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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 19 marzo 2019

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:


   La VII Commissione,

   premesso che:

    l'attenzione verso i diritti dei bambini è argomento relativamente recente: nonostante nel 1959 venga approvata la Dichiarazione dei diritti del bambino, è solo nel 1989, con la Convenzione Internazionale dei diritti dell'infanzia dell'Onu, che i diritti dei bambini assumono pieno titolo nel mondo giuridico internazionale e si ottiene una protezione piena e completa dell'infanzia;

    nell'ambito del riconoscimento del bambino come soggetto giuridico rientra il processo di specificazione dei bisogni umani e l'introduzione in particolare dei diritti del bambino ospedalizzato nell'ambito dei quali si colloca anche il riconoscimento del diritto all'educazione;

    già negli anni ’50 approfonditi studi sulla ospedalizzazione dei bambini avevano evidenziato gli effetti dannosi che un ricovero in ospedale determina sul benessere psicoaffettivo dei bambini promuovendo l'introduzione di numerosi cambiamenti anche con la collaborazione degli operatori sanitari; il periodo in ospedale, infatti, nel caso di degenze medie e medio-lunghe, comporta, per il bambino e l'adolescente, un allontanamento traumatico dal proprio ambiente quotidiano e una conseguente forzata interruzione delle relazioni socio-affettive e scolastiche;

    sulla scia di questa nuova attenzione nei primi anni ’60 cominciarono a sorgere in Europa associazioni di volontari che si occupavano del benessere del bambino in ospedale e, nel 1988, dodici di queste associazioni si incontrarono a Leida, nei Paesi Bassi, con l'obiettivo di dare vita a una vera e propria Carta dei diritti del bambino ospedalizzato, affinché ne fosse riconosciuta la soggettività giuridica specifica e fosse considerato soggetto di diritti propri; fu in quella occasione che fu redatta la Carta di Leida, che riassume in 10 punti i diritti del bambino in ospedale enunciati dalla risoluzione del Parlamento europeo sui diritti del bambino del 1986;

    la Carta europea dei diritti dei bambini degenti in ospedale è stata adottata con la risoluzione del 13 maggio 1986;

    nel 1993 fu fondata EACH, European Association for Children in Hospital: la Carta di Leida viene da allora detta «Carta di EACH», associazione europea che di cui fanno parte 16 associazioni nazionali che si occupano di bambini ospedalizzati provenienti da diversi Paesi europei tra cui anche l'Italia;

    il diritto del bambino a proseguire gli studi e a essere adeguatamente assistito e accompagnato in questi studi rientra nel più ampio campo dei diritti del bambino;

    la scuola in ospedale in Italia nasce con la circolare ministeriale del 12 gennaio 1986 che istituisce le sezioni scolastiche ospedaliere, in considerazione del fatto che «L'attività didattica rivolta ai bambini ricoverati nelle strutture ospedaliere riveste un ruolo estremamente rilevante in quanto garantisce ai bambini malati il diritto all'istruzione e contribuisce al mantenimento o al recupero del loro equilibrio psico-fisico»;

    la scuola in ospedale, al di là delle circolari ministeriali, delle carte europee e dei protocolli, è una eccellenza italiana: in Italia, infatti, il diritto allo studio, come il diritto alla salute, è non solo garantito, ma anche tutelato dalla Costituzione italiana che afferma pari opportunità al raggiungimento degli obiettivi ai quali tutte le studentesse e gli studenti devono essere messi concretamente e sostanzialmente in condizione non solo di aspirare ma soprattutto di arrivare, anche in considerazione del fatto che l'istruzione ricopre un ruolo fondamentale nella formazione dei giovani e nella definizione del senso del sé oltre che del sentimento di appartenenza alla comunità nazionale, alla tradizione e alla cultura del Paese;

    il servizio della scuola in ospedale riveste rilevante importanza terapeutica e curativa per i ragazzi ricoverati ai quali assicura il diritto all'istruzione quando, a causa dello stato patologico in cui versano, sono temporaneamente costretti a sospendere la frequenza alle lezioni presso la scuola di appartenenza;

    inoltre, tale servizio rappresenta anche un fondamentale strumento per contrastare l'abbandono scolastico dovuto alla malattia e all'ospedalizzazione;

    in Italia il percorso di scuola in ospedale viene integrato spesso con l'istruzione domiciliare ed entrambi concorrono alla validazione dell'anno scolastico ai sensi di quanto disciplinato con decreto del Presidente della Repubblica n. 122 del 2009, articolo 11;

    il servizio di scuola a domicilio interessa e coinvolge le scuole di ogni ordine e grado del territorio nazionale (con esclusione delle scuole dell'infanzia) e non solo le sezioni ospedaliere; si attiva con una certificazione medica ospedaliera attestante l'impossibilità dello studente di riprendere la scuola a causa dello stato di salute e per la prosecuzione di cure a domicilio per un periodo pre-determinato di almeno 30 giorni;

    come esplicitamente contemplato nel «Vademecum per l'istruzione domiciliare», ogni scuola deve poter attivare l'istruzione a domicilio a seguito di esplicita richiesta della famiglia di un proprio studente costretto ad assentarsi per ricovero in ospedale in seguito a una grave patologia;

    l'istruzione a domicilio può essere garantita principalmente con due modalità:

     attraverso la predisposizione di uno specifico progetto a domicilio, finanziato dall'ufficio scolastico regionale di appartenenza, che consente alla scuola di inviare il personale docente disponibile a domicilio dello studente per la prestazione, in orario aggiuntivo e concordato con la famiglia, di ore di insegnamento per le discipline fondamentali del curricolo;

     attraverso l'attivazione di un progetto a distanza, supportato e garantito dalle nuove tecnologie, per consentire allo studente che non può frequentare di seguire e partecipare in diretta alle attività della classe e di interagire con i docenti e con i compagni di classe, senza oneri aggiuntivi;

    anche il servizio di istruzione domiciliare, come la scuola in ospedale, muove dal principio costituzionale della realizzazione del diritto allo studio e dal valore terapeutico che assume la scuola;

    l'istruzione domiciliare, così come la scuola in ospedale, da una parte consente la continuità degli studi e garantisce alle bambine e i bambini il diritto a conoscere e ad apprendere in ospedale, ma dall'altra permette a loro e alle loro famiglie, nonostante la malattia, di continuare a sperare, a credere e a investire sul futuro;

    appare quindi evidente che lo scopo principale delle attività svolte con i degenti in età scolare, che si trovino ricoverati in ospedale o a casa, è quello di aiutarli a intraprendere un percorso cognitivo, emotivo e didattico che consenta loro di mantenere i legami con il proprio ambiente di vita scolastico;

    sul territorio nazionale sono presenti 167 sezioni ospedaliere che coinvolgono 765 docenti;

    nel settembre del 2000 fu firmato tra il Ministero della pubblica Istruzione, il Ministero della sanità e il Ministero per la solidarietà sociale il protocollo lo di Intesa a tutela dei diritti alla salute, al gioco, all'istruzione e al mantenimento delle relazioni affettive ed amicali dei cittadini di minore età malati;

    con tale protocollo l'allora Ministero della pubblica istruzione si impegnava tra l'altro a «garantire l'attuazione del diritto allo studio dei bambini e adolescenti ospedalizzati istituendo corsi di studio per le scuole di ogni ordine e grado», a fornire personale docente ed amministrativo, tecnico e ausiliario, a promuovere iniziative di formazione specifica per il personale docente d'intesa con le organizzazioni sindacali, a considerare la scuola ospedaliera tra gli interventi prioritari,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative per riconoscere la fondamentale importanza dell'istituto della scuola in ospedale e prevedere, conseguentemente, adeguati finanziamenti a sostegno di tale attività destinati non soltanto ai mezzi e agli strumenti necessari ad attivare tutte le necessarie sezioni ma anche ad incentivare i docenti e soprattutto a formarli in tal senso;

   ad adottare iniziative per prevedere investimenti sia in termini finanziari che in termini di formazione affinché le nuove tecnologie possano costituire strumento concreto di realizzazione del diritto allo studio permettendo alle studentesse e agli studenti di tenersi al passo con lo svolgimento della programmazione della classe;

   ad adottare iniziative per organizzare il potenziamento del servizio e dei punti di erogazione, prevedendo l'individuazione di «scuole polo» la costituzione di una rete di istituzioni scolastiche di riferimento quanto meno a livello regionale;

   ad adottare iniziative per prevedere il potenziamento delle sezioni ospedaliere di scuola superiore di II grado verificando la possibilità di costituzione di una tale sezione in ogni ospedale di ogni regione;

   ad adottare iniziative per assicurare la diffusione su tutto il territorio nazionale in maniera paritaria del servizio della scuola in ospedale.
(7-00211) «Casciello, Aprea, Marin, Palmieri, Saccani Jotti».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta orale:


   VAZIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   ha suscitato molto scalpore e indignazione la notizia che ha avuto molta eco sulla stampa nazionale degli insulti razzisti rivolti nei confronti di un giovane calciatore di 14 anni della categoria giovanissimi provinciali durante una partita di calcio svoltasi a Cairo Montenotte, in provincia di Savona;

   l'arbitro della gara, una donna, ha proceduto a sospendere la partita per ben due volte perché un gruppo di ragazzini dalle tribune, per di più coetanei dei giocatori in campo, gridava insulti di chiara matrice razzista nei confronti del portiere di origini sudamericane della squadra del Priamar di Savona;

   in merito a tale episodio sono pervenute le scuse e la condanna della Cairese, la squadra di Cairo Montenotte anche con un post su Facebook;

   poiché episodi del genere purtroppo accadono con una certa frequenza e coinvolgono anche le categorie più giovani, non solo nel calcio, ma anche in altri sport, si pone con tutta evidenza una grave questione educativa;

   pur consapevoli dell'autonomia vigente in materia sportiva e fiduciosi che la Federazione gioco calcio sappia assumere le giuste e doverose decisioni, si evidenzia la necessità di intervenire anche in altri ambiti a partire da quello della scuola per promuovere e far crescere la cultura del rispetto e della lealtà sportiva;

   negli ultimi mesi si sono registrate in merito a eventi sportivi inaudite aggressioni violente nei confronti di direttori di gara, scontri tra genitori sulle tribune, e altri spiacevoli e gravi episodi su cui il Governo, ad avviso dell'interrogante, non è andato oltre a ovvie e contate dichiarazioni a mezzo stampa;

   si ritiene che si sia superato il livello di guardia e che episodi come quello riportato in premessa non debbano ripetersi –:

   quali iniziative intenda assumere il Governo, per quanto di competenza e nel rispetto della vigente autonomia delle Federazioni sportive, per contrastare i fenomeni di violenza come quello di cui in premessa e promuovere la crescita, anche nelle scuole, di una rinnovata cultura sportiva incentrata su rispetto, lealtà e lotta a ogni forma di razzismo.
(3-00619)


   ILARIA FONTANA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   l'Italia è stata oggetto in passato di procedura di infrazione europea per l'applicazione degli articoli 3, 4, 5 e 10 della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane;

   l'articolo 3 della direttiva stabilisce che tutti gli agglomerati siano dotati di impianti di depurazione delle acque reflue urbane;

   l'articolo 4 della direttiva stabilisce ulteriormente che le acque reflue siano sottoposte anche a trattamento secondario;

   l'articolo 5 della direttiva stabilisce che gli Stati membri devono individuare le aree sensibili ai sensi del relativo allegato II, nelle quali gli scarichi dovranno essere sottoposti a trattamenti più spinti di quelli previsti al precedente articolo 4;

   le acque reflue urbane dell'agglomerato di Civita Castellana confluiscono nell'area sensibile della riserva naturale di Nazzano Tevere-Farfa, attraversata dal fiume Tevere e sulla quale insiste un lago formatosi a seguito della realizzazione di una diga nel medio corso del fiume;

   per le ragioni espresse, l'agglomerato di Civita Castellana è stato inserito nella procedura di infrazione dell'Unione europea n. 2034 del 2009, per la non conformità a tutti e tre gli articoli 3, 4, e 5 della suddetta direttiva;

   con determinazione dirigenziale G15456 del 2017 la regione Lazio ha provveduto ad affidare la verifica preventiva della progettazione delle opere di collettamento dei poli di Civita Castellana, Sutri e Vignanello;

   le opere di depurazione delle acque fognarie, relative al polo di Civita Castellana a servizio anche dei comuni di Carbognano, Fabrica di Roma, Corchiano, Nepi, Castel S. Elia, Faleria e Calcata, sono ad oggi parzialmente terminate per quanto concerne il sistema depurativo, mentre non sono state più finanziate dalla regione Lazio, le necessarie opere di collettamento dai territori comunali interessati al centro depurativo di Civita Castellana;

   ad oggi, il depuratore costruito e funzionante, riceve soltanto un terzo degli scarichi fognari di Civita Castellana, e nulla dai comuni inizialmente previsti in progetto, lavorando di gran lunga al di sotto della propria potenzialità;

   a norma del capo VIII del decreto legislativo n. 300 del 1999, al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio sono attribuite la tutela delle risorse idriche e la relativa gestione, la sorveglianza, il monitoraggio e il recupero delle condizioni ambientali conformi agli interessi fondamentali della collettività e all'impatto sull'ambiente, con particolare riferimento alla prevenzione e repressione delle violazioni compiute in danno all'ambiente –:

   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo abbia adottato o intenda adottare e con quali tempistiche per assicurare il completamento delle opere in questione, alla luce delle procedure di infrazione in corso.
(3-00620)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PAITA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   i cittadini di via Pontetti e dei quartieri della città di Genova, interessati, da tempo segnalano una preoccupante situazione di stallo per quanto riguarda i lavori dello scolmatore dei rii Vernazza e Chiappeto;

   a seguito delle conseguenze drammatiche per gli allagamenti negli anni scorsi, quando esplose la tombinatura dei rii che si immettono nello Sturla, i Governi Renzi e Gentiloni hanno stanziato nell'ambito del patto per la città una serie di finanziamenti finalizzati alla messa in sicurezza del richiamato scolmatore;

   in base all'accordo sottoscritto il 26 novembre 2016 tra il Presidente del Consiglio dei ministri e il sindaco della città di Genova, attraverso le risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione (Fsc 2014-2020) sono stati finanziati una serie di interventi suddivisi per aree tematiche;

   in particolare, in ambito ambientale è stato previsto il finanziamento per la messa in sicurezza idraulica del rio Pozio Serillo, di un tratto del rio Fagaggia, del rio Vernazza, del torrente Sturla e del torrente Chiaravagna per un importo pari a euro 24.699.000;

   tali risorse sono state già assegnate mediante delibera del Cipe;

   in merito l'interrogante ha già presentato un altro atto di sindacato ispettivo per il quale non è ancora pervenuta risposta da parte del Governo sulla realizzazione degli interventi di sistemazione idraulica concernenti i torrenti Chiaravagna e Rio Vernazza, considerato che la soppressione della struttura di missione «Italia Sicura» ha sicuramente rallentato i richiamati interventi, indispensabili per la sicurezza di un territorio soggetto a dissesto idrogeologico;

   erano già stati segnalati i ritardi dei bandi e le questioni attinenti alle criticità burocratiche subentrate –:

   quali siano le intenzioni del Governo in merito al richiamato progetto e quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, per velocizzare l’iter di realizzazione degli scolmatori, considerate le preoccupazioni degli abitanti e il permanere di una situazione di estrema criticità.
(5-01695)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BARATTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   il Governo, tramite i suoi più significativi esponenti, ivi compreso il Presidente del Consiglio ha assunto la decisione di promuovere il progetto cosiddetto «Belt and RoadInitiative» anche conosciuto come «via della Seta» con la formalizzazione di un «Accordo quadro» con la Repubblica popolare cinese;

   tale progetto, promosso dal Governo cinese quale iniziativa di espansione geopolitica ed economica, prevede la realizzazione di una rete infrastrutturale e la conclusione di accordi economici con decine di Paesi attraversati da tale, ideale, corridoio economico;

   l'iniziativa assunta dal Governo cinese ha, fin da subito, visto l'opposizione dei principali alleati e partner economici del nostro Paese, ivi compresi gli Stati Uniti d'America che si sono duramente pronunciati nei confronti della posizione del Governo italiano;

   con la posizione assunta dal Governo italiano, il nostro Paese, è l'unico Paese del G7 a negoziare un partenariato con la Repubblica popolare cinese, con il rischio concreto di produrre un suo esiziale isolamento dal resto dei partner globali;

   da sempre, in particolar modo per il settore manifatturiero, il principale danno al «madein Italy» proviene proprio dalla Cina e dalle aggressive politiche di sviluppo economico assunte dal Governo nazionale cinese, il quale non ha mai sufficientemente operato per il contrasto alla contraffazione e all'illecita concorrenza operata dalle imprese cinesi in patria e all'estero;

   i paventati contenuti di tale accordo quadro, ancora mai completamente resi noti al Parlamento, prevedono l'accesso di investimenti cinesi in settori strategici, quali infrastrutture e porti;

   pertanto, si palesa un secondo grave e concreto rischio per le imprese italiane, che verrebbero grandemente danneggiate se si consentisse l'accesso indiscriminato al mercato comune di investimenti e prodotti cinesi;

   le principali associazioni di categoria che rappresentano le imprese hanno manifestato chiaramente la loro contrarietà a un accordo nei termini proposti e anticipati dal Governo;

   inspiegabilmente, il Governo italiano ha di recente assunto una posizione contraria alla proposta della Commissione europea di cosiddetta «EU shield» rivolta a impedire l'accesso di investitori stranieri in settori economici strategici;

   pertanto, alla luce di tutto ciò sussistono fondate ragioni per ritenere che vi sia un concreto rischio per la stabilità economica e il sistema industriale italiano — :

   quali siano le effettive intenzioni del Governo sul punto;

   se il Governo intenda rendere disponibile, prima della data prevista per la visita di Stato del Presidente cinese, un testo di accordo quadro completo.
(4-02524)


   RUFFINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   con delibera n. 45 del 2012, la regione Piemonte con modalità di dubbia legittimità, ha imposto alle unità valutative geriatriche (Uvg) di raccogliere e inserire nelle «Schede di valutazione sociale» i dati personali concernenti la condizione economica dell'interessato (Isee) per ottenere la valutazione di non autosufficienza, indispensabile per accedere alle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie «lea»: prestazioni domicialiari, semiresidenziali e residenziali;

   la questione interessa migliaia di malati cronici non autosufficienti e la richiesta è avanzata ai sensi della legge n. 833 del 1978 e della normativa sui lea (articolo 54 della legge n. 289 del 2002);

   si osserva che per la predisposizione di tutte le altre numerose liste di attesa esistenti in Piemonte relative alle prestazioni per gli interventi chirurgici per le visite oculistiche e di altra natura e per la fornitura di presidi, non sono mai richiesti i dati personali, ambientali e familiari;

   in base all'articolo 1, della legge n. 833 del 1978, analogo trattamento e tutela dei dati personali dovrebbe quindi essere assicurata anche ai suddetti malati cronici non autosufficienti che richiedono la visita specialistica Uvg (unità valutativa geriatrica) per ottenere la prestazione «lea» al domicilio, oppure la frequenza del centro diurno Alzheimer, oppure il ricovero definitivo in una struttura residenziale (Rsa);

   in questo momento la richiesta da parte delle Asl della regione Piemonte dei dati personali riferiti alla situazione economica del malato cronico non autosufficiente, compresi quelli del coniuge e dei figli conviventi e non conviventi conduce, secondo l'interrogante alle seguenti considerazioni: a) la sopra precisata raccolta dei dati personali ambientali e assistenziali degli infermi e – addirittura di quelle relative alla sua famiglia (anche se i relativi componenti non convivono con l'inferno – è assolutamente non conforme alla legge, in quanto contrasta nettamente con uno dei princìpi fondamentali del servizio sanitario nazionale, le cui norme stabiliscono che le prestazioni sanitarie e socio-sanitarie devono essere assicurate esclusivamente sulla base delle condizioni di salute dei cittadini; b) è in contrasto con quanto aveva precisato il Garante per la protezione dei dati personali (cfr. Newsletter n. 276 del 12 maggio 2006) ovvero che, in relazione al riconoscimento di prestazioni sociali a soggetti non autosufficienti, sulla base del codice in materia di protezione dei dati personali, devono essere osservati «i principi di indispensabilità, pertinenza e non eccedenza dei dati raccolti rispetto alle finalità perseguite »; c) è in contrasto con l'articolo 2 della legge n. 833 del 1978, e discriminatorio ai sensi della legge n. 67 del 2006 e della legge della regione Piemonte n. 5 del 2016, in quanto sono previste diverse condizioni di accesso alle prestazioni sanitarie che discriminano i malati cronici non autosufficienti rispetto ai malati cronici autosufficienti;

   la richiesta della presentazione dell'Isee e di tutti i dati personali è prevista dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, solo qualora l'utente di una prestazione socio-sanitaria «lea» non abbia risorse personali sufficienti per pagare in tutto o in parte la quota alberghiera a suo carico. In questo caso l'utente può chiedere al comune di integrare la retta e presenterà l'Isee;

   fin dal 2015, il Csa (Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base) e, successivamente, la Fondazione promozione sociale onlus hanno segnalato e avanzato richiesta al Garante per la protezione dei dati personali circa le suddette pretese di dubbia legittimità delle Asl del Piemonte, per avere la conferma che i servizi sanitari non possono richiedere dati economici personali di malati/persone con disabilità che presentano istanze alle Asl per ottenere le prestazioni socio-sanitarie a cui hanno diritto in base alla legge n. 833 del 1978 e all'articolo 54 della legge n. 289 del 2002 –:

   se non si ritenga di adottare iniziative, per quanto di competenza, volte a chiarire la disciplina vigente in materia di riservatezza dei dati personali, con particolare riferimento all'accesso alle prestazioni sanitarie, alla luce delle criticità sopra evidenziate.
(4-02529)


   MURONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   fino ad oggi si era appreso di inaccettabili attacchi alle Ong soprattutto sui social network, sui giornali o durante alcune trasmissioni televisive;

   questi attacchi, che durano ormai da quasi due anni, ad avviso dell'interrogante politicamente architettati e messi in pratica quotidianamente, si sono manifestati recentemente anche attraverso la presentazione, da parte del Centro studi politici e strategici Machiavelli, del report «Ong e trasparenza. Evoluzione normativa comparata e controversie» tenutasi presso la Camera dei deputati;

   «Lo spirito che anima il Centro studi Machiavelli è pertanto ben espresso dal motto che campeggia sul suo simbolo: “Suadere atque agere”, cioè “consigliare e agire”. Lo studio e l'analisi non sono mai finalizzati a loro stessi, bensì appunto all'utilizzo pratico da parte dei decisori. Un think tank nato dunque con l'ambizione di produrre idee e progetti che possano tramutarsi in realtà e azione, spaziando dalla politica interna alle relazioni internazionali, dall'economia alla sicurezza, dalla cultura all'organizzazione della società» come si legge sul sito dell'associazione;

   a presentare il report c'è l'autore, il dott. Carlo Sacino che vanta un'esperienza pregressa in materia in quanto analista politico per Gefira Foundation, la fondazione olandese che, nell'ottobre del 2016, diede inizio alla campagna contro le Ong impegnate nei salvataggi nel mare tra la Libia e l'Italia, insinuando in un lungo articolo che le Ong sarebbero parte di una grande organizzazione criminale con il compito di portare migliaia di migranti in Europa;

   il modello di riferimento del Centro studi Machiavelli sono quei Paesi che hanno promulgato leggi specifiche per ostacolare il finanziamento delle Ong da parte di entità straniere e impedire l'assistenza all'immigrazione clandestina;

   secondo l'analista indipendente Sacino «dall'Ungheria si dovrebbe imparare che è legittimo responsabilizzare le ONG che favoriscono l'immigrazione illegale perché non è legittimo scaricare i costi dell'immigrazione sulla collettività italiana»;

   le Ong – prosegue – «dicono che in Libia i migranti vengono trattati male e che ci sono violazioni di diritti umani, ma nulla proibisce alle ONG di andare in Libia a far sì che i migranti non vengano discriminati. Il problema è che non lo vogliono fare li, vogliono semplicemente portare gli immigrati in Europa ed effettivamente la loro volontà è di portare i migranti in Italia, ma questo è favoreggiamento dell'immigrazione clandestina»;

   a sostegno di queste tesi ci sono il giornalista Fabio Amendolara (La Verità) e Daniele Scalea (Presidente Centro studi Machiavelli) che animano il dibattito dei pochi presenti con le parole d'ordine della retorica anti Ong: il «burattinaio occulto» George Soros, il sistema corrotto di Mimmo Lucano, le cooperative che vivono di migranti, Save the Children che prende importanti finanziamenti dai Governi Gentiloni e Renzi, Emergency che ricatta i governi, il MOAS che era costituito da commercianti d'armi, le altre Ong finanziate da governi stranieri e vicine ai movimenti di estrema sinistra e altro. Tra il pubblico si fa notare per le sue tesi complottiste perfino un medico cooperante ex funzionario di ambasciata italiana e poi esperto dell'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo;

   il centro studi Machiavelli, come riporta un articolo de Il Manifesto del 21 dicembre 2018, è un'associazione culturale «nata a Londra come società di capitali, diretta e controllata, fino allo scorso aprile, da Guglielmo Picchi»; tuttora, peraltro, il sottosegretario per gli affari esteri e la cooperazione internazionale, Guglielmo Picchi, come rilevabile anche dalla consultazione del sito del Centro studi Machiavelli, continua a partecipare attivamente alle iniziative promosse o organizzate dal medesimo Centro –:

   se il Governo, anche in considerazione della vicinanza del sottosegretario Picchi al Centro studi Machiavelli, condivida le posizioni espresse dal medesimo Centro in merito alle organizzazioni non governative; in caso contrario, se non intenda prendere le distanze ufficialmente da queste tesi, a giudizio dell'interrogante, chiaramente denigratorie delle organizzazioni non governative e dagli inaccettabili attacchi alle migliaia di volontari che giornalmente sacrificano il loro tempo per aiutare i più deboli.
(4-02530)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GIACOMETTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   nella discarica di regione Pozzo, in frazione Pogliani, a Chivasso (Torino) dal 1985 al 2018 sono stati smaltiti circa 4 milioni e 167 mila metri cubi di rifiuti provenienti da tutto il territorio della provincia di Torino. Tale discarica è stata chiusa definitivamente ad agosto 2018 dopo una lunga battaglia da parte dei cittadini di Chivasso, sostenuta dall'attuale e dalle precedenti amministrazioni comunali;

   nelle settimane scorse, gli enti locali hanno provveduto a coordinare gli interventi di gestione post chiusura e di bonifica, individuando soluzioni tecniche idonee; a tal fine la città metropolitana di Torino ed il comune di Chivasso stanno provvedendo a dare corso a interventi sostitutivi di gestione del percolato prodotto dalle discariche, sulla base delle risorse finanziarie disponibili, sia pubbliche, sia a carico della società che ha gestito la discarica di Chivasso fino alla sua chiusura;

   in data 30 luglio 2018 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana la deliberazione del Cipe n. 11 del 28 febbraio 2018, con la quale è stato approvato nell'ambito della programmazione delle risorse Fondo sviluppo e coesione 2014-2020 il secondo Addendum al Piano operativo ambiente, al cui interno risulta la disponibilità delle risorse finanziarie necessarie per una serie di interventi di bonifica, tra cui quello per la discarica di Chivasso;

   in data 20 settembre 2018, poi, è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana la deliberazione del Cipe n. 43 del 21 marzo 2018, con la quale sono state stanziate risorse pari a 5.000.000 di euro a favore della regione Piemonte per interventi di bonifica e messa in sicurezza di aree inquinate; tale contributo, a seguito dell'interlocuzione fra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la stessa regione Piemonte, e successivamente tra la regione e il comune di Chivasso, dovrebbe essere destinato per 1.500.000 euro alla gestione del «post mortem» della discarica in questione;

