Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVIII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 29 luglio 2019

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,

   premesso che:

    la guerra civile in Iraq, iniziata nel gennaio 2014 con la conquista della parte occidentale del Paese da parte delle milizie autoproclamatasi Stato islamico dell'Iraq e Levante, volge al termine nel dicembre del 2017 con la caduta di Abu Kamal, ultima roccaforte dell'Isis/Daesh sul confine Siria-Iraq;

    tuttavia, la sconfitta di Daesh in Siria e Iraq sta spostando la base di attività terroristica e gli attacchi dei militanti jihadisti in moltissimi Paesi del continente africano, approfittando della povertà e dell'instabilità di molte aree dell'Africa;

    il 25 giugno 2019 i direttori politici della Coalizione globale contro l'Isis, riunita a Parigi, hanno affermato che «la sconfitta territoriale di Isis non rappresenta lo sradicamento del gruppo dei terroristi o la fine della minaccia terroristica che essi pongono», pertanto la Coalizione deve rimanere unita e determinata per sconfiggere lo Stato islamico, sia in Iraq sia in Siria, ribadendo la necessità di mantenere uno stretto coordinamento per impedire che i foreign fighter, compresi quelli detenuti, tornino sul campo di battaglia in Iraq e in Siria o si trasferiscano altrove e pianifichino attacchi;

    nel giugno 2014, con una vasta offensiva nel nord dell'Iraq, Daesh conquistò ampie parti del Paese, fino al confine siriano e alla città di Mosul, arrivando a pochi chilometri dalla capitale Baghdad, penetrando nel territorio autonomo curdo;

    lo sterminio sistematico delle minoranze etniche e religiose perpetrato in questi anni dal cosiddetto Isis/Daesh e le drammatiche conseguenze della crisi umanitaria nelle aree sotto assedio di Daesh hanno spinto le autorità del Governo iracheno e del Kurdistan iracheno a chiedere ufficialmente il supporto della comunità internazionale; l'intervento militare, mediante la formazione di una coalizione arabo-occidentale, guidata dagli Stati Uniti contro lo Stato islamico si è rivelato decisivo per fermare l'avanzata del cosiddetto Califfato in Iraq e Siria;

    le Forze democratiche siriane (Sdf) hanno fornito prove fotografiche del genocidio perpetrato in particolare contro bambini e la popolazione yazida e, secondo quanto riferito da Nadia Murad, avvocatessa e attivista per i diritti del popolo yazida insignita del Premio Nobel per la pace 2018, il «Daesh ha usato gli yazidi rapiti come scudi umani»;

    le persecuzioni perpetrate anche sui cristiani raggiungono numeri drammatici. Il 2 marzo 2018 le milizie sciite hanno rinvenuto una fossa comune con i corpi di quaranta cristiani nella piana di Ninive, l'ex roccaforte del sedicente Stato islamico. Numerosi rapporti, tra cui quello sulla libertà religiosa di «Aiuto alla Chiesa che soffre» e quello della Iraqi human rights society, denunciano il «genocidio lento e silenzioso» che sta cancellando comunità antichissime fino a decretarne la scomparsa. In Iraq i cristiani erano 1,3 milioni e ora sono meno di 300 mila. I cristiani assiri, il popolo indigeno dell'Iraq, eredi dell'antica civiltà mesopotamica e i primi convertiti al mondo al cristianesimo, sono a rischio di essere completamente sradicati dalla loro patria. Il rapporto rivela che «l'81 per cento dei cristiani dell'Iraq non c'è già più»;

    tali crimini di guerra non possono restare impuniti; l'intera comunità internazionale ha richiamato l'urgenza di garantire, con l'adozione di misure nazionali e il rafforzamento della cooperazione internazionale, giusti ed equi processi a tutela delle vittime; la stessa Commissione d'inchiesta delle Nazioni Unite sulla Siria ha denunciato nel suo report le gravi violazioni dei diritti umani nel conflitto siriano riconoscendo l'avvenuto «genocidio del popolo yazida»;

    riportare la pace duratura e la stabilità tra Siria e Iraq e normalizzare i rapporti nel difficile mosaico mediorientale non possono prescindere dall'accertamento dei crimini di Daesh contro le minoranze religiose e dal loro perseguimento da parte della comunità internazionale – tenendo conto che qualora uno Stato non riesca a proteggere la propria popolazione da persecuzioni e crimini contro l'umanità spetta alla comunità internazionale, in conformità alla Carta delle Nazioni Unite, intraprendere un'azione collettiva in quanto richiamata alla «responsabilità di proteggere» le popolazioni;

    in tal senso le numerose risoluzioni del Parlamento europeo, tra le quali rileva la risoluzione 2016/2529(RSP) sullo sterminio sistematico delle minoranze religiose da parte del cosiddetto «Isis/Daesh», approvata il 4 febbraio 2016 dal Parlamento europeo;

    la risoluzione n. 2253 del 2015 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha imposto ai Paesi membri delle Nazioni Unite l'obbligo giuridico di vietare qualsiasi tipo di assistenza al cosiddetto Isis/Daesh e ad altre organizzazioni terroristiche, in particolare la fornitura di armi e di aiuti finanziari, compreso il commercio illecito di petrolio;

    la risoluzione dell'Onu n. 2379, approvata all'unanimità nel settembre 2017, rappresenta la tappa di svolta epocale per perseguire i crimini di Daesh nel conflitto siriano-iracheno; tale risoluzione chiede al Segretario generale dell'Onu di istituire un investigative team, guidato da un inviato speciale, con lo specifico compito di coadiuvare le autorità irachene nel raccogliere, conservare e analizzare le prove degli atti commessi dai combattenti del Daesh, che potrebbero essere qualificati secondo il diritto internazionale come crimini di guerra, contro l'umanità e genocidio; spetta al Segretario generale dell'Onu presentare dei terms of reference, condivisi anche dal Governo iracheno e, sulla base di quanto previsto dal paragrafo 5 della medesima risoluzione, lo Stato iracheno manterrà la giurisdizione sui crimini commessi sul proprio territorio (giudici e professionisti iracheni faranno parte del team investigativo) e si specifica che qualsiasi altro utilizzo delle prove al di fuori delle corti nazionali dovrà essere deciso in accordo con il Governo dell'Iraq;

    l'articolo 2 della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 1948, di cui fanno parte anche Siria e Iraq, qualifica la fattispecie di genocidio in relazione alla sussistenza di sterminio, anche solo di una parte di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso;

    l'articolo 5 dello statuto di Roma della Corte penale internazionale dell'Aja stabilisce che la Corte ha competenza per crimini di genocidio, per crimini contro l'umanità, crimini di guerra e crimine di aggressione. L'attivazione della giurisdizione della Corte penale internazionale è, tuttavia, molto difficile; infatti, ai sensi dell'articolo 12 dello Statuto di Roma, ha giurisdizione sui reati commessi sul territorio degli Stati parte della Corte, o che hanno accettato la sua giurisdizione, o da cittadini di tali Stati. Va rilevato che, tra gli Stati che sono stati maggiormente colpiti dai crimini Daesh, solo la Nigeria è uno Stato parte, mentre nazioni come Siria e Iraq non hanno ratificato il trattato istitutivo della Corte penale internazionale e dunque la sua giurisdizione;

    inoltre, il procuratore della Corte penale internazionale avrebbe, al momento, escluso la possibilità di avviare un'indagine sui crimini compiuti anche da combattenti stranieri, sulla base della constatazione che i leader dell'Isis sono per lo più cittadini di Stati che non hanno accettato la giurisdizione della Corte;

    per far scattare la giurisdizione della Corte penale internazionale è necessario un deferimento da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, a norma del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, definendo la situazione in ciascuno degli Stati coinvolti;

    diversamente, la proposta di un tribunale internazionale ad hoc – avanzata dalla Svezia – per processare i membri dell'Isis consentirebbe il perseguimento dei crimini commessi da Daesh a livello internazionale; una corte internazionale, infatti, è in grado di scongiurare possibili giustizie sommarie da parte di singoli Stati; tuttavia, rimarrebbe insoluta una questione decisiva per i Paesi occidentali, qualora un tribunale internazionale ad hoc dovesse svolgersi su suolo iracheno, in quanto la legislazione dell'Iraq contempla la pena di morte per reati di terrorismo e attentato alla sicurezza nazionale;

    l'istituzione di un tribunale penale internazionale ad hoc, sulla scia del Tribunale penale internazionale per la ex-Jugoslavia o del Tribunale penale internazionale per il Ruanda, dovrebbe anch'esso passare attraverso una lunga procedura, mediante una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite adottata ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite;

    il 3 giugno 2019 dodici Paesi europei hanno inviato a Stoccolma, in Svezia, propri alti funzionari per partecipare a una riunione sotto la Presidenza del Ministro dell'interno svedese, al fine di vagliare la possibilità di istituire un tribunale speciale internazionale per giudicare i crimini di guerra da parte del Daesh contro le minoranze religiose e i reati di terrorismo di matrice jihadista, senza, purtuttavia, giungere ancora ad una conclusione condivisa;

    il nostro Paese, oltre ad aver contribuito alla coalizione internazionale contro Daesh, addestrando 30 mila unità militari e di polizia irachena, si è da sempre distinto per iniziative in difesa del diritto umanitario internazionale (promotore della moratoria internazionale contro la pena di morte, protagonista con la firma a Roma del Trattato istituivo della Corte penale internazionale, in prima linea, anche nell'ambito dell'Unione europea, per la tutela della libertà religiosa nel mondo); anche per il perseguimento dei crimini di guerra e di genocidio di Daesh l'Italia è chiamata a fornire il proprio contributo con iniziative diplomatiche in ambito bilaterale e multilaterale,

impegna il Governo:

1) a farsi promotore in tutte le sedi competenti, a livello europeo e nei consessi internazionali, affinché i crimini perpetrati da Daesh, contro le minoranze religiose durante il conflitto in Iraq e in Siria, vengano perseguiti punendo i responsabili e garantendo piena giustizia alle vittime delle persecuzioni su base etnica e religiosa, con particolare riferimento al popolo yazida;

2) ad attivarsi, con le iniziative di competenza, affinché i materiali e le prove raccolte, anche in relazione alle fosse comuni rinvenute dal 2014, comprese le attività svolte dal team investigativo internazionale – istituito con risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu n. 2379 del 2017 – non siano disperse e possano essere utilizzate, mediante deferimento alla Corte penale internazionale o a un tribunale internazionale speciale da istituire ad hoc, partecipando, altresì, ai focus di studio per la definizione giuridica di un'eventuale Corte speciale internazionale;

3) ad attivarsi, sia a livello bilaterale che multilaterale, affinché anche Siria e Iraq riconoscano nel proprio ordinamento le norme del diritto internazionale umanitario, con particolare riferimento ai reati di genocidio e ai crimini contro l'umanità;

4) ad attivarsi a livello europeo affinché sia data piena attuazione alle conclusioni della risoluzione del 4 febbraio 2016 del Parlamento europeo sullo sterminio sistematico delle minoranze religiose da parte del cosiddetto Isis/Daesh, con particolare riguardo all'istituzione di un rappresentante speciale permanente europeo per la libertà di religione e di credo e implementando quanto previsto al paragrafo 9, in relazione al rafforzamento dell'impegno al «contrasto della radicalizzazione» in tutti i Paesi appartenenti all'Unione europea e alla comunità internazionale, al fine di migliorare i «sistemi giuridici e giurisdizionali per evitare che loro cittadini e abitanti possano unirsi al cosiddetto Isis/Daesh e partecipare alle violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, nonché garantire che, qualora lo facciano, siano perseguiti penalmente quanto prima, anche qualora incitino attraverso la rete a perpetrare tali reati o li sostengano».
(1-00233) «Valentini, Gelmini, Carfagna, Fitzgerald Nissoli, Orsini».

