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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 26 febbraio 2019

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,

   premesso che:

    la Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale, firmata il 20 marzo 1883 e modificata da ultimo il 28 settembre 1979, cui l'Italia aderisce insieme ad altri 173 Stati contraenti, ha come oggetto «i brevetti d'invenzione, i modelli d'utilità, i disegni o modelli industriali, i marchi di fabbrica o di commercio, i marchi di servizio, il nome commerciale e le indicazioni di provenienza o denominazioni d'origine, nonché la repressione della concorrenza sleale»;

    il medesimo trattato internazionale prevede che il concetto di proprietà industriale debba essere inteso «nel significato più largo» e si applichi non solo all'industria e al commercio propriamente detti, ma anche alle industrie agricole ed estrattive e a tutti i prodotti fabbricati o naturali;

    la Convenzione pone quale principio generale tra gli Stati: «nessun obbligo di domicilio o di stabilimento nel Paese dove è domandata la protezione del marchio potrà essere richiesto ai cittadini dei Paesi dell'Unione (dei 173 Stati aderenti) per il godimento di uno qualunque dei diritti di proprietà industriale»;

    tale principio appare però dover essere interpretato con maggiore flessibilità alla luce del combinato disposto delle previsioni dell'articolo 6-quater ove, nell'ambito della disciplina delle modalità di trasferimento del marchio, viene lasciata in capo allo Stato contraente la facoltà di stabilire se «la cessione del marchio debba essere valida solo se essa avvenga contemporaneamente al trasferimento dell'impresa o dell'azienda a cui il marchio appartiene» ovvero se affinché «questa validità sia ammessa, la parte dell'impresa o dell'azienda situata in tale Paese sia trasferita al cessionario con il diritto esclusivo di fabbricarvi o vendervi i prodotti contraddistinti dal marchio ceduto»;

    in ogni caso il comma 2 del medesimo articolo 6-quater stabilisce che «tale disposizione non impone ai Paesi dell'Unione (dei 173) l'obbligo di considerare valido il trasferimento di qualsiasi marchio di cui l'uso da parte del cessionario sarebbe, in fatto, di natura a indurre il pubblico in errore, particolarmente per quanto concerne la provenienza, la natura o le qualità sostanziali del prodotto ai quali il marchio è applicato»;

    l'articolo 10 del Trattato proibisce espressamente «l'utilizzazione diretta o indiretta di una indicazione falsa relativa alla provenienza del prodotto o all'identità del produttore, fabbricante o commerciante»;

    articolo 10-bis pone in capo agli Stati contraenti il dovere di assicurare protezione contro ogni atto di concorrenza sleale ovvero contro ogni atto di concorrenza contrario agli usi onesti in materia industriale o commerciale. In particolare, l'articolo vieta espressamente «I) tutti i fatti di natura tale da ingenerare confusione, qualunque ne sia il mezzo, con lo stabilimento, i prodotti o l'attività industriale o commerciale di un concorrente; II) le asserzioni false, nell'esercizio del commercio, tali da discreditare lo stabilimento, i prodotti o l'attività industriale o commerciale; III) le indicazioni o asserzioni il cui uso, nell'esercizio del commercio, possa trarre in errore il pubblico sulla natura, il modo di fabbricazione, le caratteristiche, l'attitudine all'uso o la quantità delle merci»;

    l'articolo 118 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) prevede che «Nell'ambito dell'instaurazione o del funzionamento del mercato interno, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscono le misure per la creazione di titoli europei al fine di garantire una protezione uniforme dei diritti di proprietà intellettuale nell'Unione e per l'istituzione di regimi di autorizzazione, di coordinamento e di controllo centralizzati a livello di Unione»;

    l'Unione europea ha provveduto alla creazione di un sistema specifico di protezione dei marchi nel proprio mercato mediante una serie di regolamenti che si sono succeduti nel tempo: il regolamento (CE) n. 40/94 e il regolamento (CE) n. 207/2009, modificato dal regolamento (UE) 2015/2424, ora abrogati, e il vigente regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017. Questo sistema specifico opera in parallelo alla protezione dei marchi ed è disponibile a livello degli Stati membri, in conformità ai rispettivi sistemi nazionali di protezione;

