (suoli 13 per cento) — (acque di falda 11 per cento circa).

  Per quanto riguarda le aree private di competenza Syndial, si rappresenta che le attività previste dal progetto di bonifica delle acque di falda, che riguarda le tre aree di stabilimento ex Pertusola, ex Agricoltura ed ex Fosfotec, approvato con decreto direttoriale n. 122 del 9 aprile 2015, sono in corso di esecuzione.
  Per i progetti operativi di bonifica fase 1 «Opere a mare anticipabili» e fase 2 «Bonifica aree di stabilimento e aree discariche a mare» sono state indette conferenze di servizi decisorie asincrone e in modalità semplificata che, per la complessità degli interventi previsti, il Ministero dell'ambiente ha ritenuto opportuno trasformare in conferenze di servizi sincrone e in modalità simultanea, articolate in più riunioni.
  Per entrambi i progetti si resta in attesa della conclusione del procedimento di autorizzazione unica regionale
ex articolo 27-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006 per la successiva approvazione in conferenza di servizi ai sensi dell'articolo 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Per alcune delle aree oggetto del progetto operativo di bonifica Fase 2, caratterizzate dalla presenza di TENORM, si deve invece attendere la conclusione del procedimento
ex articolo 126-bis del decreto legislativo n. 230 del 1995 da parte del prefetto di Crotone in quanto autorità competente.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha stanziato a favore del SIN di Crotone-Cassano-Cerchiara euro 21.116.860,84, di cui euro 9.916.860,84 a valere sul decreto ministeriale n. 468 del 2001, somme interamente impegnate e spese per la realizzazione degli interventi, ed euro 11.200.000,00 a valere su risorse di bilancio, disciplinate nell'accordo di programma del 16 febbraio 2011 nel quale è prevista, tra l'altro, la bonifica delle «Aree con presenza di Conglomerato Idraulico Catalizzato» e il completamento della bonifica dell'area archeologica.
  Inoltre, a seguito della sentenza del tribunale di Milano n. 2536/2012, la Syndial ha versato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare euro 70.849.885,64. Tale somma è stata impegnata a favore del commissario
ex decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 giugno 2016 e sono stati trasferiti euro 35.424.942,50, così come disposto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri medesimo.
  Residuano ancora da trasferire euro 30.920.608,80 (al netto di quanto già liquidato alla Syndial, euro 4.504.334,34, a seguito della transazione Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare-Syndial del 20 novembre 2017 in ordine alla parziale erroneità del conteggio degli interessi calcolati sulle somme di cui alla sentenza del tribunale di Milano n. 2536 del 2012.
  Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 28 giugno 2016 venne nominato un «Commissario straordinario delegato a coordinare la realizzazione degli interventi di bonifica e riparazione del danno ambientale nel sito contaminato di interesse nazionale di Crotone». La sua gestione commissariale è terminata in data 28 giugno 2018 ed è in corso la procedura di nomina del nuovo commissario.
  Per quanto riguarda l'aspetto sanitario, l'Istituto superiore di sanità ha precisato che il suo specifico ruolo è quello di coprire gli aspetti sanitari nell'ambito delle elaborazioni delle analisi di rischio, così come definito nella parte quarta, titolo V del decreto legislativo n. 152 del 2006, «Bonifica di siti contaminati».
  L'Istituto ha inoltre fatto presente che attraverso l'implementazione del progetto SENTIERI, è stato realizzato un sistema permanente di sorveglianza epidemiologica nei Siti di interesse nazionale (SIN) per le bonifiche e, in riconoscimento di questa attività, l'Organizzazione mondiale della sanità (
World health organization, WHO) ha ritenuto di istituire presso il competente dipartimento il WHO collaborating centre for environmental health in contaminated sites.
  L'Istituto collabora con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in ordine alla valutazione dell'esposizione dovuta alla presenza di sostanze inquinanti nel suolo, superficiale e profondo, e nelle acque sotterranee, in aree ricadenti all'interno sia dei Siti di interesse Nazionale che in aree non SIN.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.


   GREGORIO FONTANA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il 13 settembre 2013 veniva barbaramente ucciso nel magazzino del suo negozio di Milano Gorijan Parviz, un commerciante di 79 anni, colpito ripetutamente al corpo e alla testa con un oggetto appuntito;

   a seguito delle indagini condotte dall'Arma dei carabinieri, si è giunti all'identificazione dell'assassino, nella persona di Mohamed Attia Raafat, pregiudicato con precedenti per droga e furto, nel frattempo fuggito in Egitto, suo Paese di origine;

   la prima corte d'assise di Milano, nel 2017, ha condannato Mohamed Attia Raafat all'ergastolo in contumacia e nei suoi confronti è stato disposto un mandato di cattura europeo, ma l'estradizione non è mai stata attuata: nel 2018, infatti, la Corte d'assise di Zagazig, a nord del Cairo, ha comunicato alle autorità italiane che lo stesso è stato condannato a morte –:

   quali siano ad oggi le informazioni fornite dalle autorità egiziane alle autorità italiane circa i fatti esposti in premessa e se i Ministri interrogati non ritengano necessario attivarsi, per quanto di competenza e anche tramite opportuni canali diplomatici, al fine di richiedere alle autorità egiziane la documentazione ufficiale circa l’iter processuale e lo stato di esecuzione della condanna inflitta a Mohamed Attia Raafat, al fine di fornire massima trasparenza su un grave delitto che ha visto impegnati gli uffici giudiziari di Milano su una vicenda che si è sviluppata, in parallelo e sui medesimi fatti, anche presso il tribunale egiziano, senza tuttavia che si abbia traccia degli atti del processo e dell'esecuzione della condanna.
(4-02782)

  Risposta. — Con riferimento a quanto richiesto con il testo ispettivo in questione va evidenziato che in data 16 novembre 2014 il cittadino egiziano Mohamed Attia Raafat veniva arrestato in Egitto a fini estradizionali verso l'Italia e in data 22 dicembre 2014 il Ministro della giustizia avanzava alle autorità egiziane richiesta di estradizione relativamente all'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP di Milano il 9 ottobre 2013 per i delitti di omicidio volontario e rapina aggravati commessi in Milano, in data 12 settembre 2013.
  A seguito di numerosi solleciti da parte degli uffici competenti del Ministero, con note del 18 dicembre 2015 e del 21 dicembre 2015 l'Interpol comunicava che secondo le informazioni fornite dal collaterale organo egiziano la domanda di estradizione era all'esame dell'autorità giudiziaria competente senza fornire ulteriori precisazioni circa lo stato di detenzione del cittadino egiziano.
  Nonostante numerosi solleciti nessuna ulteriore informazione veniva successivamente trasmessa dalle autorità egiziane.
  Nel febbraio 2018 da notizie di stampa si apprendeva che per i reati commessi in Italia e per i quali era stata avanzata domanda di estradizione, Mohammed Attia Raafat sarebbe stato giudicato e condannato alla pena capitale dall'autorità giudiziaria egiziana. In data 1° marzo 2018 il Ministero ha richiesto alla nostra ambasciata in Egitto di voler acquisire ulteriori ufficiali informazioni sul processo e sulla pena inflitta a Mohammed Attia Raafat.
  Ad oggi non è stata ricevuta alcuna informazione dalle autorità egiziane, anche attraverso canali diplomatici, sulla sorte del cittadino di cui era stata chiesta l'estradizione.
  Si rappresenta, da ultimo, che sono attive le ricerche a livello internazionale del cittadino egiziano in oggetto in relazione all'ordine di carcerazione emesso dalla procura della Repubblica di Milano in data 7 febbraio 2018 per l'esecuzione della pena dell'ergastolo.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   ILARIA FONTANA, VIANELLO e TRAVERSI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il decreto ministeriale del 29 novembre 2000 prevede per le società e gli enti gestori di servizi pubblici di trasporto o delle relative infrastrutture l'obbligo di individuare le aree in cui per effetto delle immissioni delle infrastrutture stesse si abbia superamento dei limiti di immissione di rumore previsti;

   lo stesso decreto prevede, altresì, che le società e gli enti gestori debbano determinare il contributo specifico delle infrastrutture al superamento dei limiti suddetti, presentando all'autorità da essa indicata, ai sensi dell'articolo 10, comma 5, della legge 26 ottobre 1995, n. 447, il piano di contenimento e abbattimento del rumore prodotto nell'esercizio delle infrastrutture;

   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con decreto DEC20110000034 dell'11 marzo 2011, ha approvato il piano degli interventi di contenimento e abbattimento del rumore prodotto da infrastrutture di trasporto veicolare di interesse nazionale o di più regioni, redatto da Autostrade per l'Italia s.p.a. ai sensi del decreto ministeriale 29 novembre 2000;

   l'autostrada A1, gestita dalla società Autostrade per l'Italia s.p.a., lungo il suo percorso passa all'interno del comune di Ceprano (Frosinone) con un impatto considerevole in termini di inquinamento acustico, oltre ad aggravare la qualità dell'aria ambiente;

   con protocollo DVADEC-2013-0000116 del 2 maggio 2013, è stata autorizzata l'anticipazione al primo stralcio del piano di interventi citato, consistente in 62 macro-interventi tra i quali uno sull'autostrada A1 in prossimità del comune di Ceprano, tra il chilometro 638+700 e il chilometro 644+700;

   con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 27 dicembre 2016 è stato approvato l'elenco degli interventi aggiornati ricompresi nel secondo e terzo stralcio del piano di abbattimento del rumore autostradale. In quest'ultimo viene reinserito il comune di Ceprano dal chilometro 644+700 al chilometro 654+700;

   il decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 194, ha dato attuazione alla direttiva 2002/49/CE relativa alla determinazione e alla gestione del rumore ambientale. Secondo le disposizioni del decreto le società e gli enti gestori di servizi pubblici di trasporto o delle relative infrastrutture elaborano e trasmettono all'ente competente la mappatura acustica entro il 30 giugno 2012, nonché predispongono da quella data in poi degli aggiornamenti ogni 5 anni;

   in attuazione della direttiva 2002/49/CE sono stati pubblicati a maggio 2018 i piani di azione della rete di Autostrade per l'Italia s.p.a. ai sensi del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 194;

   nel Piano 2018 per il quinquennio 2018-2022 viene nuovamente indicato un intervento nel comune di Ceprano, codice 154155 e asse A01 IT_a-rd0002001;

   l'applicazione delle barriere acustiche è stata effettuata in alcuni tratti tra quelli in questione soltanto in un senso di marcia, provocando un maggiore impatto sonoro sul versante opposto dell'infrastruttura;

   nello schema di intesa allegato al citato decreto dell'11 marzo 2011, al comma 3, è specificato che «in caso di segnalazioni di situazioni di particolare e comprovata gravità, non considerate dal Piano, tali da comportare un intervento con ordine di priorità che ricadrebbe nello stralcio approvato dalla presente Intesa, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare disporrà l'integrazione immediata del Piano stesso» –:

   quali siano i risultati degli eventuali rilievi fonometrici svolti a seguito dell'attuazione dei piani di cui in premessa;

   se la criticità sopra descritta sia stata affrontata nell'intervento previsto nel recente piano per il quinquennio 2018-2022 di Società Autostrade per l'Italia s.p.a. o se tale problematica verrà risolta in una prossima integrazione del piano.
(4-01874)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame relativa agli interventi di mitigazione acustica compresi nel piano di contenimento ed abbattimento del rumore di autostrade per l'Italia s.p.a. (nel seguito piano) ricadenti nel comune di Ceprano (FR), sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Il piano prevede due macrointerventi nel comune di Ceprano, il «n. 149-150-151-152-153
» ed il «n. 154-155».
  Il macrointervento n. 149-150-151-152-153, che ha previsto nel comune in parola, la realizzazione di barriere antirumore nel tratto di autostrada A1 Milano-Napoli, tra le chilometriche 638+670 chilometri e 644+800 chilometri, è stato approvato nella conferenza dei servizi del febbraio 2013, con apposito provvedimento del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Nell'ambito di tale conferenza non sono pervenute osservazioni da parte dello stesso comune di Ceprano.
  Al termine dei lavori, nel febbraio 2016, come previsto dal decreto del Ministro dell'ambiente 29 novembre 2000, Autostrade per l'Italia s.p.a. ha trasmesso allo stesso Dicastero, al comune di Ceprano, alla regione Lazio, gli esiti delle verifiche di efficacia delle barriere antirumore installate, dai quali risultava il rispetto dei limiti acustici presso tutti i ricettori esaminati.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai fini istruttori, ha trasmesso la suddetta documentazione all'ISPRA che ha richiesto elementi integrativi al gestore. Infine, nel giugno 2017, analizzati anche gli elementi integrativi richiesti, l'ISPRA ha concluso che l'intervento in oggetto è stato collaudato con esito positivo, essendo rispettati i limiti di legge.
  Inoltre, su richiesta del comune di Ceprano e della cittadinanza, nel mese di novembre 2016 il gestore ha eseguito un ulteriore monitoraggio fonometrico di verifica, in una stagionalità diversa dal periodo estivo, dal quale era emerso che i rilievi ARPA del 2015 non avevano evidenziato criticità. Gli ultimi rilievi effettuati hanno confermato il sostanziale rispetto dei limiti di legge.
  In macrointervento n. 154-155, prevederà la realizzazione di barriere antirumore nel comune di Ceprano, nel tratto di autostrada A1 Milano-Napoli, tra le chilometriche 644+800 chilometri e 658+600 chilometri. Tale intervento ricade nel 2° stralcio quinquennale di attuazione del piano, la cui programmazione è stata approvata con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 157 del 15 giugno 2017, d'intesa con la conferenza unificata.
  Nell'ottobre 2018, Autostrade per l'Italia s.p.a. ha potuto richiedere al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti l'attivazione dell’
iter autorizzativo per l'accertamento della conformità urbanistica, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 383 del 1994, per il macrointervento in argomento.
  In tale fase, che prevede la conferenza dei servizi, saranno coinvolti anche i comuni interessati dal progetto, che potranno presentare le relative osservazioni.
  Secondo quanto affermato da Autostrade per l'Italia s.p.a. è lecito ipotizzare l'inizio delle lavorazioni per l'installazione delle barriere antirumore entro il secondo semestre dell'anno 2020.
  Alla luce delle informazioni esposte, si rassicura che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a svolgere le proprie attività mantenendo alto il livello di attenzione sulla questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.


   FORNARO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   in due capannoni sulla strada che collega i comuni di Sale e Tortona sono stati stoccati 15 mila metri cubi di rifiuti, che avrebbero dovuto essere solo cartacei, ma, in seguito a dei controlli, sono risultati essere anche di natura plastica e indifferenziata;

   il sindaco di Sale Andrea Pistone ha chiesto alla protezione civile un piano di evacuazione nel caso di possibili incendi che potrebbero innescarsi con l'aumento della temperatura e ha avvisato i comuni confinanti. Inoltre, il sindaco ha scritto alla provincia di Alessandria, alla prefettura, alla regione e al Ministero al fine di evidenziare l'impossibilità da parte di un comune come quello di Sale di procedere al recupero ambientale di tale massa di rifiuti;

   era stato concesso inizialmente dall'amministrazione comunale all'azienda Tommasi di Novara l'utilizzo di due capannoni, rispettivamente uno da cinquemila metri quadrati, l'altro da tremila metri quadrati, per lo stoccaggio di rifiuti, nello specifico di residui cartacei;

   dopo un eccessivo movimento di mezzi sono stati effettuati dei controlli, dapprima da parte dei dipendenti comunali e in seguito da parte dei carabinieri del nucleo operativo ecologico, che hanno determinato il sequestro dei capannoni, ravvisando la presenza anche di rifiuti in plastica ed indifferenziati;

   la gestione dei rifiuti costituisce attività di pubblico interesse. Tale attività, ai sensi dell'articolo 178 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale, «è effettuata conformemente ai principi di precauzione, di prevenzione, di sostenibilità, di proporzionalità, di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell'utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti, nonché del principio chi inquina paga»;

   lo smaltimento dei rifiuti deve essere effettuato in condizioni di sicurezza, come previsto dall'articolo 182 del suddetto decreto legislativo –:

   quali risposte intenda fornire il Governo in relazione alle istanze che sono state formulate dal sindaco di Sale con riferimento alle criticità derivanti dai rifiuti presenti nei capannoni di cui in premessa.
(4-00315)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare si rende noto che la provincia di Alessandria ha precisato che la società Tommasi è stata autorizzata al recupero di rifiuti costituiti da carta e cartone nonché da rottami ferrosi, rottami metallici, imballaggi e fridi plastici, cascame di tessuti e fibre ed imballaggi in legno. La stessa provincia ha sottolineato che gran parte degli scarti in questione risulta stoccata in due distinti immobili siti in un luogo diverso dalla sede operativa della ditta ed in assenza di autorizzazione da parte dell'ente provinciale.
  La provincia ha, quindi, rappresentato che l'accumulo dei menzionati rifiuti è il risultato di un'attività illecita oggetto di indagine da parte della competente autorità giudiziaria che ha già sottoposto gli immobili a sequestro preventivo.
  La provincia, inoltre, ha rappresentato di avere adottato i provvedimenti di revoca dell'autorizzazione precedentemente concessa alla società Tommasi s.r.l. con conseguente cancellazione della stessa dal registro provinciale
ex articolo 216 decreto legislativo n. 152 del 2006.
  L'ente provinciale ha poi precisato che i rifiuti in questione, per le loro caratteristiche merceologiche, risultano destinabili esclusivamente all'incenerimento trattandosi di frazioni di scarto non recuperabili.
  In ordine alle azioni poste in essere, la prefettura di Alessandria ha evidenziato che, nell'aprile 2018, si è tenuta una riunione per la definizione degli interventi necessari volti alla salvaguardia della sicurezza delle persone e dell'ambiente, nonché a definire le modalità ed i tempi necessari per l'effettuazione degli interventi. Alla riunione hanno partecipato il procuratore presso il tribunale di Alessandria, il presidente della provincia di Alessandria, il sindaco del comune di Sale, il comandante provinciale dei Vigili del fuoco, il comandante provinciale dei Carabinieri, il comandante del nucleo operativo ecologico dei Carabinieri di Alessandria e rappresentanti della regione e di ARPA Piemonte.
  La stessa prefettura ha sottolineato come nel corso dalla riunione è emerso che, pur non configurandosi, allo stato, alcun inquinamento ambientale, vi è il rischio di possibili incendi a causa della fermentazione dei rifiuti in questione che si trovano stipati in ingenti quantità nei capannoni di proprietà della ditta Tommasi s.r.l.
  Nell'occasione si è, pertanto, concordato di valutare tecnicamente la possibilità di un primo intervento immediato di spostamento, rimozione e smaltimento di un quantitativo di rifiuti limitato, riducendo l'ammassamento e creando separazioni e corridoi tra i cumuli, in modo da ridurre sensibilmente il rischio di incendio.
  La prefettura ha inoltre, comunicato che, nel maggio 2018, si è svolta la seduta del comitato provinciale di Protezione civile ove è stata vagliata la bozza di piano speditivo elaborata dal comune di Sale in relazione al sito in argomento ed è stata, altresì, evidenziata la necessità di porre in essere un'attività congiunta tra comune di Sale e ARPA Piemonte, previa campionatura dei rifiuti, al fine di definire l'eventuale grado di autocombustione ed il potenziale sviluppo di miscela gassosa.
  In particolare l'Arpa Piemonte ha riferito di avere redatto una relazione atta a simulare gli ipotetici effetti della ricaduta degli inquinanti che si sarebbero potuti sviluppare durante un incendio da assumere come base di un piano di pre-allertamento. Ha anche comunicato di avere fornito al comune di Sale indicazioni preventive per scongiurare l'eventuale innesco di un incendio dovuto all'autocombustione del materiale presente negli stabilimenti in questione.
  La prefettura, nel contempo, ha precisato che, a seguito degli accessi eseguiti nel corso del 2018 dal comando provinciale dei Vigili del fuoco di Alessandria nel sito in argomento, con l'utilizzo di apparecchiature per la rilevazione termica e radioattiva del materiale stoccato, non sono state rilevate situazioni di particolare criticità.
  Da ultimo la prefettura ha rappresentato che la spesa necessaria per la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti è stata quantificata in circa 150 euro a tonnellata per un quantitativo di rifiuti stimato in 17.000 tonnellate, evidenziando, altresì, che la regione Piemonte e la Provincia di Alessandria hanno assunto l'impegno di verificare la possibilità di individuare, nel proprio bilancio, le disponibilità economiche necessarie per la realizzazione degli interventi atti a garantire la salute delle persone e la tutela dell'ambiente.
  Per quanto riguarda la valutazione delle risorse finanziarie utilizzabili, è stato interessato il consorzio rifiuti, competente per territorio, al fine di individuare le possibili sinergie sul piano finanziario ed operativo.
  In particolare la regione Piemonte ha precisato che bisogna affrontare il problema delle risorse finalizzate ad avviare a smaltimento (o in minima parte al recupero) l'intero quantitativo di rifiuti ivi stoccati, ribadendo che le disposizioni in vigore sulla materia prevedono esplicitamente il principio «chi inquina paga». Ne consegue che il responsabile delle attività condotte in tali strutture è chiamato a rispondere della presenza dei rifiuti, nonché del loro allontanamento.
  Da quanto emerso in una riunione dell'ottobre 2018 convocata dal prefetto di Alessandria, i tempi necessari per procedere d'ufficio all'allontanamento dei rifiuti sono alquanto lunghi. La regione ha quindi, evidenziato che l'obiettivo degli enti territoriali coinvolti è di ricercare le soluzioni più idonee atte a garantire lo smaltimento degli scarti in questione ad opera della ditta responsabile, in tempi il più possibile ristretti.
  Il Ministero, per quanto di competenza, continuerà comunque a tenersi informato, proseguendo, in caso, un'attività di sollecito nei confronti dei soggetti territorialmente competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.


   FRATOIANNI e PALAZZOTTO. — Al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   il 4 maggio 2019, un'agenzia di stampa ha riportato la notizia del salvataggio da parte della Marina italiana di pescherecci italiani che sarebbero stati puntati da motovedette libiche;

   sul profilo Twitter del ministero della difesa è stato pubblicato il seguente tweet: «Grazie al coraggio e alla professionalità della marina militare si è evitato il peggio»;

   la notizia del salvataggio sarebbe stata in seguito smentita e il tweet del Ministero della difesa rimosso;

   alle 21,13 del 4 maggio, l'agenzia di stampa Adnkronos ha pubblicato un'intervista a Toni Scilla, presidente regionale di Agripesca Sicilia e componente dell'ufficio di gabinetto dell'assessorato alla pesca della Sicilia, che avrebbe affermato che i nove pescherecci italiani sarebbero stati salvati solo grazie al tempestivo intervento delle navi della Marina italiana che altrimenti sarebbero finite nelle mani della Guardia costiera libica;

   tutto sarebbe avvenuto intorno alla mezzanotte del 3 maggio in acque internazionali;

   occorre chiarire al più presto perché il Ministero della difesa avrebbe smentito sé stesso, prima ringraziando la Marina militare per l'intervento e poi sostenendo che fosse tutto falso;

   in realtà, nel tratto di mare di fronte alla Libia è diventato impossibile pescare e il rischio di sequestro dei motopescherecci italiani da parte dei libici è sempre alto;

   occorre impedire che le milizie libiche continuino a terrorizzare i pescatori italiani e a catturare migranti che vengono poi riportati nei campi di detenzione in Libia;

   se fosse vero che la cosiddetta Guardia costiera libica, addestrata dai Governi italiani e con mezzi forniti dai governi italiani, dia la caccia ai pescherecci italiani sarebbe un'ulteriore e definitiva prova della non credibilità, della non correttezza e della non legittimità di questa formazione paramilitare;

   già l'11 novembre 2018, la trasmissione Le Iene ha dedicato un servizio, rintracciabile, che documentava le aggressioni armate dei libici nei confronti dei pescherecci italiani;

   tali aggressioni sarebbero avvenute anche con le motovedette che l'Italia ha donato alla Libia;

   secondo l'inchiesta, il servizio Vi.Pe (vigilanza pesca) sarebbe stato depotenziato e i pescherecci italiani, nel tratto davanti la Libia, non avrebbero adeguata copertura;

   la Libia, in modo arbitrario, avrebbe spostato il proprio confine a 74 miglia dalla costa, mentre la distanza dalla costa che segna il limite delle acque territoriali è uguale in tutto il mondo e dista 12 miglia;

   il nostro Paese non può rimanere ostaggio di uno Stato non sicuro e non sovrano come la Libia che ha unilateralmente spostato in avanti i propri confini, dichiarando «guerra» ai pescatori di Mazara del Vallo –:

   se il Governo non intenda chiarire se la notte tra il 3 e il 4 maggio 2019 vi sia stata una minaccia per i pescatori italiani da parte della cosiddetta guardia costiera libica e cosa sia realmente accaduto al largo delle coste italiane;

   se, accertati i fatti, il Governo non intenda chiarire quali mezzi libici avrebbero costituito tale minaccia e se la Marina militare italiana sia effettivamente intervenuta per scongiurare il potenziale sequestro di 9 pescherecci di Mazara del Vallo da parte dei libici;

   quali iniziative il Governo intenda intraprendere affinché tali aggressioni nei confronti dei pescherecci italiani vengano adeguatamente contrastati dal momento che all'interrogante appaiono come atti ostili da parte della Libia;

   se e per quali motivi il servizio Vigilanza pesca sia stato ridimensionato e se non si intenda potenziarlo al fine di garantire una maggiore sicurezza ai pescherecci italiani impegnati nella loro attività di pesca nel Mediterraneo;

   se intenda fornire chiarimenti circa il tweet citato in premessa, pubblicato e poi rimosso dall'account del Ministero della difesa.
(4-02875)

  Risposta. — Riguardo alla notizia, riportata in un primo momento nell’account del mio dicastero, circa il salvataggio da parte della nostra Marina Militare di pescherecci italiani presi di mira da motovedette libiche, la Difesa ha già fornito chiarimenti in sede di risposta a un question time presso la IV Commissione Camera lo scorso 9 maggio.
  Ribadisco che si è trattato di un errore in buona fede, dovuto all'entusiasmo proprio di chi apprende un'informazione quanto mai positiva e che, per questo motivo, desidera darne il giusto riconoscimento a quanti, uomini e donne in divisa, svolgono quotidianamente nei nostri mari un lavoro meritevole ed egregio, con dedizione e impegno.
  Subito dopo, però, gli accertamenti hanno rilevato, di fatto, l'infondatezza di quanto già comunicato ed è seguita una tempestiva smentita ufficiale da parte della Difesa, nella quale veniva spiegato che quanto riportato dagli organi di stampa, in merito al presunto salvataggio della Marina militare italiana di alcuni pescherecci nei pressi delle acque libiche, si era rivelata notizia destituita di qualsivoglia fondamento.
  Il
tweet, postato dall'ufficio stampa del dicastero alle ore 11.47, è stato immediatamente rimosso alle ore 12.07.
  Non voglio cercare giustificazioni all'accaduto, ma credo che tali evidenze dimostrino, è il caso di sottolinearlo, i profili di assoluta trasparenza e correttezza che contraddistinguono, da sempre, l'operato della Difesa che, nell'immediatezza del fatto, ha rimosso in pochi minuti una comunicazione rivelatasi erronea.
  Al contrario, invece, non trovo giustificazioni, al di là delle ricostruzioni giornalistiche degli eventi, alle strumentalizzazioni che ne sono seguite.
  In proposito, vorrei richiamare l'attenzione sulla necessità di una ponderata valutazione dei fatti, di tutte le parti in causa, per collocare la vicenda nel giusto ambito e non correre il rischio di strumentalizzare, per obiettivi di mera natura politica, errori ai quali può essere soggetto anche chi lavora con passione.
  Per quel che concerne, inoltre, gli ulteriori quesiti sull'evento e sulle sue dinamiche, mi corre l'obbligo di osservare che essi partono da un presupposto, rivelatosi poi infondato, che l'accadimento si sia realmente verificato; i chiarimenti forniti al riguardo sono adeguati a fugare ogni dubbio in proposito.
  Con riferimento, invece, al presunto «ridimensionamento» della missione vigilanza pesca (ViPe), la Marina militare Italiana, che svolge attività di vigilanza in mare a tutela degli interessi nazionali, nel contesto di tale missione ha il compito di proteggere i pescherecci italiani operanti nelle acque internazionali, al fine di assicurare il libero esercizio della pesca, nel pieno rispetto del quadro giuridico nazionale e internazionale.
  La Forza armata – in considerazione delle peculiari condizioni di sicurezza che interessano l'area del Mediterraneo centrale – continua ad assicurare, in tale; quadrante marittimo, assetti in attività di vigilanza pesca (VI.PE) e lo schieramento di un dispositivo aeronavale, nell'ambito dell'operazione mare sicuro.
  Peraltro, nella notte tra il 3 e il 4 maggio 2019 – arco temporale dell'evento cui fa riferimento l'interrogante – erano presenti nelle acque internazionali dello Stretto di Sicilia 4 unità navali che sorvegliavano l'area di operazioni posta nello Stretto di Sicilia, tra le isole Pelagie e la Tunisia.
  Tuttavia, nel caso in oggetto, la forza armata non ha ricevuto alcuna attivazione, tantomeno è stata direttamente coinvolta con propri assetti presenti nell'area.
  Prima di concludere, desidero rivolgere un sentito pensiero di gratitudine alla Marina militare che ha svolto e continua a svolgere, con grande professionalità e senso di responsabilità, tutte le missioni che le vengono affidate nel quadro di un complesso equilibrio geo-strategico.
  L'operato della nostra Marina si mantiene fondamentale: essa non solo garantisce la sicurezza del nostro Paese e dei nostri mari, ma contribuisce anche al mantenimento della pace, della sicurezza del commercio marittimo e soprattutto, con riconosciuta umanità e dedizione, continua a salvare vite umane, contribuendo a dare prestigio al ruolo del nostro Paese in un delicatissimo contesto internazionale.