Risoluzioni in Commissione:


   La XIII Commissione,

   premesso che:

    la canapa è una coltura tradizionale tipica del nostro Paese: fino alla metà del secolo l'Italia era infatti il secondo produttore mondiale dopo la Russia con 100 mila ettari seminati e un milione di quintali prodotti;

    nel 2016 il Parlamento ha approvato la legge n. 242 che reca tra le proprie finalità «il sostegno e la promozione della coltivazione e della filiera della canapa (Cannabis sativa L.), quale coltura in grado di contribuire alta riduzione dell'impatto ambientale in agricoltura, alla riduzione del consumo del suoli e della desertificazione e alla perdita di biodiversità, nonché come coltura da impiegare quale possibile sostituto di colture eccedentarie e come coltura da rotazione»;

    la stessa legge sostiene e promuove la coltivazione, la trasformazione e lo sviluppo delle filiere finalizzate alla produzione di prodotti tessili, di semilavorati da impiegare nella bioedilizia, nella componentistica, di prodotti alimentari principalmente semi, oli e farina. Se l'utilizzo della canapa quale prodotto tessile appare piuttosto problematico per gli altri costi, altri settori risultano particolarmente interessanti per le prospettive di realizzazione di margini economici rilevanti, che permetterebbero all'agricoltore di ottenere prezzi superiori per la materia prima, se paragonati a quelli attualmente riconosciuti ad altre produzioni (cereali);

    a seguito della nuova normativa, la coltivazione di canapa, dopo decenni di abbandono, ha registrato una crescita esponenziale nel nostro Paese: negli ultimi tre anni la superficie coltivata è passata da 950 a 3 mila ettari coinvolgendo centinaia di aziende-agricole;

    secondo quanto previsto dal suo articolo 1, comma 2, la legge n. 242 del 2016 «si applica alle coltivazioni di canapa delle varietà ammesse iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell'articolo 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002». Tuttavia, non sono previste definizioni che specifichino quale tipo di coltivazione sia ammessa, ad esempio in pieno campo e/o in serra, o quale metodo di moltiplicazione sia consentito;

    a questo proposito, nel maggio 2018, il Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo ha emanato la circolare n. 5059 nella quale si chiarisce che «è consentita la riproduzione di piante di canapa esclusivamente da seme certificato)», negando la possibilità di riproduzione per via agamica, attraverso il taleaggio;

    in particolare, l'articolo 4, comma 5, specifica che, «qualora all'esito del controllo il contenuto complessivo di THC della coltivazione risulti superiore allo 0,2 per cento ed entro il limite dello 0,6 per cento, nessuna responsabilità è posta a carico dell'agricoltore che ha rispettato le prescrizioni di cui alla presente legge», mentre il comma 7 del medesimo articolo dispone che «il sequestro o la distruzione delle coltivazioni di canapa impiantate nel rispetto delle disposizioni stabilite dalla presente legge possono essere disposti dall'autorità giudiziaria solo qualora risulti che il contenuto di THC nella coltivazione è superiore allo 0,6 per cento»;

    la legge non prevede l'istituzione del tavolo di filiera che, come avviene per altre colture, ha il compito di definire le attività da intraprendere per il sostegno del settore, a partire da un'analisi del comparto che ne metta in luce le potenzialità e i punti di debolezza, individuando le linee di ricerca che risulta più urgente perseguire, favorendo lo scambio di informazioni di natura tecnica e scientifica e indirizzando al contempo l'utilizzo delle risorse a disposizione;

    in particolare, l'attivazione della filiera alimentare, con la produzione di semi, farina e olio, particolarmente interessante per gli agricoltori/trasformatori che realizzerebbero a prezzi remunerativi un prodotto molto ricercato dal mercato e il cui approvvigionamento avviene attualmente principalmente attraverso l'importazione, necessita di chiarezza normativa allo scopo di permettere, da un lato, al produttore di operare in piena sicurezza e, dall'altro lato, al consumatore di acquistare un prodotto salubre e sicuro. A questo proposito, l'articolo 5 della legge n. 242 del 2016 sancisce che «con decreto del Ministro della salute, da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definiti i livelli massimi di residui di THC ammessi negli alimenti»;

    il sostegno al settore della canapicoltura e alla strutturazione delle filiere, si sostanzia nella norma finanziaria prevista dall'articolo 6 della legge n. 242 del 2016 secondo la quale «il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, compatibilmente con la normativa europea in materia di aiuti di Stato, destina annualmente una quota delle risorse disponibili a valere sui piani nazionali di settore di propria competenza, nel limite massimo di 700.000 euro, per favorire il miglioramento delle condizioni di produzione e trasformazione nel settore della canapa»;

    «una quota delle risorse iscritte annualmente nello stato di previsione del Ministero delle politiche agricole alimentari, e forestali e del turismo, sulla base dell'autorizzazione di spesa di cui alla legge 23 dicembre 1999, n. 499, può essere destinata, con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al finanziamento di progetti di ricerca e sviluppo per la produzione e i processi di prima trasformazione della canapa, finalizzati prioritariamente alla ricostituzione del patrimonio genetico e all'individuazione di corretti processi di meccanizzazione»;

    ad oggi, tuttavia, non sono state destinate risorse né a valere sui piani di zona nazionali di settore di competenza del Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo né a valere sui fondi di cui alla legge 23 dicembre 1999, n. 499;

    le sezioni unite penali della Corte di cassazione hanno depositato il 10 luglio 2019 le motivazioni della sentenza del 30 maggio 2019 sulla rilevanza penale della commercializzazione di prodotti derivati dalla Cannabis sativa, con un pronunciamento al di là del merito giuridico, sta creando forte preoccupazione in tutto il settore e in particolare in chi commercia prodotti in canapa;

    le motivazioni diffuse dalla Corte di cassazione, in merito alla sua sentenza del 30 maggio, avrebbero dovuto finalmente rispondere ai tanti dubbi che la sentenza di due mesi fa aveva suscitato tra i consumatori e, soprattutto, i commercianti;

    anche se infatti tutte le attività agricole e le attività di vendita da aziende agricole ad altre imprese di prodotti derivati da canapa industriale (come cosmetici, alimentari, manifatturieri, biomassa, colture per florovivaismo) non sono oggetto della citata sentenza della Corte di cassazione, purché conformi alle rispettive normative di settore, è evidente che il dibattito legato alla vendita di prodotti «cannabis light» abbia alimentato una confusione mediatica sulla modalità di commercializzazione del prodotto, penalizzando fortemente soprattutto la sua applicazione alimentare;

    un tema così delicato rischia di compromettere le opportunità di sviluppo del settore con centinaia di aziende agricole che hanno investito nella coltivazione, dalla Puglia al Piemonte, dal Veneto alla Basilicata, ma anche in Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Sicilia e Sardegna. Senza specifici chiarimenti normativi, la canapicolture italiana, malgrado le sue potenzialità, rischia di non essere in grado di confrontarsi coi prodotti stranieri presenti sul mercato italiano,

impegna il Governo:

   a definire, con urgenza, con decreto del Ministero della salute, i livelli massimi di residui di Thc ammessi negli alimenti così come previsto all'articolo 5 della legge n. 242 del 2016, ponendo così fine ai margini di incertezza per un compiuto inquadramento della tematica;

   ad adottare ogni iniziativa utile alla costituzione ufficiale del tavolo di filiera al fine di:

    a) favorire il reale sviluppo di intese di filiera sia per quanto riguarda le produzioni alimentari, sia quelle tessili, sia quelle impiegate nel settore della bioingegneria;

    b) intraprendere le iniziative necessarie, anche dal punto di vista normativo, per regolamentare e disciplinare l'uso di tutti i prodotti derivati dalla canapa sativa, compresi quelli a base di inflorescenze – anche alla luce dei contenuti del disciplinare sottoscritto il 20 giugno 2018 – per le produzioni alimentari, tessili e nel settore della bioingegneria;

   ad adottare ogni iniziativa volta all'assegnazione almeno delle risorse individuate dalla legge n. 242 del 2016 nelle modalità dalla stessa indicate, nonché per lo stanziamento di ulteriori risorse;

   ad assumere iniziative urgenti al fine di sanare il contrasto interpretativo tra le principali norme che disciplinano il comparto, contenute essenzialmente nella legge 12 febbraio 2016, n. 242, evidenziato in più valutazioni giurisprudenziali, al fine di garantire sia agli operatori del settore sia alle autorità preposte ai controlli norme certe entro cui operare.
(7-00298) «Cenni, Gadda, Critelli, Dal Moro, D'Alessandro, Incerti, Portas».


   La XIV Commissione,

   premesso che:

    il 18 dicembre 2018 la Corte dei conti europea ha pubblicato la relazione speciale n. 35/2018, intitolata «La trasparenza dei finanziamenti UE la cui esecuzione è demandata alle ONG: è necessario compiere maggiori sforzi»;

    l'audit – presentato dalla Corte ai sensi dell'articolo 287, paragrafo 4, secondo comma, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) – ha riguardato i principali settori d'intervento nei quali le organizzazioni non governative Ong gestiscono fondi dell'Unione europea e, in particolare, il settore più ampio di finanziamento, quello delle azioni esterne;

    secondo i dati contenuti nella relazione, si stima che, nel periodo 2014-2017 la Commissione europea abbia stanziato 11,3 miliardi di euro, affidandone l'esecuzione alle Ong che dovrebbero supportare la stessa Commissione ad ideare, attuare e monitorare programmi dell'Unione europea in molti settori d'intervento, quali gli aiuti umanitari e l'aiuto allo sviluppo, l'ambiente, la ricerca e l'innovazione;

    l'obiettivo della relazione speciale è proprio quello di valutare la trasparenza dei finanziamenti dell'Unione europea attuati tramite Ong: in particolare, la Corte ha dapprima valutato le modalità di identificazione di un'entità come Ong da parte della Commissione europea, per poi verificare la destinazione dei fondi la cui esecuzione è demandata alle medesime organizzazioni nonché il processo di adeguata raccolta, verifica e la messa a disposizione da parte della Commissione di queste informazioni sulle Ong modo trasparente;

    all'esito dei controlli effettuati, la Corte dei conti ha rilevato, da parte della Commissione, una gestione poco trasparente e inefficiente dei finanziamenti dell'Unione europea erogati alle Ong per attuare vari programmi europei, tale da rendere di fatto impossibili i controlli sui finanziamenti europei spesi;

    nella relazione si evince come le procedure di selezione delle Ong applicate da organismi delle nazioni Unite non sono state sempre trasparenti infatti «la Corte ha constatato che, per metà dei progetti a gestione indiretta inclusi nel campione di audit, le procedure di selezione delle ONG applicate dagli organismi delle Nazioni Unite mancavano di trasparenza; ciò nonostante, la Commissione aveva espresso una valutazione positiva al riguardo»;

    in particolare, per quanto riguarda il sistema di classificazione di organismi come le organizzazioni non governative, occorre ricordare che il termine Ong nonostante sia ampiamente utilizzato, non abbia una definizione ufficiale nel diritto internazionale né in quello dell'Unione europea: mentre in alcuni Stati membri lo status di Ong è determinato dalla forma giuridica di un'organizzazione, in altri dipende dalla natura delle attività svolte dall'organizzazione;

    in conseguenza di ciò, l'assegnazione dello status di Ong nel sistema contabile della Commissione, basata su autodichiarazioni, e i limitati controlli effettuati dalla Commissione, hanno fatto sì che il sistema attualmente utilizzato, a livello europeo, per classificare le organizzazioni come Ong non sia – secondo l'audit – affidabile e che nella maggior parte dei casi, l'ammissibilità al finanziamento dell'Unione europea non dipenda dallo status di Ong;

    la Corte ha, altresì rilevato che la Commissione non è sufficientemente trasparente circa l'utilizzo dei fondi dell'Unione europea da parte di Ong, non disponendo di informazioni sufficientemente dettagliate su come viene speso il denaro e che una simile mancanza di chiarezza si riscontra anche nei casi in cui i fondi dell'Unione europea sono erogati indirettamente alle Ong, tramite organismi delle Nazioni Unite;

    la Corte osserva inoltre che i dati raccolti sui fondi dell'Unione europea utilizzati da Ong non sono uniformi, e che la Commissione non dispone di informazioni complete, specie per reti di Ong internazionali e per progetti a gestione indiretta, la cui mancanza di informazioni disponibili ostacola i controlli sulle spese;

    in conclusione, la Corte ha eccepito un preoccupante deficit di trasparenza nella gestione e nell'esecuzione dei finanziamenti europei attuati tramite Ong, a causa di un carente e incompleto apparato informativo sui fondi ricevuti e sui contratti conclusi con le Ong, così come a un lacunoso sistema di controllo da parte della stessa Commissione europea,

impegna il Governo:

   ad attivarsi, nelle opportune sedi istituzionali, avvalendosi anche della collaborazione delle istituzioni nazionali di controllo degli Stati membri, in uno spirito di reciproca fiducia e cooperazione, affinché si proceda sia ad una indagine sullo stato dei finanziamenti de quo al fine di verificare i beneficiari e rendicontare le risorse impegnate, sia ad una revisione dell'apparato informativo attinente alle Ong all'interno del sistema contabile della Commissione europea, al fine di pervenire ad un sistema unico, centralizzato e interconnesso per la registrazione e gestione delle sovvenzioni, con l'obiettivo di migliorare l'esattezza e l'attendibilità delle informazioni sulle Ong che attuano azioni dell'Unione europea, nonché rafforzare la trasparenza delle medesime informazioni raccolte e pubblicate dalla commissione sui fondi spesi;

   ad attivarsi affinché, come indicato dalla Corte, sia garantita la certezza che, in regime di gestione indiretta, gli organismi richiedenti fondi dell'UE debbano necessariamente dimostrare una capacità di gestione finanziaria e di tutela degli interessi finanziari dell'UE equivalente a quella della Commissione e che i richiedenti agevolino i controlli da parte della Commissione per verificare le informazioni sulle strutture delle entità attuatrici;

   ad attivarsi nelle opportune sedi, per quanto di competenza, affinché la Commissione europea provveda a standardizzare le proprie rendicontazioni sulle Ong che attuano azioni dell'Unione europea, attraverso l'adozione, per tutti i propri servizi, di un approccio uniforme alla pubblicazione nel sistema di trasparenza finanziaria, assicurandosi che vengano indicati tutti i beneficiari incaricati dall'Unione europea, insieme all'importo del finanziamento concesso e alle modalità di gestione e di spesa dei fondi, allo scopo di garantire un controllo rigoroso su come sono ripartiti e spesi i suddetti finanziamenti dell'Unione, nonché la massima trasparenza nei confronti dei contribuenti dell'Unione europea;

   ad attivarsi, nelle opportune sedi istituzionali, affinché si proceda ad una revisione e conseguente armonizzazione, anche a livello di normativa europea, del sistema di assegnazione dello status di Ong, apportando le modifiche e le necessarie integrazioni alla classificazione definita dalla comunicazione della Commissione del 1997, attraverso l'indicazione di criteri ad hoc ai fini della classificazione nel sistema contabile della Commissione, per garantire maggiore attendibilità e uniformità alle entità individuate e classificate come Ong.
(7-00299) «Scerra, Maggioni, Giglio Vigna, Berti, Bruno, De Giorgi, Di Lauro, Galizia, Giordano, Olgiati, Papiro, Penna, Torto, Leda Volpi, Bazzaro, Bianchi, Andrea Crippa, Di Muro, Iezzi, Molinari, Murelli».


