Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 22 marzo 2019

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,

   premesso che:

    ormai sono trascorsi 8 mesi dal blocco dei cantieri sul tratto umbro-marchigiano della strada statale 76, facente parte del complessivo progetto infrastrutturale denominato «Quadrilatero» Marche e Umbria, e ammontano ad almeno 40 milioni di euro i crediti vantati dalle imprese che hanno fornito lavori e materiali al gruppo Astaldi, general contractor dell'appalto, che come è noto è interessato da una profonda crisi aziendale ed è in procedura di concordato preventivo;

    il 7 marzo 2019, lungo la strada statale 76 Ancona-Perugia, direttrice interessata dal blocco dei lavori, si è svolta una manifestazione delle imprese sub-fornitrici che ha avuto grande eco;

    il Coordinamento dei creditori di Astaldi ha in quell'occasione ed in altre successive incontrato i rappresentanti delle istituzioni locali e nazionali (parlamentari, regioni Marche ed Umbria, sindaci) esprimendo chiaramente la legittima e seria posizione delle imprese ed anche le soluzioni da porre in essere;

    è infatti di tutta evidenza che il blocco dei cantieri della Ancona-Perugia è giunto ad aggravare una situazione già grave, nella quale tutta la ricostruzione delle principali infrastrutture viarie colpite dal terremoto da più di due anni è ancora ferma;

    otto mesi fa si è fermato anche il cantiere della strada statale 76-E45, dopo anni di ritardi e dopo tre fallimenti che hanno coinvolto a cascata tutto il tessuto sociale ed economico delle due regioni Marche e Umbria;

    è pertanto da condividersi appieno l'appello degli operatori economici coinvolti, volto ad affrontare una vera e propria emergenza territoriale, come si è fatto per altre regioni ed altri territori colpiti da gravissime crisi, e ciò anche attraverso provvedimenti straordinari;

    occorre, infatti, una seria assunzione di responsabilità da parte di tutti i protagonisti di questa grave e complessa vicenda, cioè l'Anas, Quadrilatero, il Governo, le regioni, oltre naturalmente, al general contractor Astaldi, la cui condizione di difficoltà non può essere scaricata sulle imprese e sui lavoratori che si sono impegnati nella realizzazione dell'opera appaltata da Quadrilatero;

    l'obiettivo deve essere per tutti quello di avere l'opera ultimata, e ciò posto, di trovare così le soluzioni più idonee per il pagamento dei crediti pregressi vantati dalle imprese, definendo regole nuove capaci di garantire davvero le imprese impegnate nei lavori, facilitare il loro accesso al credito per superare questa fase difficile e dare finalmente avvio alla ripresa dei lavori, più volte annunciata ma rinviata mese dopo mese, con l'ultimo annuncio che parla ora del mese di aprile 2019,

impegna il Governo:

1) a istituire un tavolo permanente di confronto sia politico che tecnico, così come chiesto anche dalle regioni Marche ed Umbria, insieme ai creditori dell'appalto «Quadrilatero» della società Astaldi, che sono gli unici che hanno già lavorato e sono in grado di riprendere immediatamente i lavori su detta arteria stradale di Marche e Umbria;

2) a porre in essere iniziative normative in grado di affrontare in via di straordinarietà ed urgenza la grave crisi economico-aziendale che sta riguardando le imprese fornitrici di Astaldi spa, general contractor dell'appalto «Quadrilatero» nella parte relativa alla strada statale 76-E45 Ancona-Perugia;

3) a porre in essere le iniziative normative di cui al capoverso precedente tenendo conto dei seguenti criteri ispiratori:

   a) assicurare la tutela dei fornitori e dei subappaltatori del contraente generale anche attraverso l'attivazione di uno specifico fondo pubblico di garanzia nel caso, come quello di specie, di procedure concorsuali in essere;

   b) procedere a una rimodulazione degli strumenti di garanzia per l'accesso al credito e il consolidamento delle passività bancarie già previsti per l'indotto delle imprese in amministrazione straordinaria o che gestiscono attività strategiche di interesse nazionale;

   c) superare i limiti temporali previsti dall'attuale normativa in tema di ammortizzatori sociali o prevedere specifiche misure a favore dei lavoratori dipendenti di imprese non coperte dalla cassa integrazione guadagni straordinaria;

4) ad adottare iniziative per favorire la rapida ripresa dei lavori da parte dell'Anas – Quadrilatero spa per il completamento della strada statale 76 Ancona-Perugia con il coinvolgimento delle imprese già sub-fornitrici e sub-affidatarie.
(1-00147) «Acquaroli, Prisco, Lollobrigida».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta orale:


   SIRACUSANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   nella città di Messina, dopo oltre centodieci anni, esiste una delle più vecchie baraccopoli del nostro Paese, eredità del terremoto che, nel 1908, aveva duramente colpito quell'area;

   si tratta di insediamenti dell'estensione di circa 230.770 metri quadrati, dove vivono oltre 2.100 famiglie, pari a circa 6.400 persone in condizioni di estremo degrado: una vera e propria emergenza igienico-sanitaria e sociale che investe gli ambiti territoriali di risanamento sui quali insistono le costruzioni individuati dai vecchi piani particolareggiati redatti all'indomani della legge n. 10 del 1990: Annunziata, Giostra-Ritiro-Tremonti, Camaro, Fondo Saccà, Bordonaro-Gazzi-Taormina, Santa Lucia;

   invero, dalla relazione dell'azienda sanitaria provinciale di Messina dell'agosto 2018 e da verifiche e sopralluoghi effettuati da funzionari del comune in alcuni dei predetti ambiti territoriali, emerge una condizione igienico-sanitaria in cui si evidenzia la presenza di aree notevolmente degradate, con vegetazione incolta; vi sono cumuli di rifiuti di varia natura abbandonati su suolo pubblico e scarichi fognari a cielo aperto, che sovente scorrono davanti alle abitazioni, con esalazioni maleodoranti; all'interno delle numerose costruzioni non sono rispettati i requisiti minimi previsti per gli ambienti abitativi, in particolare per la presenza dei materiali contenenti cemento-amianto che ricopre numerosissime costruzioni e che, oltre tutto, si presentano in avanzato stato di deterioramento con conseguente grave pericolo per la salute pubblica;

   in ragione della degenerata situazione igienico-sanitaria-ambientale, il sindaco di Messina, Cateno De Luca, ha emanato l'ordinanza contingibile e urgente n. 163 del 6 agosto 2018, per lo sgombero e la demolizione di tutte le strutture abitative che insistono negli indicati ambiti di risanamento;

   nel medesimo senso, il successivo 19 settembre, la giunta Musumeci ha approvato la richiesta di dichiarazione dello stato di emergenza socio-sanitaria ambientale riguardante le ridette zone, istanza sulla quale il dipartimento della protezione civile si è espresso negativamente in ragione della preesistenza della condizione denunciata e della natura cronica cagionata dalla mancanza di interventi;

   allo stato risultano realizzati e consegnati dall'Iacp circa 600 alloggi, ma molti altri, pare più di duemila, ne occorrerebbero per far vivere i cittadini messinesi, cittadini italiani, in condizioni sane e dignitose;

   nel tempo, la già grave situazione di degradazione igienico-sanitaria è peggiorata con il forte aumento del numero di nuove baracche abusive che hanno creato in diverse zone di Messina vere e proprie «favelas»: zone dove la latitanza dello Stato ha creato una sorta di «area franca», un ambito spesso impenetrabile, e altrettanto spesso sotto il controllo della criminalità organizzata che vi ha creato delle vere e proprie piazze di spaccio, il tutto a discapito delle persone perbene e dei bambini, che pure vi risiedono;

   è evidente che tale critica situazione di illegalità e degrado necessita di un immediato e massiccio intervento dello Stato che non può più rimanere inerte;

   peraltro, come risulta da fonti di stampa, il vice-premier Salvini, la scorsa estate durante la sua visita in Sicilia ha dichiarato: «prima i baraccati italiani e poi, forse, gli immigrati», rispondendo a chi gli chiedeva della nave Acquarius in cerca di un porto; e poi: «Se il sindaco di Messina mi dice che ci sono centinaia di baraccati penso prima a sistemare loro... i bimbi in mezzo ai topi... proprio non si può»; e ciò non senza aver precedentemente asserito, durante la campagna elettorale: «Sono stato dove ci sono le baracche (...), ci tornerò perché vivere in quelle condizioni non è da paese civile, non è da 2018» –:

   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere, ed in quali tempi, in sinergia con il comune di Messina, per provvedere allo sbaraccamento delle aree in premessa, assicurando così le normali condizioni di vivibilità e di sicurezza per i cittadini messinesi.
(3-00636)


   PITTALIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   già nel maggio del 2009 la regione autonoma della Sardegna si è opposta in sede di Conferenza Stato-regioni alle disposizioni contenute nella legge n. 99 del 2009 relative alla localizzazione nel territorio regionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonché dei sistemi per il deposito definitivo di materiali e rifiuti radioattivi, ritenendo inaccettabile che in materia di nucleare il Governo assumesse le decisioni semplicemente sentendo le regioni;

   la regione autonoma della Sardegna ha ribadito tale posizione il 27 gennaio 2010, quando la Conferenza delle regioni ha espresso parere negativo, a maggioranza, sullo schema di decreto legislativo recante: «Localizzazione ed esercizio di impianti di produzione elettrica e nucleare, di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio, nonché misure compensative e campagne informative»;

   la sentenza della Corte Costituzionale n. 33 del 2011 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31 «nella parte in cui non prevede che la regione interessata, anteriormente all'intesa con la Conferenza unificata, esprima il proprio parere in ordine al rilascio dell'autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio degli impianti nucleari»;

   il 28 maggio 2014 il consiglio regionale della Sardegna ha approvato l'ordine del giorno n. 6 che impegna il presidente della regione a respingere ogni possibilità che la Sardegna venga inserita tra le aree idonee a ospitare il sito sul quale sorgerà il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, nel rispetto dell'esito referendario del 15 e 16 maggio 2011;

   la scelta della Sardegna come deposito delle scorie nucleari costituirebbe un nuovo episodio di mancato rispetto da parte dello Stato italiano delle prerogative autonomistiche della regione autonoma della Sardegna, in considerazione, tra l'altro, del fatto che le scelte programmatorie dell'isola si fondano su progetti di sviluppo sostenibile e sulla valorizzazione e tutela del paesaggio, dell'ambiente e del patrimonio archeologico e culturale;

   con il referendum svoltosi nell'anno 2011 i sardi hanno democraticamente espresso la netta opposizione, con oltre il 97 per cento dei voti, sia alle centrali nucleari che ai depositi di scorie e, pertanto, qualsiasi decisione calata dall'alto costituirebbe una profanazione della terra sarda, un atto di violenza verso l'autonomia e il diritto del popolo sardo di pronunciarsi su scelte fondamentali –:

   quale sia lo stato della procedura avviata in sede nazionale, attraverso la Sogin con il supporto dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), per la localizzazione degli impianti e dei sistemi per il deposito di materiali e rifiuti radioattivi;

   se trovi conferma, secondo quanto dichiarato dal Vice Presidente e Ministro dell'interno Matteo Salvini agli organi di stampa, che il territorio della Sardegna non verrà indicato tra le aree idonee a ospitare il sito nel quale verrà realizzato il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi.
(3-00637)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DALL'OSSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   è notizia degli ultimi giorni l'intervento di Stefano Lulli, segretario romano di Ospol Csa, organizzazione sindacale polizie locali, a Radio Cusano Campus, nella trasmissione «Cosa succede in città», durante la quale si esprime sulla richiesta dei vigili urbani romani di non presidiare più 24 ore su 24 i campi rom della capitale; in tale occasione palesa che la vicenda è oramai annosa e si dilunga da tre anni quando i presidi venivano fatti dalla polizia di Stato mentre la polizia locale era impegnata in servizi dinamici con dei passaggi per verificare eventuali situazioni mentre ora il Comando dei vigili urbani ha confermato ulteriormente i presidi statici davanti ai cosiddetti villaggi della solidarietà;

   la polizia locale non è deputata a perseguire l'ordine pubblico ma a volte è costretta a farlo e la stessa è spesso oggetto di aggressioni ed è esposta agli effetti di rifiuti tossici che, insieme ai roghi, così come ai cumuli di immondizia infestati dai ratti, diventano un forte deterrente a proseguire nel pattugliamento; a seguito di un incontro con il Comando dei vigili urbani e l'Autorità locale, si è preso atto di come la prefettura competente continui a demandare alla polizia locale i suddetti compiti di controllo del territorio;

   la sindaca di Roma ha pubblicato una nota sul proprio profilo FB dove esplica come trentanove militari della Brigata Sassari affiancheranno gli agenti della polizia di Roma Capitale per controllare alcune aree della periferia della città e mettere fine ai roghi tossici;

   l'Esercito Italiano conduce l'Operazione «Strade Sicure», sul territorio nazionale, ininterrottamente dal 4 agosto 2008, in virtù della legge n. 125 del 24 luglio 2008 ed il testo di legge, nel dettaglio, prevede che: «Per specifiche ed eccezionali esigenze di prevenzione della criminalità, ove risulti opportuno un accresciuto controllo del territorio, può essere autorizzato un piano di impiego di un contingente di personale militare appartenente alle Forze Armate»;

   l'equipaggiamento in dotazione alle Forze armate è ben diverso da quello affidato alle Forze dell'ordine;

   le Forze armate non sono nate per svolgere servizio di ordine pubblico ma viceversa, per intervenire in caso di emergenza o di calamità –:

   come si concilino le decisioni assunte all'interno del Comitato per l'ordine e la sicurezza, per concordare le modalità di intervento della Brigata Sassari con il sindaco Raggi, con quanto disposto dal decreto legislativo n. 81 del 2008, noto come Testo unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in cui è specificato che il datore di lavoro è responsabile della salute dei lavoratori, e anche con la direttiva del Segretariato generale della difesa e direzione nazionale degli armamenti, SGD-D-022;

   quali iniziative si intendano assumere per tutelare la salute degli operatori delle Forze armate, anche alla luce del fatto che la polizia locale, per il tramite delle sigle sindacali, ha già dichiarato di non voler prestare servizio con appostamenti fissi in quelle specifiche zone di Roma;

   se e quando sia stato predisposto il Documento di valutazione dei rischi (Dvr) redatto ai sensi e per gli effetti del decreto legislativo n. 81 del 2008, relativo alla attività di vigilanza statica e dinamica degli obiettivi oggetto dell'operazione «Strade Sicure» e quali ne siano le prescrizioni;

   se e quali siano i dispositivi di protezione individuale e le disposizioni impartite per il corretto monitoraggio sanitario del personale impiegato o da impiegarsi nei servizi di vigilanza in prossimità degli insediamenti urbani dei rom;

   se sia stato all'uopo richiesto un sopralluogo con relativo verbale di previsione dei rischi da parte dell'Unità di coordinamento dei servizi di vigilanza d'area (Ucoseva) del Ministero della difesa.
(5-01743)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZANICHELLI, RIZZONE, GIULIODORI, PARENTELA, SIRAGUSA e DE LORENZIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   con una comunicazione data sulla Gazzetta Ufficiale n. 125 del 31 maggio 2017, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha reso noto il piano nazionale per la protezione cibernetica e la sicurezza informativa (Pn), che, in linea di continuità con quello relativo al biennio 2014-2015, individua gli indirizzi operativi, gli obiettivi a conseguire e le linee d'azione da porre in essere per dare concreta attuazione al quadro strategico nazionale per la sicurezza dello spazio cibernetico (Qsn), istituito il 3 aprile 2013 ed elaborato dal tavolo tecnico Cyber (Ttc) in seno all'organismo collegiale permanente (cosiddetto Cisr «tecnico»), dopo l'entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 gennaio 2013;

   tale quadro strategico nazionale è un documento di particolare importanza, tuttora valido, poiché individua i profili e le tendenze evolutive delle minacce e delle vulnerabilità dei sistemi e delle reti d'interesse nazionale, specifica i ruoli e i compiti dei diversi soggetti pubblici e privati e individua gli strumenti e le procedure con cui perseguire l'accrescimento delle capacità del Paese di prevenire e rispondere in maniera compartecipata alle sfide poste dallo spazio cibernetico;

   il piano nazionale per la protezione cibernetica e la sicurezza informatica nazionali (Pn) mira proprio a sviluppare e implementare gli indirizzi individuati dal suddetto quadro strategico nazionale (Qsn) con l'obiettivo di imprimere un immediato impulso all'ulteriore fase di sviluppo dell'architettura nazionale cyber;

   il Pn si propone come obiettivo quello di potenziare la capacità di difesa delle infrastrutture critiche nazionali e degli attori di rilevanza strategica per il sistema Paese; di migliorare le capacità tecnologiche, operative e di analisi degli attori istituzionali interessati; di incentivare la cooperazione tra istituzioni ed imprese nazionali; di promuovere la diffusione della cultura della sicurezza cibernetica e di rafforzare la cooperazione internazionale in materia di sicurezza cibernetica, nonché anche la capacità di contrasto alle attività e contenuti illegali on-line;

   il Pn, di fatto, contiene 11 indirizzi operativi con obiettivi specifici e linee di azioni atte a consentire un rapido ed efficace salto di qualità dell'architettura nazionale cyber;

   esso dispone anche uno specifico piano d'azione, che include, tra i suoi punti, la creazione di un «Centro nazionale di crittografia», impegnato nella progettazione di cifrari, nella realizzazione di un algoritmo e di una blockchain nazionali, da sviluppare nell'ottica di potenziare la sicurezza nazionale;

   tale Centro sarebbe un organo utile e necessario, poiché traccerebbe chiaramente standard guideline, oltreché criteri specifici nazionali utili e necessari per tutti coloro che operano secondo i canoni di sicurezza –:

   quali elementi intenda fornire in relazione a quanto esposto in premessa;

   se sia intenzionato a realizzare in tempi rapidi, e con quali modalità operative, il Centro nazionale di crittografia così come previsto e predisposto dal piano nazionale per la protezione cibernetica e la sicurezza informatica.
(4-02560)


   MINARDO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la situazione delle infrastrutture in Sicilia presenta elementi di grande arretratezza e rappresenta uno dei principali freni allo sviluppo economico; a ciò si aggiunge il tema della viabilità secondaria diventato una questione di primaria importanza, soprattutto dopo la riforma delle province regionali che si occupavano della rete viaria secondaria; tale compito è adesso affidato alla regione che non ha alcuna competenza diretta sulla viabilità locale se non quella della pianificazione; un compito peraltro che non può essere affidato in toto ai comuni in continua emergenza economica. Vi sono strade senza nessuna illuminazione, con il manto stradale deformato, con gallerie senza aeratori, spesso al buio o quasi, con l'asfalto vecchio di anni, con la segnaletica che praticamente non esiste e insicure per chi le percorre. In molti, e non sporadici casi, sembra una rete viaria da terzo mondo, e invece è lo stato delle infrastrutture di gran parte delle province della Sicilia. Il Ministro interrogato tre mesi fa ha constatato personalmente la situazione siciliana, tanto da promettere l'invio di un commissario straordinario, con poteri speciali, per risollevare le condizioni delle strade siciliane in stato di vero malessere. Si tratta, a giudizio dell'interrogante, di una «promessa da marinario», visto che fino ad oggi nessun commissario è arrivato in Sicilia. Ha agitato le agenzie stampa con quelle che appaiono all'interrogante proclami e belle parole per rassicurare i siciliani e tutti coloro che si trovano a viaggiare in Sicilia, promettendo un sistema viario con standard adeguati e infrastrutture sicure. Si sarebbe dovuto compiere un miracolo praticamente. In teoria l'isola è piena di strade statali e provinciali, che costituiscono spesso l'unica rete viaria per collegare i centri dell'entroterra con le città principali, ma gran parte delle strade secondarie sono in condizioni pietose. «La sicurezza delle persone, nella circolazione stradale, rientra, tra le finalità primarie di ordine sociale ed economico perseguite dallo Stato», esattamente come il legislatore ha previsto all'articolo 1 del «codice della strada» (decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 e successive modifiche) –:

   se il Governo intenda adottare le iniziative di competenza per procedere alla nomina di un commissario straordinario, come promesso, per l'emergenza viabilità in Sicilia;

   se si intendano promuovere tutte le iniziative di competenza per il miglioramento dei livelli di sicurezza sulle strade secondarie della Sicilia;

   se si intendano adottare iniziative per stanziare una significativa quantità di risorse che, sommate a quelle che anche l'Anas prevede nel suo programma di manutenzione straordinaria e per la normale manutenzione, possano segnare finalmente una inversione di tendenza importante.
(4-02564)


   CUNIAL e GIANNONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   ci si trova fronte ad una nuova formulazione del Transatlantic Trade and investment partnership (Ttip) dopo la pubblicazione dei due mandati negoziali della Commissione europea: uno sulla riduzione delle tariffe e l'altro sulla cooperazione regolamentare;

   si rileva la contrarietà sempre espressa dalle forze politiche che compongono questo Governo nei confronti di un trattato di liberalizzazione commerciale transatlantico con gli Usa. E va inoltre considerato che nel contratto di Governo è scritto chiaramente che l'Esecutivo intende negare l'approvazione ad accordi che comprimano i diritti dei cittadini e ledano il mercato interno, come il Ttip e il Ceta;

   nonostante le rassicurazioni su una esclusione dell'agricoltura dal mandato negoziale, la Commissione europea intende dare corpo alla cooperazione regolatoria, ossia alla creazione di una serie di non meglio definiti «comitati di esperti» europei e statunitensi, che vaglieranno tutte le norme che possono rappresentare un ostacolo agli scambi commerciali;

   la cooperazione regolatoria copre l'intero spettro delle normative europee e nazionali, intervenendo fra l'altro su agricoltura e sicurezza alimentare, misure sanitarie e fitosanitarie, chimica e ambiente;

   gli Stati Uniti hanno una visione differente sui principi, come quello di precauzione, che tutelano i nostri consumatori e non è possibile cancellarlo perché permette il riconoscimento del diritto alla salute per 500 milioni di cittadini europei;

   gli Stati Uniti si sono ritirati dall'accordo di Parigi sul clima e il Parlamento europeo ha più volte sottolineato la criticità di negoziare accordi commerciali con Paesi che non aderiscono all'accordo sul clima –:

   se il Governo intenda chiarire con urgenza quale posizione abbia assunto nel Consiglio europeo di venerdì 22 marzo 2019, in merito agli accordi commerciali, con particolare riferimento ai rapporti tra Unione europea e Stati Uniti, nonché quali siano gli intendimenti per il futuro al riguardo.
(4-02571)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   Nasrin Sotoudeh, la più famosa avvocatessa e attivista iraniana per i diritti delle donne, è stata condannata a complessivi 38 anni di prigione e 148 frustate per «collusione contro la sicurezza nazionale», «propaganda contro lo Stato», «istigazione alla corruzione e alla prostituzione», ed «essere apparsa in pubblico senza hijab», il velo per le donne che copre la testa obbligatorio in Iran nei luoghi pubblici dal 1980;

   da notizie a mezzo stampa, parrebbe che in Iran si respiri un clima di continua intimidazione nei confronti delle donne, da parte di agenti della cosiddetta polizia morale e di squadre filo-governative che cercano di far rispettare le leggi sull'obbligo del velo. Le donne vengono regolarmente fermate a caso in strada dagli agenti della polizia morale, che le insultano e le minacciano, ordinano loro di rimettersi il velo per coprire i capelli, le picchiano con i manganelli, le ammanettano;

   le donne iraniane vivono una realtà di iniquità rispetto agli uomini, ad esempio, non hanno diritto genitoriale, e infatti non possono neanche dare la cittadinanza ai propri figli, hanno enormi problemi riguardo alla custodia degli stessi in caso di divorzio e percepiscono solo 1\8 delle proprietà del marito come eredità;

   in questo contesto, la battaglia contro l'obbligatorietà del velo è diventata un simbolo di tutte le ingiustizie subite. Per questo motivo, le iraniane hanno messo in atto una rivoluzione silenziosa e non violenta, si tolgono il velo e si fanno fotografare, e se vengono arrestate, rischiano due mesi di carcere e venti euro di multa;

   secondo Sadi Ghaemi, direttore esecutivo del Centro per i diritti umani in Iran, la sentenza dimostra «l'insicurezza del regime rispetto a qualsiasi sfida pacifica», perché «sa che un ampio settore del Paese è stanco della legislazione sul velo obbligatorio». Il direttore sottolinea, tra l'altro come Teheran, dopo un'iniziale apertura, abbia legato le proteste sul velo alle manifestazioni di piazza contro il carovita avvenute tra fine 2017 e l'inizio 2018, inasprendo la repressione;

   anche Amnesty International ha denunciato come questa «sentenza sconvolgente e vergognosa avvenuta dopo l'ennesimo processo irregolare» sia «la pena più severa per un difensore dei diritti umani in Iran negli ultimi anni» –:

   quali iniziative il Governo intenda intraprendere nelle sedi internazionali e nei rapporti diplomatici bilaterali con l'Iran per pervenire al rilascio di Nasrin Sotoudeh e assicurare un maggiore rispetto dei diritti umani nei confronti delle donne.
(5-01738)


   EMILIOZZI, PARISSE e SABRINA DE CARLO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   la notte tra sabato 9 e domenica 10 marzo 2019, poco dopo il confine italo-francese, all'altezza del casello autostradale de La Turbie, la polizia di frontiera transalpina ha fermato un autobus in viaggio sulla tratta Firenze Barcellona per controlli volti a verificare il regolare possesso dei necessari documenti per entrare in Francia;

   le operazioni di controllo dei documenti solitamente hanno tempi brevi e, nel caso siano trovati passeggeri con documenti irregolari, questi vengono fatti scendere permettendo invece al bus con a bordo gli altri viaggiatori di proseguire;

   diversamente dalla consueta procedura, il bus dell'azienda Autolinee Crognaletti S.r.l., partner di FlixBus, veniva trattenuto al posto di blocco per oltre due ore, precisamente dalle ore 23,15 alle ore 01,30 circa con la giustificazione della presenza di passeggeri irregolari a bordo;

   terminati i controlli, il mezzo veniva scortato dalla polizia all'aeroporto di Nizza, senza effettuale la fermata intermedia prevista a Nizza Gare Routiere. Risulta agli interroganti che durante il tragitto dal posto di blocco all'aeroporto sia anche salito a bordo dell'autobus un agente della polizia francese;

   giunti allo scalo aeroportuale, a tutti i passeggeri veniva consentito, con altri mezzi della compagnia, di continuare il viaggio, mentre i due autisti venivano condotti negli uffici della polizia di frontiera;

   i due autisti sono stati trattenuti in stato di fermo dalle ore 2,00 alle ore 15,00 di domenica 10 marzo 2019. Durante tale lasso di tempo, sarebbero stati sottratti agli stessi i telefoni, il denaro, le cinture e i lacci delle scarpe; sarebbe stata persino negata loro la possibilità di bere dell'acqua e di fare una telefonata. I due autisti sarebbero stati rinchiusi per tutta la notte in due stanze separate e la mattina successiva, dopo essere stati ammanettati, portati in caserma e interrogati, parrebbe, in assenza di avvocato;

   intorno alle ore 16,00 di domenica 10 marzo 2019, gli autisti venivano rilasciati e veniva loro spiegato di esser sospettati di aver favorito l'immigrazione clandestina, ma non sarebbe stato rilasciato agli stessi alcun documento o verbale sull'accaduto;

   ad opinione degli interroganti, quanto accaduto, se confermato, sarebbe particolarmente grave e necessiterebbe un'iniziativa –:

   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro interrogato in relazione al caso esposto in premessa, anche per scongiurare che episodi del genere si ripetano in futuro.
(5-01739)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GRIBAUDO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   la strada statale 21, che collega il sud del Piemonte con il sud della Francia attraverso il colle della Maddalena e che collega in particolare la città di Cuneo con Gap (Hautes-Alpes, PACA), attraversa i comuni di Demonte ed Aisone, ove la strada passa all'interno dei centri abitati con strettoie pericolose sia per la transitabilità ordinaria, sia per la sicurezza statica degli edifici prospicienti;

   detta strada statale è percorsa ogni giorno da oltre mille mezzi pesanti in parte per il trasporto di merci tra Italia e Francia e in parte per il trasporto di acque minerali prodotte in alta valle; la situazione della viabilità si aggrava fortemente in caso di precipitazioni nevose, come accaduto negli ultimi mesi, con conseguenti blocco del traffico e isolamento dei centri abitati;

   il consiglio di amministrazione dell'Anas approvava, già nel 2008, un progetto preliminare per una variante alla strada statale 21, che prevedeva una spesa complessiva dell'opera di circa 252 milioni di euro da realizzarsi in tre lotti, di cui primo (variante di Demonte) era inserito già nel contratto di programma Anas 2007-2011, con previsione d'appaltabilità nel 2009;

   il primo lotto ha visto la progettazione di due varianti, la prima quasi completamente in sotterraneo, con un costo complessivo di investimento pari a circa 100 milioni di euro; la seconda con un tracciato più breve a valle dell'abitato, con una sola galleria e un viadotto, con un investimento complessivo di circa 51 milioni di euro; la seconda soluzione è stata inserita dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nella programmazione 2016-2020; il progetto definitivo è stato sottoposto, ai sensi dell'articolo 215, commi 3 e 5 del 9.1, 1p, 50/2016, all'esame del Consiglio superiore dei lavori pubblici, che si è espresso — parere n. 39 del 21 giugno 2018 — con una pronuncia favorevole con osservazioni;

   con avviso pubblico del 30 maggio 2018, protocollato dal comune di Demonte il 5 giugno 2018, l'Anas ha avviato la procedura di valutazione d'impatto ambientale, la cui competenza è in capo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, i cui termini sono scaduti e che a tutt'oggi risulta ferma a causa di pareri mancanti dei Ministeri competenti –:

   quali problematiche impediscano la conclusione della procedura di valutazione di impatto ambientale per la realizzazione della variante di Demonte e quali iniziative si intendano adottare per giungere alla conclusione del procedimento, dando una risposta alla popolazione del centro abitato, stremata dal passaggio dei mezzi pesanti.
(5-01735)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta scritta:


   CONTE. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

   a mercato S. Severino, in provincia di Salerno, c'è un castello medievale con una importante cinta muraria, bene storico di straordinaria rilevanza, sottoposto a vincolo con decreto ministeriale 8 novembre 1973 e oggetto di un'apposita legge regionale campana (n. 8 del 2004) che istituisce il parco naturale archeologico regionale del Castello del Sanseverino;

   tale castello ha subito nelle settimane scorse il crollo di una parte della torre nord della piazza d'armi;

   non è la prima volta che si registrano crolli in quel sito: circa venti anni fa ci fu il cedimento di un lungo tratto della cinta muraria;

   più volte, in passato, sono state segnalate violazioni dell'importante sito culturale: una parte è stata usata come pascolo, si sono registrate gare di moto tra le mura, si è verificata la vandalizzazione di alcune parti del castello;

   l'associazione Italia Nostra, con la sezione locale, da tempo sollecita misure di tutela e protezione e, per ultimo, in seguito al crollo della parte di torre nord, ha inviato un telegramma alla Soprintendenza archeologica di Salerno, sollecitando «un immediato sopralluogo e la messa in sicurezza dell'area nonché una verifica statica del complesso castrense, tutelato dal codice dei beni culturali»;

   successivamente, la stessa sezione locale dell'associazione Italia Nostra, ha indirizzato alla Soprintendenza archeologica di Salerno e alla direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio del Ministero per i beni e le attività culturali, una missiva per conoscere le iniziative adottate per la tutela e la conservazione della torre nord della Piazza d'armi del Castello di cui sopra, nonché le cause del crollo;

   al momento, non risultano all'interrogante notizie di interventi compiuti sul posto –:

   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto, quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare per individuare le cause che hanno determinato il crollo di cui in premessa, per tutelare e conservare le strutture danneggiate dal crollo e per prevenire nuove possibili situazioni di rischio in altre parti del castello; se ci siano stati in passato interventi conservativi sul castello e se non ritenga opportuno avviare una verifica statica sull'intera struttura.
(4-02559)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BUSINAROLO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   da recenti notizie di stampa (L'Arena del 4 marzo 2019) si apprende della chiusura, disposta nel mese di gennaio 2019, dal Comfop nord di Padova, comando territoriale dal quale dipende, del circolo unificato dell'Esercito di Verona, a causa della mancanza di una ditta in grado di erogare beni e servizi previsti per il circolo;

   l'8 agosto 2018 la direzione del circolo, su richiesta verbale del comando di Padova, proponeva di concedere il circolo a una ditta veronese, per il tempo necessario per svolgere una gara pubblica per la concessione triennale in appalto del circolo;

   il 4 settembre 2018 l'amministrazione di Padova ha proceduto a un'aggiudicazione diretta temporanea, per 4 mesi, alla ditta Sorico di Catanzaro, per consentire lo svolgimento di una gara pubblica per la concessione in appalto triennale del circolo a una ditta civile;

   la gara, iniziata il 9 agosto 2018, è ad oggi ancora in itinere. A tale gara partecipava anche la ditta Sorico;

   l'amministrazione di Padova ha aggiudicato alla ditta Sorico, nel 2017, con gara d'appalto pubblica, in concessione triennale, il circolo unificato dell'Esercito di Bologna;

   in data 23 gennaio 2019 la direzione del Circolo di Verona veniva a conoscenza dell'esistenza di precedenti penali relativi al titolare della ditta Sorico, Francesco Falsetta, padre di Cristian Falsetta, amministratore delegato della Sorico e firmatario del contratto per la concessione di 4 mesi del circolo di Verona;

   si apprende inoltre che Francesco Falsetta, insieme al fratello Massimo, nell'aprile 2014 fu arrestato in seguito alla scoperta di un giro di prostituzione legato ai titolari di un'attività di bed and breakfast a Catanzaro, gestita proprio dai fratelli Falsetta;

   i fatti sopra descritti gettano diverse ombre sulla trasparenza che dovrebbe essere alla base dello svolgimento della gara pubblica per la futura concessione in appalto del circolo unificato dell'Esercito di Verona e appare necessario un intervento immediato diretto a verificare l'attuale situazione –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e quali iniziative di competenza, anche di carattere normativo, intenda porre in essere al fine di garantire massima trasparenza allo svolgimento della gara pubblica per la concessione triennale in appalto del circolo unificato dell'Esercito di Verona, procedendo, soprattutto in considerazione delle circostanze illustrate in premessa e relative ai soggetti titolari della ditta Sorico, alla verifica approfondita dei requisiti, ex articolo 80 del decreto legislativo n. 50 del 2016, al fine di consentire la riapertura in tempi brevi, offrendo ai 900 soci e al pubblico l'opportunità di fruire degli spazi, sede di diverse attività socio-culturali, a loro disposizione.
(5-01742)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:

   dal 2010, sono stati introdotti incentivi fiscali per favorire il cosiddetto rientro dei «cervelli» in Italia, nell'ambito della legge «controesodo», promossa dal Governo Berlusconi, indirizzata in particolare a ricercatori e docenti residenti all'estero, con l'obiettivo di attrarre capitale umano; la prima normativa è stata la legge n. 238 del 2010 (regime più favorevole ma con durata sperimentale) poi stabilizzata con l'articolo 44 del decreto-legge n. 78 del 2010, successivamente modificato, in vigore dal 1° gennaio 2017;

   l'obiettivo è quello di favorire lo sviluppo del Paese mediante la valorizzazione delle esperienze umane, culturali e professionali di quanti hanno studiato, lavorato o conseguito una specializzazione post lauream all'estero, incentivando il loro rientro in Italia;

   le normative susseguenti, sotto il Governo Renzi, hanno riguardato dapprima alcune proroghe fino al 2015 e poi al 2017 e, successivamente, con il cosiddetto decreto «internazionalizzazione delle imprese» (decreto legislativo n. 147 del 2015), è stata ampliata la platea dei beneficiari, con contestuale riduzione degli sgravi fiscali sul reddito imponibile;

   con le disposizioni di cui all'articolo 44 del decreto-legge n. 78 del 2010, con riferimento agli sgravi per ricercatori e docenti, il reddito è conteggiato al 10 per cento e non concorre alla produzione netta ai fini Irap; per i cosiddetti «impatriati», lavoratori dipendenti o autonomi, manager, lavoratori ad alta specializzazione e laureati, l'imponibilità del reddito prodotto in Italia è limitata al 50 per cento del totale, con una retribuzione esentasse per un quinquennio, anche per i manager distaccati; mentre i cosiddetti contro-esodati in rientro, che sono stati residenti in Italia e trasferiti all'estero e che hanno deciso di tornare entro la fine del 2015, possono optare per un reddito imponibile al 20 per cento (donne) e al 30 per cento (uomini); in alternativa, per questi ultimi, è concesso di optare per un regime più favorevole, accedendo al regime degli «impatriati» per cinque anni, con tassazione sul 50 per cento del reddito dal 2016 al 2020;

   sul regime fiscale di coloro che dall'estero trasferiscono la loro residenza fiscale in Italia e su quello relativo ai lavoratori cosiddetti «impatriati», sono intervenute ulteriori modifiche con la legge di stabilità 2016 e la legge di bilancio 2017; tali ripetuti interventi non contribuiscono a dare certezze sulla corretta interpretazione della citata disciplina e, dunque, sulla sua utilizzabilità nell'ambito delle politiche in favore del personale di ritorno dall'estero e per il rientro di professionalità qualificate (ricercatori e docenti);

   la predetta normativa, e segnatamente il decreto-legge n. 78 del 2010, aveva attratto in Italia circa 7 mila emigrati nel giro di tre anni, permettendo a migliaia di scienziati italiani all'estero di tornare nel nostro Paese;

   tuttavia, nel 2017 l'Agenzia delle entrate ha stabilito, con circolari interpretative (circolare N. 17 /E e risoluzione N. 146 /E del 2017) e in modo retroattivo, che all'agevolazione fiscale hanno diritto solo i ricercatori iscritti all'Aire, l'Anagrafe degli italiani residenti all'estero, nonostante la stessa Agenzia delle entrate (come risulta da una risposta resa nel 2010 alla domanda di un contribuente) non avesse finora richiesto tale ulteriore requisito concomitante con gli altri richiesti, riconoscendo comunque il beneficio fiscale;

   la conseguenza di tali circolari interpretative dell'Agenzia delle entrate è emersa dall'invio di numerose cartelle esattoriali a coloro cui, essendo contestata la mancata iscrizione all'Aire, viene richiesto di saldare un conto particolarmente salato;

   come riportato da alcune testate giornalistiche, alcuni scienziati e ricercatori tornati dall'estero, con la promessa di importanti agevolazioni fiscali assicurate dalle previsioni normative su citate, hanno denunciato, anche mediante una lettera al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di aver ricevuto richieste di rimborso da parte dell'Agenzia delle entrate, con sanzioni che in alcuni casi superano i 100 mila euro, distruggendo in tal modo progetti familiari costruiti con sacrificio negli anni –:

   se non ritenga di dover intraprendere le iniziative di competenza al fine di chiarire l'interpretazione della normativa, volta a superare l'applicazione restrittiva da parte dell'Agenzia delle entrate, circa i requisiti necessari per la fruizione delle agevolazioni fiscali finalizzate al cosiddetto «rientro dei cervelli» in Italia, con particolare riguardo alla richiesta di adempimento di iscrizione all'Aire, quale ulteriore requisito non previsto dalla normativa vigente;

   se non ritenga opportuno adottare iniziative per scongiurare l'instaurarsi di contenziosi in materia, superando le incertezze interpretative e le soluzioni in palese contraddizione con l'originaria finalità delle norme, che rischiano di minare fortemente l'affidabilità dell'intero «sistema Italia».
(2-00313) «Santelli, D'Ettore, Aprea, Cattaneo, Fitzgerald Nissoli, Giacomoni, Mandelli, Mugnai, Palmieri, Polverini, Prestigiacomo, Ravetto, Saccani Jotti, Zangrillo».