La Ministra della difesa: Elisabetta Trenta.


   FRUSONE, TRANO, SEGNERI, ILARIA FONTANA e DAGA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   nella provincia di Frosinone la gestione del servizio idrico integrato è gestito dalla società Acea Ato 5, controllata quasi per la sua interezza dalla holding Acea spa;

   tale gestione ha creato innumerevoli disagi ai cittadini e in molti sono ora in stato di contestazione con il gestore, senza considerare i diversi ricorsi che pendono davanti ai tribunali;

   con decreto del 22 febbraio 2016 pubblicato il 10 marzo 2016 (16A01974), il Ministro pro tempore Padoan ha disposto che «ravvisata la rilevanza pubblica dei crediti vantati dalla società Acea Ato 5 spa, in quanto relativi ad un servizio pubblico essenziale e nella considerazione che l'equilibrio economico-finanziario del gestore del servizio idrico integrato consenta di assicurare nel tempo la sostenibilità e la qualità delle risorse idriche; (...) è autorizzata la riscossione coattiva mediante ruolo dei crediti vantati dalla Società Acea Ato 5 spa – Gruppo Acea spa nei confronti degli utenti del servizio idrico integrato nell'ambito territoriale ottimale n. 5 Lazio meridionale – Frosinone»;

   l'autorizzazione è stata concessa ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo n. 46 del 1999;

   la richiamata disposizione, prevede che può essere effettuata mediante ruolo affidato ai concessionari la riscossione coattiva delle entrate di alcuni enti pubblici, nonché quella della tariffa di cui all'articolo 156 del decreto legislativo n. 152 del 2006. Inoltre, il comma 3-bis attribuisce al Ministro dell'economia e delle finanze la possibilità di autorizzare la riscossione coattiva mediante ruolo di specifiche tipologie di crediti delle società per azioni a partecipazione pubblica, previa valutazione della rilevanza pubblica di tali crediti adempiendo alla procedura di cui al comma 3-ter;

   l'interpretazione resa incidentalmente dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 335 del 2008, attribuisce alla tariffa la natura di corrispettivo contrattuale «... si configura, in tutte le sue componenti, come corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, il quale, ancorché determinato nel suo ammontare in base alla legge, trova fonte non in un atto autoritativo direttamente incidente sul patrimonio dell'utente, bensì nel contratto di utenza» ed ha ritenuto inapplicabili «quelle modalità di riscossione mediante ruolo, che sono tipiche (anche se non esclusive) dei prelievi tributari»; quasi a voler escludere, o in ogni a caso a limitare, la riscossione mediante ruolo di corrispettivi di natura privatistica. Dunque, la riscossione mediante ruolo dovrebbe, considerarsi riservata ai soli enti pubblici in senso soggettivo, e non può estendersi, per il rilevato divieto di analogia, alle società private, quantunque integralmente possedute da enti pubblici;

   inoltre, il comma 3-ter dell'articolo 17 del decreto legislativo n. 46 del 1999 prevede che, in caso di emanazione dell'autorizzazione alla riscossione a mezzo ruolo, la società interessata procede all'iscrizione a ruolo «dopo aver emesso, vidimato e reso esecutiva un'ingiunzione conforme all'articolo 2, primo comma, del testo unico di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n. 639», ponendo come condizione alla riscossione a mezzo ruolo la preventiva costituzione di un valido titolo esecutivo (rappresentato nella specie dall'ingiunzione fiscale);

   tale procedura sta colpendo sia morosi conclamati sia soggetti che hanno aperto una procedura conciliativa con il gestore e che ricevono comunque l'ingiunzione fiscale, avendo quindi come unica difesa il ricorso al giudice ribaltando le parti –:

   se non ritenga opportuno adottare le iniziative di competenza per revocare l'autorizzazione concessa con decreto ministeriale 22 febbraio 2016 per i motivi esposti in premessa e in considerazione delle conciliazioni e dei ricorsi in atto;

   se intenda assumere un'immediata iniziativa normativa che limiti la possibilità per i soggetti privati, anche a partecipazione pubblica, di far uso delle procedure di riscossione descritte in premessa a tutela dei consumatori e degli utenti, considerando anche l'attuale uso dello strumento dell'ingiunzione fiscale.
(4-01145)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione con richiesta di risposta scritta n. 4-01145 il cui testo si allega in copia, presentata dalla S.V. Onorevole.
  Con il documento in esame, gli interroganti fanno riferimento alle problematiche connesse alla gestione, da parte della società Acea Ato 5, del servizio idrico integrato nella provincia di Frosinone, gestione che, a quanto riferito, avrebbe creato «innumerevoli disagi ai cittadini».
  Come riferiscono gli interroganti molti cittadini sarebbero in stato di contestazione con il gestore e sono pendenti diversi ricorsi davanti all'autorità giudiziaria.
  Ciò premesso, gli interroganti rammentano che, «ravvisata la rilevanza pubblica dei crediti vantati dalla società Acea Ato 5 spa (...)» con proprio decreto, il Ministro dell'economia e delle finanze del 22 febbraio 2016, ne ha autorizzato, ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo n. 46 del 1999, la riscossione coattiva mediante ruolo.
  Gli interroganti evidenziano la sussistenza di profili di illegittimità in relazione al menzionato decreto di autorizzazione, che sembrerebbero emergere incidentalmente dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 335 del 2008, la quale ascrive alla tariffa del servizio idrico integrato, la natura di corrispettivo contrattuale per tutte le sue componenti ritenendosi «inapplicabili quelle modalità di riscossione mediante ruolo, che sono tipiche, anche se non esclusive, dei prelievi tributari».
  Gli interroganti evidenziano, altresì, che la procedura di riscossione coattiva autorizzata dal citato decreto sta colpendo sia morosi conclamati sia soggetti che hanno aperto una procedura conciliativa con il gestore e che ricevono comunque l'ingiunzione fiscale, avendo quindi come unica difesa il ricorso al giudice.
  Sulla base di tali considerazioni, gli interroganti chiedono al Ministro dell'economia e delle finanze:

   «se non ritenga opportuno adottare le iniziative di competenza per revocare l'autorizzazione concessa con decreto ministeriale 22 febbraio 2016»;

   «se intenda assumere, a tutela dei consumatori e degli utenti un'immediata iniziativa normativa che limiti la possibilità per i soggetti privati, anche a partecipazione pubblica, di far uso delle procedure di riscossione anche tenendo conto dell’“attuale uso dello strumento dell'ingiunzione fiscale”».

  Al riguardo, sentiti i competenti uffici dell'amministrazione finanziaria, si osserva quanto segue.
  Giova preliminarmente richiamare il quadro normativo di riferimento.
  Con la riforma operata ai sensi del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, la riscossione coattiva a mezzo ruolo è stata estesa anche alle entrate patrimoniali e non tributarie delle amministrazioni pubbliche divenendo il mezzo privilegiato per la riscossione delle entrate di tutti i soggetti pubblici, ad esclusione degli enti pubblici economici.
  L'articolo 17 del citato decreto legislativo n. 46 del 1999 dispone, infatti, al comma 1, l'estensione della riscossione tramite ruolo nel senso sopra descritto e, al comma 2, prevede la riscossione coattiva mediante ruolo affidato ai concessionari (ora agenti della riscossione) delle entrate degli enti pubblici territoriali, «nonché quella della tariffa di cui all'articolo 156 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152».
  Tale espresso riferimento alla tariffa idrica «di cui all'articolo 156 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152» deriva da una modifica del predetto articolo 17, comma 2, apportata dall'articolo 2, comma 11, del decreto-legge n. 262 del 2006, convertito dalla legge n. 286 del 2006.
  Dalla lettura della norma emerge, pertanto, una espressa attenzione del legislatore alla riscossione con ruolo della tariffa idrica.
  Il successivo comma 3-
bis del medesimo articolo 17, dispone che il Ministro dell'economia e delle finanze può autorizzare la riscossione coattiva mediante ruolo di specifiche tipologie di crediti delle società per azioni a partecipazione pubblica, previa valutazione della rilevanza pubblica di tali crediti.
  È opportuno ricordare il comma 3-
bis riguardava, nella sua versione originaria, i crediti a rilevanza pubblica delle sole società «interamente» partecipate dallo Stato. Successivamente, l'articolo 1, comma, 151, della legge n. 244 del 2007, ha esteso la previsione a tutte le «società a partecipazione pubblica».
  Il successivo comma 3-
ter stabilisce, ulteriormente, che in caso di emanazione dell'autorizzazione di cui al comma 3-bis, la società interessata procede all'iscrizione a ruolo dopo aver emesso, vidimato e reso esecutiva un'ingiunzione conforme all'articolo 2, primo comma, del regio decreto n. 639 del 1910.
  Invero, mentre per i crediti delle società a partecipazione pubblica è rimessa alla valutazione del Ministro la sussistenza della «rilevanza pubblica» del credito – tale da legittimare l'autorizzazione alla riscossione coattiva a mezzo ruolo di cui al citato comma 3-
bis – nel caso della tariffa idrica, tale valutazione sembra già effettuata a monte dal legislatore nel momento in cui ha equiparato la stessa alla riscossione delle entrate degli enti territoriali.
  In proposito, la Corte di Cassazione, con le pronunce n. 14628/2011 e n. 17628/2011, ha espresso il proprio orientamento secondo cui la tariffa in questione, essendo un corrispettivo, deve essere riscossa coattivamente come le entrate di diritto privato degli enti pubblici territoriali – e quindi con un ruolo che sia preceduto da un titolo esecutivo.
  In particolare, rileva la Corte, che «per gli effetti di cui al decreto legislativo n. 46 del 1999 articoli 17 e 21, salvo che ricorrano i presupposti di cui all'articolo 17, commi 3-
bis e 3-ter, per l'iscrizione a ruolo della tariffa del servizio idrico integrato, di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006, articolo 156 che costituisce un'entrata di diritto privato, è necessario che la stessa tariffa risulti da titolo avente efficacia esecutiva».
  Sulla base di quanto sopra, a fronte delle richieste di autorizzazione alla riscossione coattiva a mezzo ruolo presentate da società a partecipazione pubblica che gestiscono il servizio idrico integrato, si è ritenuto di dover procedere all'emanazione del decreto autorizzatorio a firma del Ministro, ove sussistano i necessari requisiti.
  Sotto il profilo della rilevanza pubblica dei crediti vantati dalle società partecipate, appare utile rammentare che la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di osservare che tale rilevanza «può essere riferita all'interesse della collettività che, ad esempio, usufruisce del servizio, quindi in relazione alla maggiore efficienza dello stesso. Ma può essere riferita, altresì, all'interesse della società alla immediata riscossione delle proprie entrate». (cfr. TAR Lazio, n. 22468/2010).
  Nel caso delle società che svolgono il servizio idrico integrato, risulta evidente che il mantenimento dell'equilibrio economico-finanziario consente, presumibilmente, di assicurare nel tempo la sostenibilità e la qualità del servizio pubblico fornito, ravvisando dunque la necessità di garantire alle stesse la possibilità di riscuotere le tariffe rimaste inevase nel modo più celere ed efficace.
  Nello specifico, il decreto di autorizzazione in favore della società Acea Ato 5 s.p.a. è stato emanato a seguito di un'attenta istruttoria finalizzata al riscontro dei requisiti richiesti dalla legge.
  È stata, pertanto, verificata la sussistenza del requisito soggettivo previsto dalla legge: si tratta infatti, di una società a partecipazione pubblica, essendo la società Acea Ato 5, partecipata da Acea s.p.a., il cui socio di maggioranza è Roma capitale. La società Acea Ato 5 gestisce, a seguito di affidamento in concessione, il servizio idrico integrato nell'ambito territoriale ottimale n. 5 Lazio meridionale-Frosinone.
  Essendo una società a partecipazione, l'Acea Ato 5 deve vigilare sul mancato pagamento da parte degli utenti morosi in quanto ciò rischia di compromettere l'equilibrio economico-finanziario dell'azienda e quindi, in ultima analisi, di pregiudicare la sostenibilità e la qualità delle risorse idriche gestite.
  Si rileva, inoltre, che il gestore del servizio pubblico integrato, svolgendo l'attività di servizio pubblico essenziale in regime di monopolio, ha «l'obbligo a contrarre» con qualunque cliente faccia richiesta, senza poter effettuare alcuna valutazione di merito dello stesso cliente, ivi inclusa la sua solvibilità o propensione al pagamento.
  Nell'interrogazione in esame si richiamano anche le considerazioni espresse dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 335 del 2008, che nella parte in cui si attribuisce alla tariffa idrica la natura di corrispettivo contrattuale, sembrerebbe, a parere degli interroganti, porre incidentalmente dei dubbi sulla razionalità legislativa della possibilità di avvalersi dello strumento del ruolo per la riscossione dei relativi crediti ovvero sulla legittimità alla autorizzazione all'utilizzo del ruolo al soggetto gestore del servizio idrico, avvenuta con decreto ministeriale 22 febbraio 2016
ex articolo 17, comma 3-bis, del decreto legislativo n. 46 del 1999.
  Al riguardo occorre precisare che la citata sentenza n. 335 del 2008 ha dichiarato l'incostituzionalità dell'articolo 14, comma 1, della legge 36 del 1994 (poi trasfusa nell'articolo 156 del T.U.A.) ex articolo 3 della Costituzione nella parte in cui impone la doverosità del pagamento del canone di depurazione delle acque reflue anche per il caso in cui il servizio di fognatura sia sprovvisto di impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi.
  Nella citata sentenza i giudici costituzionali delineano e motivano «la natura unitaria» del corrispettivo per il servizio idrico integrato individuando il soggetto attivo dell'entrata individuato nel soggetto gestore.
  Nella pregressa legislazione del servizio di depurazione di cui alla legge n. 319 del 1976, nel cui vigore, alla tariffa per il servizio di depurazione cui all'epoca era riconosciuta natura tributaria (Cassazione, sezioni unite, 27 maggio 1999 n. 300) e la titolarità dell'entrata per il canone di depurazione era in capo all'ente locale (circolare del 29 ottobre 1996, n. 263, paragrafo 2).
  Conseguentemente, attesa la ricordata natura tributaria, il legislatore del 1976 disponeva la riscossione coattiva del canone di depurazione a mezzo ruolo (articolo 17, ultimo comma, legge n. 319 del 1976).
  Ciò posto, deve sottolinearsi che il legislatore della riforma della riscossione nel decreto legislativo n. 46 del 1999 ha lasciato la possibilità di iscrivere a ruolo, in generale, le prestazioni patrimoniali imposte, ravvisando la necessità di utilizzo del ruolo anche per entrate aventi causa di diritto privato disposte dall'articolo 17 del medesimo decreto (articolo 21 del decreto legislativo n. 46 del 1999), in tal caso sottoponendolo, come anzidetto, alla garanzia della previa notifica di un titolo esecutivo all'utente moroso.
  Declinato in tal modo il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, in merito alla richiesta degli interroganti di valutare l'opportunità di procedere alla revoca del citato decreto 22 febbraio 2016, rilasciato nei confronti di Acea Ato 5 s.p.a., nonché di assumere un'iniziativa normativa volta a limitare la possibilità per le società a partecipazione pubblica di far uso delle procedure di riscossione a mezzo ruolo, il dipartimento delle finanze fa presente che, a legislazione vigente, non ricorrono i presupposti che possano determinare l'adozione di un provvedimento di revoca del predetto decreto, dal momento che sussistono tutti i requisiti di legge previsti per la sua emanazione.
  Per completezza, deve altresì precisarsi che il numero di autorizzazioni alla riscossione coattiva a mezzo ruolo, ai sensi dell'articolo 17, comma 3-
bis, del decreto legislativo n. 46 del 1999, rilasciate in favore di società partecipate è piuttosto esiguo, a testimonianza di una particolare attenzione, da parte di questa amministrazione economico-finanziaria, nel concedere ai soggetti pubblici richiedenti tale strumento operativo per l'esazione delle proprie entrate. Invero, nell'arco di circa quindici anni di vigenza della richiamata normativa sono stati adottati, soltanto circa 20 provvedimenti della specie di quello oggetto dell'attuale interrogazione.
Il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze: Massimo Bitonci.


   GAGLIARDI, BAGNASCO, GIACOMETTO, RUFFINO, GREGORIO FONTANA, RIPANI. — Al Ministro della difesa, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   nell'area dell'Arsenale della Marina militare, prospiciente la frazione di Marola (La Spezia), si trovano numerosi capannoni con coperture in Eternit (contenente fibre di amianto) e tali strutture sono situate a poche decine di metri dal plesso scolastico della medesima frazione, comprendente scuola dell'infanzia e primaria;

   dopo gli eventi atmosferici del 29 ottobre 2018, cittadini e associazioni hanno segnalato i danni alle coperture delle strutture sopracitate, in cui si evince la «frantumazione» di diverse parti delle coperture medesime, e hanno manifestato la comprensibile preoccupazione per la possibilità di dispersione di fibre di amianto nelle aree civili;

   le condizioni relative alla presenza di amianto in aree militari, in prossimità di aree civili, è un fatto che perdura da troppi anni;

   la volatilità delle fibre di amianto, in un contesto così densamente abitato e con strutture scolastiche a così poca distanza, impone interventi urgenti per la bonifica e la rimozione;

   la Marina militare ha provveduto alla rimozione dei frammenti di Eternit presenti nell'area dal 7 novembre 2018 e, in occasione dell'audizione presso la Commissione ambiente del consiglio comunale de La Spezia tenutasi il 22 novembre 2018, l'ammiraglio Giorgio Lazio ha esposto la situazione, confermando la forte presenza di amianto nelle strutture militari. Tale situazione rappresenta tutt'oggi una potenziale fonte di pericoli per la salute dei cittadini spezzini –:

   se non ritengano necessario attivarsi, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di promuovere un protocollo d'intesa tra Marina militare, comune della Spezia, Asl e Arpal per il monitoraggio degli interventi di bonifica da effettuare all'interno della base navale e nelle aree civili in prossimità delle zone interessate dagli interventi, a tutela della salute pubblica;

   se siano già stanziate risorse ad hoc per bonificare e liberare le suddette strutture e aree dalla presenza di amianto e in quali tempi si intenda procedere ai medesimi interventi;

   in caso di risposta negativa, se non si intendano adottare al più presto iniziative per prevedere adeguati stanziamenti per la bonifica prioritaria dei siti dell'Arsenale della Marina militare prossimi alle aree civili abitate e più frequentate, di cui in premessa;

   se non si ritenga di adottare iniziative affinché l'Amministrazione militare dall'Arsenale e le altre autorità competenti definiscano la mappatura dei siti e delle strutture all'interno della base navale con presenza di amianto.
(4-02493)

  Risposta. – Desidero rappresentare, in primo luogo, che la policy del Dicastero relativamente agli aspetti legati alla gestione del potenziale rischio amianto, nonché alla tutela della salute del proprio personale e dei cittadini residenti in prossimità di Basi/Infrastrutture militari, risponde ai valori e ai princìpi espressi in sede di risposta al question time svoltosi il 9 maggio 2019 presso la IV Commissione della Camera.
  Nel confermare, quindi, le informazioni e le valutazioni fornite in quell'occasione, rispondo agli ulteriori quesiti posti nel presente atto, non affrontati, ovviamente, dal rappresentante di Governo nel precedente intervento.
  Ribadisco la favorevole predisposizione dell'Amministrazione e la mia volontà, affinché si giunga all'adozione del protocollo d'intesa auspicato dall'interrogante e si continui ad adottare e/o attivare gli strumenti più adeguati per salvaguardare la salute dei lavoratori e dei cittadini.
  Fatta questa premessa, per quanto concerne la previsione di specifici stanziamenti per le attività di «bonifica prioritaria» dei siti dell'arsenale di La Spezia adiacenti alle aree abitate, la Marina militare italiana già impegna i fondi che le vengono assegnati con le leggi di bilancio, rispettando un cronoprogramma degli interventi da eseguire in ordine di priorità.
  Con riferimento, invece, all'opportunità di adottare iniziative per definire la «mappatura» delle aree e delle infrastrutture all'interno della base navale in questione, la Forza armata, alla luce delle disposizioni normative vigenti, ha provveduto, nel tempo, a censire e a bonificare (incapsulare, confinare o rimuovere) tutti i siti di propria responsabilità, in cui fosse presente materiale contenente amianto.
  Anche la base navale di La Spezia, compresa l'area prospiciente il quartiere di Marola, è stata sottoposta alla «mappatura amianto» che è sistematicamente e regolarmente aggiornata dai datori di lavoro consegnatari dei beni immobili.
  Le attività di manutenzione e di bonifica vengono effettuate, proprio a maggiore tutela della salute del personale civile e militare, esclusivamente a cura di ditte in possesso dei requisiti previsti, specializzate per lo smaltimento di amianto/rifiuti pericolosi.
  A conclusione della mia risposta, vorrei rassicurare l'interrogante e sottolineare, ancora una volta, che la Difesa è particolarmente sensibile e mantiene alta l'attenzione in tema di amianto e in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro.

La Ministra della difesa: Elisabetta Trenta.


   GALANTINO e ROBERTO ROSSINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   sulla pagina Facebook dell'Esercito italiano è stato pubblicato, in data 23 settembre 2018, un post riguardante il 62° Reggimento fanteria «Sicilia» dell'Esercito italiano;

   nel post si legge: «In relazione a un audio che in queste ore circola sui social riguardante il 62° Reggimento fanteria “Sicilia” dell'Esercito, a Catania, informiamo che l'episodio è a conoscenza dei vertici militari e politici del Ministero della difesa. Informiamo altresì che, rispetto ai toni censurabili, è stata avviata una indagine interna per appurare responsabilità ed eventuali profili disciplinari»;

   a quanto consta all'interrogante, nell'audio si fa riferimento a fatti che se fossero confermati costituirebbero una gravissima violazione delle norme che disciplinano l'ordinamento militare –:

   se il Ministro interrogato intenda fornire elementi in merito all'avvio dell'indagine interna riguardante il 62° Reggimento fanteria «Sicilia» dell'Esercito di cui in premessa;

   qualora l'indagine sopra richiamata fosse già conclusa, se intenda chiarirne gli esiti e quali eventuali iniziative disciplinari siano state assunte in relazione ai fatti descritti.
(4-01230)

  Risposta. — In relazione a quanto accaduto il 21 settembre 2018 presso la sede del 62° reggimento fanteria «Sicilia», la specifica inchiesta sommaria disposta ai sensi della normativa vigente dal comando forze operative sud, vertice d'area di riferimento, ha consentito di ricostruire la dinamica della vicenda nei suoi lineamenti fondamentali.
  In particolare, l'indagine ha attestato che, subito dopo la cerimonia dell'alzabandiera, a reggimento schierato, il domandante ha commentato alcuni aspetti relativi a problematiche sollevate da una parte del proprio personale riguardo alla mancata fruizione, per esigenze di servizio, della licenza ordinaria, del recupero compensativo accumulato e non goduto – che avrebbe dovuto essere fruito entro il 31 dicembre 2017 – e delle festività maturate e non godute dagli stessi militari nel corso dell'anno 2016 (prima, quindi, che l'ufficiale si insediasse quale comandante di corpo). La licenza ordinaria del 2016 – per completezza d'informazione – risulta essere stata fruita da tutto il personale avente diritto.
  In base alle risultanze dell'inchiesta, le criticità in questione sarebbero state più volte manifestate, nel corso dell'ultimo anno, da circa una sessantina di militari effettivi al reggimento, anche attraverso lo scambio di formale corrispondenza – nella forma di lettere di diffida e di messa in mora – proveniente da uno studio legale cui lo stesso personale si sarebbe rivolto al fine di ottenere il recupero e/o la monetizzazione delle ore in argomento.
  Quale conseguenza delle azioni legali intraprese dal proprio personale, il comandante ha, nell'episodio in questione, paventato possibili negative ricadute sull'impiego all'estero del Reggimento, motivando tale valutazione con il presupposto che la fruizione del pregresso maturato – e non goduto – da parte di alcuni militari avrebbe impedito la loro partecipazione alla necessaria fase di approntamento per l'immissione in teatro operativo.
  A fronte delle diffide ricevute, il comandante, in via di autotutela, ha infatti disposto, con decorrenza 4 ottobre 2018, l'invio in recupero compensativo del personale interessato, stante l'impossibilità di retribuirne in denaro il recupero compensativo accumulato e non goduto entro il termine del 31 dicembre 2017, a causa della mancanza di fondi sul pertinente capitolo di bilancio.
  Conseguentemente, l'aliquota di graduati con più di 45 giorni di recupero all'attivo, non potendo prendere parte all'approntamento – iniziato il 1° ottobre scorso – è stata espunta dagli organici per l'impiego «fuori area».
  Va rappresentato che i militari ascoltati dal personale inquirente in merito all'evento hanno manifestato di non aver percepito particolare negatività nel discorso del domandante di reggimento che, dal canto suo, ha giustificato i toni e il linguaggio usati nella circostanza – oggettivamente inappropriati e idonei a generare interpretazioni fuorvianti – con il proprio disappunto per il mancato accrescimento professionale che l'impiego all'estero avrebbe comportato per i propri uomini e per l'aver dovuto ripianificare tale impegno operativo a causa delle prolungate assenze del personale posto a riposo compensativo.
  Alla luce delle risultanze dell'inchiesta sommaria, il Capo di Stato maggiore dell'Esercito ha impartito disposizioni affinché siano poste in essere le opportune azioni per sensibilizzare i comandanti di corpo al rigoroso rispetto della normativa attinente all'istituto dello straordinario e ai compensi connessi con l'orario di lavoro.
  Quanto alla soluzione adottata dal comandante di reggimento – nel frattempo cessato dall'incarico in conseguenza dell'avvicendamento disposto dalla Forza armata – di collocare a recupero compensativo il personale a distanza di due anni dal momento in cui è stato maturato il relativo diritto, la stessa è oggetto di accertamento di responsabilità disciplinare ed amministrativa per i fatti sopra descritti.
  In merito all'esame disciplinare da parte delle competenti autorità, relativo alle condotte tenute dal personale coinvolto nella vicenda, esso è attualmente sospeso, in aderenza al disposto dal decreto legislativo n. 66 del 2010 (codice dell'ordinamento militare).