   La XIV Commissione,

   premesso che:

    risulta che la Corte dei conti europea, ai sensi dell'articolo 287, paragrafo 4, secondo comma, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, ha depositato la relazione speciale su «La trasparenza dei finanziamenti dell'Unione europea la cui esecuzione è demandata alle ONG: è necessario compiere maggiori sforzi»;

    risulta che le Ong aiutano la Commissione europea ad ideare, attuare e monitorare programmi dell'Unione europea in molti settori d'intervento, quali gli aiuti umanitari e l'aiuto allo sviluppo, l'ambiente, la ricerca e l'innovazione. Si stima in tale relazione che, nel periodo 2014-2017 la Commissione abbia pianificato spese per 11,3 miliardi di euro, affidandone l'esecuzione proprio ad Ong;

    emerge, in particolare, che la Commissione dia esecuzione tramite organizzazioni non governative ai propri obiettivi istituzionali per un equivalente dell'1,7 per cento del bilancio dell'Unione europea e del 6,8 per cento dei Fondi europei di sviluppo (Fes);

    le organizzazioni non governative sono dunque protagoniste essenziale delle politiche europee e tutti i cittadini italiani dovrebbero essere grati ai volontari che vi operano, che certamente non costituiscono «taxi del mare» come sono state apostrofate dal Ministro Di Maio, ma fino ad oggi si sono adoperate per salvare centinaia di vite umane. Uomini, donne e bambini che fuggono da situazioni di guerra, disagio o dai campi libici, luoghi di vera e propria detenzione, dove sono rinchiusi e sottoposti a condizioni di vita disumane e molto spesso a violenze e torture di ogni genere, come è stato denunciato da numerose organizzazioni internazionali, tra le quali l'Unhcr;

    risulta tuttavia che i dati raccolti sui fondi dell'Unione europea utilizzati da Ong non sono uniformi, e che la Commissione non dispone di informazioni complete, specie per reti di Ong internazionali e per progetti a gestione indiretta. Per di più, nella gestione indiretta, la mancanza di informazioni disponibili ostacola i controlli sulle spese;

    in taluni casi le Ong dovrebbero fare degli sforzi ulteriori per adeguarsi agli obblighi di trasparenza nell'utilizzo di risorse che spesso richiedono un notevole sforzo burocratico;

    nella gestione indiretta, inoltre, la mancanza di informazioni disponibili ha ostacolato i controlli della Commissione sulle spese dichiarate;

    le informazioni sui fondi dell'Unione europea la cui attuazione è demandata alle Ong vengono pubblicate in numerosi sistemi, ma le informazioni rese disponibili sono limitate. Nel fornire dati sugli aiuti umanitari e sugli aiuti allo sviluppo nel settore delle azioni esterne, la Commissione ha rispettato, in genere, i princìpi di trasparenza internazionali;

    per cinque dei sei progetti controllati, gli organismi delle Nazioni Unite non hanno pubblicato, o hanno pubblicato solo in parte, i contratti aggiudicati ad Ong e la Commissione non ha controllato se detti organismi avessero rispettato tale obbligo;

    sulla base delle osservazioni riportate nella relazione, la Corte ha formulato una serie di raccomandazioni volte a migliorare la trasparenza dei fondi dell'Unione europea la cui attuazione è demandata ad Ong. La Corte raccomanda alla Commissione di:

     a) migliorare l'attendibilità delle informazioni sulle Ong nel proprio sistema contabile;

     b) verificare l'applicazione di norme e procedure riguardo ai subcontratti di sovvenzione conclusi con Ong;

     c) migliorare le informazioni raccolte sui fondi la cui attuazione è demandata ad Ong;

     d) adottare un approccio uniforme alla pubblicazione di dettagli sui fondi forniti alle Ong e verificare che gli organismi delle Nazioni Unite pubblichino dati completi e accurati sui contratti aggiudicati a Ong utilizzando fondi dell'Unione europea,

impegna il Governo

ad attivarsi nelle opportune sedi, per quanto di competenza, affinché la Commissione europea dia seguito alle raccomandazioni della Corte dei conti europea al fine di migliorare la trasparenza nell'utilizzo e nell'esecuzione dei fondi europei da parte di soggetti, quali Ong negli importanti settori di intervento, in particolare quello delle azioni esterne, in cui aiutano e supportano la Commissione europea ad ideare, attuare e monitorare programmi dell'Unione europea.
(7-00300) «De Luca, Berlinghieri, Rotta, Giachetti, Mauri, Raciti, Sensi».

ATTI DI CONTROLLO

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   MINARDO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   c'è una forte polemica in questi giorni in provincia di Ragusa riguardo alle analisi condotte da Goletta Verde sul mare di Scicli e Modica per verificare lo stato di salute delle acque. Dalle notizie fornite dal sindaco di Scicli, nel corso di una conferenza stampa, Legambiente starebbe attuando una pratica molto pericolosa qual è l'allarmismo. Il primo cittadino ha puntualizzato che i dati forniti dall'Asp, azienda sanitaria provinciale, certificano come il mare di Scicli sia balneabile in ogni suo punto, mentre Legambiente, dopo aver effettuato i prelievi nel pantano Arizza, distante e diviso dal mare da una serie di dune, asserisce il contrario e segnala che le acque non sono balneabili;

   una situazione che, in generale, si verifica ogni anno allorquando si crea una certa confusione causata da dati che provenienti da diverse fonti che in genere sono sempre contrastanti. Questo comporta, allarmismo e grave nocumento soprattutto per l'immagine del territorio che vede compromesso il turismo e l'economia ad esso legata. Non è possibile assistere ad azioni di sciacallaggio che creano confusione e panico nella popolazione;

   il fine ultimo di tutti è quello della tutela del mare e della sua salvaguardia –:

   quali iniziative il Governo, nell'ambito delle sue competenze, intenda adottare, per avviare una più approfondita verifica della situazione relativa all'inquinamento delle acque marine che ha generato grande confusione e allarmismo;

   se intenda promuovere, per quanto di competenza, un'attività di monitoraggio che consenta di diffondere dati corretti previo confronto con le aziende sanitarie, la capitaneria di porto e la guardia costiera, gli enti locali e le associazioni ambientaliste.
(4-03440)


   MUGNAI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   la legge 6 dicembre 1991, n. 394, «Legge quadro sulle aree protette», fornisce una normativa organica e unitaria per il funzionamento dei parchi, da cui deriva oggi l'intero sistema delle aree protette italiane;

   il decreto del Presidente della Repubblica 12 luglio 1993, recante «Istituzione dell'Ente parco nazionale delle Foreste Casentinesi», ha istituito l'ente di gestione parco foreste Casentinesi;

   il parco ha una estensione di circa 36.843, ripartiti in quattro zone a tutela differenziata; interessa le regioni Toscana ed Emilia-Romagna, rispettivamente per 18 mila ettari e 18.200 ettari; interessa le province di Forlì (18.200 ettari), Arezzo (14.100 ettari) e Firenze (3.900 ettari); interessa i comuni di: Bagno di Romagna, Santa Sofia, Premilcuore, Portico – San Benedetto e Tredozio (Forlì-Cesena); Chiusi della Verna, Bibbiena, Poppi, Pratovecchio Stia (Arezzo); Londa e San Godenzo (Firenze);

   l'articolo 9 della legge n. 394 del 1991 stabilisce che l'ente parco «ha personalità di diritto pubblico, sede legale e amministrativa nel territorio del parco ed è sottoposto alla vigilanza del Ministro dell'ambiente», e che gli organi di indirizzo politico-amministrativo sono il presidente, il consiglio direttivo, la giunta esecutiva e la comunità del parco;

   l'articolo 24, recante «Organizzazione amministrativa del parco naturale regionale», specifica che «In relazione alla peculiarità di ciascuna area interessata, ciascun parco naturale regionale prevede, con apposito statuto, una differenziata forma organizzativa, indicando i criteri per la composizione del consiglio direttivo, la designazione del presidente e del direttore, i poteri del consiglio, del presidente e del direttore, la composizione e i poteri del collegio dei revisori dei conti e degli organi di consulenza tecnica e scientifica, le modalità di convocazione e di funzionamento degli organi statutari, la costituzione delle comunità del parco»;

   lo statuto del parco delle foreste Casentinesi, all'articolo 6, prevede che il presidente è nominato con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con il presidente della regione e dura in carica 5 anni rinnovabili una sola volta. Ha la legale rappresentanza dell'ente parco, ne coordina l'attività, presiede il consiglio direttivo e la giunta esecutiva coordinandone l'attività ed emana gli atti a lui espressamente demandati dalle leggi, dai regolamenti e dallo statuto;

   il presidente, ai sensi dei commi 7-8 dell'articolo 6 dello statuto, impartisce le linee generali per l'azione amministrativa e gestionale e verifica la rispondenza dei risultati della gestione amministrazione alle direttive impartite;

   ad oggi l'incarico dell'ex presidente risulta cessato il 4 agosto 2018; lo stesso era stato nominato con decreto ministeriale n. 197 del 21 giugno 2013;

   risulterebbe vacante anche il posto di direttore del parco (nominato ai sensi del comma 11 dell'articolo 9 della legge n. 394 del 1991), incarico scaduto il 10 gennaio 2019, il quale tra le sue funzioni e qualità è responsabile del personale dipendente dell'ente;

   anche la giunta esecutiva, a quanto si apprende dalla consultazione del sito web del Parco – sezione amministrazione trasparente-organizzazione-titolari di incarichi politici, di amministrazione o di governo, non è stata ancora ricostituita;

   è quantomeno opportuno che, a distanza di circa un anno dalla scadenza dell'incarico del presidente, dalla vacanza della figura del direttore e dalla mancata ricostituzione della giunta esecutiva si sblocchi lo stallo amministrativo-gestionale, e l'ente parco possa tornare a svolgere in pienezza le funzioni attribuite dalla legge –:

   se il Ministro interrogato intenda adottare le iniziative di competenza per sbloccare l’impasse amministrativo e gestionale dell'ente parco nazionale delle foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna.
(4-03442)


   ILARIA FONTANA e D'IPPOLITO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   l'inceneritore di San Vittore (FR) è stato autorizzato con decreto commissariale n. 72 del 25 luglio 2007 del commissario delegato per l'emergenza ambientale nel territorio del Lazio;

   attualmente all'inceneritore Acea di San Vittore è permesso bruciare circa 400 mila tonnellate di rifiuti all'anno. Il precedente limite era di 300 mila tonnellate complessive per tutte e tre le linee di incenerimento presenti;

   tale incremento ha avuto luogo per effetto dell'articolo 35 della legge n. 164 del 2014, in virtù del quale la regione Lazio ha consentito all'impianto in questione l'adeguamento del carico termico al massimo consentito;

   nella determinazione G07575/2015 la direzione rifiuti della regione Lazio specificava tuttavia che la linea di incenerimento n. 1, in fase di revamping, doveva essere sottoposta a valutazione di impatto ambientale (Via) come previsto dalla normativa vigente in materia. Nella citata determinazione G00063 del 13 gennaio 2016 della regione Lazio si fa invece presente che per quanto riguarda l'autorizzazione all'esercizio della linea 1 questo sarebbe stato autorizzato a seguito dell'invio dei certificati di collaudo tecnico-funzionale con determinazione di presa d'atto, quindi senza Via;

   l'assenza di una procedura di Via ha comportato di conseguenza anche l'assenza di una qualsiasi valutazione di impatto sanitario, di cui al decreto legislativo n. 104 del 2017;

   nel dicembre 2016, a fronte di una dichiarazione del gestore di poter far funzionare l'impianto fino a raggiungere 8400 ore annuali, la regione Lazio ha autorizzato con determina dirigenziale n. G15589 la combustione di ulteriori diecimila tonnellate di rifiuti all'anno;

   la sentenza dell'8 maggio 2019 della Corte europea in merito alla causa C-305/18 ha ribadito che una normativa che determina in aumento la capacità degli impianti di incenerimento dei rifiuti esistenti e che prevede la realizzazione di nuovi impianti di tale natura deve essere soggetta ad una valutazione ambientale preventiva;

   nel Rapporto «Epidemiologia Rifiuti Ambiente Salute nel Lazio – ERAS Lazio» del 2013 si legge riguardo gli inceneritori di San Vittore e di Colleferro che «L'analisi della morbosità associata all'inquinamento prodotto dai termovalorizzatori dopo la loro entrata in funzione ha evidenziato, per i residenti di sesso maschile nelle zone ad alta esposizione, un eccesso di ospedalizzazioni per malattie dell'apparato respiratorio (+26 per cento) e malattie polmonari cronico ostruttive (+86 per cento). Tra i bambini (0-14 anni) si osserva un aumento dei ricoveri per cause naturali e malattie dell'apparato respiratorio a seguito della attivazione degli impianti nella zona ad alta concentrazione di PM10»;

   l'articolo 206-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006 stabilisce, al comma 1, che «il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare vigila sulla gestione dei rifiuti, degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio»; l'impianto di San Vittore nel Lazio presenta, inoltre, l'anomalia, rispetto ad altri inceneritori, di generare elevati quantitativi di ceneri pericolose rispetto ai quantitativi di ceneri e scorie non pericolose prodotte;

   nel raggio di pochi chilometri si trovano, inoltre, un inceneritore da circa 90 mila tonnellate annue e cementerie che utilizzano combustibili solidi secondari, aumentando quindi l'impatto sull'ambiente e sulla salute di un'area che si estende dalla provincia di Isernia in Molise fino ai comuni del Cassinate nel Lazio –:

   di quali elementi disponga il Governo in ordine alle ragioni che portano alla citata produzione di ceneri pericolose nell'impianto di San Vittore e se intenda promuovere una verifica da parte del comando dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente e adottare le iniziative di competenza per emanare linee guida per ridurre al minimo tali emissioni;

   quali iniziative di competenza il Ministro della salute intenda adottare per addivenire a indagini o studi epidemiologici nell'area in questione per valutare gli effetti sulla salute generati dall'incremento delle emissioni degli inceneritori.
(4-03445)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta scritta:


   CARBONARO, TRAVERSI, RIZZONE, MASSIMO ENRICO BARONI e LEDA VOLPI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

   l'Opera Pia Ospedaliera fondata dalla duchessa di Galliera nel 1877, sotto il nome di «Opera Pia De Ferrari Brignole Sale», è stata trasformata, ai sensi della legge 12 febbraio 1968, n. 132, in ente ospedaliero (ridenominato «Ospedali Galliera») con decreto del Presidente della Repubblica 26 settembre 1969, n. 392, riconosciuto ospedale di rilievo nazionale e di alta specializzazione con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 luglio 1995;

   tale ente è un soggetto erogatore pubblico equiparato facente parte del sistema sanitario pubblico allargato per espressa previsione dell'articolo 2 della legge regionale della Liguria n. 41 del 2006;

   per volontà della fondatrice, recepita dall'articolo 9, comma 9, della legge n. 132 del 1968, «nulla è innovato in rapporto allo statuto ed alle tavole di fondazione», ma si specifica, significativamente: «per quanto riguarda la composizione del consiglio di amministrazione dell'ospedale Galliera di Genova»;

   la fondatrice pose un vincolo di destinazione nelle tavole di fondazione dell'Opera Pia BrignoleSale De Ferrari, poi recepite in regi decreti tuttora vigenti, che prevedono la destinazione dell'area «alla cura e all'accoglienza dei poveri infermi»;

   il complesso architettonico è oggi oggetto di un progetto di riqualificazione e ampliamento della struttura edificata diviso in diversi lotti;

   con specifico riferimento al secondo lotto di intervento, si segnala che l'E.O. Galliera, con il parere favorevole della Soprintendenza ai beni monumentali, intende destinare i padiglioni monumentali (B4, B5, B6, B7 e B8), oggi adibiti a degenze ospedaliere, a ultronee e ibride funzioni: spogliatoi del personale, cucine, camere mortuarie, mense, magazzini, uffici amministrativi e altro;

   tali nuove destinazioni risultano incompatibili con la monumentalità del sito storico, che ne risulterebbe irreversibilmente danneggiato, violando, inoltre, il vincolo di destinazione d'uso;

   il sito prescelto per l'edificazione Nuovo Galliera presenta un elevato interesse archeologico in quanto, come emerge da ampia documentazione storica, nell'area sorgevano alcuni edifici storici tra cui conventi e fortilizi, tanto che da un solo scavo realizzato dalla Soprintendenza, senza neppure raggiungere le quote interessate dai livelli archeologici, sono stati raccolti reperti storici che indicano chiaramente una frequentazione antropica a partire dall'età romana;

   si evidenzia, inoltre, che, così come richiesto in passato dalla Soprintendenza archeologica, sarebbe stato opportuno procedere a maggiori scavi e non, come poi ottenuto dall'ente Galliera, rimandare le verifiche alla fase di esecuzione dell'opera –:

   se il Ministro interrogato non intenda adottare le iniziative di competenza per procedere a un'ulteriore verifica di quanto segnalato in premessa ai fini di preservare il patrimonio artistico e archeologico dell'area in questione.
(4-03436)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   GEMMATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 9-bis del decreto-legge n. 50 del 24 aprile 2017 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 96 del 21 giugno 2017) ha introdotto l'applicazione degli indici sintetici di affidabilità fiscale (Isa) all'annualità d'imposta in corso al 31 dicembre 2018 in sostituzione tanto degli studi di settore quanto dei parametri;

   con il provvedimento dell'Agenzia delle entrate del 10 maggio 2019, prot. n. 126200/2019, sono state disciplinate le regole di applicazione degli Isa ovvero livelli di affidabilità e anomalia, benefici premiali, livelli minimi di affidabilità fiscale e modalità di acquisizione massiva dei dati;

   pare che il software di elaborazione degli Isa sia stato rilasciato solo in data 11 giugno 2019 e poi, nel corso del tempo, siano state rilasciate ulteriori versioni di aggiornamento, evidentemente volte al miglioramento dei processi di gestione e di elaborazione dello stesso;

   nonostante gli aggiornamenti di versione del software, l'ultima in ordine di tempo del 19 luglio 2019 (versione 1.0.4.), secondo quanto si evince da fonti di stampa, continuerebbero a sussistere diverse anomalie e problematicità al punto da inficiarne il grado di affidabilità. In particolare, sussisterebbero problemi legati ai dati precalcolati forniti dall'Agenzia delle entrate e al loro eventuale successivo controllo e alla valutazione dei risultati degli Isa, nonché difficoltà nel comprendere se taluni esiti dipendano da una errata compilazione dei modelli o, piuttosto, dall'inserimento di dati non corretti;

   le anomalie segnalate potrebbero determinare disagi in ordine agli adempimenti posti a carico dei contribuenti. Infatti, l'Aidc e l'Ungdcec, Associazioni sindacali dei dottori commercialisti, hanno sottoposto la problematica al Governo e all'Associazione nazionale garanti del contribuente in una istanza inoltrata il 24 maggio 2019. In particolare, le associazioni hanno segnalato che i problemi derivanti dall'introduzione degli Isa dalla relativa disciplina e dal software, ancora non perfettamente testato, non garantirebbero ai contribuenti, e ai professionisti che li assistono, le più adeguate e opportune condizioni utili a poter adempiere agli obblighi fiscali, così come, invece, disposto proprio dall'articolo 6, comma 3, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (statuto del contribuente), rubricato «Conoscenza degli atti e semplificazione». Pertanto, la soluzione prospettata dalle ridette associazioni sarebbe quella della disapplicazione degli Isa al periodo d'imposta 2018;

   proprio a causa dei ritardi nel rilascio del software, e dei relativi ed evidenti disagi, a tutt'oggi esistenti, la scadenza dei versamenti delle imposte, senza maggiorazione dello 0,40 per cento, inizialmente fissata al 1° luglio 2019 (cadendo di domenica il 30 giugno 2019) anche per i contribuenti che svolgono attività interessate dagli Isa, è stata solo per questi ultimi soggetti differita al 30 settembre 2019;

   più recentemente, in un comunicato stampa del 17 luglio 2019, il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili (Cndcec), attesa la grave situazione di disagio che l'introduzione degli Isa sta causando tanto ai contribuenti quanto agli operatori del settore, commercialisti in primis, e ritenuta insufficiente la proroga al 30 settembre delle scadenze di versamento, ha chiesto di riconoscere per il 2018 la natura meramente facoltativa della compilazione dei modelli Isa;

   con riferimento alle problematiche descritte in premessa, il Sole 24 ore attribuirebbe al Viceministro dell'economia e delle finanze Massimo Garavaglia, le seguenti affermazioni: «...gli ISA appartengono ad un mondo che non c'è più...» perché «...con la fatturazione elettronica il tema dell'evasione viene risolto...». Si potrebbe «...anche abolirli...» –:

   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero e, in caso affermativo, quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di garantire ai contribuenti le condizioni più adeguate ed opportune per adempiere alle obbligazioni tributarie, in particolar modo in vista della scadenza del versamento delle imposte e dell'invio telematico delle dichiarazioni dei redditi;

   se ritenga opportuno adottare iniziative per disapplicare gli Isa per l'anno d'imposta 2018 ovvero renderne facoltativa l'applicazione.
(4-03437)


   CIPRINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 10 del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019, n. 58, recante «Modifiche alla disciplina degli incentivi per gli interventi di efficienza energetica e rischio sismico» (cosiddetto ecobonus e sismabonus) prevede l'opzione, per i clienti-consumatori, di avere uno sconto in fattura da parte delle imprese che effettuano lavori per interventi di realizzazione di opere finalizzate all'installazione di impianti basati sull'impiego delle fonti rinnovabili di energia e per interventi di riduzione del rischio sismico, in alternativa al credito d'imposta da utilizzare in compensazione negli anni successivi;

   tale contributo è recuperato dal fornitore sotto forma di credito d'imposta, di pari ammontare, da utilizzare in compensazione, in cinque quote annuali di pari importo, senza l'applicazione dei limiti di compensabilità;

   il fornitore dell'intervento ha, a sua volta, facoltà di cedere il credito di imposta ai propri fornitori di beni e servizi, con esclusione della possibilità di ulteriori cessioni da parte di questi ultimi;

   come annunciato in un ricorso all'Autorità garante della concorrenza e del mercato e alla Commissione europea presentato dalla Confederazione nazionale degli artigiani (Cna) affinché venga dichiarata illegittima la norma, il meccanismo appare foriero di generare rilevanti criticità sul mercato, poiché altera la concorrenza, restringendo la libertà di scelta dei consumatori, dal momento che solo pochi grandissimi operatori possono permettersi di rinunciare a incassare integralmente le fatture, trasformandole in un credito di imposta da utilizzare in 5 anni;

   inoltre, la misura delineata dalla norma provocherebbe anche rilevanti impatti sulla tenuta economico-finanziaria delle piccole e medie imprese del settore artigiano; particolarmente colpite risulterebbero le imprese dell'impiantistica, del legno e dell'arredamento, poiché la struttura finanziaria e la mancanza di «capienza operativa» non consentirebbero loro di assorbire una riduzione di fatturato importante che si produrrebbe per effetto dello sconto degli incentivi in fattura;

   secondo gli uffici studi Unicmi e FederlegnoArredo «Nel caso di applicazione della detrazione in fattura, le aziende serramentistiche (che, in alcuni casi realizzano anche più del 50 per cento delle proprie vendite nel mercato della sostituzione degli infissi residenziali), andrebbero matematicamente in perdita e difficilmente riuscirebbero a resistere per più di un anno» con prevedibili effetti sulla produzione e sull'occupazione del Paese;

   a giudizio dell'interrogante appare opportuna una riconsiderazione della disposizione di cui all'articolo 10 del decreto-legge n. 34 del 2019, relativamente agli incentivi per gli interventi di efficienza energetica e a rischio sismico –:

   quali urgenti iniziative, anche di carattere normativo, intendano intraprendere i Ministri interrogati per quanto di competenza, al fine di riconsiderare l'impianto normativo dell'articolo 10 del decreto-legge n. 34 del 2019 ed evitare che artigiani e piccole e medie imprese subiscano gli effetti negativi e penalizzanti derivanti dall'attuazione del meccanismo del credito di imposta nei termini delineati dalla norma richiamata.
(4-03439)