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta orale:


   ZANETTIN. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   Il Fatto Quotidiano oggi in edicola rende noto che sarebbe destinata a concludersi, a breve, dopo tre anni, l'avventura di Piero Sansonetti alla direzione de Il Dubbio, il quotidiano del Consiglio nazionale forense (Cnf), che rappresenta per legge i 243 mila avvocati attivi in Italia;

   secondo quanto pubblicato da Il Fatto, la decisione di rimuovere Sansonetti sarebbe maturata dopo il rifiuto del Ministro interrogato di rilasciare un'intervista a Il Dubbio, in polemica con la linea editoriale garantista, troppo ostile al Governo;

   il Cnf ha infatti bisogno di relazioni politico-istituzionali che Sansonetti non poteva garantire –:

   se corrisponda al vero che il Ministro interrogato abbia rifiutato un'intervista a Il Dubbio.
(3-00635)


   POLVERINI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   a Roma il Consiglio dell'ordine degli avvocati, secondo quanto pubblicato in data 20 marzo 2019 sul sito web istituzionale, ha appreso del caso di una avvocatessa alla quale è stato rifiutato un rinvio per l'udienza del 16 aprile 2019, nonostante la data presunta del parto sia stata fissata al 17 aprile;

   come riportato dall'Ordine dell'estratto del verbale del 14 marzo, risulta che «il Presidente Galletti riferisce di avere appreso che alla collega (omissis), nell'ambito del procedimento civile per la separazione dei coniugi pendente dinanzi al Tribunale di Roma, Sezione prima, con RG (omissis), è stato negato il differimento dell'udienza del 16 aprile 2019, nonostante lo stato di gravidanza (con data presunta del parto al 17 aprile 2019) rappresentato e documentato nell'istanza depositata il 5 marzo 2019». In particolare, il giudice ha riservato ogni valutazione all'esito dell'acquisizione delle «determinazioni della controparte, attesa la natura del procedimento e degli interessi sottesi»;

   il caso illustrato reca una chiara violazione della disciplina introdotta ai sensi dell'articolo 1, commi 465 e 466, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, legge di bilancio 2018, con la quale si è disposto per gli avvocati in stato di gravidanza la possibilità di chiedere il rinvio delle udienze e della decorrenza dei termini, in considerazione del periodo gestazionale di due mesi anteriori alla data presunta del parto e di tre mesi successiva;

   sostanzialmente, con le disposizioni di cui sopra si è posto finalmente termine alla mancanza di tutele per gli avvocati in gravidanza, che rappresentava di fatto una vera e propria lesione del diritto di difesa e di parità sostanziale, nonché pregiudizio per la salute delle avvocatesse e del nascituro;

   risulta alla interrogante che l'Ordine degli avvocati della Capitale, per il tramite del suo presidente, ha già rappresentato la gravità dei fatti al presidente del tribunale e, nel caso in cui non si registrassero mutamenti di orientamento, riterrà doveroso denunciare la situazione a tutti i capi degli uffici giudiziari romani, oltre che al procuratore generale presso la Suprema Corte e alla competente sezione del Consiglio superiore della magistratura; ha chiesto inoltre le disponibilità dei vari avvocati consiglieri al fine di sostituire la collega in stato interessante per l'udienza del 16 aprile 2019;

   solo successivamente all'intervento del Consiglio e al clamore destato dalla notizia è stato finalmente concesso di differimento dell'udienza –:

   se il Governo sia a conoscenza della grave violazione illustrata in premessa;

   quanti siano ad oggi i casi analoghi rilevati nel corso del tempo dell'entrata in vigore delle disposizioni legislative;

   quali iniziative urgenti di competenza, anche di carattere ispettivo, intenda assumere a fronte della situazione illustrata in premessa, e per prevenire con maggiore efficacia le analoghe situazioni nel futuro.
(3-00638)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il 30 agosto 2017 è stato rinvenuto il corpo senza vita di Anna Carlini, sotto il tunnel ferroviario sito presso la stazione centrale di Pescara;

   si trattava di una donna molto fragile, in quanto soggetto con problemi psichiatrici a causa di un disturbo bipolare e, pertanto, in cura presso il Spdc di Pescara, nonché sottoposta a trattamento farmacologico;

   a quanto è dato sapere, Anna è morta poiché abbandonata in stato di incoscienza, conseguente alla forzata assunzione di sostanze psicotrope e alcooliche e dopo essere stata brutalmente violentata;

   della sua morte sono indagati due romeni, Ciuraru Nelu e Ciorogariu Lajos Robert, per omicidio volontario, violenza sessuale e abbandono di persona incapace, i quali al tempo dei fatti erano in Italia senza fissa dimora. In particolare, il reato di violenza sessuale è stato attribuito a Ciuraru Nelu nei cui confronti è stato emesso un ordine di carcerazione;

   i due uomini, ad oggi, sono latitanti, pertanto, anche l'ordine di carcerazione di Ciuraru Nelu è rimasto ineseguito, poiché ha abbandonato il territorio italiano e attualmente sembra si trovi in Romania;

   si ritiene, dunque, necessario e urgente sollecitare le opportune verifiche e iniziative per rintracciare l'indagato Ciuraru Nelu, gravato da ordine di carcerazione e mandato di arresto internazionale, nonché l'indagato Ciorogariu Lajos Robert. Non è accettabile il trascorrere di un così lungo periodo in stato di latitanza dei due uomini, che compromette la possibilità di rendere giustizia ad Anna e i suoi familiari –:

   se e quali iniziative siano state attivate, per quanto di competenza, per riuscire ad assicurare alla giustizia i latitanti e quali ulteriori iniziative intendano assumere per accelerare le ricerche;

   se e quali immediate iniziative di competenza, di carattere normativo e organizzativo, intendano adottare, nel più breve tempo possibile, per garantire l'effettività dell'esecuzione della pena e la sicurezza sul territorio nazionale.
(5-01737)

Interrogazione a risposta scritta:


   LUCASELLI, VARCHI e RIZZETTO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro per la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   il decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 95, concernente il riordino delle forze di polizia, ha previsto, all'articolo 48, comma 2, che al personale della carriera dirigenziale penitenziaria «fino alla entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica di recepimento degli accordi sindacali, previsto dall'articolo 23, comma 5, del decreto legislativo 15 febbraio 2006, n. 63, si applicano gli stessi istituti giuridici ed economici previsti dalla legislazione vigente per il personale della Polizia di Stato appartenente al ruolo dirigente»;

   la norma impone, quindi, di delineare lo statuto del personale della dirigenza penitenziaria secondo quanto previsto dagli istituti giuridici ed economici applicabili, a legislazione vigente, al personale della polizia di Stato;

   con tale disposizione, pertanto, il legislatore ha ricondotto nel quadro normativo di riferimento la precedente disciplina di equiparazione di cui all'articolo 40 della legge n. 395 del 1990;

   nonostante l'estrema chiarezza di tale disposizione, ai dirigenti penitenziari continuano ad essere applicati altri istituti, quali l'obbligo di far rilevare la loro presenza all'ingresso e all'uscita dalla sede di lavoro e la necessità di essere autorizzati allo svolgimento dello straordinario, peraltro concesso in misura assolutamente risibile;

   questo avviene secondo gli interroganti in spregio della normativa, vista la differente disciplina applicata, sul medesimo argomento, alla polizia di Stato che, come si evince anche dalla circolare del Ministero dell'interno n. 557/910/S.M./2.100°, avente ad oggetto «Disciplina della dirigenza in attuazione della revisione dei ruoli della Polizia di Stato», che il capo della Polizia ha emanato il 22 dicembre 2017, il dirigente della polizia «certifica con autodichiarazione l'orario di lavoro e l'effettuazione delle ore di lavoro straordinario prestato»;

   al contrario, l'amministrazione penitenziaria, lungi dall'adottare anch'essa una circolare esplicativa sui riflessi gestionali derivanti dal riordino, persevera a pretendere dai propri dirigenti penitenziari una condotta a giudizio degli interroganti del tutto anacronistica che mal si coniuga con le funzioni direttive svolte: funzioni che non possono avere un orario predeterminato, atteso che il dirigente/direttore è chiamato alle sue responsabilità anche al di fuori dell'orario ordinario di lavoro;

   ed è proprio la peculiarità dell'attività svolta dalla dirigenza penitenziaria ad aver suggerito al legislatore, in assenza del contratto, di equiparare la disciplina giuridica ed economica di detti dirigenti a quella della polizia di Stato che, riguardo all'orario di lavoro e allo straordinario, prevede, come già evidenziato sopra, deroghe rispetto alle regole valevoli per gli altri dipendenti;

   l'Amministrazione penitenziaria, nonostante il recente e ulteriore dato normativo, si ostina per gli interroganti a penalizzare la dirigenza penitenziaria, disattendendo in toto il dettato legislativo –:

   quali urgenti iniziative intenda assumere il Governo affinché sia immediatamente predisposta una circolare chiarificatrice sulla questione dell'orario di lavoro e dello straordinario del personale delle dirigenze penitenziarie, applicando senza alcun indugio e nella sua interezza della disciplina di lavoro prevista dalla normativa vigente al fine di dare la giusta valorizzazione ai dirigenti penitenziari e alle delicatissime funzioni che svolgono.
(4-02562)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   COVOLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la Motorizzazione civile di Vicenza soffre una grava mancanza di personale, nel senso che il numero di funzionari addetti agli esami per il conseguimento delle patenti di guida e di addetti alle revisioni o collaudi non è sufficiente a coprire le richieste che provengono dal territorio e delle autoscuole vicentine;

   negli ultimi mesi è aumentato il numero di esami e di revisioni o collaudi non effettuati per la cronica mancanza di un sufficiente numero di addetti (36 effettivi a fronte dei 70 previsti), con conseguenti disagi per i cittadini e per le imprese;

   va considerata l'imprescindibilità di garantire il servizio, specie in considerazione degli effetti molto dannosi nell'ambito dei trasporti internazionali che il disagio descritto può causare; si segnala altresì la decisione del Ministero di effettuare un'ispezione nella Motorizzazione di Vicenza, prevista per il 28 marzo 2019 –:

   se il Ministro interrogato, nelle more di una risoluzione definitiva della carenza di organico delle Motorizzazioni civili, non ritenga opportuno – mediante una specifica iniziativa di competenza – intervenire per ripristinare una situazione di normalità nell'erogazione dei servizi presso la Motorizzazione civile di Vicenza.
(4-02563)


   D'ATTIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   il 30 giugno 2018 sono andate in avaria tutte le consolle delle sale radar di Milano e poi in tarda mattina anche quella di Brindisi;

   il 1° luglio 2018 sono andate in avaria la sala radar di Roma Ciampino, purtroppo con interruzioni di durata più lunga, circostanza che ha comportato notevoli ritardi dei voli e conseguenti disagi per i passeggeri;

   a Brindisi le innumerevoli problematiche tecniche hanno costretto le sigle sindacali a continue richieste di incontri con la direzione locale, al fine di sollecitare la risoluzione delle stesse, tuttora irrisolte;

   il nuovo sistema free route, adottato da Enav al fine di garantire rotte sempre più dirette alle compagnie, non ha avuto un congruo tempo di implementazione tale da consentire ai controllori l'acquisizione del nuovo metodo di lavoro;

   il free route ha attratto un numero più alto di voli, ma conseguentemente all'incremento del numero non c'è stata da parte di Enav una pianificazione del numero minimo di controllori da impiegare per ogni sala operativa, lasciando così ai dirigenti il compito di intraprendere azioni estemporanee, al fine di tamponare il problema; questa situazione incredibile è riconducibile, secondo l'interrogante, alla privatizzazione e all'adozione inconsapevole ma perentoria del nuovo piano industriale da parte di Enav;

   le decisioni del management vanno in una definita direzione: aumentare gli utili riducendo il personale, chiudendo le torri di controllo e accorpando, infine, i centri di controllo da 4 totali a soli 2, decisione che espone il Paese ad un dimezzamento delle capacità di recovery del sistema di sorveglianza aerea, nazionale in caso di avarie;

   dimezzare i centri di controllo regionali è, ad avviso dell'interrogante, sintomo di una visione miope sul trasporto aereo che consente di traguardare solo obbiettivi di breve termine legati al risultato di esercizio;

   secondo il registro (UE) 550/2004, la fornitura del servizio di controllo del traffico aereo rientra nelle prerogative dei poteri pubblici e deve essere svincolato da qualsiasi aspetto economico che possa pregiudicare il raggiungimento dell'obbiettivo della massima sicurezza;

   a quanto consta all'interrogante, i controllori del traffico aereo sarebbero costretti spesso a fare turni straordinari al di fuori del limite di ore giornaliere supplementari consentite, in contrasto con le vigenti normative che, se pienamente rispettate, porterebbero a un considerevole aumento dei posti di lavoro;

   la politica di riduzione degli organici adottata da Enav va in totale controtendenza rispetto alla contingency europea e mondiale che vede un aumento considerevole del volato e del fatturato nel settore del trasporto aereo;

   la fornitura della sicurezza dello spazio aereo nazionale, servizio pubblico essenziale, pare essere in contrasto con la forma giuridica di società per azioni che Enav ha assunto e che è già stata oggetto di numerose interrogazioni parlamentari che aspettano ancora una risposta chiarificatrice –:

   se i Ministri interrogati non intendano assumere le iniziative di competenza al fine di:

    a) consentire ai controllori di svolgere il loro lavoro con strumenti adeguati alla complessità sempre crescente del traffico aereo;

    b) scongiurare la chiusura del centro di controllo d'area (Acc) di Brindisi, alla luce di quanto accaduto nelle sale operative di Enav, in particolare in quelle di Milano ACC e Brindisi ACC e a Roma ACC, dove i gravi inconvenienti tecnici verificatisi hanno portato alla difficoltà di gestione dei voli con conseguente abbassamento del livello di sicurezza degli stessi, tenendo conto che il centro di Brindisi gestisce i voli della dorsale adriatica e del Meridione fino ai confini con Zagabria, Albania e Grecia ed è stato di grande aiuto fino alla ripresa delle normali attività operative;

    c) rivedere l'assetto di Enav di modo che ritorni a essere un ente pubblico economico senza scopo di lucro.
(4-02565)


   TOCCAFONDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   l'ammissibilità degli aiuti di Stato per la realizzazione della nuova pista dell'aeroporto toscano Vespucci, per la quale sono stati impegnati contributi statali pari a 150 milioni di euro, è stata al centro dell'incontro a Bruxelles tra il sindaco di Firenze Nardella e il direttore aiuti di Stato della direzione generale concorrenza della Commissione europea Henrik Morch;

   la delegazione ha posto al direttore generale Morch una serie di quesiti su tutti i punti problematici emersi dalle dichiarazioni rilasciate dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Danilo Toninelli, in particolare: se siano ammissibili aiuti di Stato per le infrastrutture aeroportuali; se la Commissione abbia sollevato questioni ostative particolari sul caso di Firenze a seguito della pre-notifica inviata dal Ministro Delrio nell'aprile 2018; se dopo la prenotifica il nuovo Governo abbia inviato la notifica o comunque abbia annunciato di volerlo fare; se vi sono altri ostacoli all'autorizzazione dei contributi e la legittimità dei contributi di qualunque altra natura;

   soddisfazione è emersa dell'incontro con il direttore Morch, secondo quanto appreso dalla stampa: in particolare, i tecnici della Commissione europea hanno precisato alla delegazione toscana che gli aiuti di Stato per la realizzazione di infrastrutture aeroportuali sono ammissibili; la Commissione europea aveva chiesto approfondimenti al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti su due punti specifici, ovvero l'entità del contributo e la compatibilità con lo scalo di Pisa;

   ciò che ha destato, con eufemismo, stupore è stato che, a partire dal giugno 2018 i tecnici di Bruxelles hanno più volte sollecitato Roma sulle procedure di notifica degli aiuti di Stato in essere, incluse quelle su Firenze, senza mai aver ricevuto risposte di qualsiasi natura, motivo per cui la direzione generale concorrenza ha archiviato il procedimento di pre-notifica dell'aeroporto di Firenze, che tuttavia il Governo potrà riaprire in ogni momento. Da quanto emerso appare all'interrogante di tutta evidenza che il Ministro Toninelli non ha mai dato seguito alla procedura di prenotifica, non ha mai avviato né annunciato di voler avviare la successiva procedura di notifica, né ha mai posto quesiti o problemi sui contributi per l'aeroporto di Firenze alla Commissione europea. Dunque, dal Ministro c'è silenzio totale da 10 mesi a questa parte sulla procedura degli aiuti di Stato all'aeroporto di Firenze, al contrario di quello che aveva pubblicamente dichiarato;

   la stessa direzione ha lasciato intendere che è pronta a esaminare tutta la documentazione sull'erogazione dei contributi statali per il masterplan dell'aeroporto di Firenze, approvato dall'Enac che ha avuto il «via libera» anche dalla conferenza di servizi, prevedendo circa due mesi di lavoro per completare il percorso di notifica e arrivare all'autorizzazione dell'aiuto di Stato;

   occorre adesso capire cosa il Ministro Toninelli intenda fare, considerando soprattutto che in data 14 febbraio 2019, all'interrogazione presentata dai deputati Tasso e Toccafondi n. 5-01472, il Sottosegretario per le infrastrutture e i trasporti delegato ha risposto che «il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti avvierà a breve un dialogo con Bruxelles per discutere sulla migliore soluzione al problema della possibile infrazione comunitaria»;

   è indispensabile che il Governo si attivi immediatamente per riaprire la procedura di notifica;

   è paradossale e inaccettabile, ad avviso dell'interrogante, che l'Esecutivo parli di decreto «sblocca cantieri» e ometta il fatto che da 10 mesi non ha fatto un passo per ottenere dall'Europa il «via libera» agli aiuti di Stato per la realizzazione di infrastrutture, e opere pubbliche strategiche per il Paese come porti, aeroporti, autostrade –:

   quali siano le intenzioni del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti rispetto al masterplan dell'aeroporto di Firenze e quale sia lo stato dell'arte di tutte le opere pubbliche finanziate dallo Stato, bloccate perché non è stata mandata la notifica per autorizzare l'aiuto di Stato.
(4-02568)


   NOBILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   in data odierna – 21 marzo 2019 – la sicurezza dei cittadini romani è stata nuovamente messa a repentaglio a causa dell'ennesimo incidente che si è verificato sulla linea A della Metropolitana della Capitale di Italia;

   difatti, verso le ore 10 le scale mobili si sono accartocciate presso la stazione «Barberini», nel pieno centro di Roma. Fortunatamente, questa volta, non sono rimasti coinvolti feriti;

   l'assenza di manutenzione delle metropolitane A e B negli ultimi 3 anni ha provocato numerosi incidenti, ponendo a rischio la vita dei cittadini romani e creando un vulnus relativo alla mancata garanzia dell'esercizio del diritto al servizio di pubblico trasporto, ai sensi dell'articolo 43 della Costituzione italiana;

   invero – a seguito del drammatico incidente del 23 ottobre 2018 che ha provocato più di 50 feriti tra cittadini, turisti e tifosi presso la stazione «Repubblica» della linea A della metropolitana di Roma, stazione inspiegabilmente chiusa da oltre 5 mesi – già in data 29 ottobre 2018 è stata presentata in Commissione IX «Trasporti, poste e telecomunicazioni» un'interrogazione sottoscritta anche dall'interrogante in cui veniva in rilievo la denuncia di una «Grave» assenza di manutenzione della linea A e B della metropolitana di Roma;

   l'interrogante segnala che il Ministro pro tempore Graziano Delrio aveva già stanziato ben 425 milioni di euro per il complesso tema «metro» (quindi progettazione della metro C, quindi interventi per numero di treni, quindi manutenzione) e ricorda che dal 22 dicembre 2017 sono pendenti 184 milioni di euro, destinati dai Governi del Partito Democratico alla messa in sicurezza delle stazioni della metro A e B;

   a tal fine, l'interrogante ha esplicitato la richiesta che si firmasse un protocollo tra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Roma metropolitane per spendere questi fondi già in cassa, onde evitare altri incidenti;

   invero, altri richiami sull'emergenza manutenzione erano già avvenuti in data 9 ottobre 2018, giornata delle dimissioni del presidente di Roma Metropolitane dottor Pasquale Cialdini, che aveva denunciato che: «Le metropolitane A e B sono a rischio, manca la manutenzione e non è rispettata neanche la normativa: andrebbe chiusa»;

   pertanto, l'interrogante ha fatto richiesta di audizione dell'ex presidente Cialdini in Parlamento, al fine di rendere nota la gravità della situazione del trasporto pubblico romano;

   ai sensi dell'articolo 14, 16, 17, 41 della Costituzione italiana è compito dello Stato garantire la sicurezza e l'incolumità pubblica ai propri cittadini, anche considerato l'articolo 58 del Tfue, Titolo VI, per il settore dei trasporti –:

   se il Ministro interrogato intenda assumere ogni iniziativa, per quanto di competenza, anche per il tramite dell'Ufficio speciale trasporti a impianti fissi del Lazio (Ustif) in relazione all'assenza di manutenzione delle metropolitane della Capitale, al fine di garantire ai cittadini romani – come previsto ex lege – la dovuta sicurezza e incolumità pubblica.
(4-02570)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   CAPITANIO, COMAROLI, GOBBATO, FRASSINI e COLLA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   il grave episodio di cronaca avvenuto il 20 marzo 2019 sulla Paullese, che ha coinvolto 51 ragazzi della scuola Vailati di Crema che hanno rischiato di morire nel rogo dell'autobus Tpl della società Autoguidovie Lombardia, appiccato dall'autista per motivi che fanno pensare a un atto terroristico, mette in luce una falla nei sistemi di controllo nei confronti di coloro che lavorano per le società di trasporto, specie se svolgono servizi per le scuole a contatto con minori;

   episodi come quello sopra richiamato evidenziano, a parere degli interroganti, la necessità di dover migliorare il sistema per garantire la qualità e la sicurezza delle imprese di trasporto private e pubbliche, vista la delicatezza del compito che queste ultime svolgono quando lavorano a contatto con i ragazzi –:

   se e quali iniziative di competenza, anche di carattere normativo e in raccordo con gli enti locali (o previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni) il Governo intenda adottare al fine di garantire un monitoraggio costante sulle società di trasporto che lavorano per le scuole e sul personale impiegato presso le stesse.
(4-02558)


   SPERANZA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il Comitato per l'ordine e la sicurezza della provincia di Prato, presieduto dal prefetto, ha autorizzato la manifestazione di Forza nuova, un'organizzazione politica che si ispira al fascismo, per il 23 marzo 2019;

   la manifestazione, intitolata «Salvare l'Italia», si svolge nel centenario della fondazione dei Fasci di combattimento, organizzazione dalla quale poi nacque il Partito nazionale fascista;

   sempre a Prato, il 19 marzo 2019, sono state imbrattate con svastiche e scritte neofasciste le sedi della Casa del combattente e del Partito democratico a Prato, in quell'occasione il sindaco della città ha espresso la forte preoccupazione per questi atti, auspicando che non si tenesse in città l'annunciata manifestazione di Forza nuova;

   a Prato, città medaglia d'argento per il contributo dato alla lotta di Liberazione, contro la manifestazione si stanno mobilitando diverse forze politiche, sindacali e associazioni culturali, tra le quali l'Anpi, la Cgil, Libera;

   anche la diocesi cittadina si è espressa in questo senso, con un comunicato dove si afferma che «A Prato non può esserci spazio per culture sovraniste, xenofobe, egoistiche, intransigenti, che non mettono l'amore per l'altro al primo posto, la solidarietà, il lavoro, il bene di tutti. Al cuore di principi della convivenza a Prato non ci sono la violenza, il respingimento, il razzismo e il “prima i pratesi”» –:

   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato, per quanto di competenza, per monitorare manifestazioni come quella descritta in premessa, considerati i rischi per l'ordine pubblico che possono determinare;

   quali iniziative di competenza intenda assumere per contrastare episodi di intimidazione nei confronti di associazioni e partiti politici da parte di organizzazioni inneggianti al nazifascismo, che propagandano valori incompatibili con i principi della Costituzione repubblicana.
(4-02566)


   TRANCASSINI, DONZELLI e LUCA DE CARLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   Casaggì Firenze è uno spazio libero e autogestito, un centro sociale di destra che dal 2005 organizza manifestazioni, cortei, dibattiti, eventi, volontariato, corsi di sport e gruppi di studio, con autonomia e trasversalità;

   Casaggì Firenze rappresenta una comunità militante che ha scelto di collaborare con alcuni partiti e liste elettorali, utilizzandoli come strumenti utili a darle voce e rappresentanza, ma senza vincolarsi formalmente a nessuno;

   tale comunità ha subìto per ben due volte la chiusura della propria pagina facebook «Casaggì Firenze», la prima, attiva dal 2008 e con 44.000 followers, è stata chiusa nella notte fra il 14 e il 15 dicembre 2018, e la seconda, con 7.000 followers, creata conseguentemente alla soppressione della prima, è stata chiusa arbitrariamente dal team di facebook il 23 febbraio 2019;

   Casaggì Firenze, con sede in Firenze, Via Frusa 37, ospita la sede locale di Fratelli d'Italia, di Gioventù Nazionale e di Azione Studentesca, e le pagine in questione avevano il solo scopo di fare informazione politica in linea con un partito regolarmente rappresentato in Parlamento;

   nel primo caso facebook ha ritenuto non essere necessario giustificare in alcun modo la chiusura della pagina, appellandosi soltanto a presunte violazioni che non sono state provate; mentre, nel secondo caso, come si è appreso da contatto con l'assistenza specializzata dell'azienda, il problema sarebbe stato il link ad un articolo di giornale, giudicato fake news dal team facebook;

   tale articolo, tuttavia, era stato ripreso dagli «amministratori» della pagina di seguito alla pubblicazione su un organo di stampa di indubbia credibilità: «AdHocNews», testata giornalistica registrata presso il tribunale di Firenze;

   lo stesso tema, nel medesimo giorno, era stato inoltre affrontato da un altro articolo pubblicato dalla testata giornalistica: La Repubblica;

   i due articoli in questione, «Firenze, volantinaggio di Casaggì contro la “scuola anti-Salvini”» tratto da «LaRepubblica.it» del 19 febbraio 2019, e «Botta e risposta nella scuola anti-Salvini: “Siete dei razzisti!”. E Fratelli d'Italia porta il tricolore.» tratto da «AdHocNews.it» del 22 febbraio 2019, ancora oggi risultano essere presenti sui siti web ufficiali delle testate, non contenendo alcuna notizia fuorviante e privi di contenuti sanzionabili e punibili dalla legge italiana;

   le sanzioni applicate da facebook, a giudizio degli interroganti, non sono coerenti con quanto sostenuto poiché, qualora vi fosse stato realmente un reato legato alla condivisione di un articolo, l'azienda avrebbe dovuto provvedere alla cancellazione del testo condiviso e nell'eventualità sanzionarne l'autore, come da policy aziendale o meglio definita «standard della community» –:

   se sia informato dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere, anche di carattere normativo, per promuovere e garantire la piena libertà di espressione alle associazioni che agiscono nel rispetto della legge e se e quale tipo di controlli vengono effettuati sui social network per evitare abusi e censure.
(4-02569)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CIAMPI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

   la Certosa di Pisa a Calci è un vasto complesso monumentale che sorge alle pendici del Monte Pisano, a pochi chilometri dalla città di Pisa. Fondato nel 1366 da una famiglia di certosini, il complesso è stato ampliato tra il XVII e il XVIII secolo e si presenta oggi come uno splendido monumento barocco inserito in un contesto paesaggistico fortemente suggestivo;

   la Certosa ospita due distinti musei: il Museo nazionale della certosa monumentale di Calci e il Museo di storia naturale dell'università di Pisa; le due istituzioni museali sono nate in tempi diversi e appartengono a enti pubblici distinti (il primo dipende dal Ministero per i beni e le attività culturali, il secondo dall'ateneo di Pisa);

   l'amministrazione comunale di Calci ha dimostrato un costante impegno nel fare rete e nel coinvolgere i livelli istituzionali superiori, dalla regione Toscana ai Ministeri per i beni e le attività culturali e dell'istruzione, dell'università e della ricerca, nella soluzione delle molteplici criticità che riguardano il monumento, le quali si estendono dalla necessità di cura e restauro, alla carenza cronica di personale e alla necessità di rilanciare la fruibilità della certosa, in chiave turistica e culturale;

   questa progettualità ha trovato risposte nella regione Toscana e nel precedente Governo che ha previsto, con l'allora Ministro Dario Franceschini, stanziamenti che interessano la Certosa e il convento di Nicosia per circa 10 milioni di euro;

   al tempo stesso il comune di Calci, anche tramite finanziamenti regionali, ha programmato la riqualificazione dell'area antistante alla certosa e avviato il percorso per realizzare un parcheggio turistico;

   l'obiettivo del comune di Calci è anche quello di elevare la fruibilità e l'attrattività del complesso, ottimizzando al tempo stesso le risorse umane e strumentali presenti, attraverso la gestione unitaria dei due musei presenti;

   l'associazione degli Amici della certosa di Pisa a Calci, insieme a numerosi cittadini, ha inviato recentemente al Ministro per i beni e le attività culturali una lettera per esprimere «grandissima e viva preoccupazione» rispetto alla carenza di personale, che dall'estate 2018 comporta pesanti limitazioni negli orari di apertura al pubblico del museo nazionale della certosa con aperture, nel 2019, limitate solo a poche ore e chiusura domenicale ad eccezione della prima domenica del mese;

   la vicepresidente della regione Toscana Monica Barni e l'allora Ministro Dario Franceschini hanno avviato un percorso, con l'obiettivo di giungere alla gestione unitaria dei due musei, dando il «via libera» allo studio e alla stesura di un accordo di valorizzazione tra Ministero, regione, università di Pisa e comune di Calci tramite, ad esempio, la costituzione di una fondazione di partecipazione degli enti interessati;

   l'attuale condizione di sottoccupazione del museo nazionale della certosa monumentale di Calci penalizza non solo un patrimonio culturale e artistico di valenza nazionale, ma danneggia un volano significativo per l'economia territoriale, anche in virtù degli investimenti già stanziati e programmati dall'amministrazione comunale locale –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle criticità relative alla Certosa di Calci espresse in premessa e quali iniziative urgenti intendano assumere per promuovere la fruibilità e l'attrattività del complesso, ottimizzando al tempo stesso le risorse umane e strumentali presenti, anche attraverso l'attivazione della gestione unitaria dei due musei presenti.
(5-01740)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   ACQUAROLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   nel mese di maggio 2018 l'azienda Whirlpool pubblicando i dati relativi al piano industriale 2015-2018, denunzia risultati negativi, e comunque al di sotto degli obiettivi previsti da detto piano, riaprendo la discussione sul futuro aziendale del gruppo in Italia e ingenerando così e nuovamente forti preoccupazioni tra le maestranze, gli operatori economici, il territorio che, ad esempio come quello marchigiano, è già in sofferenza a seguito degli eventi sismici del 2016;

   all'annuncio di un nuovo piano industriale 2019-2021 il Ministro dello sviluppo economico e del lavoro e delle politiche sociali ha attivato un tavolo di confronto tra l'azienda e le parti sociali che è sfociato in una intesa, la quale prevedeva la conferma delle linee strategiche del precedente piano 2016-2018: 250 milioni di euro circa di investimenti da parte di Whirlpool con l'impegno di mantenere produzioni e livelli occupazionali attuali, anche facendo uso degli ammortizzatori sociali «conservativi» che il Governo ha garantito di mettere a disposizione;

   nel mese di dicembre 2018 il tavolo di confronto si è riunito nuovamente, alla luce delle notizie di un quadro economico aziendale non ancora stabilizzato –:

   quale sia in termini puntuali la situazione di Whirlpool Company e lo stato di attuazione del piano industriale 2019-2021;

   se trovi conferma la decisione di attivare l'utilizzo dei cosiddetti ammortizzatori sociali «conservativi» e, in caso affermativo, di quali strumenti si tratti e come si procederà alla loro applicazione in termini di unità di personale coinvolto e di tempi di attuazione;

   se sia stato verificato, prima dell'avvio dell'applicazione degli eventuali ammortizzatori, se l'azienda Whirlpool abbia aggiornato e comunicato un preciso cronoprogramma degli investimenti, a partire dalla indicazione degli stessi investimenti già per l'anno 2019, e così di seguito per gli anni a venire;

   se vi sia la garanzia di investimenti certi a fronte della attivazione degli strumenti di difesa dell'occupazione con risorse pubbliche, da mettere in campo, come più volte invocato, con l'avvio parallelo e contemporaneo del piano di investimenti;

   quali siano stati gli impegni relativamente al mantenimento della continuità della produzione che attualmente si realizza negli stabilimenti marchigiani del gruppo Whirlpool Company – Indesit Company.
(4-02557)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI, FORESTALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   MINARDO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   negli ultimi anni si è potuta registrare una progressiva tendenza all'accentuarsi dello stato di crisi del settore della pesca e dell'acquacoltura siciliana a seguito di molteplici cause imputabili a fattori sia nazionali che internazionali. In primo luogo, si segnala il processo avviato da tempo di profonda ristrutturazione e di riorganizzazione, sollecitato dalle scelte politiche dell'Unione europea che hanno suscitato non poche perplessità tra gli operatori del comparto;

   a ciò si aggiunge l'esponenziale aumento dei costi del carburante a uso dei motopescherecci che incide fortemente sui redditi d'impresa e, conseguentemente, anche sui redditi dei marittimi dipendenti membri dell'equipaggio, e che determina una generale insoddisfazione degli addetti. I fattori comunitari sono anche la causa della crisi: alcune scelte di carattere ambientale dell'Unione europea, volte a una crescente ecocompatibilità della pesca europea, che determinano una scarsa competitività, nonché una regolamentazione comunitaria delle attività della pesca (quali le misure tecniche per il Mediterraneo) eccessivamente penalizzanti e volte unicamente a una drastica riduzione delle attività, senza che siano approntate soluzioni alternative, hanno un impatto economico e sociale. La crisi del settore della pesca si avverte soprattutto nel Mezzogiorno e in particolare in Sicilia, dove la crisi della pesca medesima purtroppo è in continua crescita per le capacità delle marinerie extracomunitarie che esercitano l'attività senza i vincoli delle regole comunitarie, con metodi estremi e spesso aggressivi; tale situazione è resa ancora più drammatica dalla progressiva sottrazione di aree di pesca utili nel Mediterraneo, a causa delle dichiarazioni di zone di pesca esclusive effettuate dai Paesi rivieraschi extracomunitari del Mediterraneo, quali Libia, Algeria, Tunisia –:

   se il Governo intenda assumere urgenti iniziative per il settore della pesca e dell'acquacoltura prevedendo misure per arginare il «caro gasolio» e promuovendo l'estensione di sgravi fiscali e previdenziali e azioni volte a sostenere i marittimi imbarcati a bordo di navi da pesca, in considerazione dell'attività particolarmente rischiosa e faticosa, facendo sì che tale attività sia individuata tra quelle particolarmente usuranti;

   se il Governo intenda adottare iniziative per applicare il credito d'imposta per il periodo 2019-2021 per l'acquisizione di beni strumentali nuovi.
(4-02561)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ROSTAN. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   con decreto del Ministero della salute dell'11 marzo 2019 sono stati individuati gli istituti di ricerca italiani (Irccs) per lo sviluppo dell'immunoterapia sperimentale delle Car-T (la nuova frontiera dell'immunoterapia dei tumori);

   tali istituti dovranno, con uno stanziamento complessivo di 5 milioni di euro per il 2019, partecipare a un progetto di ricerca relativo alle nuove tecnologie Car-T per la cura dei tumori;

   altri 5 milioni di euro sono stati stanziati per la medesima finalità dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136 («decreto fiscale»);

   il Ministero, avvalendosi della Rete Alleanza contro il cancro, ha effettuato la ricognizione degli Irccs aderenti alla Rete per individuare quelli impegnati nelle attività di ricerca inerenti le terapie Car-T;

   dall'esame della documentazione pervenuta sono stati scelti i seguenti Irccs:

    Ospedale pediatrico Bambino Gesù — Roma;

    Ospedale S. Raffaele — Milano;

    Istituto di Candido — Candido;

    Istituto oncologico Veneto — Padova;

    Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli — Roma;

    Istituto scientifico romagnolo per lo studio e la cura dei tumori — Meldola;

   altri Irccs hanno presentato la documentazione, ma sono stati esclusi con l'impegno che parteciperanno al progetto in una seconda fase;

   tra quelli esclusi dalla prima fase c'è anche l'Istituto nazionale tumori Fondazione Giovanni Pascale — Napoli, considerato una eccellenza, una delle principali e più importanti istituzioni scientifiche del Paese;

   tale esclusione, seppure contenendo un impegno a un successivo coinvolgimento, appare all'interrogante inspiegabile e incomprensibile –:

   quali siano le ragioni della esclusione dell'Istituto nazionale tumori-Fondazione Giovanni Pascale dal primo gruppo degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico ammessi al progetto per lo sviluppo dell'immunoterapia sperimentale delle Car-T e se e in che modo il Governo intenda porre rimedio a tale immotivata scelta.
(5-01736)


   NESCI. — Al Ministro della salute, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:

   dal 2009 la regione Calabria è sottoposta a piano di rientro dal disavanzo sanitario regionale e dal 2010 è commissariata per l'attuazione del medesimo;

   in un articolo apparso il 13 febbraio 2019 sulla testata on line Corriere della Calabria, a firma del direttore Paolo Pollichieni, si legge che ammonterebbe a «mezzo miliardo di euro, negli ultimi dieci anni» «la somma», forse «imprecisa per difetto», «che le Regioni del Centro-Nord, in particolare Lombardia, Lazio e Piemonte», avrebbero sottratto «illecitamente alla Regione Calabria attraverso la cosiddetta “mobilità sanitaria”, ovvero le prestazioni erogate a cittadini calabresi da strutture di altre regioni»;

   nell'articolo Pollichieni riporta che questi dati sulla mobilità sanitaria sono stati richiesti al dipartimento regionale tutela della salute dal nuovo dirigente generale della struttura, Antonio Belcastro;

   nello stesso articolo si spiega che un «rapido incrocio con» i dati «in possesso del Ministero (le regioni che “accreditano prestazioni” presentano il “conto” al Ministero che gira loro gli importi relativi a tali prestazioni, detraendoli dalle somme che dovrebbero essere trasferite alla Regione Calabria) avrebbe consentito di avere la conferma: la Regione Calabria ha pagato prestazioni non dovute e mai eseguite»;

   «tutti sapevano – si legge nell'articolo, nel quale vengono riportate, al riguardo, domande specifiche – che la regione Calabria era l'unica a non aver mai effettuato, almeno con riferimento agli ultimi dieci anni, alcuna verifica sui conti presentati per la mobilità sanitaria»;

   l'articolo prosegue raccontando che Franco Pacenza, consulente per la sanità del governatore della Calabria in carica, Mario Oliverio, ha dato notizia della istituzione «nei prossimi giorni (che fretta c'è...?) di un Nucleo dedicato alla verifica dei flussi di mobilità ed alla loro appropriatezza che, con il supporto tecnico adeguato, dovrà attivare tutte le procedure di contestazione e contemporaneamente verificare l'insieme dei flussi degli anni precedenti»;

   le affermazioni del Pacenza confermano, in sostanza, è la deduzione di Pollichieni, che la regione Calabria, contrariamente a tutte le altre regioni, non ha esercitato controlli «sulle rendicontazioni relative alla supposta “mobilità sanitaria”, prendendo per buone quelle presentate dalla regioni “creditrici”» –:

   di quali informazioni siano in possesso nel merito della vicenda;

   quali iniziative di competenza il Ministro della salute intenda avviare, anche per il tramite della struttura commissariale per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della Calabria, al fine di effettuare opportuni accertamenti circa la corrispondenza tra dati disponibili e situazioni di fatto in ordine alla mobilità sanitaria negli ultimi 10 anni dei residenti in Calabria.
(5-01741)

Interrogazione a risposta scritta:


   CUNIAL e GIANNONE. — Al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   sempre più cittadini manifestano sintomi correlati all'esposizione ubiquitaria di campi elettromagnetici, in letteratura scientifica «ipersensibilità elettromagnetica», secondo l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) (2004) «un fenomeno in cui gli individui avvertono effetti avversi sulla salute in prossimità di campi elettrici, magnetici o elettromagnetici»;

   i ricercatori, stimano che circa il 3 per cento della popolazione mondiale ha gravi sintomi d'elettrosensibilità mentre un altro 35 per cento soffre di deficit del sistema immunitario o malattie croniche;

   diversi studi (Rea 1991, Havas 2006, 2010, McCarty 2011) dimostrano come identificare l'elettrosensibilità con risposte obiettive e misurabili, mentre altri riscontrano sui malati alti livelli di stress ossidativo e una prevalenza di polimorfismi genetici (De Luca, Raskovic, Pacifico, Thai, Korkina 2011 e Irigaray, Caccamo, Belpomme 2018);

   il Parlamento europeo (2009) e l'Assemblea del Consiglio d'Europa (risoluzione n. 1815 del 2011) richiamano gli Stati membri a riconoscere l'elettrosensibilità come disabilità;

   i piani di Governo per la diffusione della tecnologia 5G prevedono la copertura del 98 per cento del territorio nazionale con la massiccia irradiazione di radiofrequenze, destinate a servire il 99 per cento della popolazione italiana, nonostante la classificazione «possibili cancerogeni» (Classe 2B) dell'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro;

   in Italia, molte persone affrontano l'elettrosensibilità senza sostegno dallo Stato, perdono il lavoro, dormono in auto o trovano ripari di fortuna in zone scarsamente abitate, in fuga dalle irradiazioni di stazioni radio base e Wi-Fi;

   l'inesplorato 5G dal 2019 è considerato pericoloso anche dal Comitato scientifico sui rischi sanitari ambientali ed emergenti della Comunità europea che lascia aperta «la possibilità di conseguenze biologiche»;

   audita presso la IX Commissione della Camera dei deputati, Fiorella Belpoggi dell'istituto Ramazzini ha affermato come non si capisce perché le aziende chimiche e automobilistiche facciano studi e test prima di immettere sul mercato nuovi prodotti e al contrario delle aziende di telefonia mobile. I governi dovrebbero prendere tempo in attesa di valutazioni accurate sulla pericolosità di questa tecnologia innovativa con studi sperimentali appropriati;

