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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 16 luglio 2019

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,

   premesso che:

    le moderne periferie urbane sono definibili come una condizione trasversale che riguarda l'espansione fisica delle città, particolarmente pronunciata negli ultimi due decenni, e che comprende tutte quelle zone più densamente popolate, dove sono riscontrabili fenomeni di degrado, di marginalità, di disagio sociale, di insicurezza e di povertà;

    ogni iniziativa avente l'obiettivo di elevare le condizioni delle periferie deve includere tipologie di azioni diverse attinenti alla riqualificazione territoriale, alle politiche abitative, alle politiche sociali e per la sicurezza;

    una delle strategie di fondo delle politiche urbane è la rigenerazione urbana, ovvero l'insieme di programmi articolati che favoriscano interventi in aree già esistenti al fine di rendere vivibile e sostenibile lo spazio urbano, di rispondere alla domanda abitativa e di servizi, di incrementare l'occupazione e migliorare la struttura produttiva metropolitana, nonché di accrescere la percezione di fiducia e sicurezza della popolazione che risiede nelle medesime aree periferiche;

    a tale riguardo, con particolare riferimento al verde pubblico urbano, la restituzione di parchi e aree verdi alle periferie che presentano una elevata densità edilizia, consente di ridurre fenomeni di inquinamento e congestione, migliorando la qualità sociale e ambientale del contesto urbano;

    in Europa, le linee di azione in corso nelle principali città metropolitane si sviluppano su indirizzi comuni che fanno riferimento alle strategie di Agenda urbana europea 2030, attraverso programmi e finanziamenti nazionali ed europei all'interno dei quali è possibile distinguere l'ormai strettissima relazione tra politiche urbane in senso generale e politiche per la riqualificazione delle periferie;

    in Italia, dove gli squilibri territoriali tra diverse aree del Paese e tra diverse aree urbane del Nord, del Centro e del Sud sono caratterizzanti e si sommano a vecchie e nuove contraddizioni dello sviluppo urbano, è ancora più evidente la necessità di porre in essere strategie trasversali che coinvolgano i diversi livelli di governo;

    la legge di stabilità per il 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190), all'articolo 1, comma 431, ha istituito il piano nazionale per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate;

    il piano promuove progetti di riqualificazione costituiti da un insieme coordinato di interventi diretti alla riduzione di fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale, nonché al miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto sociale ed ambientale;

    le risorse originariamente disponibili per il finanziamento dei progetti selezionati ammontanti a 200 milioni di euro e allocate nel «Fondo per l'attuazione del piano nazionale per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate» presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, sono state prima ridotte e poi nuovamente integrate con successivi provvedimenti (delibera Cipe n. 73 del 7 agosto 2017 e decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 7 dicembre 2017), nonché in attuazione della legge di bilancio per il 2018 (legge 27 dicembre 2017, n. 205);

    a seguito di procedura di selezione indetta con apposito bando, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 giugno 2017, è stata approvata la graduatoria dei progetti ammessi, per un numero pari a 451, e sono stati inseriti nel piano, nell'ordine di punteggio decrescente e tenuto conto delle risorse disponibili, i progetti dal numero 1 al numero 46 della graduatoria;

    il citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 giugno 2017 prevede lo scorrimento della graduatoria e la sua apertura per un periodo di tre anni dalla data di approvazione, pertanto, risulterebbero finanziabili, grazie alle ulteriori risorse assegnate, ulteriori progetti secondo l'ordine della graduatoria;

    il «Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia» è stato istituito con l'articolo 1, commi da 974 a 978, della legge di bilancio per il 2016 (legge 28 dicembre 2015, n. 208) e da ultimo oggetto di disciplina contenuta nella legge di bilancio per il 2019;

    il programma ha consentito alle città e ai comuni capoluogo di provincia di presentare progetti finalizzati:

     alla realizzazione di interventi urgenti per la rigenerazione delle aree urbane degradate attraverso la promozione di progetti di miglioramento della qualità del decoro urbano, di manutenzione, riuso e rifunzionalizzazione delle aree pubbliche e delle strutture edilizie esistenti, rivolti all'accrescimento della sicurezza territoriale e della capacità di resilienza urbana;

     al potenziamento delle prestazioni urbane anche con riferimento alla mobilità sostenibile;

     allo sviluppo di pratiche, come quelle del terzo settore e del servizio civile, per l'inclusione sociale e per la realizzazione di nuovi modelli di welfare metropolitano, anche con riferimento all'adeguamento delle infrastrutture destinate ai servizi sociali e culturali, educativi e didattici, nonché alle attività culturali ed educative promosse da soggetti pubblici e privati;

    nel programma sono stati inclusi 120 progetti, presentati da altrettanti enti e approvati con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 6 dicembre 2016 a seguito della partecipazione di tali enti al bando di gara, per un finanziamento pari a 2.061,3 milioni di euro, di cui 501,9 milioni relativi ai primi 24 progetti della graduatoria e 1 miliardo e 559,4 milioni, necessari per la realizzazione degli altri 96 progetti;

    le risorse economiche per i primi 24 progetti erano state già stanziate nella legge di bilancio per il 2016, mentre le altre risorse finanziarie sono state stanziate con l'articolo 1, commi 140 e 141 della legge di bilancio per il 2017, per effetto dei quali sono intervenute 2 delibere del Cipe nel 2017, a valere sul fondo sviluppo e coesione della programmazione 2014-2020 e il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 maggio 2017 a valere sul Fondo per il finanziamento degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del Paese;

    nel 2018 è intervenuto l'articolo 13 del decreto-legge 25 luglio 2018, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 settembre 2017, n. 108, cosiddetto «Milleproroghe». Tale norma ha tra l'altro differito al 2020 l'efficacia delle convenzioni concluse con i 96 comuni. Successivamente, in Conferenza unificata, è stato sancito accordo il 18 ottobre 2018 a cui è stato dato seguito con l'approvazione della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (legge di bilancio 2019); quest'ultima, all'articolo 1, commi da 913 a 916, ha introdotto elementi di maggiore rigore nell'attuazione del programma, stabilendo che:

     le convenzioni dei 96 enti successivi ai primi 24, dopo il differimento al 2020 della efficacia in base al decreto-legge «milleproroghe», producono effetti nel corso dell'anno 2019 con riguardo al rimborso delle spese sostenute e certificate dagli enti beneficiari in base al cronoprogramma; è stato introdotto il requisito della necessaria rendicontazione delle spese sostenute per l'attribuzione del finanziamento;

     le risorse finanziarie derivanti dalle eventuali economie di gestione o comunque realizzate in fase di appalto, o in corso d'opera, nonché quelle costituite dagli eventuali ulteriori residui relativi ai finanziamenti assegnati per la realizzazione dei progetti inseriti nel Programma rimangono acquisite ai Fondi a tale scopo istituiti per essere destinate, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, al finanziamento di spese di investimento dei comuni e delle città metropolitane;

    la Presidenza del Consiglio dei ministri, nel corso di quest'anno, ha proceduto al conseguente adeguamento delle convenzioni dei 96 enti;

    il decreto-legge cosiddetto «sicurezza» n. 113 del 2018 ha disposto, al fine di contenere i diversi fenomeni di degrado urbano e di garantire maggiore sicurezza nelle aree urbane, attraverso la sottoscrizione di accordi tra prefetto ed organizzazioni maggiormente rappresentativi dei pubblici esercenti per prevenire illegalità o pericoli per l'ordine e la sicurezza pubblici, la creazione del fondo per la sicurezza urbana, con una dotazione di 2 milioni di euro per il 2018 e di 5 milioni per ciascun anno 2019 e 2020, destinato a concorrere al finanziamento di iniziative urgenti da parte dei comuni in materia di sicurezza urbana, nonché l'aumento delle risorse per l'installazione di sistemi di videosorveglianza da parte dei comuni;

    una delle linee principali di azione contro il degrado sociale è senz'altro da rinvenirsi nel contrasto alle disuguaglianze nelle periferie che passa attraverso il ruolo che possono rivestire lo sport e la scuola, in modo da attivare un percorso virtuoso che «agganci» i giovani e ne riduca, fino ad impedirle, le deviazioni verso la criminalità e la violenza;

    «sport e periferie» è il fondo istituito nel 2015 dal Governo pro tempore che individua come finalità il potenziamento della pratica sportiva, attraverso il finanziamento: a) della ricognizione di impianti sportivi esistenti sul territorio nazionale; b) della realizzazione e della rigenerazione di impianti sportivi destinati all'attività agonistica nazionale e localizzati nelle aree svantaggiate del Paese e nelle periferie urbane; c) della diffusione di attrezzature sportive nelle stesse aree; d) del completamento e dell'adeguamento di impianti sportivi esistenti, destinati all'attività agonistica nazionale e internazionale;

    a ottobre 2018 la Presidenza del Consiglio dei ministri ha approvato il secondo piano pluriennale degli interventi, predisposto dal Coni sulla base di un'indagine condotta su tutto il territorio nazionale, per un valore complessivo di 100 milioni di euro con il quale saranno finanziati 452 interventi localizzati nelle aree svantaggiate del Paese e nelle periferie urbane;

    nel novembre 2018, ha inoltre pubblicato il bando per la selezione di interventi da finanziare nell'ambito di sport e periferie per un valore complessivo di euro 72.055.094 milioni, con il quale saranno finanziati 245 interventi;

    nel mese di aprile 2019, il Ministro per il sud ha stanziato 21 milioni di euro – a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione, area tematica «Occupazione, inclusione sociale e lotta alla povertà, istruzione e formazione» – per un «Piano straordinario asili nido», destinato alle 7 città metropolitane del Sud e finalizzato alla costruzione di nuovi asili; gli asili nido sono uno di quei casi che maggiormente evidenzia la distanza che separa il Sud dal Centro-Nord: nel Mezzogiorno solo la Sardegna si avvicina al traguardo fissato dall'Europa di garantire asili nido per almeno il 33 per cento dei bambini sotto i 3 anni, tutte le altre regioni sono ben lontane;

    la scuola è da intendersi quale polo di aggregazione per la comunità sociale che si estende nel quartiere di riferimento, al fine di puntare al ridimensionamento dei fenomeni di abbandono, rappresentando allo stesso tempo un luogo di utilità sociale al servizio della comunità, in grado di favorire l'integrazione dei gruppi più deboli e la promozione dell'economia sociale. Tale scopo può essere raggiunto, inoltre, attraverso l'importante contributo dei gruppi già attivi sul territorio, come enti pubblici, soggetti del terzo settore e privati,

impegna il Governo:

1) a promuovere ulteriormente la realizzazione di politiche integrate per la sicurezza urbana, i cosiddetti patti per la sicurezza, in cui tutti i soggetti istituzionali coinvolti (comuni, province, città metropolitane, regioni, anche a statuto speciale in conformità con gli statuti, e Stato) concorrono alla realizzazione di tale politica, ciascuno nell'ambito delle rispettive competenze e sulla base di specifici accordi regolati dalla legge;

2) a proseguire nell'attuazione del programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia, curando la verifica dell'attuazione del medesimo programma e assicurando, come da disposizioni di legge, la tempestiva riassegnazione delle risorse finanziarie derivanti dalle eventuali economie realizzate, per il finanziamento di spese di investimento dei comuni e delle città metropolitane;

3) a promuovere interventi finalizzati allo sviluppo del verde pubblico come parchi, giardini e aree boschive, garantendo la loro manutenzione, contestualmente monitorando l'applicazione delle disposizioni della legge 29 gennaio 1992, n. 113, della legge 14 gennaio 2013, n. 10, nonché di tutte le vigenti disposizioni di legge con finalità di incremento del verde pubblico e privato;

4) a proseguire nell'attuazione del piano nazionale per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate.
(1-00226) «Molinari, D'Uva».


   La Camera,

   premesso che:

    all'interno di uno spazio urbano, le periferie, che comprendono aree della città più o meno densamente popolate, rappresentano la situazione urbanistica e sociale più complessa e talvolta di maggiore criticità;

    oggigiorno le periferie urbane non sono più definibili come luoghi circoscritti ai margini delle aree centrali, ma rappresentano a tutti gli effetti una espansione fisica della stessa città, particolarmente pronunciata negli ultimi due decenni, dove sotto gli occhi di tutti sono riscontrabili fenomeni di degrado, di marginalità, di disagio sociale, di insicurezza e di povertà;

    in tutte le grandi città italiane le scelte architettoniche di pianificazione delle periferie compiute tra gli anni ’70 e ’80 per affrontare l'emergenza abitativa hanno accentuato le problematiche dovute alla fragilità economiche e sociali che si caratterizzano per la presenza di clandestini e per la diffusione di occupazioni abusive e di economia illecita;

    l'edificazione residenziale, spesso priva dei necessari servizi, è la componente principale delle periferie che ha reso particolarmente dinamico il mercato immobiliare residenziale, senza però garantire la presenza di funzioni multiple (innanzitutto i servizi di quartiere) e di quella varietà sociale indispensabile per creare equilibrate comunità urbane;

    la monofunzione residenziale costringe gran parte dei residenti a un pendolarismo lavorativo non sempre supportato da adeguate infrastrutture per la mobilità e l'insediamento periferico non adeguatamente presidiato con servizi pubblici funzionali o istituzionali ha lasciato pericolosi vuoti soggetti al degrado ambientale, all'insediamento criminale, all'abusivismo e ai ricorrenti fenomeni di illegalità;

    le periferie rappresentano, dunque, l'effettiva natura delle grandi città, soggette a fenomeni dirompenti come la longevità, la crisi del ceto medio urbano, il multiculturalismo, il disagio giovanile oltre, naturalmente, agli impatti negativi conseguenti al lungo periodo recessivo che ha determinato un notevole impoverimento soprattutto dei ceti a medio e basso reddito;

    le periferie pur essendo caratterizzate da forti problemi di degrado ed insicurezza, allo stesso tempo, sono i luoghi dove vive e lavora gran parte degli abitanti del nostro Paese: secondo le valutazioni Eurostat riguardanti i livelli di urbanizzazione delle aree vaste, l'83 per cento dei cittadini metropolitani vive in periferia dove è comunque presente una parte importante dell'apparato produttivo e persino circa il 15 per cento delle attrazioni culturali. Nei territori densamente urbanizzati del nostro Paese, infatti, vivono, al di fuori dei centri storici e delle aree centrali oltre 17,4 milioni di residenti;

    le più recenti ricerche sull'evoluzione delle città europee dimostrano che è in atto una nuova stagione di espansione demografica, tanto che, l'Onu calcola che in un orizzonte molto ravvicinato (2025) la popolazione mondiale residente nelle città aumenterà di 65 milioni di abitanti e che, entro il 2030, il 96 per cento della popolazione delle città europee con oltre 300 mila abitanti crescerà demograficamente;

    il dato appena riportato rafforza la convinzione che il tema delle «periferie» tenda a coincidere sempre più con una «questione urbana» complessiva e accresce la necessità di adottare azioni e strategie a medio e lungo termine, oltre a misure immediate, per pianificare strategicamente lo sviluppo urbano nella direzione della qualità, della crescita, della coesione sociale e della sostenibilità;

    a caratterizzare le periferie delle grandi città italiane è la presenza di famiglie disagiate e vulnerabili, di giovani generazioni fuori dai circuiti attivi e occupazionali: secondo dati Istat, il 33,8 per cento dei residenti nei capoluoghi metropolitani vive in quartieri dove c'è una significativa presenza di famiglie con potenziale alto disagio economico. L'incidenza di tali famiglie è variabile fra l'1-3 per cento nel Nord, fino al 4-14 per cento nel Mezzogiorno con punte massime a Napoli, Palermo e Catania;

    il disagio nelle periferie è riscontrabile, soprattutto, nell'accesso al mercato del lavoro che vede forti differenze fra i vari quartieri metropolitani, anche in situazioni tipiche del Centro-nord del Paese dove comunque i tassi di occupazione sono più elevati;

    nello specifico, in più di un terzo dei territori metropolitani è elevata l'incidenza di giovani fra 15 e 29 anni fuori dal mercato del lavoro e fuori dalla formazione (i Neet) con quote più rilevanti nel Centro-Nord che si attestano fra 10-12 per cento, mentre nelle grandi città meridionali il range varia fra 15 e 25 per cento. Situazione analoga si rileva esaminando la distribuzione territoriale del tasso di disoccupazione: il 41,2 per cento della popolazione metropolitana vive nelle aree periferiche dove la disoccupazione è più alta;

    oltre al disagio sociale e abitativo, l'intervento nelle periferie attiene anche alla sicurezza e al decoro degli edifici. Secondo Casa Italia, e sulla base dei dati dell'Istat, il patrimonio edilizio in condizioni mediocri o pessime costituisce una quota significativa di quello esistente nelle città italiane (si passa dal 40 per cento di Napoli e 39,9 per cento di Reggio Calabria, al 35,3 per cento di Messina, al 34,8 per cento di Catania, al 26,6 per cento di Palermo, fra il 10 e il 20 per cento in città come Cagliari, Bari, Genova, Firenze, Venezia e Roma e di poco inferiore al 10 per cento a Milano e Bologna);

    la condizione delle periferie desta, altresì, particolare allarme sociale per quanto attiene alla sicurezza, all'ordine pubblico e all'integrazione della popolazione straniera. Nelle aree periferiche, infatti, sono riscontrabili diversi fenomeni di illegalità, a partire dall'insediamento di clan della criminalità organizzata sino ad arrivare all'occupazione di immobili – di per sé atto penalmente rilevante – che rende incerto il controllo del territorio in quanto può servire da copertura ad attività criminali come lo spaccio di stupefacenti o la ricettazione;

    a ciò si aggiungono elementi di pericolosità generati da comportamenti a forti impatti negativi sull'ambiente, che vanno dalla realizzazione di edifici abusivi, alle discariche e ai roghi di materiali tossici fino allo smaltimento illegale di rifiuti. Le periferie rischiano inoltre di alimentare il conflitto sociale tra ceti deboli, fra italiani impoveriti e migranti senza certa collocazione;

    gli insediamenti Rom, che sono diffusi soprattutto (si tratta di alcune decine in ogni città) a Roma, Milano, Napoli e Torino a ridosso di zone periferiche già segnate da forti criticità generano un clima sociale esplosivo, tanto che, da alcuni anni l'attività principale che si svolge nei campi è il traffico e lo smaltimento illecito dei rifiuti, che avviene attraverso «roghi» tossici che creano gravissimo pregiudizio alla salute della popolazione residente nelle aree limitrofe;

    particolare rilievo ha il ruolo della scuola nelle periferie, non ancora pienamente inclusiva a causa degli elevati tassi di dispersione e abbandono con servizi educativi per l'infanzia non equamente distribuiti territorialmente con evidenti sperequazioni esistenti nel territorio nazionale;

    se nel Nord del Paese, minimarket, negozi etnici, phone center, money transfer, hanno sostituito progressivamente le attività tradizionali in un processo che ha via via degradato molti quartieri, rendendoli insicuri nella percezione dei residenti, al Sud permangono, invece, situazioni in cui i grandi agglomerati urbani, soprattutto quelli legati alla residenza popolare, sono privi di servizi essenziali e di una vera e propria economia urbana legata ad attività commerciali e artigianali;

    l'assenza di economia vitale, capace di rendere un quartiere abitato, insieme alla carenza di opportunità di lavoro, costituisce un fattore rilevante di degrado urbano che non è più riscontrabile soltanto nelle periferie ma anche nei grandi agglomerati urbani, primo tra tutti nella città di Roma Capitale che, soprattutto negli ultimi anni, sta registrando un vero e proprio tracollo socioeconomico in cui i cittadini sono costretti a vivere sommersi tra i rifiuti, ormai fuori controllo anche nel centro, tra erbe infestanti sui marciapiedi, animali di ogni specie e alberi caduti;

    alla situazione appena descritta si aggiunge l'incuria che sta travolgendo la Capitale d'Italia con danni ingenti sul manto stradale, stazioni della metropolitana chiuse da mesi e le innumerevoli opere di valore che sono completamente abbandonate al degrado;

    negli ultimi anni la situazione di forte degrado nelle periferie si è ulteriormente aggravata sia a causa della grave crisi economica che ha aumentato il disagio, la sofferenza sociale ed il senso di abbandono ma in particolar modo a causa della mancanza di interventi organici e strategici da parte degli ultimi Governi che al contrario avrebbero dovuto definire nuovi strumenti di azione per il governo delle aree urbane metropolitane;

    si rileva infatti che con il decreto-legge 25 luglio 2018, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 settembre 2017, n. 108, è stata differita al 2020 l'efficacia delle convenzioni dei 96 comuni concluse sulla base di quanto disposto ai sensi del Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 maggio 2017, nonché della delibera del Cipe n. 2 del 3 marzo 2017, adottata ai sensi dell'articolo 1, comma 141, della legge n. 232 del 2016 perdendo fondi importanti per interventi strutturali in molti quartieri periferici;

    solo successivamente in Conferenza unificata, è stato sancito l'accordo del 18 ottobre 2018 a cui è stato dato seguito con l'approvazione della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (legge di bilancio 2019) che all'articolo 1, commi da 913 a 916, stabilisce che le convenzioni dei 96 comuni successivi ai primi 24, producono effetti nel corso dell'anno 2019 relativamente al rimborso delle spese sostenute e certificate dagli enti beneficiari in base al cronoprogramma, attraverso l'utilizzo dei residui iscritti sul fondo di sviluppo e coesione e che le economie realizzate dagli enti territoriali rimangono acquisite al bilancio statale per essere destinate al finanziamento di spese di investimento dei comuni e delle città metropolitane;

    a ciò si aggiunge che nella presente legislatura non è stata confermata l'istituzione della «Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di sicurezza e sullo stato di degrado delle città e delle loro periferie» che negli scorsi anni ha svolto un ruolo fondamentale di studio e di monitoraggio delle nostre città avviando un percorso che sarebbe stato, non solo necessario, ma soprattutto doveroso proseguire e che invece è stato bruscamente interrotto per volere della maggioranza;

    la relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di sicurezza e sullo stato di degrado delle città e delle loro periferie, approvata nella seduta del 14 dicembre 2017, aveva altresì espresso la necessità di rafforzare gli strumenti parlamentari e governativi per promuovere e gestire le politiche urbane;

    nell'immaginario collettivo la periferia «tipo» è dunque caratterizzata, in modo più o meno accentuato, da fenomeni di degrado, di marginalità, di disagio sociale, di criminalità, di insicurezza e di povertà anche se nella realtà dei fatti rappresenta una situazione ben più complessa e articolata, come dimostra la presenza di tante associazioni di cittadini volte a promuovere un miglioramento delle condizioni di vita in queste aree;

    le periferie non possono e non devono più essere descritte unicamente come luoghi di stazionamento dell'immigrazione irregolare, di campi di rom e di persone senza fissa dimora che si dedicano alla criminalità predatoria, quali furti in abitazione, furti di autoveicoli e su veicoli in sosta, scippi e borseggi o come luoghi di occupazione abusiva di immobili, pubblici e privati, da parte prevalentemente di stranieri e dove sono presenti baracche abusive occupate da soggetti di etnia varia che senza alcuna igiene accumulano e vivono tra i rifiuti;

    la riqualificazione di queste aree appare dunque essenziale per migliorare la qualità di vita dei residenti offrendo loro servizi, un efficace controllo da parte delle forze dell'ordine, scuole, aree verdi e palazzi condominiali che non rappresentino, nella loro forma e ampiezza, il segnale più evidente che si è in un'area di minor benessere sociale e di maggior emarginazione;

    il contesto generale di riferimento, sia per l'interpretazione dei fenomeni di trasformazione delle città e delle periferie, sia per l'individuazione delle migliori condotte per gli interventi, non può che ispirarsi ai principi dell'Agenda urbana europea sottoscritti anche dal nostro Paese con il patto di Amsterdam del 30 maggio 2016. In particolare, sono obiettivi generali per l'intervento nelle periferie: la tutela della qualità della vita, della salute e della sicurezza dei cittadini; l'inclusione sociale, il lavoro e la valorizzazione delle competenze; la promozione dell'economia circolare e il supporto alla transizione digitale; l'attenzione alle problematiche legate ai cambiamenti climatici, alle energie rinnovabili e alla qualità dell'aria; l'uso sostenibile del territorio e il mantenimento delle aree naturali; il sostegno all'accesso alla casa e all'abitare dignitoso e sicuro; lo sviluppo di reti per la mobilità sostenibile; l'innovazione della pubblica amministrazione per promuoverne l'efficienza al servizio dei cittadini;

    la strategia di fondo, peraltro ormai praticata in tutta Europa, è quella della rigenerazione urbana, ovvero di programmi complessi che privilegiano l'intervento in comprensori già costruiti al fine di rendere vivibile e sostenibile lo spazio urbano, di soddisfare la domanda abitativa e di servizi, di accrescere l'occupazione e migliorare la struttura produttiva metropolitana, di rassicurare la maggior parte della popolazione che risiede proprio nelle aree periferiche;

    per intervenire efficacemente sulle periferie e sulle città non ci si può limitare ad azioni frammentarie o episodiche, ma è necessario mettere in cantiere un grande progetto nazionale i cui risvolti non si limitano al miglioramento delle condizioni sociali e ambientali, ma possono costituire, come avviene negli altri Paesi europei, anche un meccanismo di sviluppo economico e occupazionale sostenibile,

impegna il Governo:

1) a predisporre politiche per la riqualificazione delle periferie con un programma pluriennale di durata quinquennale, al fine di porre in essere interventi con continuità di finanziamenti e obiettivi per la rigenerazione urbana, il rilancio economico e sociale delle periferie con forme di sostegno e incentivo per le attività economiche commerciali e artigianali;

2) a promuovere presso la Conferenza Stato-regioni un tavolo tecnico di coordinamento sull'abusivismo per una decisa azione finalizzata allo sgombero delle occupazioni abusive e per la condivisione delle buone pratiche, al fine di uniformare le procedure per le occupazioni abusive ed illegali del patrimonio abitativo pubblico e privato;

3) a rafforzare il controllo del territorio tramite un'azione coordinata delle polizie locali con i corpi nazionali;

4) a promuovere campagne di sensibilizzazione per una diffusione del senso di responsabilità civica nella denuncia di reati e della cultura del bene comune, anche attraverso programmi mirati nelle scuole di ogni ordine e grado;

5) a prevedere le opportune iniziative al fine di effettuare un monitoraggio del rischio e delle connessioni che possono emergere tra il disagio delle aree urbane e i fenomeni della radicalizzazione e dell'adesione al terrorismo di matrice religiosa fondamentalista da parte dei cittadini europei figli degli immigrati di prima generazione;

6) a predisporre una task force presso il Ministero dell'interno, in coordinamento con le altre amministrazioni competenti, per individuare le aree del territorio nazionale nelle quali ancora persiste il fenomeno dell'abusivismo edilizio, al fine di elaborare le misure più opportune per contrastarlo, avviando piani di recupero dei territori;

7) ad adottare iniziative per una ricognizione dei campi di rom regolari e irregolari situati prevalentemente nelle aree periferiche delle città metropolitane, anche ai fini dell'elaborazione di misure di contrasto dello smaltimento illegale di rifiuti mediante l'innesco di roghi e dell'attuazione della Strategia nazionale 2012-2020 d'inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Caminanti in attuazione della comunicazione COM(2011)173 della Commissione europea, del 5 aprile 2011, approvata dal Consiglio dei ministri il 24 febbraio 2012;

8) a favorire un'offerta formativa complessiva al fine di elaborare, fatta salva l'autonomia scolastica, proposte per il rafforzamento della formazione e della funzione centrale della scuola nel rapporto con il territorio nonché di migliorare i livelli di istruzione e di contrastare l'abbandono scolastico;

9) ad avviare iniziative di competenza al fine di potenziare la partecipazione delle Forze armate nell'operazione «Strade sicure» per il controllo del territorio;

10) a promuovere ogni iniziativa di competenza per sostenere e incentivare la rete delle associazioni e del volontariato che in campo sociale, ambientale, sociale, rappresentano una risorsa fondamentale per il contrasto al degrado urbano e alla manutenzione dello spazio pubblico;

11) ad adottare le iniziative di competenza per potenziare l'attività di polizia locale attraverso l'istituzione del poliziotto, carabiniere o vigile di quartiere nelle città al fine di garantire una maggiore sicurezza anche nelle periferie;

12) a promuovere le opportune iniziative volte ad individuare immediate soluzioni finalizzate a contrastare il forte degrado di Roma Capitale e della sua periferia nonché ad avviare, tempestivamente, un'azione istituzionale volta a scongiurare il perpetrarsi dell'emergenza rifiuti e il conseguente disagio che sono costretti a subire i cittadini della Capitale.
(1-00227) «Gelmini, Battilocchio, Calabria, Spena, Marrocco, Occhiuto, Sisto, Milanato, Ravetto, Santelli, Tartaglione».


   La Camera,

   premesso che:

    la normativa relativa alle cosiddette adozioni nazionali, ovvero la legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, regola l'affidamento preadottivo e adottivo dei minori;

    attualmente l'intero procedimento è a carico dei tribunali dei minori distrettuali e dei servizi sociali dei comuni, i quali si occupano rispettivamente di decidere e di valutare l'accesso alla lista delle famiglie idonee e, esclusivamente per il giudice del tribunale dei minori, di decretare l'affidamento preadottivo e di adozione;

    l'intero procedimento giuridico è estremamente lungo e difficilmente si conclude prima di tre anni dalla presentazione della domanda con il decreto d'adozione da parte della magistratura, con il quale si stabilisce che il minore diventa figlio legittimo della coppia adottante (effetto legittimante) e che cessino i rapporti giuridici tra il minore e la famiglia di origine (effetto risolutivo);

    la prolungata tempistica descritta è dovuta alle modalità con cui l'intero iter è strutturato; iter che si compone di una prima fase in cui i genitori vengono dichiarati idonei ad essere inseriti nel registro delle famiglie disponibili all'adozione, di una seconda con la quale il tribunale procede all'individuazione della famiglia idonea al minore in questione e di una terza dove il tribunale dapprima procede all'affidamento preadottivo di almeno un anno e, successivamente, al decreto di adozione dello stesso minore;

    ognuna di queste fasi descritte presenta tempi variabili a seconda della collocazione stessa del tribunale e dell'efficienza degli stessi servizi sociali comunali. Il nostro Paese è l'unico dove tutto il procedimento per ottenere l'adozione segue un doppio binario: quello del tribunale e quello amministrativo. Peraltro, l'intero procedimento non è uniforme nello stesso territorio nazionale. Ad esempio, i moduli per presentare istanza d'adozione sono difformi su tutto il territorio nazionale e, ulteriormente, alcuni tribunali dei minori, alle tre fasi prima descritte, aggiungono una quarta fase opzionale preliminare, durante la quale chiedono che la domanda sia sottoposta preventivamente ai servizi socioassistenziali locali;

    il procedimento burocratico è scarsamente affrontabile in autonomia dalle famiglie richiedenti l'adozione nazionale e spesso il compito di supplenza e di supporto ai richiedenti viene svolto dal terzo settore e, in particolare, da diverse associazioni, presenti a livello territoriale o nazionale;

    se le adozioni nazionali sono gratuite per i richiedenti, spesso i coniugi sono costretti a rivolgersi ad un'apposita consulenza legale per conoscere i propri diritti e per apprendere cosa fare nel caso in cui i tempi non vengano rispettati. Un disservizio che mostra una disattenzione dello Stato verso le future famiglie. Peraltro tutti i servizi sociali dei comuni dovrebbero dotarsi di appositi sportelli per offrire la necessaria assistenza legale;

    se alla radice di queste problematiche vi è anche lo scarso funzionamento dei servizi sociali dei comuni o dei tribunali dei minori, una prima risposta può essere rappresentata dal rendere più omogenea possibile a livello nazionale l'intera pratica affidatoria;

    è necessario il completamento della banca dati nazionale delle adozioni, istituita con il decreto-legge n. 47 del 2013, ma altri interventi propedeutici a migliorare l’iter delle adozioni potrebbero essere l'eliminazione della preistruttoria facoltativa presso i servizi sociali e la creazione di un'unica modulistica nazionale per presentare istanza;

    quest'ultima modulistica dovrebbe poter essere compilata per via telematica sul sito del dipartimento per la giustizia minorile;

    la seconda problematica relativa alle adozioni nazionali è rappresentata dal rischio giuridico in cui incorrono le famiglie richiedenti un'adozione nazionale. Infatti, seppure i dati mostrano che avvenga una adozione per ogni sei famiglie presentanti istanza, ad oggi, anche le famiglie che ottengono il decreto di affidamento preadottivo possono vedere concludersi negativamente la procedura adottiva laddove un parente fino al quarto grado del minore presenti ricorso per avocare a sé il bambino;

    questi genitori, nonostante abbiano conosciuto, convissuto e legato affettivamente con l'affidato, si trovano pertanto a dover fronteggiare problematiche non prevedibili e nuovi ed inediti costi legali per le spese giudiziarie, non prevedibili e stimabili al momento della presentazione della domanda. Per di più, non sono invece stimabili i costi prodotti dalla sfida giudiziaria sulla pelle dei minori;

    tale situazione, nota come rischio giuridico, coinvolge famiglie che già hanno atteso almeno un anno per ottenere l'affidamento preadottivo, causando ulteriore nocumento alle medesime;

    sarebbe opportuno giungere all'emanazione di nuove norme tese ad eliminare o ridurre questo rischio, confinando i tempi per i ricorsi dei familiari fino al quarto grado solo nel periodo che intercorre dall'accoppiamento dell'affidato al decreto di adozione preadottivo, dandone nel frattempo tempestiva comunicazione agli stessi parenti del minore;

    nell'ambito della tutela del minore, nel caso limite in cui la famiglia non sia in grado di provvedere alla crescita e all'educazione del medesimo, oltre all'istituto dell'affidamento vi è quello dell'adozione; entrambi disciplinati dalla legge 4 maggio 1983, n. 184;

    in particolare, in materia di affido, si prevede che il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo sia affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno. Ove non sia possibile, è consentito l'inserimento del minore in una comunità di tipo familiare o, in mancanza, in un istituto di assistenza pubblico o privato, che abbia sede preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui stabilmente risiede il nucleo familiare di provenienza. Per i minori di età inferiore a sei anni l'inserimento può avvenire solo presso una comunità di tipo familiare;

    in genere, sono individuate tre macro-tipologie di comunità di accoglienza residenziale per minori: le comunità familiari/case famiglia, caratterizzate dalla presenza stabile di adulti residenti, tra cui rientrano anche le comunità multiutenza; le comunità educative/socioeducative, caratterizzate da operatori/educatori che non abitano stabilmente in comunità ma sono presenti con modalità «a rotazione»; le comunità socio-sanitarie, che possono essere comunità familiari, case famiglia o comunità educative, caratterizzate dalla compresenza di funzioni socio-educative e terapeutiche;

    purtroppo da tempo le cronache, segnalano problemi e criticità nella gestione delle attività di affidamento di minori a comunità, centri e istituti, criticità che troppo spesso finiscono per sfociare in veri e propri abusi a danno dei soggetti minori in affido;

    tutto questo rende evidenti le criticità relative alla stessa normativa vigente in materia di minori fuori famiglia e di tutela dei loro diritti;

    è purtroppo di queste settimane l'agghiacciante inchiesta giudiziaria, denominata «Angeli e Demoni», e il conseguente arresto di 18 persone (tra cui politici, medici, assistenti sociali, liberi professionisti, psicologi e psicoterapeuti di una Onlus), che vede coinvolti i servizi sociali della Val d'Enza nel reggiano accusati, tra l'altro, di redigere false relazioni per allontanare bambini dalle famiglie e collocarli in affido retribuito presso comunità, amici, conoscenti, o a soggetti anche con problematiche psichiche;

    al di là delle responsabilità penali che spetterà alla magistratura accertare, ciò che è emerso è un quadro inquietante e sconcertante, e che impone una riflessione e un ripensamento profondo delle politiche di tutela dei minori, del ruolo delle comunità e degli istituti di affido dei minori e dei rapporti di queste comunità e istituti con le istituzioni locali e la rete dei servizi sociali,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per completare e rendere pienamente operativa la banca dati dei minori adottabili e delle famiglie disponibili all'adozione, anche attraverso la nomina di commissari ad acta;

2) ad adottare iniziative per uniformare la modulistica usata dai tribunali minorili nelle pratiche preadottive, predisponendo modelli standard da adottare a livello ministeriale;

3) ad adottare le iniziative di competenza per eliminare la pratica della preistruttoria facoltativa presso i servizi sociali oggi disposta solo da alcuni tribunali;

4) ad assumere iniziative per dettare nuove disposizioni che limitino temporalmente la possibilità dei familiari fino al quarto grado di avocare a sé la tutela dei minori;

5) a rafforzare il sistema dei controlli, con particolare riguardo al controllo degli istituti e delle comunità riguardo all'affidamento di minori;

6) ad adottare iniziative per rivedere i criteri utilizzati per il collocamento dei minori presso le diverse realtà di accoglienza e, più in generale, la normativa in materia di affidamento dei soggetti minori;

7) a monitorare lo stato degli istituti e delle comunità che accolgono minori nel nostro Paese.
(1-00228) «Marrocco, Spena, Gelmini, Carfagna, Prestigiacomo, Versace, Siracusano, Battilocchio, Barelli, Bartolozzi, Santelli, Polidori, Palmieri, Occhiuto, Cannizzaro, D'Ettore».

Risoluzioni in Commissione:


   La III Commissione,

   premesso che:

    dal 5 giugno 2017 il Qatar è sottoposto a misure coercitive politiche ed economiche e ha richiesto il sostegno dell'Italia per fermare le violazioni dei diritti umani contro i propri cittadini compiute a causa del blocco imposto da Arabia Saudita, Egitto, Bahrein ed Emirati arabi Uniti;

    nel 2017 il presidente della Commissione nazionale per i diritti umani del Qatar, Ali bin Samikh Al Marri, insieme all'ambasciatore del Qatar in Italia, Abdulaziz bin Ahmed Al Malki Al Jehani, ha incontrato il presidente della Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati dell'Italia per denunciare le violazioni dei diritti umani avvenute in conseguenza del blocco imposto al Qatar da giugno 2017: 3.970 denunce di violazioni dei diritti umani, tra cui 504 violazioni del diritto all'istruzione, 1.174 violazioni del diritto alla proprietà privata, 629 violazioni del diritto al ricongiungimento familiare, 1.261 violazioni della libertà di circolazione, 37 violazioni del diritto alla salute, 163 violazioni del diritto alla pratica religiosa, 109 violazioni dei diritti dei lavoratori e 93 violazioni del diritto di soggiorno;

    più recentemente la Corte internazionale di giustizia si è pronunciata sulla causa intentata dal Qatar contro gli Emirati Arabi Uniti, uno dei Paesi (insieme ad Arabia Saudita, Bahrein ed Egitto) che ha imposto il blocco via terra, aria e mare. In base alla Convenzione internazionale per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale del 1965, la Corte internazionale di giustizia ha stabilito che i provvedimenti introdotti dai Paesi del blocco sono discriminatori e rappresentano una violazione dei diritti dei cittadini del Qatar. Nell'ordine del 23 luglio del 2018, la Corte internazionale di giustizia ha richiesto che gli Emirati Arabi Uniti garantiscano che:

     (i) vengano riunite le famiglie con membri qatarini divise dalle misure adottate dagli Emirati Arabi Uniti il 5 giugno 2017;

     (ii) gli studenti qatarini, colpiti dalle misure introdotte dagli Emirati Arabi Uniti il 5 giugno 2017, abbiano la possibilità di completare gli studi negli Emirati Arabi Uniti o possano ottenere la loro documentazione accademica nel caso vogliano proseguire i loro studi altrove;

     (iii) i qatarini, colpiti dalle misure adottate dagli Emirati Arabi uniti il 5 giugno 2017, abbiano accesso alla giustizia, ai tribunali e agli organi giudiziari degli Emirati Arabi Uniti;

    il Qatar ha inoltre deciso di sottoporre la questione del blocco illegale ad altre istituzioni come l'Organizzazione mondiale del commercio (Omc), dal momento che gravi violazioni in ambito commerciale sono state commesse da Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Bahrein. Il Qatar ha presentato una denuncia contro gli Emirati Arabi Uniti su questioni riguardanti il diritto del commercio di prodotti, servizi e proprietà intellettuale. In un'altra disputa, il Qatar ha aperto un procedimento contro l'Arabia Saudita sul quale è stato stabilito un panel che si pronuncerà sulle gravi violazioni commesse dall'Arabia Saudita dei diritti intellettuali dei cittadini e delle imprese del Qatar. In particolare, la disputa riguarda il furto, su ampia scala e promosso da uno Stato, di trasmissioni sportive di proprietà di beln Media Group da parte del sofisticato pirata di diritti di proprietà «beoutQ»;

    l'atto di pirateria commesso da beoutQ, un pirata saudita di media e sport, è di un'entità senza precedenti, violando i diritti di enti del Qatar e di altri Stati membri dell'Omc, inclusi molti diritti televisivi e sportivi italiani come la serie A;

    queste denunce all'Omc sono in fase di analisi attraverso il procedimento di risoluzione delle controversie dove un panel si pronuncerà sulle misure illegali adottate dai Paesi del blocco. Considerando questi fatti come questioni fondamentali per promuovere un tentativo di mediazione, lo Stato del Qatar ha presentato la sua posizione dall'inizio della crisi e continua a sostenere la mediazione del Kuwait;

    è nell'interesse dell'Italia non raggiungere un punto di non ritorno, nel caso non vi fossimo già. L'interesse dell'Italia è di fermare il protrarsi di quotidiane violazioni dei diritti umani;

    inoltre, durante l'incontro avvenuto a novembre del 2018 a Montecitorio con l'associazione inter-parlamentare di amicizia Italia-Qatar, l'ambasciatore del Qatar a Roma Al Malki ha presentato il percorso verso la democrazia intrapreso dall'Emiro del Qatar, Tamim bin Hamad Al Thani: un percorso che prevede anche l'istituzione di un consiglio legislativo. Come spiegato dall'Ambasciatore Al Malki, questo processo verso la democrazia rischia di essere rallentato a causa della crisi del Golfo e del perdurare del blocco;

    le relazioni internazionali di amicizia tra i nostri Paesi richiedono all'Italia di assumere un nuovo ruolo da protagonista nello scenario internazionale e, in nome della sua tradizione diplomatica, di adoperarsi per attenuare le forti e preoccupanti tensioni tra i Paesi del blocco e il Qatar, con lo scopo di ristabilire rapporti diplomatici tra le parti,

impegna il Governo:

   1) a supportare il ruolo di mediazione svolto dal Kuwait;

   2) a porre in essere tutte le iniziative necessarie per promuovere a livello internazionale la fine del blocco di cui in premessa; in base alla Carta delle Nazioni Unite, al diritto internazionale e alla normativa internazionale a tutela dei diritti umani;

   3) a rimarcare in tutte le sedi internazionali il rispetto dei princìpi di sovranità degli Stati e di non ingerenza, richiamando al dovere degli Stati medesimi di astenersi, nelle relazioni internazionali, dall'uso della forza militare, politica, economica o qualsiasi altra forma di coercizione contro l'indipendenza politica o l'integrità territoriale di qualsiasi Stato e considerando essenziale che tutti gli Stati si astengano nelle relazioni internazionali dalla minaccia o dall'uso della forza contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica di qualsiasi Stato o in qualsiasi altra maniera che vada contro gli scopi delle Nazioni Unite.
(7-00282) «Cappellacci».