La Ministra della difesa: Elisabetta Trenta.


   GALLINELLA, DEL SESTO e PARENTELA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il 24 gennaio 2019 la Commissione europea ha inviato una lettera di costituzione in mora all'Italia, relativamente alla corretta applicazione della direttiva 2012/27/UE sull'efficienza energetica;

   la direttiva in parola stabilisce un quadro comune in misure per la promozione dell'efficienza energetica nell'Unione europea, al fine di garantire il conseguimento dell'obiettivo dell'Unione relativo all'efficienza energetica del 20 per cento entro il 2020, e di gettare le basi per ulteriori miglioramenti dell'efficienza energetica al di là di tale data;

   la comunicazione dell'Unione europea che è stata contestualmente inviata anche a Belgio, Bulgaria, Repubblica Cipro, Croazia, Danimarca, Estonia, Francia, Grecia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Polonia e Portogallo, prevede che a questo punto, i Paesi abbiano due mesi di tempo per replicare alle argomentazioni della Commissione; in caso di mancato invio, scatterà il parere motivato alle rispettive autorità che potrebbe portare all'apertura della procedura di infrazione;

   a norma della direttiva, tutti i Paesi dell'Unione europea sono tenuti a utilizzare l'energia in modo più efficiente in tutte le fasi della catena energetica, dalla produzione al consumo finale, ed evidentemente l'Italia risulta ancora molto lontana dall'obiettivo –:

   in base a quanto esposto in premessa, come si intenda rispondere alla lettera della Commissione europea e quali siano le iniziative in materia di efficienza energetica avviate o in fase di avvio da parte del Governo.
(4-02230)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si rappresenta quanto segue.
  Gli interroganti richiamano l'attenzione sulla segnalazione inviata dalla Commissione europea all'Italia il 24 gennaio 2019 riguardo al supposto non corretto recepimento, nell'ordinamento nazionale, delle disposizioni previste dall'articolo 19, paragrafo 1, lettera
a), della direttiva 2012/27/UE.
  In particolare, l'articolo in questione prevede che «gli Stati membri valutano e, se necessario, adottano misure adeguate per eliminare gli ostacoli di ordine regolamentare e non regolamentare all'efficienza energetica, fatti salvi i principi di base della legislazione degli Stati membri in materia di proprietà e di locazione, in particolare per quanto riguarda:

   a) la separazione degli incentivi tra proprietari e inquilini di un immobile o tra gli stessi proprietari, con l'intento di evitare che essi rinuncino a realizzare investimenti intesi a migliorare l'efficienza energetica, che avrebbero invece realizzato in altre condizioni, perché non ne otterranno individualmente i pieni benefici o per l'assenza di regole che disciplinano la ripartizione dei costi e dei benefìci, incluse le norme e le misure nazionali che disciplinano i processi decisionali per i beni in multiproprietà; ...[omissis]».

  In riferimento a tale disposizione, la Commissione europea ritiene che le norme italiane in materia di ripartizione delle spese per riscaldamento costituirebbero un disincentivo per effettuare interventi di efficienza energetica sull'immobile, in quanto i proprietari degli appartamenti posti ai piani intermedi, caratterizzati da spese di riscaldamento più contenute, non avrebbero interesse ad approvare in assemblea condominiale interventi di miglioramento energetico (ad esempio isolamento del tetto), in quanto dei risparmi generati beneficerebbero quasi esclusivamente i proprietari delle unità abitative più esposte (come ad esempio gli attici).
  Con lettera del 25 marzo 2019, la Struttura di missione per le procedure di infrazione della Presidenza del Consiglio dei ministri ha inviato alla Commissione europea riscontro in merito alla tematica suddetta, sulla base degli elementi forniti dal Ministero dello sviluppo economico, di seguito riassunti.
  Occorre premettere che in Italia il settore residenziale, cui fanno riferimento le disposizioni citate in premessa, ha già raggiunto di fatto l'obiettivo atteso al 2020, secondo le stime pubblicate nel rapporto annuale Enea sull'efficienza energetica 2018, proprio in virtù delle misure finora adottate.
  In via generale, si osserva che la ripartizione dei costi per il riscaldamento adottata in Italia è basata sugli effettivi consumi individuali (prelievi volontari) – come prescritto dalla stessa direttiva sull'efficienza energetica – e ha l'obiettivo di stimolare ciascun utente a comprendere il proprio profilo di consumo, con un cambiamento degli stili di comportamento (modifica degli orari di riscaldamento, esclusione di alcuni radiatori, controllo della temperatura interna e dell'aerazione degli ambienti).
  Inoltre, secondo quanto previsto dal decreto legislativo n. 102 del 2014 e successive modificazioni e integrazioni, quando i condomini o gli edifici polifunzionali sono alimentati da teleriscaldamento o teleraffreddamento o da sistemi comuni di riscaldamento o raffreddamento, per la corretta suddivisione delle spese connesse al consumo l'importo è suddiviso tra gli utenti finali anche in base ai prelievi involontari legati essenzialmente alle perdite della rete di distribuzione.
  Per la ripartizione delle spese la norma di riferimento è la Uni 10200 che definisce le procedure e la metodologia di calcolo.
  Ove tale norma non sia applicabile o laddove siano comprovate, tramite apposita relazione tecnica asseverata, differenze di fabbisogno termico per metro quadro tra le unità immobiliari costituenti il condominio o l'edificio polifunzionale superiori al 50 per cento, in deroga alla UNI 10200 è possibile suddividere l'importo complessivo tra gli utenti finali attribuendo una quota di almeno il 70 per cento agli effettivi prelievi volontari di energia termica e gli importi rimanenti ripartiti, per esempio, secondo i millesimi, i metri quadri, i metri cubi utili o le potenze installate, in base alle scelte dell'assemblea condominiale.
  Sulla base di tali valutazioni, la scelta legislativa nazionale privilegia quindi l'approccio basato sull'uso consapevole del riscaldamento, affiancando a tale criterio un adeguato
set di misure per la promozione degli interventi di efficientamento energetico degli edifici.
  Al fine di migliorare i risultati finora conseguiti nel settore residenziale sono state adottate, negli ultimi anni, varie misure di agevolazione fiscale per il risparmio energetico e, tuttora, sono in corso di valutazione ulteriori misure secondo quanto previsto nel Piano nazionale per l'energia e il clima 2030.
  In particolare, tra le misure già in essere occorre segnalare:

   il Fondo nazionale efficienza energetica, istituito presso il Ministero dello sviluppo economico, dall'articolo 15 del decreto legislativo 4 luglio 2014, n. 102, prevedendo la possibilità di concedere garanzie e finanziamenti agevolati, al fine di incentivare la realizzazione di progetti di investimento nel settore dell'efficienza energetica. Con decreto 22 dicembre 2017 del Ministero dello sviluppo economico e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, si sono stabilite le modalità attuative del fondo, attribuendone la gestione a Invitalia Spa.
   Il decreto interministeriale 5 aprile 2019, predisposto dal Ministero dello sviluppo economico di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, approva le modalità operative di accesso alle agevolazioni del Fondo nazionale per l'efficienza energetica. Tra gli interventi ammessi alle agevolazioni vi sono, in particolare, quelli per la riqualificazione energetica degli edifici, sia pubblici che privati, ivi inclusi quelli dell'edilizia popolare;

   le detrazioni fiscali per la riqualificazione energetica degli edifici (cosiddetto ecobonus), le quali hanno giocato un ruolo fondamentale nello sviluppo dell'efficienza energetica nel settore residenziale, sono state introdotte con legge n. 296 del 27 dicembre 2006 (legge finanziaria 2007) e modificate nelle condizioni di accesso e tipologie di intervento nel corso degli anni. La legge 27 dicembre 2017, n. 205 ha prorogato le detrazioni fiscali per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici. Si potrà infatti beneficiare del bonus per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2021, nel caso di interventi sulle parti comuni degli edifici.
   Per differenti tipologie di intervento di efficientamento energetico, la normativa vigente prevede aliquote detrattive dal 50 per cento al 65 per cento; le aliquote aumentano fino ad un massimo dell'85 per cento della detrazione – ripartita in cinque quote annuali di pari importo – per interventi realizzati su parti comuni di edifici condominiali finalizzati congiuntamente alla riduzione del rischio sismico.
   Con legge n. 145 del 30 dicembre 2018 (legge di bilancio 2019) sono state prorogate le condizioni di accesso a tutta la gamma dei benefìci fiscali in relazione alle spese sostenute dal 1° gennaio al 31 dicembre 2019;

   Conto termico 2.0
   La misura prevede l'incentivazione di interventi di piccole dimensioni di produzione di energia termica da fonti rinnovabili e di sistemi ad alta efficienza realizzati in edifici esistenti, parti di essi o unità immobiliari esistenti. Si rivolge a pubbliche amministrazioni, imprese e privati.

  Al fine di fornire maggiori elementi nella risposta alla Commissione europea e a supporto della scelta legislativa italiana, l'Enea ha svolto un'analisi dei consumi termici di molteplici edifici di tipo condominiale, valutando la ripartizione dei costi ad essi connessi secondo metodi di ripartizione alternativi all'approccio seguito dall'Italia, per verificare se questo possa essere considerato ostativo rispetto alle decisioni condominiali di effettuare interventi di efficientamento energetico. Dall'analisi è emerso che, anche applicando un differente metodo di ripartizione dei consumi involontari tra le varie utenze (esempio ripartendoli in funzione dei millesimi condominiali o con i millesimi di potenza), non si ottengono variazioni economiche tra i condomini tali da orientare l'assemblea condominiale verso una più semplice ed immediata approvazione degli interventi di efficienza energetica.
  Pertanto, l'ipotesi prospettata dalla Commissione di assegnare un'opportuna quota dei costi involontari ai proprietari che hanno effettuato un distacco dall'impianto di riscaldamento centralizzato, per incentivarli a contribuire all'isolamento delle parti comuni, appare non percorribile in base alla valutazione che tale misura comporterebbe il pagamento di cifre considerevoli non giustificate dall'uso del bene comune, con conseguente apertura di liti giudiziali al riguardo.
  Con riferimento alla questione relativa alla condivisione fra tutti i proprietari dei costi causati dall'inefficienza dell'intero condominio, si è evidenziato che la normativa vigente già prevede la condivisione delle spese nel caso di innovazioni sulle parti comuni collegate ad interventi volti al contenimento del consumo energetico degli edifici.
  Inoltre, per consentire l'aggiornamento delle valutazioni previste dall'articolo 19 della direttiva in parola, si è proceduto ad una analisi più approfondita della questione, anche in relazione all'applicazione delle disposizioni analoghe nel panorama europeo. Da ciò è scaturito che, sebbene diversi Stati membri adottino percentuali di ripartizione tra le spese volontarie e involontarie simili all'Italia, in tutti gli Stati risulta presente una maggiore elasticità riguardo la loro applicazione, la cui scelta è spesso rimandata all'assemblea condominiale. Tale elasticità si esplicita, ad esempio, permettendo la scelta di percentuali di suddivisione all'interno di un
range, o nella possibilità di applicare fattori correttivi della spesa tra le unità immobiliari dell'edificio. In generale, è risultato che nei Paesi dove la qualità energetica degli edifici è prevalentemente scadente sono state preferite ripartizioni più equilibrate tra spese volontarie e involontarie (fino ad un massimo di applicazione della quota fissa per le spese involontarie del 50 per cento). Ciò risulta giustificato dalle maggiori dispersioni dell'edificio e dalla scadente prestazione dell'impianto, quali beni di proprietà comune a tutti i condomini.
  In conclusione, la Commissione europea è stata informata del fatto che sono in fase di valutazione alcune misure che, se ritenute necessarie, potranno essere adottate al fine di migliorare la ripartizione delle spese di calore negli edifici polifunzionali.
  Tra la misura allo studio rientra la possibilità di prevedere che, nei casi in cui esistano differenze di fabbisogno termico per metro quadro tra le unità immobiliari costituenti il condominio o l'edificio polifunzionale maggiori del 50 per cento, secondo quanto già previsto dal decreto legislativo n. 102 del 2014, la ripartizione delle spese per i prelievi volontari e involontari sulla base di percentuali prefissate sia obbligatoria e non come oggi facoltativa in base alle scelte dell'assemblea condominiale. Ciò permetterebbe di garantire una più equa ripartizione delle spese nel caso di edifici con prestazioni energetiche scadenti, nei quali è più facile che le ampie differenze di spesa tra le unità immobiliari generino interessi contrapposti a discapito dei condomini più svantaggiati che tipicamente risultano in minoranza.
  Potrebbe essere, inoltre, prevista una maggiore flessibilità nell'applicazione delle percentuali di ripartizione, specialmente negli edifici con scadenti prestazioni energetiche, lasciando in questo caso all'assemblea la scelta della ripartizione percentuale all'interno di un certo
range (le spese per prelievi involontari potrebbero variare tra il 30 per cento e un massimo del 50 per cento dei costi totali). Ciò permetterebbe all'assemblea di tenere debitamente conto degli innumerevoli casi particolari che si vengono a creare nei condomini. Per indirizzare adeguatamente le scelte dell'assemblea, potrebbe essere predisposta una linea guida che suggerisca la ripartizione percentuale adeguata in base alla zona climatica e in base alle prestazioni energetiche dell'edificio (ad esempio sulla base del fabbisogno termico dell'intero edificio o più semplicemente dell'anno di costruzione, che risulta un buon indice del comportamento energetico dello stesso).
  I risultati delle valutazioni in corso e i progetti di adozione delle misure ritenute necessarie, saranno portati a conoscenza della Commissione europea non appena disponibili.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Davide Crippa.


   GEMMATO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto si evince da fonti di stampa, sembrerebbe sussistere l'ipotesi di chiusura o di trasferimento delle funzioni e del personale del 16° stormo – Protezione delle forze – dell'Aeronautica militare di stanza a Martina Franca in provincia di Taranto;

   il 16° stormo è il reparto dei fucilieri dell'aria, è stato costituito nel 2004 e rappresenta per competenza e funzioni svolte una delle eccellenze del comparto difesa italiano. Oggi è un reparto combattente del comando della squadra aerea con compiti di protezione delle forze. Nel tempo ha operato in 37 diverse missioni internazionali, in ben 18 teatri operativi nel mondo, maturando oltre 36 mila ore di volo. I fucilieri dell'aria sono stati presenti in Afghanistan per assicurare la protezione della base di Herat per ben 9 anni;

   il 5 aprile 2015, la bandiera di guerra del 16° stormo «Protezione delle forze» è stata decorata con Medaglia d'argento al valore aeronautico dal Presidente della Repubblica;

   recentemente, la compagine fucilieri dell'aria ha acquisito la qualifica a operare in autonomia con sistemi elettromagnetici per il contrasto all'uso illegittimo dei droni, assicurando la necessaria sicurezza, in particolare per la protezione di aeroporti, infrastrutture critiche o siti sensibili. Questa particolare attività è di fondamentale importanza, poiché consente allo Stato di fornire risposte immediate a minacce dall'aria sia in ambito civile che della difesa;

   le notizie di stampa che riguardano il 16° Stormo e, in particolare quelle relative alla sua presunta chiusura o al trasferimento di funzioni e di personale sono causa di rilevanti preoccupazioni per i militari impiegati e per le loro famiglie, poiché, qualora dovessero corrispondere al vero, potrebbero determinare disagi alla pianificazione della propria vita familiare;

   appare evidente che proprio nel momento storico che si sta attraversando, nel corso del quale il nostro Paese affronta una profonda crisi sociale ed economica, anche la difesa degli interessi familiari e professionali di chi occupa con merito e da anni ruoli importanti nel comparto della difesa italiana merita, come tutto, particolare attenzione e tutela;

   il 26 luglio 2018, nel corso dell'audizione del Ministro della difesa sulle linee programmatiche del dicastero presso le Commissioni riunite 4ª (Difesa) del Senato della Repubblica e IV (Difesa) della Camera dei deputati così come anche nella risposta all'interrogazione n. 3-00386 del 12 dicembre 2018, il Ministro interrogato ha voluto evidenziare la sua intenzione di tutelare la dimensione sociale e familiare dei militari impiegati nel loro lavoro;

   in particolare, il Ministro ha dichiarato che: «...In linea con i principi del nostro programma, ho intenzione di impegnarmi per garantire le legittime aspettative dei nostri uomini e delle nostre donne in uniforme e non, su temi che riguardano la loro vita quotidiana quali per esempio: la tutela dei rapporti familiari (attraverso una razionalizzazione dei trasferimenti e degli impieghi, e la risoluzione delle problematiche alloggiative), la tutela della condizione genitoriale (maternità e paternità), e infine la salvaguardia della salute. La famiglia e la garanzia dell'unità familiare devono rappresentare gli elementi cardine a cui ritengo debba essere assicurato il massimo livello di tutela...» –:

   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero;

   ove i fatti esposti in premessa dovessero corrispondere al vero, se ritenga opportuno che si proceda a una eventuale chiusura o a un trasferimento delle funzioni e del personale del 16° stormo – Protezione delle forze – dell'Aeronautica militare di stanza a Martina Franca e, in caso affermativo, quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di garantire le legittime aspettative del personale impiegato e di tutelare i rapporti familiari e le condizioni genitoriali.
(4-02231)

  Risposta. — In merito alle notizie riportate dagli organi di stampa circa l'eventuale chiusura o trasferimento delle funzioni e del personale del 16° Stormo, attestato che nessuna decisione è stata presa al riguardo, esse devono essere ritenute prive di fondamento.
  In generale, l'Aeronautica militare ha avviato, in linea con le previsioni di legge – in particolare la legge n. 244 del 2012 e il decreto legislativo n. 66 del 2010 – un articolato progetto per la revisione della propria pianta territoriale, finalizzato ad ottimizzare le limitate risorse disponibili attraverso appropriate sinergie ed oculate economie, a salvaguardia dell'operatività.
  Tale progettualità, ancora in corso e non definita, si inquadra nel più ampio programma di ristrutturazione organica delle forze armate nel loro complesso e tiene nella doverosa considerazione, tra gli altri, gli aspetti connessi alla presenza del personale sul territorio, in piena sintonia con la linea politica che ho a suo tempo enunciato e che è stata ricordata.

La Ministra della difesa: Elisabetta Trenta.


   MAGI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   il 4 maggio 2019, un'agenzia di stampa alle ore 11,24 riporta la notizia del salvataggio da parte della Marina italiana di pescherecci italiani puntati da motovedette libiche;

   dal lancio di agenzia, ricco di dettagli, si legge: «alcune motovedette della Guardia costiera libica hanno puntato nove motopesca italiani, che stavano pescando nel Golfo della Sirte, in acque al limite con le acque territoriali libiche, tentando di raggiungerli. Vista la situazione due pattugliatori della Marina Militare italiana, che stavano controllando il tratto di mare, sono intervenuti, prendendo sotto tutela i nove motopesca. È successo poco dopo la mezzanotte in un punto di mare su cui c'è da sempre una controversia: secondo la comunità internazionale sarebbero acque internazionali mentre la Libia ne rivendica il possesso. Se fossero stati raggiunti dalle motovedette libiche i pescherecci sarebbero stati probabilmente sequestrati e multati come accaduto altre volte. Al momento i pescherecci vengono scortati in acque sicure dalla Marina Militare»;

   alle 11,47, sul profilo Twitter del Ministero della difesa viene pubblicato il seguente tweet: «#4maggio Pescherecci italiani nel mirino delle motovedette libiche salvati dalla #MarinaMilitare. Il Ministro @Eli_Trenta: grazie al coraggio e alla professionalità dell’@ItalianNavy si è evitato il peggio»;

   dopo pochi minuti il Ministero rimuove il tweet e smentisce la notizia;

   alle 21,13 del 4 maggio esce un'agenzia di Adnkronos con un'intervista a Toni Scilla, presidente regionale di Agripesca Sicilia e componente dell'ufficio di gabinetto dell'assessorato alla pesca della Sicilia, il quale conferma la notizia del salvataggio di nove pescherecci della flotta di Mazara del Vallo e racconta quanto accaduto «alla mezzanotte del giorno precedente in acque internazionali, non in acque libiche»; in base ai racconti dello stesso Scilla, in costante contatto con la flotta mazarese: «La motovedetta libica avendo visto i pescherecci italiani stava raggiungendo le nostre imbarcazioni per fare il sequestro, solo che le due vedette italiane hanno intercettato la Guardia costiera libica e sono intervenute e hanno bloccato il sequestro delle imbarcazioni». Secondo Scilla, il Ministro della difesa Elisabetta Trenta avrebbe cancellato il tweet «dopo il chiarimento con le navi intervenute, che hanno confermato che non c'è più stato il sequestro» –:

   quale sia stata la dinamica dell'intervento che avrebbe visto coinvolta la Marina militare a tutela dei pescherecci italiani, dove questo sia avvenuto, se risulti al Governo quale guardia costiera libica abbia svolto l'operazione di cui in premessa, che ha costituito una minaccia per i pescatori italiani, con quali mezzi essa sia intervenuta e quale autorità libica abbia disposto tale intervento.
(4-02847)

  Risposta. — Riguardo alla notizia, riportata in un primo momento nell’account del mio dicastero, circa il salvataggio da parte della nostra Marina Militare di pescherecci italiani presi di mira da motovedette libiche, la Difesa ha già fornito chiarimenti in sede di risposta a un question time presso la IV Commissione Camera lo scorso 9 maggio.
  Ribadisco che si è trattato di un errore in buona fede, dovuto all'entusiasmo proprio di chi apprende un'informazione quanto mai positiva e che, per questo motivo, desidera darne il giusto riconoscimento a quanti, uomini e donne in divisa, svolgono quotidianamente nei nostri mari un lavoro meritevole ed egregio, con dedizione e impegno.
  Subito dopo, però, gli accertamenti hanno rilevato, di fatto, l'infondatezza di quanto già comunicato ed è seguita una tempestiva smentita ufficiale da parte della difesa, nella quale veniva spiegato che quanto riportato dagli organi di stampa, in merito al presunto salvataggio della Marina militare italiana di alcuni pescherecci nei pressi delle acque libiche, si era rivelata notizia destituita di qualsivoglia fondamento.
  Il
tweet, postato dall'ufficio stampa del dicastero alle ore 11.47, è stato immediatamente rimosso alle ore 12.07.
  Non voglio cercare giustificazioni all'accaduto, ma credo che tali evidenze dimostrino, è il caso di sottolinearlo, i profili di assoluta trasparenza e correttezza che contraddistinguono, da sempre, l'operato della Difesa che, nell'immediatezza del fatto, ha rimosso in pochi minuti una comunicazione rivelatasi erronea.
  Al contrario, invece, non trovo giustificazioni, al di là delle ricostruzioni giornalistiche degli eventi, alle strumentalizzazioni che ne sono seguite.
  In proposito, vorrei richiamare l'attenzione sulla necessità di una ponderata valutazione dei fatti, di tutte le parti in causa, per collocare la vicenda nel giusto ambito e non correre il rischio di strumentalizzare, per obiettivi di mera natura politica, errori ai quali può essere soggetto anche chi lavora con passione.
  Aggiungo, per completezza d'informazione, che nella notte tra il 3 e il 4 maggio 2019 – arco temporale dell'evento cui fa riferimento l'interrogante – erano presenti nelle acque internazionali dello Stretto di Sicilia 4 unità navali che nell'ambito dell'operazione mare sicuro e vigilanza pesca (VI.PE.), sorvegliavano l'area di operazioni posta nello Stretto di Sicilia, tra le isole Pelagie e la Tunisia.
  Tuttavia, nel caso in oggetto, la forza armata non ha ricevuto alcuna attivazione, tantomeno è stata direttamente coinvolta con propri assetti presenti nell'area.
  Prima di concludere, desidero rivolgere un sentito pensiero di gratitudine alla Marina militare che ha svolto e continua a svolgere, con grande professionalità e senso di responsabilità, tutte le missioni che le vengono affidate nel quadro di un complesso equilibrio geo-strategico.
  L'operato della nostra Marina si mantiene fondamentale: essa non solo garantisce la sicurezza del nostro Paese e dei nostri mari, ma contribuisce anche al mantenimento della pace, della sicurezza del commercio marittimo e soprattutto, con riconosciuta umanità e dedizione, continua a salvare vite umane, contribuendo a dare prestigio al ruolo del nostro Paese in un delicatissimo contesto internazionale.

La Ministra della difesa: Elisabetta Trenta.