   Stefania Borgo (Isde) ha affermato come «le radiofrequenze hanno mostrato in molti studi animali una non trascurabile tossicità legata ad effetti biologici, ed in particolare sul DNA, in grado di indurre tumori e alterazioni di diversi apparati, riproduttivo, metabolico e sistema nervoso»;

   Pietro Comba dell'Istituto superiore di sanità sostiene che, al di sopra di valori di 0,3-0,4 microtesla aumentano, oltre le leucemie infantili, diversi tipi di tumori e più volte la magistratura ha ribadito come bisogna intervenire anche se non ci sono casi di malattie conclamate, perché quando si tratta di proteggere la popolazione non conta solo il danno, ma anche il rischio;

   con la cosiddetta «Risoluzione di Vicovaro» presentata da diverse associazioni riunitesi a Vicovaro (Roma) il 2 marzo 2019 per il 1° meeting nazionale promosso dall’«alleanza stop 5G», si chiede al Ministro della salute di promuovere uno studio preliminare sugli effetti biologici del 5G, istituendo una commissione di vigilanza permanente sugli effetti dell'elettrosmog, individuati membri indipendenti e un coordinamento di malati;

   vista la mobilitazione della comunità medico-scientifica internazionale per una moratoria, vista l'assenza di una posizione univoca sui pericoli sanitari del 5G e considerato che in Italia diversi medici trattano pazienti con elettrosensibilità, non si spiega perché Alessandro Vittorio Polichetti, dell'Istituto superiore della Sanità, audito dalla suddetta commissione, abbia affermato come il «5G non porrà prevedibilmente nessun problema per la salute» finendo di fatto per esprimersi, secondo le interroganti, in contrasto con la letteratura biomedica e le sentenze dei tribunali che riconoscono il nesso «radiofrequenze = cancro e l'elettrosensibilità» –:

   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti e quali iniziative intendano assumere per garantire ai cittadini affetti da elettrosensibilità pari diritti, opportunità e livello di assistenza;

   se e quali iniziative di competenza i Ministri intendano assumere per evitare che il 5G colpisca chiunque, tutelando in particolare gli elettrosensibili ma anche neonati, bambini, donne in gravidanza e portatori di apparecchi elettromedicali, pacemaker.
(4-02567)

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza Critelli n. 2-00053, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 luglio 2018, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rossi.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:

   interrogazione a risposta immediata in Commissione Quartapelle Procopio n. 5-01712 del 20 marzo 2019;

   interrogazione a risposta immediata in Commissione Emiliozzi n. 5-01713 del 20 marzo 2019.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BENEDETTI, CAIATA, CECCONI, TASSO, VITIELLO e BORGHESE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   la febbre West Nile è una malattia provocata dal virus West Nile, un virus della famiglia dei Flaviviridae isolato per la prima volta nel 1937 in Uganda. Il virus è diffuso in Africa, Asia occidentale, Europa, Australia e America;

   i serbatoi del virus sono innanzitutto gli uccelli selvatici e le zanzare (più frequentemente del tipo Culex), le cui punture sono il principale mezzo di trasmissione all'uomo;

   la prima comparsa del virus in Italia risale al 1998, con un focolaio isolato in Toscana. Nel 2008 il virus è ricomparso nel bacino padano e nel Delta del Po, dove è divenuto endemico;

   quest'anno la trasmissione del virus West Nile è cominciata prima rispetto agli anni precedenti. Dall'ultimo aggiornamento delle attività della sorveglianza integrata del West Nile e Usutu virus, pubblicati nel bollettino periodico, risulta che il primo caso umano di infezione si è verificato il 16 giugno e al primo di agosto i casi registrati, fra Veneto ed Emilia-Romagna sono saliti a 52. Secondo i dati dell'Istituto superiore di sanità, sono 16 i casi (10 in Veneto e 6 in Emilia-Romagna) con manifestazioni di tipo neuro invasivo (2 decessi), 22 quelli di febbre (10 in Emilia-Romagna e 12 in Veneto) e 14 i casi in donatori di sangue (11 in Emilia Romagna e 3 in Veneto);

   non esiste un vaccino per la febbre West Nile. Attualmente sono allo studio dei vaccini, ma per il momento la prevenzione consiste soprattutto nel ridurre l'esposizione alle punture di zanzare;

   risulta, quindi, fondamentale un'azione di prevenzione e lotta al virus, questioni di natura strettamente sanitaria e dunque di competenza regionale. La regione deve impegnarsi in finanziamenti che possano assicurare ai comuni interventi di disinfestazione e bonifica –:

   quali iniziative urgenti di competenza il Ministro interrogato intenda porre in essere, di concerto con regioni, enti locali interessati, Istituto superiore di sanità e Istituto nazionale per le malattie infettive, al fine di monitorare, circoscrivere e bonificare i territori interessati dal West Nile, prevenendo il rischio di trasmissione di tale virus nel nostro Paese.
(4-00996)

  Risposta. — Il virus West nile (Wnv) è un Flavivirus appartenente alla famiglia «Flaviviridae», trasmesso da insetti vettori ed attualmente presente nel territorio italiano.
  Si tratta di un agente zoonotico il cui ciclo biologico è caratterizzato dalla trasmissione tra zanzare ornitofile ed alcune specie di uccelli selvatici.
  Attraverso la puntura di zanzara il virus può passare, inoltre, dalle popolazioni aviarie ai mammiferi, ed anche all'uomo.
  Altri mezzi di infezione documentati, anche se molto più rari, sono i trapianti di organi, le trasfusioni di sangue e la trasmissione madre-feto in gravidanza.
  Gli esseri umani ed i cavalli, sebbene siano ospiti a fondo cieco, ossia non in grado di trasmettere l'infezione agli insetti vettori, possono sviluppare forme cliniche anche gravi, con disturbi neurologici quali encefalite, meningo-encefalite o paralisi flaccida.
  In Italia, il primo focolaio di malattia di
West nile (Wnd) è stato confermato nella tarda estate del 1998 nell'area circostante il Padulle di Fucecchio in Toscana, con alcuni casi clinici nei cavalli: in questo primo focolaio non si sono verificati casi umani.
  A seguito di tale rilevamento, il Ministero della salute, dal 2002, ha attivato il Piano nazionale di sorveglianza per la Wnd, con l'obiettivo di rilevare l'introduzione e monitorare la circolazione del Wnv sull'intero territorio nazionale.
  Tale piano ha consentito di identificare nel 2008, a 10 anni di distanza dal primo focolaio, la circolazione di Wnv in Emilia Romagna, Veneto e Lombardia, in uccelli, mammiferi e insetti vettori, con la segnalazione dei primi casi umani, che, da allora in poi, è stata segnalata ogni anno.
  In Italia, la sorveglianza epidemiologica dei casi umani di malattia da Wnv è regolata dal Piano nazionale integrato di sorveglianza e risposta che viene attualizzato ogni anno.
  Le attività di sorveglianza umana prevedono che vengano individuati e segnalati casi clinici, importati (tutto l'anno) e autoctoni (da giugno a ottobre), di forme cliniche neuroinvasive, nelle aree a dimostrata circolazione di Wnv.
  Il piano prevede, inoltre, la sorveglianza entomologica, con l'attuazione di protocolli operativi diversificati in relazione alla presenza o meno di casi umani, basati sia sull'informazione della popolazione sia su interventi ordinari di controllo con prodotti larvicidi, al fine di ridurre la presenza di focolai larvali peri-domestici di zanzare, sia l'uso di adulticidi in caso di elevata densità delle zanzare.
  L'allegato 4 al piano riporta le specifiche sull'intervento per il controllo del vettore (
Culex pipiens), con indicazioni operative dettagliate sulle responsabilità e sugli interventi di controllo e di monitoraggio che devono essere messi in atto.
  Le attività di sorveglianza sono estese agli uccelli stanziali, agli uccelli migratori e agli equidi, per permettere la definizione esatta delle aree in cui circola il virus.
  Secondo uno studio pubblicato da «Eurosurveillance» nel 2017, il Piano di sorveglianza integrato di Wnv italiano, che comprende la sorveglianza dei casi umani, la sorveglianza entomologica, la sorveglianza dei casi negli equidi e la sorveglianza in uccelli stanziali e migratori, è uno dei più completi a livello europeo ed ha come presupposto la collaborazione intersettoriale, utilizzando un approccio «
One Health».
  I risultati della sorveglianza integrata del virus
West nile mostrano che, complessivamente in Italia, dal 2008 al 2017 sono stati notificati oltre 247 casi umani autoctoni di malattia neuro-invasiva da West nile, da 9 regioni (Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia-Romagna, Basilicata, Puglia, Sicilia e Sardegna) e 8 casi confermati importati.
  Negli anni passati, i casi umani si sono manifestati solitamente a luglio, con un picco ad agosto.
  Quest'anno, invece, si è evidenziata, sia a livello europeo che nazionale, una circolazione più precoce del Wnv, con i primi casi notificati già a giugno dall'Italia e dalla Grecia. Si è inoltre registrato un numero più elevato dell'atteso sia di casi umani, anche in forma neuroinvasiva, che di decessi, nonché un'elevata circolazione virale nelle zanzare e negli uccelli.
  Nel 2018, alla data del 14 novembre, in Italia sono stati segnalati 577 casi umani confermati di infezione da
West nile virus, di cui 230 si sono manifestati nella forma neuroinvasiva (63 in Veneto, 100 in Emilia-Romagna, 16 in Lombardia, 38 in Piemonte, 3 in Sardegna, 9 in Friuli Venezia Giulia, e 1 caso segnalato dal Molise importato dalla Grecia), tra i quali 42 decessi (1 in Lombardia, 13 in Veneto, 21 in Emilia-Romagna, 3 in Piemonte, 4 in Friuli Venezia Giulia); 279 casi come febbre confermata (66 in Emilia-Romagna, 190 in Veneto, 7 in Lombardia, 6 in Piemonte, 10 in Friuli Venezia Giulia) e 68 casi identificati in donatore di sangue (30 in Emilia-Romagna, 14 in Veneto, 9 in Piemonte, 11 in Lombardia, 3 in Friuli Venezia Giulia, 1 in Sardegna).
  La eccezionale diffusione del Wnv durante la stagione attuale non è un fenomeno solo italiano: infatti, a livello europeo, il Centro europeo per la prevenzione ed il controllo delle malattie (Ecdc), che coordina la sorveglianza dei diversi Paesi, ha segnalato che attualmente i casi umani di infezione da Wnv registrati nel 2018 superano il totale dei casi notificati negli ultimi cinque anni; inoltre l'infezione si sta diffondendo anche in Paesi che in passato non avevano presentato casi.
  In relazione all'attuale situazione epidemiologica, questo Ministero ha immediatamente richiamato l'attenzione sull'osservanza di quanto stabilito nel Piano ed ha diramato la circolare n. 0023836 del 7 agosto 2018, nella quale raccomanda l'applicazione delle misure di prevenzione, con particolare riferimento alle misure di corretta gestione del territorio.
  In particolare, al fine di sviluppare azioni di risanamento ambientale, è stata sottolineata la necessità di procedere, in collaborazione con le autorità competenti, a seconda delle realtà locali, ad interventi comprendenti, fra l'altro: manutenzione delle aree verdi pubbliche; pulizia delle aree abbandonate; eliminazione dei rifiuti per evitare la presenza di contenitori, anche di piccole dimensioni, contenenti acqua; drenaggio; canalizzazione; asportazione o chiusura di recipienti.
  È stata ribadita, inoltre, la necessità di rafforzare la sensibilizzazione della popolazione, anche con interventi porta a porta, per eliminare i siti di riproduzione delle zanzare nelle aree private.
  Le regioni interessate hanno, dunque, dovuto intraprendere, pur sulla base della loro autonomia, misure straordinarie per il controllo del vettore, incrementando le iniziative di monitoraggio del territorio e la diffusione di informazioni ai cittadini, aumentando la quantità e l'efficacia degli interventi larvicidi e adulticidi.
  Inoltre, in considerazione dell'eccezionalità della situazione epidemiologica, il 5 settembre 2018 il Ministero della salute ha ritenuto opportuno convocare una riunione, a cui hanno partecipato rappresentanti dell'Istituto superiore di sanità, delle regioni interessate, degli Istituti zooprofilattici sperimentali, per fare il punto della situazione e valutare l'adozione di ulteriori misure di controllo.
  In tale sede, si è potuto verificare che:

   la sorveglianza dei casi sta funzionando correttamente;

   misure straordinarie di disinfestazioni con adulticidi e larvicidi sono state prese dalle autorità regionali nel raggio di 200 metri intorno al caso di malattia da West nile (come da piano nazionale), includendo nei trattamenti i parchi pubblici, gli ospedali e i luoghi di aggregazione con spazi verdi; sono stati intensificati gli interventi comunicativi alla popolazione; si è verificata una circolazione virale precoce, le cui cause devono essere studiate ed approfondite ai fini della pianificazione per il 2019; si registrano criticità nella «compliance» dei comuni nell'attuare misure preventive di controllo dei vettori (lotta larvicida condotta precocemente); non esistono, al momento attuale, interventi sperimentati e sicuri diversi da quelli già noti, e per ora è necessario continuare con la lotta larvicida condotta precocemente, in quanto strumento utile a ridurre il numero delle zanzare; sono state diramate misure preventive riguardanti trapianti d'organo, tessuti e cellule, e le trasfusioni di sangue.

  Inoltre il Ministero della salute ha ritenuto di istituire un tavolo tecnico intersettoriale sulle malattie trasmesse da vettori, a cui sono stati invitati, oltre a diversi enti sanitari, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, l'Associazione nazionale comuni italiani, l'Associazione rete italiana città sane.
  Tale tavolo dovrà proporre interventi di sorveglianza e controllo delle malattie trasmesse da vettori più articolati, che tengano conto anche di fattori ambientali, sociali, produttivi ed organizzativi.
  Questa iniziativa è in linea con la strategia dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), approvata durante l'Assemblea mondiale della sanità nel 2017, che si basa su quattro pilastri, di cui uno è dedicato specificatamente al rafforzamento della collaborazione intersettoriale, e prevede l'attivazione di «
task-force» (o comitati, o tavoli) a cui partecipino i ministeri coinvolti e le amministrazioni locali, per migliorare il coordinamento e massimizzare l'impatto delle attività di contrasto ai vettori, collegandole anche alle strategie per aumentare la resilienza agli effetti dei cambiamenti climatici, per contrastare l'urbanizzazione incontrollata e per ridurre la povertà.
  Il Ministero della salute, nell'ambito dei progetti intrapresi per il tramite del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ccm), ha finanziato il progetto «Prevenzione delle malattie a trasmissione vettoriale: sviluppo e implementazione pilota di strumenti di supporto operativo», che, per quanto riguarda il Wnv, ha permesso lo studio e la realizzazione di applicativi «
on-line» (piattaforme web) rivolti alla condivisione dei dati sulla sorveglianza.
  Inoltre, il Ministero della salute ha proposto un ulteriore progetto, rivolto a rafforzare la formazione in entomologia di sanità pubblica degli operatori del Servizio sanitario nazionale e di altri enti, di cui si è in attesa dell'esito della valutazione.
  Altri studi, soprattutto in relazione all'effetto delle variabili climatiche sull'ecologia dei vettori e la diffusione delle arbovirosi, con effetto predittivo, sono svolti con la collaborazione del Centro europeo per la prevenzione ed il controllo delle malattie (Ecdc).
  Si ritiene, pertanto, che l'insieme delle iniziative messe in piedi negli anni dal Ministero della salute, e recentemente implementate in considerazione del picco di quest'anno, possano offrire buone e documentate risposte scientifiche al fine, cui si dovrà comunque tendere sempre con maggior forza, di prevenire il più possibile l'estensione del fenomeno.

La Ministra della salute: Giulia Grillo.


   BIGNAMI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il virus West Nile ha un andamento endemico-epidemico e inizialmente risultava diffuso soprattutto in Africa, specie in Egitto, Medio Oriente, India. A oggi il virus del Nilo occidentale deve essere ormai considerato un patogeno endemico in Africa, Asia, Australia, Medio Oriente, Europa e negli Stati Uniti; circa l'80 per cento delle infezioni da West Nile Virus nell'essere umano non causano sintomi evidenti;

   il virus è diffuso tramite la zanzara del genere Culex, da sempre molto diffusa nel territorio del Delta del Po ed è particolarmente favorito dal clima subtropicale degli ultimi anni, specie nelle zone di campagna;

   purtroppo si riscontra una diffusione massiccia del virus soprattutto in regioni come l'Emilia-Romagna;

   quest'anno proprio l'Emilia-Romagna è diventata la prima regione per numero di decessi e per numero di casi. Stando ai dati forniti dal portale dell'epidemiologia per la sanità pubblica dell'Istituto superiore di sanità, vi sarebbero stati in Emilia-Romagna 12 morti, 81 infezioni nella forma più grave, quella neuroinvasiva, 58 casi di febbre causati dal virus, 27 donatori contagiati;

   è evidente pertanto che occorra intervenire sul potenziamento della profilassi che deve essere adeguata al contenimento della diffusione della zanzara portatrice del virus;

   la regione Emilia-Romagna parrebbe aver diramato una direttiva, dal contenuto apparentemente riservato, con la quale sollecitava i comuni a porre in essere opere di bonifica per contrastare la diffusione della zanzara portatrice del virus, solamente il 16 agosto 2018;

   l'assessore regionale alla sanità ha di recente rilasciato dichiarazioni a mezzo stampa (Resto del Carlino – 5 settembre 2018) in cui ammetteva: «bisogna che sensibilizziamo ulteriormente i Comuni per combattere le larve quando è ora di farlo». Dall'articolo di stampa si evince inoltre che la regione non avrebbe avviato alcun controllo sui comuni negligenti, a differenza invece di quanto fatto dalla regione Veneto –:

   se sia a conoscenza della situazione suesposta;

   se, alla luce di quanto esposto in premessa, intenda promuovere, per quanto di competenza, adeguati approfondimenti in merito a quanto è stato effettuato nel territorio della regione medesima per contrastare la diffusione del virus West Nile.
(4-01064)

  Risposta. — Il virus West nile (Wnv) è un Flavivirus appartenente alla famiglia «Flaviviridae», trasmesso da insetti vettori ed attualmente presente nel territorio italiano.
  Si tratta di un agente zoonotico il cui ciclo biologico è caratterizzato dalla trasmissione tra zanzare ornitofile ed alcune specie di uccelli selvatici.
  Attraverso la puntura di zanzara il virus può passare, inoltre, dalle popolazioni aviarie ai mammiferi, ed anche all'uomo.
  Altri mezzi di infezione documentati, anche se molto più rari, sono i trapianti di organi, le trasfusioni di sangue e la trasmissione madre-feto in gravidanza.
  Gli esseri umani ed i cavalli, sebbene siano ospiti a fondo cieco, ossia non in grado di trasmettere l'infezione agli insetti vettori, possono sviluppare forme cliniche anche gravi, con disturbi neurologici quali encefalite, meningo-encefalite o paralisi flaccida.
  In Italia, il primo focolaio di malattia di
West nile (Wnd) è stato confermato nella tarda estate del 1998 nell'area circostante il Padulle di Fucecchio in Toscana, con alcuni casi clinici nei cavalli: in questo primo focolaio non si sono verificati casi umani.
  A seguito di tale rilevamento, il Ministero della salute, dal 2002, ha attivato il Piano nazionale di sorveglianza per la Wnd, con l'obiettivo di rilevare l'introduzione e monitorare la circolazione del Wnv sull'intero territorio nazionale.
  Tale piano ha consentito di identificare nel 2008, a 10 anni di distanza dal primo focolaio, la circolazione di Wnv in Emilia Romagna, Veneto e Lombardia, in uccelli, mammiferi e insetti vettori, con la segnalazione dei primi casi umani, che, da allora in poi, è stata segnalata ogni anno.
  In Italia, la sorveglianza epidemiologica dei casi umani di malattia da Wnv è regolata dal Piano nazionale integrato di sorveglianza e risposta che viene attualizzato ogni anno.
  Le attività di sorveglianza umana prevedono che vengano individuati e segnalati casi clinici, importati (tutto l'anno) e autoctoni (da giugno a ottobre), di forme cliniche neuroinvasive, nelle aree a dimostrata circolazione di Wnv.
  Il piano prevede, inoltre, la sorveglianza entomologica, con l'attuazione di protocolli operativi diversificati in relazione alla presenza o meno di casi umani, basati sia sull'informazione della popolazione sia su interventi ordinari di controllo con prodotti larvicidi, al fine di ridurre la presenza di focolai larvali peri-domestici di zanzare, sia l'uso di adulticidi in caso di elevata densità delle zanzare.
  L'allegato 4 al piano riporta le specifiche sull'intervento per il controllo del vettore (
Culex pipiens), con indicazioni operative dettagliate sulle responsabilità e sugli interventi di controllo e di monitoraggio che devono essere messi in atto.
  Le attività di sorveglianza sono estese agli uccelli stanziali, agli uccelli migratori e agli equidi, per permettere la definizione esatta delle aree in cui circola il virus.
  Secondo uno studio pubblicato da «Eurosurveillance» nel 2017, il Piano di sorveglianza integrato di Wnv italiano, che comprende la sorveglianza dei casi umani, la sorveglianza entomologica, la sorveglianza dei casi negli equidi e la sorveglianza in uccelli stanziali e migratori, è uno dei più completi a livello europeo ed ha come presupposto la collaborazione intersettoriale, utilizzando un approccio «
One Health».
  I risultati della sorveglianza integrata del virus
West nile mostrano che, complessivamente in Italia, dal 2008 al 2017 sono stati notificati oltre 247 casi umani autoctoni di malattia neuro-invasiva da West nile, da 9 regioni (Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia-Romagna, Basilicata, Puglia, Sicilia e Sardegna) e 8 casi confermati importati.
  Negli anni passati, i casi umani si sono manifestati solitamente a luglio, con un picco ad agosto.
  Quest'anno, invece, si è evidenziata, sia a livello europeo che nazionale, una circolazione più precoce del Wnv, con i primi casi notificati già a giugno dall'Italia e dalla Grecia. Si è inoltre registrato un numero più elevato dell'atteso sia di casi umani, anche in forma neuroinvasiva, che di decessi, nonché un'elevata circolazione virale nelle zanzare e negli uccelli.
  Nel 2018, alla data del 14 novembre, in Italia sono stati segnalati 577 casi umani confermati di infezione da
West nile virus, di cui 230 si sono manifestati nella forma neuroinvasiva (63 in Veneto, 100 in Emilia-Romagna, 16 in Lombardia, 38 in Piemonte, 3 in Sardegna, 9 in Friuli Venezia Giulia, e 1 caso segnalato dal Molise importato dalla Grecia), tra i quali 42 decessi (1 in Lombardia, 13 in Veneto, 21 in Emilia-Romagna, 3 in Piemonte, 4 in Friuli Venezia Giulia); 279 casi come febbre confermata (66 in Emilia-Romagna, 190 in Veneto, 7 in Lombardia, 6 in Piemonte, 10 in Friuli Venezia Giulia) e 68 casi identificati in donatore di sangue (30 in Emilia-Romagna, 14 in Veneto, 9 in Piemonte, 11 in Lombardia, 3 in Friuli Venezia Giulia, 1 in Sardegna).
  La eccezionale diffusione del Wnv durante la stagione attuale non è un fenomeno solo italiano: infatti, a livello europeo, il Centro europeo per la prevenzione ed il controllo delle malattie (Ecdc), che coordina la sorveglianza dei diversi Paesi, ha segnalato che attualmente i casi umani di infezione da Wnv registrati nel 2018 superano il totale dei casi notificati negli ultimi cinque anni; inoltre l'infezione si sta diffondendo anche in Paesi che in passato non avevano presentato casi.
  In relazione all'attuale situazione epidemiologica, questo Ministero ha immediatamente richiamato l'attenzione sull'osservanza di quanto stabilito nel Piano ed ha diramato la circolare n. 0023836 del 7 agosto 2018, nella quale raccomanda l'applicazione delle misure di prevenzione, con particolare riferimento alle misure di corretta gestione del territorio.
  In particolare, al fine di sviluppare azioni di risanamento ambientale, è stata sottolineata la necessità di procedere, in collaborazione con le autorità competenti, a seconda delle realtà locali, ad interventi comprendenti, fra l'altro: manutenzione delle aree verdi pubbliche; pulizia delle aree abbandonate; eliminazione dei rifiuti per evitare la presenza di contenitori, anche di piccole dimensioni, contenenti acqua; drenaggio; canalizzazione; asportazione o chiusura di recipienti.
  È stata ribadita, inoltre, la necessità di rafforzare la sensibilizzazione della popolazione, anche con interventi porta a porta, per eliminare i siti di riproduzione delle zanzare nelle aree private.
  Le regioni interessate hanno, dunque, dovuto intraprendere, pur sulla base della loro autonomia, misure straordinarie per il controllo del vettore, incrementando le iniziative di monitoraggio del territorio e la diffusione di informazioni ai cittadini, aumentando la quantità e l'efficacia degli interventi larvicidi e adulticidi.
  Inoltre, in considerazione dell'eccezionalità della situazione epidemiologica, il 5 settembre 2018 il Ministero della salute ha ritenuto opportuno convocare una riunione, a cui hanno partecipato rappresentanti dell'Istituto superiore di sanità, delle regioni interessate, degli Istituti zooprofilattici sperimentali, per fare il punto della situazione e valutare l'adozione di ulteriori misure di controllo.
  In tale sede, si è potuto verificare che:

   la sorveglianza dei casi sta funzionando correttamente;

   misure straordinarie di disinfestazioni con adulticidi e larvicidi sono state prese dalle autorità regionali nel raggio di 200 metri intorno al caso di malattia da West nile (come da piano nazionale), includendo nei trattamenti i parchi pubblici, gli ospedali e i luoghi di aggregazione con spazi verdi; sono stati intensificati gli interventi comunicativi alla popolazione; si è verificata una circolazione virale precoce, le cui cause devono essere studiate ed approfondite ai fini della pianificazione per il 2019; si registrano criticità nella «compliance» dei comuni nell'attuare misure preventive di controllo dei vettori (lotta larvicida condotta precocemente); non esistono, al momento attuale, interventi sperimentati e sicuri diversi da quelli già noti, e per ora è necessario continuare con la lotta larvicida condotta precocemente, in quanto strumento utile a ridurre il numero delle zanzare; sono state diramate misure preventive riguardanti trapianti d'organo, tessuti e cellule, e le trasfusioni di sangue.

  Inoltre il Ministero della salute ha ritenuto di istituire un tavolo tecnico intersettoriale sulle malattie trasmesse da vettori, a cui sono stati invitati, oltre a diversi enti sanitari, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, l'Associazione nazionale comuni italiani, l'Associazione rete italiana città sane.
  Tale tavolo dovrà proporre interventi di sorveglianza e controllo delle malattie trasmesse da vettori più articolati, che tengano conto anche di fattori ambientali, sociali, produttivi ed organizzativi.
  Questa iniziativa è in linea con la strategia dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), approvata durante l'Assemblea mondiale della sanità nel 2017, che si basa su quattro pilastri, di cui uno è dedicato specificatamente al rafforzamento della collaborazione intersettoriale, e prevede l'attivazione di «
task-force» (o comitati, o tavoli) a cui partecipino i ministeri coinvolti e le amministrazioni locali, per migliorare il coordinamento e massimizzare l'impatto delle attività di contrasto ai vettori, collegandole anche alle strategie per aumentare la resilienza agli effetti dei cambiamenti climatici, per contrastare l'urbanizzazione incontrollata e per ridurre la povertà.
  Il Ministero della salute, nell'ambito dei progetti intrapresi per il tramite del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ccm), ha finanziato il progetto «Prevenzione delle malattie a trasmissione vettoriale: sviluppo e implementazione pilota di strumenti di supporto operativo», che, per quanto riguarda il Wnv, ha permesso lo studio e la realizzazione di applicativi «
on-line» (piattaforme web) rivolti alla condivisione dei dati sulla sorveglianza.
  Inoltre, il Ministero della salute ha proposto un ulteriore progetto, rivolto a rafforzare la formazione in entomologia di sanità pubblica degli operatori del Servizio sanitario nazionale e di altri enti, di cui si è in attesa dell'esito della valutazione.
  Altri studi, soprattutto in relazione all'effetto delle variabili climatiche sull'ecologia dei vettori e la diffusione delle arbovirosi, con effetto predittivo, sono svolti con la collaborazione del Centro europeo per la prevenzione ed il controllo delle malattie (Ecdc).
  Si ritiene, pertanto, che l'insieme delle iniziative messe in piedi negli anni dal Ministero della salute, e recentemente implementate in considerazione del picco di quest'anno, possano offrire buone e documentate risposte scientifiche al fine, cui si dovrà comunque tendere sempre con maggior forza, di prevenire il più possibile l'estensione del fenomeno.

La Ministra della salute: Giulia Grillo.


   BIGNAMI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la legge 4 aprile 1956, n. 212, «Norme per la disciplina della propaganda elettorale» dispone, tra l'altro che i comuni devono «(...) stabilire in ogni centro abitato, con popolazione residente superiore a 150 abitanti, speciali spazi da destinare, a mezzo di distinti tabelloni o riquadri, esclusivamente all'affissione degli stampati, dei giornali murali od altri e dei manifesti (...)»;

   sovente tali operazioni di montaggio (e spesso anche noleggio pannelli) non vengono svolte da personale comunale (remunerato attraverso le spese di straordinario appositamente previste), ma attraverso affidamenti di servizi a terzi;

   tali spese, derivanti da affidamenti di servizi, sono rendicontate dai comuni alle prefetture e dalle stesse ammesse a rimborso –:

   a quanto siano ammontati, in occasione delle ultime elezioni politiche di marzo 2018, i rimborsi erogati dal Ministero dell'interno, per il tramite delle prefetture — uffici territoriali del Governo (UTG) derivanti da spese per servizi di montaggio e noleggio di pannelli per la propaganda elettorale diretta.
(4-01846)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si chiede se in occasione delle ultime elezioni politiche di marzo 2018, siano stati quantificati i rimborsi derivanti dalle spese sostenute dai comuni per servizi di montaggio e noleggio di pannelli per la propaganda elettorale diretta.
  In merito si fa presente che l'articolazione delle spese sostenute dai comuni per l'organizzazione degli eventi elettorali è a conoscenza delle singole prefetture, alle quali i comuni interessati presentano il rendiconto, al fine di ottenere i rimborsi dello Stato.
  Si fa presente al riguardo che il Ministero dell'interno, in via sperimentale, ha predisposto alcune rilevazioni statistiche che permettono, con le dovute cautele, una valutazione dei costi sostenuti.
  Dai dati attualmente in possesso, seppure non del tutto completi, in merito alle spese sostenute dai comuni in materia di propaganda elettorale in occasione delle consultazioni elettorali del 4 marzo 2018, risulta quanto segue:

   comuni che hanno inviato ad oggi le statistiche: n. 6.696;

   comuni che hanno risposto alla voce «propaganda elettorale»: n. 1.638;

   totale spese «propaganda elettorale» dichiarate: euro 7.944.210,00.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Stefano Candiani.


   BILLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   il 9 gennaio 2019 un gruppo di un centinaio di giovani è entrato e ha occupato l'edificio di Casa d'Italia a Zurigo. Il pronto intervento delle forze dell'ordine svizzere ha permesso lo sgombero dell'edificio dopo qualche ora dalla sua occupazione;

   l'edificio appartiene al demanio dello Stato italiano. Casa d'Italia è stata per molti anni un punto di riferimento per gli italiani residenti in Svizzera e nei suoi locali ha ospitato varie associazioni, oltre che la scuola italiana;

   dal mese di luglio 2017 Casa d'Italia è chiusa in attesa di essere ristrutturata, nel frattempo sono stati condotti gli esami per verificarne la solidità strutturale. Alla fine della ristrutturazione l'edificio dovrebbe ospitare il consolato italiano di Zurigo e le scuole materne, elementari e medie italiane –:

   quale sia lo stato attuale dei lavori e quali i passi successivi e se sia confermato il 2021 come data di termine dei lavori e di apertura della nuova Casa d'Italia;

   se i fondi previsti, circa 10 milioni di euro, siano stati stanziati interamente e siano già disponibili;

   se siano confermate le destinazioni d'uso dell'edificio e se sarà possibile predisporre degli spazi per le associazioni italiane.
(4-02243)

  Risposta. — La Casa d'Italia a Zurigo è un edificio demaniale di proprietà dello Stato italiano, sito in Ermanstrasse, 6, costruito tra il 1931 e il 1932 ed è annoverato nell'inventario federale degli insediamenti svizzeri con importanza nazionale da proteggere (Isos), con obiettivo di protezione «A e B». È inoltre oggetto di salvaguardia a livello comunale, insieme al cortile e alla recinzione che lo circonda su ogni lato.
  Dal luglio 2017, l'edificio, che ospitava la scuola italiana – asilo, elementare, medie e liceo – oltre ad alcune associazioni italiane, e che necessitava di rilevanti lavori di ristrutturazione e di sicurezza in materia di impianti elettrici e normativa antincendio, è stato completamente svuotato per dar corso alla progettazione e successiva esecuzione dei predetti lavori.
  Trattandosi di un edificio sotto tutela architettonica, la sicurezza dell'immobile è assicurata dalla polizia cittadina, con la previsione di misure preventive e repressive, al fine di fronteggiare intrusioni non autorizzate e dar corso ad interventi rapidi di sgombero.
  Pertanto, la polizia cittadina, avendo la facoltà di agire con grande rapidità, come previsto nelle disposizioni locali, «
Factsheet Haus Occupations», è prontamente intervenuta per sventare un tentativo di occupazione di circa 80 giovani, il 26 gennaio 2019 (mentre il 9 gennaio 2019, si era svolta un'esercitazione dimostrativa della polizia).
  Per quanto riguarda lo stato di avanzamento dei lavori di ristrutturazione della Casa d'Italia, è stata ottenuta dal comune di Zurigo l'autorizzazione del cambio di destinazione d'uso dell'edificio che consentirà di continuare ad ospitare la scuola italiana e di installare nell'immobile il Consolato generale d'Italia, attualmente ospitato in un edificio in affitto al canone annuo di oltre 600.000 euro.
  Tale operazione consentirà sia di realizzare, negli anni, un sensibile risparmio per l'Erario italiano, sia di rafforzare l'immagine dell'immobile come luogo di identificazione italiana.
  La fase di elaborazione della progettazione preliminare è pressoché conclusa ed il progetto con tutte le indicazioni della distribuzione degli spazi al suo interno (suddiviso tra le strutture scolastiche, gli uffici del Consolato generale, l'Istituto italiano di cultura, l'Enit, e il Comites) sarà sottoposto alla valutazione delle autorità locali entro il corrente mese per la preventiva autorizzazione.
  A seguito di ciò, sarà esperita la gara per l'elaborazione del progetto esecutivo, in base al quale si procederà all'affidamento della realizzazione dei lavori di ristrutturazione. Sono già presenti in bilancio i fondi necessari per la realizzazione delle suddette attività, stimati in 10 milioni di franchi svizzeri, pari a circa 8 milioni di euro.
  Il programma dei lavori prevede che essi siano ultimati entro il 2021.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Ricardo Antonio Merlo.


   BITONCI, ANDREUZZA, BADOLE, BAZZARO, BISA, COIN, COLMELLERE, COMENCINI, COVOLO, FANTUZ, FOGLIANI, GIACOMETTI, LAZZARINI, MANZATO, PATERNOSTER, PRETTO, RACCHELLA, STEFANI, TURRI, VALBUSA, VALLOTTO e ZORDAN. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   un noto ex giocatore e allenatore padovano di rugby, di anni 55, A.B., da quasi due anni lotta contro la sclerosi laterale amiotrofica (Sla), che lo costringe su una sedia a rotelle;

   la Sla è una malattia neurodegenerativa dell'età adulta della quale ancora non si conoscono le cause;

   negli anni si sono sviluppati diversi studi per trovare una terapia in grado di rallentare la degenerazione motoria causata dalla malattia. E oggi sembra che si sia arrivati ad un traguardo molto importante in grado di dare delle speranze ai pazienti affetti da Sla;

   arriva dal Giappone e si chiama Radicut il nuovo farmaco in grado di rallentare moderatamente la degenerazione motoria causata dalla malattia;

   l'Aifa ha approvato infatti l'introduzione in Italia del Radicut, nome commerciale dell'edaravone, e con la determina del direttore generale del 28 giugno 2017, n. 1224, ha inserito il Radicut nell'elenco dei medicinali erogabili a totale carico del servizio sanitario nazionale, ai sensi della legge 23 dicembre 1996, n. 648, per il trattamento della Sla. Tale farmaco dunque è stato inserito tra i cosiddetti «medicinali innovativi» per il trattamento terapeutico di patologie che, come la Sla, sono prive di adeguata cura. Si tratta di farmaci già in commercio in altri Stati, ma non sul territorio nazionale, perché, pur avendo superato tutte le prove relative alla sicurezza e alla sopravvivenza, sono ancora soggetti a sperimentazione clinica;

   stando alle indicazioni terapeutiche, l'Aifa consente la prescrizione del farmaco solo da parte del neurologo ed esclusivamente per i pazienti aventi le idonee caratteristiche cliniche (la comparsa della malattia da non oltre due anni, una disabilità moderata e, infine, una buona funzionalità respiratoria);

   perché il Radicut sia disponibile in Italia è necessario attendere il completamento delle procedure di importazione del farmaco dal Giappone dove è prodotto dall'azienda Mitsubishi Tanabe;

   in particolare, A.B., mentre stava effettuando le terapie in neurologia con immunoglobuline, dopo alcuni esami, è stato ammesso alla nuova cura sperimentale con il Radicut. Avrebbe dovuto iniziarla l'11 novembre 2017, ma tre giorni prima dell'inizio della terapia gli venne comunicato che, dopo aver riesaminato le sue analisi, i parametri richiesti non erano sufficienti per ottenere il farmaco. Tra l'altro, la vana accettazione del nuovo programma ha portato alla sospensione di quello che seguiva. Così, al momento, A.B. si trova in una situazione di assoluto disagio, dovendo provvedere da solo alle cure necessarie rifornendosi in Giappone. È evidente che ciò comporta un enorme dispendio di denaro; provvedere autonomamente è difficile e costosissimo, in quanto il Radicut è in vendita solo nelle farmacie del Vaticano e in Giappone. In Vaticano dieci fiale costano 1.800 euro, e a lui ne servono 60; in Giappone le dieci fiale vengono 400 euro, ma vi è comunque la necessità di trovare un canale per ottenerle;

   secondo i criteri di inclusione previsti dalla determina dell'Aifa, pochi avranno la possibilità di vedersi prescrivere un piano terapeutico con il Radicut;

   è evidente quindi la necessità di aprire entro breve un tavolo di confronto per ampliare questi criteri o, almeno, renderli «elastici». Se è vero che gli stessi scaturiscono dai risultati della sperimentazione dell'edaravone in Giappone, è altrettanto vero che, oltre al diritto di cura che ogni cittadino dovrebbe vedersi garantito, ci sono anche dei casi particolari da considerare –:

   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere tempestivamente le iniziative di competenza affinché i requisiti per la somministrazione del Radicut possano essere riconsiderati e ampliati per garantire cittadini malati di Sla, indipendentemente dallo stadio di gravità, il diritto alle cure.
(4-00340)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame sulla base degli elementi acquisiti presso l'Agenzia italiana del farmaco (Aifa).
  A seguito della decisione assunta dalla commissione consultiva tecnico scientifica dell'Agenzia italiana del farmaco (Cts) nella riunione del 14-16 giugno 2017, con determinazione Aifa n. 1224 del 28 giugno 2017 è stato disposto l'inserimento del medicinale edaravone nell'elenco dei farmaci erogabili a totale carico del Servizio sanitario nazionale (Ssn), ai sensi della legge 23 dicembre 1996, n. 648, per l'indicazione «Trattamento di pazienti con diagnosi definita o probabile di sclerosi laterale amiotrofica», consentendo l'accesso alla terapia sulla base dei seguenti criteri di inclusione:

   diagnosi di sclerosi laterale amiotrofica definita o probabile secondo i criteri rivisti di El Escorial; età di almeno 18 anni compiuti; punteggio di almeno 2 in ogni elemento della scala Als «Functional rating scale-rivised» (Alsfrs-r); Funzionalità respiratoria caratterizzata da un valore di capacità vitale forzata (Cvf) almeno pari all'80 per cento teorico; durata della malattia dall'esordio dei sintomi al massimo di 2 anni; riduzione da 1 a 4 punti nel punteggio della scala Als nelle 12 settimane precedenti all'inizio del trattamento.