   La XIII Commissione,

   premesso che:

    l'Osservatorio per l'imprenditoria ed il lavoro femminile in agricoltura (Onilfa) nacque da un'idea delle rappresentanti femminili delle organizzazioni professionali agricole, stimolate dai lavori della giornata europea dell'agricoltrice del 1996, tenutasi a Bruxelles;

    in una «Lettera aperta delle donne agricoltrici», presentata in quella circostanza, venne avanzata ufficialmente dalle donne delle principali associazioni agricole (Cia-Coldiretti-Confagricoltura) la proposta al Ministero per le politiche agricole di costituire uno specifico organismo sul ruolo della donna in questo settore;

    l'Osservatorio venne costituito con decreto del Ministro delle politiche agricole del 13 ottobre 1997, utilizzando come base giuridica per la sua creazione una norma che prevedeva l'istituzione presso i Ministeri di appositi comitati per le pari opportunità (articolo 41 del decreto del Presidente della Repubblica n. 266 del 1987) e la legge n. 215 del 1992, in materia di azioni positive per l'imprenditoria femminile. Era composto da 30 membri in rappresentanza dei principali organi istituzionali (centrali e regionali) ed enti del mondo agricolo e rurale nazionale;

    le finalità principali dell'Osservatorio erano quelle di approfondire la conoscenza della realtà imprenditoriale e del lavoro femminile in agricoltura e avanzare proposte e soluzioni, collaborando con le pubbliche amministrazioni, raccogliendo dati e promuovendo iniziative pilota nel settore dell'imprenditoria agricola al femminile;

    purtroppo la vita dell'Osservatorio è durata soli 15 anni, in quanto il decreto-legge n. 95 del 2012 del Governo Monti ha previsto che le attività svolte dagli organismi collegiali fossero trasferite agli uffici delle amministrazioni dove operavano. Va dato merito al Ministero di non aver chiuso il sito dell'Osservatorio (www.onilfa.gov.it), che è ancora oggi visibile, anche se non più adeguatamente implementato;

    l'Onilfa è uscito ben presto dalla sua funzione di mero Osservatorio, per rivolgersi direttamente alle donne che operavano in agricoltura. Queste preveggenti parole, sono state scritte oltre 10 anni fa e ancora si possono leggere sul sito: «Sarà per il tocco tipico femminile che le donne sanno dare a queste imprese, ma la maggior parte di esse operano in agricoltura all'insegna della tanto d'attualità multifunzionalità agricola. .... Molte agende agricole condotte da donne integrano nella loro attività multifunzionale soprattutto colture biologiche e votate al “no Ogm” e imitative legate alle fattorie didattiche per insegnare anche ai più piccoli i valori di tradizioni messi un po’ da parte negli ultimi tempi.... Ed è a queste che noi ci rivolgiamo»;

    a livello imprenditoriale, in agricoltura, la rappresentanza femminile è cospicua: il 31 per cento delle imprese è guidata da una donna. Quanto ai lavoratori agricoli dipendenti, che in Italia sono circa un milione, il 34 per cento sono donne. A livello europeo su 26,7 milioni di persone regolarmente occupate nell'agricoltura nell'Unione, circa il 42 per cento è costituito da donne e almeno un'azienda agricola su cinque (intorno al 29 per cento) è diretta da una donna;

    ma, al di là del mero dato statistico, merita di essere posta in evidenza la capacità dimostrata dalle donne imprenditrice in agricoltura nel saper leggere i cambiamenti economici e sociali che stanno caratterizzando il contesto rurale. Tale capacità ha dato loro la possibilità di adattare l'attività dell'impresa alle nuove necessità del territorio, contribuendo fortemente a sostenere un «nuovo» ruolo dell'agricoltura, oltre a quello meramente produttivo. Grazie proprio alla diversificazione delle attività, è stata rilevata una maggiore capacità di sopravvivenza delle aziende femminili in agricoltura rispetto a quelle maschili;

    l'analisi delle informazioni disponibili nei vari report pone in evidenza l'orientamento delle imprese agricole femminili verso una maggiore diversificazione delle colture, la fornitura di servizi utili alla popolazione (fattorie sociali e didattiche, attività culturali e ricreative, accoglienza disabili e altro), la maggiore attenzione salvaguardia del territorio e la tutela della cultura e delle tradizioni locali, che consentono, al tempo stesso, la crescita delle aree rurali e la loro sostenibilità;

    per quel che riguarda l'orientamento dell'Unione europea, la risoluzione del Parlamento europeo del 5 aprile 2011 sul ruolo delle donne nell'agricoltura e nelle zone rurali, ha dato impulso ad un significativo cambiamento di impostazione nei confronti del lavoro femminile in agricoltura;

    l'Unione ha adottato i progetti Fse/Equal intesi a valorizzare e migliorare la posizione delle donne nell'agricoltura e nelle zone rurali. Il regolamento Feasr (Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale, disciplinato dal Regolamento (UE) n. 1305/2013), finanzia lo sviluppo rurale sostenibile in via complementare agli altri strumenti previsti dalla politica agricola comune, quali il Fondo europeo di orientamento e garanzia agricola (Feoga), e prevede sottoprogrammi in favore delle donne nelle aree rurali;

    nell'applicazione di queste misure, in particolare per il Feasr, l'Unione richiede l'utilizzo del cosiddetto «approccio Leader+» che prevede azioni dal basso verso l'alto, realizzazione di progetti di cooperazione, sperimentazione di approcci innovativi e collegamento in rete. Si tratta di misure dirette a migliorare il benessere della collettività rurale nel suo complesso, volte a consentire l'accesso alle strutture e ai servizi legati alla vita quotidiana (strutture prescolari, servizi sanitari, educative e di assistenza e cura per anziani, punti di vendita e altro). L'approccio Leader+ è un valido strumento per promuovere strategie che valorizzano contributo femminile allo sviluppo delle aree rurali perché va ad incidere sugli aspetti socioculturali che condizionano la loro partecipazione attiva ai processi di sviluppo locale;

    i regolamenti agricoli europei vigenti (2014-2020), che prestano così grande attenzione all'ambiente, all'uso efficiente delle acque, delle risorse agricole e dei suoli, alla diversificazione delle attività agricole, alla promozione di azioni di sviluppo locale, all'utilizzo di energie rinnovabili, alla riduzione delle emissioni, costituiscono una grande occasione per l'imprenditoria agricola femminile: c'è un nesso forte tra il modo con cui sono concepite e operano i programmi dell'Unione europea per lo sviluppo dell'agricoltura e il modello mentale con cui le donne si avvicinano all'attività agricola;

    è legittimo affermare che le donne imprenditrici agricole sono le migliori esecutrici del nuovo modello di politica agricola ambientale dell'Unione europea;

    a livello regionale sono diverse le esperienze e i sostegni in favore dello sviluppo del ruolo della donne in agricoltura, in parte derivanti dall'applicazione degli obiettivi dell'Unione. Tra le iniziative proprie delle regioni sono di rilievo:

     le norme sugli agro-asili, destinate ad offrire a tutte le donne che operano nei campi, un valido sostegno in ambito familiare;

     le misure per l'ampliamento dei servizi offerti dall'agriturismo, grazie alle quali si incrementa il grado di utilizzo di tali strutture mediante fornitura di servizi di accoglienza alle famiglie del territorio sia in favore dei minori che degli anziani;

     le esperienze di rifunzionalizzazione degli immobili rurali, sia abbandonati che resi disponibili dalle pubbliche amministrazioni, da destinare ad attività multifunzionali;

    il codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo n. 198 del 2006, ha assorbito i contenuti della legge n. 215 del 1992, in materia di azioni positive per l'imprenditoria femminile. Il codice prevede attualmente la costituzione di un Comitato nazionale per l'attuazione dei princìpi di parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, quindi maggiormente orientato verso questo aspetto. L'articolo 48 del codice prevede la realizzazione di azioni positive nelle pubbliche amministrazioni, in favore della parità uomo donna. Tale norma può costituire la base giuridica per la ricostituzione dell'Onilfa;

    quanto alle sue competenze si ritiene opportuno confermare quelle precedentemente previste, raccolta ed elaborazione dei dati, analisi della normativa in materia di pari opportunità, analisi degli interventi attivati dalle amministrazioni e dalla Unione europea, promozione di iniziative nel campo dell'imprenditoria femminile, funzioni di sensibilizzazione, nonché consultive e di supporto alle varie pubbliche amministrazioni, attivazione di politiche formative in grado di sostenere la crescita imprenditoriale delle donne in agricoltura, nonché di politiche infrastrutturali e dei servizi;

    a tali competenze si ritiene opportuno aggiungere lo svolgimento di attività coordinamento, propositive e di indirizzo nei confronti delle donne che intendano avviare un'attività in ambito agricolo o di trasformazione dei prodotti agricoli, nonché negli ambiti multifunzionali individuati dalle normative dell'Unione e delle regioni sopra descritte, svolgendo, in tale ambito un ruolo di stimolo anche per quel che riguarda la programmazione del bilancio dell'Unione 2021-2027 in corso di definizione;

    a tal fine si ritiene opportuno che, nell'ambito del sito internet dell'Osservatorio, sia attivato un portale che, in tempo reale, metta a disposizione delle aspiranti imprenditrici normative, percorsi guidati per accedere ai finanziamenti, alert relativi alla pubblicazione di bandi, soluzioni per i problemi di procedimento e un punto di contatto con i competenti uffici delle regioni e delle province autonome,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative per ricostituire presso il Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo l'Osservatorio per l'imprenditoria ed il lavoro femminile in agricoltura (Onilfa), utilizzando le possibilità offerte dalle norme vigenti in materia di pari opportunità e nell'ambito della dotazione organica e delle risorse disponibili, con le funzioni previste dal decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali 13 ottobre 1997, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 8 aprile 1998, n. 82;

   ad assegnare all'Osservatorio i seguenti ulteriori compiti:

    a) sensibilizzare le pubbliche amministrazioni ad avviare politiche attive volte a sostenere la crescita dell'imprenditoria femminile in agricoltura, ivi comprese le attività formative, fornendo indicazioni in relazione a specifiche problematiche;

    b) sensibilizzare le pubbliche amministrazioni ad attuare ed implementare le politiche delle infrastrutture e dei servizi nel territorio rurale, rivolte alle imprese femminili e alle donne, previste dalla normativa dell'Unione;

    c) svolgere un ruolo di stimolo e di supporto all'azione di Governo, con riferimento all'obiettivo di implementare le azioni dell'Unione europea in favore dell'imprenditoria e del lavoro femminile in agricoltura nell'ambito della programmazione di bilancio 2021-2027;

    d) redigere un rapporto annuale per il Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo sullo stato di attuazione delle politiche in favore dello sviluppo del lavoro e dell'attività imprenditoriale delle donne in agricoltura;

    e) creare ed implementare, nell'ambito del sito internet dell'Osservatorio, un portale telematico, costantemente aggiornato, che metta a disposizione delle aspiranti imprenditrici agricole normative, percorsi guidati per accedere ai finanziamenti, alert relativi alla pubblicazione di bandi, soluzioni per i problemi di procedimento e un punto di contatto con i competenti uffici delle regioni e delle province autonome, provvedendo altresì alla richiesta e allo scambio di informazioni disponibili in materia di donne in agricoltura con gli organismi europei e regionali preposti;

    f) creare ed implementare una «banca della solidarietà» nell'ambito della quale sia possibile far dialogare e mettere a frutto le esperienze e le conoscenze delle agricoltrici italiane con quelle europee e quelle dei Paesi in via di sviluppo.
(7-00280) «Spena, Gelmini».


   La XIII Commissione,

   premesso che:

    il ruolo delle donne ed il loro contributo in ogni campo e, più in generale, allo sviluppo economico e sociale del Paese rappresenta in modo riconosciuto uno snodo fondamentale per una corretta programmazione delle politiche pubbliche;

    più di un quarto della popolazione mondiale è oggi costituito dalle donne che abitano e lavorano in aree rurali, le quali Contribuiscono quotidianamente allo sviluppo dell'economia familiare;

    lo spopolamento e la scarsa manutenzione del territorio hanno reso le aree rurali più fragili e accentuato nel corso degli anni, processi di depauperamento di risorse umane e naturali;

    le donne svolgono un ruolo fondamentale e da lunga data nelle aziende agricole senza che questo, in molti casi, sia riconoscibile in termini di titolarità dei diritti, di responsabilità gestionali e garanzie giuslavoristiche loro accordate;

    i dati Eurostat sulla forza lavoro del 2016, riferiti all'Unione europea a 28 Stati (UE-28) certificano che le donne rappresentano il 35,1 per cento della forza lavoro agricola; tale percentuale risulta di 10 punti percentuali inferiore alla quota di donne sul totale della popolazione lavorativa, che si attesta a circa il 45,9 per cento;

    la Fao fa presente che in 15 Paesi dell'Unione europea le donne possiedono il 20 per cento dei terreni agricoli, rispetto al 77 per cento dei terreni posseduti dagli uomini e il 3 per cento dai Governi, rendendo, così, tra l'altro, più difficile per il genere femminile l'accesso al credito;

    in Italia, i dati dell'Istat sulle forze lavoro del 2016 contano il 27 per cento delle donne occupate in agricoltura; la presenza femminile pesa per il 3 per cento del totale delle donne occupate, contro il 14 per cento nell'industria e l'83 per cento nei servizi;

    dal confronto fra gli ultimi due censimenti agricoltura, il peso percentuale delle conduttrici nel settore agricolo è progressivamente aumentato, passando dal 26 del 1990 al 31 per cento del 2010;

    l'imprenditoria femminile agricola è ancora prevalentemente concentrata sulle aziende più piccole (78 per cento), con una dimensione media attorno ai 5 ettari (contro i circa 8 ettari della media nazionale);

    quanto alle imprese condotte da giovani agricoltori, le aziende agricole guidate da giovani donne sono aumentate del 6,6 per cento dal 2016 al 2017, raggiungendo un totale di quasi 14 mila unità;

    negli ultimi anni si è assistito ad un aumento costante della manodopera femminile nel settore agricolo: non si tratta solo di straniere, ma anche di lavoratrici italiane, costrette spesso a impieghi sottopagati, orari di lavoro massacranti, svariate forme di vessazioni, che in alcuni casi sfociano in violenza;

    le informazioni statistiche, comunque, sembrano risentire di una discrasia tra quanto rilevato dai dati ufficiali e la realtà effettiva, dove il lavoro agricolo svolto dalla donna è sovente considerato, soprattutto laddove è svolto a favore di aziende agricole a carattere familiare, al pari del lavoro domestico e, in quanto tale, incapace di assurgere una sua propria rilevanza;

    le imprenditrici agricole esprimono assolute eccellenze in molti campi, a partire dal settore vitivinicolo, che si caratterizzano per una forte propensione alle pratiche biologiche ed ecosostenibili, all'agricoltura sociale, all'innovazione; sta crescendo a livello nazionale ed internazionale la creazione di reti ed associazioni di donne del settore attorno alla valorizzazione della biodiversità agricola, lo scambio di esperienze, la cooperazione; tale vivacità ed eccellenza non è sempre supportata e rappresentata a sufficienza nei vertici delle organizzazioni di settore così come nei servizi pubblici e privati al comparto agricolo;

    la Fao ha stimato che se le donne avessero lo stesso accesso alle risorse degli uomini, la produzione agricola potrebbe aumentare fino al 30 per cento. E poiché in molti Paesi poveri l'agricoltura è la principale occupazione delle donne, questo potrebbe far sì che 150 milioni di persone potrebbero nel prossimo futuro uscire dalla loro condizione di insicurezza alimentare. È per questo che uno dei Global Goals della Fao individua nell'uguaglianza di genere e nell'emancipazione femminile uno dei principali, e, peraltro, tra i più difficili obiettivi da raggiungere;

    è stato ampiamente dimostrato che valorizzando le capacità produttive delle donne a favore di un'agricoltura sostenibile, non solo si lavorerebbe per il futuro ambientale della Terra, ma si andrebbe verso la piena fruizione dei loro diritti individuali. Inoltre, quando coinvolte nei processi decisionali sulle questioni climatiche, le donne hanno dimostrato di poter fare la differenza; grazie alla loro conoscenza ed esperienza nella gestione delle risorse naturali, sono in grado di strutturare una valida risposta ai disastri ambientali sia nella messa in sicurezza della popolazione che nella ricostruzione successiva nonché nel reperimento di nuove risorse di immediata necessità;

   valutato che:

    l'Onu ha messo in campo da anni una serie di azioni, dal coinvolgimento delle donne nei processi decisionali che possono influire sul clima a livello locale e globale, alla promozione finanziaria e tecnologica di iniziative imprenditoriali femminili;

    numerosi studi ed indagini da anni hanno approfondito gli aspetti organizzativi, sociali ed economici dell'agricoltura al femminile, rimarcando strette connessioni tra la presenza di donne attive in agricoltura e l'attenzione per la diversificazione economica aziendale (agriturismo, attività didattiche, vendita diretta, agricoltura sociale e altro) e gli aspetti ambientali (in particolar modo per ciò che concerne lo sviluppo di modelli produttivi sostenibili come l'agricoltura biologica e l'agricoltura familiare), sempre coniugati con un'alta redditività dell'impresa;

    per quanto riguarda l'agricoltura biologica, come confermato anche dai dati Istat, le aziende guidate da donne in Italia sono aumentate del 20 per cento nel periodo compreso tra i due censimenti sul mondo agricolo;

    per ciò che concerne l'agricoltura familiare è stato evidenziato, da più parti, come le donne siano il perno delle aziende a conduzione familiare ed abbiano un ruolo chiave nella sostenibilità economica e sociale della stessa impresa;

    risulta custodito nella memoria e nella sapiente tradizione artigianale delle donne il patrimonio enogastronomico dei nostri territori ed è fondamentale dare visibilità e riconoscimento a tale cultura, anche in ragione del valore economico che la stessa possiede per l'identificazione dei prodotti agroalimentari made in Italy, individuabili non solo in base alla componente organolettica del prodotto, ma anche in relazione alla specificità delle tecniche di lavorazione;

    il contributo femminile all'agricoltura è, quindi, fondamentale per lo sviluppo sostenibile dell'agroalimentare italiano, un settore strategico per l'Italia, che ha un giro d'affari di 190 miliardi di euro, pari al 17 per cento del prodotto interno lordo italiano;

    sono riscontrabili tuttora situazioni specifiche che ostacolano la crescita della presenza femminile nel settore, sia sul versante più propriamente imprenditoriale, sia in termini di riconoscimento a livello lavorativo delle prestazioni fornite, sia con riguardo al contesto di riferimento nel quale sono chiamate a svolgere l'attività lavorativa;

    dal lato imprenditoriale, occorre sostenere la formazione manageriale e professionale delle donne, anche attraverso specifici percorsi di empowering il genere femminile nel settore agricolo, di specializzazione nei processi di direzione dell'azienda, di sostegno alle azioni di commercializzazione e di accesso al credito;

    dal lato del lavoro dipendente, è necessaria una maggiore sensibilizzazione verso questa componente lavorativa, ponendo in essere strumenti correttivi — servizi di tutela – volti a superare le discriminazioni di genere (nelle paghe salariali, nelle attribuzioni di mansioni, nella tutela della maternità, nelle molestie sessuali e altro), e a sostenere percorsi di crescita professionale;

    nell'ambito dell'impresa familiare occorre prevedere, come del resto già prefigurato la scorsa legislatura nell'ambito dell'esame delle proposte di legge per il settore ittico, una specifica disposizione che riconosca a livello civilistico la figura del familiare che svolge la propria attività nell'ambito dell'impresa agricola e alla quale riconoscere ogni diritto lavorativo previdenziale ed assistenziale di cui godono gli altri lavoratori;

    in ordine al contesto, risulta, quanto mai necessario, incentivare la creazione di servizi di assistenza nelle aree rurali, legate alla cura dei bambini in età scolare, all'assistenza degli anziani, ai trasporti, all'assistenza sanitaria in ambito rurale, al sostegno al lavoro di cura per chi e impegnata in azienda agricola, e alla realizzazione della banda larga per la copertura di tutto il territorio rurale;

    risulta, altresì, necessario che, anche nell'ambito degli enti pubblici chiamati ad operare per il settore agricolo, venga prevista un'adeguata rappresentanza di genere nell'ambito delle cariche direttive, al pari di quanto è stato fatto con la cosiddetta legge Golfo-Mosca che ha posto una riserva dei posti disponibili al genere femminile negli organi di amministrazione e controllo delle società quotate (consigli di amministrazione e collegi sindacali); occorre, infine, prevedere che ogni rilevazione statistica per il settore, ivi comprese le attività di monitoraggio e di valutazione delle politiche agricole e rurali, includa una differenziazione per genere così da avere un quadro reale e costantemente aggiornato al fine di meglio programmare e configurare ogni intervento necessario;

    l'attuale Governo, ad avviso dei firmatari del presente atto, non ha, ad oggi, messo in campo iniziative efficaci a sostegno della presenza delle donne in agricoltura;

    nella scorsa legge di bilancio sono state respinte proposte emendative che promuovevano, tra l'altro, l'accesso al credito per le imprenditrici agricole, in particolar modo, per l'innovazione tecnologica delle imprese e strumenti di conciliazione con riferimento alle zone rurali e marginali;

    le politiche dell'attuale Governo sembrano invece valorizzare una figura arcaica e anacronistica di agricoltura, come ad esempio la norma che prevede l'assegnazione a titolo gratuito di terreni a famiglie numerose, legata a modelli patriarcali e con una connotazione maschile che denigra e scredita il ruolo delle donne;

    anche per quanto riguarda la rappresentatività in agricoltura l'ultimo provvedimento risale alla scorsa legislatura, e più precisamente alla legge 28 luglio 2016, n. 154, che ha sancito una quota minima di presenza di donne di almeno il 20 per cento nei consigli di amministrazione dei consorzi agroalimentari;

    risulterebbe fondamentale istituire presso il Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo e negli enti controllati, servizi di sostegno all'imprenditoria ed al lavoro femminile in agricoltura, a partire da una lettura di genere dei dati di settore;

    anche gli incarichi apicali e dirigenziali nel Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo e degli enti controllati non presentano una adeguata rappresentanza di genere;

    negli anni scorsi il Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo aveva costituito l'Osservatorio per l'imprenditoria ed il lavoro femminile in agricoltura (Onilfa). Successivamente il decreto-legge n. 95 del 2012 convertito dalla legge n. 135 del 2012 ha trasferito ai dipartimenti del dicastero le attività svolte da tale Osservatorio, ma ad oggi non è presente presso il Ministero una sezione operativa dedicata appositamente a tali finalità,

impegna il Governo:

   a istituire un tavolo di confronto presso il Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, al quale possano partecipare i principali attori del comparto, le rappresentanze femminili del mondo agricolo, i rappresentanti degli enti pubblici del settore, compresi gli enti di ricerca, e delle strutture ministeriali competenti al fine di:

    a) individuare linee adeguate di intervento, anche in vista della prossima programmazione dei fondi legati all'attuazione della politica agricola comune, che permettano una convergenza di azioni ed interventi finalizzati a rendere maggiormente incisiva la partecipazione delle donne allo sviluppo dell'agroalimentare europeo e italiano, nonché delle aree rurali nel loro complesso;