    esistono, dunque, diversi sistemi di protezione dei marchi: i marchi nazionali, registrati dagli uffici per la proprietà intellettuale degli Stati membri (per l'Italia dall'ufficio italiano brevetti e marchi-Uibm) sulla base di un sistema armonizzato a livello di Unione europea; i marchi dell'Unione europea (che hanno gli stessi effetti in tutta l'Unione e sono disciplinati dal predetto regolamento (UE) 2017/1001), che non sostituiscono i sistemi nazionali di marchio, bensì costituiscono un quadro giuridico parallelo e supplementare nel territorio degli Stati membri; i marchi internazionali, amministrati dall'Organizzazione internazionale della proprietà intellettuale (Ompi), i quali assicurano una protezione in diversi Paesi mediante l'adesione all'accordo di Madrid per la registrazione internazionale dei marchi, riveduto a Stoccolma nel 1967 e modificato nel 1979, e al relativo protocollo del 1989;

    contemporaneamente, i sistemi nazionali di protezione dei marchi all'interno dei diversi Stati dell'Unione europea sono stati armonizzati prima dalle direttive 89/104/CEE e 2008/95/CE, ora abrogate, e dalla vigente direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015. Tale direttiva mira a un ulteriore e più stringente ravvicinamento delle legislazioni sostanziali e procedurali degli Stati membri in materia di marchi di impresa, muovendosi in sostanziale simmetria con le disposizioni regolamentari in materia di marchio d'impresa europeo;

    insieme al citato regolamento (UE) 2017/1001, la direttiva (UE) 2015/2436 costituisce, dunque, il cosiddetto «pacchetto marchi», ossia l'intervento normativo voluto dal legislatore europeo non soltanto per armonizzare tra loro gli ordinamenti degli Stati membri in materia di marchi d'impresa, ma anche per rendere il più possibile omogenei gli ordinamenti nazionali e quella parte di ordinamento europeo che disciplina in maniera diretta il «marchio dell'Unione europea», ossia il titolo di proprietà industriale rilasciato dall'Ufficio europeo per la proprietà intellettuale (Euipo) che ha effetto in tutti gli Stati membri;

    nell'ambito del recepimento, tuttora in corso, della nuova disciplina comunitaria all'interno dell'ordinamento italiano il Governo è tenuto, nell'ambito dei numerosi princìpi e criteri direttivi, a: (I) prevedere i casi in cui un marchio debba essere escluso dalla registrazione o, se registrato, debba essere dichiarato nullo o decaduto, sia in relazione agli impedimenti alla registrazione e ai motivi di nullità, sia in relazione all'individuazione dei segni suscettibili di costituire un marchio d'impresa; II) prevedere conformemente alla direttiva (UE) 2015/2436 il diritto di vietare l'uso di un segno a fini diversi da quello di contraddistinguere prodotti o servizi; III) uniformare la disciplina dei marchi collettivi alle disposizioni in materia contenute nella direttiva (UE) 2015/2436, prevedendo che costituiscano marchi collettivi anche i segni e le indicazioni che, nel commercio, possono servire a designare la provenienza geografica dei prodotti o dei servizi e stabilendo le opportune disposizioni di coordinamento con la disciplina dei marchi di garanzia e di certificazione;

    tra i profili innovativi della nuova normativa europea in corso di recepimento risulta di interesse ai fini del presente atto l'introduzione di una protezione rafforzata ai marchi che godono di una reputazione forte in uno Stato membro, con l'autorizzazione ai titolari di marchi di rinomanza a prevenire usi che, senza giusta causa, traggono indebitamente vantaggio o pregiudicano il loro carattere distintivo o la loro reputazione;

    inoltre la direttiva (UE) 2015/2436 prevede:

     che «Indipendentemente dal trasferimento dell'impresa, il marchio d'impresa può essere trasferito per la totalità o parte dei prodotti o servizio per i quali è stato registrato. Il trasferimento della totalità dell'impresa implica il trasferimento del marchio d'impresa, salvo se diversamente concordato o se le circostanze impongano chiaramente il contrario.»;

     che il marchio d'impresa «può, indipendentemente dall'impresa, essere dato in pegno o essere oggetto di un altro diritto reale»;

     che il marchio d'impresa «può essere oggetto di licenza per la totalità o parte dei prodotti o dei servizi per i quali è stato registrato e per la totalità o parte del territorio di uno Stato membro. Le licenze possono essere esclusive o non esclusive» e inoltre che «Il titolare di un marchio d'impresa può far valere i diritti conferiti da tale marchio contro un licenziatario che trasgredisca una disposizione del contratto di licenza per quanto riguarda: (a) la sua durata, (b) la forma oggetto della registrazione nella quale si può usare il marchio di impresa, (c) la natura dei prodotti o servizi per i quali la licenza è rilasciata, (d) il territorio al cui interno il marchio d'impresa può essere apposto, (e) la qualità dei prodotti fabbricati o dei servizi forniti dal licenziatario»;

     che «gli Stati membri prevedono le registrazioni di marchi collettivi» la cui domanda di registrazione può essere depositata da «associazioni di fabbricanti, produttori, prestatori di servizi o commercianti che, conformemente al diritto loro applicabile, hanno la capacità, a proprio nome, di essere titolari di diritti e obblighi, di stipulare contratti o compiere altri atti giuridici e di stare in giudizio, nonché le persone giuridiche di diritto pubblico»;

    in materia di marchi collettivi, gli Stati membri, in deroga all'articolo 4, paragrafo 1, lettera c), «possono disporre che i segni o le indicazioni che, nel commercio, possono servire a designare la provenienza geografica dei prodotti o dei servizi costituiscano marchi collettivi.»;

    il codice della proprietà industriale vigente nell'ordinamento italiano (decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30) prevede:

     all'articolo 11 che «I soggetti che svolgono la funzione di garantire l'origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi, possono ottenere la registrazione per appositi marchi come marchi collettivi ed hanno la facoltà di concedere l'uso dei marchi esteri a produttori o commercianti.» e che «In deroga all'articolo 13, comma 1, un marchio collettivo può consistere in segni o indicazioni che nel commercio possono servire per designare la provenienza geografica dei prodotti o servizi.»;

     all'articolo 14 che «Il marchio d'impresa decade se sia divenuta idoneo ad indurre in inganno il pubblico, in particolare circa la natura, qualità o provenienza dei prodotti o servizi, a causa di modo e del contesto in cui viene utilizzato dal titolare o con il suo consenso, per i prodotti o servizi per i quali è registrato»;

     all'articolo 19 che «Anche le amministrazioni dello Stato, delle regioni, delle province e dei comuni possono ottenere registrazioni di marchio»;

     all'articolo 25 che «Il marchio può essere trasferito per la totalità o per una parte dei prodotti o servizi per i quali è stato registrato» e «può essere oggetto di licenza anche non esclusiva per la totalità o per parte dei prodotti o dei servizi per i quali è stato registrato e per la totalità o per parte del territorio dello Stato, a condizione che, in caso di licenza non esclusiva, il licenziatario si obblighi espressamente ad usare il marchio per contraddistinguere prodotti o servizi eguali a quelli corrispondenti messi in commercio o prestati nel territorio dello Stato con lo stesso marchio dal titolare o da altri licenziatari.»;