   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare deve, tuttavia, ancora procedere a dare comunicazione formale degli interventi finanziati, mettendo effettivamente a disposizione della regione Piemonte le risorse individuate –:

   se il Ministro interrogato non intenda adottare le iniziative di competenza per provvedere quanto prima allo sblocco del finanziamento indispensabile agli interventi programmati dalla regione Piemonte, a cominciare dalla discarica di cui in premessa.
(5-01698)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CECCHETTI e BONIARDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il quartiere Cascinette, nel comune di Canegrate, è alle prese da anni con il problema irrisolto dei miasmi, percepiti dalla cittadinanza residente nel territorio limitrofo al depuratore consortile costruito e messo in funzione nel 1980, che opera secondo un processo di digestione anaerobica con produzione di biogas;

   negli anni la situazione è notevolmente peggiorata, perché, oltre agli odori generati normalmente negli anni passati dal depuratore, recentemente, e con frequenza maggiore, se ne è aggiunta un'altra con un odore più chimico che provoca irritazione agli occhi e alla gola;

   i residenti sono preoccupati per la loro salute e sono costretti a chiudere le finestre delle proprie abitazioni soprattutto nel periodo estivo quando i miasmi sono ancora più evidenti;

   negli anni sono stati fatti dei controlli con dei nasi elettronici, ma questi non hanno permesso di identificare la natura chimica delle sostanze odorigene, quali ad esempio idrogeno solfato, ammoniaca, ammine, solventi, acidi e altre sostanze, ma hanno solamente constatato la presenza di odori peraltro sconosciuti, senza riuscirne a capire la provenienza e la composizione;

   i tecnici che hanno effettuato lo studio ed il controllo dei nasi elettronici non hanno escluso che gli odori possano provenire anche dall'impianto di depurazione –:

   se il Ministro intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, anche per il tramite del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, per verificare lo stato dei luoghi e, per il tramite dell'Ispra, svolgere ulteriori approfondimenti per comprendere la natura dei gas rilevati dei nasi elettronici.
(4-02527)


   ILARIA FONTANA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   i criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto, anche detti End of Waste, sono stabiliti dall'articolo 6 della direttiva europea 2008/98/CE;

   l'articolo 184-ter del decreto legislativo n. 152 del 2006, che recepisce il concetto sopra espresso nella direttiva, stabilisce i criteri attraverso i quali un rifiuto sottoposto ad operazioni di recupero cessa di essere considerato tale. Il comma 1 lettera d) del suddetto articolo stabilisce che, affinché ciò si verifichi, l'utilizzo della sostanza o dell'oggetto non deve portare a impatti complessivi negativi sull'ambiente o sulla salute umana;

   il comma 2 del citato articolo 184-ter specifica inoltre che tali criteri «sono adottati in conformità a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria ovvero, in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. I criteri includono, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull'ambiente della sostanza o dell'oggetto»;

   la circolare del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, protocollo 10045 del 1o luglio 2016 attribuiva alle autorità competenti in materia di autorizzazioni il compito di stabilire caso per caso per ogni singola autorizzazione i criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto per i rifiuti non espressamente disciplinati da regolamenti comunitari o decreti ministeriali;

   tale circolare si basa sul documento chiamato «Guidance on the interpretation of key provisions of Directive 2008/98/EC on waste», basato sul documento del Joint Research Centre «End of Waste Criteriafinal report». Al punto 1.4.1 del documento si legge che «in ogni caso, deve essere determinato se ogni pericolo associato con una particolare sorgente di rifiuto può essere adeguatamente controllato durante il processo o quando debbano essere esclusi all'origine per garantire gli standard di qualità richiesti. In quali casi il pericolo deve essere descritto e il livello di controllo all'origine necessario, devono essere parte del criterio di cessazione di qualifica di rifiuto». La sentenza n. 1229 del 2018 del Consiglio di Stato ha tuttavia negato che le autorità competenti in materia di rifiuti possano avere il potere di applicare i criteri di cessazione della qualifica di rifiuto caso per caso in sede di ogni singola autorizzazione. La sentenza stabilisce infatti che quanto previsto dal decreto legislativo n. 152 del 2006 «non attribuisce un potere di declassificazione ex novo in sede di rilascio di nuove autorizzazioni; né, d'altra parte, un potere così conformato potrebbe essere ritenuto conforme al quadro normativo di livello comunitario e costituzionale. Tanto precisato, non possono assumere rilevanza eventuali diverse considerazioni desumibili da circolari emanate dal Ministero dell'Ambiente, cui compete, più propriamente, l'esercizio del potere regolamentare in materia»;

   in virtù della suddetta circolare ministeriale, con determinazione dirigenziale n. G 11571 dell'11 agosto 2017, la regione Lazio ha autorizzato, previa una fase sperimentale preventiva, l'esercizio di un impianto che impiega rifiuti pericolosi quali ceneri pesanti di cui al CER 190111 provenienti da impianti di incenerimento rifiuti per la produzione di ceramiche;

   al netto dell'evoluzione normativa e della controversa applicazione della direttiva 2008/98/CE, risulta evidente che il rilascio di un titolo autorizzativo contenente criteri di cessazione di qualifica di rifiuti pericolosi debba passare per una verifica da parte delle strutture ministeriali competenti al fine di valutare gli impatti sull'ambiente e sulla salute, nonché l'effettiva rispondenza alle linee guida citate in precedenza –:

   quali siano i controlli effettuati, per quanto di competenza, dalle strutture ministeriali in relazione alla corretta applicazione dei criteri di cessazione della qualifica di rifiuto operati dalle regioni, con particolare riferimento agli impatti ambientali e sanitari dei prodotti ottenuti.
(4-02528)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE LORENZO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

   il complesso immobiliare denominato «ex Stabilimento metallurgico Corradini» sito in S. Giovanni a Teduccio nell'area est della città metropolitana di Napoli, è stato acquistato dal comune di Napoli in esecuzione della delibera di giunta comunale n. 1947 dell'11 giugno 1999;

   l'ex fabbrica Corradini costituisce testimonianza sia di una storia industriale risalente ai primi decenni dell'800 sia di archeologia industriale. A tale ex stabilimento industriale è stato infatti riconosciuto l'interesse storico-architettonico e su di esso è stato apposto il vincolo di bene culturale con decreto ministeriale del 27 febbraio 1990;

   nonostante quanto sopra detto, il nuovo master plan del porto di Napoli, redatto dall'Autorità di sistema portuale (AdSP) e approvato con la delibera del comitato di gestione n. 7 del 19 febbraio 2018, ne prevede l'abbattimento cancellando ogni ipotesi di recupero e valorizzazione. Nel master plan si legge: «Sotto il profilo amministrativo si deve anche evidenziare che le aree a terra, interessate dall'ipotesi di creazione di una nuova stazione ferroviaria portuale, lungo il litorale di San Giovanni nell'area un tempo occupata dalla fabbrica ex Corradini, per essere utilizzate a tale scopo, necessitano dell'annullamento del decreto di vincolo posto su tali complesso immobiliare, nel 1990 dall'allora Ministro per i beni Culturali ed Ambientali, così come risulta necessario acquisire alla disponibilità dell'AdSP le aree comunali comprese tra la dividente demaniale e l'attuale linea ferroviaria della Napoli – Salerno»;

   il progetto di cui sopra ad avviso dell'interrogante si violerebbe l'articolo 20 del decreto legislativo n. 42 del 2004 nella parte in cui stabilisce che: «i beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico» nonché l'articolo 54 dello stesso decreto legislativo, trattandosi di un bene pubblico su cui è apposto un vincolo diretto e di un'area di interesse archeologico in quanto tale inalienabile;

   sul giornale onlineFanpage.itNapoli in un articolo del 25 giugno 2018 in relazione al master plan sopra richiamato si riporta che: «Se questo piano venisse attuato, come previsto entro il 2030, si consumerebbe un danno inestimabile non solo per la nostra città, ma per il Paese – denuncia Marco Ferruzzi, il giovane architetto [..] che ha inviato una lucida ma appassionata lettera [...], al ministero dei Beni culturali e dell'Ambiente, alla Soprintendenza e al sindaco di Napoli»;

   con protocollo n. 1892 del 13 febbraio 2019 la Soprintendenza di Napoli in risposta a una richiesta di chiarimenti afferma che: «considerato che l'edificio è di proprietà di codesto Ente e sottolineando come il Codice nel normare gli obblighi conservativi prescrive che i proprietari di beni culturali hanno l'obbligo e sono tenuti a garantire la sicurezza e la conservazione di quelli di loro appartenenza, si chiede di intervenire con la massima sollecitudine affinché tale testimonianza della storia industriale di Napoli possa essere messa prima di ogni altro in sicurezza e successivamente recuperato alla collettività»;

   allo stato attuale gli immobili versano in uno stato di profondo abbandono e degrado;

   la VI Sezione del Consiglio di Stato, con decisione n. 5167 del 2006 stabilisce che: «La tutela imposta sui siti espressione di archeologia industriale non tende a salvaguardare un bene per la sua intrinseca bellezza, quanto per il suo valore storico-culturale». Lo stesso Consiglio di Stato in tale decisione afferma che: «nel caso di vincolo di archeologia industriale, il bene viene in rilievo quale testimonianza storica dei modi di essere degli aggregati urbani e delle produzioni architettoniche finalizzate a determinate attività» –:

   se intenda adottare le iniziative di competenza al fine di preservare e conservare questa importantissima testimonianza della storia industriale del territorio orientale di Napoli.
(5-01701)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE LORENZO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   l'Iva rappresenta la principale fonte di entrate tributarie per lo Stato che viene riscossa per ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso;

   ai sensi di quanto previsto dall'articolo 53 della Costituzione «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva»;

   esistono tuttavia determinate prestazioni, come quelle sanitarie, che sono espressamente esentate dal pagamento dell'Iva in ragione del loro carattere di utilità sociale;

   costituiscono prestazioni esenti dall'Iva ai sensi di quanto previsto dall'articolo 10, n. 19, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 «le prestazioni di ricovero e cura rese da enti ospedalieri o da cliniche e case di cura convenzionate nonché da società di mutuo soccorso con personalità giuridica e da ONLUS, compresa la somministrazione di medicinali, presidi sanitari e vitto, nonché le prestazioni di cura rese da stabilimenti termali»;

   ai fini dell'esenzione Iva di cui all'articolo sopra richiamato devono sussistere due tipi di requisiti: uno di carattere soggettivo (autorizzazione all'erogazione di tali prestazioni da parte del Ministero della salute) e uno di carattere oggettivo (le cure termali per essere qualificate come prestazioni di carattere sanitario devono essere dirette a pazienti cui sia stata diagnosticata una patologia tra quelle di cui al decreto ministeriale n. 15 del 1994 e che siano muniti di una prescrizione medica per le terapie termali);

   per usufruire dell'esenzione Iva per le prestazioni termali non può prescindersi dalla sussistenza di una certificazione medica che attesti una patologia e che prescriva un percorso termale a scopo curativo;

   l'articolo 3, comma 1, lettera b), della legge n. 323 del 2000 stabilisce che: «le cure termali sono erogate negli stabilimenti delle aziende termali che utilizzano, per finalità terapeutiche, acque minerali e termali, nonché fanghi, sia naturali sia artificialmente preparati, muffe e simili, vapori e nebulizzazioni, stufe naturali e artificiali, qualora le proprietà terapeutiche delle stesse acque siano state riconosciute ai sensi del combinato disposto degli articoli 6, lettera t), della legge 23 dicembre 1978, n. 833, e 119, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112»;

   è fondamentale operare una distinzione tra gli stabilimenti termali e i centri benessere, in quanto solo i primi possono essere considerati idonei a svolgere prestazioni di cura che, se eseguite su pazienti affetti da una patologia e muniti di prescrizione medica, in quanto prestazioni sanitarie, sono esentate dal pagamento dell'Iva. I centri benessere, invece, svolgono attività ricreative assoggettabili a tassazione Iva;

   nella sentenza n. 14430 del 2017 la Commissione tributaria provinciale di Napoli afferma che: il tenore letterale dell'articolo 10, n. 19, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 è chiaro ed inequivoco nel richiedere, ai fini dell'esenzione in esame, la sussistenza di prestazioni di cura. I termini impiegati per individuare le esenzioni di cui all'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 richiedono una interpretazione restrittiva in quanto costituiscono deroghe al principio secondo cui l'IVA è riscossa per ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso. Ebbene, l'espressione utilizzata (cura) non può che indicare quelle prestazioni — di natura medica — che hanno lo scopo di diagnosticare, curare e, se possibile, guarire malattie o problemi di salute, nonché di mantenere o ristabilire la salute delle persone –:

   se e quali iniziative intenda intraprendete il Governo al fine di chiarire se il termine «cura», cui fa riferimento l'articolo 10, n. 19, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, debba essere inteso nel senso tale da ricomprendere solo quelle prestazioni di natura medica che abbiano lo scopo curativo oppure se debba essere inteso in senso talmente lato da ricomprendere anche le prestazioni preventive di uno stato di malattia o migliorative della qualità della vita.
(5-01702)

FAMIGLIA E DISABILITÀ

Interrogazioni a risposta immediata:


   PINI, ROTTA, DE FILIPPO, CAMPANA, CARNEVALI, UBALDO PAGANO, RIZZO NERVO, SCHIRÒ, SIANI, GRIBAUDO, ENRICO BORGHI e FIANO. — Al Ministro per la famiglia e le disabilità. — Per sapere – premesso che:

   dal 29 al 31 marzo 2019 si svolgerà a Verona il XIII Congresso mondiale delle famiglie (World congress of families);

   l'evento fa capo all’International organization for the family e ad alcune sigle pro life anche italiane, tra cui «ProVita», «CitizenGo», «Generazione Famiglia» e «Comitato difendiamo i nostri figli»;

   il World congress of families è stato segnalato da organizzazioni per i diritti civili, come il Southern poverty law center e l’Human rights campaign con la dicitura di «hate group»; alla tre giorni interverranno associazioni ortodosse e cattoliche da tutta Europa che portano avanti pesanti politiche discriminatorie nei confronti della comunità LGBTQ+;

   come riportato in un articolo online del giornale The Vision, a firma di Jennifer Guerra, uno degli speaker del World congress of families, Scott Lively, è stato condannato nel 2017 per aver favorito la violazione dei diritti umani e la persecuzione contro le persone gay in Uganda grazie alle sue campagne;

   inoltre, parteciperà Alexey Komov, che in Italia ha come riferimento anche Roberto Fiore, noto esponente di Forza Nuova, il quale figlio, Alessandro, che è stato invitato in Russia da Komov, è il portavoce di ProVita Onlus, tra gli organizzatori del World congress of families;

   il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei ministri è concesso a titolo gratuito per iniziative di alto rilievo culturale, sociale, scientifico, artistico, sportivo, organizzate nel territorio nazionale o all'estero; inoltre è concesso agli eventi che non hanno fini lucrativi;

   il World congress of families ha avuto il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Ministro interrogato, della regione Veneto e della provincia di Verona;

   l'ingresso al World congress of families dovrebbe essere consentito solo dopo l'acquisto di un biglietto, al prezzo di 15 euro, e — a quanto si apprende — i biglietti sono andati esauriti;

   tuttavia, da fonti di stampa si apprende che il segretario generale di Palazzo Chigi avrebbe chiuso un'istruttoria al riguardo e chiesto, conseguentemente, al dipartimento dell'editoria e a quello della famiglia di ritirare il patrocinio –:

   quali siano stati i criteri che hanno portato alla concessione del patrocinio della Presidenza del Consiglio dei ministri al World congress of families di Verona, organizzato da associazioni che fanno politiche ad avviso degli interroganti contrarie alle libertà costituzionali, anche alla luce degli esiti della successiva istruttoria e visto che dovrebbe essere previsto il pagamento di un biglietto per l'ingresso.
(3-00623)