  Successivamente, con determinazione Aifa n. 819 del 23 maggio 2018, si è provveduto a modificare le condizioni di accesso e somministrazione del medicinale edaravone per la predetta indicazione terapeutica.
  Nello specifico: è stato eliminato il criterio della «durata della malattia dall'esordio dei sintomi al massimo di 2 anni», si è previsto che «la somministrazione dei cicli successivi al primo può anche essere effettuata presso il domicilio del paziente sotto la supervisione e la responsabilità dello specialista e/o del medico curante, purché non siano emersi problemi di sicurezza».
  Sulla base di quanto esposto, l'Agenzia ritiene di aver compiuto ogni possibile sforzo al fine di rispondere al bisogno di salute espresso dai pazienti affetti da Sla nel rispetto delle ineludibili esigenze di tutela della salute pubblica rientranti nel proprio mandato.

Il Ministro della salute: Giulia Grillo.


   BRESCIA, MACINA, DIENI, DAVIDE AIELLO, ALAIMO, BALDINO, BERTI, BILOTTI, MAURIZIO CATTOI, CORNELI, D'AMBROSIO, DADONE, FORCINITI, PARISSE, FRANCESCO SILVESTRI e ELISA TRIPODI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   con circolare n. 3 del 2017, protocollo n. DCRISLOG 0011950 del 20 aprile 2017, la direzione centrale per le risorse logistiche e strumentali del dipartimento dei vigili del fuoco del Soccorso pubblico e della difesa civile ha precisato le modalità di erogazione della mensa obbligatoria di servizio prevedendo, per le sedi con presenze medie a pranzo inferiori a 15 unità, un servizio sostitutivo di mensa attraverso la fruizione del buono pasto;

   a seguito della risoluzione della convenzione Consip Buoni pasto 7, lotto 3, buoni pasto Qui! Group, a partire dal mese di maggio 2018, i buoni pasto non sono stati erogati. La direzione regionale Puglia, con nota 12446 dell'11 luglio 2018,, ha rappresentato alla direzione centrale per le risorse logistiche e strumentali – Area II – gestione dei servizi ausiliari e funzionamento, l'urgenza di provvedere all'approvvigionamento di buoni pasto per il personale vigili del fuoco della Puglia; con nota 21341 del 16 luglio 2018 la suddetta direzione centrale ha autorizzato la direzione regionale Puglia ad avviare una procedura di gara per l'acquisto dei buoni pasto che si è conclusa il 22 ottobre 2018. Non possono, tuttavia, escludersi ulteriori ritardi dovuti agli adempimenti di legge connessi con il procedimento di gara;

   ai vigili del fuoco di numerose sedi di servizio della Puglia non è stata erogata la mensa di servizio che, oltre ad essere un diritto del lavoratore, ne rappresenta un obbligo. Alquanto singolare risulta quanto accaduto in alcune sedi di servizio del Comando vigili del fuoco di Bari al cui personale, su disposizione del comandante provinciale sono stati fatti recapitare, in contenitori e con mezzi che, a quanto consta agli interroganti, non risulterebbero idonei al trasporto di alimenti, alcuni panini che avrebbero dovuto rappresentare la fornitura di un «pranzo a sacco» ma che, sempre a quanto consta agli interroganti, sembrerebbe siano stati confezionati senza tenere adeguatamente conto dei parametri nutrizionali espressamente previsti dalle vigenti disposizioni dell'ufficio sanitario dei vigili del fuoco e rinvenibili nel contratto in essere con la ditta incaricata, che, tra l'altro, prevede tale tipologia di confezionamento esclusivamente nel caso di particolari esigenze di servizio per il personale comandato in servizio isolato o collettivo fuori dall'ordinaria sede di servizio –:

   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato al fine di ovviare a questo immeritato trattamento riservato ai vigili del fuoco;

   per quali ragioni, nelle more dello svolgimento della gara d'appalto appena richiamata, non sia stata autorizzata la trattativa diretta dal Mercato elettronico della pubblica amministrazione (MePA) così come richiesto dalle organizzazioni sindacali regionali della Puglia Uil Pa Vigili del Fuoco e Fns-Csil e come già accaduto in passato, consentendo dunque di assicurare ai vigili del fuoco di poter usufruire della mensa obbligatoria di servizio.
(4-01467)

  Risposta. — In relazione all'atto ispettivo, si fa presente che la regione Puglia rientra nella convenzione Consip buoni pasto 7, lotto 7.
  Sull'argomento occorre precisare che la circolare n. 3/2017, citata nell'interrogazione, ha segnato l'avvio della procedura ordinaria di gara della mensa obbligatoria di servizio per tutte le sedi territoriali del corpo nazionale dei vigili del fuoco, individuando una serie di modelli gestionali essenzialmente basati sull'alternativa tra «catering completo» e «catering veicolato» per tutte le sedi centrali e, comunque, per quelle con presenze medie superiori a 15 unità di personale e sul solo «catering veicolato» per le sedi con presenze inferiori a 15 unità, fatto salvo l'utilizzo residuale della cosiddetta «gestione diretta».
  L'indicazione fornita per le sedi con presenze ridotte è dovuta alla decurtazione delle risorse sul capitolo delle mense di servizio, pari a circa 2 milioni di euro.
  La direttiva sopra richiamata prevede, inoltre, il ricorso al servizio sostitutivo della mensa attraverso l'utilizzo del buono pasto in caso di inidoneità della struttura o altri particolari impedimenti. Prendendo atto della costante propensione all'aumento di tale modello su tutto il territorio nazionale, inoltre, previa intesa in sede locale tra direzioni regionali dei vigili del fuoco e organizzazioni sindacali, si è ritenuto di consentire il ricorso a tale opzione, anche durante l'esecuzione contrattuale, purché nel rispetto del quinto contrattuale.
  Con specifico riferimento alla mancata erogazione del servizio mensa per le sedi dei vigili del fuoco in Puglia, lamentata nell'interrogazione, si fa presente che già da alcuni anni, in ambito locale, si è optato per un esteso utilizzo del buono pasto presso la maggior parte delle sedi territoriali.
  Prima dell'ultima gara d'appalto del servizio ristorazione, bandita nel maggio 2017, è stata effettuata un'accurata ricognizione sul territorio, che ha decretato un ulteriore incremento dell'utilizzo di tale strumento.
  Con riferimento al tema dell'approvvigionamento dei buoni pasto presso la Direzione dei vigili del fuoco della Puglia, si rappresenta che la gara indetta con procedura negoziata
ex articolo 63 del codice dei contratti pubblici è stata autorizzata dal Ministero dell'interno a seguito della scadenza naturale, intervenuta in data 21 giugno 2018, della relativa convenzione Consip stipulata in sede locale, dopo aver constatato la mancanza di analoghe convenzioni e l'impossibilità di acquistare buoni pasto sulla piattaforma Mepa per l'assenza di operatori economici iscritti alla categoria di riferimento.
  Al fine di garantire la continuità nell'erogazione dei buoni pasto, la direzione regionale Puglia ha, comunque, autorizzato i comandi della regione ad acquistare i buoni pasto per il fabbisogno relativo ai mesi di luglio ed agosto 2018.
  Il 22 ottobre 2018, la direzione regionale dei vigili del fuoco della Puglia, in qualità di stazione appaltante, è stata autorizzata ad avvalersi dell'istituto dell'esecuzione anticipata del contratto, espressamente prevista dal codice dei contratti pubblici, al fine di assicurare, senza interruzione, la prosecuzione dei servizio sostitutivo della mensa nelle more della stipula del contratto.
  Lo stesso ufficio ha, pertanto, provveduto alla distribuzione dei buoni pasto maturati nei mesi di settembre, ottobre, novembre e dicembre 2018, acquistati dalla Edenred Italia Srl, impresa aggiudicataria dell'appalto della procedura di gara e – nel trasmettere la programmazione al competente ufficio del Ministero dell'interno – ha chiesto contestualmente l'autorizzazione a poter aderire alla convenzione Consip 8 lotto buoni pasto in formato elettronico, per l'approvvigionamento dei buoni pasto relativi all'intero fabbisogno del 2019.
  In considerazione dei tempi necessari per la suindicata autorizzazione, l'adesione alla citata convenzione dovrebbe produrre effetto per la fruizione dei buoni pasto maturati nel corrente mese di febbraio.
  Nel frattempo, per il mese di gennaio, al fine di assicurare la fruizione dei buoni pasto al personale avente diritto in formato cartaceo, la citata direzione regionale ha aderito alla convenzione Consip buoni pasto in formato cartaceo e ha già effettuato il relativo ordine, per la tempestiva distribuzione dei
tickets ai relativi comandi.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Stefano Candiani.


   CARNEVALI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 381 del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495 (regolamento di esecuzione e di attuazione del codice della strada), prevede al fine di agevolare la mobilità delle persone invalide che: «Per la circolazione e la sosta dei veicoli a servizio delle persone invalide con capacità di deambulazione impedita, o sensibilmente ridotta; il comune rilascia apposita autorizzazione in deroga, previo specifico accertamento sanitario»;

   l'interpretazione delle parole «con capacità di deambulazione impedita o sensibilmente ridotta» deve intendersi nella sua accezione più espansiva, come più volte sottolineato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (nel parere n. 2242 del 14 maggio 2015; nella nota del dipartimento per i trasporti, la navigazione, gli affari generali ed il personale, n. 1567 del 11 marzo 2016; nella risposta all'interrogazione n. 4-18261 presentata dalla sottoscritta nella XVII legislatura) che ha affermato: «il contrassegno potrebbe essere rilasciato a persone, come il disabile psichico, autistico, che teoricamente non presentano problemi di deambulazione, ma che proprio a causa della loro specifica patologia, non possono essere considerate autonome nel rapporto con la mobilità»;

   all'interrogante risulta che, nonostante questa costante linea interpretativa, l'applicazione della norma - in particolare da parte delle aziende sanitarie competenti a certificare il diritto all'autorizzazione - non sia omogenea sul territorio nazionale e conforme a tale interpretazione. In diverse occasioni, infatti, ne sarebbe stata preferita una più restrittiva dell'articolo 381 con particolare riferimento a cittadini con disturbi comportamentali, intellettivi e cognitivi o disturbi dello spettro autistico, anche gravi;

   al fine di garantire che a queste persone venga riconosciuto il diritto al contrassegno speciale e al fine di assicurare una uniformità di interpretazione e giudizio da parte delle aziende sanitarie competenti, a parere dell'interrogante, si rende necessario l'intervento del Ministro interrogato –:

   se il Ministro interrogato intenda adottare le iniziative di competenza, anche con una circolare o una specifica nota interpretativa, al fine di assicurare una uniformità di interpretazione e giudizio sull'intero territorio nazionale e di garantire che alle persone con disturbi comportamentali, intellettivi e cognitivi o disturbi dello spettro autistico sia riconosciuto il diritto al contrassegno speciale di cui all'articolo 381 del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495.
(4-00032)

  Risposta. — Come riportato nell'interrogazione in esame, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha chiarito che ha diritto ad ottenere il rilascio del contrassegno invalidi per l'automobile non solo chi ha patologie fisiche relative al movimento, ma anche chi soffre di altre patologie invalidanti, quale per esempio l'autismo o altri disturbi intellettivi.
  Oltre a ciò, in tema del rilascio del contrassegno per il parcheggio invalidi si rammenta che è compito del medico dell'Asl competente per territorio accertare se l’
handicap che affligge il cittadino sia meritevole del rilascio o meno del contrassegno invalidi.
  Solo il medico può stabilire se il richiedente, qualora affetto da patologie teoricamente non limitative del movimento, ma che attengono solo a patologie mentali, possa ugualmente essere accreditato per il rilascio del contrassegno per il parcheggio invalidi.
  Infatti, sebbene quest'ultimo certificato sia tradizionalmente collegato a una limitata capacità a deambulare, la normativa vigente è molto più generica e non fa riferimento solo a problematiche di carattere fisico.
  Possono quindi rientrare nelle previsioni normative anche disturbi di tipo mentale e lo stesso autismo, patologie che non meno di un problema, per esempio agli arti, impediscono al soggetto un'autonoma mobilità in sicurezza.
  Tutto ciò premesso, in considerazione delle autonomie regionali e della professionalità dei sanitari che certificano, una specifica circolare potrebbe non risultare efficace per poter assicurare un'uniformità di interpretazione di giudizio sull'intero territorio nazionale.
  Si segnala, comunque, che il Ministero della salute, nell'ambito delle attività finalizzate all'attuazione del decreto legislativo del 13 aprile 2017, n. 66, «Norme per la promozione dell'inclusione scolastica degli studenti con disabilità», ha ritenuto opportuno costituire una rete di referenti regionali competenti in tema di disabilità e in grado di raccordarsi con le commissioni mediche di cui all'articolo 1 della legge 15 ottobre 1990, n. 295.
  In conclusione si ritiene che iniziative come questa possano favorire il confronto in merito alle procedure regionali in tema di concessione dell'invalidità civile e dei benefici della legge n. 104 del 1992, e facilitare un'uniformità di interpretazione della norma sullo specifico tema della concessione del contrassegno invalidi.

La Ministra della salute: Giulia Grillo.


   VANESSA CATTOI, FUGATTI, BINELLI, SEGNANA e ZANOTELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   notizie di stampa riportano di alcuni casi di parti difficoltosi che hanno trovato fortunatamente lieto fine nel pronto soccorso di Arco, l'ultimo in ordine di tempo pochi giorni fa, quando l'impossibilità di attendere l'arrivo dell'elicottero ha obbligato ad un intervento immediato;

   in altri casi, oltre alle urgenze mediche, si è dovuto intervenire per l'impossibilità di arrivo dell'elicottero per avverse situazioni meteorologiche;

   è importante ricordare che ad Arco il punto nascite è stato chiuso a seguito dell'applicazione della normativa nazionale, con l'avallo della provincia;

   dati alla mano risulta che la chiusura del punto nascita di Arco costa 545 mila euro all'anno all'azienda sanitaria della provincia autonoma di Trento per le spese dovute all'utilizzo dell'elicottero per «trasporti urgenti di donne gravide provenienti da Arco»;

   il costo di ogni intervento di elisoccorso va da un minimo di 96 euro al minuto per il vecchio elicottero a un massimo di 140 euro a minuto per gli elicotteri di più recente acquisizione, con una durata media per intervento pari a 55 minuti; va precisato che di regola vengono utilizzati gli elicotteri nuovi e solo in caso di avaria o manutenzione degli stessi si ricorre all'altro mezzo;

   altre regioni hanno chiesto deroghe per punti nascita di cui la norma imponeva la chiusura: Emilia-Romagna e Campania, ad esempio, hanno chiesto la deroga per tutti i punti nascita, motivando e rappresentando la necessità del mantenimento operativo, viste le criticità e le particolarità dei luoghi ove erano localizzati –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione e se intenda adottare le iniziative di competenza al fine di prevedere una deroga per il ripristino dell'attività del punto nascita di Arco, in modo da tutelare il bene primario della salute dei cittadini, soprattutto alla luce di quella che appare l'inerzia della provincia di Trento nella predisposizione della documentazione necessaria alla richiesta di deroga per i punti nascita di cui è stata prevista la chiusura, Arco e Tione, che ad avviso degli interroganti potrebbero ottenere la citata deroga viste le particolarità geografiche del bacino di utenza.
(4-00061)

  Risposta. — In merito all'oggetto dell'interrogazione, si ricorda che la riorganizzazione dei punti nascita (PN) scaturisce dall'accordo in conferenza unificata sancito il 16 dicembre 2010 tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, le province, i comuni e le comunità montane, sul documento concernente «linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo».
  Tale accordo, che ha impegnato tutte le regioni ad attuare 10 linee di azione per la ridefinizione del percorso nascita, è nato dalla generale consapevolezza di dover implementare alcune misure fondamentali per garantire livelli ottimali di qualità e sicurezza per la madre e il nascituro.
  Di particolare importanza è, in tal senso, la definizione del volume minimo di parti, che, secondo la letteratura e le esperienze in materia, costituisce «
conditio sine qua non» per configurare le condizioni organizzative e di competenza necessarie per la sicurezza del percorso nascita.
  Altrettanto determinante è la presenza di tutti i requisiti organizzativi, di sicurezza e tecnologici indicati dall'accordo del 16 dicembre 2010.
  Detto accordo ha previsto la costituzione del Comitato percorso nascita nazionale, organo tecnico costituito, tra gli altri, da esperti in campo materno/neonatale, con funzione di supporto alle regioni nel percorso di riorganizzazione della rete dei punti nascita.
  La possibilità di mantenere in attività punti nascita con volumi di attività inferiori ai 500 parti/anno, pur se non espressamente prevista dall'accordo in questione – che indicava l'eventualità di deroghe solo per punti nascita con numerosità non al di sotto del volume minimo fissato a 500 parti/anno – è stata accordata per venire incontro a specifiche esigenze legate a effettive, dimostrabili e insuperabili difficoltà orogeografiche di alcuni territori italiani: ciò, in funzione delle necessarie garanzie di sicurezza per le donne, i neonati e i professionisti e con l'obiettivo di un costante e virtuoso bilanciamento tra il rischio legato alla distanza tra comune di residenza della donna, comune sede del punti nascita oggetto di valutazione e punto nascita alternativo e il diverso, ma non meno importante, rischio collegato alla ridotta capacità di affrontare condizioni complesse e situazioni di emergenza derivanti dai volumi di casistica molto bassi.
  In tal senso, il decreto ministeriale 11 novembre 2015 (integrazione del decreto ministeriale 19 dicembre 2014 «costituzione comitato percorso nascita nazionale») ha disciplinato la possibilità di mantenere in attività punti nascita al di sotto dello
standard dei 500 parti/anno previo parere consultivo del comitato percorso nascita nazionale.
  Allo scopo è stato predisposto il protocollo metodologico per la valutazione delle richieste di mantenimento in attività dei con volumi di attività dei punti nascita con volumi di attività inferiori ai 500 parti/anno e in condizioni orogeografiche difficili (articolo 1 del decreto ministeriale 11 novembre 2015).
  Con particolare riguardo al punto nascita che forma oggetto dell'interrogazione, in data 2 febbraio 2016, la provincia autonoma di Trento ha presentato al Comitato percorso nascita nazionale richiesta di parere-deroga alla chiusura del punto nascita di Arco, insieme a quelli di Tione, Cavalese e Cles.
  Il comitato non ha ritenuto vi fossero elementi tali da definire il bacino di utenza di riferimento «orograficamente disagiato» e, soprattutto, non ha ritenuto fossero oggettivamente garantiti i requisiti di qualità e sicurezza per la madre ed il neonato.
  Inoltre, l'evidenza di un tasso di fidelizzazione del 64 per cento mostrava come solo poco più della metà delle donne del bacino di utenza sceglieva di partorire nel punto nascita di Arco, mentre una quota non trascurabile sceglieva punti nascita alternativi, anche più distanti.
  Infine, il punto nascita presso l'ospedale di Arco mostrava criticità organizzative, soprattutto per la carenza della guardia attiva h24 di ginecologi, anestesisti e pediatri, che avrebbe richiesto un significativo incremento del numero di risorse umane.
  Sembra utile evidenziare, come riportato in letteratura scientifica, che vi è un rapporto direttamente proporzionale tra competenza dei professionisti e volume dei parti, elemento che ha ricadute immediate nella gestione soprattutto delle situazioni di emergenza del
peripartum.
  Come appare evidente da quanto sopra riportato, il parere del Comitato percorso nascita nazionale è stato espresso non solo in coerenza con il dispositivo del citato accordo Stato-Regioni ma, soprattutto, a garanzia della massima sicurezza delle donne e dei neonati, elemento fondante e prioritario nell'attività del Comitato stesso a supporto della riorganizzazione della rete materno/neonatale prevista dal citato accordo e dal decreto ministeriale 70/2015 che ad esso ha dato cogenza.
  Quanto, poi, ai costi sostenuti per gli interventi di emergenza con elisoccorso per motivi ostetrici verso l'ospedale di Arco (14 nel biennio 2016-2017, contro 17 su strada nello stesso periodo di tempo), l'assessore provinciale alla salute, politiche sociali e sport ha precisato che gli episodi verificatisi sono compatibili con le attuali procedure di emergenza e che il servizio di trasporto con elisoccorso viene direttamente gestito dalla provincia di Trento con personale sanitario dell'azienda provinciale per i servizi sanitari.
  Pertanto, i costi fissi, quali il personale stesso, la manutenzione dei mezzi e gli ammortamenti, sono sostenuti indipendentemente dall'effettuazione o meno di interventi di emergenza, e non solo nell'area materno-infantile.
  Lo stesso assessore ha anche rilevato che, in effetti, la «messa a regime» dell’
équipe del personale del punto nascita di Arco, secondo gli standard nazionali, avrebbe comportato un costo annuale di oltre 3 milioni di euro.
  Ciò detto in relazione al caso specifico, oggetto della presente interrogazione, desidero segnalare che sul tema dei punti nascita è in atto un'attenta riflessione sull'opportunità di operare una rimodulazione della rete dei punti nascita, che tenga conto, prima di ogni altro aspetto, della sicurezza delle donne e dei bambini, oltre che della qualità dell'intero percorso nascita.
  Non si può negare, infatti, che nei quasi dieci anni di vigenza dell'Accordo Stato-Regioni del 16 dicembre 2010 siano mutate alcune importanti circostanze obiettive.
  Innanzitutto, il
trend delle nascite, che si prevede stabile per i prossimi anni, è stato segnato da una significativa riduzione: dai circa 580.000 nati nel 2009 a circa 458.000 nel 2017, con un calo del 21 per cento.
  Questa forte denatalità, che investe tutto il paese dal nord al sud, unitamente a una oggettiva carenza di professionisti di ambito materno/neonatale, sta cambiando in modo importante lo scenario del nostro territorio, obbligando a una riflessione su alcuni elementi caratterizzanti l'accordo del 2010, ferma restando la necessità di mantenere invariato il paradigma organizzativo finalizzato alla sicurezza ed alla qualità dell'offerta per la donna e per il neonato.
  Da altro punto di vista, sempre in questi stessi anni, è significativamente migliorata la capacità delle istituzioni (regioni e Ministero della salute) di raccogliere dati ed elementi di misura sui processi assistenziali e sui risultati clinici.
  La coincidenza di questi due elementi (denatalità e ampia disponibilità di dati epidemiologici) potrà, dunque, consentire al Ministero della salute, con l'ausilio del Comitato percorso nascita nazionale e in condivisione con le regioni, di ridisegnare l'architettura della rete dei punti di punti di offerta, ospedalieri e territoriali, nell'ambito materno infantile.
  Partendo dai dati dei flussi correnti, mediante analisi statistico epidemiologiche, si potranno infatti definire, con accettabile predittività e precisione, gli elementi utili sia a individuare i principali aspetti strutturali e organizzativi dei punti nascita, che a identificare i livelli assistenziali necessari per disegnare una rete di offerta ottimale per l'assistenza alle donne e ai neonati proiettata alla qualità e alla sicurezza.
  Inoltre, tenendo conto che le fasi del «
pre» e «post partum» sono momenti altrettanto delicati quanto la fase del parto, si procederà, a completamento della revisione dell'accordo, a definire gli elementi di supporto all'organizzazione della rete territoriale al fine di creare un forte collegamento circolare territorio/ospedale/territorio.
  In conclusione, dunque, si confida che questo cambiamento di prospettiva — che potrà essere condiviso con le regioni già in sede di rinnovo del patto per la salute – possa portare a soluzioni innovative, in grado di garantire un servizio di massima prossimità, pur in un regime di invariata attenzione alla sicurezza delle donne e del nascituro.
  

La Ministra della salute: Giulia Grillo.


   VANESSA CATTOI, FUGATTI, BINELLI, SEGNANA e ZANOTELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   già con atto di sindacato ispettivo n. 4-00061 gli interroganti richiamavano l'attenzione del Ministro interrogato in merito alle notizie di stampa su alcuni casi di parti difficoltosi che hanno trovato fortunatamente lieto fine nel pronto soccorso di Arco (TN);

   ultimo intervento in ordine temporale si è avuto lunedì 8 maggio 2018, a seguito di una veloce fase di travaglio, durante la quale la famiglia della partoriente è stata guidata per l'assistenza via telefono dalle ostetriche del punto nascita di Arco: nonostante il supporto telefonico altamente professionale delle ostetriche, è stato necessario attivare l'elisoccorso per poter trasportare l'ostetrica del Santa Chiara di Trento fino alla caserma dei vigili del fuoco volontari di Arco, in quanto non vi era più tempo di portare la partoriente in ospedale;

   sempre col precedente atto di sindacato ispettivo si ricordava che ad Arco il punto nascite è stato chiuso a seguito dell'applicazione della normativa nazionale, con l'avallo della provincia, pur essendo la specificità del territorio assolutamente non compatibile con la normativa che limita i punti nascita;

   in particolare si evidenziava l'ingente costo, per l'azienda sanitaria della provincia autonoma di Trento, derivante dalla chiusura del punto nascita di Arco, pari a 545 mila euro annui per le spese dovute all'utilizzo dell'elicottero per «trasporti urgenti di donne gravide provenienti da Arco»;

   nel richiamato precedente atto si ricordava, altresì, di altre regioni, come ad esempio Emilia-Romagna e Campania, che hanno chiesto la deroga per tutti i punti nascita, alla luce proprio delle criticità e delle particolarità geografiche del bacino di utenza –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non convenga sull'opportunità di adottare tempestivamente ogni iniziativa di competenza finalizzata a garantire, in deroga alla normativa nazionale, il ripristino dell'attività del punto nascita di Arco, considerata la peculiarità territoriale e la necessità di tutelare il bene primario della salute dei cittadini e i livelli essenziali di assistenza.
(4-00226)

  Risposta. — In merito agli aspetti di carattere generale, relativi all'opportunità di ripristinare il punto nascita di Arco, si rimanda integralmente ai contenuti della risposta all'interrogazione scritta n. 4-00061, alla quale il Ministero della salute ha fornito riscontro.
  Per quanto attiene, più specificamente, il parto avvenuto in data 8 maggio 2018, menzionato nella premessa dell'interrogazione, l'assessore provinciale alla salute, politiche sociali e sport ha sottolineato che l'intervento è stato gestito secondo i vigenti protocolli di emergenza, nonché in base alle procedure del percorso nascita territoriale, di cui alle «linee guida per l'assistenza ostetrica nel percorso nascita e protocollo operativo» del 12 settembre 2017, le quali prevedono, tra l'altro, la reperibilità dell'ostetrica dalla 37a settimana di gravidanza.
  Ciò al fine di aiutare la partoriente a valutare il momento opportuno per recarsi al punto nascita, di favorire l'accesso delle donne in travaglio attivo e di consentire il trasporto delle pazienti nella modalità più idonea e sicura per la loro situazione clinica.
  Nel caso in esame, infatti, la partoriente era alla 37a settimana della seconda gravidanza.
  In esito agli interventi effettuati, come riferito dallo stesso assessore, la paziente ha inviato ringraziamenti al personale adibito al percorso nascita e all'elisoccorso, manifestando ripetutamente la sua soddisfazione per l'assistenza ricevuta.

La Ministra della salute: Giulia Grillo.


   VANESSA CATTOI, BINELLI, SEGNANA e ZANOTELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   da notizie di stampa si apprende che la lista dei nati ad Arco, a dispetto delle disposizioni che hanno portato alla chiusura del punto nascite e che prevedono di trasferire tutte le nascite negli ospedali di Rovereto e Trento, si è decisamente allungata;

   uno degli ultimi casi, occorso nella prima metà del mese di luglio 2018, riguarda una bimba nata all'interno del pronto soccorso arcense dove la madre, ormai nell'ultima fase della gravidanza, si era recata più per scrupolo che per una vera emergenza. In breve tempo la situazione è cambiata e alla fine non c'è stato più tempo per un trasferimento in elicottero;

   non è il primo episodio da quando il punto nascite è stato chiuso. La donna è arrivata al pronto soccorso in fase non molto avanzata del parto, tanto che si è cercato di contattare, come da protocollo, l'elisoccorso per poter trasportare la partoriente in sicurezza all'ospedale di riferimento e completare il parto. L'elicottero è rimasto indisponibile per molto tempo tanto che la donna è entrata nella fase espletiva e non si è potuto far altro che procedere sul posto;

   la delicata fase del parto è stata quindi svolta dagli operatori del pronto soccorso arcense assieme all'ostetrica, portandola a termine senza complicazioni. A questo punto, vista la continua indisponibilità dell'elicottero e considerato il buon esito del parto, madre e neonata sono stati portati in autoambulanza all'ospedale di Trento per i dovuti controlli e accertamenti, dove si è appurato il buono stato di entrambe;

   ad Arco il punto nascite è stato chiuso a seguito dell'applicazione della normativa nazionale, con l'avallo della provincia, pur essendo la specificità del territorio assolutamente non compatibile con la normativa che limita i punti nascita;

   la valutazione della persistenza dei punti nascita dovrebbe essere effettuata considerando essenzialmente i criteri di disagio orografico e con l'obiettivo di un costante bilanciamento tra rischio legato alla distanza tra il comune di residenza della donna, il comune sede del punto nascita oggetto di valutazione e di quello alternativo e il rischio collegato alla ridotta capacità di affrontare condizioni complesse e situazioni di emergenza derivanti dai volumi di casistica molto bassi;

   il Comitato percorso nascita nazionale (CPNn) è stato costituito con decreto ministeriale 12 aprile 2011, come previsto dall'accordo Stato-regioni del 16 dicembre 2010, recante linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo. Il Comitato è stato rinnovato con decreto ministeriale 19 dicembre 2014 e successivamente integrato con decreto ministeriale l'11 novembre 2015;

   il CPNn supporta tutte le regioni e province autonome nell'attuare le migliori strategie di riorganizzazione dei punti nascita, verifica che esse siano coerenti con quanto definito nell'accordo ed assicura, nel contempo, un efficace coordinamento permanente tra le istituzioni centrali e periferiche in funzione della qualità e sicurezza del percorso nascita;

   la particolare attenzione verso la tematica del percorso nascita è attestata anche dall'inserimento nella verifica dei livelli essenziali di assistenza di uno specifico punto dedicato al percorso nascita, attraverso cui è possibile svolgere un'azione di monitoraggio sullo stato di attuazione delle 10 linee di azione sottoscritte da regioni e province autonome nell'accordo del 16 dicembre 2010 –:

   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno che il Comitato percorso nascite riveda i criteri che determinano la chiusura dei punti nascita, in considerazione del fatto che le norme in questione devono essere contestualizzate a seconda delle peculiarità orografiche territoriali specifiche di ogni regione.
(4-00824)

  Risposta. — In merito all'oggetto dell'interrogazione, è opportuno premettere che l'accordo Stato-regioni del 16 dicembre 2010 («linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo»), reso cogente dal decreto ministeriale n. 70 del 2015 («definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera»), delega al comitato percorso nascita nazionale le funzioni di verifica e monitoraggio dell'attuazione delle azioni previste dall'accordo medesimo.
  Inoltre, con il decreto ministeriale 11 novembre 2015 (articolo 1) è stato dato mandato al Comitato percorso nascita nazionale di esprimere al Ministero della salute un parere di natura consultiva circa la possibilità di mantenere in attività punti nascita (PN) con volumi di attività inferiori a 500 parti/anno, qualora siano accertati taluni elementi, il primo dei quali è la presenza di reale e acclarato disagio orografico del bacino di utenza del punto nascita, come definito dal Protocollo metodologico per la richiesta di deroga, nonché dal decreto ministeriale n. 70 del 2015; ciò, in funzione delle necessarie garanzie di sicurezza per le donne, i neonati e i professionisti e con l'obiettivo di un costante e virtuoso bilanciamento tra il rischio legato alla distanza tra comune di residenza della donna, comune sede del punto nascita oggetto di valutazione e punto nascita alternativo e il diverso, ma non meno importante, rischio collegato alla ridotta capacità di affrontare condizioni complesse e situazioni di emergenza derivanti dai volumi di casistica molto bassi.
  Il Comitato percorso nascita nazionale nella sua valutazione considera elemento irrinunciabile e prioritario la presenza di tutti gli
standard operativi, tecnologici e di sicurezza relativi al I livello di assistenza ostetrica e pediatrico/neonatologica definiti dall'accordo stesso, relativamente all'assistenza a gravidanza e parti in età gestazionale ≥ 34 settimane, alla presenza in guardia attiva h24 di anestesista, ostetrica, ginecologo, pediatra.
  A questi si aggiungono altri requisiti quali, in particolare, i tempi di attivazione di sala operatoria per parti con tc urgente, i tempi di risposta per esami di laboratorio urgenti, gli esami radiologici e la disponibilità di emoderivati.
  Infine, per la valutazione del potenziale del numero dei parti dei punti nascita
substandard di cui si richiede deroga alla chiusura, il Comitato percorso nascita nazionale, con atteggiamento proattivo, considera tassi di natalità superiori di circa un punto (8.5/9 nuovi nati/anno per mille abitanti) rispetto a quelli reali, sebbene non si prevedano significativi incrementi nel medio periodo.
  Nel merito del parere sfavorevole espresso per il mantenimento in attività del punto nascita di Arco, si rappresenta che i criteri decisionali adottati nell'espressione del parere tecnico hanno tenuto conto delle situazioni orografiche e della distanza media tra luogo del parto e comune di residenza della madre.
  Per la valutazione delle difficoltà legate alle condizioni climatiche sono state considerate le altezze medie sul livello del mare dei comuni del bacino del punto nascita.
  Sono state ovviamente considerate anche le variazioni delle distanze tra comuni di residenza e punti nascita alternativi, che nei casi in oggetto non mostrano variazioni di rilievo.
  Il Comitato percorso nascita nazionale, valutata la situazione relativa al punto nascita di Arco, non ha quindi ritenuto che vi fossero elementi tali da definire il bacino di utenza del punto nascita «orograficamente disagiato» e, soprattutto, non ha ritenuto fossero oggettivamente garantiti i requisiti di qualità e sicurezza per la madre ed il neonato, che rappresentano «
conditio sine qua non» per mantenere in attività un punto nascita con volumi substandard di attività.
  Inoltre, l'evidenza di un tasso di fidelizzazione del 64 per cento mostrava come solo poco più della metà delle donne del bacino di utenza sceglieva di partorire nel punto nascita di Arco, mentre una quota non trascurabile sceglieva punti nascita alternativi, anche più distanti.
  Infine, il punto nascita presso l'ospedale di Arco mostrava criticità organizzative, soprattutto per la carenza della guardia attiva «h24» di ginecologi, anestesisti e pediatri, che avrebbe richiesto un significativo incremento del numero di risorse umane.
  Sembra utile evidenziare, come riportato in letteratura scientifica, che vi è un rapporto direttamente proporzionale tra competenza dei professionisti e volume dei parti, elemento che ha ricadute immediate nella gestione soprattutto delle situazioni di emergenza del
peripartum.
  Come appare evidente da quanto sopra riportato, il parere del Comitato percorso nascita nazionale è stato espresso non solo in coerenza con il dispositivo dell'accordo del 16 dicembre 2010 ma, sopratutto, a garanzia della massima sicurezza delle donne e dei neonati, elemento fondante e prioritario nell'attività del comitato stesso a supporto della riorganizzazione della rete materno/neonatale prevista dal citato accordo e dal decreto ministeriale n. 70 del 2015 che ad esso ha dato cogenza.
  Si sottolinea, inoltre, come chiaramente dichiarato nel parere del Comitato percorso nascita nazionale, che la chiusura del punto nascita
substandard si riferisce esclusivamente alla fase di espletamento del parto, mentre devono rimanere operativi tutti i servizi e le attività assistenziali rese alla popolazione, sia nella fase «pre partum», ai fini del controllo della gravidanza, che nella fase «post partum», ai fini dell'assistenza al puerperio e ai neonati.
  Infatti, la sospensione dell'attività di sala parto non implica la sospensione delle attività di controllo e
follow up per la gravidanza e il puerperio.
  La bassa densità della popolazione e la distanza dall'ospedale di Arco dei diversi centri abitati potrebbero rappresentare lo stimolo per implementare procedure organizzative che vedano una forte e decisa partecipazione delle strutture territoriali (consultori), prevedendo, laddove non ancora implementate, la presa in carico delle gravide e delle puerpere da parte delle ostetriche attraverso programmi di «
home visiting» per le donne sia in fase «pre» che «post partum».
  Si rammenta, comunque, che le regioni e le province autonome, nell'espressione della propria autonomia amministrativo/gestionale conferita a seguito delle modifiche al titolo V della Costituzione, possono optare anche per scelte programmatorie relative alla riorganizzazione dei punti nascita che non tengano conto di quanto dettato dall'accordo del 16 dicembre 2010 e del conseguente parere espresso dal Comitato percorso nascita nazionale.
  In tal caso, dovranno assumersi la responsabilità di garantire, presso punti nascita non in linea con quanto dettato dalle norme in vigore, non solo efficienza, efficacia ed economicità dell'assistenza, ma soprattutto qualità e sicurezza per la madre e il neonato.
  Ciò detto in relazione al caso specifico, menzionato nella premessa della presente interrogazione, desidero segnalare che sul tema dei punti nascita è in atto un'attenta riflessione sull'opportunità di operare una rimodulazione della rete dei punti nascita, che tenga conto, prima di ogni altro aspetto, della sicurezza delle donne e dei bambini, oltre che della qualità dell'intero percorso nascita.
  Non si può negare, infatti, che nei quasi dieci anni di vigenza del citato Accordo siano mutate alcune importanti circostanze obiettive.
  Innanzitutto, il
trend delle nascite, che si prevede stabile per i prossimi anni, è stato segnato da una significativa riduzione: dai circa 580.000 nati nel 2009 a circa 458.000 nel 2017, con un calo del 21 per cento.
  Questa forte denatalità, che investe tutto il Paese dal Nord al Sud, unitamente a una oggettiva carenza di professionisti di ambito materno/neonatale, sta cambiando in modo importante lo scenario del nostro territorio, obbligando a una riflessione su alcuni elementi caratterizzanti l'accordo del 2010, ferma restando la necessità di mantenere invariato il paradigma organizzativo finalizzato alla sicurezza ed alla qualità dell'offerta per la donna e per il neonato.
  Da altro punto di vista, sempre in questi stessi anni, è significativamente migliorata la capacità delle istituzioni (regioni e Ministero della salute) di raccogliere dati ed elementi di misura sui processi assistenziali e sui risultati clinici.
  La coincidenza di questi due elementi (denatalità e ampia disponibilità di dati epidemiologici) potrà, dunque, consentire al Ministero della salute, con l'ausilio del Comitato percorso nascita nazionale e in condivisione con le regioni, di ridisegnare l'architettura della rete dei punti di offerta, ospedalieri e territoriali, nell'ambito materno infantile.
  Partendo dai dati dei flussi correnti, mediante analisi statistico epidemiologiche, si potranno infatti definire, con accettabile predittività e precisione, gli elementi utili sia a individuare i principali aspetti strutturali e organizzativi dei punti nascita, che a identificare i livelli assistenziali necessari per disegnare una rete di offerta ottimale per l'assistenza alle donne e ai neonati proiettata alla qualità e alla sicurezza.
  Inoltre, tenendo conto che le fasi dei «
pre» e «post partum» sono momenti altrettanto delicati quanto la fase del parto, si procederà, a completamento della revisione dell'accordo, a definire gli elementi di supporto all'organizzazione della rete territoriale al fine di creare un forte collegamento circolare territorio/ospedale/territorio.
  In conclusione, dunque, si confida che questo cambiamento di prospettiva – che potrà essere condiviso con le regioni già in sede di rinnovo del patto per la salute — possa portare a soluzioni innovative, in grado di garantire un servizio di massima prossimità, pur in un regime di invariata attenzione alla sicurezza delle donne e del nascituro.

La Ministra della salute: Giulia Grillo.