     il medesimo articolo prevede inoltre che «Il titolare del marchio d'impresa può far valere il diritto all'uso esclusivo del marchio stesso contro il licenziatario che violi le disposizioni del contratto di licenza relativamente alla durata; al modo di utilizzazione del marchio, alla natura dei prodotti o servizi per i quali la licenza è concessa, al territorio in cui il marchio può essere usato o alla qualità dei prodotti fabbricati e dei servizi prestati dal licenziatario.» e che «In ogni caso, dal trasferimento e dalla licenza del marchio non deve derivare inganno in quei caratteri dei prodotti o servizi che sono essenziali nell'apprezzamento del pubblico»;

    i diritti di proprietà industriale costituiscono, per tutte le tipologie di imprese, un asset di valore inestimabile da proteggere e tutelare con rigore e attenzione;

    ciò vale tanto più nel nostro Paese ove le peculiarità del sistema produttivo, formato da innumerevoli casi di eccellenza, di alta artigianalità, di qualità, di stile unici al mondo rendono il know how, la creatività, il tratto distintivo, la ricerca delle materie prime migliori i veri assi nella manica del successo internazionale delle produzioni nostrane;

    la forza dei marchi «made in Italy» è dimostrata anche dall'attenzione dedicata all'Italia dalla prestigiosa classifica BrandZ, realizzata per Wpp da Kantar Millward Brown, che da 12 anni edita la Top 100 mondiale dei marchi e, dal 2018, ha riservato una parte dell'analisi specifica proprio ai marchi italiani;

    la prima «Top30 Most Valuable Italian Brands» ha messo in luce la forza del «brand Italia» nel suo complesso, a cui tutto il mondo riconosce il primato nella creatività, nello stile, nella ricerca estetica e ha sottolineato che i marchi italiani si distinguono in Europa per l'attenzione alla sostenibilità sociale e ambientale e per la capacità di adattarsi ai nuovi mercati;

    negli ultimi anni molti marchi emblema d'italianità sono stati acquisiti da gruppi stranieri. Nel settore della moda, dei gioielli e della cosmetica vi sono i casi più noti: Versace è stato venduto agli americani di Michael Kors; Loro Piana, Pucci, Fendi, Bulgari e Acqua di Parma sono stati tutti acquisiti dal gruppo francese LVMH; Gucci, Bottega Veneta, Brioni e Pomellato sono stati acquisiti dal gruppo Kering; Valentino è di proprietà del fondo del Qatar Mayhoola; Krizia del gruppo cinese Marisfrolg;

    anche molte aziende di taglia media e piccola che operano in settori meno «popolari alle cronache» sono finite nel mirino di gruppi esteri, con l'aggravante in questi casi sono stati statisticamente più frequenti i comportamenti anomali da parte dei nuovi acquirenti, spesso a danno della qualità e dell'immagine del marchio, oltre che degli standard occupazionali garantiti dagli stabilimenti produttivi presenti sul suolo italiano. Nel settore metalmeccanico si ricordano Saeco, il marchio storico dei piccoli elettrodomestici e macchine da caffè emiliano fatta propria dalla multinazionale Philips, le Acciaierie di Piombino acquisita dal gruppo algerino Cervital, la Ercole Marelli di Sesto San Giovanni inglobata da Alstom, Piaggio Aerospace ceduto al fondo sovrano emirato Mubadala, le Acciaierie di Terni divenute parte del Gruppo tedesco Thyssen Krupp;

    anche nel settore alimentare, punta di diamante del tessuto produttivo italiano, le cessioni sono state numerose e rilevanti. Pernigotti e le vicissitudini con i nuovi proprietari turchi sono solo l'ultimo dei casi di cronaca, ma in passato sono stati numerosi gli eventi analoghi: Perugina venduta alla Nestlé, il gruppo francese Lactalis ha collezionato un vero e proprio portafoglio di brand italiani (Invernizzi, Cademartori, Locatelli, Vallelata e Parmalat), le tre maggiori etichette nel settore dell'olio – Bertolli, Carapelli e Sasso – fanno parte della scuderia della spagnola Deoleo, Birra Peroni insieme al marchio Nastro Azzurro sono state prima cedute al colosso sudafricano SABMiller, poi a loro volta trasferite ai giapponesi di Asahi, il pacchetto di marchi Star (Pummarò, Sogni d'oro, GranRagù Star, Risochef) sono ora di proprietà spagnola, Mellin è stato acquisito dagli olandesi e confluito poi sotto il cappello di Danone, Orzo Bimbo appartiene al ramo specializzato in nutrizione del gruppo svizzero Novartis, Plasmon è passato al colosso americano Heinz per poi essere ceduto alla Francia, la Fiorucci salumi al Gruppo messicano Campofrio Food Group, i brand piemontesi Caffè Hug e Splendid sono stati acquistati dalla multinazionale olandese del caffè Jacobs Douwe Egberts (JDE);