   MAGLIONE. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   diversi episodi criminosi si stanno registrando nei comuni di Sant'Agata de’ Goti (Benevento) e di Durazzano (Benevento);

   il 30 agosto 2018 nel comune di Sant'Agata dei Goti (Benevento) si è verificata l'esplosione di una bomba carta davanti all'abitazione di un imprenditore, così come riportato dalla testata online «Ntr24» in pari data;

   lo stesso giorno il Sottosegretario di Stato alla difesa Angelo Tofalo ha dichiarato che i suddetti episodi criminosi in Valle Caudina sono un segnale allarmante per l'intera collettività della provincia di Benevento, così come riportato dalla testata online «Il Caudino» in pari data;

   il 24 settembre 2018 a seguito dell’escalation criminale in Valle Caudina, il prefetto dottor Cappetta ha convocato presso il comune di Sant'Agata de’ Goti il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica a cui ha preso parte anche il Sottosegretario per l'interno Carlo Sibilia;

   il 20 febbraio 2019 intorno alle 22 si è verificata la deflagrazione di una bomba dinanzi a una macelleria, in via Santisi a Sant'Agata de’ Goti (Benevento), teatro quindi di un attentato;

   in data 31 marzo 2019, nel comune di Durazzano, in provincia di Benevento, si è verificato un duplice omicidio; le vittime sono un suocero e un genero, entrambi originari del Casertano. Il fatto è avvenuto in pieno giorno, nella piazza del paese. La dinamica di quanto avvenuto è ancora da chiarire. Le indagini sono in corso, come riportato dalla testata online, «il mattino.it» il 31 marzo 2019;

   già nel 2013 fu richiesto un incremento della presenza dell'Arma dei carabinieri, attraverso specifiche interrogazioni parlamentari, sui territori di Durazzano e Sant'Agata de’ Goti;

   i militari che svolgono servizio presso la stazione dell'Arma dei carabinieri di Sant'Agata de’ Goti sono circa 10 e hanno giurisdizione sul comune di Sant'Agata de’ Goti e di Durazzano per una area complessiva di 75 chilometri quadrati;

   di notte nei territori sopra elencanti la locale stazione dell'Arma dei carabinieri riesce a organizzare con difficoltà un servizio di pattugliamento e quindi si rende necessario affidarsi al supporto della compagnia del comune di Montesarchio (Benevento) che dista dal comune di Sant'Agata de’ Goti circa 21 chilometri, con tempi di percorrenza di 25 minuti, e dal centro di Durazzano 26 chilometri, con tempi di percorrenza di 30 minuti –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti riportati e se, alla luce degli stessi, ritenga opportuno incrementare i militari in servizio presso la stazione di Sant'Agata de’ Goti (Benevento).
(4-02796)

  Risposta. — L'Arma dei carabinieri, che da sempre persegue l'obiettivo di garantire sicurezza ed efficienza, è particolarmente attenta alla distribuzione dei presìdi sul territorio, attraverso un'analisi che si basa su parametri riferiti alla popolazione, alla delittuosità, agli aspetti di carattere infrastrutturale/logistico e alla mobilità, in piena sintonia con le altre Forze di polizia e d'intesa con gli orientamenti dei prefetti.
  In particolare, nello specifico della tematica rappresentata dall'interrogante, il Comando generale dell'Arma dei carabinieri ha riferito che l'Arma è presente nei comuni di Sant'Agata dei Goti e Durazzano con la stazione carabinieri di Sant'Agata dei Goti, con le componenti investigative e di pronto intervento della compagnia di Montesarchio (attualmente in sovra-organico di una unità) e con la stazione carabinieri forestale di Sant'Agata dei Goti: tali reparti non sono interessati da alcuna ipotesi di razionalizzazione.
  Dall'esame dei dati relativi all'andamento della delittuosità in quell'area geografica, non emergono elementi di rilevante criticità, anzi il 1° quadrimestre 2019 è contraddistinto da un andamento generale dei reati sostanzialmente in calo rispetto ad analogo periodo dell'anno precedente.
  In proposito, la prefettura di Benevento, per il tramite del ministero dell'interno, ha fatto presente che la stazione di Sant'Agata dei Goti, sebbene attualmente in sottorganico di tre unità per gli ordinari avvicendamenti, risulta, comunque, rispondere adeguatamente alle esigenze, in rapporto alla complessiva situazione, sia a livello provinciale che infra-provinciale, soprattutto se valutata in rapporto con le rimanenti situazioni a livello nazionale e tenuto conto anche della risposta operativa e della proiezione esterna finora garantita.
  La stessa prefettura ha comunicato, altresì, che:

   il reparto è di recente transitato nella 1° fascia d'impiego, con 10 ore di apertura al pubblico, al fine di ottimizzare la proiezione esterna del personale nelle fasce orarie di maggiore interesse operativo;

   a Sant'Agata dei Goti sono in servizio 9 operatori della polizia locale e 2 ausiliari del traffico, con la dotazione di 1 autovettura e di 2 motoveicoli;

   è stato realizzato un impianto di video-sorveglianza, con visione soltanto diurna e senza rilevazione delle targhe dei veicoli, recentemente danneggiato da un fulmine che ha compromesso la centralina/server.

  Rispondendo ora allo specifico quesito, circa l'opportunità di potenziare l'organico della stazione di Sant'Agata dei Goti – che presenta, comunque, un rapporto carabinieri/abitanti favorevole rispetto al dato provinciale – proprio per corrispondere più efficacemente alle avvertite esigenze di una maggiore percezione di sicurezza da parte della popolazione, il comando generale dell'Arma dei carabinieri ha interessato il comando legione competente affinché valuti, compatibilmente con l'attuale quadro di carenza organica, un ripianamento delle posizioni vacanti attraverso manovre di impiego in ambito locale, intensificando, contestualmente, la visibilità delle attività di prevenzione.
  Con riferimento, infine, agli episodi criminosi citati in premessa all'atto, per quanto riguarda l'esplosione di ordigni, le indagini sono tuttora in corso, mentre, per il duplice omicidio, i militari del nucleo operativo e radiomobile della compagnia di Montesarchio hanno sottoposto a fermo il responsabile poco dopo l'evento, riconducibile, peraltro, a dissidi privati e non alla criminalità organizzata.
  Prima di concludere, vorrei sottolineare come l'Arma dei carabinieri riservi alle stazioni la massima e doverosa attenzione, nella consapevolezza che esse non esercitano soltanto l'indispensabile funzione di prevenzione e di contrasto dei fenomeni criminali, ma sono anche parte attiva della rete di protezione e di solidarietà sociale e restano tra le più concrete e immediate espressioni di vicinanza ai cittadini.

La Ministra della difesa: Elisabetta Trenta.


   ALBERTO MANCA e MARINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   secondo autorevoli fonti di stampa, la Geasar, società di gestione dell'aeroporto di Olbia, in accordo con Enav ed Enac, avrebbe comunicato alle autorità competenti che l'aeroporto in oggetto dovrà ridurre da quattro a una le piazzole a disposizione dei Canadair appartenenti alla flotta aerea antincendio, con conseguente spostamento della relativa base dall'aeroscalo di Olbia a quello di Alghero. Tale trasferimento causerebbe una serie di problemi di carattere tecnico e logistico: la scelta di avere come base Olbia, oltre a garantire negli anni un eccellente servizio su tutto il territorio sardo, ha permesso di offrire un fondamentale supporto per le operazioni sulla parte centrale della penisola, in particolar modo su Lazio, Toscana e Campania, specie in anni critici come il 2012 o il 2017, in cui i mezzi presenti presso la base di Ciampino erano insufficienti per far fronte alla grave crisi nella lotta agli incendi. Considerato che il tempo di volo da Olbia a Ciampino è di circa un'ora (due ore tra andata e ritorno) e atteso che la missione-tipo ha una durata massima di sei ore (limite massimo delle ore di volo di un singolo equipaggio), lo stabilimento della base nel capoluogo gallurese ha finora assicurato a ciascuna missione una durata pari a ben quattro ore di operazioni sul fuoco. Con lo spostamento dei Canadair ad Alghero, il tempo di percorrenza di ogni tratta verso la penisola (e viceversa) subirebbe un incremento di almeno 30 minuti, a causa della posizione ad ovest dell'aeroporto di Fertilia. Ciò ridurrebbe di almeno un'ora il tempo massimo a disposizione per svolgere le operazioni di spegnimento, passando quindi da quattro a tre ore (o meno) sulle sei totali, con conseguente aggravio di costi, per giunta contraendo efficacia ed efficienza del servizio offerto. Le criticità descritte si manifesterebbero in maniera ancor più evidente nel caso contrario, ovvero qualora si verificassero grossi incendi in Sardegna, in quanto eventuali velivoli provenienti dalla penisola ed impegnati in attività di supporto tecnico in operazioni, cambio equipaggi, trasporto di materiale e altro, dovrebbero affrontare un viaggio più lungo per raggiungere la base sarda situata ad Alghero anziché ad Olbia. Inoltre, rispetto a quello gallurese, il territorio di Alghero è ben più esposto al vento predominante in Sardegna, il maestrale da nord ovest: nei casi in cui il medesimo eccedesse determinati limiti, potrebbe essere compromesso il decollo dei Canadair. Una simile situazione non si è mai verificata ad Olbia, ed è in tutta evidenza da scongiurare, atteso che le condizioni di forte vento determinano altresì un notevole incremento del rischio di incendi. La Gallura, per concentrazione demografica e per la natura della vegetazione ivi presente, è una delle zone della Sardegna in cui gli incendi sono risultati più devastanti per persone e cose (quest'anno ricorre il trentaseiesimo anniversario della tragedia di Curraggia); pertanto, appare opportuno non privare tale territorio delle attuali garanzie di pronto e tempestivo intervento dei Canadair. Tale situazione, peraltro, si inserirebbe in un contesto nel quale persino alcune basi elicotteristiche antincendio presenti nella zona corrono il rischio di perdere la loro operatività, poiché le relative strutture risultano carenti dal punto di vista urbanistico e prive delle certificazioni di sicurezza inerenti a determinati impianti tecnologici, come dichiarato in una nota del Corpo forestale e di vigilanza ambientale della Sardegna –:

   se la notizia di un imminente spostamento della base della flotta aerea antincendio Canadair dall'aeroporto di Olbia a quello di Alghero sia veritiera e, in tal caso, se non si ritenga opportuno, alla luce di quanto esposto in premessa, rivalutare o rimodulare l'ipotesi di trasferimento o, in alternativa, intraprendere iniziative che consentano di scongiurare il verificarsi dei disagi conseguenti.
(4-02807)

  Risposta. — In via preliminare va ricordato che, ai sensi dell'articolo 7, comma 2 della legge n. 353 del 2000, la gestione della flotta aerea antincendio dello Stato è coordinata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento della protezione civile, attraverso il Centro operativo aereo unificato (Coau) dell'ufficio gestione delle emergenze.
  In vista dei lavori di ampliamento dell'aeroporto di Olbia previsti nell'anno 2019 il 6 dicembre 2018 si è tenuto a Cagliari un incontro tra i soggetti interessati (Gesar, Enav Olbia, protezione civile regionale, assessorato e ambiente della regione Sardegna - ufficio gabinetto, corpo forestale regionale, Dipartimento protezione civile ed Enac), per individuare una possibile soluzione al consueto allineamento presso l'aeroporto di Olbia dei canadair CL415. In tale contesto, è stato individuato il riposizionamento dei velivoli presso l'aeroporto di Alghero.
  Il 31 gennaio 2019, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco e il gestore della flotta canadair, hanno partecipato ad un sopralluogo presso l'aeroporto di Alghero che ha consentito di accertare l'idoneità tecnico-logistica del sito.
  Il Dipartimento della protezione civile ha successivamente comunicato al Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, in quanto proprietario degli aeromobili, la disponibilità del Ministero della difesa per l'impiego dell'area militare in questione e ne ha richiesto lo schieramento.
  Sulla scorta di quanto sopra esposto, e a seguito di varie riunioni svolte presso il Dipartimento della protezione civile per la preparazione della campagna antincendi boschivi 2019, l'ultima delle quali tenutasi il 27 maggio 2019, si conferma il posizionamento dei velivoli CL 415 sull'aeroporto di Alghero che, dal punto di vista logistico e delle caratteristiche infrastrutturali-operative, rappresenta la soluzione ottimale.
  Inoltre, come riferito dalla Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento della protezione civile, per quanto riguarda i tempi di transito dalla base dei canadair alle zone interessate da incendio, la relativa tempistica dipende solo dalla localizzazione della zona in cui può verificarsi l'evento. Al riguardo, si evidenzia che in base alla statistica decennale pregressa, la distribuzione degli incendi risulta abbastanza uniforme, con una leggera concentrazione nella zona centrale dell'isola, sostanzialmente equidistante dagli aeroporti di Olbia e Alghero.
  Resta fermo che per eventuali richieste aggiuntive è possibile avvalersi dei Canadair schierati sulle basi di Genova, Ciampino e Trapani che distano circa un'ora di volo dalla regione.
  Inoltre, in caso di alto rischio incendi, nell'ambito della discrezionalità del Coau, possono essere schierati ulteriori assetti presso gli aeroporti di Cagliari, Alghero e Decimomannu al fine di incrementare, ove necessario, la capacità d'intervento.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Stefano Candiani.


   MANDELLI, GELMINI, ORSINI, PALMIERI, PEREGO DI CREMNAGO, ROSSELLO, SACCANI JOTTI, SQUERI, COLUCCI, LUPI, RAVETTO e CALABRIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   come si evince dalla stampa nazionale, il Sottosegretario per gli affari esteri e la cooperazione internazionale, Manlio Di Stefano, ha dichiarato di avere la volontà politica di portare a Milano la sezione del Tribunale unificato dei brevetti (Tub), attualmente prevista a Londra, qualora vi siano le premesse;

   «Tutto il Governo», ha, infatti, evidenziato il rappresentante del Governo citato, «rema in favore della maggiore acquisizione possibile di entità internazionali in Italia» e ancora: «Ad oggi il TUB non è ancora operativo in quanto manca l'indispensabile ratifica da parte della Germania dello specifico Accordo Intergovernativo. Una volta giunta la ratifica tedesca, sarà anche necessario attendere l'esito della Brexit e gli effetti che questa avrà sulla partecipazione di Londra al TUB, che non sono automatici in quanto il Tribunale non è parte dell'architettura istituzionale UE. È una questione che viene seguita e continuerà ad essere seguita da vicino nei prossimi mesi da uno specifico Tavolo interministeriale, alla luce degli interessi complessivi dell'Italia nel contesto del sistema brevettuale unitario europeo. Se si realizzeranno le condizioni, tutti lavoreremo per la candidatura di Milano con la massima convinzione»;

   l'interrogante, in data 5 dicembre 2018, ha presentato la mozione n. 1-00085 discussa e respinta con parere contrario del Governo dall'Assemblea alla Camera dei deputati in data 9 aprile 2019 ove si impegnava il Governo a «sostenere concretamente la candidatura di Milano, già sede di una divisione locale del Tribunale unificato brevetti e in possesso di tutti i requisiti logistici e delle competenze giurisdizionali, professionali e imprenditoriali, a sede della sezione specializzata sulle controversie in tema di metallurgia, life sciences e chimica farmaceutica del Tribunale unificato dei brevetti e a porre in essere tutte le iniziative necessarie in tal senso, affinché non venga sprecata un'occasione unica di crescita, di prestigio internazionale e di indotto occupazionale per l'intero Paese»;

   appare alquanto sconcertante che, nell'arco di neanche due mesi, insigni rappresentanti del Governo manifestino volontà politiche in netta controtendenza rispetto a quanto manifestato in sede di votazione, nell'Aula della Camera, di un atto di indirizzo presentato dal gruppo Forza Italia –:

   quale sia l'effettivo orientamento del Governo in relazione alla possibilità di portare a Milano la sezione del Tribunale unificato dei brevetti (Tub), attualmente prevista a Londra e se, quando e quali iniziative di competenza intenda assumere presso le competenti sedi europee in tal senso.
(4-03047)

  Risposta. — Il Governo italiano continua a seguire con la massima attenzione il processo di entrata in vigore dell'accordo su un Tribunale unificato dei brevetti (TUB), nonché le conseguenze sullo stesso della Brexit, attraverso uno specifico Tavolo interministeriale, coordinato dal dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio e in cui siedono i Ministeri della giustizia, dello sviluppo economico, dell'economia e delle finanze, degli esteri e della cooperazione internazionale nonché il dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio. A dimostrazione dell'attenzione dedicata dal Governo a tale dossier, si è tenuta lo scorso 28 giugno presso il Ministero degli affari esteri una riunione sul tribunale unificato dei brevetti in cui – su invito del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Enzo Moavero Milanesi – sono intervenuti il Presidente della regione Lombardia, Attilio Fontana, il Sindaco di Milano, Giuseppe Sala, e la presidente della Corte d'appello di Milano, Marina Tavassi. La riunione ha consentito un articolato scambio di vedute sull'accordo istitutivo del Tub. Al riguardo, il Comune di Milano e la regione Lombardia hanno confermato l'interesse ad accogliere la Sezione della divisione centrale del Tub attualmente prevista a Londra e hanno, quindi, preannunciato che invieranno al Governo una formale candidatura della città di Milano.
  L'eventuale decisione di candidare Milano ad ospitare tale articolazione del Tub sarà presa dal Governo, in consultazione con le autorità locali e gli
stakeholders, una volta che saranno sciolti i nodi essenziali per la stessa entrata in funzione e operatività del Tub. Tale decisione non potrà peraltro prescindere da una analisi degli interessi complessivi dell'Italia nel contesto del sistema brevettuale unitario europeo e dei costi a carico dello Stato ospitante, tenuto conto che quest'ultimo è tenuto a mettere a disposizione i locali per ospitare detta articolazione del Tub, nonché, per un periodo iniziale di sette anni, il personale amministrativo di supporto necessario. Il Tub non rientra infatti nell'architettura istituzionale dell'Unione europea: è un organismo definito da un accordo intergovernativo tra 25 Stati membri dell'Unione europea. A oggi, il Tub non è ancora concretamente operativo perché manca la ratifica dell'accordo istitutivo da parte della Germania; per l'entrata in vigore dell'accordo è infatti necessaria la ratifica di almeno 13 stati firmatari, inclusi i tre con il maggior numero di brevetti europei, cioè Francia, Regno Unito e – appunto – Germania.
  Inoltre, nel testo dell'accordo, che determina anche le varie sedi del Tub, è menzionata esplicitamente anche la capitale britannica.
  Di conseguenza, il futuro della sezione di Londra richiede una revisione dell'accordo stesso, all'unanimità. Anche la struttura delle relazioni future
post-Brexit tra Unione europea e Regno Unito in materia di tutela della proprietà intellettuale potrebbe giocare un ruolo importante sulla prossima configurazione del Tub.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Manlio Di Stefano.


   ORRICO e MELICCHIO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   l'elettrodotto a 380 Kv Laino-Feroleto-Rizziconi, di proprietà di Terna s.p.a. si sviluppa in Calabria per un totale di 218 chilometri;

   tale tipologia di elettrodotti è classificata dall'Agenzia nazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) nella categoria 2B e le sue emissioni costituiscono, pertanto, un possibile agente cancerogeno umano, con grado di pericolosità elevata;

   il tracciato dell'elettrodotto nella tratta che attraversa il territorio del comune di Montalto Uffugo (Cs) e, specificamente, le frazioni di Pianette e Lucchetta (per circa 2 chilometri), presenta rilevanti criticità, poiché non risulterebbe conforme a diversi standard progettuali di qualità, di sicurezza, di salute pubblica, di impatto ambientale e urbanistico disciplinati dalla normativa vigente quali la mancata osservanza delle «fasce di rispetto per gli elettrodotti» così come previste dal decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 29 maggio 2008, il mancato rispetto del «principio di precauzione» ex articolo 191 del Tfue che intende garantire un alto livello di protezione della salute umana e dell'ambiente, l'inosservanza del piano energetico regionale calabrese che prevede l'interramento dei cavi dell'alta tensione nelle zone antropizzate;

   secondo alcune misurazioni effettuate dall'Università della Calabria sul campo magnetico prodotto dall'elettrodotto, la popolazione residente sarebbe esposta a valori superiori ai 3T (microtesla), contravvenendo al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del luglio 2003 che fissa proprio in 3T (microtesla) l'obiettivo di qualità del campo magnetico in normali condizioni di esercizio;

   la possibile correlazione tra esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici e una moltitudine di effetti sanitari di tipo acuto e cronico ha convinto la comunità scientifica internazionale, già da oltre mezzo secolo, in merito alla necessità di minimizzare tali esposizioni così come testimoniato, fra l'altro, dall'insorgenza di numerose gravi patologie riguardanti residenti delle già sopracitate località;

   Terna ha progettato un intervento di razionalizzazione della rete di alta tensione ricadente nell'area del parco del Pollino che prevede la realizzazione di nuovi interventi tra cui un collegamento a 380 Kv tra Laino e Altomonte, sfruttando il primo tratto della terna Laino-Rossano 380 Kv che potenzierebbe la linea con un conseguente, probabile, innalzamento dei valori del campo magnetico sulla tratta che insiste sulle già citate località di Pianette e Lucchetta;

   nelle ultime settimane e in questi ultimi mesi, Terna sta conducendo la transizione energetica del Paese attraverso azioni e programmi sostenibili, efficienti e rispettosi dell'ambiente, nonché attraverso la risoluzione di alcune rilevanti situazioni di criticità presenti da anni sulla rete come dimostrano gli interventi rientranti nel protocollo d'intesa tra Terna s.p.a. e regione Veneto dal mese di gennaio 2019 o ancora l'accordo tra Terna e comune de L'Aquila dello scorso anno finalizzato alla demolizione e all'interramento del vecchio elettrodotto –:

   quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere per verificare se il tracciato dell'elettrodotto, nella tratta fra le frazioni di Pianette e Lucchetta del comune di Montalto Uffugo (Cs), debba, come già effettuato da Terna s.p.a. in altre regioni italiane, essere interrato al fine di assicurare standard di qualità e sicurezza adeguati, nonché evitare nocumento alla pubblica salute, garantendo così al contempo anche uniformità di trattamento e di investimenti nei vari territori.
(4-02768)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sentita la direzione generale competente e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Gli interroganti fanno riferimento allo «elettrodotto a 380 Kv Laino-Feroleto-Rizziconi».
  L'elettrodotto in parola è stato autorizzato con decreto direttoriale n. ATE/6102 del 7 ottobre 2002 dell'ex direzione generale per la difesa del territorio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, a seguito di pronuncia ambientale favorevole ottenuta con decreto VIA/3602/1998.
  Esso è compreso nel piano di sviluppo della rete di trasmissione nazionale dell'energia e costituisce parte rilevante della RTN in Calabria, la quale è costituita da due linee a 380 kV che, partendo dalla medesima stazione di Laino (Cosenza) e sviluppandosi una lungo la costa tirrenica e l'altra lungo la costa ionica, si ricongiungono nelle stazioni elettriche (SE) di Feroleto e Maida. La linea in parola costituisce quindi opera essenziale per assicurare l'affidabilità della rete di trasmissione e del servizio di fornitura elettrica alle famiglie e alle imprese della regione Calabria, ma anche per assicurare lo scambio di energia dal continente verso la Sicilia e dalla Sicilia verso il continente, in quanto tutti i transiti di energia sul sistema elettrico della regione Calabria fluiscono attraverso la suddetta dorsale a 380 kV.
  Si fa presente che l'autorizzazione è stata rilasciata ai sensi della normativa previgente all'attuale assetto, costituita all'epoca dal «Testo unico di leggi sulle acque e sugli impianti elettrici» di cui al regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775. L'istruttoria fu avviata infatti il 15 maggio 1995 dall'allora Enel s.p.a., ora Terna s.p.a. Il citato decreto VIA/3602/1998, nel formulare giudizio positivo sulla compatibilità ambientale del piano presentato con istanza del 15 maggio 1995, ha tuttavia imposto modifiche rilevanti al progetto originario, a maggior tutela della salute dei cittadini e del paesaggio.
  In data 2 agosto 2000, Terna s.p.a., nel frattempo subentrata all'Enel, ha presentato una nuova istanza, con elaborati progettuali aderenti alle modifiche richieste. A seguito di conferenza di servizi, è stato emanato il decreto 2 maggio 2002 n. 2903 di accertamento dell'avvenuta intesa Stato-regione sulla conformità urbanistica dell'opera. Con atto 19 settembre 2001 n. TE/P2001003177, Terna ha dichiarato di accettare tutte le condizioni e le prescrizioni imposte.
  Previo parere favorevole del Consiglio superiore dei lavori pubblici, il Ministero competente ha emanato il decreto finale di autorizzazione n. ATE/6102 del 7 ottobre 2002, il quale dichiara l'inamovibilità delle opere, l'urgenza e l'indifferibilità delle stesse.
  Negli anni successivi alla realizzazione dell'opera, Terna, su sollecitazione della popolazione di Montalto Uffugo, della provincia di Cosenza, della regione e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha presentato due ipotesi di variante di tracciato, che però non sono state accettate dalle amministrazioni interessate. Il Ministero dell'ambiente ha dunque avviato una concertazione con le amministrazioni territoriali, a seguito della quale è stato accolto il progetto di variante del tracciato del tratto di linea che attraversa le località di Pianette e Lucchetta, che il gestore ha poi presentato al Ministero dello sviluppo economico nel 2007. Nell'ambito dell'endoprocedimento ambientale, la commissione tecnica VIA ha bocciato, in data 28 luglio 2009, le proposte di varianti, ribadendo che «le motivazioni dell'opera non hanno alcuna giustificazione o necessità di tipo tecnico ma risiedono unicamente nei reiterati dissensi espressi dalle comunità locali, all'elettrodotto a 380 kV Laino (CS) – Rizziconi (CS)». Il MiSE ha dunque archiviato il procedimento autorizzativo.
  Il gestore ha informato il Ministero dello sviluppo economico che recentemente sono state analizzate ulteriori alternative di progetto in aereo nella tratta interessata, al fine di verificare la possibilità di allontanare la linea esistente dalle frazioni di Pianette e Lucchetta, ma che tali analisi hanno dimostrato che l'intensa urbanizzazione presente ad oggi nella zona in esame non consente di definire corridoi localizzativi di dimensioni adeguate, tali da rispettare la normativa vigente in materia di tutela della salute dall'esposizione ai campi elettromagnetici e che, quindi, l'eventuale variante aerea non risulta fattibile in termini ambientali, né sociali.
  Gli interroganti lamentano il mancato rispetto delle norme, in particolare, la «mancata osservanza delle “fasce di rispetto per gli elettrodotti”» e il superamento del limite del valore di 3 microtesla del campo magnetico prodotto dall'elettrodotto, «contravvenendo al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del luglio 2003».
  Gli interroganti fanno riferimento al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 luglio 2003 recante «Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni ai campi elettrici e magnetici alla frequenza di rete (50 Hz) generati dagli elettrodotti», pubblicato in
Gazzetta Ufficiale, n. 200 del 29 agosto 2003. Ebbene, l'articolo 4 «Obiettivi di qualità» del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri reca: «Nella progettazione di nuovi elettrodotti in corrispondenza di aree gioco per l'infanzia, di ambienti abitativi, di ambienti scolastici e di luoghi adibiti a permanenze non inferiori a quattro ore e nella progettazione dei nuovi insediamenti e delle nuove aree di cui sopra in prossimità di linee ed installazioni elettriche già presenti nel territorio, ai fini della progressiva minimizzazione dell'esposizione ai campi elettrici e magnetici generati dagli elettrodotti operanti alla frequenza di 50 Hz, è fissato l'obiettivo di qualità di 3μT per il valore dell'induzione magnetica, da intendersi come mediana dei valori nell'arco delle 24 ore nelle normali condizioni di esercizio».
  L'elettrodotto in parola non è un elettrodotto di nuova progettazione, bensì preesistente all'introduzione del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. L'opera è stata realizzata nel pieno rispetto della normativa vigente al momento dell'autorizzazione, consistente: nel decreto 21 marzo 1988, n. 449, recante «Approvazione nelle norme tecniche per la progettazione, l'esecuzione e l'esercizio delle linee elettriche aeree esterne», nelle norme tecniche del comitato elettrotecnico italiano (C.E.I.), nonché nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 aprile 1992, che all'articolo 4 prevedeva il limite di 10 micro tesla, per gli ambienti in cui si possa ragionevolmente attendere che individui della popolazione trascorrano una parte significativa della giornata, e di 100 micro tesla nel caso in cui l'esposizione sia ragionevolmente limitata a poche ore al giorno.
  Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 luglio 2003 ha successivamente introdotto il valore di 3 microtesla per il valore dell'induzione magnetica, da intendersi come mediana dei valori nell'arco delle 24 ore nelle normali condizioni di esercizio, esclusivamente quale obiettivo di qualità nella progettazione di nuovi elettrodotti in corrispondenza di aree gioco per l'infanzia, di ambienti abitativi, di ambienti scolastici e di luoghi adibiti a permanenze non inferiori a quattro ore giornaliere.
  La tutela della salute delle popolazioni interessate dell'opera è stata considerata ed assolta nel citato decreto VIA, nel quale si dichiara che «l'opera è conforme ai limiti stabiliti dalla normativa allora vigente in materia di esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici» e si richiede altresì di recepire qualunque disciplina più cautelativa avesse dovuto nel frattempo intervenire.
  Nel rispetto delle prescrizioni previste dal decreto di autorizzazione, il gestore ha pertanto mantenuto i valori di campo magnetico generati dall'elettrodotto inferiori ai limiti previsti dalla normativa allora vigente. Inoltre si evidenzia che il tratto che attraversa le frazioni di Pianette e Lucchetta nel comune di Montalto Uffugo è stato realizzato con tipologia aerea a semplice terna sdoppiata ottimizzata, in modo da ottenere il migliore risultato in termini di mitigazione dell'emissione dei campi magnetici e che i successivi accertamenti compiuti hanno evidenziato valori di induzione magnetica presso i ricettori al di sotto dei 3 microtesla.
  In chiusura, gli interroganti chiedono «quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere per verificare se il tracciato dell'elettrodotto, nella tratta fra le frazioni di Pianette e Lucchetta del comune di Montalto Uffugo (Cs), debba, come già effettuato da Terna s.p.a. in altre regioni italiane, essere interrato». Sul punto, sentita la direzione generale competente, si risponde che, in considerazione della peculiare struttura della RTN in Calabria e dunque della rilevanza strategica dell'elettrodotto per la rete di trasmissione nazionale, l'eventuale interramento comporterebbe una riduzione dell'affidabilità dell'intera linea e, in caso di guasto non temporaneo del tratto in cavo, porterebbe al sovraccarico della sola dorsale 380 kV «Rossano-Scandale-Magisano-Maida
», con rischio di una separazione del sistema elettrico costituito della rete della Sicilia e Sud Calabria dal resto della RTN. L'interramento del tratto di linea rappresenterebbe quindi una soluzione non compatibile con la gestione del sistema elettrico in regime di sicurezza, efficienza e continuità, sia in condizioni di rete integra, ovvero con tutti gli elementi di rete disponibili, sia in condizioni di rete non integra, per manutenzione o guasto di uno degli elementi di rete.
  Inoltre occorre considerare che la tecnologia in cavo interrato, pur avendo raggiunto un elevato livello di maturità tecnologica, comporta criticità riguardanti sia la limitazione della potenza attiva trasmissibile dal cavo stesso, sia il rischio di sovratensioni, fenomeni di risonanza, malfunzionamenti sui sistemi di protezione. La tecnologia in cavo interrato è nel complesso meno affidabile, presentando tempi di ripristino mediamente molto più lunghi rispetto a quelli per gli elettrodotti aerei.
  Tutto ciò premesso, si concorda con gli interroganti sul fatto che la tutela della salute delle popolazioni interessate dall'opera sia assolutamente prioritaria. Per questo motivo il Ministero dello sviluppo economico si rende disponibile a richiedere al gestore della rete di trasmissione nazionale ulteriori monitoraggi in corrispondenza dei recettori sensibili, monitoraggi che dovranno essere svolti da soggetti diversi e qualificati.
  Inoltre, il Ministero dello sviluppo economico rende disponibile a chiedere al gestore di compiere una nuova valutazione per eventuali soluzioni alternative, ivi compresa la soluzione dell'interramento richiesta dagli interroganti, a valle della realizzazione dei rafforzamenti della RTN previsti dai piani di sviluppo della rete nell'area meridionale, quali il triterminale Sicilia-Sardegna-Continente e la linea elettrica a 400 kV Montecorvino-Benevento-Avellino.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Davide Crippa.