   CONTE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il direttore generale dell'Asl di Benevento ha trasmesso alla struttura commissariale della regione Campania la deliberazione n. 210 del 16 aprile 2018 di riproposizione dell'atto aziendale;

   con la citata deliberazione dell'Asl 210 del 2018, il direttore generale asserisce di aver preso atto di quanto comunicato dagli organi di verifica regionali, mediante gli atti prescrittivi n. 843998 del 29 dicembre 2016 e n. 0307449 del 28 aprile 2017;

   l'atto aziendale riproposto risulta non conforme ai sopra citati atti prescrittivi degli organi di verifica regionali, e non sarebbe stato portato, peraltro, a conoscenza del consiglio dei sanitari;

   le «Tecnostrutture direzionali» di cui all'articolo 12 dell'atto aziendale in esame (con le unità operative complesse di «Prevenzione e protezione», di «Affari Interni e pianificazione direzionale statistica» e di «Programmazione e Controllo di gestione») afferiscono direttamente alla direzione strategica, ponendosi, ad avviso dell'interrogante, in contrasto con i principi della normativa in materia;

   risulta programmato un numero maggiore di unità operative complesse rispetto ai parametri fissati dal DCA 18/2013 per la Asl di Benevento;

   la riproposizione di un dipartimento sanitario centrale nell'ambito delle «strutture centrali sanitarie» (articolo 15) e di un dipartimento tecnico-amministrativo centrale nell'ambito delle «strutture centrali tecnico-amministrative» (articolo 17) con unità operative poste alle dirette dipendenze di due «Dirigenti responsabili dei dipartimenti Centrali, sanitario e amministrativo» confligge con gli atti prescrittivi della regione sopra citati che ne ha sottolineato l'irregolarità trattandosi di unità operative già alle dirette dipendenze dei direttori sanitario e amministrativo;

   il modello organizzativo della sanità penitenziaria appare all'interrogante modulato in difformità alle linee guida regionali della delibera della giunta della regione Campania n. 96 del 21 marzo 2011 (BURC n. 20 del 28 marzo 2011) e al DCA n. 104 del 30 settembre 2014, pagina 7 (BURC n. 69 del 6 ottobre 2014);

   per ricoprire l'incarico direttore generale della Asl occorre avere una «comprovata esperienza dirigenziale, almeno quinquennale, nel settore sanitario (...), con autonomia gestionale e diretta responsabilità delle risorse umane, tecniche e o finanziarie» ai sensi dell'articolo 1, comma 4, lettera b), del decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 171. Si tratta di un requisito di vertice riconducibile alla struttura organizzativa della unità operativa complessa di una Asl;

   l'incarico professionale ricoperto dal dottor Franklin Picker nella sua Asl di provenienza (ASL Na3Sud) è quello di «dirigente medico con incarico di struttura semplice» come risulta ad esempio dalla determinazione dirigenziale n. 741 del 29 luglio 2016 della Unità operativa complessa gestione risorse umane della Asl Na3Sud;

   sarebbe opportuno evitare l'eventuale intromissione dell'organo politico nella gestione, considerato che le unità operative delle «tecnostrutture aziendali» afferiscono direttamente al direttore generale quale componente della direzione strategica e che secondo quanto disposto dall'articolo 4, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, alle amministrazioni pubbliche «è fatto divieto di istituire uffici di diretta collaborazione, posti alle dirette dipendenze dell'organo di vertice dell'ente» –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti descritti e quali siano i suoi orientamenti, per quanto di competenza, al fine di evitare un impiego scorretto e dispersivo delle risorse pubbliche e garantire l'efficienza ed efficacia delle prestazioni sanitarie;

   se intenda assumere, per quanto di sua competenza, iniziative volte a evitare l'incremento dei costi per il mantenimento di unità operative complesse in esubero con la relativa retribuzione al personale dirigenziale;

   se intenda assumere iniziative normative, in sinergia con le regioni, per assicurare che la nomina dei funzionari incaricati della gestione amministrativa delle strutture sanitarie sia fondata sulla valutazione oggettiva delle qualità e capacità professionali da essi dimostrate, come esplicitato nella sentenza n. 34 del 2010 dalla Corte costituzionale.
(4-00412)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si rammenta preliminarmente che le procedure per il conferimento degli incarichi di direttore generale sono affidate alle regioni, che le gestiscono nell'ambito della propria autonomia costituzionalmente garantita.
  Trattandosi, dunque, di una questione strettamente gestionale, si risponde con gli elementi acquisiti dalla regione Campania.
  La direzione generale della Azienda sanitaria locale di Benevento, per il tramite della prefettura — ufficio territoriale del Governo di Benevento, ha riferito di aver presentato alla approvazione del competente organo regionale la propria proposta di atto aziendale ed ha aggiunto che il complessivo percorso di definizione dell'assetto dell'azienda ha risentito delle difficoltà connesse alla rigida applicazione dei criteri del decreto del Commissario ad acta n. 18 del 2013, con cui sono stati definiti i parametri e i coefficienti per determinare il numero di incarichi di struttura complessa e di struttura semplice in base alla popolazione del bacino di utenza; tale ultimo criterio, applicato rigidamente, risulterebbe, infatti, penalizzante per l'operatività dell'azienda medesima.
  Tali difficoltà sono state oggetto di dettagliate relazioni alla Corte dei Conti con nota n. 30181 del 29 febbraio 2016 ed al Commissario
ad acta per la gestione della sanità regionale, che di fatto si sono espressi nella sostanziale condivisione delle criticità. Nella delibera dell'Azienda sanitaria locale di Benevento n. 300 del 25 settembre 2014, sono riportate le motivazioni e l'istruttoria che hanno condotto alla redazione dell'atto aziendale.
  Riferendosi ai fatti contenuti nell'interrogazione, la stessa direzione ha inoltre inteso precisare che:

   1. «non è stato portato all'attenzione del Consiglio dei sanitari»: tale organismo, il cui parere comunque non risulta vincolante, non è presente nell'attuale assetto aziendale. È stato previsto nella proposta dell'atto aziendale, e sarà istituito a seguito dell'approvazione;

   2. «risulta programmato un numero maggiore di unità operative complesse rispetto ai parametri...»; si è proceduto alla riduzione di oltre il 50 per cento delle strutture complesse attualmente in vigore, comunque si è dato seguito alla indicazione del precedente Commissario ad acta: «L'Azienda recepisca nell'atto aziendale soluzioni organizzative che, con un crono programma specifico ed un ragionevole orizzonte temporale, mirino al rispetto dei parametri contenuti nel DCA 18/2013»;

   3. «la riproposizione di un dipartimento sanitario centrale ... e di un dipartimento tecnico amministrativo centrale, ...confligge con gli atti prescrittivi...», nel testo dell'atto aziendale si è ampiamente data spiegazione di questa scelta, strettamente legata alla riorganizzazione dei servizi ed alla definizione dei crono programma per la ulteriore riduzione delle strutture complesse e semplici. Tale modello organizzativo rimane alla attenzione ed approvazione dell'organo regionale;

   4. «per ricoprire l'incarico di direttore generale occorre avere una comprovata esperienza... con autonomia gestionale e diretta responsabilità delle risorse umane, tecniche e finanziarie...»: gli incarichi direzionali, con autonomia gestionale e diretta responsabilità delle risorse umane, in capo al direttore generale, dottor Franklin Picker, sono dettagliati nel curriculum vitae dello stesso, posto nel sito della Asl di Benevento, tale nominativo risulta essere inserito nell'albo degli idonei all'incarico di direttore generale di aziende sanitarie elaborato dalla regione Campania sin dal 2008. In più, il dottor Picker ha precisato che, nel corso di un altro tentativo di delegittimazione dei requisiti dallo stesso posseduti, il TAR Campania, sulla scorta dell'esame degli atti, ha attestato in sentenza «il possesso del requisito del pregresso incarico quinquennale con diretta gestione di risorse umane e finanziarie». È stato altresì precisato che l'affermazione «l'incarico professionale ricoperto dal dottor Picker nell'Asl di provenienza (Asl Napoli 3 Sud) è quello di dirigente con incarico di struttura semplice, come risulta ad esempio dalla determinazione dirigenziale n. 741 del 29 luglio 2016» appare del tutto strumentale, priva di fondamento, ma soprattutto fuorviante. La determinazione in questione è il provvedimento di presa d'atto delle dimissioni volontarie da dipendente della Asl Napoli 3 Sud. In tale data, il dottor Picker risultava ancora in aspettativa per l'incarico di Commissario straordinario della Asl di Benevento. Il suo incarico di direttore di struttura complessa, in tale periodo, risultava affidato ad un altro dirigente. La determina si è limitata a riportare lo stato giuridico. Il 29 luglio 2016 il dottor Picker ha rassegnato, a decorrere dal 1° agosto 2016, le dimissioni volontarie da dipendente di quella azienda, di cui la citata determinazione dirigenziale n. 741/2016 ha semplicemente preso atto.

  Si aggiunge che la giunta regionale della Campania ha segnalato che il direttore generale dell'Asl di Benevento ha predisposto, con deliberazione n. 210 del 16 aprile 2018, un atto aziendale che tiene conto delle modifiche intervenute nell'assetto organizzativo dell'azienda per effetto del decreto del Commissario ad acta n. 54 del 7 novembre 2017, che ha stabilito l'annessione del presidio ospedaliero «S. Alfonso Maria dei Liguori» alla Azienda ospedaliera di rilievo nazionale (Aorn) «G. Rummo».
  Detto atto aziendale è stato approvato con decreto del Commissario
ad acta n. 69 del 1° agosto 2018.
  In fase di approvazione si è tenuto conto della profonda riorganizzazione richiesta dal trasferimento delle funzioni ospedaliere alla azienda ospedaliera, della peculiarità di una azienda divenuta l'unica esclusivamente territoriale della regione, e delle caratteristiche demografiche dell'Azienda con bassissima densità di popolazione.
  L'attuazione di quanto definito dal direttore generale e l'adesione alle misure prescrittive di cui al citato decreto di approvazione n. 69/2018 devono trovare attuazione nel limite temporale definito nello stesso decreto (31 gennaio 2019), entro il quale devono essere superate tutte le criticità rilevate, e deve essere raggiunto l'obiettivo della piena conformità dell'assetto organizzativo alla programmazione regionale.
  Quanto al possesso dei titoli del direttore generale della Asl di Benevento, la giunta regionale ha sottolineato che costui risultava inserito all'epoca della nomina nell'elenco regionale degli idonei, all'esito delle procedure di verifica circa il possesso dei requisiti di legge effettuate dalla Commissione di esperti all'uopo costituita dall'amministrazione regionale.

La Ministra della salute: Giulia Grillo.


   DEIDDA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   con regio decreto n. 2544 del 17 novembre 1932, è stata per la prima volta introdotta nell'ambito del personale dell'Esercito la figura dell'aiutante di sanità, il quale coadiuva il sottufficiale infermiere e l'ufficiale medico nelle attività medico-sanitarie e tale figura, successivamente, con decreto ministeriale del 12 dicembre 1990, è stata equiparata all'ulteriore figura dell'infermiere generico;

   la suindicata figura professionale svolge, in particolare, le seguenti attività: rilevazione di parametri vitali, compilazione di documenti a carattere clinico, supporto all'infermiere nelle attività addestrative e cliniche basiche, trasporto di materiale biologico, cura dei degenti, sterilizzazione della strumentazione medica, redazione dello scadenzario farmaci, verifica delle scadenze relative alle idoneità periodiche e alle profilassi vaccinali;

   con circolare n. 6003, pubblicata il 14 settembre 2018, recante «Specializzazioni, incarichi principali e posizioni organiche dei graduati e dei militari di truppa (ex Circ. O/Grd/Tr)» lo Stato Maggiore dell'Esercito ha abrogato tale figura professionale, facendola confluire in quella diversa ed ulteriore di operatore informatico, senza, tra l'altro, prevedere alcun adeguato regime transitorio;

   l'operatore informatico, evidentemente, nulla ha a che vedere con le mansioni svolte dall'aiutante di sanità e tale decisione potrebbe comportare l'esposizione dell'amministrazione a un consistente contenzioso, in quanto, per sopperire alle esigenze della medesima amministrazione, il personale risulta comunque impiegato nelle precedenti mansioni;

   lo svolgimento di attività sanitaria ad opera del suddetto personale, nel nuovo inquadramento professionale, sembra all'interrogante pure comportare l'inosservanza dell'articolo 12, comma 1, della legge 11 gennaio 2018, n. 3, con conseguente violazione dell'articolo 348 del codice penale il quale prevede espressamente che chiunque abusivamente esercita una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 10.000 a euro 50.000 –:

   se sia a conoscenza dei fatti sopraesposti e quali iniziative di competenza intenda assumere per consentire la reintroduzione della figura dell'ausiliare di sanità e/o comunque tutelare il personale dalle eventuali conseguenze, anche di carattere penale, che potrebbero derivare dall'esercizio delle vecchie mansioni.
(4-01626)

  Risposta. — Desidero rappresentare, in premessa, che la posizione del Dicastero relativamente agli aspetti legati alla figura dell'aiutante di sanità, non è cambiata rispetto a quanto riferito in sede di risposta al question time svoltosi lo scorso 28 novembre presso la IV commissione della Camera.
  Si confermano, quindi, le informazioni fornite in quell'occasione – di seguito riportate – integrate con gli ultimi elementi di novità intervenuti nel frattempo.
  Fatta questa premessa, voglio ribadire, in primo luogo, la favorevole predisposizione della Difesa e la mia volontà, affinché la questione venga definitivamente risolta.
  Il 13 novembre 2018, ho incontrato il Consiglio centrale di rappresentanza (Cocer) dell'esercito, per affrontare varie tematiche, tra le quali la problematica riguardante l'aiutante di sanità.
  In tale circostanza, ho garantito il mio personale impegno affinché si trovi una rapida soluzione a tutela del personale graduato/militare di truppa impiegato in attività riconducibili alla professione sanitaria, valorizzandone le competenze, nonché per evitare eventuali criticità sul fronte giudiziario.
  In particolare, l'incarico di aiutante di sanità non è oggi più equiparabile all'infermiere generico, essendo tale professionalità non riconosciuta dal Ministero della salute e, pertanto, lo Stato maggiore dell'esercito si è trovato costretto ad abrogarlo.
  L'amministrazione intende, però, valorizzare tale figura attraverso una formazione specifica che risulti pienamente valida sul piano normativo, volta all'acquisizione di qualifiche che trovino corrispondenza nel paritetico settore civile, nonché delle necessarie e imprescindibili conoscenze nello specifico settore.
  In tal senso, quindi, è stato sviluppato un progetto per consentire al personale militare già in possesso dell'incarico di aiutante di sanità, di partecipare ai corsi per l'acquisizione della qualifica di operatore socio sanitario (al riguardo, la scuola di sanità e veterinaria dell'esercito ha ricevuto l'autorizzazione dalla regione Lazio per lo sviluppo delle attività formative).
  È una soluzione che verrà implementata con gradualità, attraverso; l'avvio di corsi di formazione (in linea con le direttive della regione Lazio, ad ogni potranno partecipare 30 frequentatori) presso:

   la Scuola di sanità e veterinaria, per lo svolgimento della fase teorica del corso (450 ore), quale ente specializzato nella formazione del personale sanitario di forza armata;

   il Policlinico militare del Celio, per lo svolgimento del tirocinio/fase praticante del corso (550 ore).

  Parallelamente, è stato avviato anche uno studio volto alla definizione, di un «regime organizzativo transitorio» – sempre per la gestione del personale ex aiutante di sanità – in linea con l'indirizzo da me determinato.
  In tale ambito, è stata analizzata la possibilità di istituire la figura professionale di «operatore logistico della sanità», intesa quale supporto logistico e non come professione sanitaria, in cui far confluire tutto il personale, ex aiutante di sanità, al fine di non disperderne le peculiari competenze acquisite.

  Tale possibilità si è concretizzata agli esiti positivi dello studio conclusosi il 18 gennaio 2019, dando così l'opportunità a tutti gli ex aiutanti di sanità di confluire nell'incarico di operatore logistico della sanità, di recente istituzione.
  Sulla base, poi, delle esigenze individuate di volta in volta dall'esercito, l'operatore logistico della sanità potrà essere ulteriormente qualificato per acquisire l'incarico di operatore socio sanitario, ma solo dopo la frequentazione dei richiamati corsi di formazione.
  Al riguardo, posso affermare che sono già nella fase finale le attività di predisposizione che porteranno, presumibilmente nel primo semestre di quest'anno, all'avvio del corso teorico (quello presso la scuola di sanità e veterinaria), cui seguirà quello riguardante la fase pratica, al fine di qualificare i primi trenta operatori socio sanitari.

La Ministra della difesa: Elisabetta Trenta.


   DONZELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   è on line il sito dedicato a ellaOne® (www.ellaone.it), il primo sito internet ad hoc, autorizzato dal Ministero della salute che offrirebbe informazioni scientifiche, dettagliate e chiare sull'apparato riproduttivo della donna, sulla contraccezione in generale e quella di emergenza in particolare, il cui intento secondo quanto dichiarato da James MacDonald, General Manager di HRA Pharma Italia è quello di: «fornire informazioni corrette»;

   a pagina 22 del documento di approvazione della molecola da parte del Comitato per i prodotti medici ad uso umano dell'Emea (Doc.Ref.: EMEA/261787/2009) si legge: «dosi di 10-100 mg di ulipristal acetato hanno causato una soppressione della crescita del follicolo principale e il successivo ritardo nell'ovulazione che era maggiore alle dosi più alte (50 e 100 mg), ma hanno inibito la maturazione endometriale della fase luteale in modo simile a tutte le dosi. La soglia per alterare la morfologia endometriale appare quindi inferiore rispetto all'inibizione dell'ovulazione». Nello stesso documento, alla pagina seguente, è scritto: «il meccanismo d'azione, come affermato al punto 5.1 del SPC “Il meccanismo d'azione primario si pensa sia l'inibizione o il ritardo dell'ovulazione, ma anche le alterazioni dell'endometrio possono contribuire all'efficacia del prodotto”, è sufficientemente documentata»;

   vi sono pubblicazioni su riviste internazionali che mostrano la capacità della molecola di alterare il tessuto endometriale, ostacolando e inibendo l'annidamento dell'embrione e quindi il suo sviluppo;

   la molecola mantiene inalterata la medesima efficacia per assunzioni entro 120 ore dal rapporto sessuale, fatto che avvalora la presenza di meccanismi differenti da quello anti-ovulatorio;

   nello studio che ha valutato in vitro l'adesione dell'embrione ha verificato 5 adesioni su 10 casi in presenza di ulipristal e 7 su 10 casi in presenza di placebo. Similmente nello studio che ha valutato gli effetti di ulipristal somministrato dopo l'ovulazione si sono verificate 7 gravidanze rispetto alle 11 attese. Il fatto che queste differenze non raggiungano la significatività statistica non esclude affatto l'effetto anti-nidatorio, data l'esiguità numerica del campione. Nel commento di due medici esperti, è come «dire che i batteri non esistono perché non li hai visti con la lente contafili»;

   il meccanismo d'azione anche solo possibilmente anti-nidatorio è un elemento che per molte donne rende non sicuro l'impiego del prodotto;

   è necessaria, a parere dell'interrogante, una completa disclosure sul processo decisionale che ha portato a concedere l'avallo del Ministero a una molecola di cui non vi è la minima prova di efficacia in termini di riduzione sia delle gravidanze indesiderate che degli aborti derivanti da una sua diffusione. Infatti, la vendita di pillole del giorno dopo è aumentata di 6 volte in Francia e di 30 volte in Norvegia senza alcuna riduzione degli aborti, ma anzi registrando nello stesso periodo dell'incremento di vendite un aumento degli aborti –:

   se non ritenga necessario, a fronte delle informazioni, a giudizio dell'interrogante, parziali e non esaustive fornite dal sito dedicato a ellaOne®, adottare le iniziative di competenza per ritirare l'autorizzazione concessa al sito internet, provvedendo a diffondere con ogni mezzo le opportune indicazioni medico-scientifiche legate all'assunzione della ellaOne.
(4-01290)

  Risposta. — EllaOne è un medicinale contraccettivo d'emergenza che ha ottenuto dall'Agenzia italiana del farmaco la seguente classificazione ai fini della fornitura: «Per le pazienti di età pari o superiore ai diciotto anni: medicinale non soggetto a prescrizione medica, ma non da banco (SOP).
  Per le pazienti di età inferiore ai diciotto anni: medicinale soggetto a prescrizione medica da rinnovare volta per volta (Ricetta non ripetibile)».
  Il sito
internet dedicato al medicinale EllaOne (www.ellaone.it) è un sito pubblicitario pubblicato dall'Azienda «HRA Pharma», autorizzato dal Ministero della salute in base alla normativa vigente.
  La pubblicità dei prodotti di interesse sanitario, quali i medicinali, infatti, è soggetta ad un'apposita autorizzazione da parte del Ministero della salute, in virtù della disciplina della pubblicità sanitaria di cui all'articolo 201 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 e confermata dall'articolo 118 del decreto legislativo n. 219 del 2006.
  Detto articolo 201, in particolare, prevede che la pubblicità dei medicinali venga sottoposta ad un controllo preventivo da parte del Ministero della salute, sentito il parere di una apposita commissione di esperti, oggi costituita dalla sezione E) del comitato tecnico sanitario, di cui all'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 2013, n. 44.
  Fino al maggio 2017, i medicinali per i quali era consentita la pubblicità erano solamente quelli di automedicazione
(cosiddetti over the counter) farmaci da banco e non anche i medicinali senza obbligo di prescrizione.
  A seguito di un contenzioso instaurato da un'azienda farmaceutica titolare di un medicinale Sop per la quale era stata negata l'autorizzazione alla pubblicità, il Consiglio di Stato, con sentenza n. 2217/2017, ha esteso anche per i medicinali Sop l'accesso alla pubblicità.
  Sulla base di detta apertura la ditta «HRA Pharma» ha avanzato al Ministero della salute una richiesta di autorizzazione della pubblicità del farmaco EllaOne, attraverso il sito internet
www.ellaone.it.
  Gli esperti della sezione E) del comitato tecnico sanitario, considerato che in generale i medicinali Sop sono caratterizzati, da particolari cautele nell'atto della dispensazione, in quanto non accessibili direttamente al paziente ma solo per il tramite del farmacista, hanno ritenuto doveroso richiedere che la questione venisse sottoposta alla competente sezione del Consiglio superiore di sanità, al fine di ottenere le pertinenti valutazioni circa le specifiche avvertenze che devono contenere i messaggi pubblicitari dei medicinali Sop, per una corretta informazione ai cittadini sui medicinali che non rientrano nella classe dell'automedicazione.
  In tale sede, la competente direzione generale dei dispositivi medici e del servizio farmaceutico di questo Ministero ha evidenziato che, sulla base della duplice classificazione sopra citata, il medicinale EllaOne, stante la citata sentenza del Consiglio di Stato, poteva essere pubblicizzato alle donne maggiorenni e non alle minorenni.
  Con il parere adottato in seno alla seduta del 13 marzo 2018, la Sezione XLVIII del Consiglio superiore di sanità si è espressa sulla questione ritenendo, in via generale, per i Sop che, concordemente a quanto affermato dal Consiglio di Stato, nessuna restrizione potesse essere loro posta in modo indiscriminato, e che una eventuale restrizione alla pubblicità non potesse essere giustificata da una generica maggiore pericolosità degli stessi rispetto ai medicinali Otc.
  Inoltre, con specifico riferimento ad EllaOne, il Consiglio superiore di sanità ha ritenuto che potesse essere autorizzata una pubblicità di tipo informativo ed educativo del medicinale che avesse i seguenti obiettivi:

   fornire informazioni circa la disponibilità del suddetto medicinale, la cui specifica indicazione è la contraccezione d'emergenza;

   esplicitare in modo esaustivo e accurato fondamentali indicazioni e istruzioni e, al contempo, cautele quali:

    la prescrizione del medico è obbligatoria per le minorenni;

    si tratta di un medicinale destinato esclusivamente a un uso occasionale;

    non protegge dalle infezioni sessualmente trasmissibili;

    non deve mai sostituire l'uso corretto di un metodo anticoncezionale.

  Preso atto del citato parere, la sezione E) del Comitato tecnico sanitario ha chiesto all'azienda titolare di EllaOne di riformulare la proposta di pubblicità del medicinale, in linea con le indicazioni fornite dal Consiglio superiore di sanità.
  A seguito del definitivo parere della sezione E), il Ministero della salute ha, dunque, autorizzato la pubblicità di carattere informativo ed educativo del medicinale in questione.
  Fermo restando quanto sin qui rappresentato in merito alla pubblicità del medicinale EllaOne, con riferimento agli aspetti relativi al suo meccanismo di azione, si rappresenta quanto segue.
  Tale medicinale, come riportato nel riassunto delle caratteristiche del prodotto, è un contraccettivo d'emergenza da assumersi entro 120 ore (5 giorni) da un rapporto sessuale non protetto o dal fallimento di altro metodo contraccettivo; esso, inoltre, non è destinato all'uso in gravidanza e non deve essere assunto da donne in gravidanza effettiva o sospetta.
  Nel 2011, il Consiglio superiore di sanità si è espresso sul farmaco in questione e, in particolare, sulla compatibilità del suo impiego con la normativa nazionale in tema di contraccezione e interruzione volontaria di gravidanza, ritenendo all'unanimità che il medicinale, soggetto a prescrizione medica, possa essere utilizzato come contraccettivo d'emergenza, mantenendo ferma, nel caso di esito positivo del test – di gravidanza, la piena applicazione della normativa in tema di interruzione volontaria di gravidanza (legge 22 maggio 1978, n. 194).
  Successivamente, la Commissione europea, con la decisione del 7 gennaio 2015, ha approvato il parere positivo espresso dal
Committee for Medicinal Products for Human Use (CHMP) dell’European Medicines Agency (TEMA) in merito alla domanda di variazione per il cambio del regime di fornitura del medicinale EllaOne da «medicinale soggetto a prescrizione medica» a «medicinale non soggetto a prescrizione medica», con contestuale eliminazione della gravidanza in atto dalla lista delle controindicazioni all'uso del medicinale.
  Sulla variazione in questione un significativo numero di Stati, tra cui l'Italia, ha espresso opinione negativa alla luce di quanto previsto dall'articolo 71 della direttiva 2001/83/CE.
  A seguito della citata decisione della Commissione europea, che sollevava nuovamente un problema di compatibilità tra il nuovo regime di dispensazione del farmaco EllaOne e la vigente normativa in materia di interruzione volontaria di gravidanza, questo Ministero, alla luce delle novità introdotte dall'Ema, ha investito nuovamente il Consiglio superiore di sanità, affinché si pronunciasse sulla nuova classificazione ai fini della fornitura al pubblico del farmaco, valutando la necessita di mantenere il test di gravidanza ad esito negativo come requisito per la dispensazione, con ciò salvaguardando la coerenza tra l'impiego del farmaco e la normativa vigente in tema di interruzione di gravidanza.
  In quella sede, è stato posto al Consiglio superiore di sanità, tra l'altro, il seguente quesito: «considerato che il principio attivo EllaOne (
ulipristal acetato) agisce da modulatore del recettore del progesterone, si chiede se, alla luce delle conoscenze, sia possibile escludere un'azione antinidatoria da parte di EllaOne».
  Il consiglio, nella seduta del 10 marzo 2015, sul punto, ha concluso nel seguente modo: «ritiene quindi, secondo i meccanismi d'azione del farmaco e la letteratura ancora controversa, di non poter escludere un'azione antinidatoria».
  Per completezza, si segnala che l'Associazione Unc (Unione nazionale consumatori) con nota del 31 maggio 2018 ha chiesto l'intervento di questo Ministero «al fine di verificare la legittimità della vendita del farmaco “EllaOne” (contraccettivo d'emergenza), sostenendo che autorevoli studi scientifici realizzati a livello internazionale ricondurrebbero il meccanismo prevalente di EllaOne non ad una azione anti ovulatoria, bensì ad una azione antinidatoria».
  L'Associazione Unc, in particolare, sostiene che recenti dati di letteratura medica smentirebbero le affermazioni riportate nel foglio illustrativo del farmaco, «in particolare, sembrerebbe che in alcun modo Ulipristal acetato (il principio attivo di EllaOne) prevenga o ritardi l'ovulazione. I suoi effetti prevalenti consisterebbero, invece, nell'inibizione del processo di annidamento dell'embrione sull'endometrio (...)» e chiede, pertanto, che questo Ministero chiarisca «in maniera inequivocabile il meccanismo di azione del farmaco, affinché siano pienamente liberi sia il consenso informato al loro utilizzo da parte della donna, sia la scelta professionale del medico in merito alla prescrizione».
  Alla luce di quanto sopra, si è inteso investire nuovamente il Consiglio superiore di sanità, affinché venga effettuata una ulteriore valutazione della problematica, che tenga conto anche degli esiti delle recenti ricerche scientifiche.
  

La Ministra della salute: Giulia Grillo.


   FIORINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70, recante la definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera a cui le regioni e le strutture sanitarie devono adeguarsi entro il 2016;

   in particolare, il punto 4.2 dell'Allegato I al decreto citato, introduce una novità in materia di dimensionamento dei punti nascita, introducendo le soglie minime di volume di attività di cui all'Accordo Stato-regioni 16 dicembre 2010;

   in base a tale accordo il Governo e le regioni si sono impegnate a sviluppare un programma di interventi articolato in 10 linee di azione da avviare congiuntamente a livello nazionale, per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascite e per la riduzione del taglio cesareo, raccomandando, tra l'altro, di adottare criteri per la riduzione progressiva dei punti nascita con numero di parti inferiore a 1.000 all'anno;

   il decreto ministeriale 11 novembre 2015 prevede la possibilità che le regioni o province autonome possano presentare, una volta sentito il parere del relativo Comitato percorso nascita regionale (Cpnr), al tavolo di monitoraggio di cui al decreto ministeriale 29 luglio 2015 eventuali richieste di mantenere in attività punti nascita con volumi di attività inferiori ai 500 parti annui in deroga a quanto previsto dal citato accordo Stato-regioni;

   le deroghe alla chiusura sono previste in casi eccezionali: la distanza e la difficoltà dei collegamenti per alcune isole e alcuni comuni montani, la fusione con punti nascita di altri comuni o l’«attrattività» verso le donne dei paesi limitrofi a fronte di precise compensazioni (ad esempio, un servizio di elisoccorso operativo h.24). Negli altri casi, a fare la differenza tra la sopravvivenza o meno di un punto nascita sono tre fattori: almeno 500 parti/anno, disponibilità h.24 di ginecologi, pediatri neonatologi e ostetriche, presenza a corto raggio di un servizio di terapia intensiva neonatale e subintensiva per le madri;

   in Emilia-Romagna sono stati chiusi i punti nascita di Castelnovo ne’ Monti (Reggio Emilia), Pavullo nel Frignano (Modena) e Borgo Val di Taro (Parma), anche se proseguono i servizi pre e post parto. Per il Ministero non ci sarebbero le condizioni di sicurezza per tutelare madri e neonati in una delle fasi più delicate della vita;

   la regione Emilia-Romagna ha già avanzato una domanda di deroga al Comitato nascita nazionale fornendo le informazioni richieste, inclusa l'indicazione delle distanze e dei tempi di percorrenza verso i punti nascita alternativi. Nella decisione assunta dal Comitato di non concedere la deroga per quelli suindicati di Castelnovo né Monti, Borgo Val di Taro e Pavullo nel Frignano, sono stati considerati essenzialmente il trend delle nascite e i criteri di disagio orografico, definiti in funzione della necessità di garantire la sicurezza;

   la chiusura dei punti nascita ha determinato un grave disservizio, in particolare alle partorienti del territorio, che devono affrontare spostamenti di decine di chilometri percorrendo anche zone non servite da una rete stradale sicura, prima di poter giungere a un punto che garantisca loro adeguata assistenza e pertanto l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza;

   tale situazione di difficoltà per le partorienti è comune a molti regioni che hanno dovuto subire per i medesimi motivi una riduzione dei punti nascita –:

   se non ritenga di assumere iniziative affinché si pervenga alla riapertura sperimentale dei punti nascita situati in zone oro-geografiche difficili, come quelle montane citate dell'Emilia-Romagna, rivedendo nel contempo anche l'intera normativa di cui all'Accordo Stato-regioni risalente al 2010, sempre nel rispetto della sicurezza della madre, del figlio e del personale sanitario.
(4-00570)

  Risposta. — Con riferimento all'oggetto dell'interrogazione, va premesso che la regione Emilia Romagna ha richiesto una deroga al Comitato percorso nascita nazionale per i punti nascita (PN) di Scandiano, Borgotaro, Pavullo nel Frignano, Castelnuovo ne’ Monti, Cento e Mirandola, con volumi di attività inferiori a 500 parti/anno, sulla base del protocollo metodologico per la valutazione delle richieste di mantenere in attività punti nascita con volumi di attività inferiori ai 500 parti/annui e in condizioni orogeografiche difficili (articolo 1, decreto ministeriale 11 novembre 2015).
  Il Comitato percorso nascita nazionale, riunito in seduta plenaria in data 26 settembre 2017, presa visione della documentazione predisposta dalla regione Emilia Romagna, si è espresso favorevolmente alla deroga temporanea di 2 anni per i punti nascita di Cento, Mirandola e Scandiano, condizionata ad alcune prescrizioni esplicitate in una nota predisposta dal comitato medesimo.
  Per i punti nascita di Borgo Val di Taro, Pavullo nel Frignano e Castelnuovo ne’ Monti, invece, il comitato ha espresso parere sfavorevole alla deroga, in quanto non ricorrevano i requisiti previsti dal suddetto protocollo metodologico.
  A tal riguardo, si sottolinea che il Comitato percorso nascita nazionale nella sua valutazione considera elemento irrinunciabile e prioritario la presenza di tutti gli
standard operativi, tecnologici e di sicurezza relativi al I livello di assistenza ostetrica e pediatrico/neonatologica definiti dall'accordo stesso, relativamente all'assistenza a gravidanza e parti in età gestazionale ≥ 34 settimane, alla presenza in guardia attiva h24 di anestesista, ostetrica, ginecologo, pediatra.
  A questi si aggiungono altri requisiti quali, in particolare, i tempi di attivazione di sala operatoria per parti con tc urgente, i tempi di risposta per esami di laboratorio urgenti, gli esami radiologici e la disponibilità di emoderivati.
  Infine, per la valutazione del potenziale del numero dei parti dei punti nascita
substandard di cui si richiede deroga alla chiusura, il Comitato percorso nascita nazionale, con atteggiamento proattivo, considera tassi di natalità superiori di circa un punto (8.5/9 nuovi nati/anno per mille abitanti) rispetto a quelli reali, sebbene non si prevedano significativi incrementi nel medio periodo.
  Nel merito del parere sfavorevole espresso per il mantenimento in attività dei punti nascita di Borgo Val di Taro, Pavullo nel Frignano e Castelnuovo ne’ Monti, la valutazione complessiva è stata effettuata considerando essenzialmente, anche se non esclusivamente (soprattutto laddove siano presentati progetti di potenziamento), i criteri di disagio orografico definiti nel protocollo metodologico per la richiesta di deroga, nonché il decreto ministeriale n. 70 del 2015; ciò, in funzione delle necessarie garanzie di sicurezza per le donne, i neonati e i professionisti, e con l'obiettivo di un costante e virtuoso bilanciamento tra il rischio legato alla distanza tra comune di residenza della donna, comune sede del punto nascita oggetto di valutazione e punto nascita alternativo e il diverso, ma non meno importante, rischio collegato alla ridotta capacità di affrontare condizioni complesse e situazioni di emergenza derivanti dai volumi di casistica molto bassi.
  Le valutazioni effettuate dal Comitato percorso nascita nazionale hanno evidenziato come i punti nascita in oggetto siano caratterizzati da un significativo calo del numero di nascite.
  In particolare, tra il 2012 e il 2016, i parti nel punto nascita di Borgo Val di Faro si sono ridotti del 21,1 per cento (da 365 a 288), in quello di Pavullo nel Frignano del 22,7 per cento (da 370 a 286) e in quello di Castelnuovo ne’ Monti dell'8 per cento (da 250 a 230).
  Inoltre, il tasso di fidelizzazione dei tre punti nascita è risultato piuttosto basso, in quanto una quota significativa delle donne in gravidanza residenti nei comuni appartenenti ai relativi bacini di utenza ha scelto spontaneamente altri punti nascita limitrofi, anche più distanti.
  L'evidenza di un tasso di fidelizzazione dei punti nascita di Borgo Val di Taro, Pavullo nel Frignano e Castelnuovo ne’ Monti rispettivamente del 47 per cento, del 66 per cento e del 64 per cento ha mostrato come una quota non trascurabile di donne abbia scelto punti nascita alternativi.
  La valutazione georeferenziata delle distanze verso punti nascita di ospedali alternativi e limitrofi ha evidenziato, inoltre, che la distanza verso punti nascita alternativi è significativa, anche in termini di tempi di percorrenza, solo per pochissimi comuni e un numero esiguo di donne.
  Per di più, anche volendo considerare un «
trend» positivo del tasso di natalità dello 0,9 per cento (oggi dello 0,69 per cento per Borgo Val di Taro e Castelnuovo ne’ Monti e dello 0,73 per cento per Pavullo nel Frignano), i bacini di utenza sono in grado di consentire un basso potenziale di parti/anno, anche se fossero poste in atto strategie finalizzate ad incrementare la fidelizzazione delle donne.
  Il potenziale massimo di 400 parti/anno per il punto nascita di Borgo Val di Taro, di 360 parti/anno per il punto nascita di Pavullo nel Frignano e di 300 parti/anno per il punto nascita di Castelnuovo ne’ Monti si discosta, quindi, dai livelli minimi di numerosità previsti dall'Accordo Stato-regioni del 16 dicembre 2010, e ciò potrebbe non garantire la sicurezza materno/fetale, anche in funzione di eventuali emergenze che dovessero verificarsi durante il travaglio/parto.
  Infine, i punti nascita in oggetto non assicurano livelli organizzativi coerenti con gli
standard raccomandati dal citato accordo Stato-regioni.
  Nei tre punti nascita in oggetto si registra, infatti, la mancanza della guardia h.24 di pediatri.
  La guardia ginecologica h.24 è, invece, garantita solo nel punto nascita di Pavullo nel Frignano, grazie al supporto di ginecologi provenienti dal punto nascita di Sassuolo; mentre la guardia anestesiologica h.24 è garantita solo nel punto nascita di Castelnuovo ne’ Monti, grazie al supporto di ginecologi e anestesisti provenienti dal punto nascita di Reggio Emilia.
  Sulla base delle criticità rilevate, il Comitato percorso nascita nazionale ha espresso parere sfavorevole alla deroga per i tre punti nascita in oggetto.
  Ciò detto in relazione ai casi specifici, oggetto della presente interrogazione, desidero segnalare che sul tema dei punti nascita è in atto un'attenta riflessione sull'opportunità di operare una rimodulazione della rete dei punti nascita, che tenga conto, prima di ogni altro aspetto, della sicurezza delle donne e dei bambini, oltre che della qualità dell'intero percorso nascita.
  Non si può negare, infatti, che nei quasi dieci anni di vigenza del citato Accordo siano mutate alcune importanti circostanze obiettive.
  Innanzitutto, il
trend delle nascite, che si prevede stabile per i prossimi anni, è stato segnato da una significativa riduzione: dai circa 580.000 nati nel 2009 a circa 458.000 nel 2017, con un calo del 21 per cento.
  Questa forte denatalità, che investe tutto il Paese dal nord al sud, unitamente a una oggettiva carenza di professionisti di ambito materno/neonatale, sta cambiando in modo importante lo scenario del nostro territorio, obbligando a una riflessione su alcuni elementi caratterizzanti l'accordo del 2010, ferma restando la necessità di mantenere invariato il paradigma organizzativo finalizzato alla sicurezza ed alla qualità dell'offerta per la donna e per il neonato.
  Da altro punto di vista, sempre in questi stessi anni, è significativamente migliorata la capacità delle istituzioni (regioni e Ministero della salute) di raccogliere dati ed elementi di misura sui processi assistenziali e sui risultati clinici.
  La coincidenza di questi due elementi (denatalità e ampia disponibilità di dati epidemiologici) potrà, dunque, consentire al Ministero della salute, con l'ausilio del Comitato percorso nascita nazionale e in condivisione con le regioni, di ridisegnare l'architettura della rete dei punti di offerta, ospedalieri e territoriali, nell'ambito materno infantile.
  Partendo dai dati dei flussi correnti, mediante analisi statistico epidemiologiche, si potranno infatti definire, con accettabile predittività e precisione, gli elementi utili sia a individuare i principali aspetti strutturali e organizzativi dei punti nascita che a identificare i livelli assistenziali necessari per disegnare una rete di offerta ottimale per l'assistenza alle donne e ai neonati proiettata alla qualità e alla sicurezza.
  Inoltre, tenendo conto che le fasi del «
pre» e «post partum» sono momenti altrettanto delicati quanto la fase del parto, si procederà, a completamento della revisione dell'accordo, a definire gli elementi di supporto all'organizzazione della rete territoriale al fine di creare un forte collegamento circolare territorio/ospedale/territorio.
  In conclusione, dunque, si confida che questo cambiamento di prospettiva — che potrà essere condiviso con le regioni già in sede di rinnovo del Patto per la salute – possa portare a soluzioni innovative, in grado di garantire un servizio di massima prossimità, pur in un regime di invariata attenzione alla sicurezza delle donne e del nascituro.

La Ministra della salute: Giulia Grillo.


   FOTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il Presidente del Consiglio, nella replica ai deputati intervenuti nel dibattito sulla fiducia al Governo tenutosi davanti la Camera dei deputati il 6 giugno 2018, ha – tra l'altro – testualmente detto: «Vogliamo che tutti possano beneficiare di cure; vorremmo anche ad esempio che ci possano essere dei presìdi ostetrici nei piccoli centri montani, là dove può essere difficile assicurare interventi così significativi»;

   risulta che il 5 ottobre 2017 il Ministero della salute abbia comunicato alla regione Emilia-Romagna il parere negativo espresso dal Comitato Percorso Nascita nazionale rispetto alla deroga richiesta dallo stesso ente regionale per evitare la chiusura prevista per i punti nascite al di sotto dei 500 parti annui per tutte e tre le strutture di quel genere operanti in località montane sull'Appennino emiliano: Castelnovo né Monti, Borgo Val di Taro e Pavullo nel Frignano;

   al riguardo, la regione Emilia-Romagna si è attenuta al detto parere ministeriale, ancorché il Protocollo metodologico per la valutazione delle richieste di mantenere in attività punti nascita con volumi di attività inferiori ai 500 parti annui e in condizioni orogeografiche difficili (decreto ministeriale 11 novembre 2015) stabilisca che il parere richiesto abbia solo finalità consultive e non vincolanti;

   nel parere negativo riguardo alla prosecuzione dell'attività in questione in quelle strutture, espresso dalla commissione tecnico consultiva regionale sul percorso nascita, venivano indicate in dettaglio tutte le carenze strutturali e organizzative degli stessi punti nascita montani, mentre non si faceva cenno, almeno per quanto riguarda Castelnovo né Monti e Borgo Val di Taro, alla significativa distanza da percorrere per raggiungere i punti nascita più vicini dalla gran parte dei luoghi serviti da quelle due strutture ed, inoltre, non si faceva cenno alla pericolosità di eventuali frequenti parti in itinere per le partorienti;

   le criticità per la sicurezza di gestanti e nascituri dei punti nascita montani al di sotto dei 500 parti sono sicuramente risolvibili con investimenti sia in attrezzature tecnologiche avanzate, sia in una diversa organizzazione del personale medico e paramedico addetto che potrebbe essere fatto ruotare tra diverse strutture per acquisire la necessaria esperienza annua in diverse casistiche di parti, così come peraltro è stato recentemente sperimentato nell'Ausl di Reggio Emilia ed è prassi consolidata anche nelle zone più isolate degli Stati Uniti;

   le citate commissioni (nazionale e regionale) sul percorso nascite erano incaricate di esprimere i propri pareri solo sulla base di valutazioni medico scientifiche e di spesa sanitaria, a prescindere da valutazioni più ampie socio-economiche ed ideali –:

   se il Governo intenda assumere idonee iniziative affinché restino operativi i punti nascita di Castelnovo né Monti (Reggio nell'Emilia), Borgo Val di Taro (Parma) e Pavullo nel Frignano (Modena), affinché siano messe a disposizione le dotazioni strumentali, di personale e organizzative necessarie a garantire adeguata sicurezza alle gestanti ed ai nascituri.
(4-00461)

  Risposta. — Con riferimento all'oggetto dell'interrogazione, va premesso che la regione Emilia Romagna ha richiesto una deroga al Comitato percorso nascita nazionale per i punti nascita (Pn) di Scandiano, Borgo Val di Taro, Pavullo nel Frignano, Castelnuovo né Monti, Cento e Mirandola, con volumi di attività inferiori a 500 parti/anno, sulla base del protocollo metodologico per la valutazione delle richieste di mantenere in attività Pn con volumi di attività inferiori ai 500 parti/annui e in condizioni orogeografiche difficili (articolo 1, decreto ministeriale 11 novembre 2015).
  Il Comitato percorso nascita nazionale, riunito in seduta plenaria in data 26 settembre 2017, presa visione della documentazione predisposta dalla regione Emilia Romagna, si è espresso favorevolmente alla deroga temporanea di 2 anni per i Pn di Cento, Mirandola e Scandiano, condizionata ad alcune prescrizioni esplicitate in una nota predisposta dal Comitato medesimo.
  Per i Pn di Borgo Val di Taro, Pavullo nel Frignano e Castelnuovo né Monti, invece, il Comitato ha espresso parere sfavorevole alla deroga, in quanto non ricorrevano i requisiti previsti dal suddetto protocollo metodologico.
  A tal riguardo, si sottolinea che il Comitato percorso nascita nazionale nella sua valutazione considera elemento irrinunciabile e prioritario la presenza di tutti gli standard operativi, tecnologici e di sicurezza relativi al I livello di assistenza ostetrica e pediatrico/neonatologica definiti dall'accordo stesso, relativamente all'assistenza a gravidanza e parti in età gestazionale ≥ 34 settimane, alla presenza in guardia attiva h24 di anestesista, ostetrica, ginecologo, pediatra.
  A questi si aggiungono altri requisiti quali, in particolare, i tempi di attivazione di sala operatoria per parti con Tc urgente, i tempi di risposta per esami di laboratorio urgenti, gli esami radiologici e la disponibilità di emoderivati.
  Infine, per la valutazione del potenziale del numero dei parti dei Pn
substandard di cui si richiede deroga, alla chiusura, il Comitato percorso nascita nazionale, con atteggiamento proattivo, considera tassi di natalità superiori di circa un punto (8.5/9 nuovi nati/anno per mille abitanti) rispetto a quelli reali, sebbene non si prevedano significativi incrementi nel medio periodo.
  Nel merito del parere sfavorevole espresso per il mantenimento in attività dei Pn di Borgo Val di Taro, Pavullo nel Frignano e Castelnuovo ne’ Monti, la valutazione complessiva è stata effettuata considerando essenzialmente, anche se non esclusivamente (soprattutto laddove siano presentati progetti di potenziamento), i criteri di disagio orografico definiti nel protocollo metodologico per la richiesta di deroga, nonché il decreto ministeriale n. 70 del 2015; ciò, in funzione delle necessarie garanzie di sicurezza per le donne, i neonati e i professionisti, e con l'obiettivo di un costante e virtuoso bilanciamento tra il rischio legato alla distanza tra comune di residenza della donna, comune sede del Pn oggetto di valutazione e Pn alternativo e il diverso, ma non meno importante, rischio collegato alla ridotta capacità di affrontare condizioni complesse e situazioni di emergenza derivanti dai volumi di casistica molto bassi.
  Le valutazioni effettuate dal Comitato percorso nascita nazionale hanno evidenziato come i Pn in oggetto siano caratterizzati da un significativo calo del numero di nascite.
  In particolare, tra il 2012 e il 2016, i parti nel Pn di Borgo Val di Taro si sono ridotti del 21,1 per cento (da 365 a 288), in quello di Pavullo nel Frignano del 22,7 per cento (da 370 a 286) e in quello di Castelnuovo né Monti dell'8 (da 250 a 230).
  Inoltre, il tasso di fidelizzazione dei tre Pn è risultato piuttosto basso, in quanto una quota significativa delle donne in gravidanza residenti nei comuni appartenenti ai relativi bacini di utenza ha scelto spontaneamente altri Pn limitrofi, anche più distanti.
  L'evidenza di un tasso di fidelizzazione dei Pn di Borgo Val di Taro, Pavullo nel Frignano e Castelnuovo ne’ Monti rispettivamente del 47 per cento e del 66 per cento del 64 per cento ha mostrato come una quota non trascurabile di donne abbia scelto Pn alternativi.
  La valutazione georeferenziata delle distanze verso Pn di ospedali alternativi e limitrofi ha evidenziato, inoltre, che la distanza verso Pn alternativi è significativa, anche in termini di tempi di percorrenza, solo per pochissimi comuni e un numero esiguo di donne.
  Per di più, anche volendo considerare un «
trend» positivo del tasso di natalità dello 0.9 per cento (oggi dello 0,69 per cento per Borgo Val di Taro e Castelnuovo ne’ Monti e dello 0,73 per cento per Pavullo nel Frignano), i bacini di utenza sono in grado di consentire un basso potenziale di parti/anno, anche se fossero poste in atto strategie finalizzate ad incrementare la fidelizzazione delle donne.
  Il potenziale massimo di 400 parti/anno per il Pn di Borgo Val di Taro, di 360 parti/anno per il Pn di Pavullo nel Frignano e di 300 parti/anno per il Pn di Castelnuovo ne’ Monti si discosta, quindi, dai livelli minimi di numerosità previsti dall'accordo Stato-regioni del 16 dicembre 2010, e ciò potrebbe non garantire la sicurezza materno/fetale, anche in funzione di eventuali emergenze che dovessero verificarsi durante il travaglio/parto.
  Infine, i Pn in oggetto non assicurano livelli organizzativi coerenti con gli
standard raccomandati dal citato accordo Stato-regioni.
  Nei tre Pn in oggetto si registra, infatti, la mancanza della guardia h.24 di pediatri.
  La guardia ginecologica h.24 è, invece, garantita solo nel Pn di Pavullo nel Frignano, grazie al supporto di ginecologi provenienti dal Pn di Sassuolo; mentre la guardia anestesiologica h.24 è garantita solo nel Pn di Castelnuovo né Monti, grazie al supporto di ginecologi e anestesisti provenienti dal Pn di Reggio Emilia.
  Sulla base delle criticità rilevate, il Comitato percorso nascita nazionale ha espresso parere sfavorevole alla deroga per i tre Pn in oggetto.
  Ciò detto in relazione ai casi specifici, oggetto della presente interrogazione, desidero segnalare che sul tema dei Pn è in atto un'attenta riflessione sull'opportunità di operare una rimodulazione della rete dei Pn, che tenga conto, prima di ogni altro aspetto, della sicurezza delle donne e dei bambini, oltre che della qualità dell'intero percorso nascita.
  Non si può negare, infatti, che nei quasi dieci anni di vigenza del citato accordo siano mutate alcune importanti circostanze obiettive.
  Innanzitutto, il
trend delle nascite, che si prevede stabile per i prossimi anni, è stato segnato da una significativa riduzione: dai circa 580.000 nati nel 2009 a circa 458.000 nel 2017, con un calo del 21 per cento.
  Questa forte denatalità, che investe tutto il paese dal nord al sud, unitamente a una oggettiva carenza di professionisti di ambito materno/neonatale, sta cambiando in modo importante lo scenario del nostro territorio, obbligando a una riflessione su alcuni elementi caratterizzanti l'accordo del 2010, ferma restando la necessità di mantenere invariato il paradigma organizzativo finalizzato alla sicurezza ed alla qualità dell'offerta per la donna e per il neonato.
  Da altro punto di vista, sempre in questi stessi anni, è significativamente migliorata la capacità delle istituzioni (regioni e Ministero della salute) di raccogliere dati ed elementi di misura sui processi assistenziali e sui risultati clinici.
  La coincidenza di questi due elementi (denatalità e ampia disponibilità di dati epidemiologici) potrà, dunque, consentire al Ministero della salute, con l'ausilio del Comitato percorso nascita nazionale e in condivisione con le regioni, di ridisegnare l'architettura della rete dei punti di offerta, ospedalieri e territoriali, nell'ambito materno infantile.
  Partendo dai dati dei flussi correnti, mediante analisi statistico epidemiologiche, si potranno infatti definire, con accettabile predittività e precisione, gli elementi utili sia a individuare i principali aspetti strutturali e organizzativi dei Pn, che a identificare i livelli assistenziali necessari per disegnare una rete di offerta ottimale per l'assistenza alle donne e ai neonati proiettata alla qualità e alla sicurezza.
  Inoltre, tenendo conto che le fasi del «
pre» e «post partum» sono momenti altrettanto delicati quanto la fase del parto, si procederà, a completamento della revisione dell'accordo, a definire gli elementi di supporto all'organizzazione della rete territoriale al fine di creare un forte collegamento circolare territorio/ospedale/territorio.
  In conclusione, dunque, si confida che questo cambiamento di prospettiva – che potrà essere condiviso con le regioni già in sede di rinnovo del Patto per la salute – possa portare a soluzioni innovative, in grado di garantire un servizio di massima prossimità, pur in un regime di invariata attenzione alla sicurezza delle donne e del nascituro.
  

La Ministra della salute: Giulia Grillo.


   FUGATTI, BINELLI, VANESSA CATTOI, SEGNANA e ZANOTELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il punto nascite di Cavalese è stato protagonista di una vicenda tribolata, vittima di vincoli burocratici diversi, sorti ad ogni tentativo di procedere ad una riapertura;

   in origine il Ministero della salute ha riconosciuto la specificità del territorio, concedendo la deroga alla soglia dei 500 parti annui. Mancavano, però, il numero minimo di professionisti per garantire il funzionamento 24 ore al giorno del reparto. A tal proposito si è provveduto ad ottemperare alle richieste ministeriali;

   nei giorni scorsi si è appreso come la lettera del Ministero in risposta alle richieste provinciali per l'ospedale di Cavalese, renda noto che condizione necessaria per la riapertura del Punto nascite è la presenza non solo di una seconda sala parto sempre pronta e disponibile H24 per le emergenze ostetriche del blocco travaglio/parto, ma anche di una sala operatoria sempre pronta e disponibile per le emergenze H24 nel blocco travaglio/parto;

   a causa di quanto dichiarato dal Ministero della salute, secondo cui la riapertura del Punto nascite è subordinata alla predisposizione della seconda sala parto e della sala operatoria, pare chiaro che si presenta impossibile la riapertura immediata del Punto nascita di Cavalese come promesso dalla provincia di Trento;

   è quanto mai insolito che assessorato e dipartimenti non abbiano comunicato con trasparenza e tempestività ad operatori e cittadinanza la situazione relativa alle strutture decentrate della sanità provinciale, destando sorpresa nei cittadini nell'apprendere che le comunicazioni del Ministero fossero giunte in Trentino già da diverse settimane;

   appare difficile comprendere quali siano le reali intenzioni della provincia (assessore e dirigenti) per l'ospedale di Cavalese, visto il mancato rispetto degli impegni presi con i cittadini per la pronta riattivazione del servizio entro settembre 2017, nonché, presumibilmente, entro aprile 2018;

   appare incomprensibile per quale motivo non si sia già in tempi precedenti provveduto a iniziare le progettazioni per la sala operatoria necessaria per garantire il punto nascite di Cavalese. Appare oscura la mancanza di atti dell'assessorato provinciale al fine di attivarsi per la costruzione di tale sala operatoria nei mesi scorsi, ben sapendo che tale struttura è e sarebbe stata necessaria per l'ottenimento della deroga –:

   se il Ministro interrogato, essendo a conoscenza della situazione, intenda assumere iniziative al fine di prevedere una deroga alla temporanea assenza delle sale operatorie richieste per il mantenimento in attività del punto nascita di Cavalese, al fine di tutelare il bene primario della salute dei cittadini ed i medici che erano stati assunti in prospettiva di una riapertura del punto nascita ad aprile.
(4-00006)

  Risposta. — Come correttamente riferito nell'interrogazione, il parere favorevole alla deroga per il Punto Nascita (PN) di Cavalese, espresso dal Comitato Percorso Nascita nazionale (CPNn) il 22 giugno 2016, è stato condizionato essenzialmente al completamento dell'organico del punto nascita, in modo da garantire assistenza 24 ore su 24 alle partorienti da parte di tutte le figure professionali (neonatologo, anestesista, ginecologo, ostetrica) previste con l'accordo del 16 dicembre 2010. Tale elemento è stato considerato, infatti, prioritario e vincolante per garantire la sicurezza materno/neonatale.
  A distanza di sei mesi dalla formulazione del parere, il Comitato Percorso Nascita nazionale ha richiesto una relazione sullo stato dell'arte delle azioni per superare i disallineamenti organizzativi riscontrati e, nella relazione trasmessa dalla Provincia autonoma di Trento, predisposta a firma del responsabile dell'Azienda provinciale per i servizi sanitari di Trento, sono state riferite difficoltà oggettive di reperimento del personale, soprattutto di pediatri.
  In base a tale dichiarazione, il Comitato Percorso Nascita nazionale ha stabilito la decadenza del parere favorevole alla persistenza del punto nascita di Cavalese, in quanto l'assistenza pediatrico/neonatologica in guardia attiva «h24» è stata considerata elemento irrinunciabile, specie in funzione di eventuali emergenze neonatologiche.
  Il 15 dicembre 2017, la Provincia autonoma di Trento ha inviato al Comitato Percorso Nascita nazionale una lettera in cui, facendo riferimento alla decadenza del parere favorevole alla persistenza in deroga del punto nascita di Cavalese, avanzava la proposta di superare tale criticità e riaprire il punto nascita (che nel frattempo è stato chiuso) mediante l'utilizzo di specialisti esterni, ginecologi e pediatri.
  Il Comitato Percorso Nascita nazionale, valutata la nota della Provincia autonoma di Trento, ha ritenuto attuabile il ricorso a specialisti esterni, raccomandando che la scelta dei professionisti avvenga sulla base di solida competenza ed esperienza. Nel contempo, il Comitato Percorso Nascita nazionale, facendo riferimento alle criticità strutturali presenti nel punto nascita di Cavalese, ha sollecitato la predisposizione di una seconda sala parto sempre pronta e disponibile «h24» per le emergenze ostetriche nel blocco travaglio-parto e la predisposizione di una sala operatoria sempre pronta e disponibile per le emergenze «h24» nel blocco travaglio/parto, come previsto dall'accordo del 16 dicembre 2010. Per entrambe, come dichiarato dall'Assessorato provinciale, è stato già predisposto il progetto.
  La possibilità offerta dal Comitato Percorso Nascita nazionale alla Provincia autonoma di Trento di sanare le criticità strutturali e organizzative, con particolare riguardo alla predisposizione della seconda sala parto e della sala operatoria (da effettuarsi a struttura chiusa), va esattamente nella direzione di tutelare la qualità e la sicurezza materno/neonatale, vigilando che tutti i requisiti in tal senso siano rispettati.
  Infine, si rappresenta che il Comitato Percorso Nascita nazionale supporta ed affianca le regioni nel realizzare tutte le possibili azioni atte a riorganizzare la rete dei punti nascita; tuttavia, poiché i pareri espressi da tale Comitato sono consultivi, qualora le Regioni e le Province autonome, nell'espressione della propria autonomia amministrativo/gestionale optassero per scelte programmatorie che non tengano conto di quanto pattuito con l'accordo del 16 dicembre 2010 e del conseguente parere espresso dal Comitato Percorso Nascita nazionale, ne hanno piena facoltà, assumendosi la responsabilità di garantire efficienza, efficacia ed economicità dell'assistenza, nonché qualità e sicurezza per la madre ed il neonato.
  Nel concludere, desidero far presente che sul tema dei punti nascita è in atto una riflessione sull'opportunità di operare una rimodulazione della rete dei punti nascita, che tenga conto, prima di ogni altro aspetto, della sicurezza delle donne e dei bambini, oltre che della qualità dell'intero percorso nascita.
  Tale necessità scaturisce, in particolare, dalla consapevolezza che nei quasi dieci anni di vigenza del citato accordo siano mutate alcune importanti circostanze obiettive.
  Innanzitutto, il
trend delle nascite, che si prevede stabile per i prossimi anni, è stato segnato da una significativa riduzione: dai circa 580.000 nati nel 2009 a circa 458.000 nel 2017, con un calo del 21 per cento.
  Questa forte denatalità, che investe tutto il paese dal Nord al Sud, unitamente a una oggettiva carenza di professionisti di ambito materno/neonatale, sta cambiando in modo importante lo scenario del nostro territorio, obbligando a una riflessione su alcuni elementi caratterizzanti l'accordo del 2010, ferma restando la necessità di mantenere invariato il paradigma organizzativo finalizzato alla sicurezza ed alla qualità dell'offerta per la donna e per il neonato.
  Da altro punto di vista, sempre in questi stessi anni, è significativamente migliorata la capacità delle istituzioni (regioni e Ministero della salute) di raccogliere dati ed elementi di misura sui processi assistenziali e sui risultati clinici.
  La coincidenza di questi due elementi (denatalità e ampia disponibilità di dati epidemiologici) potrà, dunque, consentire al Ministero della salute, con l'ausilio del Comitato Percorso Nascita nazionale e in condivisione con le regioni, di ridisegnare l'architettura della rete dei punti di offerta, ospedalieri e territoriali, nell'ambito materno infantile.
  Partendo dai dati dei flussi correnti, mediante analisi statistico epidemiologiche, si potranno infatti definire, con accettabile predittività e precisione, gli elementi utili sia a individuare i principali aspetti strutturali e organizzativi dei punti nascita, che a identificare i livelli assistenziali necessari per disegnare una rete di offerta ottimale per l'assistenza alle donne e ai neonati proiettata alla qualità e alla sicurezza.
  Inoltre, tenendo conto che le fasi del «
pre» e «post partum» sono momenti altrettanto delicati quanto la fase del parto, si procederà, a completamento della revisione dell'accordo, a definire gli elementi di supporto all'organizzazione della rete territoriale al fine di creare un forte collegamento circolare territorio/ospedale/territorio.
  Si confida, dunque, che questo cambiamento di prospettiva – che potrà essere condiviso con le regioni già in sede di rinnovo del Patto per la salute – possa portare a soluzioni innovative, in grado di garantire un servizio di massima prossimità, pur in un regime di invariata attenzione alla sicurezza delle donne e del nascituro.
  

La Ministra della salute: Giulia Grillo.


   GALLINELLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   nell'ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia è presente l'unità spinale unipolare (Usu), aperta nel 1998, che rappresenta un'eccellenza in Italia. Esistono infatti solamente 11 strutture di questo genere in Italia;

   l'unità spinale unipolare di Perugia è un centro ad alta specializzazione, con un’équipe che assiste persone con lesione al midollo spinale di origine traumatica e non, sin dal momento dell'evento lesivo. Inoltre, permette alle persone, con mielolesione, di raggiungere sia il miglior stato di salute, sia il più alto livello di autonomia nelle attività della vita quotidiana, compatibili con la lesione stessa e il reinserimento nel contesto sociale. La Usu si occupa infatti anche del ciclo di riabilitazione e del post degenza che può durare anche 4 o 5 mesi;

   a quanto si apprende da diverse fonti stampa, nonché da atti parlamentari depositati nella scorsa legislatura, la piscina di riabilitazione per i pazienti, di cui è dotata l'Usu suddetta, è inagibile e quindi inutilizzata da oltre 10 anni;

   l'uso della piscina nel percorso di riabilitazione è fondamentale, ma nonostante la unità spinale unipolare di Perugia sia un'eccellenza non è riuscita in questi anni a rimetterla a norma e a permettere ai circa 100 pazienti ricoverati di poterne usufruire;

   si apprende inoltre che la piscina è stata realizzata in maniera non conforme alle sue funzioni e che ci vorrebbero circa 70-80 mila euro per renderla agibile;

   tra le altre cose, quella dell'ospedale Santa Maria della Misericordia è l'unica piscina ad oggi esistente per questa tipologia di uso e doveva servire, così come l'intera Usu, a riabilitare anche pazienti provenienti da altre regioni, in particolare le Marche;

   molte associazioni regionali, tra cui il comitato paraolimpico umbro, si sono attivate per offrire soluzioni, stanziando fondi che permetterebbero una cogestione del centro riabilitativo, anche perché l'azienda ospedaliera regionale ha dichiarato di non avere risorse finanziarie sufficienti per rendere fruibile la piscina e gestirla;

   in questi giorni si apprende che anche una nota trasmissione televisiva sta sollevando il caso della piscina riabilitativa abbandonata a Perugia –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione e se non intenda, nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto dell'autonomia regionale in materia sanitaria, valutare la possibilità di adottare iniziative, anche mediante la destinazione specifiche risorse, volte ad assicurare i livelli di assistenza, favorendo la completa efficienza della Usu di Perugia, considerando anche che è una delle poche presenti sul territorio nazionale e che la tutela della salute, e in questo caso la garanzia di un ciclo riabilitativo completo, è una priorità per lo Stato.
(4-01523)

  Risposta. — In merito all'interrogazione parlamentare in esame, la prefettura – ufficio territoriale del governo di Perugia ha trasmesso le informazioni acquisite per il tramite della regione Umbria e della azienda ospedaliera di Perugia.
  Il trasferimento della S.C. unità spinale unipolare nell'attuale sede è stato effettuato nel dicembre 2007.
  I locali del nuovo complesso ospedaliero non sono stati realizzati dall'azienda ospedaliera di Perugia, ma dal consorzio umbra salute, concessionario per la Regione.
  La piscina è stata costruita all'interno di una variante al progetto iniziale dei lavori approvata nel 2005.
  Al momento del trasferimento, i lavori di realizzazione di quest'ultima erano ancora in corso.
  Inoltre, a seguito del riempimento della vasca, si sono presentati problemi di tenuta, che la ditta costruttrice ha risolto nel maggio del 2009, rendendo disponibile l'impianto.
  Le attività sanitarie presso la vasca terapeutica non sono state attivate anche per l'elevato costo di messa in funzione e gestione.
  In tale contesto, si precisa che, a tutt'oggi, l'esercizio assistito in acqua, l'idromassoterapia, la ginnastica vascolare in acqua, eccetera sono prestazioni extra livelli essenziali assistenza, per le quali non è stato previsto alcuno specifico finanziamento su mandato dell'azienda ospedaliera.
  Detta azienda sta valutando la possibilità di affidare la gestione dell'impianto a soggetti esterni aventi i requisiti, facendosi carico unicamente degli oneri relativi all'attività riabilitativa per pazienti ricoverati.
  Si soggiunge, per completezza d'informazione, che, nel corso degli ultimi anni, alcune associazioni di volontariato e/o cooperative sociali hanno richiesto dei sopralluoghi per avanzare una proposta di gestione dell'impianto ma, ad oggi, non è stata concretizzata nessuna offerta.

La Ministra della salute: Giulia Grillo.


   GUERINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   in provincia di Lodi sono presenti 4 ospedali, afferenti un'unica azienda ospedaliera (ora denominata Asst); di questi, Lodi e Codogno sono gli unici due per acuti, entrambi dotati anche di reparto maternità con punto nascite;

   dal 16 aprile 2018 la direzione generale dell'Asst ha «sospeso» l'attività del punto nascite di Codogno, a causa di una grave carenza di personale medico che impedisce adeguata copertura dei servizi in condizioni di sicurezza (in particolare risulta insufficiente il numero di ginecologici e ostetriche); conseguentemente, tutto il personale del reparto maternità di Codogno è stato accorpato al reparto maternità di Lodi, che è diventato così l'unico punto di riferimento per tutta la provincia;

   non si tratta pertanto di una misura di razionalizzazione, considerato che il punto nascite di Codogno ha sempre fatto registrare un numero di parti all'anno superiore alla soglia di sostenibilità (500 nascite annue);

   l'assessore regionale al welfare, Giulio Gallera, in dichiarazioni riportate dalla stampa locale, ha attribuito la situazione di Codogno a presunti errori di programmazione a livello nazionale, facendo riferimento, in particolare, ad un numero insufficiente di borse di studio per specializzandi in ginecologia;

   la direzione generale dell'Asst ha sempre sostenuto di aver fatto il possibile per coprire il fabbisogno di personale: a Codogno i ginecologi in servizio sono passati da 12 nel 2014 ai 6 attuali, a Lodi da 13 a 9, che tuttavia a breve diventeranno 5 a causa della richiesta di 4 congedi parentali. In totale, dal 2017 ad oggi, oltre 13 ginecologi hanno lasciato, per vari motivi, i due ospedali, 6 di questi nel solo primo trimestre 2018;

   l'Asst per fronteggiare tale criticità ha bandito concorsi e fatto richiesta, attraverso mobilità, di personale alle altre aziende ospedaliere, in particolare: sui 4 ginecologi, assunti a tempo indeterminato l'anno scorso a seguito di un concorso, 3 si sono dimessi nel giro di 6 mesi e i 10 successivi in graduatoria non hanno accettato di subentrare; sono andate deserte anche altre procedure per assunzioni a tempo determinato e quindi è stato possibile conferire solo 3 incarichi libero professionali –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di questa grave situazione e se, nell'ambito delle sue competenze, intenda assumere iniziative per chiarire le cause effettive delle criticità e individuare soluzioni stabili in modo da garantire i livelli essenziali delle prestazioni ed evitare che la sospensione dell'attività diventi una chiusura definitiva del reparto di maternità di Codogno; se corrisponda a verità la richiamata insufficienza di posti per borsisti specializzandi, anche in riferimento alla condizione degli altri punti nascita presenti in Italia.
(4-00086)

  Risposta. — In merito all'oggetto dell'interrogazione, si ricorda che la riorganizzazione dei punti uscita (Pn) scaturisce dall'accordo in Conferenza unificata sancito il 16 dicembre 2010 tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, le province, i comuni e le comunità montane, sul documento concernente «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo».
  Tale accordo, che ha impegnato tutte le regioni ad attuare 10 linee di azione per la ridefinizione del percorso nascita, è nato dalla generale consapevolezza di dover implementare alcune misure fondamentali per garantire livelli ottimali di qualità e sicurezza per la madre e il nascituro.
  Di particolare importanza è, in tal senso, la definizione del volume minimo di parti, che, secondo la letteratura e le esperienze in materia, costituisce «
conditio sine qua non» per configurare le condizioni organizzative e di competenza necessarie per la sicurezza del percorso nascita.
  Altrettanto determinante è la presenza di tutti i requisiti organizzativi, di sicurezza e tecnologici indicati dall'accordo del 16 dicembre 2010, tra i quali la presenza in guardia attiva h24 di ginecologi, ostetriche, anestesisti e pediatri.
  Rispetto a quest'ultimo punto, è evidente che la carenza di fondamentali figure professionali e la conseguente impossibilità di completare l'organico del Pn, costituiscono una seria criticità ai fini della garanzia della qualità e della sicurezza dell'assistenza materno/neonatale.
  In relazione ai requisiti previsti nell'accordo Stato regioni del 16 dicembre 2010, il Pn di Codogno non rientra, attualmente, tra quelli destinati alla chiusura, in quanto caratterizzato da un'attività superiore ai 500 parti/anno, seppure in calo (614 parti nel 2015, 575 nel 2016 e 537 nel 2017).
  Tuttavia, il decreto ministeriale n. 70 del 2015 prevede che, a garanzia di qualità e sicurezza, i Pn, ove previsti per numerosità di parti/anno, siano collocati in strutture sede di Dipartimento di emergenza e accettazione (Dea) di I livello, e il presidio di Codogno è dotato solo di pronto soccorso e non di Dea di I livello.
  Nel corso degli ultimi anni, si è riscontrata una progressiva difficoltà nel reclutamento del personale — ginecologi e pediatri — necessario a sostenere l'attività di entrambi i Pn di cui consta l'Asst di Lodi (Codogno e Lodi), anche solo a copertura del «
turn over» ordinario (quiescenza o trasferimento), difficoltà comuni a tutte le strutture ospedaliere del Servizio sanitario nazionale.
  Negli anni, considerevole è stato, altresì, l'impegno di risorse economiche, anche al fine di acquisire servizi esterni.
  Nel 2018, ad esempio, la spesa per incarichi libero-professionali a medici ginecologi è stata pari a circa 35.000 euro, mentre quella per l'attività pediatrica è stata pari a 149.105 euro.
  Ciò nonostante, dal 15 aprile 2018, a seguito di deliberazione n. 435 del 2018, l'Asst di Lodi si è vista costretta a sospendere temporaneamente l'attività del Pn di Codogno, in quanto sono venuti meno i requisiti minimi di accreditamento e di sicurezza per garantire la contemporanea apertura di ambedue i servizi, concentrando quindi le risorse organizzative su Lodi.
  La presa in carico delle autopresentazioni, delle emergenze ostetriche e dei parti precipitosi a Codogno, è comunque garantita dal pronto soccorso generale con possibilità di trasferimento protetto a Lodi.
  Come ulteriore iniziativa di sicurezza, nel primo mese è stata garantita la presenza di un'ostetrica presso il pronto soccorso di Codogno.
  L'Asst di Lodi persegue, inoltre, nella ricerca di specialisti pediatri, non solo in funzione di una possibile riapertura del Pn di Codogno, ma anche per garantire il regolare funzionamento dei servizi del presidio di Lodi.
  Nel corso degli ultimi mesi, con l'aiuto di altre aziende ospedaliere e della regione Lombardia, sono state adottate misure ordinarie e straordinarie per assicurare la qualità, la sicurezza e la continuità del funzionamento di entrambi i Pn (convenzioni, utilizzo graduatorie).
  Purtroppo tutte le iniziative intraprese a tale fine sono risultate largamente insufficienti.
  A titolo esemplificativo, solo per quanto riguarda i pediatri, anche in previsione della sostituzione di 2 dirigenti medici (1 collocato a riposo e 1 dimessosi volontariamente) tra i mesi di maggio e luglio 2018 sono stati pubblicati:

   1 bando per incarico a tempo determinato (24 mesi); scaduto il 31 maggio 2018 è andato deserto; 1 bando libero professionale per 38 ore/settimanali per 1 anno; scaduto il 30 maggio 2018 è andato deserto; 1 bando libero professionale per la copertura di 10 turni mensili notturni per 4 mesi; scaduto l'8 giugno 2018 è andato deserto; 1 bando per 3 incarichi libero professionali per un totale di 90 ore settimanali: hanno aderito 2 pediatri con una disponibilità di complessive 56 ore settimanali e 1 pediatra con una disponibilità di 24 ore mensili, a partire dal mese di agosto 2018; sono state chieste le graduatorie per medici pediatri alle aziende sanitarie regionali, senza esito alcuno; sono stati interpellati i nominativi presenti nella graduatoria dell'Asst «Santi Paolo e Carlo» di Milano (dal n. 11 al n. 16) e tutti hanno rinunciato.

  In termini più generali, l'insufficienza del numero di professionisti nei Pn rappresenta un problema che coinvolge tutto il territorio nazionale.
  In questi anni, nel settore sanitario si è registrata la carenza di diverse figure professionali per effetto dei vincoli assunzionali.
  In tale contesto, la maggior parte delle realtà regionali ha segnalato la carenza di personale sanitario, per la difficoltà di assicurare la programmazione dei turni di lavoro secondo standard minimi, la copertura delle assenze per malattie, per gravidanza, e altro.

  Nella consapevolezza che i livelli delle prestazioni passano prima di tutto attraverso una seria politica del personale, basata su un adeguato turn over, negli ultimi anni sono state adottate diverse iniziative per trovare soluzioni volte a favorire nuove assunzioni e, nello stesso tempo, a stabilizzare i precari che da tempo prestano la propria attività nei servizi sanitari.
  Già con la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità per il 2016, articolo 1, commi 541 e seguenti) è stato previsto un primo intervento volto a realizzare un piano
straordinario di assunzioni nel servizio sanitario nazionale, in parte riservate ai precari, anche al fine di consentire il rispetto della disciplina sull'orario di lavoro.
  Successivamente il decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, nell'ambito di una più generale riforma delle norme sul reclutamento delle amministrazioni pubbliche, ha introdotto diverse misure volte al superamento del precariato e alla valorizzazione dell'esperienza professionale maturata con rapporti di lavoro flessibile.
  In particolare, l'articolo 20 del citato decreto – oltre a confermare l'applicabilità delle disposizioni di cui all'articolo 1, comma 543, introdotte con la legge di stabilità 2016 nei confronti del personale medico, tecnico-professionale ed infermieristico, la cui efficacia è prorogata al 31 dicembre 2018 per indire le procedure concorsuali straordinarie, al 31 dicembre 2019 per la loro conclusione, e al 31 ottobre 2018 per la stipula di nuovi contratti di lavoro flessibile — ai commi 1 e 2, riconosce alle amministrazioni, compresi gli enti del servizio sanitario nazionale, la facoltà di avviare procedure di reclutamento speciale transitorio per il triennio 2018-2020.
  La curva demografica della popolazione medica in Italia è ben nota a questo ministero.
  Nei prossimi anni si assisterà a un'importante fuoriuscita dal mercato del lavoro sia di medici specialisti, con pensionamenti numericamente più consistenti per alcune specializzazioni, sia di medici di medicina generale.
  Tale fenomeno è conseguenza degli anni ‘80, periodo in cui gli accessi al corso di laurea in medicina e chirurgia non erano regolati dal numero chiuso.
  Pertanto, nella prospettiva dell'imminente approssimarsi della «gobba» pensionistica, e nell'ottica di garantire il necessario prosieguo del percorso formativo dei neo-laureati in medicina, propedeutico all'effettivo esercizio della professione, il Governo si è impegnato negli ultimi anni a trovare risorse aggiuntive per il finanziamento dei contratti di formazione medico specialistica, che sono passati da un totale di 5.000 contratti finanziati dallo Stato per l'anno accademico 2013/2014 a 6.200 contratti complessivi per l'anno accademico 2017/2018.
  Al riguardo, nel procedere alla ripartizione dei contratti tra le 50 tipologie di scuole di specializzazione esistenti, particolare attenzione è stata riservata alla specializzazione in ginecologia ed ostetricia, proprio in considerazione delle significative uscite dal mercato del lavoro di tali professionisti.
  Infatti, il numero di contratti assegnati alla scuola di specializzazione in ginecologia ed ostetricia è cresciuto di 53 unità negli ultimi 5 anni accademici, passando da 240 contratti finanziati con fondi statali nell'anno accademico 2013/2014 a 293 contratti nell'anno accademico 2017/2018, con un incremento percentuale pari al 22 per cento.
  Inoltre, è opportuno sottolineare che la medesima specializzazione è tra quelle con la maggiore copertura del fabbisogno regionale, ossia con il rapporto più alto tra numero di contratti ed esigenza di specialisti espressa dalle regioni/province autonome.
  Con riferimento all'ultimo anno accademico, infatti, a fronte di una copertura media del fabbisogno calcolata su tutte le specialità pari al 72 per cento, per la ginecologia ed ostetricia si registra un tasso di copertura del fabbisogno regionale di gran lunga superiore, pari all'89 per cento.
  Per completezza, va evidenziato anche che, in base ai dati Eurostat riferiti all'anno 2016, l'Italia con 39 ginecologi ogni 100 mila donne si colloca ai primi posti in Europa per numero di ginecologi.
  Tale valore risulta ben al di sopra dell'analogo indicatore calcolato per i Paesi Bassi (18,3 ginecologi ogni 100 mila donne), per il Regno Unito (22,7 ginecologi ogni 100 mila donne), per la Francia (23,5 ginecologi ogni 100 mila donne), per la Spagna (23,8 ginecologi ogni 100 mila donne) e per il Belgio (25,5 ginecologi ogni 100 mila donne).
  Si fa presente, infine, che allo scopo di aumentare il numero dei contratti di formazione specialistica dei medici, la legge 30 dicembre 2018, n. 145 (legge di bilancio per il 2019) prevede un incremento di spesa per la formazione di medici specialisti di 22,5 milioni di euro per l'anno 2019, di 45 milioni di euro per l'anno 2020, di 68,4 milioni di euro per l'anno 2021, di 91,8 milioni di euro per l'anno 2022 e di 100 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2023.
  In conclusione, anche con riferimento al caso specifico oggetto dell'interrogazione, appare evidente che parte della problematica illustrata è legata anche a questioni inerenti ad aspetti organizzativi (congedi parentali, dimissioni per varie cause) e prescinde da motivazioni di sistema legate alla presunta carenza strutturale e formativa di tali professionisti.
  E verosimile, infatti, che la forte prevalenza del sesso femminile tra gli specialisti in ginecologia nella fascia di età inferiore ai 40 anni condizioni le scelte lavorative di questi professionisti, che potrebbero prediligere la libera professione all'impiego a tempo pieno presso le strutture del Servizio sanitario nazionale per ragioni di natura economica ed organizzativa, confidando in una maggiore flessibilità che consenta di conciliare efficacemente attività professionale e vita privata.

La Ministra della salute: Giulia Grillo.