    la normativa vigente in materia di proprietà industriale non tiene conto delle particolari peculiarità presenti sul territorio italiano, in particolare non è riuscita fino ad oggi a recepire l'esistenza, e quindi a garantire adeguata tutela, ai marchi storici e indentitari presenti sul territorio italiano;

    il valore di un marchio storico, nato e cresciuto in un determinato territorio, che ha fatto di quelle radici parte della propria esclusività, creando un indotto economico, produttivo e occupazionale di alta specializzazione deve essere considerato parte integrante dell'identità, della storia e della cultura del nostro Paese e deve ricevere una tutela ad hoc, differente e ulteriore rispetto ai marchi standard, nella quale il fattore geografico-territoriale assuma una rilevanza fondamentale,

impegna il Governo:

1) nel pieno rispetto della libera iniziativa economica, ad adottare iniziative per introdurre, norme specifiche riguardo ai marchi storici indentitari, che garantiscano il rispetto del legame con il territorio ove questi siano stati prodotti per centinaia di anni anche in caso di cessione – ad operatori italiani o stranieri non rileva – di parte o della totalità dell'attività produttiva;

2) a promuovere una specifica classificazione dei marchi storici identitari italiani, anche con la collaborazione tecnica del Ministero dello sviluppo economico attraverso la direzione generale per la lotta alla contraffazione – ufficio italiano brevetti e marchi, e delle regioni italiane;

3) a promuovere la registrazione, su iniziativa del Ministero dello sviluppo economico, di un marchio collettivo identificato come «marchio storico italiano» da attribuire in via automatica ai marchi contenuti nel suddetto albo specifico, al fine di rafforzare l'elemento distintivo e la riconoscibilità di questi brand identitari;

4) ad adottare iniziative per prevedere in seno a Cassa depositi e prestiti spa, nell'ambito delle attività previste dai commi 7 e 8 dell'articolo 5 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, la creazione di un fondo «marchi storici indentitari italiani»;

5) ad adottare iniziative per prevedere che in caso di cessione di parte o della totalità della proprietà o della produzione legata a marchi storici indentitari italiani a nuovi proprietari, italiani o stranieri, lo stesso marchio venga automaticamente scorporato e trasferito – al medesimo valore economico stabilito da perizia asseverata effettuata in sede di compravendita – per i primi sette anni a Cassa depositi e prestiti spa, che lo concede con contratto di licenza a titolo gratuito al neo-proprietario dell'impresa, a condizione che esso rispetti i requisiti di natura, qualità o provenienza dei prodotti o servizi per i quali il marchio è registrato;

6) ad adottare iniziative per prevedere che allo scadere del settimo anno, il marchio possa essere riscattato al medesimo valore concordato in sede di compravendita;

7) ad adottare iniziative per prevedere che, qualora nel corso del settennato le strategie industriali dei nuovi proprietari si discostino dai requisiti di natura, qualità o provenienza dei prodotti o servizi per i quali il marchio è stato registrato, Cassa depositi e prestiti spa possa esercitare la revoca del contratto di licenza e il diritto di riscatto decada;