   UBALDO PAGANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro per la famiglia e le disabilità, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   con circolare n. 1764 del 2 aprile 2019 l'Autorità di gestione del programma nazionale per i servizi di cura all'infanzia e agli anziani non autosufficienti ha comunicato agli ambiti territoriali sociali che il termine di conclusione delle attività del programma è stato fissato al 30 giugno 2020, con un ulteriore semestre per il completamento delle attività di rendicontazione e controllo di primo livello delle operazioni compiute dai beneficiari (31 dicembre 2020) e una successiva fase per le operazioni di chiusura definitiva del programma (30 giugno 2021);

   l'autorità di gestione, ad oggi, non ha comunicato agli ambiti territoriali il termine per la presentazione delle richieste di riprogrammazione e differimento del piano, finalizzate a garantire il pieno utilizzo delle risorse entro il termine di chiusura delle attività del programma, fissato al 30 giugno 2020;

   nella regione Puglia, le risorse Pac per i servizi di cura all'infanzia, sono in parte destinati alle famiglie più bisognose per garantire l'accesso ai servizi per la prima infanzia, come gli asili nido, e molti ambiti territoriali hanno inteso finanziare il sistema dei voucher regionale, denominato «buoni servizio», proprio con le risorse Pac per garantire alle famiglie pugliesi l'abbattimento della retta, per la frequenza di asili nido privati e convenzionati;

   nella regione Puglia, le risorse Pac per i servizi di cura agli anziani non autosufficienti sono destinate all'erogazione del servizio di assistenza domiciliare integrata (Adi) (obiettivo Lea S.06), ossia un complesso di prestazioni e di interventi, definiti nel piano assistenziale individuale (Pai), rivolti ad anziani non autosufficienti ultra sessantacinquenni che necessitano, in modalità programmata, di cure e di assistenza a lunga persistenza –:

   se il Governo intenda adottare iniziative per rifinanziare il programma nazionale per i servizi di cura all'infanzia e agli anziani non autosufficienti e se intenda chiarire le modalità e le tempistiche per la presentazione delle proposte progettuali ad opera degli ambiti territoriali per l'accesso ai suddetti finanziamenti, nonché per permettere loro di attivare tutte le procedure per l'accesso ai servizi e la spendibilità dei finanziamenti a decorrere dal secondo semestre del 2020.
(4-02640)

  Risposta. — Il termine ultimo per l'attuazione delle attività del Programma nazionale per i servizi di cura all'infanzia e agli anziani non autosufficienti (Pnscia) è stato differito di un anno, dal 30 giugno 2020 al 30 giugno 2021, al fine di completare l'erogazione dei servizi programmati.
  Infatti, a seguito di una apposita indagine quali-quantitativa condotta dall'autorità di gestione dei servizi di cura all'infanzia e agli anziani non autosufficienti, è stato evidenziato che una significativa quota di servizi già programmati non potevano essere conclusi entro il 30 giugno 2019 e che alcuni ambiti/distretti non avevano efficacemente programmato tutte le risorse disponibili.
  Di conseguenza, nella seduta del 17 aprile scanso, il Comitato di indirizzo e sorveglianza – che vigila sull'attuazione del programma – ha condiviso la proposta, formulata dall'autorità di gestione, di attivare un'ulteriore finestra di programmazione delle risorse del secondo riparto finanziario, consentendo agli ambiti/distretti di utilizzare completamente le risorse già riconosciute a ciascun beneficiario, con l'obiettivo di perseguire l'ampliamento e il consolidamento dell'offerta complessiva dei servizi di cura e il loro riequilibrio territoriale, nonché l'utilizzo di tali risorse per interventi da attuare entro il 30 giugno 2020.
  A tale scopo, con circolare del 18 aprile 2019, sono state diramate istruzioni operative agli ambiti/distretti che consentiranno di proseguire le attività programmate in favore degli anziani e dell'infanzia, mediante procedure attivate nel rispetto della vigente normativa in materia di contratti pubblici e che possono prevedere anche nuovi interventi, riguardanti nuove strutture/servizi o comuni precedentemente non beneficiari di servizi.
  Il termine ultimo per la presentazione di tali istanze è stato fissato al 31 maggio 2019. Entro tale data sono pervenute 121 istanze di riprogrammazione e 80 istanze di aggiornamento dei cronoprogrammi per l'attuazione dei servizi.
  Le risorse non espressamente richieste dagli ambiti/distretti sono state riacquisite nella disponibilità del Programma per essere successivamente destinate al finanziamento di ulteriori interventi con un meccanismo «a sportello» che, nel rispetto delle linee di intervento e dei riparti regionali, verrà riservato ai beneficiari che abbiano già concluso i servizi finanziati con i due atti di riparto, secondo modalità che saranno illustrate dall'autorità di gestione in una circolare esplicativa di imminente pubblicazione.
  Si rappresenta altresì che, al fine di procedere alla chiusura del primo atto di riparto finanziario, con circolare del 19 aprile 2019, gli ambiti/distretti destinatari delle risorse finanziarie del Programma sono stati invitati a inserire nei sistemi informativi la relativa documentazione al fine di definire le rendicontazioni pendenti.
  Inoltre, nel corso del mese di maggio 2019, nei quattro capoluoghi di regione interessati, sono stati organizzati, d'intesa con Anci e regioni, una serie di incontri tecnico-operativi, al fine di fornire ulteriore supporto agli enti territoriali coinvolti negli adempimenti di programmazione e rendicontazione delle attività finanziate con il secondo atto di riparto e per l'accesso alle azioni a sportello.
  Per quanto riguarda, in particolare, la regione Puglia – citata nell'interrogazione – dal «Rapporto di monitoraggio sulle politiche per la famiglia delle regioni e delle province autonome» (consultabile sul sito del Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del consiglio dei ministri), risulta che questa regione ha ricevuto, dal 2014 al 2017, la cifra di 1.415.546 euro.
  Le suddette risorse finanziarie sono state utilizzate, tra l'altro, anche per promuovere e favorire la qualità e la pluralità dell'offerta dei servizi e delle strutture per la prima infanzia, sostenendo la domanda delle famiglie mediante l'utilizzo di titoli di acquisto denominati «Buoni Servizio», fruibili solo presso soggetti accreditati in un apposito catalogo regionale e contrattualizzati dai comuni capofila degli ambiti territoriali sociali.
  Infine, per quanto concerne il rifinanziamento del programma, si fa presente che l'autorità di gestione, presumibilmente nel mese di ottobre prossimo, sentiti gli organi di
governance e in relazione allo stato di avanzamento del Programma, valuterà l'opportunità di procedere alla richiesta di rifinanziamento.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo Sibilia.


   UBALDO PAGANO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   al tempo della Guerra fredda la Puglia fu scelta, per la sua posizione geografica, come territorio utile all'installazione dei missili intercontinentali denominati Jupiter. Questi missili a gettata intermedia, con testate nucleari all'idrogeno, erano in grado di colpire i Paesi satelliti dell'Unione sovietica come Albania, Romania, Bulgaria, e alcune parti occidentali della stessa Urss;

   il quartier generale fu installato nel bosco Difesa Grande, a Gravina in Puglia. I missili arrivarono nel 1960 e, oltre che a Gravina, furono schierati a Spinazzola, Gioia del Colle, Acquaviva delle Fonti, Altamura (due postazioni), Irsina, Matera, Laterza, Mottola;

   la base sita nel bosco Difesa Grande di Gravina ospitava un numero non noto di bombe nucleari all'idrogeno;

   nel periodo successivo, con l'arrivo del Presidente Kennedy e la nuova politica di distensione nei confronti dei sovietici e del loro presidente Krusciov, gli Stati Uniti ritirano i trenta missili Jupiter dalla Puglia: tutti furono smantellati fra l'aprile e il giugno del 1963;

   nel 1963 furono espropriati con un decreto prefettizio, all'interno del bosco comunale di Gravina, circa trenta ettari agricoli per esigenze militari del Rimando 3a regione area. Nel 1972, con un successivo decreto prefettizio, il terreno fu ridotto a circa 17.68.60 ettari (contrada «Statura del Lepore»);

   nel 1985 il consiglio comunale di Gravina chiese la dismissione dell'area dal demanio e l'acquisizione del terreno della ex base missilistica collocato all'interno del bosco già di proprietà comunale. Il lungo iter si concluse solo nel 2010 con un contratto di compravendita tra l'Agenzia del demanio e il comune di Gravina –:

   se il sito in agro del comune di Gravina in Puglia, contrada «Statura del Lepore», al momento della vendita al comune fosse contaminato da eventuali scorie radioattive o da altre sostanze patogene e, quindi, se fosse liberamente accessibile al pubblico senza nessun pericolo per la salute delle persone e la salubrità dell'ambiente e se, infine, tale situazione possa essere certificata dall'Amministrazione della difesa.
(4-02690)

  Risposta. — L'ex compendio militare ubicato nel comune di «Gravina in Puglia», nella contrada «Staturo del Lepore», è stato venduto nel 2010 all'amministrazione comunale e, a tale data, non faceva più parte demanio pubblico militare poiché, dal 1987, era stato trasferito ai beni patrimoniali dello Stato e, dal 1998, formalmente e definitivamente dismesso alla amministrazione finanziaria.
  Nel merito, invece, delle tematiche oggetto dei quesiti posti, l'Aeronautica militare ha condotto mirati accertamenti di archivio, dai quali è emerso quanto di seguito specificato:

   per i profili di natura ordinamentale riguardanti il sito al momento della retrocessione, non sono presenti atti ordinativi dove sia fatto esplicito richiamo al sedime e/o al sistema d'arma menzionato dall'interrogante;

   non sono stati riscontrati documenti che facciano riferimento a eventuali indagini di natura ambientale svolte quando il cespite cessò di essere demanio militare. Inoltre, la normativa di settore vigente alla fine degli anni ’80 (ovvero quando vi è stato il passaggio del sito da demanio militare a bene patrimoniale dello Stato), non prevedeva l'effettuazione di tali attività analisi o il rilascio di certificazioni ambientali, nel caso di retrocessione di un bene.

  Segnalo, infine, che il Ministero dell'economia e delle finanze ha comunicato che, dagli atti conservati presso la direzione regionale dell'Agenzia del demanio, non risultano cenni in relazione alle problematiche evidenziate dall'interrogante.
La Ministra della difesa: Elisabetta Trenta.


   PAITA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 agosto 2016 concernente «Disposizioni in materia di contenimento della morosità nel servizio idrico integrato» prevede che l'interruzione di acqua debba tenere conto di molteplici fattori di varia natura compresa l'effettiva garanzia di assicurare comunque il servizio;

   il citato provvedimento nell'affrontare il rapporto tra morosità e fornitura precisa che non sono disattivabili le forniture degli utenti domestici residenti che versano in condizioni di particolare disagio economico e sociale;

   nell'ambito di queste disposizioni deve essere garantito il quantitativo minimo vitale pari a 50 litri giornalieri;

   si registrano però non poche difficoltà sul piano concreto nella applicazione delle riportate disposizioni normative, tant'è che continuano a verificarsi distacchi e contenziosi che penalizzano all'interno dei condomini gli utenti in regola con i pagamenti;

   uno dei punti di maggiore criticità riguarda l'accertamento della effettiva condizione di disagio del soggetto moroso;

   si rende pertanto necessario affrontare suddette criticità per una più puntuale applicazione della normativa che ha introdotto princìpi di civiltà, considerato il valore sociale del bene acqua, a tutela dei cittadini –:

   quali iniziative in considerazione di quanto esposto in premessa, intenda assumere il Governo, d'intesa con le regioni e i soggetti gestori, al fine di assicurare la continuità del servizio idrico per i cittadini nel pieno rispetto delle nuove normative introdotte nell'ordinamento a tutela di chi è in regola con i pagamenti e anche di chi, purtroppo, versa in condizione di effettivo disagio.
(4-00012)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, preme evidenziare che questo Ministero, in attuazione dell'articolo 61 della legge n. 221 del 2015, ha elaborato le previsioni di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2016 recante «Disposizioni in materia di contenimento della morosità nel servizio idrico integrato», con la collaborazione di tutti i soggetti istituzionali coinvolti in materia, comprese le Regioni, come emerge dal richiamo fatto nel preambolo dello stesso provvedimento all'intesa della Conferenza unificata resa nella seduta del 21 luglio 2016, n. 95/CU.
  Tale provvedimento è da considerarsi a tutti gli effetti quale atto di indirizzo finalizzato ad indicare i criteri e i principi sulla base dei quali l'AEEGSI (ora ARERA) dovrà determinare le direttive per il contenimento della morosità degli utenti del servizio idrico integrato al fine di permettere la copertura dei costi efficienti di esercizio e di investimento garantendo, allo stesso tempo, l'equilibrio economico finanziario e la fruibilità del servizio idrico, ovvero l'accesso a un quantitativo minimo di acqua a persona, senza trascurare la tutela della risorsa idrica, agli utenti domestici residenti che versino in documentato stato di disagio economico sociale e a quelle utenze pubbliche non disalimentabili.
  Sono inoltre previste misure di tutela per le utenze domestiche residenti morose, diverse da quelle che presentano uno stato di disagio economico sociale, le quali possono essere disalimentate soltanto successivamente al mancato pagamento di fatture che complessivamente siano superiori ad un importo pari al corrispettivo annuo dovuto relativo al volume di acqua consumata ricadente nello scaglione di consumo a tariffa agevolata come determinata dall'ARERA.
  La disalimentazione può essere effettuata soltanto successivamente alla messa in mora degli utenti da parte del gestore e all'escussione del deposito cauzionale, ove versato, nei casi in cui lo stesso non consenta la copertura integrale del debito. È inoltre prevista, a tutela di tutti gli utenti e dell'equilibrio economico finanziario, la definizione da parte dell'ARERA, degli obblighi di comunicazione da parte del gestore all'utente prima della sospensione del servizio, delle forme di rateizzazione per fatture di importi rilevanti, delle modalità di riattivazione del servizio in caso di sospensione e delle modalità di reintegro del deposito cauzionale escusso dal gestore.
  Il predetto decreto sulla morosità va letto in combinato disposto con il successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 13 ottobre 2016, recante «Tariffa sociale del servizio idrico integrato».
  Tale decreto si pone l'obiettivo di sostenere le utenze domestiche residenti disagiate attraverso idonei strumenti tariffari – come il bonus idrico – che consentano l'accessibilità ad un quantitativo minimo di acqua, fissato in 50 litri abitante giorno (10 litri in più rispetto a quanto indicato dall'OMS) per tutti gli utenti domestici residenti di cui siano accertate le condizioni di disagio economico sociale, sulla base dell'indicatore ISEE, ritenuto il criterio più idoneo per la misurazione della situazione economica che consente ai cittadini di accedere, a condizioni agevolate, alle prestazioni sociali o a servizi di pubblica utilità.
  Il quadro normativo si completa con i provvedimenti regolatori che l'ARERA ha adottato, o sta adottando, in attuazione della disciplina così normata.
  Compete infatti all'AREA provvedere a disciplinare le condizioni di disagio economico sociale, ovvero i limiti di riferimento in coerenza con gli altri settori regolati (gas ed energia), che consentono all'utente di accedere al bonus sociale idrico, nonché le modalità di accesso, riconoscimento ed erogazione dello stesso bonus.
  Con delibera 4 novembre 2016 n. 638/2016/R/idr, ARERA ha avviato la procedura di consultazione volta ad acquisire il contributo di tutti gli
stakeholders del settore e con successivo provvedimento n. 603/2017/R/IDR del 4 agosto 2017 si sono illustrati i presupposti dell'intervento regolatorio relativamente alla definizione di misure necessarie al contenimento della morosità nel settore del servizio idrico integrato, con particolare riferimento alle procedure di costituzione in mora e alle tempistiche e modalità con cui è possibile pervenire alla sospensione della fornitura nei confronti delle utenze morose disalimentabili.
  Con la successiva delibera n. 897/2017/R/IDR emanata in data 21 dicembre 2017, sono state definite le modalità applicative del bonus sociale idrico per la fornitura di acqua agli utenti domestici residenti in condizioni di disagio economico sociale, statuendo il primo gennaio 2018 per l'avvio operativo del bonus.
  Nello specifico, l'ARERA ha riferito che con questo provvedimento è stato approvato il Testo integrato delle modalità applicative del bonus sociale idrico per la fornitura di acqua agli utenti domestici economicamente disagiati (TIBSI), che prevede che gli aventi diritto all'agevolazione siano gli utenti domestici residenti, in condizioni di disagio economico sociale, appartenenti ad un nucleo familiare con indicatore ISEE non superiore a 8.107,50 euro, ovvero ad un nucleo familiare con almeno 4 figli a carico e indicatore ISEE non superiore a 20.000 euro.
  Per quanto riguarda l'ammissione al bonus, il provvedimento stabilisce che:

   siano i comuni, attraverso SGAte (Sistema di gestione delle agevolazioni sulle tariffe energetiche), ad effettuare le verifiche necessarie per l'ammissione dell'utente interessato in luogo del gestore, in capo al quale restano le sole verifiche contrattuali;
   siano disposti successivi approfondimenti anche attraverso il ricorso a gruppi tecnici con i gestori e le loro associazioni rappresentative e con l'Associazione nazionale dei comuni italiani, al fine di individuare le modalità più efficienti di utilizzo di SGAte anche nella fase di trasmissione della comunicazione di ammissione al gestore nonché per gli aspetti correlati relativi alle modalità di determinazione della decorrenza, dei rinnovi e delle variazioni della numerosità familiare e dell'indirizzo di residenza che avvengono in corso di agevolazione;
   la richiesta sia presentata congiuntamente a quella per il bonus elettrico e gas utilizzando la medesima modulistica, opportunamente integrata.

  Con la delibera 5 aprile 2018, 227/2018/R/idr, la stessa ARERA riferisce di aver definito le modalità applicative del bonus sociale idrico, prevedendo, tra le altre cose, che:

   la trasmissione delle istanze ammesse dai comuni (o CAF autorizzati) ai gestori avvenga utilizzando SGAte;
   le domande di rinnovo siano presentate con le stesse tempistiche e modalità delle domande di rinnovo del bonus elettrico e gas;
   la variazione della numerosità familiare sia gestita da SGAte al momento della richiesta di rinnovo, fatta salva la facoltà dell'utente di comunicare al proprio gestore la variazione del nucleo familiare in qualsiasi momento del periodo di agevolazione in corso, mediante autocertificazione, attestando anche la permanenza delle condizioni di disagio economico sociale stabilite dal decreto del Ministro dello sviluppo economico 29 dicembre 2016;
   l'avente diritto all'erogazione del bonus sia informato, con apposita comunicazione, della possibilità di ottenere comunque l'agevolazione, presentando al proprio gestore la comunicazione, rilasciata da SGAte, che certifichi la presenza dei requisiti di ammissibilità alla compensazione nonché il periodo di durata della medesima.

  L'attuazione della disciplina, in base ai criteri così stabiliti, compete ai gestori e agli enti di Governo dell'ambito e consente il raggiungimento dei seguenti obiettivi:

   tutelare e garantire l'accesso alla fornitura di acqua agli utenti e ai nuclei familiariche versano in condizioni di documentato stato di disagio economico sociale, garantendo la quantità essenziale di acqua pari a 50 litri/abitante/giorno necessaria al soddisfacimento dei bisogni fondamentali di fornitura agli utenti domestici residenti;
   salvaguardare determinate categorie di utenti non disalimentabili qualora il serviziosia necessario per garantite l'incolumità sanitaria e la sicurezza fisica delle persone e nei casi in cui possa comportare problemi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato;
   sia bilanciato l'interesse degli utenti del servizio in regola con i pagamenti, minimizzando gli oneri posti in capo ai medesimi con l'interesse alla sostenibilità finanziaria efficiente delle gestioni.

  ARERA inoltre informa che nel febbraio 2018, ha deliberato il documento per la consultazione 80/2018, recante Procedure per il contenimento della morosità nel servizio idrico integrato — Orientamenti finali, con il quale ha illustrato le proprie proposte in merito alle procedure per la sospensione della fornitura e l'eventuale disalimentazione delle utenze morose, nonché le misure poste a tutela dell'utente finale nei casi di sospensione e disattivazione della fornitura. Contestualmente l'Autorità ha posto in consultazione anche lo schema di provvedimento finale che costituirà il testo integrato per la regolazione della morosità nel sistema idrico integrato.
  Il documento in esame definisce le categorie di utenti non disalimentabili, le tempistiche e le modalità per la costituzione in mora (con relative modalità per la rateizzazione degli importi oggetto di costituzione in mora), le tempistiche e le procedure per la disattivazione, la sospensione, la limitazione e la riattivazione della fornitura sospesa per morosità, le previsioni volte a rafforzare le misure di tutela a favore dell'utente finale, in particolare, degli utenti domestici residenti e degli utenti in condizioni di disagio economico sociale o di disagio fisico, gli indennizzi che il gestore è tenuto a corrispondere a fronte di determinate casistiche.
  Alla luce di quanto esposto, si ritiene pertanto che, nell'ambito del quadro normativo citato, siano state poste in essere tutte le iniziative necessarie ad assicurare la continuità del servizio idrico, garantendo la fornitura a carattere sociale agli utenti non disalimentabili o che si trovano in condizioni disagiate e tutelando contemporaneamente gli utenti in regola con i pagamenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.


   PAITA, ANDREA ROMANO, FIANO, ENRICO BORGHI, PIZZETTI, BRUNO BOSSIO, NOBILI, GIACOMELLI e GARIGLIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   ha avuto vasta eco mediatica la notizia riportata dai media circa la possibilità che migliaia di italiani possano essere stati inconsapevolmente intercettati mediante l'installazione di una «app» sul proprio telefonino;

   secondo un'inchiesta, portata avanti dalla società no profit Security No Borders, e pubblicata dalla rivista Matherboard, il virus di intercettazione, Exodus, elaborato per intercettazioni di Stato, potrebbe aver interessato anche utenti «infettati» per errore;

   nel momento in cui il malcapitato utente avrebbe scaricato l’«app», questa avrebbe consentito ai gestori di controllare il cellulare dell'utente a distanza;

   non sarebbe la prima volta che in Italia si verifica una situazione del genere;

   sempre dagli organi di informazione si apprende che la procura di Napoli avrebbe chiesto e ottenuto il sequestro preventivo della società calabrese Esurv srl, produttrice del software Exodus di cui sopra;

   il fatto che suddetto software fosse utilizzato dai principali uffici giudiziari italiani rende ancora più urgente una verifica su come sia stato possibile che ignari cittadini fossero intercettati a loro insaputa;

   secondo molti esperti occorre rivedere le regole per avere misure di sicurezza più stringenti e comunque con un controllo sulle autorizzazioni –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative per quanto di competenza intenda assumere al fine di acquisire ulteriori elementi su quanto accaduto; se intenda adottare iniziative, anche normative, per tutelare adeguatamente i cittadini dal rischio che informazioni sensibili possano essere in balia della rete senza alcuna salvaguardia dei fondamentali diritti di privacy.
(4-03325)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame gli interroganti, nel fare riferimento alla nota vicenda relativa al software «Exodus», già impiegato dai principali uffici giudiziari italiani per l'espletamento di intercettazioni telematiche, richiamando in particolare, da un lato, l'illecita diffusione in rete di tale spyware da cui è disceso il pericolo per la privacy di migliaia di utenti ignari e per la sicurezza delle comunicazioni e, dall'altro, l'attività di indagine in corso presso la procura di Napoli che proprio in merito a tale vicenda ha proceduto al sequestro della società Esurv produttrice del software, chiedono di sapere se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere al fine di acquisire ulteriori elementi su quanto accaduto; se intenda adottare iniziative, anche normative, per tutelare adeguatamente i cittadini dal rischio che informazioni sensibili possano essere in balia della rete senza alcuna salvaguardia dei fondamentali diritti di privacy.
  Per quanto concerne la vicenda che vede coinvolti le società Esurv, Stm e i relativi titolari, nonché gli ulteriori accadimenti illustrati dall'interrogante, si rappresenta che è attualmente pendente un fascicolo d'indagine presso la procura della Repubblica di Napoli.
  