   IOVINO, GALANTINO, ROBERTO ROSSINI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   negli ultimi tempi si sono avute notizie riguardanti irregolarità riscontrate nello svolgimento di concorsi pubblici, e, in particolare, nei concorsi per l'arruolamento di nuovi membri nelle forze dell'ordine indetti dal 2015 al 2018;

   le irregolarità hanno riguardato i seguenti concorsi: «400 allievi agenti della polizia penitenziaria (2015)», «1050 carabinieri», «490 marescialli dei carabinieri», «559 allievi agenti della polizia di Stato (2016)», «3500 VFP1 Esercito», «1096 VFP4 carabinieri», «605 allievi marescialli della Guardia di finanza», «VFP1 Aeronautica, Marina e Capitaneria di porto (2013)»;

   il problema della scarsa trasparenza ha interessato in maniera trasversale tutte le forze dell'ordine, dal momento che sembra esserci stata una compravendita illegale dei risultati dei test per il superamento del concorso;

   un esempio di scarsa trasparenza è rappresentato dai risultati dei test del concorso per «559 allievi agenti della Polizia di Stato» che ha insospettito il capo della polizia Franco Gabrielli tanto da far annullare le prove scritte del suddetto concorso;

   risultano coinvolti anche alcuni dipendenti ministeriali ed è stata scoperta una compravendita delle prove concorsuali per somme ingenti tali da costituire un tariffario ben preciso: 50.000 euro per la certezza di vincere il concorso, 20.000 per le sole prove scritte e 10.000 euro per le fisiche mediche e i test attitudinali;

   a conferma dell'esistenza di tali irregolarità, il capo della segreteria del dipartimento, Enzo Calabria, ha inviato una circolare con la decisione di annullare il concorso ove si fa espresso riferimento alle «indagini da parte dell'autorità giudiziaria che evidenziano la concreta possibilità che la prova scritta del concorso in oggetto sia stata inficiata da circostanze tali da non garantire la regolarità degli esami»;

   il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Santa Maria Capua Vetere e il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Napoli hanno emesso anche la misura degli arresti domiciliari nei confronti di un dipendente civile del Ministero della difesa nonché nei confronti di un ufficiale superiore dell'Esercito, il fratello, la moglie e tre agenti della polizia penitenziaria;

   i reati ipotizzati, a vario titolo, sono di associazione a delinquere finalizzata alla truffa e al millantato credito. Ad oggi dunque si è dinnanzi ad una situazione ove 9 concorsi statuiti negli ultimi 3 anni in Italia sono riconducibili al fenomeno della «compravendita illegale di test», che sembrava essere scomparso e che invece è solo ben nascosto;

   ciò che più turba è non solo che i concorsi delle forze dell'ordine banditi negli ultimi 3 anni in Italia siano stati inquinati dalla compravendita illegale di test, ma che solo per i concorsi di polizia penitenziaria e della polizia di Stato, l'Amministrazione ha preso provvedimenti procedendo a una nuova e trasparente selezione –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti di cui in premessa e, in caso positivo, quali iniziative di competenza intendano adottare per rimuovere le irregolarità relative ai suddetti concorsi e per apprestare un controllo più accurato sulle procedure concorsuali future.
(4-01162)

  Risposta. — Nei concorsi per il reclutamento di personale per le forze armate e per le forze di polizia, lo svolgimento delle diverse prove viene disciplinato ispirandosi ai criteri di terzietà e trasparenza, al fine di assicurare l'arruolamento dei candidati in possesso delle più elevate qualità.
  In merito agli episodi di manipolazione fraudolenta di talune prove concorsuali, che hanno portato all'emissione di misure cautelari nei confronti di dipendenti civili, nonché di militari in quiescenza e in servizio attivo, ritengo di dover innanzitutto puntualizzare alcuni aspetti di natura tecnica e procedurale relativi al Dicastero di mia pertinenza – ma in buona parte comuni agli altri Ministeri interessati – fondamentali per favorire la comprensione delle dinamiche concorsuali e la definizione degli eventuali profili di responsabilità.
  Per la predisposizione dei questionari a risposta multipla predeterminata – tipologia delle prove che sarebbe stata oggetto di manipolazione – la Difesa si avvale di ditte specializzate che, nell'aggiudicarsi la fornitura, stipulano con l'Amministrazione militare un patto d'integrità, con il quale, tra l'altro, si impegnano a offrire le più ampie garanzie di trasparenza, oggettività, anonimato, riservatezza, segretezza e pari opportunità dei candidati. In tale contesto, le ditte si impegnano, altresì, a non rendere pubblica in alcun modo la collaborazione con la Difesa.
  Nella specifica vicenda, occorsa durante la trascorsa legislatura, al seguito della diffusione di notizie circa la commercializzazione di un algoritmo che avrebbe agevolato taluni candidati nello svolgimento delle prove di carattere culturale, logico-deduttivo e professionale per il concorso Volontari Ferma Prefissata 4 anni (il reclutamento per i Volontari Ferma Prefissata 1 anno si basa esclusivamente su titoli di merito su
test psico-attitudinali e – per talune forze armate – su prove di efficienza fisica), il Dicastero, oltre a collaborare sollecitamente con l'autorità giudiziaria, aveva assunto con immediatezza e senza pregiudizi per le attività investigative in atto, le dovute misure tecniche per prevenire l'insorgenza di comportamenti «a rischio» nell'ambito delle succitate prove. Tra tali misure, vale la pena di menzionare:

   la pubblicazione integrale delle banche dati e degli esiti dei test, perfettamente conoscibili in maniera tale da garantire la piena trasparenza sulle attività svolte ed eliminare ogni possibile spazio di intromissione;

   la predisposizione dei questionari effettuata solo in prossimità delle date di svolgimento delle prove e dalle competenti commissioni concorsuali (non più devoluta a ditte esterne, quindi) al fine di garantire la dovuta riservatezza;

   il ricorso a specifiche logiche di funzionamento sia per l'estrazione dei quesiti dalla banca dati, sia per la disposizione degli stessi nell'ambito del testo, sia per la collocazione delle risposte esatte nell'ambito di ciascun quesito. Tali logiche, utilizzando chiavi multiple, sono in grado di generare sequenze numeriche «pseudocasuali» (ossia, che assicurano un elevatissimo intervallo tra due quesiti ripetuti), garantendo la tracciabilità e ripetibilità delle operazioni svolte;

   l'utilizzo di chiavi di accesso multiple, differenziate per attività e per attori preposti allo svolgimento della procedura (direzione generale per il personale militare – commissioni esaminatrici), al fine di conferire maggiore sicurezza alle operazioni;

   la riproduzione dei singoli questionari da somministrare, nel numero necessario, effettuata immediatamente prima dello svolgimento della prova, sempre ai fini della riservatezza.

  Aggiungo, per completezza d'informazione, che analoghe misure, vengono adottate dalle forze armate nello svolgimento di prove interne che prevedono l'impiego di questionari a risposta multipla.
  In merito alle altre prove concorsuali menzionate, l'Arma dei carabinieri, nel comunicare la totale assenza di elementi di irregolarità al riguardo, rende noto che i meccanismi di controllo adottati nell'ambito delle procedure concorsuali sono estremamente rigorosi e prevedono, fra l'altro, il ricorso a tecnologie avanzate sia in fase di svolgimento delle prove, sia di identificazione dei candidati (i cui nominativi sono resi noti solo all'esito delle correzioni).
  In relazione al concorso per 559 allievi agenti della polizia di Stato, il Ministero dell'interno ha comunicato di aver revocato il decreto di nomina della commissione esaminatrice, nonché tutti gli atti relativi alla prova scritta posti in essere dalla commissione stessa, disponendo, altresì, la ripetizione della prova introducendo, nella circostanza, la nuova procedura di «randomizzazione» che consente di somministrare questionari diversi per ogni candidato.
  A seguito delle indagini esperite dalla polizia giudiziaria, è stato instaurato un procedimento penale presso la procura della Repubblica presso il tribunale di Roma, successivamente trasferito, per connessione, alla procura della Repubblica presso il tribunale di Napoli.
  Per ciò che attiene al concorso per l'ammissione di 605 allievi marescialli della Guardia di finanza per l'anno 2016-2017, il Ministero dell'economia e delle finanze ha comunicato che le prove si sono svolte nel pieno rispetto delle vigenti disposizioni normative e in ottemperanza ai consolidati princìpi di trasparenza e imparzialità dell'azione amministrativa
ex decreto legislativo n. 33 del 2013, nonché del piano nazionale adottato dall'Autorità nazionale anticorruzione e dei successivi aggiornamenti.
  Infine, riguardo alla procedura concorsuale per il reclutamento di 300 allievi agenti del corpo di polizia penitenziaria per l'anno 2015, il Ministero della giustizia – dipartimento di polizia penitenziaria rende noto che, a seguito dell'annullamento delle relative prove d'esame, si è provveduto a una nuova organizzazione che ha consentito di evitare qualsiasi dispersione e/o divulgazione dei
test.
  Riguardo agli esiti delle indagini, la Difesa (direzione generale per il personale militare) ha sospeso precauzionalmente dal servizio il personale militare destinatario delle ordinanze di applicazione di misure cautelari da parte dell'autorità giudiziaria. Inoltre, sono attualmente in corso le attività istruttorie di natura disciplinare prodromiche all'adozione di provvedimenti incidenti sullo
status del succitato personale, nonché la valutazione delle misure di autotutela verso quei militari che risulterebbero vincitori di concorso grazie a questo sistema fraudolento.
  Per ciò che attiene al personale civile coinvolto nella vicenda, risultano indagati tre dipendenti della Difesa; in particolare:

   un dipendente, in relazione al concorso pubblico del 2017 per la selezione di 540 allievi agenti della polizia penitenziaria, è stato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere e sospeso cautelativamente dal servizio in via obbligatoria ai sensi del vigente Contratto Collettivo Nazionale Lavoro. Nei confronti del medesimo dipendente è stato, poi, attivato procedimento disciplinare da parte della direzione generale per il personale civile (PERSOCIV);

   per un altro dipendente, posto agli arresti domiciliari in seguito alle indagini relative al concorso per il reclutamento di Volontari Ferma Prefissata 4 anni nelle forze armate, è in corso la procedura per remissione del provvedimento di sospensione cautelare dal servizio e per il conseguente procedimento disciplinare attivato da parte di Persociv;

   infine, per il terzo dipendente, oggetto di perquisizione locale presso l'Ente di servizio, non risultano, allo stato, provvedimenti limitativi della libertà personale. Sarà la stessa Persociv ad adottare le dovute misure al riguardo, non appena in possesso dei necessari elementi di valutazione.

  A fattor comune, gli enti presso i quali sono in servizio i tre dipendenti sono stati sensibilizzati ad adottare, ove non già provveduto, la cosiddetta «rotazione straordinaria», ai sensi del decreto legislativo n. 165 del 2001, nonché del piano triennale anticorruzione.
  L'immediatezza e la severità dei provvedimenti adottati nei confronti del personale coinvolto nella vicenda costituiscono un necessario esercizio di autotutela da parte dell'istituzione che, in tema di selezione dei candidati, ha un solo interesse: quello di avere uomini e donne idonei alla vita militare e motivati ad affrontare le sfide che essa racchiude, con entusiasmo e spirito di sacrificio.
  A costoro, il ringraziamento del Dicastero che rappresento e il mio personale.

La Ministra della difesa: Elisabetta Trenta.


   LOLLOBRIGIDA, DEIDDA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il presidio ospedaliero de La Maddalena presenta le caratteristiche proprie degli ospedali di piccole dimensioni;

   accorpato funzionalmente al presidio di Olbia, il presidio è organizzato in un unico dipartimento con posti letto multidisciplinari, peraltro integrato e collegato a tutte le altre strutture ospedaliere aziendali;

   la particolare localizzazione a forte valenza turistica e l'insularità del territorio imporrebbero nell'isola la garanzia del mantenimento di funzioni di emergenza-urgenza, di ricovero ordinario e day-hospital al fine di tutelare l'assistenza sanitaria di base e garantire i livelli essenziali di assistenza che sono diritto di ogni cittadino ovunque si trovi;

   secondo quanto riportato nell'atto aziendale della Asl n. 2 il presidio ospedaliero de La Maddalena costituisce «sede staccata» del presidio di Olbia, ma è strettamente collegato ai due principali presidi di Olbia e Tempio, all'interno di una reale rete ospedaliera alla quale si aggiungono i servizi territoriali come quello della ospedalizzazione domiciliare oncologica;

   l'atto aziendale ridefiniva una riorganizzazione logistico-strutturale dei presidi ospedalieri in senso dipartimentale, con l'integrazione dei servizi di diagnostica per immagini, sostenendo l'integrazione funzionale tra le strutture ospedaliere e quelle territoriali attraverso dipartimenti funzionali e percorsi operativi;

   attualmente, il suddetto assetto ha subito notevoli e drastiche revisioni di tipo organizzativo che pur derivando in parte da alcune carenze di personale sanitario, quali, ad esempio, gli anestesisti rianimatori, per altra parte lasciano trasparire una scarsa considerazione nei confronti dell'ospedale de La Maddalena;

   in questo ultimo senso vale la pena citare il caso dell'unita operativa di ginecologia ed ostetricia, nella quale è stata soppressa l'attività di ricovero, assicurando un presidio di emergenza-urgenza, ostetrico neonatale con guardia attiva e pronta disponibilità nelle 24 ore per ginecologi, ostetrici, pediatri e anestesisti, in grado di garantire la copertura degli interventi urgenti e non differibili;

   ancora a titolo esemplificativo della difficile situazione nella quale versa la struttura, vale la pena ricordare che il centro iperbarico, che peraltro esegue solo ossigenoterapia e non urgenze legate ad embolie e malattia da decompressione chiude dal 14 luglio al 3 settembre 2018 per mancanza di medici anestesisti, in un periodo in cui risulta di particolare importanza, causa del forte afflusso di turisti –:

   se il Ministro interrogato sia informato dei fatti di cui in premessa, e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere al riguardo, per monitorare il rispetto dei livelli essenziali di assistenza per la popolazione dell'isola che già vive le difficoltà legate all'insularità e le condizioni meteorologiche spesso avverse nei mesi invernali.
(4-00833)

  Risposta. — In merito all'interrogazione parlamentare in esame, si ricorda che il Consiglio regionale, nella seduta del 25 ottobre 2017, ha approvato il documento di «Ridefinizione della rete ospedaliera della Regione autonoma della Sardegna», pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Sardegna n. 58 del 11 dicembre 2017.
  Tale atto introduce «il modello organizzativo di Presidio unico di area omogenea» non previsto dal decreto ministeriale n. 70 del 2015, a cui afferisce il presidio di zona disagiata, come appunto il presidio «Paolo Merlo» de La Maddalena, considerato uno stabilimento del presidio ospedaliero unico di area.
  La regione ha motivato le caratteristiche del riordino della rete ospedaliera della Sardegna richiamando i vincoli determinati dalle peculiarità demografiche e geomorfologiche, e al riguardo fa riferimento all'articolo 3 del decreto ministeriale n. 70 del 2015 ai cui sensi «Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano applicano il presente decreto compatibilmente con i propri statuti di autonomia e con le relative norme di attuazione e, per le regioni e le province autonome, che provvedono autonomamente al finanziamento del Servizio sanitario regionale esclusivamente con fondi del proprio bilancio, compatibilmente con le peculiarità demografiche e territoriali di riferimento nell'ambito della loro autonomia organizzativa» .
  La medesima regione inoltre precisa che il presidio di zona disagiata deve essere dotato:

   di un pronto soccorso presidiato h. 24 da un organico medico dedicato all'emergenza-urgenza, preferibilmente inquadrato nella disciplina specifica, così come prevista dal 30 gennaio 1998 (medicina e chirurgia d'accettazione e d'urgenza) e, da un punto di vista organizzativo, integrato alla struttura complessa del Dipartimento di emergenza e accettazione (Dea) di riferimento, che garantisce il servizio e l'aggiornamento relativo;

   di una unità di degenza di 20 posti letto di medicina generale, con proprio organico di medici e personale sanitario non medico;

   di una chirurgia elettiva a media/bassa intensità di cura che effettua interventi in «day-surgery e/o week-surgery», con attività non prettamente di urgenza, ma che assicura, con proprio personale medico, anche attraverso l'istituto della pronta disponibilità, l'urgenza di bassa/intermedia complessità risolvibile «in loco» e che svolge la propria attività in stretto raccordo con il pronto soccorso. Inoltre, sono presenti un'area per gli esami di diagnostica di laboratorio; un servizio di radiologia con trasmissione di immagine collegata in rete al centro (Hub o Spoke più vicino, di anestesia, di farmaceutica e di emodialisi; un'emoteca, nonché gli ulteriori servizi specialistici di supporto alle attività internistiche e chirurgiche.

  L'atto aziendale disciplina le modalità di rinforzo del pronto soccorso negli ospedali di zona disagiata soggetti per stagionalità a forti variazioni di utenza.
  L'attivazione di posti letto aggiuntivi di chirurgia generale nei presidi di zona disagiata come La Maddalena, è motivata dalla condizione di insularità dell'isola de La Maddalena e dalla significativa distanza dal Dea di I livello di Olbia.
  Nell'ospedale di zona disagiata insulare di La Maddalena sono, in aggiunta, assicurati tre posti letto tecnici di pediatria. È confermato, altresì, il servizio di camera iperbarica.
  Si precisa, inoltre, che con la delibera della giunta regionale n. 67/9 del 16 dicembre 2016, la regione Sardegna ha individuato le basi operative del servizio regionale di elisoccorso (HEMS), rispettivamente presso:

   a) la base aeroportuale di CagHati-Elmas per la zona sud;

   b) la base aeroportuale di Alghero per la zona nord/ovest;

   c) la base aeroportuale di Olbia per la zona nord/est.

  Le basi di Elmas e di Alghero avranno una operatività massima del servizio pari a 12 ore e trenta minuti e quella di Olbia sarà operativa nelle 24 ore.
  Allo stato è presente un'eliambulanza con 254 interventi/anno.
  Relativamente all'organizzazione delle camere iperbariche, la regione è direttamente responsabile della programmazione, della verifica e del controllo delle attività erogate dalle strutture del servizio sanitario regionale.
  La regione Sardegna, ai sensi della disposizione normativa prevista dall'articolo 1, comma 836, della legge n. 296 del 2006, dall'anno 2007 provvede al finanziamento del fabbisogno complessivo del servizio sanitario del proprio territorio senza alcun apporto a carico del bilancio dello Stato.
  Peraltro, si ricorda che il decreto ministeriale n. 70 del 2015, al punto 8.2.2 dell'allegato 1 «Rete per il Trauma» definisce il sistema integrato per l'assistenza al trauma (SIAT), costituito da una rete di strutture ospedaliere tra loro funzionalmente connesse e classificate, sulla base delle risorse e delle competenze disponibili, in:
a) Presidi di pronto soccorso per traumi (Pst); b) Centri traumi di zona (Ctz); c) Centri traumi di alta specializzazione (Cts), e ne prevede l'integrazione con centri che svolgono funzioni specifiche, concentrate in un unico centro regionale o in centri sovra-regionali, come Centro grandi ustionati, Unità spinali unipolari e riabilitazione del cranioleso, Camera iperbarica, Centro per il trattamento delle amputazioni traumatiche e microchirurgia, Centro antiveleni.
La Ministra della salute: Giulia Grillo.


   EVA LORENZONI, FORMENTINI, BORDONALI, DONINA e DARA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   dal mese di agosto 2018 si rincorrono frequenti notizie di stampa in merito alla situazione dell'epidemia di polmonite batterica che si è sviluppata nel bresciano;

   a seguito dei controlli effettuati dai laboratori dell'Agenzia per la tutela della salute di Brescia (Ats) è stata ufficializzata la presenza del batterio della legionella in nove dei dieci campioni prelevati dalle torri di raffreddamento di tre grandi impianti industriali della zona; è stato quindi appurato che è stata l'aria e non l'acqua del fiume Chiese né tantomeno degli acquedotti, a veicolare il batterio della legionella;

   il numero delle persone infettate dall'inizio dell'emergenza è quasi a quota cinquecento: come affermato dal personale medico, ci si trova di fronte a un evento complesso, senza precedenti in Italia; la pista principale resta infatti la legionella, ma ad oggi ancora non si escludono concause;

   la popolazione è sempre più preoccupata e la preoccupazione incomincia a manifestarsi anche tra le autorità e gli amministratori locali;

   l'assessorato regionale al welfare si è attivato immediatamente, mobilitando tempestivamente l'Ats il cui lavoro d'indagine prosegue senza sosta per rintracciare le cause precise di questa epidemia anomala;

   gli ospedali bresciani stanno dando ulteriore prova della loro efficienza gestendo al meglio i casi di polmonite, ma in questo quadro è fondamentale che le istituzioni, sia regionali che nazionali, agiscano in modo sinergico e compatto per fronteggiare l'emergenza e individuarne le cause;

   occorre fornire delle risposte chiare ai cittadini, anche per evitare allarmismi infondati, ma soprattutto per dare indicazioni ancora più precise circa la corretta profilassi da adottare –:

   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno supportare, con ogni mezzo, la regione Lombardia per individuare le cause dell'epidemia e per valutare gli interventi e le verifiche più opportuni.
(4-01209)

  Risposta. — In merito alla questione sollevata dall'interrogante, si segnala come tutti gli enti interessati, in primis il Ministero della salute, si siano immediatamente attivati in stretta collaborazione tra loro per affrontare in maniera tempestiva ed efficace il problema.
  Tutti gli attori istituzionali coinvolti nella vicenda, ciascuno per il proprio ambito di competenza, hanno fin da subito intrapreso iniziative volte a chiarirne le possibili cause e a pervenire ad una rapida risoluzione; il tutto all'interno di un fitto e continuo scambio di informazioni coordinato dal Ministero della salute.
  Si ritiene dunque significativo segnalare come, nello specifico, la regione Lombardia abbia immediatamente informato il Ministero della salute, aggiornandolo costantemente, sui casi di polmonite occorsi tra le province di Mantova e Brescia. Anche l'istituto superiore di sanità è stato coinvolto per individuarne le cause e risolvere rapidamente la situazione, mentre le Ats (Agenzie per la tutela della salute) e le Asst (Aziende socio sanitarie territoriali) regionali interessate sono tuttora attivamente impegnate nelle indagini, in stretto raccordo con la regione Lombardia, il Ministero della salute e lo stesso Istituto superiore di sanità (Iss).
  Sono in corso le inchieste epidemiologiche e microbiologiche di tutti i casi rilevati, al fine di trovare una esposizione comune, e sono in corso anche azioni specifiche per identificare la fonte e i metodi di trasmissione del batterio.
  Al momento attuale prosegue la ricerca clinica sui singoli casi, per confermare l'agente eziologico delle polmoniti nei pazienti ricoverati.
  Tutti i casi di polmonite sono stati testati per la legionella con più di un metodo diagnostico, poiché inizialmente tutti i casi risultavano negativi all'antigene urinario.
  Sia i pronto soccorso ospedalieri che i medici di medicina generale e di continuità assistenziale sono stati allertati. Nei primi giorni dell'evento alcune persone, con sintomatologia riferita a polmonite, sono state assistite a domicilio dai propri medici di medicina generale, ai quali è stata richiesta la disponibilità ad invitare i loro assistiti, con diagnosi di polmonite e RX positiva, a sottoporsi ad approfondimento diagnostico per la ricerca di legionella.
  Tutti i comuni interessati sono situati vicino al fiume Chiese; sono stati, pertanto, raccolti campioni dal fiume per la ricerca di legionella.
  La rete di distribuzione dell'acqua potabile dei comuni coinvolti è stata controllata ed è stata esclusa la possibilità di possibili collegamenti tra i comuni. Sono comunque stati effettuati campionamenti alla rete idrica e presso le abitazioni dei soggetti con diagnosi di legionellosi.
  I risultati attualmente disponibili evidenziano la non positività alla legionella in tutti i campioni prelevati dall'acqua distribuita dagli acquedotti, e positività non numericamente significativa per campioni provenienti da abitazioni private.
  Vista l'esclusione degli acquedotti, l'indagine per il campionamento di matrici ambientali si è orientata sulle torri di raffreddamento, decisione condivisa con questo Ministero e con l'Iss.
  Inizialmente, sono stati effettuati campionamenti per la ricerca del batterio Legionella pneumophila su tre torri di raffreddamento degli insediamenti industriali della zona. Gli esiti positivi in 9 casi su 10 in tutte e tre le aziende coinvolte, hanno portato le Agenzie per la tutela della salute, in base al principio di precauzione, a chiedere ai sindaci dei comuni coinvolti l'emissione di una ordinanza contingibile e urgente a carico delle ditte per un intervento di sanificazione degli impianti.
  È stata, successivamente, acquisita e verificata la documentazione in merito agli interventi di sanificazione delle ditte interessate dall'ordinanza sindacale. Uno dei tre impianti, risultato positivo in un campione ad una prima lettura, è in seguito risultato negativo alla lettura ufficiale. Pertanto, è stato immediatamente informato il sindaco per la revoca dell'ordinanza.
  Si sta inoltre procedendo ad incrociare i dati di laboratorio relativi ai soggetti positivi con i dati delle positività sull'acqua delle loro abitazioni.
  Continua la ricerca di ulteriori possibili fonti di emissione derivanti da altre aziende ubicate nelle aree circostanti all'area oggetto di indagine. Sono in corso le analisi di confronto genomico tra le fonti ambientali e i relativi ceppi di legionella isolati.
  La particolare attenzione alle torri di raffreddamento come fonte di legionella è propria di quei casi in cui le altre fonti sono escluse dalle analisi ambientali, anche a dimostrazione della difficoltà di identificazione rapida della fonte dei casi di legionella.
  I sindaci coinvolti, immediatamente convocati dall'autorità sanitaria locale di Brescia, hanno ricevuto supporto e linee guida per la comunicazione del rischio alla popolazione, sottolineando che attualmente non ci sono motivi per limitare l'uso dell'acqua. Le Ats interessate hanno informato la popolazione anche attraverso i loro siti istituzionali.
  La legionellosi viene normalmente acquisita per via respiratoria mediante inalazione, aspirazione o microaspirazione di aerosol contenente legionella, oppure di particelle derivate per essiccamento. Le goccioline si possono formare sia spruzzando l'acqua che facendo gorgogliare aria in essa, o per impatto su superfici solide.
  Non è mai stata dimostrata la trasmissione interumana della malattia.
  Mentre i primi casi di legionellosi sono stati attribuiti a particelle di acqua aerodisperse, contenenti batteri provenienti da torri di raffreddamento o condensatori evaporativi o sezioni di umidificazione delle unità di trattamento dell'aria, successivamente numerose infezioni sono risultate causate anche dalla contaminazione di impianti di acqua potabile, apparecchi sanitari, fontane e umidificatori ultrasonici.
  Essendo il microrganismo ubiquitario, la malattia può manifestarsi con epidemie dovute ad un'unica fonte con limitata esposizione nel tempo e nello spazio all'agente eziologico, oppure con una serie di casi indipendenti in un'area ad alta endemia, o con casi sporadici senza un evidente raggruppamento temporale o geografico.
  Focolai epidemici si sono ripetutamente verificati in ambienti collettivi a residenza temporanea, come ospedali o alberghi, navi da crociera, esposizioni commerciali, eccetera.
  I casi di polmonite da legionella di origine comunitaria si manifestano prevalentemente nei mesi estivo-autunnali, mentre quelli di origine nosocomiale non presentano una particolare stagionalità.
  Questo Ministero ha pubblicato nel 2015 le linee guida per la prevenzione ed il controllo della legionellosi, che aggiornano ed integrano in un unico testo tutte le indicazioni riportate nelle precedenti linee guida nazionali e normative.
  Tale documento è stato sancito come accordo tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nella seduta della Conferenza Stato-regioni del 7 maggio 2015, ed è consultabile sul sito del Ministero alla sezione «pubblicazioni».

La Ministra della salute: Giulia Grillo.


   MUGNAI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   si è appreso da un comunicato dell'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) diffuso il 5 luglio 2018, che sia l'Aifa sia le altre Agenzie europee hanno disposto l'immediato ritiro dalle farmacie e dalla catena distributiva di tutte le confezioni interessate di farmaci con principio attivo Valsartan (748 lotti);

   l'Agenzia europea del farmaco il 6 luglio 2018 ha diffuso una nota in cui si legge che «La revisione di EMA esaminerà i livelli di NDMA in questi medicinali a base di valsartan, il suo possibile impatto sui pazienti che li hanno assunti e quali misure possono essere adottate per ridurre o eliminare l'impurezza dai futuri lotti prodotti dall'azienda. Per precauzione, la revisione valuterà anche se altri medicinali a base di valsartan potrebbero essere interessati. La revisione sarà condotta dal Comitato per i medicinali per uso umano (CHMP) dell'EMA»;

   la sostanza sotto accusa è la N-nitrosodimetilammina (Ndma), classificata come «probabilmente cancerogena» per l'uomo e sarebbe stata riscontrata la contaminazione nei lotti di materia prima utilizzati per produrre i medicinali contenenti valsartan oggetto del ritiro. Valsartan è un antagonista del recettore dell'angiotensina II ed è usato come detto per trattare l'ipertensione e l'insufficienza cardiaca o pazienti che hanno subito un infarto;

   da aggiornamenti di informazioni forniti dall'Aifa, risulterebbe che l'impurezza sia presente solo nei prodotti provenienti dall'officina della Zhejiang Huahai Pharmaceuticals, nel sito di Chuannan, Duqiao, Linai (China);

   il principio attivo cinese è stato poi utilizzato da diverse aziende farmaceutiche, quelle per le quali è scattato il provvedimento di sospensione. Si tratta di medicinali in commercio con diversi nomi, e prodotti da diverse case farmaceutiche: Valpression e Combisartan (Menarini), Valsodiur (Ibn Savio), Validroc e Pressloval (So.Se. Pharm), Valbacomp (Crinos), Valsartan Doc e Cantensio (Doc Generici), Valsartan Almus (Almus), Valsartan (Zentiva), Valsartan e Hct (Eurogenerici), Valsartan e Idroclortiazide (Pensa Pharma, Ranbaxy Italia, Teva, Doc Generici e Sandoz), Film (Sandoz), Valsartan Hctz (Tecnigen);

   la data di scadenza del farmaco, a causa della degradazione del principio attivo, dalla sua produzione, in ogni caso non può essere superiore ai cinque anni, ma nell'elenco fornito dall'Aifa sono presenti lotti con scadenza 2018, ovvero prodotti dai due a cinque anni precedenti (si veda Combisartan della Menarini o il Valsartan prodotto da Sandoz e altri): in tale lasso di tempo una quantità indefinibile di pazienti sono stati sottoposti a trattamento col principio attivo dichiarato oggi «potenzialmente cancerogeno»;

   la notizia diffusa dall'Aifa ha creato scompiglio e indignazione nei pazienti ma anche negli operatori sanitari, poiché, come detto, i farmaci ritirati sono usati da diverso tempo;

   da segnalazioni ricevute dall'interrogante, risulta che i medici sia di base che gli specialisti, nonché le farmacie, siano stati presi d'assalto per avere informazioni soprattutto sui lotti dei medicinali oggetto del ritiro;

   l'Aifa, sempre nella nota diffusa, ha comunicato la sostituibilità del farmaco presente nei lotti in ritiro ovvero che per i pazienti trattati con i medicinali riportati nell'elenco diffuso la terapia può essere sostituita con un altro valsartan o con altro antagonista del recettore dell'angiotensina II;

   alcuni medici hanno prescritto terapie con farmaci specifici, indicando nella ricetta «non sostituibile»;

   infine nel ritiro sono coinvolti anche i farmaci generici che l'Aifa stessa incentivava all'uso –:

   se il Ministro, in seguito alla disposizione dell'Aifa relativa al ritiro dei lotti incriminati in commercio, abbia assunto iniziative di carattere informativo a beneficio di pazienti, delle farmacie, dei medici di base e dei sanitari ospedalieri;

   quali altre indicazioni prescrittive intenda diffondere ai medici che hanno in cura pazienti con ipertensione, insufficienza cardiaca o che hanno subito un infarto;

   a quali controlli interni, da parte delle case produttrici, siano solitamente sottoposti i farmaci con principi attivi provenienti da Paesi extra europei e se siano ricostruibili i controlli effettuati e dichiarati per i lotti incriminati;

   se siano previsti controlli «esterni» da parte delle autorità italiane competenti per i farmaci i cui principi attivi provengono da Paesi extra europei ma che vengono assemblati e confezionati in stabilimenti europei;

   quali iniziative intenda intraprendere con riferimento alle case farmaceutiche presenti nell'elenco diffuso dall'Aifa.
(4-00710)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione parlamentare in esame sulla base degli elementi acquisiti presso l'Agenzia italiana del farmaco (Aifa).
  La sostanza NDMA (N-nitrosodimetilammina), riscontrata come impurezza nella materia prima Valsartan e sospettata di essere un probabile agente cancerogeno per l'uomo, si è formata durante la sintesi della materia prima, a seguito di alcune modifiche apportate al processo di produzione. La presenza di tale impurezza è stata individuata a seguito di controlli eseguiti da parte del sito produttivo Zhejiang Huahai Pharmaceuticals con un metodo analitico alternativo a quello precedentemente utilizzato.
  Al momento l'unico produttore ad usare il processo/metodo di produzione che ha dato origine all'intermedio sospetto di essere cancerogeno risulta essere il sito produttivo summenzionato, mentre sono tuttora in corso verifiche relativamente al Valsartan, oltre che per tutti gli altri principi attivi appartenenti al gruppo dei sartani.
  Il ritiro disposto dalle agenzie regolatorie europee ha riguardato tutte le specialità medicinali, in corso di validità, che contengono come principio attivo il Valsartan proveniente dal sito produttivo Zhejiang Huahai Pharmaceuticals, da solo o in associazione, a prescindere dalla circostanza che le stesse siano «
originator» o medicinali generici.
  Al riguardo, diversamente da quanto asserito dall'interrogante, non è corretto qualificare il principio attivo in questione come «potenzialmente cancerogeno».
  Infatti, nel caso in esame è stata rilevata la presenza di una impurezza, presente in tracce dello stesso principio attivo, «potenzialmente cancerogena», appartenente alla classe 2a dello Iarc (
International Agency for Research on Cancer); tale carcinogenicità è stata infatti dimostrata esclusivamente in studi condotti su animali, mentre non è disponibile alcuna evidenza che ne dimostri la carcinogenicità nell'uomo.
  Relativamente ai quesiti concernenti le attività di controllo in corso, occorre fare alcune precisazioni.
  In ordine ai controlli interni, tutti i princìpi attivi utilizzati nella produzione di medicinali per uso umano vengono sempre sottoposti agli stessi controlli quali-quantitativi da parte del produttore del medicinale previsti nei relativi
dossier di registrazione, indipendentemente dalla loro provenienza (siano essi prodotti nell'Unione europea o in Paesi extra-Unione europea).
  Detti controlli, in ogni caso, sono sempre tracciabili e ricostruibili.
  Nel caso di specie, i
test analitici non prevedevano il controllo dell'impurezza NDMA in quanto, come già detto, detta impurezza era precedentemente sconosciuta, perché mai rilevata e quindi identificata.
  Pertanto, i controlli previsti non ne potevano includere la misurazione.
  Da ulteriori studi effettuati dalla ditta cinese produttrice del principio attivo è emersa la presenza di questa impurezza in tracce (parti per milione), che ha portato il produttore a bloccare la produzione del principio attivo e a notificare l'esistenza della problematica ai clienti.
  Per quanto riguarda i controlli esterni, ai sensi dell'articolo 53, comma 15, del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, ogni anno l'Aifa stabilisce, in accordo con l'Istituto superiore di sanità, i medicinali e le materie prime da sottoporre a controllo analitico, per verificare se gli stessi rispondano alle specifiche riportate nella documentazione del produttore, del titolare dell'Autorizzazione all'immissione in commercio e/o nelle monografie di farmacopea europea.
  Per l'Italia, le analisi vengono eseguite dallo stesso Istituto superiore di sanità, quale unico laboratorio di controllo ufficiale riconosciuto a livello europeo.
  Nel caso di specie, non è stata rilevata né l'inosservanza delle norme di buona fabbricazione, né l'esistenza di condotte negligenti in capo alle società farmaceutiche coinvolte che, invece, hanno operato in piena trasparenza e in collaborazione con le autorità competenti, non appena avuta notizia dal produttore della presenza di tracce di tale impurezza nei lotti di principio attivo acquistati.
  Come è stato verificato in sede di ispezioni condotte da autorità regolatorie dell'Unione europea (tra cui Aifa) e statunitensi nel corso degli ultimi anni, l'officina di produzione cinese ha mostrato un elevato livello di conformità alle norme di buona fabbricazione di principi attivi.
  Quanto alle iniziative da intraprendere con riferimento alla case farmaceutiche presenti nell'elenco diffuso dall'Aifa, l'Agenzia ha precisato che, al momento attuale, non si è ritenuta necessaria l'adozione di misure aggiuntive rispetto alla sospensione temporanea della fornitura di farmaci contenenti il principio attivo Valsartan prodotto dal sito produttivo in questione.
  Ciò almeno fino a quando non sarà stato messo a punto un processo di eliminazione dell'impurezza riscontrata.
  Al momento, infatti, è ancora prematuro fornire informazioni sul rischio a lungo termine che la sostanza NDMA potrebbe comportare per i pazienti, posto che tale questione è stata deferita all'esame del Comitato per i medicinali per uso umano dell'Agenzia europea dei medicinali (Ema), a seguito di avvio della procedura di «
referral» richiesta dalla Commissione europea, ai sensi dell'articolo 31 della direttiva 2001/83/EC.
  L'Ema, come rappresentato con apposito comunicato sul sito istituzionale in data 17 luglio 2018, si è impegnata a fornire i necessari aggiornamenti non appena si rendono disponibili nuove informazioni.
  Il 2 agosto 2018, a seguito di valutazione preliminare, l'Ema ha comunicato la possibilità che vi sia un caso extra di cancro per ogni 5.000 pazienti che abbiano assunto i farmaci interessati alla massima dose di Valsartan (320 mg) ogni giorno per 7 anni.
  Detta stima si basa sui livelli medi di questa impurezza rilevati nella sostanza attiva prodotta da Zhejiang Huahai Pharmaceuticals (60 parti per milione).
  Il possibile rischio di cancro è stato estrapolato da studi su animali e deve essere considerato nel contesto del rischio di cancro durante il corso della vita in Unione europea (1 su 3) e dell'esposizione a NDMA da altre fonti.
  Questa stima preliminare si basa sul presupposto che l'NDMA presente nella sostanza attiva è riportato nel prodotto finale nella stessa quantità.
  Anche se è necessaria un'ulteriore valutazione, l'Ema ritiene che non vi sia un rischio immediato, e i pazienti che assumono Valsartan sono stati invitati a non interrompere i trattamenti in assenza di precise indicazioni in tal senso da parte del farmacista o del medico.
  Rammento che gli operatori sanitari devono seguire i consigli specifici delle Autorità sanitarie nazionali in merito ai medicinali nel loro Paese.
  È dunque ancora troppo presto per fornire informazioni sul rischio a lungo termine che NDMA potrebbe avere comportato per i pazienti.
  L'Ema considera questo aspetto della revisione una priorità e ha dichiarato che fornirà aggiornamenti non appena saranno disponibili nuove informazioni.
  L'Ema consulterà esperti di tossicologia per meglio comprendere l'impatto che l'uso dei medicinali contenenti l'impurezza NDMA potrebbe avere sui pazienti.
  La revisione cercherà anche di stabilire per quanto tempo e a quali livelli i pazienti potrebbero essere stati esposti a NDMA, una impurezza imprevista che non è stata rilevata dai
test di routine effettuati da Zhejiang Huahai.
  L'Ema sta anche lavorando a stretto contatto con le autorità nazionali per valutare se altri medicinali a base di Valsartan (diversi da quelli già richiamati) potrebbero anch'essi contenere la stessa impurezza.
  In ogni caso, ulteriori informazioni sulla revisione di Valsartan, comprese le domande rivolte alle aziende, sono disponibili sul sito
web dell'Ema.
  Il 10 agosto 2018, nell'ambito della revisione in corso dei medicinali a base di Valsartan, l'Ema è venuta a conoscenza che bassi livelli di N-nitrosodimetilammina (NDMA) sono stati rilevati nella sostanza attiva prodotta da una seconda azienda, Zhejiang Tianyu.
  Tuttavia, preme qui sottolineare che nessun medicinale contenente Valsartan approvato in Italia contiene la sostanza attiva prodotta da Zhejiang Tianyu.
  

La Ministra della salute: Giulia Grillo.