    b) intervenire con apposite iniziative normative per meglio delineare, anche a livello civilistico, il sostegno alla crescita dell'imprenditoria femminile in agricoltura, la tutela del lavoro agricolo femminile e la partecipazione delle donne nell'ambito dell'impresa agricola familiare, in modo da riconoscere un'autonoma soggettività e distintività al lavoro ivi svolto;

    c) sostenere, nelle future politiche di sviluppo rurale e strutturali, le linee di intervento dedicate ai servizi nelle aree rurali e volti a favorire la conciliazione fra la sfera familiare e lavorativa delle donne che vivono e/o operano in dette aree (servizi di assistenza e di cura, di mobilità e altro);

    d) adottare iniziative normative per prevedere una quota di rappresentanza di genere nell'ambito degli enti pubblici che operano nel settore dell'agricoltura;

    e) promuovere studi ed indagini volti ad approfondire potenzialità e limiti della presenza e dell'agire delle donne in agricoltura e nell'ambito rurale, al fine di meglio programmare le scelte politiche;

    f) adottare iniziative per l'istituire un apposito ufficio presso il Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo con il compito di accompagnare, monitorare e valutare trasversalmente le politiche e gli interventi che impattano, direttamente o indirettamente, sulle condizioni di vita e di lavoro dell'universo femminile presente nel settore agricolo;

    g) istituire una sede partecipata da rappresentanti delle organizzazioni datoriali, sindacali ed associative delle donne impegnate a vario titolo nel mondo agricolo ed agroalimentare al fine di valutare l'impatto di genere delle principali azioni e delle politiche pubbliche del Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo.
(7-00281) «Cenni, Gadda, Incerti, Cardinale, Critelli, Dal Moro, D'Alessandro, Portas».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:

   la Fondazione «Hospice Via delle Stelle» è un ente del terzo settore, una struttura socio-sanitaria per malati terminali; si tratta di un luogo d'accoglienza e ricovero temporaneo ad alta specializzazione, dove il paziente è considerato primariamente come una persona, all'interno di un ambiente confortevole, con stanze singole e personalizzate, e spazi per ospiti e familiari, che permettono il rispetto della privacy e l'attenzione necessaria ai bisogni primari, e consentono di trascorrere le ultime fasi della vita con dignità e nel modo meno traumatici e doloroso possibile, con un appropriato sostegno medico e psicologico e con la presenza e l'aiuto delle persone care;

   l’hospice si distingue dall'ospedale sia per la composizione e le metodologie operative dell’équipe sanitaria, che per le caratteristiche organizzative e logistiche della struttura, essendo un luogo ad alta specializzazione per quanto attiene alla gestione dei sintomi fisici e psicologici e dove si tutelano i bisogni psicologici di sicurezza e di appartenenza al proprio nucleo familiare, in maniera amicale e garantendo l'elevata qualità dell'assistenza e delle relazioni umane autentiche, indispensabili per favorire il mantenimento di una dignitosa qualità della vita in soggetti affetti da malattie in stato terminale;

   la valenza sociale dell'operato della struttura Hospice per l'intero tessuto metropolitano è altissima, ed il servizio offerto in sede e presso i rispettivi domicili risulta essere indispensabile per i pazienti e per i loro nuclei familiari;

   l'unico committente economico per la struttura hospice risulta essere l'azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria, donazioni a parte, che, a causa del commissariamento della stessa per infiltrazioni mafiose, dal 1° gennaio 2019 ha interrotto i pagamenti all'ente;

   ad oggi la criticità strutturale dell'Asp è drammatica, al punto da essere stata deliberata la richiesta della triade commissariale del dissesto finanziario per un non bene precisato disordine amministrativo;

   l'attività dell’hospice è stata garantita solo grazie all'impegno personale ed economico di molta gente che ha cercato di ovviare a questo stato di necessità importante, ma, contestualmente, le spese sono cresciute – come i debiti – e la situazione è ormai insostenibile; la struttura conta in organico 50 dipendenti che in 12 anni hanno acquisito una formazione tale da sopperire alle esigenze della struttura;

   il presidente della «Fondazione Via delle Stelle» ha cercato interlocutori risolutivi a livello locale, regionale e ministeriale, ma inutilmente, e l'entrata in vigore del recente decreto-legge 30 aprile 2019, n. 35 (convertito dalla legge 25 giugno 2019, n. 60), recante «Misure emergenziali per il servizio sanitario della Regione Calabria e altre misure urgenti in materia sanitaria», appare essere un ulteriore e definitivo ostacolo al proseguimento della straordinaria attività della struttura terapeutica –:

   se il Governo intenda adottare le iniziative di competenza, anche al fine di evitare maggiori oneri allo Stato derivanti dagli interessi di legge, affinché con la massima urgenza, siano pagate tutte le spettanze arretrate e dovute da parte dell'azienda sanitaria provinciale (Asp) di Reggio Calabria che inspiegabilmente le ha sospese dal 1° gennaio 2019 ad oggi, a tutte le strutture accreditate come l’«Hospice Via delle Stelle»;

   se si intenda effettuare la contrattualizzazione delle prestazioni sanitarie erogate per l'anno 2019, adeguando il budget alle prestazioni richieste ed imposte dall'Asp stessa;

   se si intenda adottare ogni iniziativa di competenza volta al riconoscimento del ruolo indispensabile che riveste l'Hospice all'interno della sanità moderna, al pari dei dipartimenti d'interventistica ospedaliera di prima necessità, affinché la dignità dell'uomo possa trovare sempre, anche durante le fasi di criticità finanziarie locali e regionali, la sua assoluta tutela;

   considerato lo stato di criticità di parte dette strutture sanitarie pubbliche della regione, anche conseguenti ai limiti imposti dall'attuazione del piano di rientro, se si intenda adottare ogni opportuna iniziativa anche normativa, volta a prevedere, per la regione Calabria, la programmazione dell'acquisto di prestazioni sanitarie in deroga ai limiti previsti a legislazione vigente, per garantire il raggiungimento dei livelli minimi di assistenza ai cittadini calabresi.
(2-00458) «Cannizzaro, Occhiuto, Santelli, Maria Tripodi, Bartolozzi, Bendinelli, Calabria, Cannatelli, Carfagna, Carrara, Casciello, Cattaneo, Dall'Osso, D'Attis, Fasano, Fascina, Germanà, Martino, Mugnai, Nevi, Pedrazzini, Perego Di Cremnago, Polidori, Polverini, Porchietto, Ripani, Ruggieri, Paolo Russo, Siracusano, Sorte, Versace, Zanella, Zangrillo».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:

   con deliberazione n. 156/2016 del consiglio regionale della Calabria è stato approvato il piano regionale di gestione dei rifiuti (Prgr), strumento operativo indispensabile in regime di amministrazione ordinaria, nello specifico disposta con Ocpc n. 57 del 27 marzo 2013;

   ciononostante, il Governatore regionale pro tempore, Gerardo Mario Oliverio, ha in continuità temporale sottoscritto 12 ordinanze, a cadenza semestrale, derogatorie dello stesso piano regionale di gestione dei rifiuti, argomentando come si legge nella successiva, recente, ultima e tredicesima ordinanza presidenziale n. 93 del 2019, che il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni e integrazioni, all'articolo 191, comma 1, prevede che «qualora si verifichino situazioni di eccezionale ed urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell'ambiente, e non si possa altrimenti provvedere, il Presidente della Giunta regionale o il Presidente della provincia ovvero il Sindaco possono emettere, nell'ambito delle rispettive competenze, ordinanze contingibili ed urgenti per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti (...), garantendo un elevato livello di tutela della salute e dell'ambiente»;

   il Sottosegretario per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare delegato, in risposta all'interrogazione in Commissione n. 5-00882 del deputato del Movimento 5 Stelle Giuseppe d'Ippolito, il 6 novembre 2018 rappresentava che «al fine di individuare strumenti utili per il corretto esercizio del potere d'ordinanza ed evitare l'adozione di provvedimenti che contravvengano la normativa vigente, il Ministero dell'ambiente ha adottato, ad aprile 2016, apposita circolare nella quale viene ribadito, tra l'altro, che i provvedimenti in questione hanno un contenuto normativamente vincolato, consentendo soltanto il “ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti”»;

   nella suddetta risposta, il riferito Sottosegretario precisava pure che «in quanto strumenti extra ordinem aventi carattere residuale, è stato ricordato che la capacità derogatoria di tali ordinanze ha un limite normativo generale»;

   «in tale contesto, il Ministero ha rivolto – proseguiva la menzionata risposta – dei richiami anche nei confronti della regione Calabria, rispetto alla quale non risulta che sia stato dichiarato lo stato d'emergenza, nonostante sussistano talune difficoltà nella gestione dei rifiuti e si sia fatto ricorso alle ordinanze contingibili ed urgenti»;

   «il Ministero ha sollecitato, in più occasioni, la Regione – continuava la citata risposta – a ricondurre alla normalità, entro tempi certi e celeri, la gestione dei rifiuti, nonché a porre in essere tutte le iniziative volte a superare le criticità esistenti sul territorio» –:

   se e come intenda verificare, per quanto premesso, se la regione Calabria si trovi di fatto in una situazione di emergenza, dato l'ennesimo, recente ricorso a una nuova ordinanza contingibile e urgente, che in continuità con le precedenti connota una gestione emergenziale da parte della regione Calabria in assenza di una dichiarazione di emergenza e dunque a giudizio degli interpellanti travalicando i poteri e le competenze specifici della Presidenza del Consiglio dei ministri;

   se, sulla base di quanto riportato in premessa, esistano gli estremi per la deliberazione, con riferimento alla regione Calabria, dello stato di emergenza nel settore dei rifiuti, prevedendo la nomina di un commissario straordinario;

   quali iniziative di competenza intenda assumere in merito alla riferita ordinanza contingibile e urgente adottata dalla regione anche al fine di impedire che ne siano adottate ulteriori.
(2-00461) «D'Ippolito, Ilaria Fontana, Daga, Deiana, Federico, Licatini, Alberto Manca, Maraia, Ricciardi, Rospi, Terzoni, Traversi, Varrica, Vianello, Vignaroli, Zolezzi, Liuzzi, Lombardo, Lorefice, Gabriele Lorenzoni, Lovecchio, Mammì, Marino, Martinciglio, Menga, Migliorino, Misiti, Nesci, Pallini, Palmisano, Parentela, Parisse, Paxia, Perantoni, Perconti, Pignatone, Raduzzi».

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:

   la nuova perizia esplosivistica richiesta nell'ambito del processo a carico di Gilberto Cavallini per concorso nell'attentato alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, effettuata da Danilo Coppe, esplosivista geominerario, e il colonnello dei carabinieri Adolfo Gregori, comandante del laboratorio di chimica esplosivi del Ris di Roma, ha smentito le precedenti sia per quanto attiene all'esplosivo utilizzato sia con riferimento alla quantità;

   nella nuova perizia, inoltre, si legge che «non si esclude però, in via ipotetica, che l'interruttore di trasporto fosse difettoso o danneggiato tanto da determinare un'esplosione prematura-accidentale dell'ordigno», e si dà conto del fatto che l'ordigno sembrerebbe somigliare a quelli sequestrati durante l'arresto a Fiumicino nel 1982 a Margot Christa Frohlich, terrorista della rete Carlos legata a Thomas Kram, avvalorando quindi la tesi del terrorismo palestinese;

   il 23 febbraio 2006, i consulenti della Commissione Mitrokhin Gian Paolo Pelizzaro e Lorenzo Matassa depositarono la «Relazione sul gruppo Separat e il contesto dell'attentato del 2 agosto 1980», studio fondamentale di quella che nel linguaggio giornalistico verrà poi denominata la «pista palestinese» o «tedesco-palestinese», o «teutonico-palestinese» ;

   nel saggio «I segreti di Bologna» l'ex giudice Rosario Priore e l'avvocato Valerio Cutonilli ipotizzano che la strage sarebbe stata un attentato organizzato dal Fronte popolare per la liberazione della Palestina, ed eseguito materialmente dal gruppo Carlos, come ritorsione per la violazione degli accordi mai ufficializzati tra l'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) e Governo italiano, il cosiddetto «Lodo Moro», tesi proposta anche dal giornalista Silvio Leoni;

   il saggio di Cutonilli e Priore confermerebbe l'ipotesi già emersa dai lavori della Commissione Mitrokhin circa i collegamenti tra la rete «Separat» del terrorista Ilich Ramírez Sànchez, detto Carlos «lo Sciacallo», e il terrorismo interno brigatista, grazie agli atti e ai riscontri di Giampaolo Pellizzaro e degli altri consulenti;

   le rivelazioni contenute nel libro «Bomba o non bomba» di Enzo Raisi, già deputato componente della Commissione Mitrokhin, indicano che l'esplosione sia stata un errore materiale nel trasporto dell'ordigno da parte di appartenenti alla rete Separat;

   i documenti trasmessi dai servizi di sicurezza degli Stati del Patto di Varsavia, ora conservati presso gli archivi della Commissione Mitrokhin, confermerebbero la pista del terrorismo internazionale palestinese già emersa, appunto, nell'ambito dei lavori della medesima Commissione;

   tra gli aspetti mai chiariti in relazione alla strage del 2 agosto figura anche quello della presenza a Bologna in quel giorno di Francesco Marra, nato a Milano il 1° dicembre 1937, e indicato ai tempi dalla questura di Milano come vicino alle Brigate Rosse, appurata nel corso della prima inchiesta sulla strage e ribadita da un articolo pubblicato su Il Giornale del 6 settembre 2012, a firma del giornalista Gianmarco Chiocci, sulla base di una clamorosa scoperta effettuata dall'ex deputato Enzo Raisi, che confermava la presenza di Marra a Bologna il 2 agosto 1980;

   quando il 5 gennaio 1981 Marra fu ascoltato dalla Digos di Milano sui motivi della sua presenza a Bologna il giorno della strage, ma solo in qualità di sommario informatore, lo stesso confermò di essere arrivato nel capoluogo emiliano la sera precedente la strage e di essersi registrato presso l'Hotel Europa assieme a una donna nubile e incensurata chiamata Loretta Vidali;

   non è noto se Loretta Vidali sia stata ascoltata dai magistrati o dalla polizia giudiziaria per verifica della testimonianza e dell'identità;

   dalla documentazione giudiziale non è dato conoscere se vennero condotte attività investigative finalizzate a verificare la sincerità delle dichiarazioni rese da Francesco Marra alla Digos di Milano, al fine di motivare la sua presenza a Bologna il giorno della strage;

   a oggi non sono note inoltre ulteriori attività investigative finalizzate ad accertare un eventuale coinvolgimento di Marra nella strage di Bologna –:

   se non ritengano urgente per il raggiungimento della verità storica e giudiziaria a favore dei parenti delle vittime dare libero accesso a tutti i documenti relativi alla strage di Bologna e alle vicende connesse – lodo Moro, la rete Separat di Carlos, i report trasmessi dal colonnello Giovannone dal Libano tra il novembre 1979 e il 31 dicembre 1981 – conservati presso gli archivi dei sistemi informativi e di sicurezza, al fine di permettere anche agli inquirenti maggiore solidità probatoria in relazione alla riapertura dell'inchiesta.
(2-00460) «Mollicone, Frassinetti».

Interrogazione a risposta orale:


   SANDRA SAVINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   l'edificio sito in Trieste in via Filzi n. 14 è sede dell'Università di Trieste ed in particolare ospita la scuola per interpreti. Questa scuola è rinominata a livello nazionale ed internazionale ospitando studenti provenienti dalle più svariate parti d'Europa e non solo, essendo luogo di alte professionalità;

   di recente, ricollegandosi a vicende storiche ormai datate che hanno riguardato tale immobile denominato «Narodni Dom» perché già sede di organizzazioni slovene nonché sede di un albergo denominato «Hotel Balkan» incendiato il 13 luglio 1920, è emersa la notizia di una trattativa tra il Governo italiano e la Repubblica di Slovenia finalizzata alla cessione alla comunità slovena in Italia del predetto edificio;

   tale operazione si collocherebbe nell'ottica di un risarcimento ulteriore per le vicende intercorse nel 1920 e, per tale ragione, il Governo italiano si appresterebbe a stanziare 14 milioni di euro per la ristrutturazione di altro immobile sito in Trieste al fine di ospitare la scuola interpreti traduttori:

   tuttavia la legge n. 38 del 2001 «Norme a tutela della minoranza linguistica slovena della Regione Friuli – Venezia Giulia», all'articolo 19, rubricato «Restituzione di beni immobili» dispone che:

    «1. La casa di cultura “Narodni dom” di Trieste-rione San Giovanni, costituito da edificio e accessori, è trasferita alla Regione Friuli-Venezia Giulia per essere utilizzata, a titolo gratuito, per le attività di istituzioni culturali e scientifiche di lingua slovena. Nell'edificio di Via Filzi 9 a Trieste, già “Narodni dom”, e nell'edificio di Corso Verdi, già “Trgovski dom”, di Gorizia trovano sede istituzioni culturali e scientifiche sia di lingua slovena (a partire dalla Narodna in studijska Knijznica – Biblioteca degli Studi di Trieste) sia di lingua italiana, compatibilmente con le funzioni attualmente ospitate nei medesimi edifici, previa intesa tra regione e università degli studi di Trieste per l'edificio di Via Filzi di Trieste, e tra regione e Ministero delle finanze per l'edificio di Corso Verdi di Gorizia.

    2. In caso di mancata intesa entro cinque anni, si provvede, entro i successivi sei mesi, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

    3. Le modalità di uso e gestione sono stabilite dell'amministrazione regionale sentito il Comitato»;

   la regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha stanziato, nel piano dei lavori pubblici sulle proprietà 2019-2021, euro 3.989.036,32 per il restauro, risanamento conservativo ed ampliamento del citato «Narodni Dom» di Trieste-San Giovanni;

   tra il 1957 ed il 1964 a titolo di risarcimento per l'incendio dell'edificio di via Filzi lo Stato italiano ha corrisposto lire 500 milioni con cui è stato costruito il Teatro Sloveno di Via Petronio a Trieste, considerando così la posta compensativa;

   pertanto, va salvaguardata la destinazione d'uso dell'immobile a favore dell'Università degli studi di Trieste, stante anche l'importanza del dipartimento ivi ospitato –:

   se non si ritenga opportuno, visto quanto sopra, considerare integralmente saldato il risarcimento verso le comunità slovene di Trieste;

   se il Governo non ritenga opportuno, anche in forza della legge n. 38 del 2001, mantenere in capo all'Università degli studi di Trieste, che già ospita anche spazi dedicati alla comunità slovena, l'immobile garantendo la continuità d'uso e didattica già in essere e particolarmente rilevante a livello nazionale e internazionale.
(3-00876)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MORANI, MICELI, PAITA, FIANO, MIGLIORE, QUARTAPELLE PROCOPIO, RIZZO NERVO, NAVARRA, NOBILI e BRUNO BOSSIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   nell'organigramma degli uffici di diretta collaborazione del Vice Presidente del Consiglio e Ministro dell'interno Matteo Salvini pubblicato sul sito della Presidenza del Consiglio figura, in qualità di consigliere per le attività strategiche di rilievo internazionale, Claudio D'Amico, ex parlamentare della Lega, titolo di studio geometra, marito di Svetlana Konovalova, bielorussa interprete di Umberto Bossi, ex capo di gabinetto del Ministro Calderoli, «Responsabile sviluppo progetti» dell'Associazione Lombardia-Russia, la stessa Associazione presieduta da Gianluca Savoini, al centro di un grave scandalo per presunti finanziamenti illeciti provenienti dalla Russia per il partito della Lega Nord e sul quale la magistratura italiana ha aperto un'inchiesta per il reato di corruzione internazionale;

   nonostante il Ministro dell'interno, a proposito della presenza di Savoini al tavolo dei vertici con Mosca e al summit di ottobre 2018, proprio nei giorni della trattativa al Metropol rilevata dal sito BuzzFeed, abbia dichiarato «Non l'ho invitato, non so cosa facesse», è stato lo stesso sito BuzzFeed a pubblicare una mail, che il giornalista Alberto Nardelli spiega di aver ricevuto da Savoini il 17 luglio 2018, in cui lo stesso Savoini afferma che faceva parte della delegazione di Salvini «in veste di membro dello staff» e che «Non ho ufficio al ministero ma collaboro direttamente con Matteo Salvini a seconda delle sue richieste. Conoscendoci da sempre». In una seconda mail, senza data ma che si riferisce ancora agli incontri di Salvini a Mosca, qualcuno, parlando in terza persona, scrive: «Savoini ha quindi incontrato insieme a Salvini non soltanto il presidente Putin, ma anche il ministro degli Esteri Sergey Lavrov, il responsabile per le relazioni internazionali di Russia Unita Sergey Zheleznyak, il presidente della Duma (anno 2014) Sergey Narishkin e ha attivamente lavorato per organizzare le conferenze stampa di Salvini in Russia»;

   dal Corriere della sera, inoltre, si apprende che D'Amico si sarebbe «sempre mosso spalla a spalla con Savoini nelle manovre lobbistiche sull'asse Italia-Russia. Per esempio accompagnò nel 2017 a Mosca Salvini, allora solo segretario della Lega, insieme a Savoini, per un accordo di cooperazione fra la Lega Nord e il partito Russia Unita»;

   da la Stampa poi, arrivano nuove rivelazioni: una mail, inviata il 1° luglio alle 17,32, firmata da tale «Barbara», recherebbe il seguente testo «Buon pomeriggio Andrea, come d'accordo ti chiedo se gentilmente può essere inserito, per il prossimo Foro di dialogo italo-russo, in programma giovedì 4 luglio al Maeci, anche il dottor Gianluca Savoini, presidente dell'Associazione culturale Lombardia-Russia, come richiestomi dall'onorevole Claudio D'Amico, consigliere per le attività strategiche di rilievo internazionale»;

   in un'altra mail, inoltre, inviata a tale «Serena» dell'ISPI, Istituto di politica internazionale che in questo caso svolgeva il ruolo organizzativo di segretariato per il Foro, sarebbe stata Raffaella di Carlo, dell'ufficio diplomatico di palazzo Chigi «su richiesta dell'On. D'Amico» a chiedere di inserire Savoini tra i partecipanti;

   se quanto riportato corrispondesse al vero, emergerebbero a parere degli interroganti inquietanti legami tra il Ministro interrogato, Claudio D'Amico e Gianluca Savoini;