   LOLLOBRIGIDA, MELONI, ACQUAROLI, BELLUCCI, BUCALO, BUTTI, CARETTA, CIABURRO, CIRIELLI, LUCA DE CARLO, DEIDDA, DELMASTRO DELLE VEDOVE, DONZELLI, FERRO, FIDANZA, FOTI, FRASSINETTI, GEMMATO, LUCASELLI, MANTOVANI, MASCHIO, MOLLICONE, MONTARULI, OSNATO, PRISCO, RAMPELLI, RIZZETTO, ROTELLI, SILVESTRONI, TRANCASSINI, VARCHI e ZUCCONI. — Al Ministro per la famiglia e le disabilità. — Per sapere – premesso che:

   dal 29 al 31 marzo 2019 si terrà a Verona la tredicesima edizione del World congress of families, evento organizzato annualmente dalla International organization for the family;

   il Congresso mondiale delle famiglie riunisce migliaia di attivisti da tutto il mondo ed è finalizzato alla difesa della famiglia naturale, quale unità stabile e fondamentale della società;

   all'evento di Verona è stato concesso il patrocinio dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e dal Ministro interrogato;

   successivamente il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega alle pari opportunità, Vincenzo Spadafora, aveva tuttavia dichiarato ufficialmente che i patrocini sarebbero stati ritirati, ribadendo in un'intervista al quotidiano la Repubblica che «Il segretario generale di Palazzo Chigi ha chiuso un'istruttoria importante e ha chiesto al dipartimento dell'editoria e a quello della famiglia di ritirare il patrocinio. Sono stato tra i primi a segnalare il problema»;

   il Dipartimento per la famiglia, invece, secondo fonti di stampa, ha dichiarato che «non risulta alcuna richiesta di revoca del patrocinio della Presidenza del Consiglio dei ministri al World congress of families di Verona» –:

   quale sia l'orientamento del Governo in merito alla concessione del patrocinio al World congress of families di Verona.
(3-00624)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:

   con riferimento alle grandi opere nel nostro Paese il Ministro interrogato dichiarò nelle audizioni presso le commissioni riunite VIII e IX della Camera che «l'intendimento del Governo è quello di sottoporle a un'attenta analisi costi/benefìci (...) che questo tipo di analisi basa il suo giudizio anche su criteri sociali e ambientali, calcolati a partire dai risultati dell'analisi finanziaria»;

   la richiamata analisi fu inizialmente affidata, a quanto risulta senza alcun bando o procedura pubblica, nel corso dell'estate 2018, ad una commissione di quattordici esperti esterni al Ministero e coordinati dal professor Marco Ponti;

   tralasciando che, a seguito di una serie di conflitti di interesse e incompatibilità emersi sin nelle prime settimane del comitato, il numero di esperti si è di fatto ridotto, e che lo stesso Ponti ha affermato di aver indicato personalmente al Ministro interrogato quattro dei sei tecnici scelti per la commissione, i quali, secondo quanto riportato da Il Messaggero (10 febbraio 2019), sarebbero tutti legati alla società di consulenza privata Trasporti e territorio Srl o all'associazione Bridges Research, entrambe guidate da Ponti, risulta che, come denunciato da Il Giornale (6 febbraio 2019), in favore dei sei tecnici è stato riconosciuto un emolumento, per appena 6 mesi di attività, complessivamente pari a 300 mila euro;

   con riguardo alla linea alta velocità Torino-Lione, l'analisi costi-benefìci risultava già consegnata ad inizio anno 2019 al Ministro interrogato senza che ne venisse data pubblicazione e che ne fosse dato accesso ai cittadini, alle imprese e al Parlamento italiani, mentre veniva trasmessa prima al Governo francese e alla Commissione europea, per poi esser resa disponibile in sede parlamentare solo in data 12 febbraio 2019;

   come emerso dalla medesima analisi e dalla audizione del professor Ponti e del professor Ramella svoltasi il 13 febbraio 2019 presso la IX Commissione Trasporti della Camera, le risultanze dell'opera sono state negative in considerazione di una serie di elementi che, a detta dello stesso Ponti, non avrebbero alcuna relazione con l'analisi finanziaria, a differenza di quanto annunciato in precedenza dal Ministro interrogato. Come si rileva dal documento illustrato in corso della predetta audizione: «L'analisi economica differisce da quella finanziaria, dal momento che il suo obiettivo è quello di misurare il valore “sociale” di un progetto. Nel valutare il valore sociale di un progetto, è importante considerare sia i vantaggi che gli svantaggi per tutte le parti coinvolte (in particolare gli utenti e i contribuenti) e non solo quelle relative ai promotori dell'investimento. La regola dell'analisi economica è che un investimento, per essere realizzato, debba essere vantaggioso per la collettività, il che significa che i benefìci ottenibili devono essere più grandi dei costi sostenuti». Cionondimeno, l'analisi promossa dal professor Ponti non considerava, ad esempio, l'impatto in termini di inquinamento ambientale che il blocco dell'opera comporterebbe;

   a poche ore dalla pubblicazione e dalla illustrazione della analisi costi-benefìci, uno degli stessi componenti della commissione di valutazione, il professor Coppola, rendeva pubblica una contro-analisi nella quali si contraddicevano le risultanze della cosiddetta analisi ufficiale, dimostrando come in realtà le valutazioni recate inizialmente non siano completamente scevre da quella che appare agli interpellanti una certa impostazione ideologica e pretestuosa;

   nell'arco di qualche giorno da fonti vicine alla Presidenza del Consiglio dei ministri sono filtrate notizie riguardanti la volontà del Presidente Conte di far svolgere un supplemento di analisi costi-benefìci al fine di limare talune «spigolosità» della prima valutazione e permettere in tal modo lo sblocco dell'opera, in termini politico-mediatici prima ancora che merito tecnico, in particolar modo nell'imminenza della data dell'11 marzo 2019, termine entro cui il consiglio di amministrazione di TELT – Tunnel Euralpin Lyon Turin, società responsabile del progetto TAV, avrebbe dovuto pubblicare i bandi di gara per l'avvio dei lavori;

   l'annuncio della esistenza di un supplemento di analisi costi-benefici è apparsa già il 28 febbraio 2019 (si veda, ad esempio, Il Messaggero on line o il sito web Ilpost.it). Al fine di prenderne visione il Gruppo parlamentare di Forza Italia alla Camera ha richiesto in IX Commissione trasporti, già nei primi giorni del mese di marzo 2019, che venisse fatta richiesta al Ministro interrogato di trasmettere alle Camere il documento, senza ad oggi ricevere alcun riscontro in merito. In assenza di risposte i parlamentari di Forza Italia della medesima commissione in data 19 marzo ultimo scorso hanno richiamato l'attenzione della Presidenza sul tema che ha confermato come non fosse stata ancora ricevuta alcuna notizia o informazione in merito da parte del Ministro interrogato;

   dopo il rilevante ritardo con cui il Parlamento ha avuto modo di conoscere i contenuti della prima analisi costi-benefìci sul TAV, questa ulteriore impossibilità da parte dei parlamentari eletti dal popolo di accedere ai contenuti di un documento ufficiale redatto su richiesta del Governo a taluni esperti, a fronte dell'impiego di denaro pubblico, appare ancor più mortificante delle prerogative parlamentari che il nostro ordinamento tutela e garantisce –:

   se il Ministro interpellato non intenda fornire chiarimenti sui contenuti del supplemento di analisi costi-benefici di cui in premessa e se non intenda renderlo pienamente pubblico, in primo luogo in sede parlamentare;

   se il Ministro interpellato non ritenga di presentare le proprie dimissioni dopo quel che appare agli interpellanti un ennesimo caso di violazione delle prerogative parlamenti.
(2-00308) «Mulè, Occhiuto».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:

   la strada statale Jonica (SS106) collega Reggio Calabria a Taranto, attraverso un percorso di 491 chilometri lungo la fascia litoranea jonica di Calabria, Basilicata e Puglia. Di questi 491 chilometri, ad oggi risultano essere stati completati circa 151 chilometri;

   si tratta di una infrastruttura strategica, in quanto mette in comunicazione i due capoluoghi, i numerosi comuni costieri, l'Autostrada del Mediterraneo (ex A3 Salerno – Reggio Calabria) e l'autostrada A14 «Adriatica»;

   già nel lontano 2001, diciotto anni fa, il Cipe, con propria delibera approvava il primo programma delle infrastrutture strategiche che includeva il «corridoio ionico Taranto/Sibari/Reggio Calabria», e nel 2007, sempre il Cipe approvava il progetto preliminare dei lavori del III Megalotto «Sibari/Roseto Capo Spulico»;

   attualmente la strada statale 106 Jonica, è una delle 28 grandi opere bloccate e censite dall'Ance;

   lungo il tratto calabrese il principale intervento è costituito dal Megalotto 3, progettato per creare un collegamento veloce con il Corridoio Adriatico, e che riguarda la realizzazione della nuova sede della strada statale 106 «Jonica» tra la strada statale 534 «di Cammarata e degli Stombi», nei pressi di Sibari, e Roseto Capo Spulico, in provincia di Cosenza, per una lunghezza di circa 38 chilometri e un investimento di 1,33 miliardi di euro;

   il 16 febbraio 2018, l'Anas approvava il «progetto definitivo revisionato», ai fini della successiva approvazione del Cipe, procedendo altresì alla rimodulazione del quadro economico dell'intero «Megalotto 3 della SS 106 Jonica»;

   con delibera del 28 febbraio 2018, il Cipe provvedeva all'approvazione del progetto definitivo e della relativa copertura finanziaria;

   sempre nel 2018 il megalotto 3 della strada statale Jonica, è stato oggetto di una ennesima decisione del Cipe. Si può quantificare in oltre 1.100 giorni il «tempo perso» solo per la pubblicazione delle cinque delibere del CIPE di approvazione dei progetti (senza considerare quindi le approvazioni nell'ambito dei contratti di programma di Anas o di altri documenti di programmazione);

   il 17 luglio 2018 la Corte dei conti ha registrato la delibera del Cipe n. 3 del 2018 relativamente alla seconda tratta del terzo megalotto della medesima strada statale;

   le risorse per la realizzazione del terzo megalotto della strada statale 106 (38 chilometri a quattro corsie tra Sibari e Roseto Capo Spulico) sono disponibili e attendono solamente di essere spese;

   peraltro il Governo nell'ultima legge di bilancio approvata nel dicembre 2018, non ha previsto alcuno stanziamento di risorse per quest'opera, e quelle disponibili sono state stanziate dai precedenti Governi;

   ad oggi i lavori non risultano aver avuto inizio, con grande preoccupazione delle popolazioni locali, che da troppo tempo hanno chiesto la messa in sicurezza della strada statale 106, arteria viaria che registra centinaia di incidenti, molti dei quali mortali;

   l'Associazione «Basta Vittime Sulla Strada Statale 106», ha ricordato i dati del primo rapporto sugli incidenti mortali stradali avvenuti sulla strada statale 106 negli ultimi 5 anni e redatto dal Centro analisi e ricerca della medesima Associazione: oltre 50 vittime negli ultimi 5 anni tra Crotone e Sibari (57 per la precisione), una vittima ogni 2 mesi di media in provincia di Cosenza ed una ogni 3 mesi in provincia di Crotone; una vittima di media ogni 3 chilometri in provincia di Cosenza ed una ogni 4 chilometri in provincia di Crotone;

   lo stesso Ministro per il Sud, Barbara Lezzi, nel mese di febbraio 2019, ha dichiarato nel corso della sua visita in Calabria, che la strada statale Jonica «è una vergogna nazionale», e che è consapevole del «grado di disagio che questa situazione arreca ai cittadini, dei pericoli che corrono e del freno che rappresenta per le imprese e lo sviluppo economico» –:

   quali iniziative il Governo intenda adottare al fine di garantire tempi rapidi e certi per i lavori di adeguamento e per la realizzazione del III Megalotto della strada statale Jonica 106, anche alla luce dell'importanza e della strategicità della medesima infrastruttura stradale per lo sviluppo economico dei territori interessati, nonché per le esigenze di sicurezza e per la tutela della pubblica incolumità.
(2-00309) «Maria Tripodi, Occhiuto, Santelli, Cannizzaro, D'Ettore».