   PRISCO e ZUCCONI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   le disposizioni di cui all'articolo 10 del «decreto crescita», nell'intento condivisibile di riconoscere, a chi opera ristrutturazioni in regime di «ecobonus» e «sismabonus», una fruizione immediata dell'agevolazione fiscale tramite sconto in fattura, pongono tuttavia l'onere finanziario dell'operazione a carico di produttori e fornitori, arrecando un duro colpo al tessuto imprenditoriale;

   in particolare l'articolo 10 del «decreto crescita» (convertito, con modificazioni, dalla Legge 28 giugno 2019, n. 58), al comma 1, prevede una modifica all'articolo 14 del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63 (convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 90), che inserisce la possibilità, per il titolare dello sgravio fiscale dell'ecobonus o del sismabonus, di ricevere, in luogo dell'utilizzo della detrazione, uno sconto del 50 per cento direttamente in fattura, ossia a carico dell'impresa che potrà sì recuperare il contributo concesso, ma solo sotto forma di credito d'imposta di pari valore e, quindi, esclusivamente in compensazione e in cinque anni. Di fatto, le somme immediatamente risparmiate dal consumatore sono risorse dell'impresa ma dalla stessa non utilizzabili e l'impresa, incassando cinquanta invece di cento e dovendo con quel cinquanta pagare i propri fornitori e coprire i costi vivi dell'attività, contrarrà un debito che moltiplicato per «n» clienti, la porterà alla chiusura;

   il decreto prevede anche che il produttore possa, a sua volta, cedere il credito vantato al proprio fornitore, che però non potrà fare altrettanto con istituti di credito e altri intermediari finanziari e quindi nessun fornitore si accollerà mai né il credito vantato dall'impresa né gli oneri finanziari e i relativi rischi dell'operazione, dato che, in linea di massima, nessun fornitore ha una tale capacità di assorbire il credito di imposta che gli verrebbe riversato dai propri clienti, perlomeno nessun fornitore che non sia un grande gruppo;

   come ben evidenziato anche dal pronunciamento del 1° luglio 2019 dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato lo sconto in fattura per i lavori relativi a «ecobonus» e «sismabonus» porterà a «restringere la concorrenza con effetti negativi sui consumatori e a danneggiare artigiani, piccole e medie imprese». Le piccole e medie imprese italiane non hanno, in linea di massima, la capacità economica di sopportare il peso di un tale provvedimento. Al contrario, rischiano di perdere un ulteriore e fondamentale segmento di mercato, già fortemente eroso proprio dai grandi gruppi e dalle multiutility, che possono invece vantare rilevanti crediti di imposta da compensare e hanno le capacità economiche ed organizzative adeguate a cogliere quanto previsto dalla norma in questione –:

   se il Governo non intenda adottare con urgenza iniziative normative per impedire che il meccanismo di sconto diretto in fattura, così come previsto dall'articolo 10 del «decreto crescita», produca i suoi effetti in danno evidente del tessuto produttivo italiano prevalentemente costituito da piccole e medie imprese che non potrebbero in nessun modo sostenere l'onere finanziario di tali disposizioni.
(4-03443)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIAMPI e CENNI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

   la Costituzione sancisce, all'articolo 27, che le pene «devono tendere alla rieducazione del condannato», riconoscendo, accanto alla funzione preventiva e retributiva della pena, quella rieducativa;

   tra le attività rieducative presenti negli istituti di pena vi è il teatro: tale esperienza nasce negli anni ’70 del secolo scorso con l'obiettivo di proporre ai detenuti misure alternative alla detenzione e avviare effettivi ed efficaci processi di rieducazione sociale;

   in Italia il teatro in carcere è ormai una realtà diffusa. Da quando nel 1988 Armando Punzo iniziò l'esperienza della Compagnia della fortezza nella casa di reclusione di Volterra, i laboratori, gli spettacoli, le attività teatrali con i detenuti si sono moltiplicati in numerose case di detenzione del Paese;

   nella casa di reclusione di Volterra la struttura carceraria è situata all'interno della Fortezza medicea di Volterra; la compagnia teatrale produce mediamente uno spettacolo all'anno, presentato sia all'interno della casa di reclusione che all'esterno in occasione di stagioni teatrali, festival ed eventi. Molti di questi spettacoli, al pari dell'impegno profuso dai detenuti-attori, sono stati insigniti di premi tra i più ambiti nel mondo del teatro e continuano a riscuotere consensi tra addetti ai lavori, pubblico e operatori;

   ad oggi l'attività della compagnia si svolge però nel piccolo teatro «Renzo Graziani», ossia una saletta di circa 40 metri quadri con una capienza limitatissima, e in altre celle dismesse e utilizzate come sala costumi, sartoria e sala trucco nonché in un cortile esterno;

   la Fortezza medicea, al momento, non è infatti dotata di spazi adeguati atti a incrementare l'efficacia del potenziale così creato. Tuttavia, sono presenti aree non utilizzate all'interno delle quali si potrebbe procedere con opportuni interventi architettonici al fine di ovviare a questa problematica;

   nel corso di una Conferenza stampa che si è svolta il 28 maggio a Firenze Ettore Barletta, direttore dell'ufficio tecnico dell'amministrazione penitenziaria, ha presentato alcuni progetti per la costruzione di un teatro stabile nel carcere di Volterra;

   nel corso dell'evento il garante regionale dei diritti dei detenuti Franco Corleone ha annunciato uno sciopero della fame denunciando che il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap) ha stanziato da oltre un anno un milione di euro per realizzare il teatro di circa 200 posti all'interno del carcere ma che tale progetto è stato bloccato «a causa della burocrazia, del temporeggiamento delle istituzioni e dei dubbi di alcuni degli attori coinvolti, tra cui la sovrintendenza pisana che ha cambiato guida recentemente»;

   lo stesso Armando Punzo ha sottolineato come la trentennale attività teatrale e il suo indotto abbiano «modificato un carcere che in passato era noto per la sua durezza, costruendo ponti con la società esterna e realizzando una metodologia di lavoro teatrale apprezzata a livello internazionale (...). A Genova, nel carcere di Marassi, è stata realizzata ex novo, in un cortile in disuso, una sala da 200 posti (...). Perché a Volterra non si può?»;

   l'attività portata avanti dalla compagnia si è rivelata, infatti, proficua e feconda sotto diversi aspetti: il recupero del detenuto e la sua riabilitazione all'interno della società civile nonché nel rapporto con gli operatori interni all'istituto di reclusione medesimo. L'effetto benefico dell'attività svolta tocca più aspetti della personalità e del carattere, con efficacia positiva relativamente all'intersocialità del detenuto, influendo inoltre sulla possibilità di un suo inserimento lavorativo –:

   se quanto riportato in premessa corrisponda al vero, se quindi problemi di natura burocratica impediscano da oltre un anno l'utilizzo di risorse già stanziate dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria per realizzare un teatro all'interno del carcere di Volterra e quali iniziative urgenti il Governo intenda assumere al fine di sbloccare l'edificazione di tale struttura.
(4-03432)


   DORI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   la legge n. 62 del 21 aprile 2011 ha modificato la legge n. 354 del 26 luglio 1975 sull'ordinamento penitenziario, innalzando da tre a sei anni il limite di età dei bambini che possono vivere in carcere con le proprie madri. A tal fine, la legge prevede l'inserimento di specialisti come ostetriche, ginecologi e pediatri nelle carceri allo scopo di tutelare la salute psico-fisica dei bambini e delle loro madri, nonché l'istituzione di appositi «settori nido» presso tutte le strutture penitenziarie;

   secondo gli ultimi dati della sezione statistica del Dap – Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria – aggiornati al 30 giugno 2019, nei «settori nido» delle carceri italiane sono presenti in tutto 18 madri con 19 bambini;

   la stessa legge n. 62 del 21 aprile 2011, nel modificare l'articolo 285-bis del codice di procedura penale, ha previsto – salvo i casi di eccezionali esigenze cautelari dovute a gravi reati – la possibilità di disporre la custodia della donna incinta e della madre con prole di età non superiore ai 6 anni presso un Istituto a custodia attenuata (Icam);

   attualmente, gli Icam dislocati sul territorio nazionale sono 5: a Lauro (Avellino), 15 donne con 15 bambini; nella struttura esterna del carcere di San Vittore a Milano, 10 madri con 10 bambini; a Venezia «Giudecca», 1 madre con 2 bambini; a Torino «Lorusso Cutugno», 6 madri con 8 bambini; a Cagliari, nessun ospite;

   per effetto della legge n. 62 del 2011, l'articolo 284, comma 1, del codice di procedura penale, contenente l'elenco dei luoghi in cui si può essere posti agli arresti domiciliari, menziona anche la specifica figura della «casa famiglia protetta», ove istituita. Le «case famiglia protette» attualmente esistenti sono sole due, una a Roma e l'altra a Milano;

   la non capillarità della presenza degli Icam e delle «case famiglia protette» sull'intero territorio nazionale, in alcuni casi, costringe al collocamento della madre detenuta presso i «settori nido», che, seppur allestiti appositamente per ridurre al minimo l'impatto sui bambini, si trovano comunque all'interno degli istituti penitenziari;

   l'articolo 42 della legge 26 luglio 1975, n. 354, sull'ordinamento penitenziario, sancisce il principio della «territorialità della pena», secondo cui il detenuto deve scontare la pena nel luogo più vicino alla propria famiglia;

   il principio della territorialità non può tuttavia prevalere sul diritto dei figli delle madri detenute a vivere in un contesto più affine a quello familiare e, quindi, non «dietro le sbarre» –:

   se il Ministro interrogato intenda valutare l'adozione delle iniziative più opportune per giungere a un progressivo svuotamento delle «sezioni nido» degli istituti penitenziari mediante il collocamento di tutte le madri detenute con figli presso gli istituti di custodia attenuata (Icam) o le «case famiglia protette», valutando anche l'opportunità di stipulare apposite convenzioni con gli enti territoriali e protocolli sull'intero territorio nazionale, in modo da individuare apposite strutture da destinare alle esigenze custodiali delle madri detenute con figli, anche nel rispetto del principio di territorialità dell'esecuzione della pena.
(4-03433)


   BIGNAMI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   la popolazione carceraria di origine straniera nel nostro Paese appare in costante aumento. Dai dati aggiornati al 30 giugno 2019 sul sito del Ministero della giustizia, i detenuti sono in totale 60.522, di cui 20.224 stranieri. La capienza regolamentare per i 190 istituti presenti sul territorio nazionale è di 50.496 unità ed è dunque evidente la criticità in relazione al sovraffollamento degli istituti stessi;

   in particolare, i dati della popolazione straniera carceraria mostrano anche quali siano le nazionalità maggiormente «rappresentate». Attualmente, sono 2.516 i detenuti di origine albanese (12,4 per cento sul totale degli stranieri detenuti), 3.774 quelli di origine marocchina (18,7 per cento sul totale degli stranieri detenuti), 2.509 i detenuti di origine romena (12,4 per cento), 2.033 i detenuti tunisini (10,1 per cento). Sono presenti in numero significativo anche i detenuti nigeriani, nel numero di 1.620 pari all'8 per cento;

   alla luce di tali dati, è urgente mettere in pratica politiche mirate ed efficaci per rimpatriare gli stranieri, affinché scontino la pena nel loro Paese di origine (cominciando da quelli condannati in via definitiva che sono ben 12.940);

   la possibilità di far scontare al cittadino straniero la pena nel Paese di origine è prevista infatti dalla convenzione di Strasburgo del 1983, ratificata dall'Italia nel 1988 e alla quale hanno aderito 65 Stati tra cui 46 appartenenti al Consiglio d'Europa;

   nel tempo l'Italia ha sottoscritto una serie di accordi bilaterali con alcuni Paesi, tra cui l'Albania (firmato a Roma nel 2002, l'accordo prevede, tra l'altro, che lo Stato di esecuzione presti il proprio consenso solo dopo aver sentito il parere della persona condannata) e la Romania (firmato a Roma nel 2003, l'accordo prevede che si possa procedere anche senza il consenso del condannato che deve comunque essere sentito);

   con la legge del 28 luglio 2016, n. 152, è stata ratificata la Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo del Regno del Marocco sul trasferimento delle persone condannate fatta a Rabat il 1° aprile 2014;

   mancano comunque all'appello accordi con la Tunisia e la Nigeria (le cui nazionalità sono tra quelle maggiormente rappresentate nelle carceri italiane); anche per quanto riguarda gli accordi sottoscritti, non sembra esistano report sufficientemente esaustivi per stabilire quanto questi accordi vengano applicati e con quale efficacia;

   altra grave criticità è relativa al rischio di radicalizzazione dei detenuti di religione islamica all'interno delle carceri italiane;

   in relazione al rischio di radicalizzazione all'interno delle carceri italiane, già all'inizio del 2017 il dipartimento per l'amministrazione penitenziaria aveva stilato un elenco per gli agenti dei comportamenti da considerare come «campanelli d'allarme»: ciò anche a seguito degli attentati di Parigi e di Berlino quando alcuni detenuti, in alcune carceri d'Italia, erano stati notati mentre esultavano per le stragi;

   a fine gennaio 2017, in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario in Emilia-Romagna, il procuratore generale della Repubblica nel suo discorso, puntò l'attenzione sulla tesi della «lavanderia giudiziaria», tale per cui alcuni cittadini stranieri, viste le condizioni particolarmente «agevolanti» della giustizia italiana, preferivano scontare la loro pena in Italia piuttosto che nel loro Paese di origine: ciò avverrebbe, in particolare, per i cittadini dell'Est Europa (spesso di origine romena) che chiederebbero di scontare in Italia le pene non solo inflitte nel nostro Paese ma anche le pene inflitte all'estero –:

   quali iniziative siano state assunte o si intendano assumere per agevolare il trasferimento dei detenuti stranieri nei loro Paesi di origine, posto che il numero di stranieri nelle carceri italiane, è ancora molto alto e il numero dei trasferimenti appare irrilevante.
(4-03435)


   DELMASTRO DELLE VEDOVE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   come è noto per il famoso rapimento dell'imam Abu Omar avvenuto in Italia nel 2003 sono stati condannati 23 agenti della Cia;

   dei predetti agenti tre e segnatamente Joseph Romano, Robert Seldon Lady e Betnie Madero sono stati graziati dalla Presidenza della Repubblica;

   nessuno dei predetti agenti è tornato in Italia per scontare le pene comminate;

   quanto sopra è l'indice del difficile rapporto fra giustizia italiana e giustizia americana –:

   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato abbia assunto per ottenere l'estradizione dei 20 agenti della Cia, quali garanzie siano state date per l'estradizione e quale sia lo stato dell'arte.
(4-03444)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   DONZELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la notte tra giovedì 25 e venerdì 26 luglio 2019 alla stazione di Santa Maria Novella a Firenze è crollata una porzione di intonaco dalla tettoia, sul lato dell'ex pensilina di Toraldo di Francia, demolita nel 2010;

   fortunatamente, essendo il crollo avvenuto intorno alle due di notte, non sono state coinvolte persone, ma, essendosi creato un cratere enorme, se la frana si fosse verificata di giorno, probabilmente si sarebbero contati morti e feriti;

   circa 60 milioni di persone transitano ogni anno sotto la tettoia crollata, oltre 160 mila al giorno;

   alla base del crollo, ci sarebbe un'infiltrazione d'acqua;

   Ferrovie dello Stato italiane tramite la stampa ha fatto sapere che «la pensilina, costruita negli anni ’30 e sottoposta a vincolo monumentale, è soggetta a verifiche periodiche semestrali. L'ultima, fatta nel giugno 2019, non ha evidenziato particolari criticità che potessero far prevedere distacchi improvvisi del rivestimento» –:

   come siano stati pianificati i lavori di manutenzione e controllo alla stazione di Firenze Santa Maria Novella e i relativi tempi di attuazione;

   come si spieghi che i controlli svolti nel mese di giugno 2019 non abbiano segnalato nessuna anomalia poche settimane prima del crollo;

   chi abbia svolto i controlli di giugno 2019 alla stazione di Firenze Santa Maria Novella;

   se siano state effettuate verifiche sul piano della sicurezza, oltre che alla stazione di Firenze, anche ad altre stazioni in Italia e se si intendano promuovere ulteriori verifiche al riguardo.
(3-00913)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ENRICO BORGHI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il territorio della provincia di Verbano-Cusio-Ossola è secondo nei consumi e negli acquisti on line in Italia, con il comune di Verbania che costituisce il primo capoluogo in assoluto, costituendo questo mercato un importante volano commerciale per l'intera area territoriale;

   purtroppo, a fronte del dato positivo circa la consistenza e il volume di acquisti e scambi on line, nel medesimo territorio si è registrato un altissimo tasso di truffe telematiche, pari ad oggi a 359 denunce inoltrate alla polizia di Stato su una popolazione di 100 mila abitanti e a fronte di una media nazionale che vede 250 denunce per truffe telematiche ogni 100.000 abitanti;

   nel 2018 si erano registrate presso gli uffici di polizia ben 600 denunce riconducibili al medesimo territorio, che segnalano l'ulteriore incremento per l'anno 2019;

   i fatti riportati testimoniano la necessità e l'urgenza di istituire una sezione di polizia postale e delle comunicazioni anche sul territorio del Verbano Cusio Ossola, unica provincia senza questa importante sezione per lo svolgimento di un servizio che ogni giorno di più diventa essenziale –:

   quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare per istituire quanto prima una sezione di polizia postale e delle comunicazioni anche sul territorio del Verbano Cusio Ossola, al fine di contrastare efficacemente, e con personale specializzato, le truffe on line e salvaguardare la sicurezza dei cittadini che utilizzano un mercato telematico così importante per questo territorio.
(5-02631)


   FIANO, ENRICO BORGHI, SERRACCHIANI, FREGOLENT, PEZZOPANE, MARCO DI MAIO e VERINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la grave carenza di segretari comunali, soprattutto di fascia C, che riguarderebbe ben 1400 piccoli comuni in tutta Italia, sta diventando un fenomeno non solo molto esteso, ma anche dal carattere cronico, tale da richiedere con urgenza interventi risolutivi;

   secondo quanto dichiarato dall'Anci e dall'Upi alla data del 6 giugno 2019, nella sola Lombardia, risulterebbero vacanti ben 417 sedi di segreteria di classe III e IV – ovverosia quelle relative ai comuni con popolazione inferiore a 10.000 abitanti – su 741, un numero tale da qualificare le vacanze come superiori al 50 per cento delle sedi di segreteria;

   come manifestato dalla stessa Unione dei segretari la Lombardia è infatti la regione che presenta il maggior numero di sedi vacanti e come più volte segnalato dall'Anci e dall'Upi, per affrontare questo problema, l'unica soluzione consiste nella semplificazione delle procedure di reclutamento, diventata ormai improcrastinabile;

   di fronte a questi numeri, infatti, è di tutta evidenza che i nuovi ingressi nell'albo professionale non saranno in grado di soddisfare, se non in minima parte, il fabbisogno delle sedi oggi vacanti, con il rischio serio e concreto di una paralisi dell'attività amministrativa per molti comuni di minore dimensione demografica e di messa in discussione del ruolo stesso dei segretari comunali –:

   quali iniziative urgenti di competenza il Governo intenda adottare per affrontare e gestire il problema descritto.
(5-02632)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   TIRAMANI e PATELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   il 26 luglio 2019 l'opinione pubblica è stata scossa da una notizia drammatica;

   durante una rapina finita male, nello specifico durante gli sviluppi di una estorsione volgarmente definita «cavallo di ritorno», il vicebrigadiere dell'Arma dei carabinieri Mario Cerciello Rega è stato barbaramente ucciso a Roma da due giovani;

   in seguito all'evento di cronaca le televisioni, i siti dei principali quotidiani nazionali e – di conseguenza – i social network hanno riportato con dovizia di particolari l'accaduto, soffermandosi, oltre che sulla vicenda, anche sulla descrizione del profilo del giovane carabiniere deceduto durante l'adempimento del suo dovere;

   fin dalle prime ricostruzioni infatti, è stato sottolineato come il vicebrigadiere Mario Cerciello Rega fosse un giovane marito, appena rientrato dal proprio viaggio di nozze che nella sua vita privata si dedicava ad azioni di volontariato e di supporto ai viaggi di pellegrinaggio verso Lourdes e Medjugorje;

   tra i numerosi commenti alla vicenda, particolare scalpore ha destato il messaggio postato sul gruppo Facebook novarese («Sei di Novara senza se e senza ma») da E.F. che risulta essere una docente presso il liceo scientifico «Pascal» di Romentino e pertanto dipendente del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;

   la docente in questione commentava la vicenda con queste testuali parole: «Uno in meno e chiaramente con sguardo poco intelligente. Non ne sentiremo la mancanza»;

   la disciplina derivante dall'articolo 21 della Costituzione e determinante la libertà di espressione del pensiero ha i suoi naturali limiti nelle fattispecie desumibili anche da altre norme costituzionali a tutela di diritti che possono essere in conflitto con le concrete modalità d'esercizio di tale libertà;

   tali limitazioni si possono sintetizzare – per quanto riguarda la specificità del presente atto – nella tutela della riservatezza e dell'onorabilità della persona e nel rispetto della stessa, essendo previsti in questo ambito i reati di diffamazione, ingiuria e oltraggio;

   quanto sopra espresso ha rilevanza maggiore in quanto le parole gravemente ingiuriose sono state proferite da un'insegnante, dipendente del Ministero, e pertanto assimilabile ad un pubblico ufficiale;

   a tale figura, inoltre, sono affidati compiti delicatissimi quali quelli attinenti alla formazione delle ragazze e dei ragazzi che, anche attraverso le opinioni e l'esempio dei propri docenti, ricevono un'educazione per la loro vita futura;

   il Ministro interrogato, che ha definito il commento «intollerabile e vergognoso», ha attivato tutte le verifiche necessarie anche per valutare l'eventuale allontanamento della professoressa dall'insegnamento;

   si apprende che è stato avviato formalmente il procedimento disciplinare chiesto dal Ministro e attivato dall'ufficio scolastico regionale del Piemonte per cui la professoressa è stata sospesa con effetto immediato in attesa dell'esito del procedimento –:

   se il Governo intenda chiarire entro quali tempi si concluderà il procedimento disciplinare sopra richiamato, che si auspica abbia luogo celermente, considerato che la docente in questione si è macchiata di un comportamento inaccettabile, che per gli interroganti meriterebbe il licenziamento, vista la delicatezza educativa che attiene alla sua professione.
(3-00914)

Interrogazione a risposta scritta:


   BIGNAMI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   con Ddg n. 1456 del 7 novembre 2018 è stato indetto il concorso straordinario per scuola dell'infanzia e primaria. Tale concorso in quanto straordinario, non è di tipo selettivo: in altre parole anche chi lo supera con un punteggio di «zero» viene inserito in graduatoria ai fini dell'assunzione;

   su un noto portale web tematico è apparsa di recente la testimonianza di una insegnante alla quale la commissione, dopo lo svolgimento della prova, ha dato la valutazione di «zero». L'insegnante scrive: «Mi è stato dato zero. Posso solo aggiungere che insegno da 20 anni e ho imparato che durante una qualsiasi interrogazione faccio parlare, mi confronto, spiego gli eventuali errori e valuto il materiale a supporto che mi viene portato anche se non obbligatorio. Questi aspetti, che reputo fondamentali, durante il mio esame, a mio giudizio, sono venuti meno. Chiaramente è una mia opinione e come tale lascia il tempo che trova ma sembra che altre mie colleghe abbiano avuto esperienze simili. Francamente oggi mi sento umiliata e infastidita perché trovo che il rispetto della persona sia considerato un dettaglio» (https://www.orizzontescuola.it) –:

   se al Ministro interrogato risultino situazioni simili e se non si ritenga di dover effettuare una verifica presso gli uffici scolastici regionali, al fine di valutare se e quante segnalazioni in tal senso siano giunte;

   in che modo siano stati individuati i commissari e sulla base di quali criteri oggettivi siano stati chiamati a emettere la valutazione;

   se presso gli uffici scolastici regionali siano state conservate copie, cartacee o digitali, delle prove svolte dai partecipanti al concorso, al fine dell'acquisizione degli atti in caso di ricorso e se il Ministro interrogato abbia dato indicazioni in tal senso agli uffici scolastici regionali.
(4-03434)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   ZANICHELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   risale al 10 giugno 2019 la notizia, confermata anche in un'intervista rilasciata da Jean-Marc Bernie, presidente e amministratore delegato di Lactalis Italia e Parmalat, della riorganizzazione e della necessità di una integrazione fra queste due società, nonché della presenza di 30 esuberi occupazionali, che avrebbe portato la Lactalis a prevedere l'apertura di una procedura di licenziamento collettivo;

   i sindacati Fai Cisl, Flai Cgil e Uila Uil, dopo l'incontro con il comitato consultivo Parmalat, hanno chiesto a Lactalis di predisporre un piano sociale per l'occupazione, evitando di procedere a soluzioni unilaterali sugli esuberi dichiarati in Parmalat;

   nell'assemblea sindacale dei lavoratori Parmalat di Collecchio (PR) del 24 giugno 2019, i delegati provinciali delle rappresentanze sindacali unitarie avrebbero di fatto comunicato ai dipendenti l'avvio del licenziamento collettivo per 30 esuberi, tra cui 4 dirigenti;

   ad oggi non sono stati ancora dichiarati i criteri adottati dall'azienda per individuare tali esuberi, ma a pagare il prezzo più pesante saranno i lavoratori a cui pare non essere garantita la possibilità di ricollocamento all'interno del gruppo, anche in altre sedi facenti parte del gruppo Lactalis e con altre mansioni;