   il Gruppo del Partito democratico aveva già presentato il 18 luglio 2018 un'interrogazione a risposta in Commissione, la n. 5-00199, in merito ai rapporti tra il Vice Presidente del Consiglio Salvini e Savoini cui il Governo non ha mai dato risposta –:

   se il Governo non ritenga assolutamente necessario fare immediata chiarezza in merito ai reali rapporti intercorrenti tra il Vice Presidente del Consiglio e Ministro dell'interno Salvini e Gianluca Savoini nonché con l'attuale consigliere per le attività strategiche di rilievo internazionale, Claudio D'Amico;

   se, alla luce di quanto esposto, non si ritenga quantomeno opportuno che la collaborazione istituzionale con Claudio D'Amico venga interrotta.
(5-02525)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   FORMENTINI e ZOFFILI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   nel gennaio 2016 è entrato in vigore raccordo sul nucleare (Jcpoa, Joint Comprehensive Plan ofAction), siglato nel luglio 2015 da Iran, da una parte, e Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Germania, Regno Unito, dall'altra parte. Un accordo che imponeva limitazioni al programma nucleare iraniano dopo un negoziato durato dodici anni e che prevedeva in cambio l'eliminazione delle sanzioni imposte all'Iran da Unione europea, Nazioni Unite e Stati Uniti (limitatamente alle sanzioni relative al programma nucleare);

   nel mese di maggio 2018, l'amministrazione Trump ha deciso di ritirare gli Stati Uniti dall'accordo portando alla reintroduzione delle sanzioni statunitensi sull'Iran, sanzioni «extraterritoriali» che hanno impedito anche ad altre parti dell'accordo di farsi carico degli impegni assunti con l'accordo sul nucleare;

   l'8 maggio 2019 Teheran ha annunciato di aver intenzione di riprendere parte del proprio programma nucleare, nello specifico non rispettando più i limiti di stoccaggio di uranio arricchito e acqua pesante previsti dall'accordo;

   vi è il rischio concreto che se la disputa interna alle parti non venga risolta dalla Commissione congiunta del Jcpoa, si vada verso lo «stop» all'implementazione dell'accordo;

   al momento in cui è stato siglato l'accordo Jcpoa, l'Iran era ritenuto essere a soli pochi mesi dall'implementazione di un'arma nucleare. Con l'accordo in vigore, questo lasso di tempo è stato esteso ad un anno;

   il 7 luglio 2019 l'Iran ha annunciato di aver oltrepassato la soglia per l'arricchimento dell'uranio prevista dall'accordo sul nucleare (Jcpoa) – passando dal 3,67 per cento al 5 per cento. Si tratterebbe della seconda violazione del Jcpoa ad opera di Teheran dopo quella del 26 giugno 2019;

   diversi Stati hanno inoltre sollevato preoccupazioni rispetto alla possibilità che Teheran violi la risoluzione n. 1929 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite adottata nel 2010 che ha vietato all'Iran di partecipare ad ogni attività legata all'implementazione di missili balistici –:

   quali iniziative diplomatiche il Governo abbia intenzione di porre in essere per evitare che i fatti riportati in premessa destabilizzino il fragile equilibrio geopolitico in Medioriente.
(4-03339)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   BORDO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   dai dati pubblicati sul portale Gaudì (Gestione anagrafica unica degli impianti e unità) di Terna, al 30 novembre 2018 la potenza eolica installata sul territorio nazionale e pari a 10.094,25 megawatt;

   le condizioni climatiche e morfologiche favorevoli hanno concorso ad attrarre investimenti sulle fonti energetiche rinnovabili soprattutto nelle regioni del sud e nelle isole, tant'è che il 90,70 per cento della potenza eolica installata (pari a 9.156,00 megawatt è concentrata in Puglia (24,80 per cento), Sicilia (18,12 per cento), Campania (14,40 per cento), Basilicata (12,31 per cento), Calabria (10,76 per cento) e Sardegna (10,32 per cento);

   le pressioni generate, soprattutto dalla smisurata concentrazione di impianti eolici di grande taglia, stanno compromettendo zone a spiccata vocazione turistica di elevato valore paesaggistico e naturalistico. Tra queste i monti Dauni, destinatari di un progetto di eccellenza turistica che nel passato ha coinvolto sinergicamente la regione Puglia e il Ministro del turismo con la sottoscrizione di un protocollo d'intesa;

   la società wpd Monte Cigliano S.r.l. ha inoltrato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un'istanza per l'avvio della procedura di valutazione di impatto ambientale del progetto denominato «parco eolico Troia Montaratro» per la realizzazione di un impianto di produzione di energia elettrica da fonte eolica costituito da 23 aerogeneratori, ciascuno di potenza pari a 5,3 megawatt, per una potenza complessiva di 121,90 megawatt. L'impianto, costituito da torri alte 121 metri) (misurata dal piano campagna al centro del rotore) e aerogeneratori con rotore da 158 metri, è localizzato proprio sui Monti Dauni nei comuni di Troia, Biccari e Lucera con relative opere di connessione nel comune di Troia;

   dagli elaborati progettuali presentati al Ministero emerge che la realizzazione dell'intero progetto produrrà scavi per circa 650.000 metri cubi, colate di cemento per circa 19.000 metri cubi, armature in acciaio per circa 950.000 chilogrammi, viabilità di accesso in misto per 18.000 metri cubi e terreno stabilizzato a calce con oltre 15.000 qli di Ossido o idrossido di calcio, oltre 210.000 metri di cavi elettrici e oltre 88.000 metri di fibra;

   il comune di Troia risulta tra i comuni pugliesi maggiormente interessati dalla concentrazione di impianti eolici, tant'è che la concentrazione espressa in megawatt su chilometro quadrato di territorio (Mw/kmq) è superiore di oltre 10 volte la concentrazione regionale;

   allo stato attuale la normativa nazionale non stabilisce dei limiti sulla concentrazione degli impianti eolici utili alla dichiarazione di un territorio «saturo»;

   la regione Puglia in passato ha tentato di supplire alla mancanza di una normativa statale tentando prima con una moratoria, poi con una legge di regolamentazione e poi con un regolamento. Tutti e tre i provvedimenti regionali sono stati respinti, ovvero sono stati dichiarati illegittimi, perché la competenza in materia, non è regionale –:

   quali iniziative intenda adottare al fine di colmare l'assenza di una normativa statale in merito alla definizione di aree non idonee alla installazione di fonti energetiche rinnovabili per elevata concentrazione territoriale;

   se nelle more, al fine di salvaguardare gli equilibri di quei territori sottoposti oltre misura alla installazione di parchi eolici di grande dimensione, non ritenga utile sospendere la valutazione relativamente al procedimento in corso promosso dalla società wpd Monte Cigliano s.r.l. per la realizzazione di un campo eolico di 121,90 megawatt sui Monti Dauni.
(4-03333)


   MURONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

   si apprende da organi di stampa online (www.lecodellitorale.it) che l'amministrazione comunale di Anzio ha pubblicato un bando avente per oggetto l'affidamento in convenzione dell'area demaniale marittima a libera fruizione ubicata in località Lido dei Pini – interclusa dal confine sud dell'area in convenzione allo stabilimento balneare Galapagos a sud dell'area destinata agli animali di compagnia;

   l'area individuata nel bando è sottoposta sin dal 1939 ad oggi a numerose normative di tutela paesaggistica e salvaguardia ambientale, sia nazionali che regionali ed in particolare: legge 29 giugno 1939, n. 1497 – «Protezione delle bellezze naturali»; legge 8 agosto 1985 n. 431 – «Zone di interesse ambientale» (Galasso); decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 «Codice dei beni culturali e del paesaggio»; delibera di giunta regionale n. 2146 del 19 marzo 1996 che lo individua il sito di interesse comunitario IT6030045; legge regionale del Lazio n. 24 del 1998 di approvazione del «piano territoriale paesistico regionale»; delibera giunta regionale n. 556 del 25 luglio 2007 di adozione del «piano territoriale paesistico regionale»; nel bando è prevista e consentita la realizzazione di «strutture e servizi compresi eventuali servizi aggiuntivi» «anche se di tipo prefabbricato» per la balneazione; si prevede che deve essere assicurato «il servizio di pulizia e rastrellamento giornaliero dell'arenile anche con l'ausilio di mezzi meccanici» –:

   se il Governo non intenda promuovere, per quanto di competenza, una ulteriore riflessione tecnica al fine di garantire che non vi siano eventuali danni ambientali e paesaggistici su un'area ricca di biodiversità.
(4-03336)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FOTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   con la precedente interrogazione n. 4-00010 si segnalavano forme di possibile inquinamento dell'area ex Pertite, posta nel comune di Piacenza; nella risposta resa dal Ministro interrogato si evidenziava: «nei primi giorni di ottobre, è stata condotta la seconda fase dell'attività che ha previsto la raccolta – e successiva analisi da parte del Cetli Nbc – di ulteriori 40 campioni»;

   nel parere reso da Arpae (10 giugno 2019, prot. 65713) al comune di Piacenza, in particolare, testualmente si legge:

    a) «la documentazione disponibile non consente compiute valutazioni poiché carente di alcuni dati essenziali quali, ad esempio, la distribuzione spaziale dei prelievi eseguiti per le analisi del suolo e la profondità alla quale sono stati eseguiti i carotaggi»;

    b) «la dizione “topo soil” utilizzata nella relazione lascia, però supporre che siano stati eseguiti prelievi molto superficiali e che, pertanto, non siano disponibili informazioni circa gli strati inferiori»;

    c) «ad ogni buon fine, si segnala che l'esame dei dati prodotti ha evidenziato alcuni superamenti dei limiti di tabella 1 Colonna A (siti ad uso verde pubblico/residenziale) del decreto legislativo n. 152 del 2006 e smi: in n. 1 campione per il parametro Mercurio ed in n. 12 campioni per il parametro Cadmio»;

    d) «in ogni caso, si ritiene che l'indagine sul suolo superficiale non risulti sufficiente» –:

   se, alla luce di quanto indicato nella risposta alla citata interrogazione, gli esiti analitici delle dette analisi siano stati resi noti e quali essi siano;

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza del suddetto parere dell'Arpae e se e quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di definitivamente chiarire lo stato dell'area in questione, in relazione alle norme in materia ambientale.
(5-02515)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:

   al fine di favorire la fusione dei comuni, il decreto legislativo n. 267 del 2000 prevede che lo Stato eroghi contributi straordinari per i dieci anni decorrenti dalla fusione stessa, commisurati ad una quota dei trasferimenti spettanti ai singoli comuni che si fondono. A tal fine si prevede che ogni anno, con decreto del Ministro dell'interno, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, siano disciplinate le modalità di riparto del contributo:

   dal 2013, con l'articolo 20 del decreto-legge n. 95 del 2012, tale contributo è commisurato al 20 per cento dei trasferimenti erariali attribuiti per l'anno 2010 nel limite degli stanziamenti finanziari allora previsti, con l'esclusione degli enti locali del Friuli-Venezia Giulia, della Valle d'Aosta e dette province autonome di Trento e Bolzano ove vige una speciale disciplina per l'attribuzione dei trasferimenti agli enti locali;

   la commisurazione di tale contributo è stata successivamente innalzata al 40 per cento dei trasferimenti attribuiti per l'anno 2010 nel 2016, al 50 per cento nel 2017 e, da ultimo, al 60 per cento dei trasferimenti erariali attribuiti per l'anno 2010 a decorrere dal 2018;

   è stato, inoltre, previsto un limite massimo al contributo medesimo per ciascun beneficiario che, dapprima fissato nella misura non superiore a 1,5 milioni di euro per le fusioni realizzate dal 2012, è stato, dal 2016, rideterminato nella misura non superiore a 2 milioni di euro per ciascun beneficiario;

   a decorrere dal 2018, dunque, ai comuni risultanti da fusione o da fusione per incorporazione spetta un contributo pari al 60 per cento dei trasferimenti erariali attribuiti per l'anno 2010, nel limite massimo di 2 milioni del contributo per ciascun beneficiario;

   le risorse stanziate per la concessione del contributo straordinario alle fusioni nonché per le unioni di comuni – iscritte sul capitolo 1316 dello stato di previsione del Ministero dell'interno – sono quelle autorizzate:

    1) dalla legge finanziaria per il 1997 con un importo pari a 1,5 milioni di euro annui per la fusione e l'unione di comuni anche se la gran parte di tali risorse è stata, di fatto, assegnata alle unioni di comuni;

    2) dalla legge di stabilità 2014 che ha stabilito la destinazione, nell'ambito del Fondo di solidarietà comunale, di complessivi 60 milioni annui in favore del finanziamento delle unioni e delle fusioni di comuni, di cui 30 milioni in favore delle fusioni e 30 milioni ad incremento del contributo spettante alle unioni. Tali contributi sono stati consolidati con la legge di stabilità 2016;

    3) dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 marzo 2017 che ha assegnato 5 milioni annui ad incremento del contributo straordinario in sede di ripartizione;

    4) dal decreto-legge n. 50 del 2017 che ha incrementato le risorse destinate alla concessione del contributo di 1 milione di euro per ciascuno degli anni 2017 e 2018 e disposto nell'ambito del fondo di solidarietà comunale la costituzione di un accantonamento di 25 milioni di euro che a decorrere dal 2022 sarà destinato ad incremento delle risorse destinate all'erogazione del contributo previsto per i comuni che danno luogo alla fusione o alla fusione per incorporazione;

    5) dalla legge di bilancio 2018 che ha disposto un ulteriore incremento delle risorse per la concessione dei contributi per le fusioni di comuni, di un importo pari a 10 milioni annui a decorrere dal 2018 e previsto che siano destinate ad incremento degli stanziamenti finalizzati all'erogazione dei contributi a favore delle fusioni le somme accantonate sul fondo di solidarietà comunale, e non utilizzate per i conguagli ai comuni. Tale previsione è stata confermata per il 2019 dalla legge di bilancio per il 2019 con un accantonamento costituito nell'importo massimo di 15 milioni di euro annui;

   il 21 giugno 2018 il Ministero dell'interno ha predisposto una tabella riepilogativa con la quale ha ripartito le risorse messe a disposizione dei comuni che sono stati oggetto di fusione e/o fusione per incorporazione;

   con il comunicato n. 2 del 27 giugno 2019, la direzione centrale della finanza locale del Ministero dell'interno ha pubblicato sul proprio sito istituzionale, dopo il parere condizionato all'integrazione delle risorse ottenuto durante la Conferenza Stato, città ed autonomie locali nella seduta del 6 giugno 2019, la tabella contenente le voci di riparto del contributo erariale per l'anno 2019 agli enti costituiti a seguito di fusioni e incorporazioni;

   ai 67 enti, istituiti a seguito della fusione di 166 amministrazioni, sono state destinate risorse, per il 2019, per un importo complessivo di 46.549.370 euro, contributi statali che risultano insufficienti rispetto al fabbisogno dei comuni;

   secondo l'Anci sono circa 30 i milioni di euro mancanti ai comuni che hanno scelto la fusione e che servirebbero a garantire lo stesso coefficiente di maggiorazione previsto per ogni anno di anzianità nella fusione già utilizzato per la ripartizione delle risorse nel 2018;

   in Lombardia ad esempio, al Comune di Colli Verdi derivante da fusione nel 2019 (anno della sua costituzione) è stato attribuito un contributo straordinario pari ad euro 162.000,00 quando l'ammontare effettivo avrebbe dovuto essere di euro 385.000,00. A tale comune sono state attribuite risorse con la legge di bilancio 2019 per euro 40.000,00 e con la legge n. 58 del 2019 per euro 50.000,00. Se i comuni non si fossero fusi e fossero stati tre lo Stato avrebbe pagato euro 120.000,00 e euro 150.000,00. In buona sostanza dalla fusione del suddetto comune lo Stato sembra aver già risparmiato euro 180.000,00;

   tale situazione crea enormi criticità per i comuni nati da fusione per garantire a tante piccole realtà locali servizi pubblici di qualità e concrete prospettive di sviluppo –:

   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda assumete al fine di superate le criticità descritte in premessa, garantendo il pieno adeguamento del fondo di solidarietà comunale in merito al contributo erariale destinato agli enti costituiti a seguito di fusione e incorporazione, nel rispetto del patto delle comunità locali che hanno compiuto tale scelta ed evitando che si disincentivino i processi di fusione già avviati.
(2-00462) «Cattaneo, Mugnai, Pella, Cortelazzo, Angelucci, Baratto, Barelli, Anna Lisa Baroni, Battilocchio, Bergamini, Biancofiore, Bond, Caon, Cassinelli, Costa, Cristina, Della Frera, Giacomoni, Mandelli, Marin, Mazzetti, Milanato, Musella, Napoli, Orsini, Palmieri, Prestigiacomo, Elvira Savino, Sandra Savino, Sisto, Sozzani, Zanettin».

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   RACITI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   in base al servizio dei giornalisti Emanuele Lauria e Giorgio Ruta di Repubblica.it, si apprende che l'ex militare italo-argentino Carlos Luis Malatto soggiorna nel resort di Portorosa-Furnari, località turistica della provincia di Messina già meta delle latitanze di boss di Cosa nostra del calibro di Bernardo Provenzano e Benedetto «Nitto» Santapaola;

   Malatto è accusato degli omicidi di Juan Carlos Càmpora, fratello dell'ex presidente della Repubblica Argentina Héctor José Càmpora, e rettore dell'Universidad Nacional de San Juan, della modella franco-argentina Marie Anne Erize Tisseau, diJorge Alberto Bonil, un ragazzo che faceva il militare nel reggimento comandato da Malatto, di José Alberto Carbajal, vicino ai montoneros ed ai peronisti;

   Malatto risulta essersi rifugiato prima in Cile e poi, in virtù del possesso del passaporto italiano, in Liguria, per poi spostarsi a Calascibetta, in provincia di Enna, dove ha abitato fino al maggio 2018;

   le sentenze delle Corti argentine a partire da quella del 3 settembre 2013 indicano come Malatto abbia «partecipato attivamente a diverse procedure di detenzione ed è uno dei più indicati dalle vittime per la partecipazione a interrogatori sotto tortura»;

   con sentenza della corte d'appello di Mendoza, datata 16 febbraio 2011, viene chiamato in causa da 16 testimoni;

   quest'ultima sentenza che non è stata mai trasmessa in Italia dall'Argentina, che ne ha chiesto l'estradizione;

   nell'aprile 2013, la corte d'appello de L'Aquila aveva qualificato come crimini contro l'umanità, pertanto imprescrittibili, i reati a lui ascritti, confermando la sussistenza delle condizioni per l'estradizione;

   la Corte di cassazione (sezione VI penale), con sentenza del 17 luglio 2014, n. 43170) pur ammettendo che Malatto «ha fatto parte di un gruppo di lavoro dedito a torture e violenze», non ha ravvisato indizi sufficienti a carico dell'ex tenente e ribaltò la decisione della corte d'appello dichiarando non sussistenti le condizioni per l'accoglimento della domanda di estradizione avanzata dalla Repubblica Argentina;

   il Ministro della giustizia pro tempore Andrea Orlando, in base all'articolo 8 del codice penale, ha firmato l'autorizzazione a processarlo in Italia;

   la presenza di Malatto nel nostro Paese mette in evidenza i limiti, stante la legislazione attualmente in vigore, nel rispettare gli obblighi internazionali relativi alla punizione di un crimine di rilevanza internazionale;

   appare all'interrogante non certo privo di fondamento il pericolo di fuga di Malatto, il quale gode del diritto di cittadinanza italiana e può esercitare il suo diritto di libera circolazione negli Stati europei, in virtù della conseguente cittadinanza europea, ben potendo sottrarsi alla giurisdizione italiana, soprattutto dopo l'inchiesta giornalistica che ne ha svelato l'attuale residenza –:

   in considerazione della gravità dei fatti richiamati in premessa, se il Governo non ritenga urgente porre in essere ogni iniziativa di competenza al riguardo;

   se il Governo intenda mettere a disposizione della procura della Repubblica competente le risorse necessarie a sostenerne l'attività.
(4-03338)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata:


   PAITA, BRUNO BOSSIO, CANTINI, GARIGLIO, GIACOMELLI, NOBILI, PIZZETTI, ANDREA ROMANO, GRIBAUDO, ENRICO BORGHI e FIANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   domenica 14 luglio 2019, alle ore 18, sono giunte a Mediobanca, advisor di Ferrovie dello Stato italiane nel «Progetto Az», le comunicazioni di interesse del gruppo Toto, di Gregor Efromovich, azionista della compagnia sudamericana Avianca, del proprietario della S.S. Lazio Claudio Lotito e del gruppo Atlantia della famiglia Benetton;

   i suddetti soggetti si erano candidati per far parte della newco per il salvataggio di Alitalia;

   Ferrovie dello Stato italiane, in data 15 luglio 2019, ha individuato proprio in Atlantia il partner da affiancare a Ferrovie dello Stato italiane, Ministero dell'economia e delle finanze e Delta;

   da settimane Atlantia, concessionaria di Autostrade, era stata individuata e sollecitata quale soggetto per completare la cordata della nuova società per il salvataggio e rilancio di Alitalia, nonostante smentite e dichiarazioni molto forti da parte di alcuni esponenti del Governo;

   il Ministro dello sviluppo economico, titolare del tavolo di trattative, in data 27 giugno 2019 aveva dichiarato «Atlantia è decotta», «faranno precipitare gli aerei»; lo stesso Ministro il giorno dopo, riferendosi sempre al gruppo Atlantia e in relazione al crollo del Ponte Morandi, ha affermato che quelle persone sono morte perché Autostrade per l'Italia non ha fatto manutenzione;

   il Ministro interrogato, in data 3 luglio 2019, ha dichiarato, «non c'è alternativa alla revoca, totale, della concessione ad Autostrade»;

   in questo tourbillon di dichiarazioni, che meriterebbero di essere «attenzionate» dagli organi di vigilanza e dalle autorità indipendenti, vi è una verità e cioè che il Governo ha avuto un anno per istruire una possibile soluzione e individuare un piano industriale credibile, impegnando anche risorse pubbliche, senza produrre risultati effettivi, con lo Stato che ogni giorno sarà costretto a pagare un milione di euro per ripagare i debiti e con le Ferrovie dello Stato italiane costrette a penalizzare i pendolari;

   i contorni della vertenza rimangono fragili e oscuri con la necessità di fare adeguata chiarezza, prima del mese di settembre 2019, perché nel frattempo si susseguono voci di possibili esuberi, ridimensionamento di personale e di rotte che alimentano una legittima preoccupazione da parte di sindacati e lavoratori –:

   se il Ministro interrogato condivida il giudizio su Atlantia quale azienda «decotta», come ritenga, con queste premesse, che tale ingresso possa essere utile al rilancio di Alitalia e, in questo ambito, quali siano il piano industriale e le prospettive occupazionali e relative a slot e scali per i lavoratori della compagnia aerea.
(3-00878)