Interrogazioni a risposta immediata:


   MOLINARI, ANDREUZZA, BADOLE, BASINI, BAZZARO, BELLACHIOMA, BELOTTI, BENVENUTO, BIANCHI, BILLI, BINELLI, BISA, BOLDI, BONIARDI, BORDONALI, CLAUDIO BORGHI, BUBISUTTI, CAFFARATTO, CANTALAMESSA, CAPARVI, CAPITANIO, VANESSA CATTOI, CAVANDOLI, CECCHETTI, CENTEMERO, CESTARI, COIN, COLLA, COLMELLERE, COMAROLI, COMENCINI, COVOLO, ANDREA CRIPPA, DARA, DE ANGELIS, DE MARTINI, D'ERAMO, DI MURO, DI SAN MARTINO LORENZATO DI IVREA, DONINA, FANTUZ, FERRARI, FOGLIANI, FORMENTINI, FOSCOLO, FRASSINI, FURGIUELE, GASTALDI, GERARDI, GIACCONE, GIACOMETTI, GIGLIO VIGNA, GOBBATO, GOLINELLI, GRIMOLDI, GUSMEROLI, IEZZI, INVERNIZZI, LATINI, LAZZARINI, LEGNAIOLI, LIUNI, LO MONTE, LOCATELLI, LOLINI, EVA LORENZONI, LUCCHINI, MACCANTI, MAGGIONI, MARCHETTI, MATURI, MORELLI, MOSCHIONI, MURELLI, ALESSANDRO PAGANO, PANIZZUT, PAOLINI, PAROLO, PATASSINI, PATELLI, PATERNOSTER, PETTAZZI, PIASTRA, PICCOLO, POTENTI, PRETTO, RACCHELLA, RAFFAELLI, RIBOLLA, SALTAMARTINI, SASSO, STEFANI, TARANTINO, TATEO, TIRAMANI, TOCCALINI, TOMASI, TOMBOLATO, TONELLI, TURRI, VALBUSA, VALLOTTO, VINCI, VIVIANI, ZICCHIERI, ZIELLO, ZÓFFILI e ZORDAN. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il settore delle costruzioni è quello maggiormente colpito dalla crisi economica degli ultimi anni; i media fanno riferimento a 600 mila posti di lavoro persi, a 120 mila imprese che hanno dichiarato fallimento, a 30 cantieri fermi solo di grandi opere dall'importo superiore a 100 milioni di euro;

   si è in piena emergenza a livello nazionale, mentre ci sarebbero più di 30 miliardi di euro bloccati nelle casse dello Stato;

   si tratta di un settore importantissimo per l'occupazione e per gli investimenti, anche per l'indotto connesso, fondamentale per questo momento delle trasformazioni economiche che il Paese sta affrontando, ai fini del conseguimento delle previsioni e degli obiettivi anche quantitativi del Governo, in particolare per quanto riguarda la crescita economica;

   l'annunciato decreto-legge per lo sblocco dei cantieri e dell'edilizia privata, in attesa di un'imminente modifica strutturale del codice degli appalti, ha fatto sperare le imprese e il Paese intero per una svolta effettiva dell'andamento economico e delle possibilità di lavoro;

   i rappresentanti di Governo della Lega hanno presentato proposte concrete, in grado di modificare radicalmente quelle norme del decreto legislativo n. 50 del 2016 che, ad oggi, hanno reso impossibile realizzare le opere, grandi o piccole che siano, ma anche in grado di dare un consistente impulso all'edilizia privata e alla rigenerazione urbana delle città italiane;

   insieme alle grandi opere occorre garantire sicurezza ed efficienza anche delle opere esistenti e anche sbloccare una miriade di piccoli cantieri, per poter dare risposte certe ai cittadini e lavoro a tante piccole e piccolissime imprese, maggiormente colpite dalla crisi economica degli anni scorsi;

   infatti, l'articolo 51 del codice, in attuazione delle direttive comunitarie e della legge delega n. 11 del 2016, impone alle stazioni appaltanti di garantire l'effettiva possibilità di partecipazione agli appalti da parte delle micro, piccole e medie imprese, anche introducendo misure premiali per gli appaltatori e i concessionari che le coinvolgano nelle procedure di gara e nell'esecuzione dei contratti;

   la Lega ha da sempre riservato particolare attenzione alla semplificazione e implementazione dell'accesso delle micro, piccole e medie imprese locali nelle gare del proprio territorio, per valorizzare esigenze sociali, secondo principi di economicità e di conseguimento di obiettivi ambientali, e per incentivare gli aspetti della territorialità e della filiera corta –:

   se trovi conferma che le proposte citate in premessa troveranno spazio nell'emanando decreto-legge e quali tempi si prevedano per l'approvazione da parte del Governo sia del decreto-legge che delle iniziative normative per la riforma strutturale del codice degli appalti.
(3-00621)


   BALDELLI, GELMINI, SOZZANI, BERGAMINI, GERMANÀ, MULÈ, PENTANGELO, ROSSO e ZANELLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 25, comma 2, della legge n. 120 del 2010 prevede che, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con quello dell'interno, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, siano disciplinate due materie di attualità: 1) la relazione telematica con la quale le amministrazioni locali indicano l'ammontare complessivo derivante dalle sanzioni per violazioni del codice della strada e gli interventi attuati con le medesime risorse; 2) le modalità di collocazione e di uso degli autovelox;

   l'articolo 4-ter, comma 16, del decreto-legge n. 16 del 2012 spiega chiaramente: «in caso di mancata emanazione del decreto (...) trovano comunque applicazione le disposizioni di cui ai commi 12-bis, 12-ter e 12-quater dell'articolo 142» del codice della strada; cioè che: a) i proventi delle sanzioni per violazioni dei limiti di velocità, accertate attraverso strumenti di controllo a distanza, spettino, al 50 per cento ciascuno, all'ente proprietario della strada e all'ente accertatore; b) tali somme siano impiegate per la manutenzione e messa in sicurezza stradale, comprese segnaletica e barriere, e potenziare controllo e accertamento delle violazioni, comprese le spese del personale; c) gli enti locali trasmettano annualmente una relazione telematica ai Ministeri delle infrastrutture e dei trasporti e dell'interno, indicando l'ammontare dei proventi e gli interventi realizzati. In assenza della relazione o con uso difforme delle risorse, gli importi spettanti sono ridotti del 30 per cento;

   dopo nove anni, il decreto non risulta adottato, si assiste spesso all'utilizzo distorto e vessatorio dei dispositivi di rilevazione a distanza, mentre, sulla richiamata relazione telematica e sull'uso delle risorse, si rileva che meno di 300 comuni su 8.000 rispettano la legge, senza sanzioni per gli enti inadempienti che, malgrado l'obbligo di legge, non presentano la relazione;

   sull'uso corretto e trasparente di autovelox e proventi delle multe, l'interrogante ha presentato numerosi atti di sindacato nella XVII e nella XVIII legislatura, nonché una mozione (n. 1-01085) approvata all'unanimità, con parere favorevole del Governo, il 28 gennaio 2016, impegnandolo a porre fine all'uso improprio degli strumenti elettronici di controllo a distanza e all'uso difforme delle risorse derivanti dalle multe; a irrogare sanzioni alle amministrazioni inadempienti –:

   quando il Governo adotterà il decreto attuativo per disciplinare in modo chiaro e definitivo, anche con riferimento agli anni passati, il tema della trasparenza e dell'utilizzo dei proventi derivanti dalle multe per le violazioni del codice della strada da parte delle amministrazioni locali e quello del corretto impiego degli autovelox.
(3-00622)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   D'ETTORE, MUGNAI, POLIDORI, VIETINA, BIGNAMI e MAZZETTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il 16 gennaio 2019 è stato disposto il sequestro e la chiusura del viadotto Puleto sulla E45, nei pressi di Valsavignone, in provincia di Arezzo, al confine fra Toscana e Romagna;

   il provvedimento di sequestro è stato richiesto nell'ambito dell'inchiesta sul cedimento di una piazzola della stessa E45. Secondo una commissione di tecnici incaricata dal pubblico ministero, il viadotto Puleto sarebbe a forte rischio di collasso;

   successivamente il viadotto è stato parzialmente riaperto ai mezzi non pesanti;

   estremamente critiche sono le ripercussioni su tutta la viabilità della zona. Parte del traffico viene dirottato sulle strade provinciali della Toscana già in condizioni estremamente critiche;

   peraltro, lungo la vecchia statale Tiberina che andava in Romagna dal valico di Verghereto, il tratto stradale Valsavignone-Canili della vecchia arteria è chiuso da troppo tempo. La strada è stata declassata a comunale. Detta strada rappresenterebbe, in una situazione di emergenza come quella conseguente alla chiusura del viadotto, una importante alternativa alla E45. Vale la pena sottolineare che nel 2016 era stato previsto un finanziamento di 2,6 milioni di euro per il suo ripristino, ma questo non è mai avvenuto;

   la E45 è una infrastruttura statale in gestione Anas e il piano regionale della mobilità della Toscana prevede per il tratto toscano di 30 chilometri tra i comuni di Pieve Santo Stefano e Sansepolcro, investimenti per l'adeguamento e la messa in sicurezza per 75 milioni di euro;

   già nel gennaio 2019, gli interroganti avevano presentato un atto di sindacato ispettivo (n. 4-02038) sul citato sequestro del viadotto Puleto, e precedentemente, nel novembre 2018, l'interrogazione n. 4-01710, presentata dai deputati Vietina e Bignami, ricordava le forti criticità delle condizioni strutturali dei viadotti della E45 –:

   se non si ritenga necessario avviare iniziative normative di somma urgenza finalizzate ad affrontare al meglio la situazione di emergenza e gli effetti negativi sulla economia locale, anche rendendo subito disponibili le risorse già stanziate nell'ambito dell'appalto relativo al progetto viadotto «Tevere 4»;

   se non si ritenga indispensabile convocare un tavolo di confronto tra Governo, enti territoriali e associazioni, per individuare gli indispensabili interventi volti a sostenere le imprese e l'economia del territorio duramente colpiti dalla chiusura parziale del viadotto Puleto;

   se non si intendano adottare iniziative, per quanto di competenza, per provvedere fin da subito al ripristino del tratto Valsavignone-Canili della vecchia arteria ex statale 3-bis per garantire una valida viabilità alternativa;

   se non intenda avviare le opportune iniziative di competenza volte a riportare tutta la vecchia statale Tiberina sotto la gestione dell'Anas;

   quali siano stati finora gli interventi manutentivi e di controllo sulla suddetta infrastruttura viaria, con particolare riferimento ai viadotti;

   se non reputi urgente, anche alla luce di quanto accaduto ed esposto in premessa, effettuare maggiori e più approfonditi controlli per una verifica complessiva dello stato dei viadotti lungo la E45, garantendo alla manutenzione tutte le risorse necessarie e già nelle disponibilità dell'Anas.
(5-01696)


   PAITA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la regione Liguria ha nei giorni scorsi inaugurato il cosiddetto «Cinque terre express» un convoglio ferroviario che per tutta la stagione estiva dovrebbe servire i turisti attratti dalle bellezze di questo straordinario patrimonio;

   l'inaugurazione, però, appare all'interrogante in tutta evidenza una semplice operazione di marketing lasciando irrisolti i problemi più volte sollevati dalle amministrazioni locali e dallo stesso Parco;

   il sindaco di Riomaggiore da tempo ha sollevato la questione attinente alla messa in sicurezza delle stazioni interessate dal convoglio i cui interventi sono stati procrastinati addirittura al 2023;

   le amministrazioni locali, insieme al Parco delle Cinque Terre, si sono impegnate negli ultimi anni a trovare soluzioni con i Ministeri interessati e la regione su tutte le problematiche connesse alla delicata gestione del flusso turistico;

   la regione per affrontare suddetta questione ha riunito una sola volta il tavolo della logistica e questa riunione porta la data del 13 giugno 2018;

   il problema principale rimane quello della accoglienza sicura in stazioni dove le banchine sono strette, dove le infrastrutture di deflusso sono inadeguate e la stessa capacità di accoglienza dei paesi è sicuramente limitata;

   pertanto, si è proceduto all'inaugurazione del citato convoglio turistico senza aver adeguatamente affrontato le note criticità richiamate in premessa;

   il tavolo ministeriale per la fruizione turistica sostenibile nel parco delle Cinque Terre nell'ambito del quale le amministrazioni locali avevano unitariamente posto le esigenze del territorio è fermo al mese di luglio 2018;

   va dato atto alla prefettura di aver istituito un tavolo tecnico dedicato alla predisposizione di un piano di protezione civile integrato da La Spezia a Levanto per la gestione dei flussi in caso di allerta meteorologica –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative intenda assumere, nell'ambito delle proprie competenze, per affrontare il tema della sicurezza delle stazioni interessate dal suddetto convoglio ferroviario turistico;

   se intenda adottare iniziative nell'ambito dell'attuazione del contratto di programma di Rfi, per accelerare gli interventi infrastrutturali finalizzati al superamento delle note criticità nell'interesse delle comunità interessate e dei visitatori e se intenda, a tal proposito, riattivare tempestivamente il tavolo per la fruizione turistica sostenibile.
(5-01699)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   ROSSO, SOZZANI, PELLA e ZANGRILLO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto riportato dal quotidiano La Stampa (La Stampa Cuneo 9 marzo 2019) la tratta ferroviaria Torino-Cuneo è considerata tra le più pericolose della regione Piemonte per il personale di Ferrovie dello Stato italiane a causa dei diversi episodi di violenza registrati dall'inizio dell'anno;

   nel corso delle aggressioni i capitreno sarebbero stati colpiti con testate, morsi e schiaffi, a seguito della richiesta di controllo dei biglietti o semplicemente per aver rimproverato i passeggeri, chiedendo loro di togliere i piedi dai sedili o di non bivaccare nei corridoi;

   dopo l'allarme lanciato dai sindacati di categoria, circa l'impennata di violenze sui convogli regionali piemontesi, il prefetto di Torino ha, recentemente, convocato le forze dell'ordine impegnate sul territorio e la società Ferrovie dello Stato italiane per un'analisi di quanto accaduto, al fine di adottare le misure necessarie a evitare in futuro tali aggressioni;

   in particolare, per alzare il livello di sicurezza, il prefetto ha chiesto alle forze dell'ordine di aumentare i controlli, soprattutto sulle tratte considerate a rischio e a Ferrovie dello Stato italiane di accelerare, a Torino, il progetto di sperimentazione delle body-cam, le microtelecamere portatili che i capi treno dovrebbero indossare in servizio, in funzione di deterrente per disinnescare la violenza dei passeggeri e di prova in caso di aggressioni;

   tali violenti accadimenti, che purtroppo non rappresentano casi isolati, essendosi verificati con sempre maggiore frequenza negli ultimi anni, forniscono, a parere degli interroganti, un'immagine pessima del Piemonte, evidenziando al contempo uno stato di inciviltà sempre più diffusa che si ripercuote, non solo sugli operatori di Ferrovie dello Stato italiane, ma anche sui passeggeri, in termini di qualità del servizio offerto;

   oltre all'utilizzo delle microtelecamere, un ulteriore ed efficace deterrente potrebbe essere, secondo gli interroganti, la presenza di forze dell'ordine in borghese sui convogli, come avviene in altri Paesi europei e come accade attualmente in Puglia, dove in virtù di un accordo, siglato nei mesi scorsi tra regione, forze dell'ordine e Trenitalia, gli agenti, attraverso una specifica «app» per smartphone e tablet comunicano ai capitreno la propria presenza a bordo dei treni regionali e i capitreno, a loro volta, con un semplice click, possono richiedere un loro intervento in caso di necessità –:

   se i Ministri interrogati, alla luce di quanto riportato in premessa e nell'ambito delle proprie rispettive competenze, ritengano opportuno promuovere le misure più opportune, al fine di evitare il ripetersi di tali violente aggressioni ai danni del personale di Ferrovie dello Stato italiane e rendere più fruibile e sicuro il trasporto ferroviario regionale per i passeggeri.
(4-02525)


   PASTORINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   Elizabeth Arquinigo Pardo è una traduttrice di origini peruviane che vive in Italia da oltre 18 anni; fino a febbraio 2019 ha lavorato in qualità di interprete presso la questura di Milano, assunta con un contratto di collaborazione dall'agenzia europea, Ufficio europeo di sostegno per l'asilo (Easo), stipulato attraverso l'associazione «Interpreti e traduttori in cooperativa» (Itc), che faceva da intermediaria e che aveva ricevuto l'appalto per fornire il servizio di traduzione;

   la dottoressa Arquinigo Pardo aveva il compito di tradurre i colloqui dei richiedenti asilo, un lavoro che svolgeva con riconosciute dedizione e professionalità. Tuttavia, secondo quanto dichiarato nel corso di un'intervista rilasciata al Fanpage, il 14 febbraio 2019 ha ricevuto, al di fuori dell'orario di ufficio, una telefonata della sua responsabile che le ha esplicitamente richiesto dal giorno successivo di non recarsi più in questura per svolgere il suo lavoro, addirittura affermando che qualora lo avesse fatto le sarebbe stato fisicamente impedito l'accesso;

   alla richiesta di chiarimenti le è stato risposto che era arrivata dal Ministero dell'interno una direttiva ad personam che la esonerava dall'incarico, senza che però le venisse comunicato, né allora né successivamente, il contenuto della segnalazione. A tal riguardo, presso la cooperativa Itc affermano di non sapere cosa contenesse esattamente l'atto e di non averlo letto;

   il giorno successivo alla telefonata, si è comunque recata in ufficio, dal momento che di fatto il suo contratto non era ancora scaduto. Non le è stato impedito di entrare, ma, quando ha comprensibilmente domandato giustificazioni su quanto le era stato comunicato e se avesse commesso qualche errore nello svolgimento delle sue mansioni, non le è stata fornita alcuna spiegazione;

   la traduttrice nel corso degli ultimi mesi, prima del suo ingiustificato licenziamento, ha dialogato apertamente e a distanza con il Ministro dell'interno a cui ha inviato tre lettere per far presenti alcune criticità del «decreto sicurezza» che aveva rallentato l’iter che le avrebbe consentito di ottenere la cittadinanza italiana, tentando di segnalare la situazione di difficoltà vissuta dagli stranieri che vivono e lavorano regolarmente in Italia. La dottoressa Arquinigo Pardo aveva, inoltre, pubblicato un libro, «Lettera agli italiani come me», finalizzato a sensibilizzare le istituzioni;

   i fatti purtroppo mostrano che così non è stato, anzi si fa strada il timore che l'improvvisa incompatibilità lavorativa sia ricollegabile alla sua esposizione mediatica, essendosi più volte trovata a raccontare pubblicamente la sua situazione e le conseguenze del «decreto sicurezza» sui lavoratori stranieri in Italia, senza tuttavia aver mai violato il codice di condotta sottoscritto e che era tenuta a rispettare;

   a corroborare questo dubbio, ovvero che il suo licenziamento sia riconducibile alle posizioni pubblicamente assunte, è la scoperta di un documento, che i suoi colleghi in questura hanno firmato nel giorno del suo licenziamento ma che a lei non era mai stato sottoposto, una dichiarazione sostitutiva in cui il lavoratore afferma, fra le altre cose, di non aver preso parte a iniziative politiche che possano essere ritenute in conflitto d'interesse con la posizione ricoperta;

   appare evidente all'interrogante una discriminazione subita dalla traduttrice sul luogo di lavoro, anche alla luce del fatto che la cooperativa Itc le ha immediatamente conferito un risarcimento per l'interruzione del rapporto di lavoro, confermando che si è dinnanzi a una risoluzione unilaterale e ingiustificata –:

   se sia a conoscenza dei dettagli della vicenda descritta in premessa e quale sia la sua posizione al riguardo;

   se intenda rendere noto l'atto del Ministero dell'interno citato in premessa in base al quale la traduttrice, dottoressa Arquinigo Pardo, sarebbe stata esonerata dalle funzioni svolte presso la questura di Milano e licenziata.
(4-02526)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza:


   La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:

   le «Linee Guida MIUR 2015 per l'Educazione Alimentare» evidenziano che:

   l'educazione alimentare ha tra i propri fini il generale miglioramento dello stato di benessere degli individui, attraverso la promozione di adeguate abitudini alimentari, l'eliminazione dei comportamenti alimentari non soddisfacenti, l'utilizzazione di manipolazioni più igieniche di cibo e di acqua, un efficiente utilizzo delle risorse alimentari e un uso corretto delle materie prime;

   un'alimentazione sana non deve solo rispettare le necessità qualitative e quantitative dell'organismo, ma deve armonizzarsi con la sfera psicologica e di relazione dell'individuo; la finalità dell'educazione alimentare si persegue con il raggiungimento di alcuni obiettivi significativi per la salute e il benessere della popolazione scolastica, già nel breve e medio periodo;

   è necessario collocare l'atto del mangiare nella sua dimensione più propria, ovvero un atto complesso che non coinvolge soltanto gli aspetti della fisiologia, ma è determinato anche da fattori di tipo psicologico, sociale e culturale in senso lato. Come conseguenza ogni programma di educazione alimentare si deve comporre di contributi, spunti ed esperienze dirette, tali da consentire all'insegnante e al formatore d'impostare un'esperienza integrata con i programmi e con gli obiettivi didattici delle diverse aree e materie;

   sono indicate delle linee progettuali da seguire per attivare nelle scuole iniziative formative e didattiche in tema di educazione alimentare, tra le quali: prevedere momenti di informazione e di formazione specifici, disciplinari e interdisciplinari, tesi a garantire il coinvolgimento di tutte le risorse necessarie con il coinvolgimento delle famiglie in tutte le fasi delle attività, anche alla luce del patto di corresponsabilità educativa; un approccio interdisciplinare nel quale ogni disciplina sarà chiamata a contribuire all'organizzazione e all'ampliamento delle conoscenze e abilità necessarie e utili all'esercizio dell'educazione alimentare scolastica; il coinvolgimento degli studenti – di ogni età, ordine e grado – secondo modalità che inquadrino la diversità come risorsa e non quale limite;

   le linee guida prevedono inoltre:

   il contributo, e il coordinamento offerto dalle amministrazioni pubbliche, dagli enti locali, dalle camere di commercio industria e artigianato (Cciaa) e da tutti i soggetti potenzialmente utili allo sviluppo dell'attività e al raggiungimento degli obiettivi educativi, comprese le fondazioni e le imprese sociali;

   l'inserimento nel piano dell'offerta formativa della scuola, a garanzia di una piena assunzione di responsabilità, condivisione e continuità, di attività didattiche in tema di educazione alimentare;

   il pieno coinvolgimento delle famiglie e di tutti i soggetti di riferimento operanti nel territorio, quali la ristorazione, specialmente quella scolastica, gli enti locali, le aziende produttrici, le associazioni di categoria, il mondo della distribuzione e i circuiti della comunicazione, al fine di realizzare attività efficaci di educazione alimentare –:

   se e come le linee guida del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca 2015 per l'educazione alimentare siano state implementate dalle scuole di ogni ordine e grado e se sia stato attivato un sistema di monitoraggio da parte del suddetto Ministero in merito;

   se alla luce dei risultati conseguiti, non ritenga opportuno procedere ad un loro aggiornamento, includendo il momento del pasto e della mensa scolastica come fattore imprescindibile per la piena realizzazione degli obiettivi posti dalle linee guida e della rilevanza del setting esperenziale degli alunni.
(2-00306) «Elvira Savino».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TOCCAFONDI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   molti studenti che hanno frequentato o frequentano i corsi di istruzione professionale in ambito sociale e sanitario si trovano in una situazione molto difficile dovuta al fatto che il titolo rilasciato al termine degli studi non trova riconoscimento nella maggior parte delle regioni italiane;

   questo fatto determina che eventuali operatori con diploma di Stato che lavorano in strutture residenziali o centri diurni sociali e socio-sanitari non concorrono a soddisfare gli standard di personale previsti per l'accreditamento del servizio: la conseguenza è che difficilmente i giovani vengono assunti, pur avendo effettuato un percorso formativo di carattere professionale;

   in particolare, sono circa 50.000 gli studenti che in Italia frequentano i corsi dell'istruzione professionale «servizi socio-sanitari» e sono oltre 100.000 i diplomati nell'istruzione professionale in ambito sociale e sanitario. Gli attuali corsi d'istruzione professionale «servizi socio-sanitari» sono in esaurimento; nel corso di questo anno scolastico l'istruzione professionale ha avviato il corso «servizi per la sanità e l'assistenza sociale»;

   nell'anno scolastico 2018/2019 risultano iscritti al primo anno del corso 12.022 alunni; è il terzo indirizzo per frequenza dell'istruzione professionale con l'11,7 per cento degli iscritti. Anche il nuovo corso al momento presenta gli stessi problemi di occupabilità già presenti per diplomati dei corsi precedenti «servizi sociali» (ex progetto ’92) e «servizi socio-sanitari» (ex decreto del Presidente della Repubblica n. 87 del 2010). Questo Indirizzo di studio, con il relativo profilo in uscita, è previsto dal decreto legislativo n. 61 del 2017 e i codici Ateco e Nup, indicati nel decreto n. 92 del 2018, sono indubbiamente indicativi dei potenziali spazi di intervento dei diplomati dell'Indirizzo;

   con l'avvio dei nuovi corsi dell'istruzione professionale, il sistema continua così a investire risorse umane e finanziarie proponendo agli studenti e alle loro famiglie un percorso quale «servizi per la sanità e l'assistenza sociale» che però non offre sbocchi lavorativi, nonostante in questi settori si senta l'esigenza di una nuova professionalità alla quale si è cercato di dare risposta nell'elaborazione del percorso formativo e del profilo in uscita del corso;

   oggi esiste una situazione differenziata rispetto alla possibilità di realizzare percorsi integrativi per il conseguimento della qualifica di operatore socio-sanitario che crea disparità tra i soggetti interessati. Alcune regioni, quali la Liguria e la Puglia, prevedono già oggi la possibilità di percorsi integrativi al corso d'istruzione professionale per consentire agli studenti che lo desiderano l'acquisizione della qualifica di «operatore socio-sanitario» (prevista come qualifica a livello nazionale e rilasciata dalle regioni). Questa qualifica consente di lavorare nelle strutture sociali e socio-sanitarie. In Liguria e in Puglia non sono previsti oneri aggiuntivi a carico delle famiglie;

   in altre regioni, quali l'Emilia-Romagna e il Veneto, l'integrazione è prevista, ma i percorsi prevedono oneri a parziale o totale carico delle famiglie;

   in regioni quali il Piemonte e la Lombardia non sono previsti percorsi integrativi;

   questa realtà, diversificata da regione a regione, mette gli studenti che frequentano lo stesso corso d'istruzione professionale definito con la normativa dello Stato, in condizioni molto diverse rispetto alla prospettiva occupazionale a seconda della regione in cui vivono –:

   se non ritenga di dover adottare ogni iniziativa di competenza, in sinergia con le regioni, per il riconoscimento del titolo di studio ai fini lavorativi dei futuri diplomati del nuovo corso d'istruzione professionale, affinché sia consentito agli studenti di conseguire un titolo spendibile nel mondo del lavoro e senza discriminazioni territoriali, dando luogo altresì a un adeguamento dei percorsi in atto in coerenza con la soluzione che sarà scelta.
(5-01697)


   FREGOLENT. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   nel mese di giugno 2016 la corte d'appello di Torino ha sancito il diritto per le famiglie di poter scegliere tra la mensa scolastica a pagamento e il pasto portato da casa, stabilendo che ciascun istituto debba adottare idonee misure organizzative in relazione alla specifica situazione logistica, indicando comunque che i principi da perseguire, per il consumo del pasto, debbano promuovere la coesistenza degli alunni e non la reciproca esclusione;

   la Corte di Cassazione deve esprimersi sul ricorso presentato dal comune di Torino e dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca;

   la discutibile gestione con cui il comune di Torino ha affrontato la vicenda del «panino libero» delle mense scolastiche ha comunque prodotto e sta producendo gravi disagi per i lavoratori interessati, per l'utenza, e per quanto riguarda i bilanci finanziari dell'ente;

   il calo sensibile degli incassi nelle mense di Torino (attualmente i bambini torinesi consumano, secondo fonti di stampa, circa un milione di pasti in meno all'anno) sta causando riduzioni di orario per i lavoratori del settore, mentre sarebbero circa 90 i posti di lavoro a rischio;

   il comune di Torino ha già stabilito che il refettorio delle scuole debba essere utilizzato esclusivamente dal servizio mensa e non per consumare il panino portato da casa in attesa di verificare la praticabilità dell'uso dei locali per entrambi i pasti. È quindi mancata in questi anni da parte dell'amministrazione comunale una programmazione capace di far coesistere le due tipologie di pasto, limitando i disagi e prevenendo riduzioni di personale e danni all'erario;

   l'unica iniziativa del comune di Torino è stata quella di ridurre i costi della mensa scolastica a scapito dei requisiti dei prodotti alimentari utilizzati: come testimonia l'iniziativa di Anac (l'Autorità nazionale anticorruzione) che su segnalazione del «Comitato Caromensa» ha messo sotto «inchiesta» il bando del 2018 sulla ristorazione scolastica, obiettando così all'amministrazione comunale di aver favorito una gara ridotta a una mera competizione economica, a scapito della qualità del cibo;

   l'Anac ha aperto infatti l'11 marzo una istruttoria segnalando che le imprese si sarebbero aggiudicate la gara solo in base alla tariffa più bassa;

   va segnalato come tale appalto sia il maggiore della città, per un valore complessivo di 95 milioni di euro, e si sia concluso con un prezzo del pasto sceso fino a 3,98 euro contro i 4,88 euro dell'appalto precedente;

   va inoltre rimarcato che ad aggiudicarsi il servizio di ristorazione scolastica, sempre secondo i media, dai nidi fino alle scuole media per il triennio 2018/2021, siano state la Eutourist New, parte del gruppo All Foods, e la RistorArt Toscana, poi bloccata dall'interdittiva antimafia disposta dal Tar della Toscana;

   appare evidente all'interrogante l'incapacità dell'amministrazione di Torino, per quanto riguarda nel caso specifico la mensa scolastica, di tutelare i bilanci comunali, di assicurare un servizio di qualità per gli studenti compatibile con le attuali direttive del cosiddetto «pasto portato da casa»; di garantire i livelli occupazionali e le professionalità impiegate –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle criticità esposte in premessa e se non ritengano opportuno adottare iniziative, per quanto di competenza, anche normativa, affinché nell'erogazione del servizio mensa sia assicurato un servizio di qualità per gli studenti compatibile con le attuali direttive, del cosiddetto «pasto portato da casa» siano garantiti i livelli occupazionali e le professionalità impiegate e tutelati i bilanci comunali.
(5-01703)