   è la prima volta che in Parmalat si applica una procedura di licenziamento collettivo; il vantaggio per l'azienda pare dover essere la sostituzione degli esuberi con nuovi assunti con contratti depotenziati nelle tutele dalle nuove leggi sul mercato del lavoro;

   il tutto avviene mentre il gruppo francese Lactalis – la multinazionale controllante con 80 mila dipendenti globali e 18,5 miliardi di euro di fatturato – (per il gruppo l'Italia è il secondo Paese per fatturato dopo la Francia), ha effettuato nuove acquisizioni sia in Italia che all'estero tra cui, solo nel 2019: la Nuova Castelli con sede a Reggio Emilia; il ramo della Kraft_Heinz in Canada; la divisione yogurt di Ehrman con 250 dipendenti con sede in Baviera (Germania) e stabilimenti negli Usa (lattiero caseario); il 100 per cento Itambé, primo produttore di latticini in Brasile;

   queste nuove acquisizioni confermano indubbiamente la solidità della multinazionale francese che in Italia detiene già circa un terzo delle quote di mercato nel settore lattiero caseario controllando, tra l'altro, anche Galbani, Vallelata, Invernizzi e S. Lucia;

   preoccupa tuttavia il potenziale avvio di un percorso che porti alla riduzione dei posti di lavoro nel nostro Paese;

   appare evidente la preoccupazione nell'ottica prospettica, di uno spostamento della governance della Parmalat al di fuori dei confini nazionali che possa portare a un distacco delle scelte operative aziendali rispetto all'interesse del nostro Paese che diventerebbe a quel punto, periferico –:

   se sia al corrente dei fatti sopra esposti;

   se, per quanto di competenza, ritenga necessario convocare un tavolo tecnico con i vertici aziendali e le organizzazioni sindacali, al fine di salvaguardare e tutelare le lavoratrici e i lavoratori Parmalat che rischiano di perdere il loro posto di lavoro;

   se il Governo ritenga opportuno adottare le iniziative di competenza per acquisire elementi su quali siano le reali intenzioni organizzative della Lactalis al fine di scongiurare l'ipotesi annunciata del licenziamento collettivo e preservare sia i posti di lavoro che l'immagine di una società e un brand leader da decenni nell'economia agroalimentare del nostro Paese.
(4-03446)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI, FORESTALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   CUNIAL, GALANTINO, GIANNONE e BENEDETTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il 5 luglio 2019 «Eni e Coldiretti firmano Memorandum di intesa per progetti congiunti nell'economia circolare». Nel comunicato si legge: «In base all'accordo, Eni e Coldiretti valuteranno iniziative congiunte nei seguenti ambiti: la valorizzazione delle biomasse agricole per la produzione di biocarburanti avanzati per il comparto energetico o e bio-chemicals, e dei sottoprodotti di tali produzioni anche a fini zootecnici o di input per l'agricoltura; la ricerca e promozione di colture per la produzione di cariche alternative per le green refinery, non in competizione con la catena alimentare; in generale, la promozione di un'agricoltura sostenibile»;

   l'Eni è una società per azioni del settore energetico/idrocarburi su cui pesano diverse vertenze giudiziarie e diversi capi d'accusa per disastro ambientale. Per esempio, secondo la magistratura, in Val d'Agri in 16 anni Eni avrebbe contaminato oltre 26 mila metri quadri (su un'area di 180 mila), smaltendo irregolarmente oltre 854 mila tonnellate di sostanze pericolose e creando enormi conseguenze sanitarie e ambientali in un'area ad elevato valore agricolo;

   Coldiretti è un'associazione di categoria che rappresenta oltre un milione e mezzo di piccoli e medi agricoltori, uno dei settori maggiormente in crisi del comparto produttivo italiano. Fatta eccezione del settore biologico, infatti, l'agricoltura italiana versa ormai da tempo in condizioni di grande difficoltà: crescente incertezza nel collocamento dei prodotti agricoli, stagnazione dei prezzi, aumento dei costi, subalternità delle organizzazioni agricole al mondo della trasformazione industriale, aumento dell'indebitamento, incapacità a finanziare gli investimenti. Questa situazione di incertezza che si ripercuote su tutto il sistema agroalimentare è aggravata dall'assenza di una strategia politica nazionale e dal lavoro fatto fino ad oggi dalle associazioni di categoria (tra le quali Coldiretti), di cui i risultati sono oggi sotto gli occhi di tutti;

   tra i capofila del Memorandum c'è la regione Basilicata che con il progetto «Io sono Lucano» sigla la collaborazione tra Eni e Coldiretti. Si tratta di un progetto finanziato con 8 milioni di euro; di cui 1,5 di Eni che supporterà l'iniziativa anche «sostenendo la competitività dei prodotti rientranti nel marchio promuovendo iniziative di commercializzazione e perseguendo l'obiettivo della sostenibilità ambientale con progetti di monitoraggio della qualità dei prodotti, anche nelle aree di operatività dell'Eni, attraverso l'uso di strumenti digitali». Se ne deduce che fra i prodotti commercializzati sotto il marchio «Io sono lucano» ce ne saranno anche alcuni a forte rischio di inquinamento, su cui non sono mai stati fatti adeguati controlli e che dovrebbero essere oggetto di indagini attente e affidabili condotte da ricercatori indipendenti e non certo da soggetti come Eni che, in quanto direttamente coinvolti nell'operazione commerciale e portatori di forti interessi economici, non forniscono, ad avviso degli interroganti, alcuna garanzia di obiettività ed affidabilità (fonte: www.basilicata24.it);

   ciclo illegale del cemento e dei rifiuti, filiera agroalimentare e racket degli animali sono nel 2018 i settori prediletti dalla «mano criminale» che continua a fare affari d'oro. L'aggressione alle risorse ambientali del Paese si traduce in un giro d'affari che nel 2018 ha fruttato all'ecomafia ben 16,6 miliardi di euro, 2,5 in più rispetto all'anno precedente (dati di Legambiente);

   l'accordo tra Eni, azienda multinazionale di idrocarburi, e Coldiretti, maggiore organizzazione professionale, appare incapace di garantire effettivamente la qualità dei prodotti e la tutela del territorio;

   Eni ha già ampiamente devastato il territorio italiano, in particolare in alcune regioni come la Basilicata, con inquinamenti delle matrici ambientali, contaminando il reticolo idrografico e compromettendo inevitabilmente il lavoro agricolo;

   il connubio Eni-Coldiretti, operazione a giudizio degli interroganti indubbiamente di marketing, rappresenta un danno dell'immagine dell'agricoltura e del nostro made in Italy –:

   se il Governo non ritenga di adottare iniziative affinché il settore agricolo e ambientale d'Italia sia sottratto alle lobby e agli interessi di multinazionali e sia restituito al lavoro di agricoltori effettivamente impegnati nella produzione di cibo sano, sostenibile e di qualità;

   se il Governo non ritenga che vadano anteposte al citato Memorandum iniziative volte a promuovere operazioni di bonifica integrale dei siti inquinati, già attenzionati attraverso inchieste della magistratura;

   se non ritenga di adottare iniziative affinché l'incentivazione alla produzione di biomasse agricole non rappresenti un rischio di ulteriore perdita di biodiversità e sovranità alimentare per il nostro Paese;

   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere perché gli agricoltori diventino i protagonisti nella scelta degli indirizzi e non gli esecutori, al fine di una reale ripresa dell'agricoltura italiana.
(4-03447)

SALUTE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, il Ministro per i beni e le attività culturali, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:

   l'E.O. «Ospedali Galliera» sito nel comune di Genova, fondato dalla duchessa di Galliera ed inaugurato nel 1888, è stato riconosciuto come ospedale di rilievo nazionale e di alta specializzazione con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 luglio del 1995 ed è un soggetto erogatore pubblico equiparato, facente parte del «sistema sanitario pubblico allargato» ex articolo 2 della legge regionale Liguria n. 41 del 2006;

   la natura di ente pubblico degli Ospedali Galliera è stata ribadita dal Consiglio di Stato con sentenza n. 01008/2018 del 18 febbraio 2018;

   la legge regionale Liguria n. 7 del 2015 veniva l'uscita degli Ospedali Galliera dal «settore regionale allargato» liberandolo così dal limite del 15 per cento di indebitamento massimo rispetto alle entrate correnti;

   con delibera della giunta regionale della Liguria n. 286 del 13 marzo 2015 veniva approvato lo studio di fattibilità del «Progetto Nuovo Ospedale Galliera» per la costruzione di un nuovo ospedale in sostituzione del presidio esistente, consistente in un 1° e 2° lotto al costo complessivo preventivato di euro 152.200.000;

   tale progetto, come rilevato anche dalla Corte dei conti in varie pronunzie, consiste in un'operazione immobiliare ad altissimo costo, che prevede la demolizione di padiglioni appena ristrutturati e la costruzione di nuovi appartamenti di edilizia residenziale, andando quindi contro la volontà della fondatrice di preservare l'utilità sociale della struttura sancita nei vigenti regi decreti 04 dicembre del 1879 e 28 agosto del 1896;

   la direzione generale degli Ospedali Galliera ha stabilito che per coprire l'importo di euro 152.200.000, si ricorrerà a finanziamenti statali, cartolarizzazioni sugli immobili del Galliera, fondo Aids, alienazione del patrimonio immobiliare, cessione di immobili e terreni, donazioni, e contrazione di un mutuo;

   i padiglioni storici degli Ospedali Galliera erano stati sottoposti alle disposizioni di tutela della soprintendenza belle arti e paesaggio della Liguria, finché con Ddr n. 5 del 07 febbraio del 2009 si è circoscritto il vincolo al solo corpo centrale consentendo così la demolizione dei padiglioni circostanti;

   accogliendo l'istanza dell'associazione «Italia Nostra», il Ministero per i beni e le attività culturali invita la Soprintendenza ad apporre un vincolo di tutela indiretta sull'intera area degli Ospedali Galliera;

   il 20 luglio 2017 la Soprintendenza decreta il nuovo vincolo indiretto che tuttavia consentirà l'edificabilità a 10 metri di distanza dall'area vincolata, consentendo un invasivo accerchiamento e la totale eliminazione del verde; a questo punto Italia Nostra impugna il vincolo che è ad oggi oggetto di ricorso al Consiglio di Stato;

   con parere protocollo 315973 del 20 settembre 2016, il comune di Genova – direzione manutenzioni e sviluppo municipi – settori spazi urbani pubblici, esprime perplessità circa il costo sotto-stimato dell'opera, i fronti di scavo invasivi, la realizzazione di una scarpata giudicata talmente inutile da chiederne lo stralcio, e la palificazione così eccessiva che potrebbe provocare un effetto «diga» alle falde acquifere;

   il 25 novembre 2016 la conferenza di servizi della regione Liguria avalla il progetto preliminare di costruzione del «Nuovo Ospedale Galliera» senza mettere agli atti il parere soprascritto;

   l'11 aprile 2017 la conferenza di Servizi della regione Liguria approva l'accordo di programma e il progetto preliminare «Nuovo Ospedale Galliera – 1° e 2° lotto»;

   da fonti di stampa si apprende che ai fini dell'estinzione del mutuo contratto per finanziare il progetto, l'E.O. Ospedali Galliera conta di ricavare circa euro 4.600.000 l'anno ricorrendo all'assunzione di personale a tempo determinato, quindi attraverso la precarizzazione del lavoro, e risparmiando sull'energia: ciò appare difficile in quanto il progetto prevede l'aggiunta di 4 padiglioni logistici;

   a partire dal bilancio 2014 dell'E.O. Ospedali Galliera, si osservano costanti risultati d'esercizio negativi, sempre ripianati dalla giunta regione Liguria;

   come noto, per mantenere efficacia, efficienza, sicurezza ed equilibrio economico, la letteratura definisce ottimale la dimensione di un ospedale con 400 letti di degenza;

   il progetto preliminare prevede 404 posti letto, ma analizzando i consumi idrici risulterebbero 277 i letti di degenza, e 127 i letti di pronto soccorso e di osservazione breve intensiva, che nella prassi ospedaliera e nelle statistiche del Ministero della salute non sono considerati di degenza;

   gli attuali 431 letti sono già insufficienti e causano lunghissime liste di attesa e disservizi largamente denunciati dai mezzi di stampa. La nuova composizione aggraverebbe ulteriormente la già critica situazione –:

   quali iniziative intendano assumere i Ministri interpellati, per quanto di competenza, considerando l'impatto del progetto – finanziato con risorse statali – dal punto di vista delle esigenze di tutela della salute, nonché sul piano archeologico, ambientale ed economico-finanziario;

   quali iniziative intenda assumere la competente Soprintendenza in relazione all'esigenza di tutelare le aree degli ospedali di Galliera di rilevanza storica ed archeologica.
(2-00474) «Massimo Enrico Baroni, Troiano, Menga, Nappi, Leda Volpi, Trizzino, Nesci, Sarli, Sapia, Provenza, Bologna, Battelli».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FOTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   a fronte dell'ipotizzata (dal 2015) costruzione di una nuova struttura ospedaliera nella città di Piacenza il Movimento 5 Stelle, a livello comunale e provinciale, aveva inizialmente assunto una posizione di forte contrarietà;

   il 5 gennaio 2019, per contro, alcuni parlamentari del predetto Movimento (Maria Edera Spadoni, Davide Zanichelli, Maria Laura Mantovani e Gabriele Lanzi) diffondevano una nota alla stampa nella quale, tra l'altro, si leggeva: «Sono 230 milioni di euro le risorse disposte dal Governo nell'ambito delle “iniziative di elevata utilità sociale nel campo dell'edilizia sanitaria” per l'Asl di Piacenza-Ospedale di Piacenza. I fondi rientrano nell'ambito dei piani triennali d'investimento dell'Inail e mostrano l'attenzione del governo al tema della salute [...] Per Piacenza è previsto proprio la realizzazione di una nuova struttura ospedaliera»;

   successivamente alla predetta nota, alcuni rappresentanti istituzionali del Movimento 5Stelle, tra i quali i due consiglieri comunali di Piacenza, si esprimevano a favore della realizzazione di una nuova struttura ospedaliera, mentre il Gruppo M5S Fiorenzuola, quelli di Castel San Giovanni e del 4valli5stelle, oltre ad alcuni attivisti e simpatizzanti continuavano ad esprimere la propria ferma contrarietà;

   il 24 luglio 2019, il Comitato interministeriale per la programmazione economica approvava la delibera di riparto delle risorse per l'edilizia sanitaria stanziate nella legge di bilancio 2019, tra cui quelle destinate a finanziare i piani di investimento delle aziende sanitarie dell'Emilia-Romagna. In particolare, 114 milioni di euro venivano destinati alla costruzione del nuovo ospedale di Piacenza, con canale di finanziamento ed entità del tutto differenti da quello originariamente propagandato a sostegno del Governo;