   LOLLOBRIGIDA, MELONI, ACQUAROLI, BALDINI, BELLUCCI, BUCALO, BUTTI, CAIATA, CARETTA, CIABURRO, CIRIELLI, LUCA DE CARLO, DEIDDA, DELMASTRO DELLE VEDOVE, DONZELLI, FERRO, FOTI, FRASSINETTI, GEMMATO, LUCASELLI, MANTOVANI, MASCHIO, MOLLICONE, MONTARULI, OSNATO, PRISCO, RAMPELLI, RIZZETTO, ROTELLI, SILVESTRONI, TRANCASSINI, VARCHI e ZUCCONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la società Atlantia, holding di partecipazioni nel settore delle infrastrutture, delle reti dei trasporti e delle comunicazioni, controlla interamente Autostrade per l'Italia, concessionaria, tra le altre, della tratta autostradale Genova-Ventimiglia dove quasi esattamente un anno fa il crollo del Ponte Morandi ha causato 43 vittime, centinaia di sfollati e milioni di euro di danni;

   subito dopo il crollo del Viadotto Polcevera numerosi esponenti del Governo annunciarono a gran voce la revoca della concessione alla società e che nei confronti della stessa sarebbe stata avanzata una richiesta di risarcimento per tutti i danni conseguenti al crollo;

   in particolare, il Presidente del Consiglio dei ministri, il giorno dopo il crollo, disse «avvieremo la procedura per la revoca della concessione a società Autostrade», perché «non c'è dubbio che ad Autostrade toccassero onere e vincolo di manutenzione del viadotto», come anche il Vice Presidente del Consiglio dei ministri Di Maio che dichiarò alla stampa, riferendosi ad Atlantia, «si dimettano, non hanno fatto manutenzione», mentre il Ministro interrogato affermò che «chi fa cadere un ponte con 43 morti non sa gestire un bene pubblico»;

   appena pochi giorni fa la commissione indipendente istituita presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per pronunciarsi sull'eventuale revoca delle concessioni ad Atlantia, nelle sue conclusioni ha rilevato che «il crollo lascia presupporre gravi lacune del sistema di manutenzione che si possono ritenere sussistenti su tutta la rete autostradale»;

   è notizia delle ultime ore che Atlantia sarà la terza società, oltre a Delta airlines e Ferrovie dello Stato italiane, ad affiancare il Ministero dell'economia e delle finanze nell'operazione di salvataggio di Alitalia, per la quale serve circa un altro miliardo di euro;

   suscita perplessità negli interroganti il fatto che la stessa società – Atlantia – ritenuta dal Governo incapace di gestire il bene pubblico e responsabile di un disastro gravissimo in termini di vite e anche in termini economici, sia all'improvviso ritenuta adatta per gestire la ex compagnia aerea di bandiera –:

   quali siano i contenuti della trattativa che ha sostenuto l'ingresso di Atlantia nel salvataggio di Alitalia e sulla base di quali motivazioni il Governo abbia cambiato così repentinamente opinione sulla società in questione.
(3-00879)


   TONDO, COLUCCI, LUPI e SANGREGORIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   in data 21 dicembre 2018 l'assemblea degli azionisti di Anas ha nominato il nuovo consiglio di amministrazione della società e contestualmente il nuovo amministratore delegato nella persona dell'ingegner Massimo Simonini;

   l'ingegner Massimo Simonini, dirigente di terza fascia, ha assunto il ruolo di amministratore delegato;

   con l'insediamento dell'amministratore delegato, Anas, a quanto consta agli interroganti, in questi sei mesi ha proceduto al licenziamento di molti dirigenti e alla loro sostituzione;

   per quanto consta agli interroganti sembra che in questi sei mesi si siano drasticamente ridotti i lavori appaltati –:

   quali siano stati i criteri che hanno portato alla nomina dell'amministratore delegato e alla sostituzione dei dirigenti di prima fascia e se tutto questo, a parere del Ministro interrogato, non sia causa di un significativo rallentamento nell'attività di Anas e della diminuzione dei lavori appaltati in questo delicato periodo economico dell'Italia, visto che Anas è la più importante stazione appaltante del nostro Paese.
(3-00880)

INTERNO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

I Commissione:


   CALABRIA e SISTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   negli ultimi sei mesi nel nord del Lazio, nella zona che dalla costa, intorno a Ladispoli, raggiunge il lago di Bracciano, sono stati rubati circa 80 cavalli; secondo quanto hanno riferito alcuni testimoni, a entrare in azione sarebbe una banda composta da almeno cinque persone più un autista;

   il timore dei numerosi allevatori colpiti dai furti è che gli animali siano destinati a un giro di macelli clandestini;

   molti dei cavalli rubati sono da sella e di razza, utilizzati soprattutto per attività con principianti, bambini e disabili, svolgono quindi un'importante funzione sociale; i cavalli rubati sono tutti «non Dpa» (non destinabili all'alimentazione umana);

   molti dei cavalli rubati sono stati trattati con medicinali veterinari estremamente pericolosi e qualora gli animali fossero destinati clandestinamente alla macellazione e, quindi, all'alimentazione umana causerebbero gravi danni alla salute pubblica;

   il furto di cavalli e di bestiame, un tempo regolamentato dalla legge sull'abigeato, è stato depenalizzato –:

   se e quali iniziative il Governo intenda intraprendere per arginare questa ondata di furti, ripristinando in particolare condizioni di sicurezza nell'area.
(5-02521)


   FIANO, GIORGIS, MIGLIORE, BENAMATI, CANTINI, MARCO DI MAIO, SCALFAROTTO, CARNEVALI, DEL BARBA e QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   da notizie a mezzo stampa si è appreso che nella mattina di lunedì 15 luglio 2019, in una delle abitazioni di esponenti di estrema destra colpiti da un provvedimento di perquisizione, sarebbe stato sequestrato dalla Digos di Torino un vero e proprio arsenale con armi da guerra, fucili d'assalto automatici e addirittura un missile terra aria che sarebbe stato usato dalle forze armate del Qatar;

   sono tre le persone che sarebbero state arrestate tra le quali figurerebbe anche Fabio Del Bergiolo, 50 anni, ex ispettore delle dogane specializzato nell'antifrode, militante di Forza Nuova per la quale è stato candidato al Senato nel collegio di Gallarate nel 2001, e finito nei guai nel 2003 per una truffa messa in atto mentre era in servizio a Malpensa;

   negli ultimi mesi la Digos di Torino – che all'alba del 15 luglio ha condotto un'operazione vasta, in molte città del Nord Italia che ha coinvolto anche i colleghi di Milano, Varese, Pavia, Novara e Forlì – ha concentrato la propria attività investigativa proprio sui gruppi oltranzisti di estrema destra che orbitano su Torino, una galassia nera che spazia dai messaggi politici e di propaganda alle infiltrazioni nelle tifoserie calcistiche;

   durante le perquisizioni della scorsa settimana, infatti, gli investigatori coordinati dal dirigente Carlo Ambra, avevano sequestrato uno striscione storico dei Drughi Giovinezza, gruppo ultras della Juventus all'interno della sede Legio Subalpina, in corso Allamano e nelle abitazioni perquisite hanno rinvenuto anche alcuni striscioni appartenenti al gruppo Tradizione, sempre della tifoseria bianconera;

   il gruppo ultras dei Drughi ha anche espresso con uno striscione la propria solidarietà all'arresto di Carlo Fabio D'Allio, 28 anni, considerato il leader del gruppo skin Legio Subalpina, accusato di apologia di fascismo e detenzione e munizionamento di armi da guerra, e scarcerato la scorsa settimana dopo l'udienza di convalida con l'obbligo di firma;

   le notizie riportate in merito al crescente attivismo da parte di soggetti orbitanti nei gruppi dell'estrema destra oltranzista destano sempre più allarme e preoccupazione, anche per la chiara escalation dal punto di vista della violenza, confermata dai sequestri compiuti dalla Digos nella mattina del 15 luglio 2019 –:

   se il Governo intenda costituirsi parte civile e quali iniziative urgenti intenda adottare per contrastare in ogni modo il proliferare di gruppi oltranzisti dell'estrema destra, nonché per contrastare il diffondersi di armi da guerra e fucili d'assalto automatici.
(5-02522)


   MACINA, CASO, DIENI, ALAIMO, BALDINO, BERTI, BILOTTI, MAURIZIO CATTOI, CORNELI, DADONE, D'AMBROSIO, FORCINITI, PARISSE, FRANCESCO SILVESTRI, SURIANO e ELISA TRIPODI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   nel comune di Casavatore, in provincia di Napoli, è stato eletto il nuovo sindaco, nella persona di Luigi Maglione, dopo che il precedente il consiglio comunale è stato sciolto per infiltrazioni mafiose con decreto del Presidente della Repubblica del 24 gennaio 2017;

   negli atti che hanno portato allo scioglimento del comune, compare il nome di Ferdinando Vozzella, che, nella notte tra il 9 e 10 giugno 2019, dopo essere stato eletto consigliere comunale a sostegno di Luigi Maglione, trasmettendo un video in diretta facebook e rivolgendosi agli avversari politici, ha testualmente affermato: «da qui vi salutiamo: tutti i delinquenti che stavano con Maglione», per poi rivolgersi direttamente al candidato sindaco avversario, in napoletano: «ti ho fatto i buchi in testa, te lo avevo promesso e l'ho fatto, adesso prendi la corda e impiccati»;

   come riferito da diversi organi di stampa, la scena è stata ripresa e trasmessa via Facebook da Nadia Sarnataro, moglie di Mauro Ramaglia «il cui nome comparve scritto su un pizzino trovato nelle tasche del boss Ciro Cortese ucciso in un agguato al parco delle Acacie nel 2015. Ramaglia è imputato per voto di scambio politico-mafioso»;

   nel video compare anche Domenico Fiore «citato negli atti dello scioglimento quale nipote del braccio destro del boss Aniello La Monica ucciso in un agguato»;

   il clima in cui si è svolta la campagna elettorale ha visto un preoccupante protagonismo degli elementi criminali locali;

   nella comunicazione del Ministro dell'interno allegata al decreto del Presidente della Repubblica di scioglimento, si legge, tra l'altro, che motivo di grave preoccupazione è la vicinanza e familiarità di diversi consiglieri e attivisti politici con i principali esponenti della locale famiglia camorristica;

   i fatti esposti autorizzano a ritenere che nel comune di Casavatore possano esservi ancora relazioni tra eletti e ambienti mafiosi capaci di condizionare l'attività dell'amministrazione; il 19 giugno 2019 il presidente dell'ufficio elettorale centrale del comune, Daniele Gruneri, ha proclamato presso la sala consiliare del municipio, i neo consiglieri comunali di Casavatore –:

   se non intenda adottare iniziative, per quanto di competenza, a salvaguardia dell'integrità della nuova amministrazione e se i fatti esposti in premessa non siano da considerarsi indicativi e sufficienti in ordine alla necessità di un costante ed attento monitoraggio dell'attività dell'amministrazione, anche attraverso l'invio di una commissione di accesso.
(5-02523)


   PRISCO, BUTTI, OSNATO e DONZELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   negli ultimi anni le fusioni tra comuni, in questo caso della provincia di Como, sono state numerose, a partire da Gravedona e Uniti – nuovo comune costituitosi nel 2011 – fino a Solbiate con Cagno, ultimo comune costituitosi all'inizio del 2019;

   le fusioni tra comuni sono progressivamente aumentate negli anni, sia perché incentivate da «premi», sotto forma di trasferimenti statali previsti per legge, sia per elevare la qualità, in termini di efficienza ed efficacia dei servizi da erogare ai cittadini;

   con decreto del Ministro dell'interno, emanato il 25 giugno 2019, sono state stanziate somme assolutamente insufficienti a salvaguardare i bilanci dei comuni coinvolti, i quali hanno provveduto da tempo all'approvazione dei bilanci di previsione che riportavano, ovviamente, le cifre pattuite;

   di fatto, quindi, con un decreto emanato tre mesi dopo il termine previsto per l'adozione dei bilanci di previsione degli stessi comuni, sono stati improvvisamente ridotti i «premi» previsti per le fusioni;

   ai comuni della provincia di Como manca circa 1 milione e 500 mila euro, fatto che genera incertezza e che, in qualche caso, va a sommarsi a quella relativa alla vicenda tuttora irrisolta dei ristorni dei fondi frontalieri –:

   quali iniziative intenda assumere per corrispondere ai comuni le risorse mancanti, garantendone la sopravvivenza, e per risolvere la vicenda dei ristorni dei fondi frontalieri.
(5-02524)

Interrogazione a risposta scritta:


   CARETTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il comune di Bibione (Venezia), frazione del comune di San Michele al Tagliamento, occupa una parte del litorale veneto che è il secondo lido in Italia per numero di presenze. Come tutta la costa adriatica del Veneto, Bibione è meta di turismo italiano e internazionale, e in estate la sua popolazione esplode. La spiaggia bandiera blu di circa 9 chilometri fornita di zone per animali, le piste ciclabili, le attrazioni, gli eventi sportivi e il paradiso naturale della Pineda seducono ogni tipologia di turista riuscendo a coinvolgere tutta la famiglia, dagli adolescenti ai nonni, dai freschi sposini ai gruppi di studenti in vacanza, per non parlare del flusso di visitatori provenienti dai Paesi tedescofoni, austriaci, svizzeri, tedeschi, che rendono la spiaggia di Bibione la seconda più frequentata in Italia;

   come suddetto, durante i mesi estivi, gli abitanti di Bibione subiscono una sensibile impennata. Le rilevazioni Istat, che parlano di circa 5 milioni 500 mila presenze turistiche nel 2018, certificano ampiamente questo fenomeno;

   si fa presente però che, nonostante nei mesi estivi i residenti di Bibione si accrescano sensibilmente, sul territorio non è presente alcun distaccamento dei vigili del fuoco che possa garantire la sicurezza di abitanti e turisti. Il comando più vicino infatti è quello di Portogruaro, il quale però dista circa 30 chilometri da Bibione e deve coprire ampie zone di territorio fra cui Caorle. Nei mesi estivi in cui il traffico aumenta, il comando di Portogruaro non riesce ad assicurare il servizio su Bibione in tempi rapidi, come certificano le lunghe attese registrate durante l'incendio del 13 giugno 2019 in via Ariete, in una piccola porzione di pineta non lontana dalle terme, e durante un più recente incendio dell'11 luglio quando i vigili del fuoco sono giunti in loco dopo oltre un'ora;

   la situazione sopra esposta è particolarmente grave e richiede un intervento immediato poiché c'è in gioco la sicurezza di abitanti e turisti che devono essere obbligatoriamente tutelati –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intenda, per quanto di competenza, assumere iniziative volte ad istituire un distaccamento dei vigili del fuoco sul territorio del comune di Bibione, anche provvisorio, che possa garantire la sicurezza, l'incolumità delle persone e la tutela dei beni e dell'ambiente.
(4-03332)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MUGNAI e D'ETTORE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   alcuni quotidiani nazionali e locali hanno dato notizia della decisione della multinazionale svizzera Abb con sito produttivo della divisione electrification business in Terranuova Bracciolini (Arezzo) di cedere il comparto solare all'azienda lombarda Firmer spa;

   il settore degli inverter solari di Abb conta circa 800 dipendenti in oltre 30 Paesi, con siti produttivi e di ricerca e sviluppo situati in Italia, India e Finlandia. Quella degli inverter solari è stata acquisita nel 2013 dalla divisione discrete automation di Abb e oggi offre, come dichiarato dalla stessa azienda, un portfolio completo di prodotti, sistemi e servizi per diverse tipologie di installazioni solari, e ha realizzato un fatturato di circa 290 milioni di dollari nel 2018;

   il 15 luglio 2019 si è aperto il tavolo di confronto tra parti sociali e regione Toscana; nel corso della riunione le rappresentanze sindacali hanno confermato che dai vertici aziendali è giunto l'annuncio della cessione alla società Firmer del richiamato settore che impiega 400 addetti, scegliendo invece di mantenere solo il comparto «carica batteria» con 150 addetti;

   oltre a dirsi preoccupate per la scelta di cedere il comparto solare, i lavoratori hanno sottolineato come tale decisione sia arrivata dopo una serie di smentite da parte dei vertici Abb, per poi giungere in maniera improvvisa senza che alcuna procedura ufficiale risulta oggi intrapresa;

   la cessione del comparto cosiddetto solare che, come già illustrato, nel solo 2018 ha fatturato circa 290 milioni di euro potrebbe rischiare di indebolire l'intero stabilimento della Valdarno, trascinando con sé anche il comparto «mobilità sostenibile e carica batterie» e mettere quindi ancor di più a rischio il futuro dei lavoratori, delle famiglie e dell'indotto connesso;

   secondo la Firmer spa il passaggio potrà migliorare le prospettive di crescita e «consentirà di rafforzare il business del solare in Italia e nel mondo», fermo restando che, a quanto risulta agli interroganti, la Abb non riterrebbe più strategico il business legato al settore solare;

   gli analisti sostengono che l'impatto economico dell'operazione, al netto delle imposte, varrebbe circa 430 milioni di dollari che impatteranno come oneri non operativi nel secondo trimestre del 2019. A ciò la stessa Abb prevede costi connessi alla cessione per un valore fino a 40 milioni di dollari nella sola seconda metà del 2019. La stessa azienda peraltro in via cautelativa chiosa nella comunicazione ufficiale del 9 luglio 2019 che «tali dichiarazioni previsionali sono basate sulle attuali aspettative e implicano rischi e incertezze» e che quindi «nessuna dichiarazione previsionale può essere garantita»;

   si è appreso che lunedì 15 luglio 2019 è stato convocato un tavolo di crisi presso la presidenza della regione Toscana insieme ai rappresentanti delle istituzioni locali e delle categorie economiche e sindacali per valutare gli scenari relativi alla cessione e all'impatto sull'occupazione;

   la Valdarno rischia di diventare il teatro di una nuova crisi aziendale e occupazionale dopo quella della Bekaert di Figline Valdarno per la quale gli interroganti hanno già ampiamente sollecitato il Ministro interrogato, purtroppo invano –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto illustrato in premessa e quali iniziative urgenti e concrete intenda assumere per evitare che la cessione aziendale comporti una nuova contrazione dei livelli occupazionali per il territorio toscano;

   se non si ritenga necessario avviare tempestivamente un tavolo di confronto con la Abb, la Firmer, le istituzioni locali e regionale aperto alla più ampia partecipazione da parte dei rappresentanti parlamentari del territorio.
(5-02516)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MURONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   Gsk Vaccines è la società del gruppo Gsk in Italia interamente dedicata ai vaccini. A Siena e nella vicina Rosia, dove sono impegnati circa 2.000 collaboratori di 55 nazionalità diverse, si trovano un centro di ricerca e sviluppo globale – uno dei tre centri mondiali dell'azienda insieme a Rixensart in Belgio e a Rockville negli Stati Uniti – e uno stabilimento produttivo, che operano nel rispetto dei più alti standard qualitativi;

   le collaborazioni con i principali enti internazionali impegnati nelle campagne per la sensibilizzazione e il potenziamento dell'accesso alle vaccinazioni, e con importanti università italiane per favorire l'integrazione tra mondo accademico e ricerca privata, fanno del sito Gsk di Siena e Rosia un solido punto di riferimento a livello mondiale nella lotta alle malattie infettive. Questo è quanto si legge sul sito internet della Gsk;

   era solo del dicembre 2018 la notizia che la Gsk avrebbe assunto 40 nuovi dipendenti nel settore farmaceutico. A distanza di pochi mesi, si sente parlare di chiusura di linea di produzione e, salvo casistiche marginali di mantenimento dei soli dipendenti a tempo indeterminato, come si legge in un articolo del 10 aprile 2019 pubblicato da «Il Cittadinoonline.it»;

   in questi giorni si apprende invece che tra il 2016 e il 2018 gli occupati nella Gsk sono calati di 325 unità – ha ribadito ai microfoni di Siena Tv Duccio Romagnoli, Rsu Gsk vaccini Filctem Cgil – Un calo che non si arresta, nei primi 6 mesi del 2019 il trend va avanti, è una lenta emorragia. L'azienda in maniera subdola sta inoltre contattando personale diretto per cercare di proporre uscite incentivate con micro incentivi all'esodo, spingendo per far accettare proposte incentivate al fine di ridurre l'organico, e oltre a ciò non si rinnovano i somministrati;

   l'ultimo caso riguarda cinque operatori, tre dello stesso reparto, agenzia e manager, assunti da agenzia interinale a tempo indeterminato, e licenziati perché non avrebbero soddisfatto gli obiettivi. Alcuni di loro in forza all'azienda da 10 anni;

   gli accordi di staff leasing non dovrebbero prevedere questa ragione per allontanare i lavoratori. Questi lamentano di non aver mai ricevuto degli obiettivi da perseguire né di aver mai potuto discutere i risultati ottenuti con il manager. Nelle lettere di licenziamento – denunciano ancora i dipendenti – non sarebbero stati specificati i motivi dell'allontanamento. Sul fatto sono stati interpellati gli uffici per le risorse umane, ma il risultato non è cambiato;