Nell'ambito delle complesse attività investigative, finalizzate all'accertamento di gravi reati collegati alla gestione di software utilizzati per l'intercettazione di comunicazioni telematiche con captatore informatico, tuttora in corso e, come tali, coperte da segreto istruttorio, è stato anche disposto il sequestro delle suddette società, su richiesta della procura della Repubblica di Napoli che ha delegato le verifiche investigative al C.N.A.I.P.I.C. della polizia postale e delle comunicazioni, unitamente a reparti specialistici dell'arma dei carabinieri e della guardia di finanza.
  Al tempo stesso, è opportuno rassicurare gli interroganti circa il fatto che lo sviluppo di «
Exodus» o di altra simile applicazione realizzata facente capo alla eSurv o ad altre società, come quelle cui fa riferimento il testo parlamentare in oggetto, non è stato commissionato dal Ministero della giustizia ed esula allo stato dalle competenze del Ministero in materia di intercettazioni telefoniche.
  Gli incarichi alle ditte esterne, infatti, che erogano i servizi per le intercettazioni sono conferiti esclusivamente dalle singole procure nell'ambito dei poteri investigativi previsti dalle norme vigenti, con la conseguenza che non vi è una correlazione tra i due fenomeni.
  In ogni modo, si sottolinea che, nell'ambito delle attività prodromiche alla realizzazione del processo penale telematico, il Ministero della giustizia, tramite la direzione generale per i Sistemi informativi automatizzati, sta operando presso le sale CIT delle sedi di procura della Repubblica per la istallazione di
server ministeriali la cui finalità è anche quella di innalzare ulteriormente i livelli di sicurezza dei sistemi informativi ministeriali.
  Per quanto riguarda il profilo normativo, nell'elaborazione della riforma delle intercettazioni, è attualmente allo studio di questo Ministero la previsione di una serie di accorgimenti tesi ad arginare in maniera incisiva i rischi connessi a forme illecite, distorte o comunque improprie di impiego di questo prezioso strumento d'indagine, quali il trasferimento delle comunicazioni intercettate esclusivamente verso gli impianti della procura della Repubblica con controlli a garanzia della integrale corrispondenza fra quanto intercettato, registrato e trasmesso, nonché la previsione di requisiti tecnici dei programmi informatici funzionali allo scopo secondo misure di affidabilità, sicurezza ed efficacia, al fine di garantire che gli stessi si limitino all'esecuzione delle operazioni autorizzate.
  Sul piano del diritto sostanziale, la disciplina vigente si presenta completa nell'abbracciare ogni forma di tutela.
  A tutela dei beni costituzionali dell'inviolabilità del domicilio e dell'inviolabilità della libertà e della segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, il legislatore è, infatti, intervenuto sulla sezione IV (delitti contro l'inviolabilità del domicilio) e sulla sezione V (delitti contro l'inviolabilità dei segreti) del capo III del libro secondo del codice penale, introducendo una serie di nuove fattispecie di reato, dapprima con la legge 8 aprile 1974, n. 98, e, successivamente, con la legge 23 dicembre 1993, n. 547.
  Per effetto di detti interventi normativi attualmente il codice penale contempla una pluralità di figure di reato che tutelano la riservatezza degli atti della vita privata e delle comunicazioni di ciascuno – qualunque sia, per queste ultime, il mezzo di trasmissione utilizzato – da ogni intromissione abusiva.
  Il riferimento è, innanzitutto al delitto di «interferenze illecite nella vita privata», di cui all'articolo 615-
bis codice penale, così come al delitto di «cognizione, interruzione o impedimento illeciti di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche», di cui all'articolo 617 codice penale al delitto di «installazione di apparecchiature atte ad intercettate o impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche», previsto dall'articolo 617-bis codice penale che nello specifico incrimina l'installazione, fuori dei casi previsti dalla legge, di apparati e strumenti, o di parti di essi, al fine di intercettare o impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche tra altre persone e che, come tale, anticipa la tutela della riservatezza e della libertà delle comunicazioni mediante l'incriminazione di fatti prodromici all'effettiva lesione di tali beni; pertanto, la giurisprudenza di legittimità ritiene che il reato si consumi con la sola attività di installazione, a nulla rilevando che gli apparecchi installati possano non aver funzionato o non essere stati attivati; e ancora, proprio con riferimento ai fatti riportati dagli onorevoli interroganti, il delitto di «intercettazione, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche», previsto dall'articolo 617-quater codice penale, e il correlato delitto di «installazione di apparecchiature atte ad intercettare, impedire o interrompere comunicazioni informatiche o telematiche», di cui all'articolo 617-quinquies codice penale, punisce con la reclusione da sei mesi a quattro anni (salvo ricorra la circostanza aggravante prevista dall'articolo 617-quater codice penale, nel qual caso la pena diventa da uno a cinque anni di reclusione) la condotta di mera installazione di apparecchiature atte ad intercettare, impedire o interrompere comunicazioni relative ad un sistema informatico o telematico o intercorrente fra più sistemi, che, quale reato di pericolo concreto, inteso a reprimere una condotta prodromica rispetto a quella contemplata dall'articolo 617-quater codice penale, appresta una tutela anticipata e più ampia della libertà e riservatezza delle comunicazioni realizzate attraverso sistemi informatici o telematici.
  Da ultimo, sempre a livello di normazione positiva, va chiarito che, come noto, con la legge n. 3 del 2019 (cosiddetto «Spazzacorrotti»), nella consapevolezza dell'assoluta utilità della tecnica d'intercettazione a mezzo di captatore informatico, ed al precipuo fine di potenziare anche sul piano investigativo il contrasto alla corruzione, si è inteso estenderne le possibilità d'impiego anche ai più gravi reati dei pubblici ufficiali contro la p.a. nelle stesse forme in cui esso è previsto per i reati più gravi di criminalità organizzata e terrorismo (articolo 51 commi 3-
bis e 3-quater codice di procedura penale).
  È di immediata evidenza, infatti, che il contrasto alla corruzione, recisamente perseguito dalla politica legislativa di questo Dicastero, non possa essere scalfito dal rischio di uso deviato da parte di operatori economici privati dei
software che essi stessi sviluppano, rischio che, per quanto di competenza di questo Dicastero, potrà essere efficacemente contenuto ed arginato, da un lato, per effetto delle prospettive di riforma delle intercettazioni cui si è fatto cenno in precedenza e, dall'altro, attraverso il lavoro delle articolazioni ministeriali preposte, quali la direzione generale per i sistemi informativi automatizzati che, come innanzi evidenziato, sta già operando presso le sale CIT delle sedi di Procura della Repubblica per la istallazione di server ministeriali la cui finalità è anche quella di innalzare ulteriormente i livelli di sicurezza dei sistemi informativi ministeriali.
Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   PALAZZOTTO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   dal 1959 la Marina militare italiana assicura la presenza navale continua nelle acque internazionali dello Stretto di Sicilia interessate maggiormente alle attività di pesca delle flotte pescherecce siciliane;

   la vigilanza pesca (Vi.Pe.) ha il compito di assicurare il libero esercizio dell'attività di pesca dai pescherecci nazionali, in acque internazionali, nel pieno rispetto delle leggi nazionali vigenti;

   sembrerebbe che da qualche mese quanto previsto dal Vi.Pe. non succeda più, stando a quanto documentato da un'inchiesta della trasmissione televisiva le Iene pubblicato anche online l'11 novembre 2018;

   quando un peschereccio italiano non è scortato si verificano situazioni come quella del mese di ottobre 2018 quando due pescherecci e relativi equipaggi sono stati sequestrati dai libici in acque internazionali, che hanno aperto il fuoco e rubato il pescato;

   i libici hanno rivendicato quell'intervento, a detta loro in difesa delle acque territoriali libiche;

   la distanza dalla costa che segna il limite delle acque territoriali è uguale in tutto il mondo ed è pari a 12 miglia. La Libia, in modo arbitrario, ha spostato il proprio confine a 74 miglia e per questo attacca i pescherecci italiani;

   a Mazara del Vallo (TP) c'è la più grande flotta di pescherecci d'altura del Mediterraneo che rappresenta un settore economico molto importante per la Sicilia e il tratto di mare davanti la Libia è tra i più pescosi;

   non pescare in quel tratto di mare rappresenta un grosso danno per i pescatori di gambero rosso, dato che il 70 per cento si trova in quelle zone;

   l'interrogante non è a conoscenza se e da quando la marina italiana ha avuto indicazione di depotenziare l'attività di protezione dei pescherecci italiani. Fino ad un anno fa la prassi era quella documentata anche nel video delle Iene: quando una motovedetta libica si avvicina a un peschereccio, questi richiede l'intervento della marina militare italiana che si avvicina e fa alzare in volo un elicottero, mettendo così in fuga i libici;

   in quel video la motovedetta libica messa in fuga è la 654 che risulta essere una delle motovedette che l'Italia ha donato alla Libia per contrastare l'immigrazione e che adesso la Libia utilizza per attaccare i pescherecci italiani;

   ciò si potrebbe configurare come atto ostile nei confronti dell'Italia; una sorta di pirateria di Stato da parte della Libia;

   i pescherecci e gli equipaggi hanno diritto a essere protetti dalla Marina militare così come è sempre avvenuto;

   il legame con il fenomeno immigrazione risulta evidente e sembrerebbe che le navi italiane siano state fatte arretrare volontariamente per non farle più avvicinare in una zona dove alta è la probabilità di dover intervenire per salvare le vite dei migranti in pericolo sui barconi;

   così facendo, si aumenta il rischio delle morti in mare per i migranti che fuggono dalla Libia e non si proteggono più i pescatori e, quindi, gli interessi economici dell'Italia che in questo caso sono milionari in un settore economico che al momento sarebbe in ginocchio proprio a seguito di queste decisioni, lasciando l'Italia ostaggio di uno Stato non sicuro e non sovrano come la Libia che ha deciso, unilateralmente, di spostare in avanti i propri confini, di fatto dichiarando «guerra» ai pescatori di Mazara –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;

   se alla Marina militare italiana siano state fornite indicazioni volte a depotenziare l'attività di protezione dei pescherecci italiani e, in caso affermativo, quali iniziative intenda intraprendere per ripristinare quanto previsto dal Vi.Pe. (Vigilanza Pesca) al fine di garantire la massima sicurezza per i pescherecci italiani che svolgono attività nel Mediterraneo centrale, in acque internazionali.
(4-01761)

  Risposta. — La Marina militare italiana svolge attività di vigilanza in mare a tutela degli interessi nazionali, ivi compreso l'uso legittimo degli spazi marittimi da parte del naviglio mercantile battente bandiera nazionale; tale funzione rientra tra i compiti di istituto previsti dall'articolo 111 del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo n. 66 del 2010.
  In particolare, nell'ambito della missione di Vigilanza Pesca (ViPe), la Forza armata ha il compito di proteggere i pescherecci italiani operanti nelle acque internazionali, al fine di assicurare il libero esercizio della pesca, nel pieno rispetto del quadro giuridico nazionale e internazionale.
  Queste includono il decreto legislativo 9 gennaio 2012, n. 4, che fa divieto di «pescare in acque sottoposte alla sovranità di altri Stati, salvo che nelle zone, nei tempi e nei modi previsti dagli accordi internazionali, ovvero sulla base delle autorizzazioni rilasciate dagli Stati interessati», di cui all'articolo 7, comma 1, lettera
d).
  È da specificare, in proposito, che le autorità libiche non hanno mai proclamato un mare territoriale esteso fino a 74 miglia dalla costa, come erroneamente affermato nell'inchiesta de «Le Iene»; se così fosse stato, si sarebbe trattato di un atto non solo palesemente illegittimo, ma in contrasto con il diritto internazionale.
  Hanno invece proclamato, nel 2005, una Zona di pesca protetta (ZPP) in conformità con la convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare del 1982 (UNCLOS), le cui disposizioni in materia hanno ormai acquisito portata consuetudinaria.
  Secondo il diritto internazionale, ogni Stato ha, infatti, la facoltà di dichiarare unilateralmente una zona economica esclusiva (ZEE), estesa fino a un massimo di 200 miglia marine dalle linee di base dalle quali si misura l'ampiezza del mare territoriale, all'interno della quale esercitare diritti sovrani e forme di giurisdizione in materia, soprattutto, di pesca, di protezione dell'ambiente e di ricerca scientifica.
  Proclamando la ZPP, la Libia ha esercitato tale diritto in modo parziale, ossia istituendo una zona di ampiezza minore e nella quale si è riservata una competenza funzionale solo sulla protezione e sullo sfruttamento delle risorse biologiche del mare.
  Profili di illegittimità di questa zona sono riconducibili soltanto alla circostanza che l'ampiezza della ZPP, nella sezione prospiciente il golfo della Sirte, è stata misurata a partire dalla linea di chiusura di questa baia, che a suo tempo era stata tracciata dalla Libia in violazione del diritto del mare.
  Il diritto internazionale del mare riconosce allo Stato costiero la facoltà di esercitare, nelle aree marittime di propria competenza (acque territoriali e ZEE/ZPP), tutte le azioni di vigilanza e «
law enforcement» necessarie ad assicurare il rispetto della propria normativa.
  Questo significa che nelle zone di giurisdizione dello Stato costiero, uno Stato straniero che dovesse compiere proprie attività di polizia o che si interponesse al legittimo esercizio dei poteri dello stesso Stato costiero, ne violerebbe la sovranità o i diritti sovrani o la giurisdizione.
  In questo preciso contesto giuridico, la nostra Marina militare è pronta a intervenire in caso di pericolo concreto per l'incolumità degli equipaggi, nel caso di un uso eccessivo della forza da parte delle autorità dello Stato costiero, ma tale intervento, ovviamente, non potrebbe essere invocato a garanzia dell'impunità nella condotta di azioni illegittime.
  In aggiunta a tali considerazioni, va sottolineato che, nel peculiare contesto politico libico, alcune zone marittime, in particolare quelle prospicienti le coste orientali del Paese dove le imbarcazioni italiane continuano a esercitare attività di pesca, si trovano sotto il controllo di forze di sicurezza non rispondenti al Governo di accordo nazionale libico, riconosciuto dall'Italia e dalla Comunità internazionale.
  Per questo motivo, più volte il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e il Ministero delle politiche agricole alimentari forestali e del turismo e le capitanerie di porto, a livello centrale e periferico, hanno espressamente sensibilizzato il comparto sul rischio di condurre attività di pesca all'interno della ZPP libica.
  Nonostante tutto, la flotta da pesca nazionale sta continuando a condurre attività di pesca all'interno di quella zona marittima sottoposta alla sovranità di un Paese terzo, come peraltro espressamente affermato dagli operatori intervistati in occasione dell'inchiesta della richiamata trasmissione «Le Iene».
  Sotto questo profilo, la centrale operativa del comando generale del Corpo delle capitanerie di porto, quale centro nazionale controllo pesca, mantiene costanti rapporti con la centrale operativa del comando della squadra navale della Marina militare per fornire informazioni e dati sull'attività svolta dalle unità da pesca italiane in quel tratto di mare.
  Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale – interessato nel merito della problematica – ha comunicato che, tramite l'ambasciata italiana a Tripoli, resta disponibile, in presenza di idonee condizioni di sicurezza, ad assistere gli operatori italiani nello sviluppo di forme di cooperazione con controparti locali private, nel settore della pesca e dello sfruttamento congiunto delle risorse ittiche.
  Rispondendo ora allo specifico quesito posto, posso affermare che la Marina militare – in considerazione delle peculiari condizioni di sicurezza che interessano l'area del Mediterraneo centrale – continua ad assicurare, in tale quadrante marittimo, assetti in attività di Vigilanza Pesca e lo schieramento di un dispositivo aeronavale, nell'ambito dell'operazione Mare sicuro.
  L'impegno della nostra Forza armata in questo settore è consolidato e, come ricordato dall'interrogante, ha profonde radici che risalgono alle prime missioni effettuate nel Canale di Sicilia fin dal 1959, quando l'allora Ministero della marina mercantile ne richiese l'intervento per evitare i frequenti incidenti di pesca che si verificavano in acque internazionali.

La Ministra della difesa: Elisabetta Trenta.


   PEZZOPANE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   l'Accord Phoenix è un'azienda aquilana che ricava materie prime dal trattamento dei rifiuti elettronici, in un'ottica dell'economia circolare e che ha avviato le attività a febbraio 2018 insediandosi nel centro industriale gestito dal Tecnopolo d'Abruzzo, in località boschetto di Pile a L'Aquila;

   il Tecnopolo d'Abruzzo è un complesso tecnologico-industriale di 176 mila metri quadrati, in cui vengono forniti servizi altamente performanti (fibra illimitata, conduzione di impianti di nuova generazione, presìdi manutentivi e di vigilanza h24 e altro ancora). Negli ultimi due anni si sono insediate diverse realtà provenienti da aree fuori regione, nonché multinazionali, che hanno implementato il numero dei lavoratori occupati in svariate centinaia;

   da organi di stampa si è saputo che venerdì pomeriggio intorno alle 17 Neon Appalti, concessionaria per conto del comune per la gestione della struttura, ha disposto l'interruzione dell'erogazione di energia elettrica agli impianti dello stabilimento, distacco contrattualmente previsto a causa dell'inadempimento da parte dell'Accord Phoenix;

   l'interruzione della fornitura di energia elettrica ha comportato il blocco della produzione e degli impianti a servizio dell'azienda con possibili ripercussioni per la salute dei lavoratori, perché senza corrente elettrica non funziona l'impianto di aerazione, e le polveri ristagnano negli ambienti;

   il 18 marzo 2019, davanti al prefetto dell'Aquila Giuseppe Linardi, si è tenuto un tavolo di confronto tra organizzazioni sindacali e rappresentanti dei lavoratori, il presidente e il gruppo dirigente di Accord Phoenix e il direttore del Tecnopolo Roberto Romanelli per cercare di trovare una soluzione che consenta di proseguire la produzione e far uscire dalla condizione di grave incertezza i lavoratori loro malgrado coinvolti –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intenda adottare con urgenza iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, per favorire il raggiungimento di una soluzione adeguata alle problematiche esposte in premessa.
(4-02534)

  Risposta. — Il prefetto dell'Aquila ha riferito che, nella mattinata del 19 marzo 2019, su richiesta delle segreterie provinciali delle organizzazioni sindacali Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm, nella sede della Prefettura si è tenuta una riunione sulla problematica segnalata nell'interrogazione, relativa all'interruzione della fornitura di energia elettrica nei confronti dell'azienda Accord Phoenix, con conseguente blocco dell'attività produttiva.
  L'interruzione della fornitura è stata operata a causa del mancato pagamento, da parte dell'azienda, di quanto dovuto per i consumi di energia elettrica e per i canoni previsti per la fornitura dei servizi
in housing.
  Oltre ai rappresentanti delle citate organizzazioni sindacali, hanno partecipato alla riunione anche i vertici della
Accord Phoenix, della Tecnopolo d'Abruzzo, che gestisce il complesso industriale aquilano in cui è insediata l'azienda, e un dirigente del comune dell'Aquila.
  Nel corso dell'incontro, le organizzazioni sindacali hanno espresso la loro preoccupazione per il blocco dell'attività produttiva, in un contesto di recessione economica e in un territorio che ancora subisce le conseguenze degli eventi sismici del 6 aprile 2009 e degli anni 2016-2017.
  Il rappresentante del comune ha ricordato che l'aggiudicazione dell'area industriale in questione è avvenuta mediante gara d'appalto e che sussisterebbero le basi per una ridefinizione degli importi dei canoni previsti per la fornitura dei servizi
in housing.
  I vertici della società Accord Phoenix hanno affermato di aver provveduto al pagamento di tutte le spettanze relative al consumo di energia elettrica e hanno precisato di aver sospeso il pagamento dei canoni relativi ai servizi offerti «
in housing», dal mese di novembre 2018, a causa di un contenzioso giudiziario in corso al riguardo presso il tribunale dell'Aquila.
  Nel corso dell'incontro, alla luce delle posizioni espresse dalle parti, il prefetto dell'Aquila ha sostenuto la necessità di individuare una soluzione che – nell'attesa della risoluzione del contenzioso in corso – consentisse la ripresa dell'attività aziendale e la salvaguardia dei livelli occupazionali, scongiurando in tal modo le gravi ripercussioni di carattere sociale su un territorio già da anni in costante condizione di sofferenza.
  Nel corso di un ulteriore incontro, tenutosi nel pomeriggio dello stesso 19 marzo, le parti hanno individuato un «metodo» condiviso nella gestione della problematica; ciò ha consentito di riallacciare la fornitura di energia elettrica già a partire dall'indomani, 20 marzo, con la conseguente e immediata ripresa dell'attività produttiva.
  Successivamente, la prefettura ha riferito che il 29 aprile 2019 l'autorità giudiziaria ha disposto nei confronti della
Accord Phoenix il sequestro preventivo di 4.850.000 euro per violazione dell'articolo 316-bis codice penale (indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato); l'importo corrisponde alla somma erogata dall'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Invitalia per il pagamento di stati di avanzamento lavoro.
  Tale notizia ha ovviamente destato allarme tra gli oltre cinquanta dipendenti della
Accord Phoenix, perciò il consiglio comunale dell'Aquila, riunitosi in seduta straordinaria l'11 giugno 2019, ha approvato un ordine del giorno che impegna il sindaco e il presidente del consiglio comunale stesso ad assumere informazioni circa l'utilizzo dei fondi già erogati, gli investimenti previsti e le assunzioni da completare.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo Sibilia.


   QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   pochi giorni fa il ciclone Idai ha colpito in modo terribilmente violento (risulta il più violento degli ultimi 20 anni) il Mozambico portando a un disastro umanitario di proporzioni enormi e di lì ha proseguito verso lo Zimbabwe e il Malawi, distruggendo case e strade e causando la morte di almeno 215 persone;

   il bilancio risulta catastrofico soprattutto in Mozambico dove la città portuale di Beira con oltre 500 mila persone, è stata rasa al suolo per il 90 per cento e le telecomunicazioni, l'elettricità e le infrastrutture sono fuori uso e inaccessibili al soccorso;

   il presidente Filipe Nyus ha dichiarato che il bilancio dei morti accertati è 84 nel solo Mozambico ma che possa arrivare a più di 1.000, considerate le inondazioni e le devastazioni di tutte le aree;

   nella regione di Chimanimani, in Zimbabwe, case e ponti sono stati spazzati via dalle correnti d'acqua e anche qui l'area non è ancora raggiungibile e gli elicotteri militari non riescono a volare per via dei forti venti che ancora si registrano;

   il programma alimentare mondiale dell'Onu ha stimato che circa 1,7 milioni di persone in Mozambico e oltre 900 mila in Malawi si sono trovate sulla traiettoria dell'uragano e gli sfollati sarebbero almeno 1,5 milioni –:

   con quali urgenti iniziative intenda intervenire, in sede italiana ed europea, per garantire gli aiuti necessari per far fronte a un disastro umanitario di queste proporzioni.
(4-02537)

  Risposta. — Nella notte fra il 14 e il 15 marzo 2019, il ciclone tropicale «Idai» ha colpito con violenza la città di Beira – la seconda per grandezza in Mozambico con circa mezzo milione di abitanti – e diversi distretti vicini, nelle province di Sofala e Zambesia, spostandosi successivamente anche verso le regioni settentrionali dello Zimbabwe e meridionali del Malawi.
  Secondo gli ultimi dati delle Nazioni Unite, si registrano oltre 600 decessi in Mozambico, 300 in Zimbabwe e 60 in Malawi, mentre gli sfollati hanno raggiunto oltre 140.000 unità in Mozambico, più di 100.000 in Malawi e quasi 60.000 in Zimbabwe.
  Per far fronte all'emergenza delle devastazioni provocate dal ciclone in Mozambico, ho personalmente disposto che il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci) si attivasse immediatamente a supporto delle operazioni di soccorso, mettendo in campo una robusta risposta umanitaria e combinando diversi strumenti quali il trasporto di beni umanitari e il sostegno finanziario sia ad operazioni di altre amministrazioni nazionali che a quelle di organismi internazionali.
  In particolare, il 20 marzo, dopo l'appello lanciato dalla Federazione internazionale delle società di croce rossa e Mezzaluna Rossa (Ficross) ai donatori per il sostegno finanziario alle prime operazioni di soccorso e accoglienza degli sfollati, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci) ha offerto un contributo finanziario a favore di quell'Organismo internazionale pari a 100.000 euro. Grazie a tali fondi, la Ficross, che coordina le azioni umanitarie delle società di croce rossa e Mezzaluna rossa nazionali, ha iniziato le operazioni di distribuzione di kit igienici e sanificazione delle acque nella zona di Beira.
  Ho poi autorizzato, il 26 marzo, un volo umanitario partito dalla base di pronto intervento umanitario delle Nazioni Unite (Unhrd) di Brindisi, con un carico di beni di assistenza per le emergenze, contenente principalmente attrezzature per l'allestimento dei campi di accoglienza della popolazione sfollate, come ad esempio tende e generatori elettrici. I beni sono stati presi in consegna dalla organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), organismo internazionale che sta coordinando la risposta umanitaria in Mozambico nel settore «
shelter» (accoglienza).
  In aggiunta, il Maeci ha tempestivamente avviato le procedure per l'attivazione dello stato di emergenza presso la Presidenza del Consiglio cosicché anche il dipartimento della protezione civile potesse operare per l'emergenza in Mozambico. In collaborazione con l'aeronautica militare, il Dipartimento ha trasportato a Beira un ospedale da campo messo a disposizione dalla regione Piemonte, inaugurato lo scorso 4 aprile alla presenza del Ministro della salute mozambicano. Tale iniziativa – del valore complessivo di 3,4 milioni di euro – è stata realizzata nel quadro del Meccanismo di protezione civile Ue. Anche in questo caso, nell'ambito della strutturata cooperazione tra Maeci e dipartimento della protezione civile disciplinata dal protocollo di collaborazione del 21 luglio 2017, il Maeci ha sostenuto l'iniziativa mettendo a disposizione 400.000 euro a favore del dipartimento per le operazioni di installazione e funzionamento dell'ospedale.
  Per rafforzare ulteriormente gli interventi umanitari nel Paese, il 12 aprile ho disposto un finanziamento da parte del Maeci di 300.000 euro a favore dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM). Il contributo risponde ad una richiesta all'Italia della stessa organizzazione, a fronte della necessità di rafforzare le operazioni di trasferimento della popolazione sfollata dai 130 centri di transito provvisori dell'Oim, principalmente istituti scolastici, in campi di accoglienza meglio organizzati, anche con l'obiettivo di consentire la graduale ripresa del funzionamento delle scuole.
  In riferimento alla situazione sanitaria in Mozambico, secondo gli ultimi dati dell'ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli aiuti umanitari (Ocha), i casi di colera rimangono stabili a circa 6.700 nella provincia di Sofala, colpita dal ciclone. La campagna di vaccinazione per il colera si è conclusa il 9 aprile con 802.347 persone vaccinate, pari al 96 per cento delle persone esposte a possibile contagio. Ocha ha informato che tale campagna vaccinale è stata finanziata anche con il Fondo centrale per la risposta alle emergenze (CERF), un fondo umanitario istituito dalle Nazioni Unite per consentire una più tempestiva e affidabile assistenza umanitaria alle persone colpite da calamità naturali e conflitti armati. L'Italia ha contribuito nel 2019 al Cerf con 3,5 milioni di euro.
  Per completezza di informazione segnalo che il sostegno del Maeci all'emergenza del ciclone «Idai» non si è limitato al solo Mozambico. Il 12 aprile scorso ha disposto un finanziamento di 500.000 euro al Programma alimentare mondiale (Pam), per sostenerne le attività di assistenza umanitaria a favore della popolazione del Zimbabwe e Malawi. Grazie a questo contributo, il Pam sta garantendo il sostentamento alimentare di circa 18.000 persone in Malawi e 13.000 in Zimbabwe.