   essendosi nuovamente verificata, sempre riferita alla costruzione del nuovo ospedale, una del tutta opposta valutazione all'interno del Movimento 5Stelle, con gli stessi protagonisti e schieramenti di cui sopra, a ribadire la posizione favorevole provvedeva il sen. Gabriele Lanzi, con una dichiarazione del 24 luglio 2019 in cui, tra l'altro, si legge: «[...] Non solo: lo scorso 5 luglio abbiamo organizzato un incontro al Ministero della Salute alla quale hanno partecipato anche rappresentanti del gruppo contrario al nuovo ospedale. Nella riunione è stata ancora una volta ribadita la posizione del Presidente Sileri e inoltre il Direttore Generale per la Programmazione Sanitaria, dottor Urbani, ha spiegato il ruolo del Ministero nella decisione sul nuovo ospedale di Piacenza. La Regione ha competenza esclusiva in materia sanitaria, e non concorrente, per questo valuta tecnicamente le richieste che provengono dalle Regioni senza entrare nel merito della loro utilità. Ogni passo è stato fatto ad ogni livello nella massima trasparenza; l'ospedale nuovo è necessario, ovviamente siamo aperti alla discussione sulla sua ubicazione;»;

   dunque, secondo l'interrogante si deve ritenere che la sede del Ministero della salute sia divenuto il luogo deputato ad ospitare riunioni delle varie fazioni del Movimento 5Stelle per discutere di scelte esclusivamente politiche –:

   se intende chiarire se abitualmente i direttori generali (nella fattispecie quello della programmazione sanitaria) vengano coinvolti in incontri che appaiono all'interrogante del tutto estranei alle loro funzioni, secondo abitudini che, sempre a giudizio dell'interrogante, riabilitano la vituperata partitocrazia;

   se, nel nome della trasparenza, il Ministro interrogato intenda fornire i nominativi dei partecipanti alla riunione in questione, le ragioni per cui la stessa si sia tenuta negli uffici del Ministero e con la partecipazione del direttore generale dottor Urbani, la cui nomina era stata oggetto nella precedente legislatura dell'interrogazione a risposta immediata in commissione n. 5-10927 della quale peraltro il Ministro interrogato era cofirmataria;

   se e quali iniziative intenda assumere al fine di evitare il ripetersi di un utilizzo ad avviso dell'interrogante improprio dei locali e del personale del Ministero, secondo quello che appare un grave malvezzo censurabile sotto più profili.
(5-02634)

Interrogazione a risposta scritta:


   LOREFICE, MENGA, BOLOGNA, NAPPI, D'ARRANDO, NESCI, SARLI, SAPIA, MAMMÌ e TRIZZINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il glifosato è il principio attivo più usato al mondo negli erbicidi (diserbanti). Fa parte dei cosiddetti erbicidi totali, quelli che agiscono su tutte le specie vegetali, e pertanto sugli infestanti sia mono che dicotiledoni. Il glifosato è stato creato dal gruppo americano Monsanto ora acquisito dalla Bayer, che vende erbicidi con glifosato sotto il nome di Roundup;

   nel 2015, lo Iarc, l'agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, che fa parte dell'Organizzazione mondiale della sanità, lo ha inserito nella lista delle sostanze «probabilmente cancerogene»;

   il glifosato è stato associato, in alcune analisi epidemiologiche, al tumore linfoma non-Hodgkin. Il rischio varrebbe in particolar modo per chi è esposto al glifosato, motivo per il quale ora la Bayer dovrà fare i conti con cause legali lanciate da oltre 11.200 tra agricoltori, giardinieri e altre persone che hanno usato Roundup;

   notizie di stampa riportano che dopo le tre condanne di risarcimento ricevute, la multinazionale abbia speso 17 milioni di dollari per condizionare l'opinione pubblica, e per schedare i giornalisti critici;

   il Ministero della salute, con il decreto del 9 agosto 2016, ha già fortemente limitato l'utilizzo del glifosato esplicitando le aree in cui ne è vietato l'utilizzo perché frequentate da persone più vulnerabili;

   ad oggi non sono ancora noti i dati relativi alla piena esecuzione della nota di chiarimento n. 0014132-p-07/04/2017 del Ministero della salute sulle aree incluse nel divieto di utilizzo dei prodotti fitosanitari contenenti la sostanza attiva glifosato che revoca l'impiego nelle aree frequentate dalla popolazione o dai gruppi vulnerabili di cui all'articolo 15, comma 2, lettera a) decreto legislativo n. 150 del 2012 quali; parchi, giardini, campi sportivi e aree ricreative, cortili e aree verdi all'interno di plessi scolastici, aree gioco per bambini e aree adiacenti alle strutture sanitarie –:

   se non ritenga necessario adottare iniziative per estendere il divieto contenuto nell'articolo 1 del decreto del 9 agosto 2016 anche alle aree non espressamente citate come, ad esempio, quelle cimiteriali e archeologiche che altrimenti rimarrebbero escluse dalla revoca dell'impiego del glifosato e che sono comunque frequentate anche dalle persone più vulnerabili.
(4-03441)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALLINELLA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   con il decreto del Ministero dello sviluppo economico 28 dicembre 2012 il Governo ha provveduto a determinare l'allora potenziamento del meccanismo dei cosiddetti certificati bianchi;

   tra i diversi incentivi dipendenti dai titoli di efficienza energetica (Tee) vi si poteva trovare anche quello previsto dalla scheda tecnica 40E (installazione impianti di riscaldamento alimentati a biomassa legnosa nelle serre agricole), abrogata il 22 dicembre 2015;

   da allora, diverse cause sono state intentate dalle cosiddette Energy Service Company (ESCo) che si sono viste cancellare in tutto o in parte i Tee richiesti a seguito di investimenti sostenuti tra il 2014 e il 2015;

   secondo un articolo pubblicato da «Valori.it» nel mese di luglio 2018, le prime 50 cause intentate dagli operatori contro il Gse hanno visto nel dicembre 2017 una condanna a restituire i titoli non erogati e in molti casi al pagamento delle spese legali. Le ESCo potranno fare ricorso e chiedere il risarcimento del danno. E anche per il gestore si potrebbe configurare così una possibile azione per danno erariale contro l'attuale corpo dirigente;

   in particolare, il 15 dicembre 2017 il Tar del Lazio ha pronunciato quattro sentenze di condanna nei confronti del Gse per aver revocato Tee a quattro aziende che avevano chiesto di accedere all'incentivo previsto dalla scheda 40E;

   complessivamente queste sentenze hanno determinato un totale di 2.696 Tee all'anno ingiustamente sottratti alle aziende (un taglio del 45-48 per cento dei Tee richiesti) per un controvalore al prezzo medio registrato sulla borsa GME nel 2015 (116,01 euro/TEE, dato Aeeg) pari a 312.762 euro;

   il danno sarebbe più che raddoppiato per i mancati rilasci del 2017: 696.403 euro se si considera che il prezzo medio di vendita 2017 è stato pari a 258,31 euro/Tee;

   il Gse, secondo i giudici, avrebbe dovuto calcolare il numero di Tee da rilasciare esclusivamente sulla base dell'algoritmo (una moltiplicazione) indicato nella scheda 40E;

   la quasi totalità delle 254 domande presentate dai serricoltori o dalle ESCo da essi incaricati ha subito una decurtazione o cancellazione che va da un minimo del 20 per cento a un massimo dell'80 per cento dei titoli richiesti;

   con tali ipotesi, a fronte di 108.360 Tee effettivamente emessi dal Gse nel 2013, 2014 e 2015 (dati Gse) sarebbero stati rifiutati 92.106 Tee/anno che valorizzati al prezzo medio relativo all'anno d'obbligo 2015-2016 pari a 116,01 euro/Tee corrispondono a un danno per le aziende di settore pari a 10.685.217 euro/anno;

   secondo un articolo pubblicato nel febbraio 2018 su «QualEnergia.it», proiettando tale valore sui 5 anni di vigenza dei Tee ciò determinerebbe una «sottrazione indebita» di Tee alle ESCo e alle aziende agricole pari a 460.530 Tee in cinque anni che al medesimo valore medio 2015-2016 determinerebbe un danno cumulativo di euro 53,42 milioni;

   considerando il prezzo medio di vendita 2017 pari a 258,31 euro/Tee il danno cumulativo salirebbe a circa 118,96 milioni di euro –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopradescritti;

   quali iniziative siano state portate avanti dal Gse e dal Ministro interrogato in merito ai fatti sopradescritti riguardanti la scheda tecnica 40E;

   quante cause da parte di ESCo coinvolte siano state intentate contro il Gse;

   quali siano stati gli esiti di tali cause e, nel caso in cui fossero ancora in corso, a quali gradi di giudizio risultino al momento;

   a quanto ammontino le spese legali da parte del Gse in tutti i procedimenti conclusi e in corso.
(5-02633)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PELLICANI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

   il 24 gennaio 2018 presso il Consiglio di Stato si discuterà in merito al progetto di autorizzazione dell'impianto di stoccaggio di 9 mila metri cubi di Gpl in territorio di Chioggia in provincia di Venezia;

   l'Avvocatura di Stato si pronuncerà a difesa dell'impianto e per la sua realizzazione;

   tale posizione oggettivamente stride con il recentissimo comunicato stampa congiunto rilasciato dai Ministri dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti e per i beni e le attività culturali che si sono dichiarati contrari all'opera;

   il ricorso al Consiglio di Stato giunge dopo il pronunciamento del Tar che ha dato ragione alla Costa Bioenergie che ha impugnato la delibera di «stop» all'impianto e al ripristino dei luoghi dell'amministrazione comunale di Chioggia;

   appare quanto mai maldestro, ad avviso dell'interrogante, il tentativo degli esponenti dell'Esecutivo di scaricare le responsabilità sulla precedente amministrazione comunale, poiché la condotta del Governo appare più funzionale alla ricerca di alibi che non ad affrontare il merito della vicenda;

   il 24 gennaio 2018 si svolgerà proprio in concomitanza con la riunione del Consiglio di Stato una mobilitazione a Roma delle popolazioni locali contrarie all'opera;

   è stata promossa una «Carta di Chioggia» per chiedere al Governo di non autorizzare l'impianto articolata in sei punti argomentati, documento oggetto di ampi dibattiti a livello territoriale –:

   quale sia la posizione ufficiale del Governo sulla questione e quali iniziative intenda assumere al riguardo, anche rispetto alla posizione assunta dall'Avvocatura dello Stato, al fine di non procedere all'autorizzazione per la realizzazione di suddetto impianto nel territorio di Chioggia.
(4-03438)


   PERANTONI e SCANU. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   la legge 4 agosto 2017, n. 124, prevede che i soggetti di cui all'articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349, quelli di cui all'articolo 137 della legge 6 settembre 2005, n. 206, le associazioni, le ONLUS, le fondazioni che intrattengono rapporti economici con le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all'articolo 2-bis del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, nonché con le società controllate da pubbliche amministrazioni e quelle da loro partecipate, in partecipazione pubblica e da loro partecipata, pubblichino entro il 30 giugno di ogni anno nei propri siti o portali digitali le informazioni relative a sovvenzioni, contributi, incarichi retribuiti o vantaggi economici di qualunque genere ricevuti dalle medesime pubbliche amministrazioni e dai medesimi soggetti nell'anno precedente, pena la restituzione ai soggetti eroganti entro tre mesi delle somme ricevute;

   a decorrere dall'anno 2018, gli obblighi di pubblicazione di cui all'articolo 26 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, si applicano anche agli enti e alle società controllati dalle amministrazioni dello Stato;

   i soggetti interessati avrebbero dovuto adempiere a tale obbligo di pubblicità a partire dal mese di febbraio 2019, pena la restituzione delle sovvenzioni, dei contributi e degli incarichi retribuiti o comunque dei vantaggi economici ricevuti nell'anno 2018;

   peraltro, non risulta che né la legge n. 124 del 2017 né provvedimenti successivi abbiano individuato i soggetti competenti a effettuare le verifiche, richiedere i rimborsi in caso di mancato assolvimento dell'obbligo di pubblicità ed eventualmente agire ai fini del recupero delle somme ricevute e non pubblicate, né tantomeno risultano previste e disciplinate le modalità dello stesso –:

   se il Governo sia a conoscenza di tale situazione e se intenda intervenire, adottando le opportune iniziative volte a colmare la descritta lacuna.
(4-03448)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Benamati e altri n. 7-00286, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 luglio 2019, deve intendersi sottoscritta anche dalla deputata Serracchiani.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Scalfarotto e altri n. 5-02630, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 luglio 2019, deve intendersi sottoscritta anche dalla deputata Quartapelle Procopio.

  L'interrogazione a risposta scritta Formentini e altri n. 4-03427, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 luglio 2019, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Coin.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:

   interrogazione a risposta orale Pellicani n. 3-00452 del 22 gennaio 2019 in interrogazione a risposta scritta n. 4-03438;

   interrogazione a risposta in Commissione Ciampi e Cenni n. 5-02213 del 4 giugno 2019 in interrogazione a risposta scritta n. 4-03432.