   PRESTIPINO, ROSSI, CIAMPI, PICCOLI NARDELLI e DI GIORGI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   ormai di frequente tra i fatti di cronaca riportati dagli organi di informazione figurano episodi di violenza fisica, verbale e psicologica, nei confronti di docenti da parte delle famiglie degli studenti;

   il tasso di violenza, in ogni sua forma, nei confronti degli insegnanti è in forte aumento, a partire dai litigi durante i colloqui con i genitori, passando per le minacce e le vere e proprie aggressioni verbali, fino ad arrivare alle lesioni personali, in particolare al momento della fine dell'anno scolastico, come avvenuto in molti casi;

   alcuni episodi accaduti nell'ultimo anno raggiungono una elevatissima gravità, come quello che nel mese di giugno 2018 ha visto vittima il giovane professore di un istituto tecnico di Roma, ricoverato in ospedale con un trauma cranico e un principio di soffocamento a causa dell'aggressione a opera del padre di uno studente bocciato;

   secondo la rivista Tuttoscuola, tra il 2017 e il 2018 si possono contare 33 violenze fisiche accertate e 81 violenze fisiche stimate, quindi una media di circa quattro episodi a settimana; il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha il preciso compito, in quanto datore di lavoro, di proteggere la salute fisica e psichica dei docenti, oltre a garantirne la sicurezza, dunque a prevenire eventi come quelli descritti;

   il continuo ripetersi di questo genere di atti lede il processo educativo dei ragazzi, il prestigio dell'istituzione scolastica e la dignità di tutti coloro che vi lavorano;

   più volte il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha condannato pubblicamente le aggressioni verso i docenti, dichiarando di volersi impegnare in loro difesa –:

   se il Ministro interrogato sia in possesso di dati precisi sui fenomeni di violenza che avvengono a danno dei docenti su scala nazionale;

   se non ritenga di avviare, per quanto di competenza, una serie di ispezioni negli istituti scolastici e provvedere, se del caso, alle necessarie segnalazioni all'autorità giudiziaria;

   quali strumenti intenda utilizzare al fine di sensibilizzare ragazzi e genitori rispetto al tema della violenza nelle scuole, con lo scopo di prevenire e contrastare tutti i tipi di violenza, visto l'elevato numero di casi di aggressione che si verificano.
(5-01704)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZOLEZZI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   da articoli di stampa apparsi in data 6 marzo 2019, la procedura di mobilità tra enti pubblici, bandita dal comune di Mantova per ricoprire il posto da dirigente nei settori cultura e servizi finanziari è andata a vuoto, per cui sono state bandite procedure concorsuali per tali ruoli dirigenziali. Non erano presenti in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (GURI) i bandi del comune di Mantova. Nella recente sentenza del Consiglio di Stato n. 5298 del 10 settembre 2018 viene confermato il consolidato orientamento giurisprudenziale che fa della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, prevista dall'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 487 del 1994, una regola attuativa degli articoli 51 e 97 della costituzione;

   in caso di procedura concorsuale ne discende sul piano sostanziale, la necessità di rispettare l'obbligo di previa pubblicazione del bando nella Gazzetta Ufficiale ex articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 487 del 1994;

   dopo la pubblicazione di una segnalazione alla stampa, sono apparsi i bandi in Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, ma la scadenza per la presentazione della documentazione nel settore cultura (29 marzo 2019) come da documentazione reperibile in albo pretorio comunale è rimasta tale nonostante la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana sia avvenuta in data 8 marzo 2019. In tale data è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, l'avviso di concorso dirigenziale per il settore cultura del comune di Mantova;

   appare all'interrogante una violazione dell'articolo 4, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 487 del 1994 che prevede che le domande si possano presentare entro 30 giorni dalla pubblicazione del bando o dell'avviso concorsuale in Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Tempo che non è stato concesso dal bando in questione. Il bando attuale dovrebbe essere dunque annullato, corretto e ripubblicato;

   lo stesso è avvenuto per il bando concorsuale del settore finanziario; è rimasta la scadenza che si ritrova in albo pretorio comunale al 4 aprile 2019, nonostante sia stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana il 15 marzo 2019;

   ciò significa che il bando rimane aperto solo per 20 giorni, anziché per 30 giorni come prescritto dalla legge, limitando il «diritto di accesso agli impieghi pubblici di tutti i cittadini su di un piano di parità, esercitabile solo attraverso un sistema di pubblicità che favorisca la massima partecipazione», come prescritto dai dettami costituzionali, limitando la possibilità di valutare la partecipazione da parte di eventuali concorrenti, la meritocrazia e l'efficienza della macchina amministrativa comunale;

   il comune di Mantova nel 2004 aveva svolto un concorso dirigenziale e non ha scorso le graduatorie fino a che, a fine 2018, sono scadute. Oggi vede tre dirigenti a chiamata diretta (articolo 110 del Tuel) fra cui quello del delicato settore ambiente in un'area Sin. La chiamata diretta, ad avviso dell'interrogante, può indirizzare il dirigente a una fedeltà politica e ridurre la libertà delle sue azioni amministrative –:

   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa, se non ritenga sussistano i presupposti per promuovere una verifica da parte dell'ispettorato per la funzione pubblica e se non intenda adottare iniziative per rendere più restrittiva la normativa che consente la chiamata diretta dei dirigenti nella pubblica amministrazione.
(5-01705)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:

   il commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dei disavanzi sanitari della regione Campania con Dca n. 98/2016, ai sensi del punto 4.1 e 4.2 del decreto ministeriale n. 70 del 2015, istituiva la rete oncologica campana, secondo il modello operativo del Comprehensive Cancer Center Network di cui all'allegato 1 dell'intesa Stato-regioni n. 144 del 30 ottobre 2014. Il citato Dca 98/2016, istitutivo della rete oncologica campana, prevede la necessità di individuare la funzione che occupa all'interno della rete ogni singola struttura sanitaria che eroga prestazioni di tipo oncologico;

   in particolare, il paragrafo 3.1 della rete oncologica campana stabilisce che i nodi della rete oncologica sono quattro: 1. centri II livello, anche detti centri oncologici di riferimento polispecialistici (Corp); 2. centri di riferimento regionali con attività specifica in campo oncologico (Corpus); 3. hospice; 4. centri di I livello;

   il Dca n. 98/2016, istitutivo della rete oncologica, ha individuato nei nove ospedali Dea di II livello presenti in regione e nell'Irccs Pascale di Napoli i nodi Corp e Corpus della rete, ma non ha mai stabilito quali sono le strutture sanitarie chiamate a ricoprire il ruolo di hospice e di centro di I livello;

   il nuovo piano ospedaliero regionale con il Dca n. 103/2018 ha programmato in tutta la regione 18 nuovi ospedali classificati come Dea di II livello, vale a dire 18 nuove strutture chiamate ad erogare prestazioni di tipo oncologico a cui si aggiungono anche ulteriori nuovi punti di erogazione privati-accreditati, il tutto per oltre 20 nuove strutture sanitarie che erogano, o comunque sono desinate ad erogare, prestazioni di tipo oncologico;

   il nuovo piano ospedaliero, tuttavia, non ha stabilito alcuno dei ruoli previsti dal Dca 98/2016 per le nuove 20 strutture chiamali ad erogare prestazioni di tipo oncologico e, soprattutto, non ha stabilito alcun ruolo per i 19 ospedali Dea di I livello, i quali, essendo strutture multidisciplinari destinate ad ospitare reparti di oncologia, devono necessariamente essere individuati come centri di I livello della rete oncologica campana;

   a ciò si aggiunga che, ad oggi, nonostante quanto previsto dal Dca n. 98/2016, il commissario ad acta alla sanità per la regione Campania non ha ancora provveduto ad approvare il cronoprogramma relativo alla dismissione delle attività di chirurgia oncologica per i centri chirurgici aventi volumi non idonei di attività; per tale motivo numerose strutture che effettuano meno di 20 operazioni chirurgiche/anno, continuano a ricevere i rimborsi sanitari dei relativi Drg, pur essendo del tutto inidonee ad erogare prestazioni adeguate, stante la conclamata assenza dei volumi necessari a garantire adeguate competenze ai pazienti oncologici;

   la regione Campania, pertanto, ad oggi non ha ancora un'adeguata programmazione ospedaliera in ambito oncologico, motivo per cui il piano ospedaliero di cui al Dca 102/2018, relativamente alla rete oncologica, sembrerebbe violare i parametri di adeguatezza ed efficienza di cui ai punti 4.1 e 4.2 del decreto ministeriale n. 70 del 2015, l'allegato 1 dell'Intesa Stato-regioni n. 144/2014 ed il Cda n. 98/2016 –:

   se il Governo, nell'ambito delle proprie competenze e secondo quanto previsto dal decreto ministeriale n. 70 del 2015, non intenda adottare le iniziative di competenza, per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari della regione Campania, per modificare il succitato piano ospedaliero (Dca n. 103/2018) al fine di: a) individuare tutti gli ospedali Dea di livello come nodi «centro di I livello» della rete oncologica campana; b) individuare le strutture sanitarie da classificare come nodi hospice della rete oncologica; c) dismettere le attività sanitarie oncologiche in tutti i punti di erogazione non classificabili come Corp e Corpus, centri di I livello ed hospice: d) adottare il cronoprogramma relativo alla dismissione delle attività di chirurgia oncologica per i centri chirurgici aventi valori soglia di volumi non idonei a garantire prestazioni adeguate ai pazienti oncologici.
(2-00307) «Maraia, D'Arrando, Massimo Enrico Baroni, Bologna, Lapia, Lorefice, Mammì, Menga, Nappi, Nesci, Provenza, Sapia, Sarli, Sportiello, Trizzino, Troiano, Leda Volpi, Pallini, Palmisano, Papiro, Parentela, Paxia, Penna, Perantoni, Perconti, Pignatone, Raduzzi, Raffa, Rizzo, Romaniello, Paolo Nicolò Romano, Roberto Rossini, Ruggiero, Ruocco, Giovanni Russo, Saitta, Salafia, Scagliusi, Scanu, Scerra, Scutellà, Segneri, Rachele Silvestri, Siragusa, Sodano, Spadoni, Spessotto».

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:

   gli ematologi italiani si sono ormai da anni organizzati in una rete non solo di centri clinici (Gimema, per gli adulti; Aieop, per i bambini, ad esempio), ma anche in una rete di laboratori che si mettono a disposizione per fornire a chiunque, a prescindere dal luogo di residenza o dal centro clinico che lo ha in carico, le indagini diagnostiche necessarie (prevalentemente, indagini molecolari necessarie a scegliere la terapia più corretta o a monitorare l'andamento di una cura in un caso di leucemia);

   non tutte le indagini oggi necessarie e disponibili per eseguire l'indispensabile diagnosi di precisione vengono eseguite in tutti i laboratori, e questo peraltro non è né necessario sia perché si stratta di indagini molto sofisticate, che solo anni di esperienza sul campo hanno consentito di arrivare a fare correttamente, sia perché sono esami costosi e la scelta di centralizzare in pochi laboratori è già una realtà, che produce eccellenza oltre ad un risparmio di risorse e di competenze;

   è lecito affermare che l'ostacolo non è la complessità della malattia da curare o delle indagini molecolari da eseguire, bensì la burocrazia, poiché risulta lungo, complesso e difficile spedire un campione biologico da un centro clinico al laboratorio di un altro centro, anche se c'è l'assoluta disponibilità da parte di tutti i centri a collaborare nel segno dell'efficienza;

   in questa situazione, spesso per motivi solo burocratici, è necessario chiedere al paziente di andare da una parte e dall'altra per ripetere i prelievi, quando sarebbe sufficiente farli tutti insieme una volta sola nel centro in cui è in cura e spedirli poi nei diversi laboratori coinvolti;

   tutto questo si sta rendendo indispensabile perché, negli ultimi 20 anni, la ricerca di base e traslazionale in ematologia ha aperto la strada allo sviluppo di terapie innovative, le cosiddette «targeted therapy», o «terapie mirate sul bersaglio», quei farmaci intelligenti che colpiscono la cellula neoplastica leucemica senza attaccare le cellule sane. La complessità delle indagini necessarie a tipizzare le diverse forme di malattie per scegliere la terapia giusta ha indotto gli ematologi (adulti e pediatrici) a realizzare una rete nazionale di diagnostica integrata formata da laboratori specializzati (operanti solo nel Servizio sanitario nazionale) su tutto il territorio italiano;

   in particolare, la Fondazione Gimema ha realizzato una rete dedicata alla diagnosi ed al monitoraggio della risposta al trattamento per pazienti con leucemia mieloide cronica (Lmc), leucemia mieloide acuta (Lma), le neoplasie mieloproliferative philadelphia negative (Mpn Ph-) e in futuro pazienti con sindromi Mielodisplastiche (MDS). L'obiettivo del progetto è offrire la migliore qualità disponibile negli accertamenti diagnostici molecolari e genomici, utilizzando laboratori di eccellenza esistenti, senza generare nuova spesa e ottimizzando le risorse a disposizione;

   la finalità è quella garantire a tutti i pazienti la stessa accuratezza negli esami diagnostici, indipendentemente dal centro presso il quale sono in cura. Il paziente esegue il prelievo di sangue presso il centro ematologico dove è in cura e l'ematologo spedisce il campione con un corriere dedicato al laboratorio di riferimento aderente al network LabNet. Il campione sarà quindi analizzato dal laboratorio tramite sofisticate indagini molecolari o istopatologiche, standardizzate e condivise tra i laboratori afferenti al network. Il paziente in trattamento presso un centro di ematologia può avvalersi, pertanto, di un esame diagnostico effettuato in laboratori standardizzati secondo elevati standard europei, senza doversi spostare dal suo centro;

   i principali ostacoli alla diffusione della diagnostica in rete nei laboratori di eccellenza sono rappresentati da problemi amministrativi e burocratici legati alle regioni e alle prestazioni corrisposte per ciascun esame. Spesso è necessaria l'autorizzazione aziendale o regionale per consentire la spedizione dei campioni tra laboratori di ospedali del Ssn anche all'interno della stessa regione – o tra regioni diverse;

   il progetto «La Salute un bene da difendere, un diritto da promuovere», coordinato da Salute donna onlus è un progetto di advocacy che vede la collaborazione di 24 associazioni di pazienti, di una commissione tecnicoscientifica di valore internazionale e di un intergruppo parlamentare nazionale e di quattro intergruppi consiliari. La Fondazione Gimema partecipa a questo progetto con l'obiettivo primario di sensibilizzare, a tutti i livelli, gli interlocutori politici in grado di intervenire in modo virtuoso, al fine di ottenere un'autorizzazione ufficiale alla libera circolazione dei campioni inter ed extra-regione per i pazienti con neoplasie ematologiche. In questo senso, solo un adeguamento ed un abbattimento di regole burocratiche – a costo zero, senza nessun aggravio di costi per il Ssn – potrebbe implementare un simile progetto –:

   quali iniziative urgenti il Governo intenda intraprendere per quanto di competenza, anche normative, per snellire in modo perentorio le regole burocratiche che oggi impediscono una sollecita ed efficiente circolazione dei campioni dei pazienti affetti da patologie ematologiche all'inferno delle reti ematologiche esistenti sul territorio italiano, al fine di consentire una migliore e più efficiente presa in carico e cura dei pazienti stessi.
(2-00305) «Elvira Savino».