La Viceministra degli affari esteri e della cooperazione internazionale: Emanuela Claudia Del Re.


   RACCHELLA, ANDREUZZA, BADOLE, BISA, COIN, COLMELLERE, COMENCINI, COVOLO, FANTUZ, FOGLIANI, GIACOMETTI, LAZZARINI, PATERNOSTER, PRETTO, STEFANI, TURRI, VALBUSA, VALLOTTO e ZORDAN. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   nel Veneto si sono registrati 163 eventi predatori da parte dei lupi nel 2017, con 357 capi di vittime (115 bovini, 219 ovi-caprini, 21 asini, 2 altre specie); nel 2018, alla data del 30 giugno sono già 43 gli eventi predatori denunciati dagli allevatori veneti: 17 in provincia di Belluno, 4 in Treviso, 9 in Vicenza e 13 in Verona;

   le misure di contenimento e di prevenzione fino a oggi adottate non hanno risolto il problema della presenza di lupi e orsi: servono azioni dirette, decise e determinate;

   i cittadini sono preoccupati per il comportamento aggressivo dei lupi che si spingono in prossimità delle abitazioni nelle ore serali, rendendo evidente la rottura della convivenza equilibrata tra uomo e lupo e la necessità di una regolamentazione da parte della regione e dello Stato;

   la regione Veneto ha sottolineato il forte disagio fra gli allevatori e ha messo in atto alcune azioni, a partire dal «Tavolo regionale di partecipazione ed informazione per la gestione del lupo e dei grandi carnivori»; altre azioni riguardano il supporto alle aziende danneggiate e il riconoscimento alle stesse di un indennizzo pari al 100 per cento del danno subito, attivando una linea veloce di erogazione dei rispettivi contributi;

   nell'ambito del progetto Wolfalps, ormai concluso, sono stati consegnati 10 cani pastori maremmani abruzzesi, in grado di affrontare predatori come il lupo, sono stati acquistati 200 recinti elettrificati, è stata richiesta la modifica del programma di sviluppo rurale per introdurre una misura finalizzata alla prevenzione dei danni da fauna selvatica, da effettuarsi nel 2019 e 2020, ed è stato aperto uno sportello presso la Reggenza dei sette comuni, che è il comprensorio di malghe più importante d'Europa, per assistere gli allevatori nell'affrontare le problematiche che emergono a seguito dell'arrivo del lupo; analoga iniziativa è in previsione anche per le altre zone di predazione;

   il monitoraggio sulla distribuzione del lupo ha finora rilevato branchi in Lessinia, sull'Altopiano di Asiago, sul Massiccio del Grappa, in Valbelluna e in Col di Lana e Val di Fassa;

   a livello europeo, nell'ambito del percorso di revisione intermedia della strategia dell'Unione europea sulla biodiversità e del «piano d'azione per la natura, i cittadini e l'economia», è stata recentemente approvata dal Parlamento europeo la risoluzione P8TA(2016)0034, che sottolinea che le «direttive sulla tutela della natura prevedono un'ampia flessibilità onde agevolarne l'attuazione tenendo conto delle esigenze economiche, sociali, culturali e regionali secondo quanto sancito dalla direttiva Habitat»; la risoluzione esorta la Commissione «a chiarire gli orientamenti sull'interpretazione e attuazione di tali direttive onde evitare o risolvere i punti problematici»; la stessa risoluzione riconosce la necessità di «valutare accuratamente il ruolo dei grandi predatori e l'eventuale introduzione di misure di adattamento, in modo da salvaguardare la biodiversità, il paesaggio agricolo e l'allevamento del bestiame nelle regioni di montagna, praticato da secoli»; tali passaggi della risoluzione evidenziano pertanto esplicitamente la necessità di apportare modifiche al livello di protezione di determinate specie, in conformità alle esigenze economiche e agricole locali;

   la situazione in Veneto è grave ed è lampante la necessità di arrivare quanto prima a soluzioni di emergenza a difesa sia degli allevatori, sia del territorio, che rischia di essere ulteriormente abbandonato senza la presenza degli allevamenti;

   i rappresentanti del settore lattiero-caseario hanno sottolineato lo stato emotivo e di preoccupazione con cui gli operatori vivono la presenza del lupo, che costituisce una minaccia crescente –:

   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda adottare, per quanto di competenza, a difesa sia degli allevatori, sia del territorio del Veneto, nel rispetto della sicurezza dei cittadini e delle esigenze economiche e agricole locali.
(4-00738)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  La problematica degli indennizzi dei danni da fauna selvatica protetta, tra cui anche il lupo, è stata affrontata in maniera congiunta dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dal Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, nell'ambito di un tavolo tecnico, istituito ad hoc presso la conferenza Stato regioni per affrontare in maniera condivisa la questione anche con le regioni e le province autonome.
  I lavori del tavolo tecnico hanno condotto alla definizione di un regime di aiuti di Stato per danni da fauna e per aiuti a sostegno degli investimenti per la prevenzione di danni causati da animali protetti, che è stato notificato alla Commissione europea il 6 giugno 2018, ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 3, del TFUE.
  A seguito di successivi chiarimenti, con nota del 29 gennaio 2019, C(2019)772 final, la Commissione ha informato l'Italia della propria decisione di non sollevare obiezioni nei confronti del regime di aiuti notificato, ritenendolo compatibile con il mercato interno.
  In ottemperanza agli obblighi di trasparenza, il regime di aiuti sarà pubblicato sul sito istituzionale del Ministero delle politiche agricole ed è previsto un monitoraggio nazionale degli indennizzi.
  A ciò si aggiunga che l'incremento numerico e distributivo del lupo, registrato negli ultimi decenni, impone un costante sforzo di aggiornamento delle conoscenze sulla specie, anche al fine di fornire ai decisori dati scientifici credibili e autorevoli sui quali basare le scelte di conservazione e gestione.
  A tal fine, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha dato incarico all'ISPRA di elaborare e applicare un piano nazionale di monitoraggio, che permetta di raccogliere dati, standardizzati per tutto il territorio interessato dalla presenza del lupo, su distribuzione e abbondanza della specie e distribuzione e prevalenza dell'ibridazione con il cane domestico.
  Il piano intende, inoltre, raccogliere dati circa la diffusione dei danni agli animali domestici e l'applicazione ed efficacia dei metodi di prevenzione degli impatti, al fine di identificare le zone ove si concentrano i conflitti tra predatore e attività dell'uomo, come elemento utile per una più efficace gestione della materia.
  L'impostazione del piano di monitoraggio è stata discussa in un convegno organizzato da ISPRA che si è tenuto a Roma il 3-4 dicembre 2018 ed al quale hanno partecipato i principali esperti del lupo nel mondo della ricerca, dei parchi, delle regioni e province autonome e del mondo delle associazioni. L'incontro ha permesso di fare il punto sulle conoscenze del lupo in Italia, sui risultati dei progetti di monitoraggio, sui dati circa l'ibridazione con il cane domestico, sulle esperienze di mitigazione dei conflitti con le attività antropiche.
  Si ricorda, infine, che la conservazione e gestione del lupo è oggetto di un apposito piano d'azione – attualmente in fase di avvio della discussione presso la conferenza Stato-regioni — all'interno del quale sono state dettagliate numerose linee di intervento. Al riguardo, si evidenzia che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare provvederà a valutare con le regioni, anche per ambiti provinciali, subprovinciali e interregionali, documenti, linee guida, azioni specifiche e progetti sperimentali utili ad ogni più efficace gestione e conservazione della specie in questione e per tenere conto delle specificità locali ai fini della mitigazione dei conflitti con le attività antropiche. Questo continuo confronto con le istituzioni locali consentirà di elaborare misure che produrranno efficaci risultati nell'interesse delle imprese zootecniche e a tutela di una specie importante per la biodiversità italiana.
  Alla luce delle informazioni esposte, si rassicura che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare segue con costante attenzione la tematica in argomento e continuerà a svolgere le proprie attività senza ridurre in alcun modo il proprio impegno, condividendo strategie ed indirizzi d'intervento con i soggetti istituzionali interessati.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.


   FRANCESCO SILVESTRI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il 18 luglio 2011, il comando carabinieri per la tutela dell'ambiente invia una nota n. 24/7-4 al comune di Magliano Romano, alla regione e all'Arpa Lazio per evidenziare che l'elenco dei rifiuti individuati con codice Cer, per i quali veniva concessa dal comune di Magliano Romano, nell'aprile del 2007, la facoltà di gestione, di un impianto di rifiuti gestito dalla Idea4 srl, appariva esorbitante rispetto alle norme vigenti all'epoca e nonostante ciò l'amministrazione comunale ha emanato un nuovo provvedimento che appare essere non in linea con il contenuto dell'intervenuta delibera di giunta regionale 239/2008 e con quanto stabilito nel novero delle competenze dei comuni;

   l'amministrazione comunale di Magliano Romano, pur competente a emettere provvedimenti amministrativi di autorizzazione all'esercizio di discariche per inerti, è di fatto incorsa in quella che appare all'interrogante un'incompetenza assoluta di legge, in quanto la materia è di competenza regionale, secondo la tipologia d'impianto, come il rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale (Aia) ovvero il rilascio dell'autorizzazione alla realizzazione e messa in esercizio degli impianti di gestione dei rifiuti riportati, ossia discariche per rifiuti speciali pericolosi e non, ad esclusione delle discariche per rifiuti inerti lapidei provenienti da attività di demolizione e costruzione ex tab. 1 del decreto ministeriale 3 agosto 2005. La nota del comando carabinieri recita: «Pertanto le autorizzazioni rilasciate dal comune di Magliano Romano in data 13 dicembre 2007 e 10 novembre 2009 potrebbero essere ritenute nulle»;

   nel luglio 2011 il comune di Magliano Romano, richiede alla regione Lazio, (prot. N. 1375), di esprimersi in merito all'autorizzazione rilasciata con atto del 10 novembre 2009. Nel settembre 2011 la direzione regionale attività produttive e rifiuti (prot. 173125/DB/0413), risponde e richiama le note 182828/D2/2W/01 del 22 settembre 2009 ed aggiunge: «L'allora posizione dell'Amministrazione in merito alla competenza delegata ai comuni, a parere della Scrivente Direzione, doveva presumibilmente (come si evince dall'ultima frase della medesima nota, ndr) considerarsi del tutto eccezionale e volta ad evitare situazioni conflittuali che avrebbero potuto esporre l'amministrazione comunale ad eventuali ricorsi da parte degli interessati e comunque sembrava fornire utili elementi per un'autonoma e compiuta valutazione dell'autorizzazione rilasciata» e chiede che il comune si conformi alla delibera della giunta regionale 239/08 ed alla legge regionale n. 27 del 1998 e riveda «in via di autotutela, il succitato atto autorizzativo»;

   la regione Lazio non approva la variante e nell'ottobre 2011 il comune, revoca in sede di autotutela l'autorizzazione rilasciata e autorizza Idea4 S.r.l. alle sole 12 tipologie di rifiuti inerti di cui alla tabella 1 del decreto ministeriale 27 settembre 2010. Il 2 luglio 2013 viene depositata la sentenza (TAR del Lazio) di cui al RG 175/2012 sul ricorso promosso da Idea4 S.r.l. per l'annullamento del provvedimento prot. 1919 del 27 ottobre 2011 del comune di Magliano Romano. Il 29 luglio 2014, la Idea4 S.r.l. deposita il progetto di riclassificazione della discarica esistente da inerti, a discarica per rifiuti speciali non pericolosi e il 13 settembre 2014, il consiglio comunale di Magliano Romano, con delibera n. 26, approva un documento di dissenso e contrarietà verso il progetto elaborato dalla Idea4 S.r.l. Il 18 settembre 2014 si riunisce la conferenza dei sindaci della Tiberina – Flaminia – Cassia presso il comune di Fiano Romano (RM) e all'unanimità i 17 sindaci richiedono altro tempo per valutare la questione della riclassificazione, nominando un proprio tecnico, e richiedono alla regione Lazio una proroga di 20 giorni per la presentazione delle osservazioni alla valutazione di impatto ambientale del progetto di riclassificazione, che viene concessa in data 27 settembre 2014;

   l'8 ottobre 2014, la conferenza dei sindaci della Tiberina – Flaminia – Cassia, riunita a Castelnuovo di Porto, dopo aver valutato la documentazione tecnico-legale, esprime all'unanimità la propria contrarietà al progetto di riclassificazione della discarica di Magliano Romano. La questione della discarica approda alla Commissione bicamerale di inchiesta sui rifiuti per l'audizione di alcuni cittadini sulle attività illecite correlate all'impianto. Il 22 luglio 2015, la regione Lazio concedeva alla Idea4 srl, la possibilità di ricevere altri 21 codici Cer di rifiuti –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;

   di quali elementi disponga circa le iniziative adottate dal commissario ad acta, individuato nel direttore della direzione generale per i rifiuti e l'inquinamento del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e quali siano ad oggi le risultanze alle quali lo stesso è addivenuto in ordine alla salubrità dell'area intorno alla discarica in questione;

   quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di evitare possibili danni irreversibili all'ambiente e alla salute dei cittadini delle aree interessate dalla discarica e limitrofe alla località Monte della Grandine presso il comune di Magliano Romano, nel rispetto delle norme nazionali e comunitarie.
(4-01835)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In primo luogo si evidenzia che, fatta eccezione per gli impianti di interesse nazionale, la competenza in merito al rilascio di autorizzazioni alla gestione di rifiuti è ripartita tra regioni, province e comuni, per effetto delle norme statali e regionali di riferimento. Le conseguenti attività procedimentali di autorizzazione e di controllo sono demandate ai citati enti locali.
  Per quanto concerne la discarica di rifiuti inerti sita nel comune di Magliano Romano, la competenza autorizzativa è incardinata tra le responsabilità dirette della regione Lazio.
  La regione Lazio fa presente che Idea 4 srl gestisce un impianto di discarica per rifiuti inerti sita in località Monte della Grandine presso il comune di Magliano Romano.
  Con apposita determinazione A07329 del 18 settembre 2013, prodromica all'inizio dell'attività di gestione della predetta discarica, la regione ha preso atto, ai sensi della delibera di giunta regionale n. 239 del 2008, del certificato di collaudo del primo sub-lotto funzionale della predetta discarica e delle relative garanzie finanziarie.
  Con determinazione G04580 del 10 aprile 2014 la regione ha anche preso atto, per scadenza dei termini previsti e l'intervenuto silenzio-assenso, della modifica non sostanziale per l'accesso in discarica dei codici CER 17 05 06 «fanghi di dragaggio», diversi da quelli di cui alla voce 17 05 e 19 13 04 «fanghi prodotti dalle operazioni di bonifica dei terreni», diversi da quelli di cui alla voce 19 13 03.
  Nello stesso mese di aprile del 2014, la società ha presentato alla regione istanza di modifica non sostanziale, completa di relazione tecnica delle modifiche non sostanziali e di attestazione di versamento degli oneri istruttori di cui alla delibera di giunta regionale n. 956 del 2009 per l'accesso in discarica di 21 codici CER.
  Nel successivo mese di maggio 2014, la regione ha respinto l'istanza per la valutazione negativa della medesima richiesta formulata in un precedente procedimento. Nel giugno successivo la società ha presentato istanza di riesame del diniego con allegata relazione tecnica integrativa del 24 giugno 2014. La regione ha quindi convocato un tavolo tecnico per l'esame dell'istanza e ha inviato tutta la documentazione integrativa presentata dalla società ad Arpa Lazio e richiesto il parere tecnico di competenza.
  Nell'aprile 2015 l'Arpa Lazio ha espresso parere favorevole con prescrizioni sulla predetta istanza. Nello stesso mese di aprile la regione ha trasmesso il parere sopra citato alla società, richiedendo l'ottemperanza di quanto espresso da Arpa Lazio ed in particolare la redazione e presentazione di un apposito protocollo di accettazione dei nuovi codici CER in discarica.
  Nel maggio 2015 la stessa società ha presentato il documento denominato «Protocollo speciale di accettazione nuovi codici CER» datato aprile 2015 alla regione che ha provveduto nel maggio successivo a trasmetterlo all'Arpa per le valutazioni di merito.
  Nel luglio 2015 l'Arpa Lazio ha espresso parere favorevole sulle modalità di accettazione dei nuovi CER in discarica con condizioni.
  Con determinazione G09137 del 22 luglio 2015 è stata approvata la modifica non sostanziale della determinazione A06398 del 6 agosto 2013 con l'inserimento nell'elenco dei codici CER in ingresso di ulteriori codici di cui all'istanza del 23 aprile 2014, e modificata, di conseguenza, la determinazione A06398 del 6 agosto 2013.

  Sono stati presentati due diversi ricorsi, in accoglimento di uno dei quali, il TAR Lazio, con sentenza n. 05274 del 2016, ha disposto che «l'annullamento della determinazione ed il procedimento di assenso, avviatosi su iniziativa di Idea4 deve poter riprendere il suo corso, a partire da una rielaborazione appropriata, dettagliata e soddisfacente del protocollo di parte, onde renderlo idoneo rispetto alle finalità di garanzia e rassicurazione segnalate dall'Arpa».
  In accoglimento di altro ricorso, presentato dal comune di Magliano Romano, il TAR con sentenza n. 05275 del 2016, ha disposto l'annullamento della determinazione G09137 del 22 luglio 2015 in quanto nel momento in cui è stata adottata la determinazione impugnata (22 luglio 2015) il decreto ministeriale 27 settembre 2010 risultava modificato dal decreto ministeriale 24 giugno 2015, il quale, oltre ad aver apportato modifiche riguardanti la definizione dei criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica, ha aggiunto un nuovo allegato relativo al campionamento ed alle analisi dei rifiuti da smaltire in discarica.
  La Regione, riferisce inoltre quanto segnalato dalla stessa Arpa Lazio nel luglio 2016, ovvero, che con riferimento al protocollo proposto dalla società, le modalità di accettazione proposte risultano in linea con la vigente normativa e appaiono uno strumento idoneo per la verifica delle suddette condizioni. In particolare è fornito il modello di caratterizzazione di base che contiene informazioni dettagliate comprensive dell'attività che ha generato il rifiuto ed è descritta la verifica di conformità che prevede la verifica delle informazioni fornite dal produttore nonché l'individuazione di parametri critici, il campionamento e l'analisi del rifiuto.
  La stessa Arpa ritiene pertanto che, in fase di esercizio, la descrizione dell'attività che ha generato il rifiuto debba essere di maggior dettaglio possibile e che le eventuali analisi aggiuntive da eseguire debbano essere frutto di valutazioni specifiche da effettuarsi in fase di caratterizzazione di base e verifica di conformità, tenuto conto delle informazioni di dettaglio acquisite sul rifiuto.
  La certificazione prodotta dovrà riportare l'esplicita dichiarazione della sussistenza delle caratteristiche di cui alla definizione di inerte (articolo 2 comma 1 lettera
e) del decreto legislativo n. 36 del 2003), da parte di tecnico abilitato che firma le analisi.
  Il Ministero dell'ambiente rileva che, a seguito della sentenza n. 5274 del 2016 del TAR Lazio, con determinazione n. G12156 del 20 ottobre 2016, la regione Lazio aveva disposto la modifica non sostanziale della determinazione A63398 del 6 agosto 2013, autorizzando l'inserimento di ulteriori 21 codici CER in ingresso all'impianto di discarica, con la contestuale approvazione dell'allegato tecnico denominato «Protocollo di accettazione dei rifiuti».
  La suddetta determinazione regionale è stata oggetto di un nuovo ricorso innanzi al giudice amministrativo, al fine di adottare tutti i provvedimenti necessari a dare piena ed integrale esecuzione alla sentenza n. 5274 del 2016 ivi compresa la determinazione conclusiva del procedimento.
  In particolare, lo stesso Ministero, evidenzia che con sentenza n. 9428 del 2017, il TAR Lazio, nell'accogliere il ricorso R.G. n. 135 del 2017 proposto da «Gruppi Ricerca Ecologica Lazio» e «Comitato No Discarica di Magliano Romano», ha dichiarato la nullità del provvedimento regionale n. G12156 del 20 ottobre 2016, per violazione del giudicato di cui alla sentenza n. 5274 del 2016 ed ha nominato un direttore generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, commissario
ad acta in luogo della regione Lazio.
  In ossequio alla espressa previsione del dispositivo della sentenza citata, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si è avvalso della facoltà di delega, designando in data 19 ottobre 2017, giusta autorizzazione del collegio del TAR Lazio con ordinanza n. 10431 del 18 ottobre 2017, un gruppo di esperti tra il personale interno al Dicastero e all'ISPRA.
  La commissione
ad acta ha pertanto concluso i lavori istruttori disposti dal giudice amministrativo ed ha trasmesso al TAR nel luglio 2018, il provvedimento di conclusione del procedimento. Il suddetto provvedimento, che ha limitato l'accoglimento dell'istanza del gestore a soli 6 codici CER rispetto ai 21 richiesti, previo rispetto dello specifico protocollo di accettazione rivisitato, è stato altresì trasmesso alla regione Lazio per il seguito di competenza.
  La regione ha fatto propria tale conclusione della commissione
ad acta con determinazione G G13321 22 ottobre 2018 e pertanto, ad oggi, i codici CER in ingresso sono stati autorizzati dalla commissione ad acta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  Si rassicura comunque che lo stesso Ministero continuerà a tenere alto il livello di attenzione sulle iniziative che verranno attuate dai soggetti competenti ai fini della salvaguardia della qualità dell'aria nell'area adiacente la discarica.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.


   STUMPO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il consiglio comunale di Cotronei, in provincia di Crotone, discutendo di legalità e sicurezza a seguito di alcuni fatti criminosi avvenuti in Sila, con la delibera numero 36 dell'11 novembre 2017, ha unanimemente richiesto l'istituzione di una caserma dei carabinieri nella località di Trepidò;

   la storia di Cotronei è la storia di una comunità tranquilla e democratica che ha sempre rigettato ogni forma di violenza e di contiguità criminale;

   quello di Cotronei è un territorio vasto e strategico, più volte interessato da operazioni contro la criminalità dedita, in particolare, allo spaccio di droga;

   la conformazione geografica del territorio, per la sua vastità e la presenza di un significativo flusso di turisti, renderebbe necessario un ulteriore e adeguato presidio dell'ordine pubblico che l'amministrazione comunale ha individuato nella località di Trepidò;

   l'amministrazione comunale di Cotronei ha ribadito in tutte le sedi la disponibilità a garantire tutti gli oneri finanziari e organizzativi, oltre a mettere a disposizione un immobile adeguato per il funzionamento della caserma;

   nonostante le disponibilità dell'amministrazione comunale, a oggi sono pervenute solo risposte negative, l'ultima delle quali dal prefetto di Crotone;

   la necessità di una nuova caserma dei carabinieri è fortemente sentita dai cittadini e dagli operatori economici del territorio come garanzia di sicurezza e tranquillità nello svolgimento delle attività economiche e turistiche –:

   se il Governo, per quanto di competenza, sia a conoscenza della richiesta dell'amministrazione comunale di Cotronei e quali iniziative intenda adottare affinché si possa realizzare la nuova caserma dei carabinieri, venendo incontro alla reiterata richiesta dell'amministrazione comunale e ai sentimenti della cittadinanza.
(4-02349)

  Risposta. — La possibilità, prospettata dall'interrogante, di istituire un presidio dell'Arma dei carabinieri nella località turistico montana (che conta circa 200 residenti) di Trepidò, nel comune di Cotronei, è stata più volte approfondita nel corso di alcune riunioni del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, nonché in sede di riunione tecnica di coordinamento.
  In particolare, nella riunione del comitato provinciale tenutasi lo scorso 6 marzo, è stato convenuto d'incrementare i servizi di controllo del territorio nella zona del complesso turistico – villaggio «Palumbo», a seguito dell'incendio, di origine dolosa, che il giorno precedente aveva coinvolto alcune attività commerciali del luogo.
  La tematica è stata ulteriormente analizzata nella riunione dello stesso comitato provinciale del successivo 7 marzo, alla presenza del sindaco di Cotronei, nel corso della quale è stato messo in evidenza come il controllo serrato del territorio abbia consentito di individuare e trarre in arresto l'autore dell'incendio a poche ore dall'evento, confermandosi, ancora una volta, un efficace strumento di contrasto delle attività illecite.
  Va detto che nel comune di Cotronei, l'Arma dei carabinieri è già presente attraverso l'omonima stazione, le componenti investigative e di pronto intervento della compagnia di Petilia Policastro, nonché la stazione forestale di Petilia Policastro.
  Nonostante l'analisi della delittuosità riferita al territorio in esame abbia fatto registrare, nell'ultimo anno, un incremento dei reati commessi (gran parte dei quali scoperti dall'Arma locale), dai dati statistici emerge, tuttavia, una flessione nei primi mesi del 2019, rispetto allo stesso arco temporale dell'anno precedente.
  Tenuto conto dei parametri riferiti alla popolazione e alla delittuosità, il comando generale dell'Arma dei carabinieri, nell'evidenziare che non risultano iniziative infrastrutturali riguardanti la realizzazione di una nuova caserma in quel centro, ha fatto presente che, al momento, non si ravvisano esigenze di ordine e di sicurezza pubblica tali da giustificare l'istituzione di un nuovo presidio dell'Arma dei carabinieri, ritenendo l'attuale dispositivo territoriale adeguato alle esigenze delle realtà locali e in grado di garantire un fattivo e valido controllo dell'area.

  Vorrei sottolineare, in conclusione, come l'Arma dei carabinieri riservi la massima e doverosa attenzione all'indispensabile funzione di prevenzione e di contrasto dei fenomeni criminali, che svolge con grande impegno, nella consapevolezza di essere anche parte attiva della rete di protezione e di solidarietà sociale.
La Ministra della difesa: Elisabetta Trenta.