   NOVELLI, BAGNASCO e PETTARIN. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il virus del Nilo occidentale (noto anche con la denominazione inglese West Nile Virus, WNV) è un flaviviridae del genere Flavivirus (di cui fanno parte anche il virus della febbre gialla, il virus dell'encefalite di Saint-Louis, il virus dell'encefalite di Murray Valley e il virus dell'encefalite giapponese). Il suo nome viene dal distretto di West Nile in Uganda, dove è stato isolato per la prima volta nel 1937 in una donna che soffriva di una febbre particolarmente alta. In seguito è stato trovato negli uomini, negli uccelli e nei moscerini in Egitto negli anni cinquanta, diffondendosi infine anche in altri Paesi. La malattia ha un andamento endemico-epidemico ed inizialmente risultava diffusa soprattutto in Africa (specie in Egitto), Medio Oriente, India. Ad oggi il virus del Nilo occidentale deve essere ormai considerato un patogeno endemico in Africa, Asia, Australia, Medio Oriente, Europa e negli Stati Uniti;

   il periodo d'incubazione è tipicamente compreso tra 2 e 15 giorni. Nel caso, invece, si verifichi una sintomatologia, questa è generalmente dominata dalla febbre, e da qui il nome di febbre del Nilo occidentale. Raramente, oltre alla febbre, possono comparire alcune gravi complicazioni neurologiche, quali meningite e encefalite;

   nel 2018 la trasmissione del virus West Nile in Italia e nel Sud-Est Europa è iniziata prima rispetto agli anni precedenti, tra il 17 e il 23 agosto 2018; gli Stati membri dell'Unione europea hanno segnalato 136 casi umani di febbre del Nilo occidentale: Italia (59), Grecia (31), Romania (25), Ungheria (19) e Francia (2). I Paesi confinanti con l'Unione europea hanno riportato 82 casi: Israele (49) e Serbia (33);

   casi umani sono stati segnalati per la prima volta da due aree della Romania e da un'area in Grecia. Tutti gli altri casi umani sono stati segnalati in aree che sono state colpite durante le precedenti stagioni di trasmissione;

   in Italia (il 16 giugno 2018 si è verificato il primo caso umano di infezione confermata nel nostro Paese e, stando all'ultimo bollettino dell'Istituto superiore di sanità, che riporta i dati aggiornati al 22 agosto, da giugno sono stati segnalati 255 casi umani di infezione da West Nile Virus (WNV), e, di questi, 103 si sono manifestati nella forma neuro-invasiva (34 in Veneto, di cui 1 segnalato dalla regione Friuli Venezia Giulia, trattandosi un residente ricoverato a Trieste ma che ha soggiornato in provincia di Venezia, 62 in Emilia-Romagna, 2 in Lombardia, 3 in Piemonte, 2 in Sardegna); 40 sono invece i contagiati identificati in donatori di sangue (21 in Emilia-Romagna, 9 in Veneto, 5 in Piemonte, 3 in Lombardia, 2 in Friuli Venezia Giulia);

   attualmente, i morti sono stati 10: 3 in Veneto e 7 in Emilia-Romagna, mentre 112 sono i casi di febbre confermata (35 in Emilia-Romagna, 73 in Veneto, 2 Lombardia, 2 Veneto);

   attualmente, le province in cui si sono registrati casi anche nell'uomo sono Alessandria, Asti, Bergamo, Bologna, Cremona, Cuneo, Ferrara, Forlì-Cesena, Mantova, Milano, Modena, Novara, Oristano, Padova, Pordenone, Ravenna, Reggio Emilia, Rovigo, Torino, Treviso, Udine, Venezia, Vercelli, Verona e Vicenza. Le province di Biella, Brescia, Gorizia, Lodi, Pavia, Piacenza, Rimini, Sassari e Varese hanno invece registrato la presenza del virus fra gli animali –:

   quali iniziative intendano adottare i Ministri interrogati, per quanto di competenza, per arginare la diffusione del virus;

   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non intendano adoperarsi, in raccordo con gli enti territoriali competenti, per contrastare il più efficacemente possibile, specie nelle aree limitrofe al Po e in tutte le regioni sopra citate la presenza di elementi inquinanti che possono favorire tale diffusione.
(4-01023)

  Risposta. — Il virus West nile (Wnv) è un Flavivirus appartenente alla famiglia «Flaviviridae», trasmesso da insetti vettori ed attualmente presente nel territorio italiano.
  Si tratta di un agente zoonotico il cui ciclo biologico è caratterizzato dalla trasmissione tra zanzare ornitofile ed alcune specie di uccelli selvatici.
  Attraverso la puntura di zanzara il
virus può passare, inoltre, dalle popolazioni aviarie ai mammiferi, ed anche all'uomo.
  Altri mezzi di infezione documentati, anche se molto più rari, sono i trapianti di organi, le trasfusioni di sangue e la trasmissione madre-feto in gravidanza.
  Gli esseri umani ed i cavalli, sebbene siano ospiti a fondo cieco, ossia non in grado di trasmettere l'infezione agli insetti vettori, possono sviluppare forme cliniche anche gravi, con disturbi neurologici quali encefalite, meningo-encefalite o paralisi flaccida.
  In Italia, il primo focolaio di malattia di
West nile (Wnd) è stato confermato nella tarda estate del 1998 nell'area circostante il Padulle di Fucecchio in Toscana, con alcuni casi clinici nei cavalli: in questo primo focolaio non si sono verificati casi umani.
  A seguito di tale rilevamento, il Ministero della salute, dal 2002, ha attivato il Piano nazionale di sorveglianza per la Wnd, con l'obiettivo di rilevare l'introduzione e monitorare la circolazione del Wnv sull'intero territorio nazionale.
  Tale piano ha consentito di identificare nel 2008, a 10 anni di distanza dal primo focolaio, la circolazione di Wnv in Emilia Romagna, Veneto e Lombardia, in uccelli, mammiferi e insetti vettori, con la segnalazione dei primi casi umani, che, da allora in poi, è stata segnalata ogni anno.
  In Italia, la sorveglianza epidemiologica dei casi umani di malattia da Wnv è regolata dal piano nazionale integrato di sorveglianza e risposta che viene attualizzato ogni anno.
  Le attività di sorveglianza umana prevedono che vengano individuati e segnalati casi clinici, importati (tutto l'anno) e autoctoni (da giugno a ottobre), di forme cliniche neuroinvasive, nelle aree a dimostrata circolazione di Wnv.
  Il piano prevede, inoltre, la sorveglianza entomologica, con l'attuazione di protocolli operativi diversificati in relazione alla presenza o meno di casi umani, basati sia sull'informazione della popolazione sia su interventi ordinari di controllo con prodotti larvicidi, al fine di ridurre la presenza di focolai larvali peri-domestici di zanzare, sia l'uso di adulticidi in caso di elevata densità delle zanzare.
  L'allegato 4 al piano riporta le specifiche sull'intervento per il controllo del vettore (
Culex pipiens), con indicazioni operative dettagliate sulle responsabilità e sugli interventi di controllo e di monitoraggio che devono essere messi in atto.
  Le attività di sorveglianza sono estese agli uccelli stanziali, agli uccelli migratori ed agli equidi, per permettere la definizione esatta delle aree in cui circola il virus.
  Secondo uno studio pubblicato da «Eurosurveillance» nel 2017, il Piano di sorveglianza integrato di Wnv italiano, che comprende la sorveglianza dei casi umani, la sorveglianza entomologica, la sorveglianza dei casi negli equidi e la sorveglianza in uccelli stanziali e migratori, è uno dei più completi a livello europeo ed ha come presupposto la collaborazione intersettoriale, utilizzando un approccio «
One Health».
  I risultati della sorveglianza integrata del virus
West nile mostrano che, complessivamente in Italia, dal 2008 al 2017 sono stati notificati oltre 247 casi umani autoctoni di malattia neuro-invasiva da West nile, da 9 regioni (Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia-Romagna, Basilicata, Puglia, Sicilia e Sardegna) e 8 casi confermati importati.
  Negli anni passati, i casi umani si sono manifestati solitamente a luglio, con un picco ad agosto.
  Quest'anno, invece, si è evidenziata, sia a livello europeo che nazionale, una circolazione più precoce del Wnv, con i primi casi notificati già a giugno dall'Italia e dalla Grecia. Si è inoltre registrato un numero più elevato dell'atteso sia di casi umani, anche in forma neuro invasiva, che di decessi, nonché un'elevata circolazione virale nelle zanzare e negli uccelli.
  Nel 2018, alla data del 14 novembre, in Italia sono stati segnalati 577 casi umani confermati di infezione da
West nile virus, di cui 230 si sono manifestati nella forma neuroinvasiva (63 in Veneto, 100 in Emilia-Romagna, 16 in Lombardia, 38 in Piemonte, 3 in Sardegna, 9 in Friuli Venezia Giulia, e 1 caso segnalato dal Molise importato dalla Grecia), tra i quali 42 decessi (1 in Lombardia, 13 in Veneto, 21 in Emilia-Romagna, 3 in Piemonte, 4 in Friuli Venezia Giulia); 279 casi come febbre confermata (66 in Emilia-Romagna, 190 in Veneto, 7 in Lombardia, 6 in Piemonte, 10 in Friuli Venezia Giulia) e 68 casi identificati in donatore di sangue (30 in Emilia-Romagna, 14 in Veneto, 9 in Piemonte, 11 in Lombardia, 3 in Friuli Venezia Giulia, 1 in Sardegna).
  La eccezionale diffusione del Wnv durante la stagione attuale non è un fenomeno solo italiano: infatti, a livello europeo, il Centro europeo per la prevenzione ed il controllo delle malattie (Ecdc), che coordina la sorveglianza dei diversi Paesi, ha segnalato che attualmente i casi umani di infezione da Wnv registrati nel 2018 superano il totale dei casi notificati negli ultimi cinque anni; inoltre l'infezione si sta diffondendo anche in Paesi che in passato non avevano presentato casi.
  In relazione all'attuale situazione epidemiologica, questo Ministero ha immediatamente richiamato l'attenzione sull'osservanza di quanto stabilito nel Piano ed ha diramato la circolare n. 0023836 del 7 agosto 2018, nella quale raccomanda l'applicazione delle misure di prevenzione, con particolare riferimento alle misure di corretta gestione del territorio.
  In particolare, al fine di sviluppare azioni di risanamento ambientale, è stata sottolineata la necessità di procedere, in collaborazione con le autorità competenti, a seconda delle realtà locali, ad interventi comprendenti, fra l'altro: manutenzione delle aree verdi pubbliche; pulizia delle aree abbandonate; eliminazione dei rifiuti per evitare la presenza di contenitori, anche di piccole dimensioni, contenenti acqua; drenaggio; canalizzazione; asportazione o chiusura di recipienti.
  È stata ribadita, inoltre, la necessità di rafforzare la sensibilizzazione della popolazione, anche con interventi porta a porta, per eliminare i siti di riproduzione delle zanzare nelle aree private.
  Le regioni interessate hanno, dunque, dovuto intraprendere, pur sulla base della loro autonomia, misure straordinarie per il controllo del vettore, incrementando le iniziative di monitoraggio del territorio e la diffusione di informazioni ai cittadini, aumentando la quantità e l'efficacia degli interventi larvicidi e adulticidi.
  Inoltre, in considerazione dell'eccezionalità della situazione epidemiologica, il 5 settembre 2018 il Ministero della salute ha ritenuto opportuno convocare una riunione, a cui hanno partecipato rappresentanti dell'Istituto superiore di sanità, delle regioni interessate, degli Istituti zooprofilattici sperimentali, per fare il punto della situazione e valutare l'adozione di ulteriori misure di controllo.
  In tale sede, si è potuto verificare che: la sorveglianza dei casi sta funzionando correttamente; misure straordinarie di disinfestazioni con adulticidi e larvicidi sono state prese dalle autorità regionali nel raggio di 200 metri intorno al caso di malattia da
West nile (come da Piano nazionale), includendo nei trattamenti i parchi pubblici, gli ospedali e i luoghi di aggregazione con spazi verdi; sono stati intensificati gli interventi comunicativi alla popolazione; si è verificata una circolazione virale precoce, le cui cause devono essere studiate ed approfondite ai fini della pianificazione per il 2019; si registrano criticità nella «compliance» dei comuni nell'attuare misure preventive di controllo dei vettori (lotta larvicida condotta precocemente); non esistono, al momento attuale, interventi sperimentati e sicuri diversi da quelli già noti, e per ora è necessario continuare con la lotta larvicida condotta precocemente, in quanto strumento utile a ridurre il numero delle zanzare; sono state diramate misure preventive riguardanti trapianti d'organo, tessuti e cellule, e le trasfusioni di sangue.
  Inoltre il Ministero della salute ha ritenuto di istituire un Tavolo tecnico intersettoriale sulle malattie trasmesse da vettori, a cui sono stati invitati, oltre a diversi enti sanitari, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, l'Associazione nazionale comuni italiani, l'Associazione rete italiana città sane.
  Tale tavolo dovrà proporre interventi di sorveglianza e controllo delle malattie trasmesse da vettori più articolati, che tengano conto anche di fattori ambientali, sociali, produttivi ed organizzativi.
  Questa iniziativa è in linea con la strategia dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), approvata durante l'Assemblea mondiale della sanità nel 2017, che si basa su quattro pilastri, di cui uno è dedicato specificatamente al rafforzamento della collaborazione intersettoriale, e prevede l'attivazione di «
task-force» (o comitati, o tavoli) a cui partecipino i ministeri coinvolti e le amministrazioni locali, per migliorare il coordinamento e massimizzare l'impatto delle attività di contrasto ai vettori, collegandole anche alle strategie per aumentare la resilienza agli effetti dei cambiamenti climatici, per contrastare l'urbanizzazione incontrollata e per ridurre la povertà.
  Il Ministero della salute, nell'ambito dei progetti intrapresi per il tramite del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ccm), ha finanziato il progetto «Prevenzione delle malattie a trasmissione vettoriale: sviluppo e implementazione pilota di strumenti di supporto operativo», che, per quanto riguarda il Wnv, ha permesso lo studio e la realizzazione di applicativi «
on-line» (piattaforme web) rivolti alla condivisione dei dati sulla sorveglianza.
  Inoltre, il Ministero della salute ha proposto un ulteriore progetto, rivolto a rafforzare la formazione in entomologia di sanità pubblica degli operatori del Servizio sanitario nazionale e di altri enti, di cui si è in attesa dell'esito della valutazione.
  Altri studi, soprattutto in relazione all'effetto delle variabili climatiche sull'ecologia dei vettori e la diffusione delle arbovirosi, con effetto predittivo, sono svolti con la collaborazione del Centro europeo per la prevenzione ed il controllo delle Malattie (Ecdc).
  Si ritiene, pertanto, che l'insieme delle iniziative messe in piedi negli anni dal Ministero della salute, e recentemente implementate in considerazione del picco di quest'anno, possano offrire buone e documentate risposte scientifiche al fine, cui si dovrà comunque tendere sempre con maggior forza, di prevenire il più possibile l'estensione del fenomeno.

La Ministra della salute: Giulia Grillo.


   ALESSANDRO PAGANO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   Gela (Caltanissetta), città ad alto tasso di criminalità, è da anni oggetto di attentati incendiari dolosi, aventi in alcuni casi matrice mafiosa e in altri origine non legata alla malavita;

   particolarmente frequenti sono gli attentanti incendiari delle auto, con alcune stime che parlano di 200 casi all'anno di autovetture bruciate a dimostrazione di una cultura diffusa della «ritorsione»;

   oltre al danno materiale, la combustione delle autovetture è pericolosa, perché mette a rischio gli stabili adiacenti, che spesso i vigili del fuoco devono evacuare, perché ingenerano intossicazione da monossido di carbonio; talvolta vi sono stati rischi alla vita di persone che insistevano nei pressi delle auto bruciate;

   gli episodi di intimidazione toccano in misura considerevole le attività commerciali, benché le modalità non consistano più nel tradizionale fenomeno estorsivo, contraddistinto da tangenti, bensì nell'imposizione rivolta ai commercianti di assumere e acquistare merci e servizi da fornitori legati alle organizzazioni criminali;

   nelle circostanze richiamate, dimostrare la sussistenza di reati diventa molto difficile, soprattutto quando l'esercente non collabora con gli inquirenti;

   in molti casi i reati sono commessi da minorenni, difficilmente perseguibili e tutt'al più affidati, in situazioni del genere, a comunità di recupero o case-famiglia;

   nelle ultime settimane si è registrata una preoccupante escalation, con la distruzione di tre attività commerciali;

   tra il 18 e il 19 ottobre 2018 due incendi, verosimilmente di origine dolosa, hanno distrutto il Bar «Belvedere» e il «B Cool Beach», mentre un terzo incendio ha colpito il Bar «Lory», che non è andato distrutto grazie all'intervento di un metronotte, che ha lanciato l'allarme, permettendo ai vigili del fuoco di spegnere le fiamme prima che si propagassero per il locale e coinvolgessero l'edificio;

   reprimere tali condotte è difficile, perché i fatti incriminati non scoraggiano i criminali essendo ricondotti al delitto di incendio (articolo 423 del codice penale) o di danneggiamento seguito da incendio (articolo 424), fattispecie circoscritte e non sempre sovrapponibili a eventi nei quali è evidente la portata intimidatoria;

   tali eventi, oltre ad incidere sulla sicurezza delle persone, vanno a detrimento del sistema economico locale, in quanto le attività commerciali colpite subiscono danni che impediscono una ripresa delle medesime in tempi rapidi e recano pesanti conseguenze nei confronti dei titolari, dei lavoratori e della collettività;

   al fine di sensibilizzare la collettività il 27 ottobre 2018 è stata organizzata una manifestazione davanti al «B-Cool Beach», uno dei locali distrutti, che ha visto una partecipazione enorme a dimostrazione della preoccupazione che insiste nella popolazione;

   nelle prossime settimane la situazione del personale delle forze dell'ordine subirà un peggioramento, in quanto 20 agenti di polizia, precedentemente assegnati al Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) di Pian del Lago ma che a seguito di un incendio doloso del dicembre 2017 causato da violente proteste di clandestini furono assegnati a servizi territoriali, ritorneranno alla originaria funzione con conseguente sottrazione di forze dell'ordine al territorio medesimo –:

   se il Governo stia valutando iniziative normative per l'inasprimento delle pene, con funzione deterrente verso i fatti richiamati, o per l'introduzione nel codice penale di fattispecie più specifiche e maggiormente idonee a reprimere i medesimi;

   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per garantire legalità, ordine pubblico e sicurezza in tutto il territorio della provincia di Caltanissetta, e in particolare nella città di Gela, e se ritenga che l'attuale organico delle forze di polizia operanti nella provincia, e in particolare nella zona di Gela, sia sufficiente o se, per contro, vada implementato, considerata l'estensione demografica e geografica della città;

   se il Governo stia valutando un piano d'azione per destinare fondi in favore delle vittime di attentati che denunciano i loro estorsori, in modo da consentire loro di riprendere in tempi brevi l'attività di impresa.
(4-01684)

  Risposta. — La questione degli atti criminosi menzionati nell'atto di sindacato ispettivo in esame è attualmente al vaglio dell'autorità giudiziaria per verificarne la matrice e gli autori.
  L'attenzione del Governo sul tema, attraverso la locale prefettura, è massima. Tali episodi sono stati oggetto di specifiche riunioni tecniche di coordinamento con le forze dell'ordine nelle giornate del 9, 21 e 26 novembre e del 12 dicembre 2018, nel corso delle quali sono state affrontate anche le più generali questioni della sicurezza pubblica nella città.
  Nello specifico, per fronteggiare la recrudescenza degli episodi incendiari, sono stati tempestivamente intensificati i servizi di controllo del territorio, provvedendo ad aumentare i servizi preventivi, soprattutto nelle ore notturne.
  In tale ambito, nel mese di novembre 2018, sono state inviate 2 squadre della compagnia di intervento operativo del dodicesimo Reggimento Carabinieri Sicilia a supporto del reparto territoriale Carabinieri di Gela, e dal mese di dicembre gli interventi a supporto sono programmati con cadenza settimanale.
  Si è anche contestualmente disposto il rafforzamento dei servizi di controllo, specialmente nelle aree rurali, con l'impiego di una squadra dedicata dello squadrone eliportato «Cacciatori Sicilia» dell'Arma dei Carabinieri.
  Più di recente, il 10 gennaio 2019, sempre con riunione tecnica di coordinamento, convocata a seguito dell'incendio ai danni dell'esercizio commerciale «Controsenso», è stata disposta un'ulteriore intensificazione dei servizi di controllo del territorio.
  Si aggiunge inoltre che, nei confronti di soggetti sottoposti a detenzione domiciliare e sorveglianza speciale, sono stati eseguiti 85 controlli, oltre a 20 perquisizioni domiciliari e locali volte al rinvenimento di armi e droga.
  Quanto alla richiesta dell'interrogante circa i tempi di rafforzamento dei presidi delle forze dell'ordine, si rende noto che già a decorrere dal 12 febbraio 2019 è stata disposta l'assegnazione alla Questura di Caltanissetta di complessive 11 unità di personale della polizia di Stato, 5 delle quali a potenziare l'organico del Commissariato di Gela e 6 quello di Niscemi.
  In particolare, per quanto attiene alla consistenza degli organici delle forze di Polizia presenti sul territorio comunale, si segnala che attualmente la polizia dispone di 140 unità, mentre l'Arma dei Carabinieri e la Guardia di finanza contano rispettivamente 86 e 73 militari. Le esigenze di rafforzamento degli organici delle forze di polizia per fronteggiare in maniera adeguata la complessità e la delicatezza di quel contesto territoriale, saranno in ogni caso valutate sia in occasione dell'adozione del piano di riorganizzazione delle questure e dei commissariati in ambito nazionale, il cui varo è stato previsto ad inizio del 2019, sia nel quadro del potenziamento delle Forze dell'ordine già previsto nella legge di bilancio.
  La situazione al nostro esame ha formato ulteriore oggetto di attenzione in occasione del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, svoltosi lo scorso 24 gennaio, allargato alla partecipazione del Procuratore distrettuale antimafia di Caltanissetta, del Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Gela e del Commissario straordinario del comune.
  In tale sede, è stata confermata la necessità prioritaria di assicurare a quel territorio l'installazione di un sistema di videosorveglianza, preso atto che la richiesta di finanziamento presentata dal comune ai sensi della legge n. 48 del 2017, «Norme in materia di sicurezza delle città», non si è collocata in posizione utile nella relativa graduatoria, formalizzata con decreto del Ministro dell'interno il 12 novembre 2018.
  Il prefetto di Caltanissetta ha, comunque, deciso di promuovere un'iniziativa finalizzata al coinvolgimento delle associazioni di categoria per la realizzazione di idonei sistemi di videosorveglianza privata, ai sensi dell'articolo 7, comma 1-
bis della citata legge n. 48 del 2017. Pertanto, nell'ultima riunione del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica è stato invitato anche il Commissario straordinario della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Caltanissetta che, sul punto, ha manifestato la più ampia disponibilità.
  Con specifico riferimento alla videosorveglianza della vasta area industriale di Gela, si informa che la prefettura di Caltanissetta ha messo in campo una specifica azione di sostegno ai soggetti interessati tra cui, in particolare, l'Istituto regionale per lo sviluppo delle attività produttive, allo scopo di sensibilizzare gli attori coinvolti sulle preziose opportunità previste dal PON Legalità e al fine di fornire impulso alla presentazione di idonee progettualità, a valere sui fondi del PON Legalità 2014/2020.
  Per quanto riguarda, in particolare, i fatti criminali riconducibili a matrice estorsiva, si evidenzia che nella recente legge n. 132 del 2018, di conversione del cosiddetto «decreto sicurezza e immigrazione» sono confluite modifiche alle vigenti normative volte a velocizzare e rendere più efficaci le misure in favore delle vittime di estorsione e usura.
  In particolare, l'esigenza di apportare modifiche alla legge 23 febbraio 1999, n. 44, è nata dalla necessità di pervenire al raggiungimento di una serie di obiettivi quali:

   l'ampliamento dei termini di presentazione delle istanze di accesso al sostegno per le vittime di estorsione ed usura, passati da 120 giorni a 24 mesi;

   la possibilità di concessione dell'intero ammontare dell'elargizione dopo il decreto di rinvio a giudizio e quindi prima della sentenza relativa al procedimento penale posto a base dell'istanza;

   l'ampliamento della durata del periodo di sospensione dei termini ex articolo 20 legge n. 44 del 1999 e indicazione del periodo di decorrenza dal provvedimento in proroga.

  Il raggiungimento degli obiettivi elencati va considerato come un inevitabile percorso di ammodernamento di una normativa che ha sicuramente svolto, in prima applicazione, una efficace azione di sostegno nei confronti delle vittime dell'estorsione e dell'usura, prevedendo il ristoro patrimoniale dei danni subiti, ai fini del loro reinserimento nel circuito economico-produttivo.
  L'opera di perfezionamento è, quindi, conseguente alla rilevata necessità di superare questioni interpretative e criticità emerse in sede di attuazione delle disposizioni in materia.
  Sul piano amministrativo, infine, gli interventi di consolidamento della «Piattaforma SANA» hanno permesso di ridurre, nel corso del 2018, i tempi di lavorazione delle istanze prodotte dalle vittime, soprattutto grazie a un portale messo a loro disposizione e all'avvio di una gestione
on line da parte di prefetture, uffici giudiziari e Polizia.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Luigi Gaetti.


   RAMPELLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   desta preoccupazione quanto si apprende dagli organi di stampa in merito al trattamento di dipendenti italiani presso l'ambasciata di Libia a Roma. Nello specifico, una dipendente si è vista negare la richiesta di anticipo del trattamento di fine rapporto, per gravi motivi di salute;

   la normativa vigente prevede la liquidazione anticipata del Tfr anche per una quota del 70 per cento per motivi sanitari e/o l'acquisto della prima casa; inoltre, i ratei del Tfr accantonati dal datore di lavoro per conto del dipendente costituiscono somme di competenza di quest'ultimo;

   non sarebbe il solo caso di dipendente dell'ambasciata i cui diritti sono stati negati. Solo dall'inizio del 2011 in poi, l'ambasciata ha iniziato a regolarizzare le posizioni lavorative di tutti gli italiani impiegati, assumendoli a tempo indeterminato. Tuttavia, le mansioni svolte, pur se in orario straordinario e regolarmente pagate, non sempre erano legate ad attività «diplomatiche»;

   dal 2011 in poi, ad aggravare ulteriormente la situazione, a fronte di turni sempre più massacranti, gli straordinari svolti da tutti i lavoratori italiani, non sono più stati pagati;

   la regolarizzazione di orari e straordinari non è mai avvenuta, nonostante le promesse fatte dai tre ambasciatori che dal 2013 si sono succeduti nell'ambasciata di via Nomentana a Roma;

   dal 2014 in poi, il problema diventa più grave, perché le inadempienze si estendono anche alle erogazioni degli stipendi, che vengono emessi a intervalli sempre più lunghi di due, tre, quattro, sei mesi, costringendo molti alle dimissioni;

   nel 2014 l'ambasciatore del tempo dichiarava pubblicamente che la situazione debitoria dell'ambasciata libica a Roma, circa 20 milioni di euro, era principalmente dovuta ai ricoveri dei propri connazionali e che gli stranieri investivano meno in Libia e per questo i flussi di denaro da Tripoli a Roma non erano più regolari;

   lo stesso ambasciatore è stato sospeso dall'incarico nel 2017 con l'accusa di aver assunto «comportamenti che hanno recato un danno consistente all'erario pubblico» –:

   se sia a conoscenza dei fatti elencati in premessa e, nello specifico, della situazione economica dei dipendenti italiani in servizio presso l'ambasciata di Libia, quali urgenti iniziative di competenza intenda adottare per tutelarne i diritti e se non ritenga opportuno assumere iniziative urgenti per impedire che la cattiva gestione dei bilanci dell'ambasciata di Libia a Roma possa riversarsi sui dipendenti italiani.
(4-02167)

  Risposta. — Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale è al corrente della situazione relativa ad alcuni impiegati di cittadinanza italiana in servizio presso l'ambasciata di Libia a Roma a seguito di comunicazioni via mail, trasmesse nel corso del 2018 dal legale dei predetti impiegati in relazione a varie questioni, sia di ordine economico che organizzativo, insorte tra l'ambasciata di Libia ed alcuni dei suoi lavoratori.
  Nelle medesime comunicazioni, il legale, formalmente incaricato dai lavoratori in parola a rappresentarli, allegava altresì copia delle lettere inoltrate all'ambasciata libica, con le quali richiedeva la regolarizzazione delle questioni ancora rimaste irrisolte (liquidazione arretrati, differenze retributive, ferie, permessi, trasferte, buoni pasto, spettanze dipendenti dal rapporto di lavoro) facendo riserva di ricorrere alle vie legali, in mancanza di una risposta da parte della rappresentanza diplomatica.
  Il cerimoniale diplomatico riscontrava le richieste in parola, esortando il legale in questione a comunicare eventuali futuri aggiornamenti e manifestando, al contempo, la propria disponibilità ad attivare la procedura dei buoni uffici, finalizzata al raggiungimento di una soluzione bonaria della controversia. Il legale, ad oggi, non ha ancora richiesto l'attivazione della procedura in parola.
  I buoni uffici consistono in una procedura di competenza del cerimoniale diplomatico, che può essere attivata su richiesta formale degli interessati, nel caso in cui insorga una controversia che veda coinvolta una Rappresentanza straniera accreditata in Italia. In tal caso, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale non avendo strumenti di intervento in merito alle singole controversie, provvede, in posizione di terzietà rispetto alle parti in causa, a fornire i propri buoni uffici, i quali si sostanziano concretamente in un'attività di facilitazione e, eventualmente, di incontri alla Farnesina che consentano di pervenire ad una soluzione della controversia, evitando così un eventuale contenzioso davanti al giudice.
  Pertanto, in merito alla richiesta relativa alle «urgenti iniziative di competenza» che il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale intende adottare per tutelare i diritti dei lavoratori in argomento, il cerimoniale diplomatico ha già manifestato la propria disponibilità a fornire i buoni uffici al legale dei lavoratori dell'ambasciata di Libia a Roma e dunque ha già adottato iniziative in tal senso.
  In generale, oltre allo strumento dei buoni uffici, questo Ministero, in assenza di un vero e proprio contratto di categoria per questo tipo di lavoratori, si è già attivato per tutelare i diritti dei lavoratori in servizio presso le rappresentanze straniere in Italia, predisponendo, d'intesa con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la «disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti delle ambasciate, consolati, legazioni, istituti culturali e organismi internazionali in Italia» (reperibile sul sito
internet del Ministero al seguente link: https://www.esteri.it/mae/it/servizi/stranieri/serv_rappr_stran).
  Essa costituisce un
corpus normativo che raccoglie le principali disposizioni in materia di diritto del lavoro vigenti in Italia con il fine di orientare e sensibilizzare le rappresentanze straniere accreditate in Italia al rispetto della normativa vigente in materia di regolazione del rapporto di lavoro con i propri dipendenti assunti localmente.
  Il cerimoniale informa periodicamente tutte le rappresentanze straniere in Italia (ivi compresa, dunque, l'ambasciata di Libia a Roma) sugli aggiornamenti e sulle modifiche apportate alla disciplina in parola, procedendo al contempo a sensibilizzarle sulla necessità di applicare le norme ivi contenute.
  Infine, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale non mancherà di sensibilizzare il nuovo ambasciatore libico a Roma (9 novembre 2018), Omar Tarhuni, riguardo alla necessità di garantire la tutela dei cittadini italiani in servizio presso l'ambasciata di Libia a Roma.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Ricardo Antonio Merlo.


   SPENA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 7 della legge 11 gennaio 2018, n. 3, individua e istituisce le professioni sanitarie dell'osteopata e del chiropratico;

   il comma 2 del citato articolo prescrive che con accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della medesima legge n. 3 del 2018, ovvero entro il 15 maggio 2018, vengano stabiliti «l'ambito di attività e le funzioni caratterizzanti delle professioni di osteopata e chiropratico, i criteri di valutazione dell'esperienza professionale nonché i criteri per il riconoscimento dei titoli equipollenti»;

   il medesimo comma 2 prevede, inoltre, che con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro della salute, da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della suddetta legge n. 3 del 2018, acquisito il parere del Consiglio universitario nazionale e del Consiglio superiore di sanità, siano definiti l'ordinamento didattico della formazione universitaria in osteopatia e in chiropratica nonché gli eventuali percorsi formativi integrativi;

   i termini temporali per l'attuazione dei dispositivi citati sono dunque trascorsi: il primo da più di sei mesi, il secondo il 15 agosto 2018;

   la situazione attuale è quindi che gli osteopati e i chiropratici italiani ancora attendono l'istituzione della propria figura professionale nonché la definizione dei relativi ordinamenti didattici della formazione universitaria;

   migliaia di questi professionisti attendono un riconoscimento che dia dignità e tutela al proprio lavoro, e centinaia di giovani neo-diplomati in queste specialità vivono la futura professione nell'incertezza di una legge formalmente in vigore dal 15 febbraio 2018, ma, come si è evidenziato, ancora inattuata;

   sono milioni i cittadini che, anche su consiglio del proprio medico, si rivolgono alle cure di osteopati e chiropratici in Italia, e il riconoscimento ufficiale delle professioni sanitarie di osteopata e chiropratico, con la definizione del loro ambito di attività e delle loro funzioni caratterizzanti e della formazione ed esperienza che dovranno dimostrare secondo legge, tutelerebbe soprattutto la qualità dei trattamenti, la sicurezza e la salute dei tantissimi cittadini che si rivolgono alle loro cure –:

   quali siano le ragioni del grave e incomprensibile ritardo nella definizione dell'accordo e nell'emanazione del citato provvedimento attuativo indispensabili per l'individuazione e l'istituzione delle professioni sanitarie dell'osteopata e del chiropratico, posto che questo ritardo e questo vuoto normativo penalizzano pesantemente i suddetti professionisti e non tutelano i tantissimi cittadini che ad essi si rivolgono;

   se non si ritenga di adottare iniziative per provvedere al più presto e senza ulteriori ritardi alla piena attuazione dell'articolo 7 della legge 11 gennaio 2018, n. 3, ai fini dell'individuazione e dell'istituzione delle professioni sanitarie dell'osteopata e del chiropratico.
(4-01683)

  Risposta. — Con la legge 11 gennaio 2018, n. 3, «delega al Governo in materia di sperimentazione clinica dei medicinali nonché disposizioni per il riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del Ministero della salute», è stata operata una revisione della disciplina delle professioni sanitarie e sono stati sostituiti i Capi I, II e III del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato n. 233 del 13 settembre 1943.
  L'articolo 7 «individuazione e istituzione delle professioni sanitarie dell'osteopata e del chiropratico», al comma 1, stabilisce che nell'ambito delle professioni sanitarie sono individuate le professioni dell'osteopata e del chiropratico, per l'istituzione delle quali si applica la procedura di cui all'articolo 5, comma 2, della legge 1° febbraio 2006, n. 43, come sostituito dall'articolo 6 della legge n. 3 del 2018.
  Il comma 2 dello stesso articolo prevede che con accordo Stato-regioni sono stabiliti l'ambito di attività e le funzioni caratterizzanti le professioni dell'osteopata e del chiropratico, i criteri di valutazione dell'esperienza professionale, nonché i criteri per il riconoscimento dei titoli equipollenti, e con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro della salute, previo parere del Consiglio universitario e del Consiglio superiore di sanità, sono definiti l'ordinamento didattico della formazione universitaria in osteopatia e in chiropratica, nonché gli eventuali percorsi formativi integrativi.
  Al riguardo, si segnala che il Ministero della salute sta provvedendo alla elaborazione dei citati profili professionali, come avvenuto per i precedenti provvedimenti ministeriali di attuazione della medesima legge.
  A tal fine, sono stati convocati incontri tecnici con le associazioni professionali di riferimento, per predisporre una bozza di accordo condiviso, che verrà sottoposto alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
  

La Ministra della salute: Giulia Grillo.


   UNGARO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   come riportato dalla stampa nazionale e spagnola nelle scorse settimane il nostro connazionale Antonio Donato, quarantenne di Petrosino (TP) sarebbe morto in solitudine a Madrid il 18 gennaio 2017 presso l'ospedale universitario Fondazione Jimenez Diaz;

   per le autorità spagnole, sollecitate anche dall'ambasciata d'Italia in Spagna, Antonio Donato sarebbe deceduto per cause naturali. Tuttavia, alla comunicazione non è mai stato allegato alcun certificato medico, né è stata indicata la localizzazione della salma sepolta a carico del comune di Madrid. Inizialmente la data del decesso indicata ai congiunti è stata quella del 18 gennaio 2018, solo successivamente retrodatata di un anno. Questa circostanza assieme al fatto che, secondo fonti investigative, l'ospedale dove Antonino è stato portato avrebbe registrato per sbaglio un cognome errato, avrebbero ritardato l'identificazione della famiglia d'origine;

   il consolato italiano ha in più occasioni sollecitato l'intero fascicolo medico-legale relativo al connazionale: la cartella clinica, il referto dell'esame autoptico compiuto dal medico legale e il luogo di sepoltura della salma –:

   se il Ministro interrogato intenda attivarsi quanto prima, di concerto con la missione diplomatica italiana a Madrid, presso il Governo di Spagna per conoscere quanto accaduto ad Antonio Donato da anni residente nel Paese iberico.
(4-02001)

  Risposta. — Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, tramite l'ambasciata d'Italia a Madrid, si è attivato per conoscere dalle competenti Autorità spagnole quanto accaduto al signor Antonino Donato fin dalla prima segnalazione, avvenuta il 24 dicembre 2018.
  L'ambasciata in particolare, in costante contatto con i parenti del signor Donato, ha immediatamente richiesto la completa e approfondita documentazione all'ospedale «
Fundación Jimenez Diaz» di Madrid, nonché alle altre competenti autorità spagnole. A seguito dell'intensa attività di sensibilizzazione delle autorità spagnole, l'ambasciata ha ottenuto il 14 gennaio scorso dal Juzgado de Instrucción n. 5 di Madrid la documentazione relativa al connazionale, ovvero il rapporto del medico del reparto di terapia intensiva dell'ospedale «Fundación Jimenez Diaz» e il rapporto del medico legale (entrambi del 19 gennaio 2017), da cui si evince che il signor Antonino Roberto Donato è stato ricoverato il 27 dicembre 2016 per una grave polmonite, riferendo di non avere documenti di identità né familiari in Spagna e dichiarando il proprio desiderio di non comunicare ad alcuno il proprio stato di salute. All'accettazione in ospedale, il suo nome è stato erroneamente registrato come Antonino Donardo, elemento che spiegherebbe le difficoltà e i ritardi delle autorità spagnole nel risalire alla vera identità del nostro connazionale. Il decesso è avvenuto alle ore 20.00 del 18 gennaio 2017 e la salma è stata tumulata a Madrid.
  Su richiesta dei parenti, sono in corso le procedure di riesumazione e rimpatrio della salma. L'ambasciata mantiene, anche in questa delicata fase, un costante contatto con la famiglia alla quale presta la necessaria assistenza.
  

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Ricardo Antonio Merlo.


   ZAN. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   si apprende da numerosi organi stampa nazionali e internazionali che in Cecenia, Repubblica della Federazione russa, sono in corso operazioni di polizia volte all'identificazione, al fermo, all'arresto e alla deportazione di persone ritenute omosessuali;

   secondo fonti appartenenti ad associazioni locali per la tutela dei diritti umani e Igbt, le persone arrestate sarebbero poi trasferite in un campo di prigionia ad Argun, sottoposte a tortura, fino anche all'eliminazione fisica;

   il quotidiano Novaja Gazeta, tra gli ultimi indipendenti in Russia, ha confermato gli arresti di decine di persone e l'uccisione di due uomini, in quanto omosessuali;

   già nella primavera del 2017 erano state denunciate dalla stampa alla comunità internazionale sistematiche persecuzioni in Cecenia contro la comunità Igbt, ordinate direttamente da Ramzan Kadyrov (presidente ceceno che ha di fatto reso la regione una dittatura islamica), il cui portavoce aveva smentito tali operazioni con la frase «non si possono arrestare o reprimere persone che non esistono nella repubblica cecena», negando quindi l'esistenza stessa delle persone omosessuali;

   a parere dell'interrogante, i fatti descritti rappresentano una gravissima violazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (Cedu) di cui la Federazione russa e quindi anche la Repubblica Cecena sono firmatarie;

   secondo l'interrogante è urgente un intervento della Repubblica italiana nelle opportune sedi internazionali per verificare i fatti e, nel caso, ripristinare lo stato di diritti e il pieno rispetto dei diritti umani, oltre che dovere del Governo italiano applicare il comma 3 dell'articolo 10 della Costituzione italiana e garantire dunque immediato asilo alle persone attualmente perseguitate –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda porre in essere per far cessare queste sistematiche violenze contro la comunità Igbt cecena e garantire in futuro piena la piena libertà e il pieno rispetto dei diritti umani nella Repubblica cecena.
(4-02010)

  Risposta. — La lotta contro ogni forma di discriminazione, anche in base all'orientamento sessuale e all'identità di genere, costituisce una delle direttrici dell'azione internazionale dell'Italia nel settore dei diritti umani e figura fra le priorità del mandato italiano nel Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite per il triennio 2019-2021.
  Per questo seguiamo con particolare preoccupazione la questione delle discriminazioni, anche basate sull'orientamento sessuale, nella Federazione Russa e soprattutto i recenti casi di gravi violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali ai danni delle persone LGBT+I in Cecenia.
  Fin dalla ripresa delle segnalazioni a dicembre 2018 da parte di media russi, abbiamo condiviso e sostenuto le principali iniziative avviate a livello internazionale e locale, anche in coordinamento con le istanze dell'Unione europea, per accertare i fatti nella convinzione che sia necessario fare piena luce sulla vicenda. Più nel dettaglio, abbiamo concorso con i partner dell'Unione europea alla formulazione di un intervento congiunto sui tema al Consiglio permanente dell'Osce. In tale dichiarazione, confermando la nostra profonda preoccupazione per quanto sta avvenendo in Cecenia ai danni di persone LGBT+I, abbiamo ribadito l'appello alla federazione russa affinché conduca indagini tempestive, efficaci, approfondite e garantisca la consegna alla giustizia dei responsabili o complici di tali atti. Sempre in ambito Unione europea, l'Italia continua a sostenere il mantenimento di canali di dialogo diretti fra la delegazione Unione europea a Mosca e l'Ombudsperson russo, incoraggiando anche contatti dell'Unione europea con il consiglio presidenziale per i diritti umani, principale organo consultivo di settore dell'amministrazione presidenziale russa.
  In ambito Onu il nostro Paese è intervenuto sul tema delle discriminazioni nella federazione russa anche nel corso dell'ultimo esercizio di revisione periodica universale cui si è sottoposta la Russia a maggio 2018. In tale occasione, abbiamo formulato una raccomandazione affinché adotti misure concrete per combattere tutte le forme di discriminazione, incluse quelle basate sulla religione e sull'orientamento sessuale.
  Continueremo a monitorare gli sviluppi della vicenda in Cecenia, nella consapevolezza che sia estremamente grave che vi siano contesti nei quali le persone vengano discriminate, i loro diritti vengano negati o addirittura esse siano fatte oggetto di violenze a causa del proprio orientamento sessuale.

La Viceministra degli affari esteri e della cooperazione internazionale: Emanuela Claudia Del Re.