   «Noi non contestiamo la sostanza, bene o male l'azienda è libera di utilizzare il lavoratore a proprio piacimento se soddisfatta della prestazione, contestiamo il metodo – ha aggiunto Maurizio Cesari, Rsu Uiltec Uil Gsk – in quanto nell'accordo siglato con Confindustria era previsto un osservatorio per monitorare e risolvere tali problematiche. Siamo preoccupati perché oltre al calo generale c'è un azione come questa che non ha precedenti, vorremmo seguire con attenzione queste cinque persone che vengono allontanate dall'azienda con tale metodo, in modo repentino»;

   dopo quest'ultimo licenziamento sono state annunciate due ore di sciopero per ciascun turno da effettuare il 16 luglio 2019. L'agitazione dei dipendenti è stata una conseguenza quasi automatica per contrastare la decisione presa da Gsk Vaccines di ridurre il personale, anche attraverso la cessazione di 5 contratti di staff leasing –:

   se siano a conoscenza di quanto riportato in premessa, quali siano gli orientamenti al riguardo e quali iniziative di competenza intendano adottare affinché venga assicurata la salvaguardia degli attuali posti di lavoro e di un sito strategico nella produzione di vaccini per meningiti.
(4-03335)


   TIRAMANI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   ai sensi dell'articolo 54 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973 «la pensione spettante al militare, che abbia maturato almeno 15 anni e non più di 20 anni di servizio, utile è pari al 44 per cento della base pensionabile, salvo quanto disposto nel penultimo comma del presente articolo. La percentuale di cui sopra è aumentata di 1,80 per cento ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo»;

   tale riconoscimento trovava conferma per l'Inpdap che, con circolare n. 22 del 18 settembre 2009, chiariva che «Il computo dell'aliquota di pensione spettante al personale militare è disciplinato dall'articolo 54 del T.U. secondo cui la pensione spettante al militare che abbia maturato, al 31 dicembre 1995, almeno 15 anni e non più di 20 anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile, aumentata di 1,80 per cento per ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo»;

   il decreto-legge n. 201 del 2010 ha previsto la soppressione dell'Inpdap, con conseguente trasferimento delle relative funzioni all'Inps;

   l'Inps, tuttavia, applica la disposizione meno favorevole di cui all'articolo 44 del predetto decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973, che prevede per i dipendenti civili l'aliquota del 35 per cento;

   in questi anni, da centinaia di militari dell'Arma, sono stati presentati diversi ricorsi alle Corte dei conti delle regioni ove risiedono gran parte dei quali conclusi con l'Inps soccombente;

   l'Inps ha impugnato in appello le sentenze, favorevoli ai carabinieri andati in pensione, innanzi alla Corte dei conti la quale (sezione prima giurisdizionale centrale d'appello) nel novembre 2018, con la sentenza n. 422 del 2018, ha ribadito il diritto di un militare a vedersi computato il trattamento pensionistico, per la parte calcolata secondo il sistema retributivo, con l'applicazione dell'aliquota del 44 per cento di cui all'articolo 54 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973 prevista per il personale arruolato tra il 1° gennaio 1981 e il 30 giugno 1983, in luogo della meno favorevole aliquota del 35 per cento, di cui all'articolo 44 del medesimo decreto del Presidente della Repubblica, prevista per i dipendenti civili;

   nello specifico, il collegio giudicante nel riconoscere il «diritto del ricorrente alla riliquidazione della pensione, sin dalla originaria decorrenza, dando applicazione, per la parte di trattamento pensionistico calcolato con il sistema retributivo, all'articolo 54 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973», ha riconosciuto al ricorrente sia il «diritto a conseguire gli arretrati costituiti dalla differenza tra i ratei pensionistici spettanti in base alla suddetta riliquidazione e quelli percepiti», sia «gli interessi legali e nei limiti dell'eventuale maggior importo differenziale, la rivalutazione monetaria calcolata, anno per anno, secondo gli indici ISTAT»;

   l'Inps, invece che adeguarsi a tale sentenza per tutti i carabinieri in congedo, a quanto consta all'interrogante ha ricalcolato la pensione soltanto al militare ricorrente, continuando ad impugnare le sentenze di primo grado;

   il 14 giugno 2019 anche la sezione seconda giurisdizionale centrale d'Appello della Corte dei conti, con la sentenza n. 208 del 2019, ha dato ragione ad altro ricorrente, sempre appartenente all'Arma dei carabinieri ora in congedo, con le medesime motivazioni, condannando l'Inps anche alle spese di giudizio –:

   se e quali iniziative di competenza intenda celermente adottare affinché l'Inps, prendendo atto che già 2 su 3 sezioni centrali d'appello della Corte dei conti hanno sentenziato in modo conforme a favore degli appartenenti dell'Arma in congedo, l'impugnazione delle sentenze di primo grado in favore dei ricorrenti e proceda nei confronti di questi al riconoscimento del diritto spettante, anche al fine di evitare ai ricorrenti inutili esborsi per le spese legali e all'Inps ulteriore aggravio dovuto al pagamento delle spese di giudizio.
(4-03340)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI, FORESTALI E TURISMO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:

   la cimice marmorata asiatica (Halyomorpha halys), originaria dell'Asia orientale, è stata segnalata per la prima volta in Europa nel 2004 e nel 2012 è comparsa in Italia, prima in Emilia-Romagna e, l'anno successivo, in Piemonte, Lombardia, Veneto e Friuli arrecando consistenti danni alla frutticoltura e all'orticoltura, senza risparmiare piante ornamentali e forestali;

   il suddetto insetto, particolarmente infestante e altamente polifago riuscendo ad attaccare oltre 300 specie di piante non trovando antagonisti naturali, si moltiplica velocemente con 300-400 esemplari per volta, deponendo le uova anche due volte l'anno a causa dell'innalzamento delle temperature, soprattutto nel periodo invernale;

   nella regione Campania la cimice asiatica è stata segnalata in alcune località dell'agro acerrano-nolano e dell'alto casertano solo nell'estate del 2018, a seguito delle attività di monitoraggio condotte dall'unità regionale di coordinamento fitosanitario;

   recenti articoli giornalistici, relativi ad un tavolo tematico tenutosi a San Paolo Bel Sito (Napoli) il 30 maggio 2019, hanno evidenziato che, nel territorio altocasertano (areali di Pastorano, Carinola e Teano), Halyomorpha halys ha già attaccato peschi, meli, peri, noccioli, kaki e actinidie;

   in particolare, nel territorio di Teano (Caserta), primo comune campano per superficie corilicola, ove si concentra una grossa percentuale della produzione nazionale, la cimice avrebbe già infestato i noccioleti, con un'alta probabilità di riduzione del raccolto per il 2019;

   gli interventi di lotta su scala globale sono, ad oggi, incentrati essenzialmente sull'utilizzo di prodotti chimici, composti da princìpi attivi a largo spettro;

   relativamente alla difesa fitosanitaria del nocciolo, l'assessorato all'agricoltura della regione Campania, con D.D. n. 27 del 19 marzo 2019, ha previsto l'utilizzo dei prodotti Etofenprox e Deltametrina solo nei casi di effettiva presenza dell'insetto;

   è noto che tali trattamenti producono un effetto limitato, tanto che la ricerca si è indirizzata verso metodi di lotta biologica, mediante l'utilizzo di insetti antagonisti naturali, già individuati all'estero, poiché quelli autoctoni non hanno prodotto livelli di parassitizzazione apprezzabili;

   l'introduzione in Italia degli antagonisti naturali non autoctoni è espressamente vietata dall'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997;

   a tal proposito, il 4 aprile 2019 il Consiglio dei ministri ha approvato, in esame definitivo, un regolamento, da adottarsi mediante decreto del Presidente della Repubblica che dispone che, in presenza di motivate ragioni di interesse pubblico, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare possa derogare al divieto imposto dall'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, sulla base di studi che evidenzino l'assenza di effetti negativi sull'ambiente e di appositi criteri da adottare entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento;

   da ultimo, il 12 giugno 2019, il Senato della Repubblica ha approvato la risoluzione doc. XXIV, n. 5, che impegna il Governo a dare la massima priorità all'adozione del decreto ministeriale previsto dal menzionato regolamento, accelerando le altre fasi dell’iter autorizzatorio al fine di consentire l'introduzione dell'imenottero Trissolcus japonicus per contrastare la diffusione della cimice asiatica già durante la campagna agricola 2019 –:

   di quali ulteriori elementi dispongano i Ministri interpellati in relazione ai fatti esposti in premessa e quali iniziative intendano adottare al fine di limitare, con tempestività, il rischio di ulteriore diffusione della Halyomorpha halys con grave danno alla produzione corilicola nazionale.
(2-00459) «Del Sesto, Cadeddu, Cassese, Cillis, Cimino, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate, Lombardo, Maglione, Alberto Manca, Marzana, Parentela, Pignatone, Bella, D'Uva».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XIII Commissione:


   CENNI, GADDA, CARDINALE, CRITELLI, DAL MORO, D'ALESSANDRO, INCERTI e PORTAS. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   il Consiglio oleicolo internazionale (Coi) è l'unica organizzazione al mondo dedicata all'olio di oliva e alle olive da tavola;

   il Coi, con sede a Madrid, è impegnato a promuovere lo sviluppo integrato e sostenibile dell'olivicoltura mondiale. L'elenco dei membri del Coi comprende i maggiori produttori ed esportatori di olio di oliva e olive da tavola: sono Paesi del Mediterraneo da cui proviene il 98 per cento della produzione mondiale di olio di oliva;

   i due ruoli di primo piano del Coi sono attualmente rivestiti dal direttore esecutivo, il tunisino Abdellatif Ghedira (direttore esecutivo), e dal direttore esecutivo aggiunto, lo spagnolo Jaime Lillo;

   nei mesi scorsi la delegazione italiana ha rappresentato l'opportunità di un cambio dei vertici, rilevando la legittima aspirazione a ricoprire un incarico ma non risulta che non sia mai stata formalizzata una candidatura da parte del Governo italiano;

   numerosi articoli dei media nei mesi scorsi hanno però riportato che, in vista del rinnovo delle cariche del Coi, si sia consolidato un asse tra Spagna e Tunisia per una proroga dell'attuale assetto dirigenziale;

   il ricambio della governance del Coi è stato oggetto di interrogazioni discusse il 21 marzo 2019 in Commissione agricoltura della Camera dei deputati. In quell'occasione il Governo ha manifestato la volontà di intervenire per sostenere un avvicendamento dei vertici del Coi;

   negli scorsi mesi è stata presentata una risoluzione assegnata alle Commissioni III e XIII della Camera dei deputati (n. 7-00239) che impegnava il Governo per «attuare un legittimo ed auspicabile ricambio della governance del Coi nel rispetto degli accordi internazionali sanciti da tempo, promuovendo la designazione di un rappresentante italiano»;

   nel corso delle audizioni svolte nelle materie oggetto della risoluzione n. 7-00239, il direttore del Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo Felice Assenza, ha dato atto dell'impegno profuso dal Governo, nelle opportune sedi, per promuovere un cambio di governance del Coi;

   nel corso della riunione del Coi del 21 giugno 2019 è stata però approvata la risoluzione che proroga gli attuali vertici del Consiglio oleicolo internazionale fino al 2023, con l'astensione dell'Unione europea –:

   per quali motivi, nonostante quanto espresso in premessa, il vertice del Coi sia stato riconfermato anche grazie all'astensione dell'Unione europea e se il Governo abbia realmente sostenuto nominativi alternativi, proponendo candidature ufficiali.
(5-02517)


   PIGNATONE, BELLA, CADEDDU, CASSESE, CILLIS, CIMINO, DEL SESTO, GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE, LOMBARDO, MAGLIONE, ALBERTO MANCA, MARZANA e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   in Sicilia il comparto dell'uva da tavola è in grave sofferenza a causa del «cracking», una condizione che provoca la lacerazione della buccia degli acini con conseguente deterioramento del prodotto. Questo fenomeno si è verificato principalmente tra il mese di giugno e settembre 2018 nella provincia di Agrigento, Caltanissetta, Catania e Ragusa. Risultano, inoltre, particolarmente danneggiati i produttori rientranti nell'Igp Canicattì e Igp Mazzarrone;

   a seguito di specifica richiesta da parte del consorzio per la tutela e la promozione dell'uva da tavola di Canicattì è stata evidenziata l'assenza di specifica assicurazione agricola che preveda per l'uva da tavola l'estensione della garanzia anche ai danni da cracking. La regione siciliana ha emanato specifica delibera con la quale si richiedeva al Governo lo stato di calamità e l'accesso al fondo di solidarietà nazionale per le imprese agricole colpite dal cracking. Tali delibere sono state trasmesse al Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo con nota prot. 59539 del 25 ottobre 2018 e n. 64468, n. 64469, n. 64471 del 22 novembre 2018;

   ad oggi, tuttavia, non e pervenuta alcuna risposta. Inoltre, il Co.di.pa. consorzio di difesa delle produzioni agricole, con una nota al consorzio per la tutela e la promozione dell'uva da tavola di Canicattì I.G.P., ha evidenziato che, vista l'eccezionalità dell'evento, non vi è di fatto nessuna campagna di assicurazione per il fenomeno del cracking. Tra le aziende del settore vi è incertezza per l'annata agraria in corso per via della impossibilità di assicurare il prodotto con il rischio di compromettere la produzione dell'anno –:

   in relazione a quanto espresso in premessa, quali siano le motivazioni per le quali il Ministero non ha ancora dato riscontro alle delibere della regione siciliana, posto che senza dubbio si è verificato un evento di eccezionale entità, che ha causato la distruzione di oltre il 30 per cento della produzione di uva e che pertanto sussistono gli elementi per il riconoscimento formale di calamità naturale, anche al fine di consentire alle aziende danneggiate di accedere agli indennizzi a valere sul fondo di solidarietà nazionale di cui al decreto legislativo n. 102 del 2004.
(5-02518)


   VIVIANI, LOSS, MAURIZIO CATTOI, BUBISUTTI, BINELLI, COIN, SUTTO, GASTALDI, GOLINELLI, LIUNI, LOLINI e LO MONTE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   le api sono considerate le vere sentinelle dello stato di salute del territorio, e fondamentali per l'agricoltura per il servizio di impollinazione degli alberi da frutto;

   l'instabilità meteorologica dell'inizio della primavera, con fenomeni come bombe d'acqua, grandinate e piogge, hanno creato problemi alle api, che sono state costrette a rallentare la loro preziosa opera, con conseguente rischio del crollo della produzione di miele;

   le api escono ai primi raggi di sole e tornano indietro non appena inizia a piovere. A causa della pioggia, del vento e degli sbalzi termici le api non sono state in grado di «bottinare», vale a dire di succhiare dai fiori il nettare da portare all'alveare. I fiori bagnati dalle frequenti piogge hanno scaricato il nettare, innescando una situazione critica all'interno dell'alveare;

   se le scorte di miele dovessero finire si andrebbe incontro ad una vera e propria emergenza, perché il poco miele che le api riescono a produrre lo utilizzano per nutrirsi, per sopravvivere. Per nutrire le api al fine di evitare che queste utilizzino il miele prodotto, gli apicoltori sono ricorsi all'alimentazione artificiale, con uno sciroppo di acqua e zucchero. Di solito a questa soluzione estrema si ricorre nel periodo autunnale;

   secondo i dati aggiornati al 1° marzo 2019, emerge che sono 55.877 gli apicoltori in Italia di cui 36.206 produce per autoconsumo (65 per cento) e 19.671 sono apicoltori con partita iva che producono per il mercato (35 per cento), con un valore stimato in più di 2 miliardi di euro. Gli apicoltori italiani detengono in totale 1.273.663 alveari e 216.996 sciami;

   una crisi di produzione potrebbe produrre come conseguenza una vera e propria invasione di miele «straniero». Rilevanti, infatti, sono le importazioni dall'estero che nel 2018 sono risultate pari a 27.800 tonnellate in aumento del 18 per cento rispetto all'anno precedente. A far concorrenza al miele made in Italy, ad oggi, non c'è solo la Cina, con 2.500 tonnellate, ma anche Paesi dell'Est Europa, come l'Ungheria, con oltre 11.300 tonnellate, a basso costo e che non rispetta i nostri standard qualitativi –:

   quali iniziative intenda mettere in campo al fine di salvaguardare l'apicoltura nazionale e la produzione di miele made in Italy, in quanto preziosa risorsa per l'agricoltura italiana.
(5-02519)


   NEVI e BRUNETTA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   il Consiglio oleicolo internazionale (Coi), creato dall'Onu nel 1959, con sede a Madrid, rappresenta i Paesi produttori e gestisce le politiche mondiali sull'olio d'oliva. Si compone di 17 membri, tra i quali Unione europea;

   nella riunione Coi del 21 giugno 2019 è stata approvata la proroga degli attuali vertici fino al 2023, nonostante l'accordo istitutivo dell'organismo preveda la rotazione delle cariche. La Tunisia quindi guiderà l'organismo per altri 4 anni, mentre alla Spagna, che da 17 anni ininterrotti, a Bruxelles, ricopre la carica di capo unità o vice capo unità dell'olio d'oliva, è attribuito il direttore esecutivo aggiunto;

   sul rinnovo delle cariche l'Unione europea si è astenuta, nonostante l'Italia avesse rappresentato l'opportunità di un cambio dei vertici, rilevando la legittima aspirazione a ricoprire un incarico di vertice;

   nel 2018 la Tunisia ha prodotto 240 mila tonnellate e ne ha esportate senza dazio in Europa 120 mila; secondo Coldiretti dall'inizio del 2018 l'importazione in Italia di olio d'oliva tunisino sarebbe aumentata del 260 per cento;

   su impulso della Tunisia, la Lega araba sta pensando di arrivare alla leadership del settore olivicolo-oleario, giungendo in pochi anni a una produzione di 1,2-1,4 milioni di tonnellate, riuscendo così a condizionare i mercati e la quotazione mondiale dell'olio d'oliva. La produzione media cumulata di Tunisia, Marocco, Algeria, Turchia, Siria, Giordania, Libano ed Egitto supera già le 800 mila tonnellate;

   il costo di produzione dell'olio in Tunisia risulta pari a circa due euro al litro, contro il corrispondente costo di produzione italiano pari a circa sette euro al litro (fonte Coldiretti);

   nonostante l'accordo istitutivo del Coi lo impegni al miglioramento della qualità dei prodotti, sembra sia in corso un tentativo di depotenziamento del «panel test», metodo di classificazione e analisi delle caratteristiche dell'olio, riconosciuto a livello internazionale, in modo da favorire la quantità della produzione e non la qualità del prodotto. Da tempo la Spagna starebbe spingendo per allentare i controlli sull'olio, visto che la maggior parte della sua abnorme produzione non è di buona qualità;

   la sentenza del Consiglio di Stato n. 1546 del 2019 ha riconosciuto il diritto delle associazioni agricole di conoscere i dati relativi ai prodotti agroalimentari importati –:

   quali urgenti iniziative si intendano adottare in merito alla questioni esposte in premessa e per rafforzare sia i controlli sull'olio in ingresso sul territorio nazionale sia quelli sulla filiera, prevedendo altresì di rendere maggiormente trasparenti le etichette dell'olio di oliva.
(5-02520)

Interrogazione a risposta scritta:


   MURONI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il piano di azione per l'uso sostenibile dei fitofarmaci (Pan) del nostro Paese, che attua la direttiva europea sui pesticidi, è scaduto dal 12 febbraio 2019 e il nuovo piano dovrebbe essere da mesi reso pubblico dai tre Ministeri competenti – politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, ambiente e della tutela del territorio e del mare e salute – per essere sottoposto a una consultazione pubblica;

   tuttavia del nuovo Pan da settimane non ci sono più notizie, dopo i pareri favorevoli dei Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della salute al testo proposto dal Comitato tecnico-scientifico appositamente costituito; il nuovo piano che detta le regole per l'uso dei pesticidi non solo in agricoltura ma anche per la gestione del verde pubblico in città e la manutenzione di strade e ferrovie, resta ad oggi bloccato nelle stanze del Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo;

   il Wwf Italia denuncia un vero e proprio insabbiamento in un comunicato stampa del 9 luglio 2019, motivato probabilmente dai contenuti del nuovo Pan che dovrebbe prevedere regole più severe per l'uso sostenibile dei pesticidi, in particolare fissando distanze di sicurezza dalle abitazioni, dalle scuole e dalle altre aree pubbliche, ma anche limitazioni all'uso delle sostanze chimiche tossiche e nocive per piante e animali selvatici all'interno delle aree naturali protette, come i siti della rete Natura 2000. Limitazioni che probabilmente non sono gradite all'industria dell'agrochimica e alle associazioni agricole;

   mentre il Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo di fatto blocca la definizione del nuovo Pan pesticidi, il Parlamento della vicina Austria ha approvato un divieto totale di utilizzo dei pesticidi a base di glifosato sul proprio territorio. Vietare il glifosato, come da tempo chiede il Wwf insieme alla Coalizione #StopGlifosato, è quindi possibile, senza dover attendere il termine dell'autorizzazione concessa dall'Unione europea al contestato diserbante reso legale fino a dicembre del 2022;

   il Parlamento austriaco ha assunto la decisione invocando il «principio di precauzione»; dal momento che la comunità scientifica non è concorde sugli effetti nocivi del glifosato sulla salute pubblica, nel dubbio i decisori politici dell'Austria hanno deciso di proteggere i propri cittadini vietando l'uso del diserbante –:

   quando sarà reso pubblico il nuovo piano di azione per l'uso sostenibile dei fitofarmaci (Pan) e quali siano le cause che stanno comportando un incomprensibile ritardo della sua pubblicazione, che come prima conseguenza ha quella di ritardare la consultazione pubblica, tenendo conto che, ritardando la sua adozione, si determinano gravi conseguenze sulla salute e sull'ambiente, in particolare a danno della biodiversità nelle aree naturali protette e nei siti della rete Natura 2000 del nostro Paese;

   se l'impostazione del nuovo Pan pesticidi segua lo stesso «principio di precauzione» cui si è uniformata l'Austria che assicura la massima tutela delle persone e della natura, ad iniziare dagli stessi agricoltori che sono i più esposti ai rischi legati all'uso delle sostanze chimiche di sintesi.
(4-03334)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:

   in Italia è consentito l'uso, a fini commerciali, di una sostanza denominata E171;

   si tratta del biossido di titanio, uno sbiancante chimico utilizzato per la produzione di molti prodotti di largo impiego come, solo per riportare alcuni esempi, alimenti, creme solari, dentifrici, plastica, vernici;

   nel 2006 la Iarc, l'Agenda internazionale per la ricerca sul cancro dell'Oms, l'Organizzazione mondiale della sanità, ha dichiarato che il prodotto è un «possibile cancerogeno per l'uomo», giungendo a tale conclusione dopo aver effettuato test su animali;