Interrogazioni a risposta immediata:


   LORENZIN. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   la salute materno-infantile rappresenta un'area prioritaria della salute pubblica. La gravidanza, il parto ed il puerperio in Italia sono la prima causa di ricovero per le donne. Gli eventi «intorno» alla nascita sono riconosciuti a livello internazionale tra i migliori per valutare la qualità di tutta l'assistenza sanitaria di un Paese;

   l'accordo Stato-regioni del 16 dicembre 2010 ha recepito le linee guida delle società scientifiche italiane ed internazionali per il programma nazionale per il parto sicuro, che fissa in 1.000 nascite all'anno lo standard a cui tendere, nel triennio, per il mantenimento/attivazione dei punti nascita. Per ridurre e razionalizzare sotto i 1.000 all'anno si necessita di abbinamento per pari complessità di attività delle unità operative ostetrico-ginecologiche con quelle neonatologiche/pediatriche;

   la possibilità di punti nascita con numerosità inferiore, e comunque mai al di sotto di 500 parti all'anno, potrà essere prevista solo sulla base di motivate valutazioni legate alla specificità dei bisogni reali delle varie aree geografiche interessate, con rilevanti difficoltà di attivazione dello Stam;

   al Comitato percorso nascita nazionale, costituito con decreto ministeriale del 12 aprile 2011, è attribuita la funzione di attuare le strategie di riorganizzazione e verifica dei punti nascita e dal 2015 il compito di esprimere un parere su richiesta di deroga relativamente a punti nascita con volumi inferiori a 500 parti l'anno;

   lo studio De Curtis/Simeoni evidenzia, nel 2015, il 40 per cento in più di rischio morte per i bimbi nel primo mese di vita nati al Sud a causa di strutture piccole e non sufficientemente attrezzate per le emergenze da parto;

   sulla stampa si è creata, ad avviso dell'interrogante, tanta confusione, soprattutto da esponenti del MoVimento 5 Stelle, perché si richiede la riapertura di punti nascita chiusi o in via di chiusura, per mancanza dei requisiti minimi;

   il Ministro interrogato ha emanato un comunicato il 25 gennaio 2019 da cui si evince la volontà di «valutare insieme alle regioni l'attualità dell'accordo Stato-regioni del 2010, recepito poi dal decreto ministeriale n. 70 del 2015»;

   le società scientifiche, lanciando un appello per il bene del paziente, chiedono di lavorare in sicurezza è quindi di «disporre di strutture e strumentazioni adeguate raggruppate in centri in cui ogni specifica patologia possa essere trattata in maniera altamente efficace» –:

   se il Ministro interrogato intenda adottare iniziative, per quanto di competenza, per rivedere, ed eventualmente su quali basi, i criteri per individuare gli standard minimi dei punti nascita.
(3-00625)


   ROSTAN e FORNARO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il servizio sanitario nazionale oggi si trova di fronte ad una gravissima carenza di dottori, infermieri e medici di famiglia, con pesanti ricadute sulle prestazioni e sulla tutela della salute dei cittadini, nonostante che la Costituzione sancisca il diritto alla salute;

   le associazioni e i sindacati di medici e infermieri denunciano, altresì, condizioni di lavoro nei reparti ospedalieri e nei servizi territoriali difficili e insostenibili, causate della carenza di medici e infermieri ormai largamente insufficienti alle esigenze del settore;

   in assenza di una politica di assunzioni l'Anaao ha calcolato che nel 2025 potrebbero mancare in Italia 16.500 medici specialisti nel settore pubblico, la curva dei pensionamenti raggiungerà il suo culmine tra il 2019 e il 2022, con uscite intorno a 6.000/7.000 medici l'anno;

   entro il 2025 dei circa 105.000 medici impiegati nel pubblico andranno in pensione circa la metà: 52.000 dipendenti. Confrontando i pensionamenti con le stime dei medici specializzati assunti dal servizio sanitario nazionale nei prossimi anni, i sindacati calcolano che diverse discipline mediche affronteranno una grave carenza di specialisti;

   le principali specializzazioni che registreranno gravi carenze di personale a causa dei pensionamenti da oggi al 2025 sono: pediatria (6.100); anestesia e rianimazione (5.600); medicina d'urgenza (5.600); medicina interna (3.857); chirurgia generale (3.400); radiodiagnostica (3.000); malattie dell'apparato cardiovascolare (2.663); ginecologia (2.472);

   Eurostat ha rilevato che l'Italia, con il 54 per cento dei medici con età dai 55 anni in su, occupa il ventesimo posto in Europa in relazione all'età dei medici;

   la Fimmg ha calcolato che nei prossimi 5 anni andranno in pensione più di 14.000 medici di famiglia. Secondo la Fimmg nel 2022 si registrerà il picco di pensionamenti, con l'uscita di 3.500 medici: anche in questo caso è assente un sistema che garantisca il ricambio generazionale, con troppi pensionamenti e insufficienti borse per i corsi di specializzazione in medicina generale a compensare;

   preoccupante anche la carenza del personale infermieristico: secondo Eurostat in Italia mancherebbero tra i 50 e i 60 mila infermieri; anche in questo settore hanno inciso pesantemente i tagli operati dalle leggi di bilancio e il blocco del turn over e delle assunzioni –:

   quali iniziative di competenza intenda assumere o abbia assunto per affrontare la grave carenza di personale nel servizio sanitario nazionale, che si ripercuote sulle condizioni di lavoro ormai insostenibili, e per garantire il diritto alla salute dei cittadini.
(3-00626)


   PROVENZA, NESCI, LEDA VOLPI, MASSIMO ENRICO BARONI, BOLOGNA, D'ARRANDO, LAPIA, LOREFICE, MAMMÌ, MENGA, NAPPI, SAPIA, SARLI, SPORTIELLO, TRIZZINO e TROIANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   nel confronto con il 2009, anno con il massimo numero di occupati nella sanità pubblica, a fine 2015 risultavano impiegate nel servizio sanitario nazionale 40.364 persone in meno. Tale contrazione di personale impiegato nel comparto sanità è stata determinata dal perdurante blocco del turn over per le regioni sotto piano di rientro e dalle politiche di contenimento degli organici attivate autonomamente dalle regioni non sottoposte ai piani di rientro;

   per il contenimento della spesa per il personale sanitario hanno inciso le misure relative a: la revisione delle dotazioni organiche, la proroga del tetto alla spesa per il personale dipendente, pari alla spesa per il personale registrata nell'anno 2004 diminuita dell'1,4 per cento (decreto-legge n. 98 del 2011 e decreto-legge n. 95 del 2012), il blocco dei rinnovi contrattuali;

   il contenimento della spesa per il personale è stato maggiore nelle regioni sottoposte a piano di rientro, passate da un incremento medio annuo dell'1,9 per cento nel periodo 2006-2010 ad un tasso di variazione medio annuo negativo (-2,3 per cento) nel periodo 2011-2015. Anche le regioni non sottoposte a piano di rientro hanno osservato, nel periodo 2011-2015, una crescita negativa della spesa, che passa dal 33 per cento del 2010 al 31,3 per cento del 2015;

   la carenza di personale sanitario incide sulla garanzia dei livelli essenziali di assistenza e penalizzare ulteriormente le regioni in piano di rientro rischia di creare un'inaccettabile disparità di accesso alle cure per i cittadini; sarebbe auspicabile che nella rimozione del blocco sia tenuto in debito conto sia l'effettivo fabbisogno, sia la necessità di garantire i livelli essenziali di assistenza proprio nei territori dove gli stessi non sono garantiti;

   dagli organi d'informazione emerge che è in corso un'importante interlocuzione con la Ragioneria generale dello Stato per trovare una soluzione al blocco delle assunzioni nella sanità in tutto il Paese, e non solo per le regioni in equilibrio di bilancio, ma anche per quelle che hanno piani di rientro, che rappresentano più di 30 milioni di cittadini italiani;

   il Ministro interrogato, secondo quanto emerge dagli organi d'informazione, ha quindi annunciato che «tra martedì e mercoledì convocherà le regioni insieme al Ministero dell'economia e delle finanze per scrivere questa nuova norma, che finalmente supererà il blocco delle assunzioni» –:

   quali siano le proposte che il Ministro interrogato ritiene di dover rappresentare nell'annunciata interlocuzione con la Ragioneria generale dello Stato al fine di sbloccare le assunzioni in sanità, assicurando che le regioni in piano di rientro non siano ulteriormente penalizzate.
(3-00627)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALLINELLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il deficit uditivo permanente è il più comune difetto sensoriale dell'infanzia; purtroppo, la diagnosi, il trattamento e la riabilitazione sono ancor oggi tardivi e inappropriati, e si traducono in compromissioni linguistiche, neuropsicologiche, educative e sociali che ostacolano il processo di piena autonomia e partecipazione del bambino ipoacusico;

   le evoluzioni scientifiche, mediche e tecnologiche degli ultimi 15-20 anni hanno dimostrato che un'identificazione, una diagnosi e un intervento protesico e riabilitativo molto precoci sono procedure oggi realizzabili, efficaci e anche economiche;

   nel 2013 il Ministro interrogato ha finanziato per circa 340 mila euro, nell'ambito del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ccm), il programma regionale di identificazione, intervento e presa in carico precoci per la prevenzione dei disturbi comunicativi nei bambini con deficit uditivo;

   tale programma, che vedeva coinvolte 5 regioni e altrettanti centri di rilievo nazionale — Irccs materno infantile «Burlo Garofolo», Trieste (Friuli Venezia Giulia) — azienda ospedaliero-universitaria Pisana (Toscana) — azienda ospedaliera- universitaria di Perugia (Umbria) — azienda ospedaliera pediatrica Santobono Pausilipon, Napoli (Campania) — policlinico universitario «Agostino Gemelli», Roma (Lazio) — aveva l'obiettivo di definire e tracciare l'ideale percorso diagnostico, terapeutico e riabilitativo per un bambino con un danno uditivo permanente e la sua famiglia, coniugando le innovazioni cliniche e strumentali con l'efficacia organizzativa e la formazione interdisciplinare;

   proprio il coinvolgimento diretto delle famiglie e delle associazioni che le rappresentano, da parte dei 5 centri coinvolti nella ricerca, può essere considerato una delle peculiarità e delle ricchezze di questo importante progetto; il lavoro è durato circa tre anni e nel settembre 2016 i dati conclusivi sono stati presentati a Trieste, in occasione del convegno «Per sentire», nonché depositati presso lo stesso Ministero della salute;

   da tali dati emerge chiaramente come lo screening precoce sia l'unica strada concreta per garantire una vita completamente autonoma a tutti i bambini con problemi uditivi e quanto sia importante coniugare i percorsi ospedalieri con quelli sociali ed educativi –:

   quali iniziative di competenza siano state adottate dal Ministro interrogato sulla base dei dati e delle informazioni emerse dal programma di identificazione, intervento e presa in carico precoci per la prevenzione dei disturbi comunicativi nei bambini con deficit uditivo, al fine di garantire, su tutto il territorio nazionale, un percorso di diagnosi, terapia e riabilitazione per i bambini con danni permanenti all'udito;

   se sia stato effettuato un monitoraggio dell'applicazione nelle diverse regioni dello screening audiologico neonatale, attualmente previsto dai livelli essenziali di assistenza, e che rappresenta la base di partenza per l'avvio del percorso previsto dal programma di cui in premessa.
(5-01700)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:


   ZÓFFILI e DE MARTINI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   come già segnalato nella interrogazione a risposta scritta n. 4-01338 del 10 ottobre 2018 e nella interrogazione a risposta orale n. 3-00428 del 15 gennaio 2019, i cittadini della Sardegna continuano a lamentare dei gravi disservizi relativi al funzionamento delle reti telefoniche delle proprie abitazioni (voce e internet) come ad esempio, nel comune di Mara (Ss) e alla copertura della telefonia mobile, con alcune aree del tutto prive di segnale dove peraltro risulta impossibile contattare i numeri di emergenza come il primo firmatario del presente atto ha potuto verificare personalmente;

   a questi disservizi se ne sono aggiunti recentemente anche altri come nel comune di Aglientu, in provincia di Sassari, dove i telefoni di casa sono muti dal mese di ottobre 2018 come documentato anche dalla stampa locale;

   i cittadini delle aree interessate dai disservizi continuano a inviare numerose segnalazioni agli operatori di telefonia, ma senza successo –:

   se intendano fornire una risposta urgente rispetto a quanto richiamato in premessa e quali iniziative intendano adottare, per quanto di competenza, anche per garantire il pieno accesso dei cittadini sardi ai numeri telefonici di emergenza su tutto il territorio della Sardegna.
(3-00618)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Billi e altri n. 7-00077, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 ottobre 2018, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rizzone.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza Delmastro Delle Vedove n. 2-00303, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 marzo 2019, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Lollobrigida.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Gallinella e altri n. 5-01207, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 gennaio 2019, deve intendersi sottoscritta anche dalla deputata Ruocco.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Giorgis n. 4-02097 del 28 gennaio 2019.