   TORTO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   sin dalla stagione estiva 2015 sono state numerose le notizie di stampa e sui media abruzzesi riguardanti le acque di balneazione della costa pescarese: alle notizie sul visibile inquinamento delle acque e testimonianze di bagnanti circa problematiche di salute presumibilmente legate alle condizioni delle acque balneabili, si sono susseguiti i risultati delle analisi dell'Arta Abruzzo che confermavano la concentrazione batteriologica in acque costiere al di sopra delle soglie stabilite dalle norme vigenti, denotando presenza di escherichia coli e di enterococchi; il decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 116 recepisce la direttiva europea 2006/7/CE relativa alla gestione della qualità delle acque di balneazione; in ottemperanza a quanto disposto dal decreto legislativo citato, il Ministro della salute e il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare hanno definito, con il decreto del 30 marzo 2010, i criteri per determinare il divieto di balneazione, comprese le modalità e le specifiche tecniche relative alla gestione delle acque di balneazione; secondo il comma 4 dell'articolo 8 del decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 116 se le acque di balneazione sono classificate di qualità «scarsa» per cinque anni consecutivi, è disposto un divieto permanente di balneazione; la porzione di acque del litorale pescarese denominata «Zona antistante via Balilla» è stata classificata come «scarsa» per 5 anni consecutivi; con ordinanza del comune di Pescara n. 179 del 5 ottobre 2018 la zona antistante via Balilla è stata interdetta alla balneazione; successivamente alla richiesta del comune di Pescara alla regione Abruzzo, di cui alla nota prot. n. 0012915 del 21 gennaio 2019, con la quale si propone, a seguito delle risultanze dei campionamenti anno 2018, di poter monitorare il tratto di costa denominato «zona antistante via Balilla» mediante un nuovo punto di prelievo, è stato modificato il punto di prelievo della zona antistante via Balilla, conseguentemente denominato dalla giunta della regione Abruzzo «zona antistante via Leopardi»; nonostante il cambio di denominazione, l'area di balneazione della «zona antistante via Balilla» e della «zona antistante via Leopardi» coincidono, come è possibile verificare dalle coordinate WGS84 che delimitano le due zone –:

   quali iniziative intenda assumere il Governo, per quanto di competenza, per garantire la piena applicazione del decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 116 e se intenda assumere iniziative, anche normative, per chiarire che le acque derivanti da acque di balneazione classificate di qualità «scarsa» per cinque anni consecutivi, anche in caso di modifica delle coordinate del solo punto di prelievo, debbano essere dichiarate permanentemente vietate alla balneazione;

   di quali elementi disponga, per quanto di competenza, circa il motivo per cui sul Portale acque del Ministero della salute la «zona antistante via Leopardi, Pescara» individuata dalle coordinate WGS84 compresa tra il punto inizio costa (lat 42,4714413 long 14,2174653) e punto fine costa (lat 42,4687700 long 14,2222300), risulta vietata temporaneamente alla balneazione.
(4-03039)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione parlamentare in esame, si fa presente che l'acqua di balneazione denominata «Zona antistante via Leopardi», nel comune di Pescara, risulta classificata di qualità scarsa da 5 anni consecutivi.
  Le acque classificate scarse per cinque anni consecutivi devono rimanere vietate alla balneazione per almeno l'intera stagione balneare successiva e comunque monitorate.
  L'acqua potrà essere nuovamente balneabile solo se lo stato di qualità sia almeno «sufficiente» a seguito della valutazione e alla classificazione della qualità delle acque di balneazione, conformemente a quanto previsto dagli articoli 7 e 8 del decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 116 e dell'allegato II.
  Quanto detto è riportato anche sul «Portale Acque» di questo Ministero che rende pubbliche le analisi di monitoraggio delle acque, dimostrando, nel caso considerato, il superamento dei valori limite.
  Il cambio di denominazione della zona oggetto di analisi non comporta, ovviamente, l'annullamento delle classificazioni precedenti, in quanto l'area è di fatto quella denominata precedentemente «zona antistante via Balilla», come appurato dagli uffici tecnici di questo Dicastero che hanno provveduto a verificare le relative coordinate geografiche.
  Va precisato, inoltre, che, per quanto riguarda la dicitura sul portale acque «temporaneamente vietata alla balneazione», questa deriva dalla compilazione dell'anagrafica da parte della regione Abruzzo, che ne è competente per quanto riguarda l'aggiornamento.
  Si fa presente, infatti, che tutte le informazioni visualizzate sul portale acque derivano dai dati inseriti dalle Arpa, dalle regione o dai comuni, che da quest'anno trasmettono al Ministero della salute, tramite procedura online, le ordinanze di divieto e revoca.

La Ministra della salute: Giulia Grillo.


   UNGARO, SCHIRÒ e CARÈ. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   le convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni fiscali stipulate dall'Italia, generalmente redatte seguendo lo schema dell'Ocse, sono dirette a risolvere i conflitti delle pretese impositive da parte degli Stati firmatari; con riferimento alle diverse fattispecie reddituali, esse creano una sorta di «ripartizione» delle sovranità statali, con l'obiettivo di evitare che vi sia una doppia imposizione sui medesimi redditi da parte di più ordinamenti;

   fanno eccezione alla regola alcune importanti convenzioni (tra queste quelle stipulate con Francia, Canada e Brasile) che paradossalmente contemplano la tassazione concorrente – «doppia tassazione» – ancorché mitigata tramite il meccanismo del credito di imposta, spesso purtroppo non rispettato o messo in atto con grande ritardo dai Paesi contraenti;

   in particolare, la convenzione contro le doppie imposizioni fiscali con la Francia ha creato e continua a creare gravi disagi ai pensionati Inps italiani che vivono in tale Paese, i quali sono tassati due volte, dall'Inps alla fonte e poi dalla Francia, e sono così costretti a chiedere un credito di imposta;

   infatti, la convenzione ha innescato un lungo contenzioso interpretativo a causa dell'ambigua e contrastante formulazione dell'articolo 18 che, al comma 1, stabilisce la regola comune della tassazione delle pensioni dell'Inps nel Paese di residenza del pensionato, mentre, al comma 2, stabilisce invece l'esatto contrario e, cioè, che le pensioni classificabili come prestazioni di «sicurezza sociale» debbano essere tassate anche dal Paese che le eroga;

   tale illogica formulazione, dovuta evidentemente a un errore dei negoziatori che avrebbero, secondo gli interroganti, all'origine, voluto intendere per pensioni di «sicurezza sociale» solo quelle assistenziali, è stata interpretata dalle autorità competenti italiane (Ministero dell'economia e delle finanze, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Inps) in maniera punitiva contro i pensionati italiani residenti in Francia e contro i princìpi fondanti degli accordi contro le doppie imposizioni fiscali, includendo nel termine «sicurezza sociale» anche le prestazioni previdenziali;

   nonostante circolari dell'Inps e dell'Agenzia delle entrate, accordi amichevoli tra le parti, sentenze dei vari tribunali (ultima quella della commissione tributaria di Genova, sentenza n. 1233 del 2 novembre 2018) e della Corte di Cassazione, il contenzioso non è mai stato chiarito o risolto positivamente per i connazionali italiani, i quali ancora oggi sono penalizzati dalla tassazione concorrente che è esattamente l'antitesi di ciò che deve contemplare una normale e logica convenzione contro le doppie imposizioni fiscali;

   all'evidente danno fiscale (doppia tassazione sullo stesso reddito) si aggiunge, inoltre, la beffa prevista dall'articolo 24 della convenzione relativo al metodo di eliminazione delle doppie imposizioni che stabilisce che l'imposta italiana non è direttamente deducibile ai fini del calcolo del reddito imponibile in Francia e che il credito di imposta al quale i pensionati Inps residenti in Francia hanno diritto non può tuttavia eccedere l'ammontare dell'imposta francese relativa a tali redditi; ciò in pratica significa che i pensionati italiani residenti in Francia e doppiamente tassati, oltre al disagio di dovere chiedere il credito d'imposta, devono pagare complessivamente un'imposta determinata dall'aliquota fiscale italiana che è storicamente più elevata di quella francese –:

   se non si ritenga opportuno e urgente avviare i negoziati con la controparte francese per una modifica della convenzione contro le doppie imposizioni fiscali attualmente in vigore, in modo tale che tale convenzione sia uniformata al modello Ocse adottato dall'Italia per quasi tutte le convenzioni contro le doppie imposizioni fiscali, per tutelare al meglio i diritti fiscali dei connazionali pensionati Inps residenti in Francia e per eliminare così le cause (in particolare, il comma 2 dell'articolo 18) che determinano l'assurdo fenomeno della doppia tassazione.
(4-02149)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame gli interroganti lamentano che l'applicazione dell'articolo 18 della convenzione tra l'Italia e la Francia per evitare le doppie imposizioni ha creato gravi disagi ai pensionati INPS residenti in Francia. Ciò in quanto i trattamenti pensionistici vengono dapprima assoggettati alla ritenuta alla fonte da parte del citato istituto previdenziale italiano e successivamente tassati in Francia, col risultato che i titolari di pensione si trovano costretti a chiedere un credito d'imposta in Francia tramite procedure lente e farraginose. Chiedono, pertanto, di sapere se non si possa intervenire al fine di una modifica del citato articolo 18 del predetto Trattato internazionale che, conformemente al modello Ocse di convenzione, introduca un regime generalizzato di tassazione esclusiva in Francia degli emolumenti pensionistici erogati dall'INPS ai residenti in tale Stato.
  Al riguardo, sentiti gli uffici competenti, si fa presente quanto segue.
  Occorre in primo luogo rilevare che le disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali per evitare le doppie imposizioni sono oggetto di specifici negoziati bilaterali tra Stati e, quindi, anche se in molti casi si conformano al modello Ocse di convenzione, recano le peculiarità concordate dalle parti contraenti.
  Per quel che concerne lo specifico, al fine di valutare a quale Stato spetti la potestà impositiva sugli emolumenti pensionistici provenienti dal nostro Paese ed erogati ad un soggetto residente in Francia, deve aversi riguardo agli articoli 18 o 19 della citata convenzione tra Italia e Francia per evitare le doppie imposizioni.
  In particolare, l'articolo 18 del trattato internazionale disciplina il trattamento fiscale da riservare alle pensioni pagate in relazione ad un cessato impiego, ad eccezione di quelle erogate dagli Stati contraenti il trattato o dai loro enti locali (che ricadono nell'ambito del citato articolo 19 della convenzione), prevedendo, come regola generale, al paragrafo 1, che le medesime siano tassate in via esclusiva nello Stato di residenza del beneficiario e, come eccezione, al paragrafo 2, la tassazione concorrente delle pensioni pagate in relazione alla legislazione sulla «sicurezza sociale».
  L'interpretazione del termine «sicurezza sociale» varia, peraltro, a seconda di quanto previsto nella normativa interna degli Stati contraenti i trattati per evitare le doppie imposizioni.
  Anche il commentario al citato modello Ocse non fornisce un'interpretazione univoca di sicurezza sociale, rinviando in sostanza agli accordi amichevoli tra le parti.
  Difatti, proprio in considerazione della differenza tra le legislazioni degli Stati, l'Ocse indica (cfr. paragrafo 28 del commentario, aggiornato al luglio 2017, all'articolo 18 del modello Ocse) come metodo di definizione inequivocabile del più volte citato termine l'accordo tra le parti delle convenzioni bilaterali.
  Tale accordo può concretizzarsi in una disposizione, contenuta nella convenzione, che definisca, inequivocabilmente, l'ambito della sicurezza sociale – soluzione adottata, ad esempio, nei trattati stipulati dall'Italia con il Canada, la Danimarca e l'Ucraina – ovvero in un accordo interpretativo concluso tra gli Stati contraenti il trattato internazionale nell'ambito di una procedura amichevole prevista dallo stesso.
  La seconda opzione è stata, per l'appunto, utilizzata da Italia e Francia che sono giunte il 20 dicembre 2000 ad un accordo, nel quadro di una procedura amichevole in applicazione dell'articolo 26 della convenzione, con il quale è stato chiarito il concetto di pensioni di sicurezza sociale. Il suddetto accordo precisa che, per le pensioni ed altre somme pagate in applicazione della legislazione italiana sulla sicurezza sociale, si intendono le pensioni d'invalidità, vecchiaia e superstiti corrisposte dagli enti pensionistici ivi elencati, tra i quali è, in primo luogo, evidenziato l'Inps (escluse, ovviamente, le pensioni ex gestione Inpdap che, come trattamenti a carattere pubblico, ricadono nell'ambito applicativo dell'articolo 19 della convenzione).
  Da quanto sopra rappresentato consegue, pertanto, che alle suddette pensioni d'invalidità, vecchiaia e reversibilità, corrisposte dall'Inps a residenti in Francia, si applicherà l'articolo 18, paragrafo 2, della convenzione con conseguente tassazione concorrente delle stesse in Italia e Francia. Ne consegue, quindi, che l'Inps risulta sempre obbligato ad applicare a tali pensioni, erogate a residenti in Francia, una ritenuta d'acconto dell'imposta ai sensi dell'articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica del 29 settembre 1973, n. 600.
  Al fine di eliminare la doppia imposizione, nel sistema di tassazione concorrente lo Stato di residenza è tenuto, dunque, ad eliminare la doppia imposizione. Tale principio non ha la finalità di assoggettare i redditi ad un duplice trattamento fiscale, ma riconosce il diritto ad un credito d'imposta finalizzato ad eliminare la doppia imposizione. Per i casi di specie sollevati dagli interroganti, le Autorità fiscali francesi sono tenute ad eliminare la doppia imposizione per quanto riguarda le imposte pagate a titolo definitivo in Italia sui redditi in questione, applicando le disposizioni contenute nell'articolo 24, paragrafo 2, lettera
a), della convenzione ed accordando il credito di imposta. Gli Stati che applicano il credito d'imposta normalmente accordano, come deduzione dalla imposta sul reddito dovuta del proprio residente, un ammontare pari all'imposta pagata nell'altro Stato, ma la deduzione è limitata alla quota corrispondente alla propria imposta. Tale è il caso, ad esempio, della Francia, così come anche dell'Italia (articolo 165 del Tuir), essendo caratteristica comune a quasi tutti i sistemi tributari dei vari Paesi. Nei casi di specie, l'eventualità che sussista una quota residua di imposta italiana non interamente accreditabile a valere dell'imposta francese può dipendere pertanto dal diverso livello impositivo previsto dai rispettivi ordinamenti interni.
  A tale ultimo riguardo, tuttavia, è il caso di osservare che i pensionati Inps, residenti in Francia, non risultano discriminati rispetto ai titolari di pensione residenti in Italia in quanto, a parità di reddito, scontano la medesima imposta.

Il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze: Massimo Bitonci.


   VERINI e ASCANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   la deliberazione del consiglio regionale umbro n. 351 del 2 settembre 2014 ha avviato il percorso per il riconoscimento dei territori ricompresi nel sistema locale del lavoro di Terni tra le aree industriali di crisi complessa, riconoscendo la necessità di un intervento organico, utile per riqualificare e innovare il sistema produttivo e manifatturiero dei territori di Terni e Narni, quale condizione fondamentale per riaprire una prospettiva espansiva all'apparato industriale dell'Umbria;

   il 7 ottobre 2016 il Ministro dello sviluppo economico pro tempore firmava il decreto di riconoscimento di area di crisi complessa per Terni Narni;

   il decreto ministeriale dell'8 febbraio 2017 ha disposto la nomina del gruppo di coordinamento e controllo (GdCC) composto da: un rappresentante del Ministero dello sviluppo economico – Direzione generale per la politica industriale, la competitività e le piccole e medie imprese con funzioni di Presidente; un rappresentante del Ministero dello sviluppo economico – direzione generale per l'incentivazione delle attività imprenditoriali; un rappresentante del Ministero del lavoro e delle politiche sociali; un rappresentante del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare; un rappresentante del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; un rappresentante della regione Umbria; un rappresentante dei comuni di Terni e Narni;

   il 30 marzo 2018 è stato sottoscritto l'accordo di Programma che definisce le risorse, disciplina gli interventi agevolativi, l'attività integrata e coordinata delle amministrazioni centrali, della regione, degli enti locali e dei soggetti pubblici e privati, le modalità di esecuzione degli interventi e adotta il progetto di riconversione e riqualificazione industriale e dà attuazione dei progetti di riconversione e riqualificazione industriale;

   le risorse destinate complessivamente con l'accordo di programma sono oltre 58 milioni di euro, di cui 20 milioni di risorse nazionali a valere sulla legge n. 181 del 1989 e 38,25 milioni di euro di risorse regionali. A queste vanno aggiunte le risorse destinate agli investimenti di cui agli accordi di sviluppo, contratti di sviluppo e agli accordi di innovazione;

   l'accordo di programma sottoscritto ha lasciato aperte tre questioni relative alle università, alle vicende ambientali e alle infrastrutture, utili al rafforzamento dei fattori competitivi dell'area e sulle quali è necessario continuare l'interlocuzione con i Ministeri di riferimento, in sede di gruppo di coordinamento e controllo, per porre in essere le azioni già individuate dalla regione in sede di presentazione dell'istanza per il riconoscimento di area di crisi complessa;

   in particolare: con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti vanno definiti i possibili percorsi attuativi relativamente alle opere di miglioramento dei collegamenti della Bretella di variante Staino-Pentima-Via Breda-Innesto Terni-Rieti, al completamento della bretella di ex Terni-Rieti Strada dei Confini-Flaminia-Salaria e al collegamento ferroviario e stradale della Piastra Logistica Terni-Narni; con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, i possibili percorsi attuativi degli interventi di risanamento ambientale sull'Area SIN Terni-Papigno; con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il potenziamento del centro formativo e di ricerca a Pentima, Terni, per incentivare la ricerca scientifica e il consolidamento della produzione industriale in settori quali la chimica verde, la metallurgia, l'energia e lo sviluppo sostenibile;

   il 18 dicembre 2017 si è tenuta l'ultima riunione del gruppo di coordinamento e controllo. In quella occasione i Ministeri di riferimento hanno evidenziato la necessità di approfondimenti di merito;

   ad ormai più di un anno di distanza non vi sono stati ulteriori incontri, nonostante le richieste inviate dalla regione Umbria il 3 dicembre 2018 e il 24 gennaio 2019 –:

   se il Governo non intenda convocare al più presto un nuovo incontro del Gruppo di coordinamento e controllo di cui in premessa, al fine di procedere speditamente all'avvio delle azioni già individuate e necessarie alla riqualificazione dell'area.
(4-02663)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sentita la direzione generale competente, si rappresenta quanto segue.
  Gli interroganti fanno riferimento alla crisi industriale complessa di Terni-Narni.
  Come da essi correttamente ricordato, le condizioni per il riconoscimento di crisi complessa per il territorio del sistema locale del lavoro (SSL) di Terni sono state accertate con decreto 7 ottobre 2016 del Ministero dello sviluppo economico, ai fini dell'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 27 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83.
  Con successivo decreto 8 febbraio 2017 è stato costituito, ai sensi dell'articolo 1, comma 6 del decreto Ministero dello sviluppo economico 31 gennaio 2013, il gruppo di coordinamento e controllo (GCC), composto da rappresentanti di: Ministero dello sviluppo economico, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, regione Umbria, comuni di Terni e Narni.
  In adempimento al suo mandato, in data 15 febbraio 2018 il GCC ha approvato il «Progetto di riconversione e riqualificazione industriale (PRRI)» dell'area di crisi industriale complessa del territorio del SLL di Terni.
  In data 30 marzo 2018 è stato firmato l'accordo di programma (AdP) per l'attuazione del citato PRRI, il quale, come riportato all'articolo 1 dell'AdP, è «finalizzato a consolidare le produzioni e la ricerca nel settore della chimica verde in coerenza con gli obiettivi regionali di “specializzazione intelligente”, alla promozione delle imprese resilienti e della filiera metallurgica e agro alimentare che promuovono processi nell'ambito della manifattura intelligente e della riqualificazione energetica, a orientare e sostenere le PMI del settore manifatturiero verso specializzazioni a maggiore valore aggiunto, migliorando la compatibilità ambientale delle proprie produzioni, ad agevolare il reimpiego dei lavoratori appartenenti a uno specifico bacino di riferimento, alla promozione di azioni formative e scientifiche a supporto della imprenditoria locale, a potenziare l'infrastrutturazione digitale e logistica delle aree industriali».
  Gli interroganti sottolineano che «l'accordo di programma sottoscritto ha lasciato aperte tre questioni relative alle università, alle vicende ambientali e alle infrastrutture».
  A tale proposito si fa presente che le questioni richiamate dagli onorevoli interroganti non riguardano espressamente le azioni di riconversione e riqualificazione industriale previste dall'AdP sottoscritto in data 30 marzo 2018. Tuttavia, sono ambiti di intervento richiamati dal PRRI e indicati come azioni di medio/lungo termine funzionali alla definizione di un'offerta localizzativa nell'area.
  Anche successivamente alla firma dell'accordo, pertanto, il Ministero dello sviluppo economico ha convocato e coordinato le attività di tre specifici tavoli tecnici che hanno coinvolto le amministrazioni centrali e territoriali competenti per le materie in parola.
  In particolare, il tavolo tecnico sugli aspetti infrastrutturali – al quale partecipano il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la regione e Invitalia, nonché ANAS limitatamente alla disamina di specifici aspetti connessi alla viabilità stradale e Rete ferroviaria italiana per quelli connessi al collegamento ferroviario – valuta le possibili opere di miglioramento dei collegamenti della bretella di variante Staino-Pentima-Via Breda-Innesto Terni-Rieti, nonché il completamento della bretella di ex Terni-Rieti Strada dei Confini-Flaminia-Salaria e il collegamento ferroviario e stradale della Piastra Logistica Terni-Narni.
  Il tavolo tecnico sugli aspetti ambientali – al quale partecipano il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la regione e Invitalia – tratta gli interventi di risanamento ambientale nel SIN Terni-Papigno.
  Il tavolo sulle questioni afferenti alla ricerca, con particolare riguardo al potenziamento del Centro formativo e di ricerca a Pentima (Terni), coinvolge il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
  Pur segnalando che, nel merito delle questioni richiamate, le competenze attengono alle istituzioni territoriali, si fa presente che anche nel 2019 è proseguita l'attività dei tavoli tecnici. Il Ministero dello sviluppo economico ha provveduto a convocare una riunione plenaria del gruppo di coordinamento e controllo per il giorno 11 luglio 2019, al fine di condividere lo stato di avanzamento delle tre istruttorie.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Andrea Cioffi.


   ZOFFILI, ZIELLO e FORMENTINI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   Fulgencio Obiang Esono, ingegnere civile, cittadino italiano quarantottenne, originario della Guinea equatoriale e residente a Pisa dal 1988, dove si trasferì per l'università, è scomparso;

   non si hanno più notizie dell'uomo dal 18 settembre 2018, quando ha inviato un messaggio alla sorella dopo essere atterrato a Lomé in Togo;

   la moglie, la sorella e i figli, tutti residenti a Pisa, ne hanno denunciato la scomparsa. Secondo la testimonianza dei parenti, l'ingegnere sarebbe andato in Togo per un colloquio di lavoro –:

   se sia a conoscenza della vicenda riportata in premessa e come intenda agire, per quanto di competenza, in favore del nostro concittadino.
(4-01319)

  Risposta. — Il signor Fulgencio Obiang Esono, cittadino italo-guineano di quarantotto anni originario della Guinea Equatoriale, è scomparso il 18 settembre 2018. I familiari sono stati inizialmente informati da un parente che il signor Obiang era stato rapito in Togo da emissari del governo della Guinea Equatoriale e condotto nel carcere Black Beach a Malabo a causa delle sue opinioni politiche apertamente contrarie al governo equato-guineano.
  Appresa la notizia della scomparsa, l'ambasciata ad Accra, competente anche per il Togo, e la nostra rappresentanza a Yaoundé, competente per la Guinea Equatoriale, intervenivano presso le Autorità locali perché venisse accertata l'effettiva detenzione del connazionale. La Farnesina provvedeva inoltre a interessare alla vicenda le competenti articolazioni del Ministero dell'interno e della Presidenza del Consiglio per le opportune verifiche. La questione veniva al contempo sollevata dal Vice Ministro Del Re nel corso di un colloquio con il Ministro degli affari esteri della Guinea Equatoriale, a margine della Conferenza Italia-Africa nell'ottobre del 2018.
  Il 26 novembre 2018 i servizi di polizia giudiziaria togolesi informavano formalmente le Autorità di polizia italiane che Fulgencio Obiang Esono Ntogono era stato tratto in arresto da loro funzionari presso un hotel a Lomé in data 19 settembre 2018, in compagnia del cittadino equato-guineano Francisco Micha Obama e di due cittadini ciadiani, in esecuzione di un mandato d'arresto emesso dalle Autorità della Guinea Equatoriale, alle quali venivano consegnati, conformemente all'Accordo bilaterale di cooperazione in materia di polizia criminale tra Guinea Equatoriale e Togo.
  Il 25 gennaio 2019 l'ambasciata della Guinea Equatoriale a Roma, in risposta a tre successive Note Verbali di questo Ministero, inviate tra ottobre e dicembre scorsi, faceva pervenire una Nota Verbale contenente la conferma ufficiale della detenzione del connazionale Fulgencio Obiang Esono. E ciò, in esecuzione di un mandato di ricerca e cattura emesso dal Tribunale di Bata, a seguito del tentativo di colpo di Stato del 24 dicembre 2017.
  A fronte di tale conferma, la competente ambasciata a Yaoundé richiedeva la collaborazione delle Autorità guineane per il tempestivo svolgimento di una visita consolare, volta a verificare le condizioni di salute e di detenzione del connazionale. Parallelamente, questo Ministero provvedeva a sensibilizzare le autorità della Guinea Equatoriale circa la necessità di poter svolgere una visita consolare, come previsto dalla convenzione di Vienna sulle relazioni consolari del 1963, mediante l'invio di varie Note Verbali e la convocazione dell'ambasciatrice della Guinea Equatoriale a Roma (5 febbraio scorso).
  Nel mese di marzo si è avuta notizia del trasferimento del connazionale nel carcere di Bata e dell'avvio di un processo a carico suo e di una pluralità di coimputati per i fatti del 24 dicembre 2017. Le accuse vanno dal reato di tradimento ai delitti contro il Capo dello Stato, ribellione, terrorismo, riciclaggio di capitali e finanziamento di attività terroristiche. Il 31 maggio scorso si è appreso che il connazionale sarebbe stato condannato a oltre 58 anni di carcere.
  Il corrispondente consolare a Bata è in costante contatto con l'avvocato del signor Obiang, dal quale ottiene informazioni sugli sviluppi processuali e sulle condizioni di salute e di detenzione dell'assistito. Tuttavia non ha ancora potuto effettuare la visita consolare. Nonostante i numerosi solleciti scritti effettuati dalla Farnesina e dall'ambasciata a Yaoundé, e nonostante le numerose assicurazioni da parte dell'ambasciata della Guinea Equatoriale in Italia circa la possibilità di svolgere tale visita, il corrispondente consolare a Bata, più volte appositamente inviato al carcere e all'ufficio del procuratore generale, si è finora visto ripetutamente negare l'accesso al penitenziario.
  Il 28 giugno scorso si è provveduto a una nuova convocazione dell'ambasciatrice della Guinea Equatoriale per esprimere disappunto per la mancata autorizzazione a svolgere la visita consolare e consegnare nelle sue mani una lettera a firma del signor Ministro Moavero Milanesi, con la quale si formalizza al massimo livello la richiesta di poter incontrare il detenuto.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Ricardo Antonio Merlo.