   le evidenze scientifiche hanno dimostrato che, se inalato, l'E171 può essere la causa dell'insorgenza di tumori polmonari ed il rischio aumenta se è utilizzato nella forma nanometrica, poiché i nanomateriali veicolano con maggiore facilità, nel corpo umano, prodotti chimici i quali, accumulandosi, riescano a penetrare nelle membrane delle cellule alterando il normale funzionamento del dna. Il problema è rappresentato dal fatto che nelle etichette che indicano la composizione dei prodotti, se l'E171 è presente solo in forma nanometrica, non viene menzionato;

   la preoccupazione per l'omissione dell'indicazione della presenza nei prodotti di questa sostanza in forma nanometrica non è condivisa dall'Efsa, l'Autorità per la sicurezza alimentare europea, la quale non ritiene l'additivo pericoloso, giungendo, pochi mesi fa, a negare la possibilità di sottoporre la sostanza a una nuova valutazione di sicurezza;

   nonostante le certezze dell'Efsa, circa un mese fa la Francia ha autonomamente deciso di vietare la commercializzazione, a partire dal 2020, di prodotti che contengono biossido di titanio;

   il 23 maggio 2019, una rivista specializzata nei diritti dei consumatori, ha pubblicato uno speciale in seguito ai test fatti su 12 prodotti alimentari;

   ha verificato in laboratorio la forma della eventuale presenza di questo additivo, poiché, come detto, è dichiarato nelle etichette solo se presente in forma non nanometrica;

   infatti, nei prodotti ove non è stata dichiarata la presenza nelle etichette, sono state trovati cristalli di E171 in forma nano e micro di anatasio, la più pericolosa tra le morfologie che può assumere il biossido di titanio, il risultato delle analisi solleva dubbi sulla sua non tossicità per i consumatori dei prodotti, spesso bambini;

   come detto, la pericolosità del biossido di titanio, se respirato, è certa, ma non sono stati ancora verificati i rischi per l'uomo se l'additivo è ingerito. Nel 2017, una ricerca dell'Istituto nazionale francese per la ricerca agronomica (Inra), ha mostrato che l'esposizione cronica al biossido di titanio, tramite la sua ingestione, «provoca stadi precoci di cancerogenesi». Per questo motivo la Francia ha messo al bando il biossido di titanio a partire dal 2020. in Europa, invece, non c'è necessità di verificare i potenziali pericoli esistenti, ad avviso dall'Inra;

   si consideri che l'articolo 18 del regolamento (Ue) 1169/2011 prevede che tutti gli ingredienti presenti sotto forma di nanomateriali devono essere indicati in etichetta;

   di converso, il regolamento (Ue) 1363/2013 esclude l'obbligo di indicazione per i nanoingredienti degli additivi autorizzati. L'E171 è un additivo autorizzato;

   ciò che appare certo è che il biossido di titanio in nanoparticelle è presente in molti prodotti, e non si distribuisce in essi in maniera uniforme, con la conseguenza che in uno stesso lotto di prodotti, o addirittura in una stessa confezione, ci possono essere casi di prodotti dove esso è più concentrato, altri dove la concentrazione è presente ma minore, infine casi dove non è in alcun modo presente. Ad avviso degli interpellanti, la sua tossicità andrebbe accertata, anche in virtù del fatto che è utilizzato anche nei prodotti alimentari solo a fini estetici, non ha alcun valore nutrizionale e non svolge alcuna funzione tecnologica benefica;

   si segnala che la Commissione europea ha più volte rimandato la decisione finale sulla tossicità della sostanza, l'ultima volta l'11 aprile 2019, nonostante le richieste fatte dall'Echa, l'Agenzia europea delle sostanze chimiche, la quale ha chiesto che la presenza di questa sostanza sia chiaramente indicata sulle etichette di tutti i prodotti che lo contengono, in qualsiasi forma;

   il biossido di titanio segue l’iter di classificazione ed etichettatura armonizzata a norma del regolamento (CE) n. 1272/2008 (regolamento CLP), il quale prevede che le sostanze chimiche siano classificate in base ai pericoli per la salute e che i lavoratori e i consumatori debbano essere allertati dei pericoli chimici che hanno una evidenza scientifica;

   a livello comunitario, il principio di precauzione, contenuto nell'articolo 191 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, garantisce un alto livello di protezione dell'ambiente grazie a delle prese di posizione preventive in caso di rischio. Tuttavia, nella pratica, il campo di applicazione del principio risulta molto più vasto e si estende anche alla politica dei consumatori, alla legislazione europea sugli alimenti, alla salute umana, animale e vegetale –:

   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero e, in caso affermativo, se e quali iniziative di competenza intenda assumere, a partire dalla valutazione del rischio effettuata dalle istituzioni nazionali preposte, per adottare eventuali misure precauzionali, analoghe a quelle assunte in Francia, nel caso in cui venisse confermata la pericolosità di prodotti che contengono biossido di titanio per la salute umana;

   se intenda attivarsi presso le competenti istituzioni dell'Unione europea, perché un'adeguata valutazione venga finalmente posta in essere dall'Efsa, l'Autorità europea per la sicurezza alimentare, al fine di tutelare al meglio la salute di consumatori e lavoratori rimuovendo l'E171, in caso di risultato positivo, dall'elenco dei nanoingredienti autorizzati dall'Unione europea per l'uso alimentare.
(2-00463) «Ianaro, Massimo Enrico Baroni, Bologna, D'Arrando, Lapia, Lorefice, Mammì, Menga, Nappi, Nesci, Provenza, Sapia, Sarli, Sportiello, Trizzino, Troiano, Leda Volpi, Raffa, Romaniello, Paolo Nicolò Romano, Roberto Rossini, Ruggiero, Saitta, Salafia, Sarti, Scagliusi, Scutellà, Segneri, Serritella, Francesco Silvestri, Siragusa, Sodano, Spessotto, Suriano, Sut, Termini, Trano, Tripiedi, Elisa Tripodi, Tucci, Vallascas, Zanichelli, Zennaro».

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIANNONE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   nella legge di bilancio 2019 sono stati stanziati 350 milioni di euro per il triennio 2019-2021 per la riduzione delle liste di attesa nella sanità pubblica; successivamente, nel febbraio 2019 è stato approvato il piano nazionale di governo delle liste di attesa (Pngla) 2019-2021;

   il piano nazionale, che doveva essere recepito entro due mesi da ogni singola regione, prevede una serie di obblighi per il rispetto dei tempi massimi di attesa e ha come obiettivo prioritario quello di garantire più efficienza, trasparenza, facilità e semplicità per tutti i cittadini;

   il diritto alla salute (articolo 32 della Costituzione) è un fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività e racchiude in sé anche il diritto all'assistenza sanitaria. Con la riforma sanitaria del 1978 e l'istituzione del servizio sanitario nazionale, l'obbligo dello Stato di assicurare le prestazioni sanitarie e farmaceutiche è stato esteso a tutta la popolazione. La protezione della salute, intesa come diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche, è stata inserita anche nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;

   purtroppo, però, non tutti i territori del nostro Paese sono uguali: le risposte arrivate dalle diverse regioni a un questionario inviato dal Ministero della salute disegnano un quadro con forti differenze e disparità. Alcune aree della penisola sono virtuose, altre, soprattutto al Sud, presentano situazioni molto difficili: nella provincia di Reggio Calabria, ad esempio, solo il 50 per cento degli esami e delle visite rispetta i limiti temporali previsti, lo stesso vale anche in Sardegna;

   in Puglia, in particolare, non solo i tempi sono eccessivamente lunghi anche per gli esami urgenti, ma capita a volte che sia impossibile ottenere la prestazione richiesta;

   risulta emblematica, a questo proposito, la denuncia di un paziente anziano, cardiopatico e diabetico, arrivata nei giorni scorsi allo Sportello dei diritti: nonostante la prenotazione di una scintigrafia cardiaca fatta 9 mesi prima presso l'Ospedale civile «Vito Fazzi» di Lecce, il paziente viene rimandato a casa per ben due volte perché il macchinario è guasto. Tra l'altro, in previsione dell'esame, il paziente aveva sospeso le terapie mediche salvavita che gli erano state prescritte;

   è fisiologico che un macchinario possa essere fuori uso, ma è intollerabile che il paziente non venga avvertito e che non venga prevista o una sostituzione dell'apparecchio nella stessa struttura o l'individuazione simultanea di una struttura alternativa, almeno per le terapie salvavita;

   nonostante i costi elevati, la sanità pugliese non sembra attualmente in grado di prevedere nuovi investimenti per strumentazioni e assunzioni per rendere più efficiente e più facilmente fruibile dai cittadini il sistema sanitario regionale –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare per far sì che il diritto all'assistenza sanitaria sia effettivamente garantito a tutti i cittadini e per scongiurare che episodi gravi come quello verificatosi all'ospedale di Lecce accadano ancora.
(4-03331)


   SCALFAROTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   si apprende da organi di stampa che nei giorni scorsi presso l'ospedale Santi Antonio e Biagio di Alessandria sia stato dimesso un paziente il cui referto recava la seguente dicitura: «Fuma circa 15 sigarette al dì, beve saltuariamente alcolici. Nega allergie. Omosessuale, compagno stabile»;

   il paziente si era recato in ospedale poiché accusava un forte mal di testa e, successivamente alle prime cure, era stato poi ricoverato nel reparto malattie infettive;

   durante il ricovero in tale reparto, il paziente rileva svariati comportamenti inconsueti da parte del medico a lui assegnato. In particolare, il medico dopo aver allontanato il compagno del paziente, chiede conferma al paziente stesso se l'uomo era realmente il suo compagno, rilevando così un comportamento discriminatorio rispetto alla coppia;

   dalla stampa si apprende, inoltre, che vi siano state altre domande che il paziente ha rilevato come improprie in quanto intese ad accertare il suo orientamento sessuale;

   in aggiunta a quanto sopraesposto, il paziente sarebbe stato sottoposto al test Hiv, a quanto risulta all'interrogante, solamente in quanto persona omosessuale, ritenendo quindi l'orientamento sessuale quale stigma rispetto a tale virus;

   successivamente, al momento delle dimissioni, viene consegnato al paziente il referto con il testo, come descritto in precedenza, con la formula: «Fuma circa 15 sigarette al dì, beve saltuariamente alcolici. Nega allergie. Omosessuale, compagno stabile» –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti nella premessa e quali siano i suoi orientamenti, per quanto di competenza, in merito al caso sopracitato;

   quali iniziative di competenza intenda adottare, considerato che tale referto rappresenta, a giudizio dell'interrogante, una lesione della privacy del paziente e appare discriminatorio in quanto l'orientamento sessuale viene inserito come fattore predittivo, e quindi discriminante, di possibili patologie posto che dal 1990 l'omosessualità non viene più considerata come una patologia;

   quali iniziative di competenza intenda intraprendere al fine di evitare futuri comportamenti ritenuti discriminatori da parte del personale medico e infermieristico sulla base dell'orientamento sessuale e identità di genere;

   se non ritenga doveroso segnalare all'Ordine dei medici la condotta del medico di cui in premessa per gli eventuali profili di competenza.
(4-03337)

SUD

Interrogazioni a risposta immediata:


   MOLINARI, ANDREUZZA, BADOLE, BASINI, BAZZARO, BELLACHIOMA, BELOTTI, BENVENUTO, BIANCHI, BILLI, BINELLI, BISA, BOLDI, BONIARDI, BORDONALI, CLAUDIO BORGHI, BUBISUTTI, CAFFARATTO, CANTALAMESSA, CAPARVI, CAPITANIO, VANESSA CATTOI, CAVANDOLI, CECCHETTI, CENTEMERO, CESTARI, COIN, COLLA, COLMELLERE, COMAROLI, COMENCINI, COVOLO, ANDREA CRIPPA, DARA, DE ANGELIS, DE MARTINI, D'ERAMO, DI MURO, DI SAN MARTINO LORENZATO DI IVREA, DONINA, FANTUZ, FERRARI, FOGLIANI, FORMENTINI, FOSCOLO, FRASSINI, FURGIUELE, GASTALDI, GERARDI, GIACCONE, GIACOMETTI, GIGLIO VIGNA, GOBBATO, GOLINELLI, GRIMOLDI, GUSMEROLI, IEZZI, INVERNIZZI, LATINI, LAZZARINI, LEGNAIOLI, LIUNI, LO MONTE, LOLINI, EVA LORENZONI, LOSS, LUCCHINI, MACCANTI, MAGGIONI, MARCHETTI, MATURI, MORELLI, MOSCHIONI, MURELLI, ALESSANDRO PAGANO, PANIZZUT, PAOLINI, PAROLO, PATASSINI, PATELLI, PATERNOSTER, PETTAZZI, PIASTRA, PICCOLO, POTENTI, PRETTO, RACCHELLA, RAFFAELLI, RIBOLLA, RIXI, SALTAMARTINI, SASSO, SUTTO, STEFANI, TARANTINO, TATEO, TIRAMANI, TOCCALINI, TOMASI, TOMBOLATO, TONELLI, TURRI, VALBUSA, VALLOTTO, VINCI, VIVIANI, ZICCHIERI, ZIELLO, ZOFFILI e ZORDAN. — Al Ministro per il sud. — Per sapere – premesso che:

   l'11 luglio 2019 si è tenuto il Consiglio dei ministri nel corso del quale si sarebbero dovute esaminare anche le ultime stesure delle bozze delle intese che il Presidente del Consiglio dei ministri avrebbe dovuto sottoscrivere con i presidenti delle regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna in materia di autonomia differenziata ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione;

   come noto, la questione dell'autonomia differenziata è stata inserita tra i punti da attuare nel «contratto di governo» sottoscritto all'inizio della legislatura tra il MoVimento 5 Stelle e la Lega Salvini Premier, proprio impegnandosi a portare «a rapida conclusione le trattative tra Governo e regioni attualmente aperte»;

   gli aspetti finanziari sono stati ampiamente superati nelle ultime bozze a seguito dell'intervento del Ministero dell'economia e delle finanze;

   ciò nonostante, l’iter è stato di fatto nuovamente bloccato dal Ministro interrogato a causa dell'articolo 5 relativo proprio alle risorse finanziarie, utilizzando a parere degli interroganti strumentali attacchi a mezzo stampa, come, ad esempio, «nessun bambino sceglie di nascere in una regione invece che altrove»;

   le materie oggetto di una più ampia forma di autonomia, peraltro, sono quelle previste dalla Costituzione all'articolo 117, terzo comma, nonché quelle del secondo comma, lettere l), limitatamente alla giustizia di pace, n) ed s);

   la Corte costituzionale, con la sentenza n. 13 del 2004, ha sostanzialmente precisato che il compito di organizzare la scuola può essere demandato alle regioni, così come succede per la sanità –:

   quale posizione intenda assumere sulla questione di cui in premessa, appurato che il nodo economico è stato ampiamente superato e, a parere degli interroganti, non sussistono ulteriori criticità per non portare a conclusione il progetto.
(3-00881)


   RIZZONE, RADUZZI, CARABETTA, VALLASCAS, DE TOMA, RACHELE SILVESTRI, SUT e PERCONTI. — Al Ministro per il sud. — Per sapere – premesso che:

   le zone economiche speciali sono state istituite dal decreto-legge cosiddetto «Mezzogiorno» n. 91 del 2017, con lo scopo di creare condizioni favorevoli, in termini di benefici economici, finanziari e amministrativi, allo sviluppo di imprese già operanti nelle suddette aree o all'insediamento di nuove imprese che possano avviare attività economiche imprenditoriali o di investimenti nelle zone economiche speciali;

   lo sviluppo, quindi, di una zona economica speciale in un territorio circoscritto può, senza dubbio, rappresentare un'occasione di crescita e di sviluppo per aumentare la capacità competitiva e l'attrattività non solo delle regioni del Mezzogiorno, ma anche di tutto il territorio nazionale;

   nelle scorse settimane, nel corso dell'esame del «decreto crescita», sono stati presentati e discussi diversi emendamenti concernenti l'allargamento, anche alle regioni del Nord, della normativa relativa alle zone economiche speciali;

   la richiesta avanzata dai territori del Centro-Nord, su uno strumento, peraltro, già diffuso all'estero, vuole andare incontro al graduale calo dell'occupazione in alcuni territori, a seguito di dismissioni di importanti impianti industriali delle zone suddette –:

   quali iniziative – anche normative – il Ministro interrogato intenda intraprendere al fine di predisporre un piano complessivo per tutte le zone economiche speciali, comprese quelle del Centro-Nord, da finanziare nell'ambito della legge di bilancio per il 2020.
(3-00882)


   VIETINA. — Al Ministro per il sud. — Per sapere – premesso che:

   la Strategia nazionale per le aree interne (Snai) è una politica nazionale diretta al sostegno della competitività territoriale sostenibile, al fine di contrastare, nel medio periodo, il declino demografico che caratterizza talune aree del Paese;

   tali aree sono definite come quelle più lontane dai servizi di base, che interessano oltre il 60 per cento del territorio nazionale e il 22 per cento della popolazione italiana;

   la Strategia è sostenuta sia dai fondi europei (Fesr, Fse e Feasr), per il cofinanziamento di progetti di sviluppo locale, sia da risorse nazionali (281,18 milioni di euro messi a disposizione dalle ultime leggi di bilancio);

   in coerenza con quanto previsto dall'accordo di partenariato 2014-2020, sono state selezionate 72 aree interne di intervento, che comprendono 1.077 comuni, per 2.072.718 abitanti e un territorio di 51.366 chilometri quadrati, poco meno di un sesto del territorio nazionale;

   al 31 dicembre 2018, risultano approvate le strategie definitive di 34 aree, per un totale di investimenti di euro 565,8 milioni;

   nella costituzione degli ambiti territoriali e nelle successive unioni di comuni, a molti territori più piccoli, in particolare quelli montani, che si stanno spopolando velocemente per le numerose difficoltà, è stato di fatto impedito il riconoscimento di area interna;

   in particolare, la regione Emilia-Romagna, preso atto dei criteri e dei parametri nazionali per definire quali sono le aree interne ed i comuni eligibili secondo la politica nazionale, ha definito alcuni criteri aggiuntivi, considerando tutte le unioni in cui oltre la metà dei comuni appartiene alle categorie «intermedio», «periferico» o «ultraperiferico», ma che al tempo stesso non contengano comuni classificati in fascia A («Polo»);

   tale criterio ha di fatto escluso i comuni montani dell'Appennino cesenate e forlivese, ovvero quei comuni ad altissimo rischio spopolamento, che hanno aderito ad un modello «virtuoso» di unione, ma che ora si ritrovano penalizzati in quanto privati della possibilità di concorrere per il finanziamento di progetti –:

   come siano state utilizzate le risorse destinate alle aree interne riconosciute e finanziate e con quale distribuzione territoriale (Nord-Centro-Sud), se siano stati adottati criteri penalizzanti per alcune realtà e quali iniziative intenda intraprendere per tenere in considerazione tutte le effettive esigenze (anche in termini di cofinanziamento), in particolare dei comuni montani più piccoli ad alto rischio spopolamento, per consentire a questi ultimi di concorrere all'assegnazione di risorse volte ad adeguare la quantità e qualità dei servizi e promuovere sviluppo per valorizzare il proprio patrimonio naturale e culturale.
(3-00883)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta immediata:


   FASSINA e FORNARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   l'accordo economico e commerciale globale (Ceta) tra Unione europea e Canada sancisce il libero scambio tra le due entità;

   il trattato Ceta è in vigore, in forma provvisoria, dal 21 settembre 2017, ma per entrare pienamente in vigore necessita della ratifica di tutti i Paesi dell'Unione europea;

   attualmente il trattato è stato ratificato da Spagna, Portogallo, Estonia, Lituania, Lettonia, Malta, Danimarca, Repubblica Ceca e Croazia;

   in Italia è aperta da tempo una discussione tra i diversi soggetti economici e sociali che verrebbero toccati dall'entrata in vigore del trattato; sono stati sollevati dei dubbi, in particolare, su due aspetti: l'impatto del libero scambio tra Unione europea e Canada in Italia nel settore agricolo, con la necessità di avere tutte le garanzie per la tutela della qualità e della certificazione dei prodotti italiani di eccellenza che verrebbero esportati, e sulle altrettanto necessarie garanzie sui prodotti che verrebbero importati dal Canada, sia sul piano della tutela delle aziende italiane che della tutela dei consumatori; l'altro aspetto che desta attenzione è l'istituzione dell’Investiment Court cystem (ICs), un sistema di risoluzione delle controversie sugli investimenti che permetterebbe alle imprese di citare in giudizio gli Stati dell'Unione europea dinanzi a un tribunale speciale;

   per quanto riguarda il sistema dell’Investiment Court cystem restano aperti diversi ordini di problemi, quali un'impostazione sostanzialmente favorevole agli interessi delle imprese, la composizione dei tribunali formata da giudici non togati e la scarsa protezione della giurisdizione degli Stati dell'Unione europea;

   il 22 novembre 2018 il Ministro interrogato si è espresso, nel corso di un'interrogazione al Senato della Repubblica, in modo critico verso il trattato, segnalando, anche alla luce del lavoro della task force del libero scambio, istituita presso il Ministero dello sviluppo economico, che il trattato «così come ci è stato proposto non è ratificabile»;

   il Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, Gian Marco Centinaio, nel corso di un convegno della Coldiretti a Pavia il 28 giugno 2019, ha ribadito che l'accordo va rivisto perché non tutela adeguatamente i marchi italiani –:

   a fronte delle tante preoccupazioni e contrarietà sollevate dagli operatori del settore e a fronte delle richiamate prese di posizione di diversi autorevoli membri del Governo, quale sia l'effettiva posizione del Governo sulla questione del Ceta e se comunque non intenda favorire un reale confronto con il Parlamento sugli orientamenti da assumere.
(3-00877)

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza Martinciglio e altri n. 2-00453, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 luglio 2019, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cancelleri.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione De Filippo n. 5-02425, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 luglio 2019, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carnevali.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:

   interrogazione a risposta scritta Pignatone n. 4-02786 del 29 aprile 2019;

   interpellanza urgente Tondo n. 2-00400 del 30 maggio 2019;

   interrogazione a risposta scritta Del Sesto n. 4-03190 del 27 giugno 2019;

   interrogazione a risposta in Commissione Cenni n. 5-02464 del 9 luglio 2019;

   interrogazione a risposta in Commissione Fiano n. 5-02514 del 15 luglio 2019.