8) ad adottare iniziative per prevedere, in favore delle imprese proprietarie o licenziatarie di marchi storici identitari, un pacchetto di agevolazioni fiscali specifiche per spese e investimenti direttamente connessi alla produzione dei beni o servizi per i quali il marchio è registrato, in particolare in favore di attività volte alla valorizzazione produttiva e commerciale del marchio e dei prodotti/servizi ad esso correlati ovvero per attività volte al rafforzamento del marchio, alla sua estensione a livello comunitario e/o internazionale, nonché all'ampliamento della sua protezione mediante la registrazione dello stesso marchio in ulteriori classi di prodotti o servizi, coerentemente con l'oggetto sociale della piccola e media impresa richiedente l'agevolazione;

9) a sostenere con forza, in sede di notifica alla Commissione europea della normativa in questione ai sensi della direttiva 98/34/CE, la quale obbliga gli Stati membri a notificare alla Commissione europea i progetti di regolamentazioni tecniche prima che siano adottate nelle legislazioni nazionali, la necessità di rafforzare la tutela dei marchi storici indentitari e, in deroga alla disciplina generale, il legame con il territorio di origine, al fine di evitare che da eventuale trasferimento dei medesimi brand derivi inganno in quei caratteri dei prodotti o servizi che sono essenziali nell'apprezzamento del pubblico e, dunque, al fine della tutela dell'interesse nazionale, nonché della salute e della sicurezza pubblica.
(1-00125) «Porchietto, Gelmini, Barelli, Carrara, Squeri, Fiorini, Nevi, Pettarin».


   La Camera,

   premesso che:

    nel 2018 circa 150.000 persone sono entrate illegalmente nell'Unione europea. Si tratta della cifra più bassa degli ultimi 5 anni, come riferisce Frontex, l'agenzia europea per la gestione delle frontiere. Rispetto al 2017, il calo è stato circa del 25 per cento. Rispetto alla crisi migratoria del 2015, invece, è stato addirittura del 92 per cento. Sul dato incide «la drastica diminuzione» del numero delle persone che hanno attraversato il Mediterraneo per raggiungere l'Italia. Il numero di migranti che hanno attraversato il Mediterraneo centrale nel 2018 per raggiungere le coste italiane è infatti sceso dell'80 per cento rispetto al 2017;

    sulla base dei dati dell'Unhcr, nel 2018 sono giunti via mare sulle coste dell'Europa meridionale circa 111.000 migranti; nel medesimo periodo la rotta del Mediterraneo centrale (da Libia e altri Paesi del Nord Africa verso l'Italia) ha registrato circa 23.000 sbarchi (sulla base dei dati del Ministero dell'interno, circa la metà dalla Libia); la rotta del Mediterraneo orientale (dalla Turchia alla Grecia) ha coinvolto oltre 31.000 persone e quella del Mediterraneo occidentale (ovvero i flussi verso la Spagna) ha riguardato circa 55.000 persone, oltre agli sbarchi a Malta e a Cipro (rispettivamente, 1.000 persone e 600 persone);

    per la prima volta, in anni recenti, la Spagna è divenuta il principale punto d'ingresso in Europa. Negli ultimi anni la pressione migratoria, attraverso il Mediterraneo, sul confine Sud dell'Unione europea, ha colpito soprattutto l'Italia, che in questi anni ha rappresentato il luogo di primo approdo, con conseguenze di grande rilievo sia in termini di impegno nelle operazioni di salvataggio, coordinate quasi sempre dalla Guardia costiera italiana, che di identificazione, registrazione e trattamento delle domande di asilo, sia nelle capacità di accoglienza;

    giova ricordare che, proprio a seguito dell'azione politica di Forza Italia, che nella XVII legislatura ha fortemente voluto l'avvio presso il Comitato Schengen di una specifica indagine conoscitiva, il nostro Paese ha messo in pratica un nuovo protocollo sulla gestione dell'assistenza in mare, allontanando dalle coste della Libia le organizzazioni non governative che rappresentavano un oggettivo fattore di attrazione per le partenze di gommoni e barconi fatiscenti. È, quindi, opportuno proseguire con questo percorso e promuovere la regolamentazione, in modo chiaro e definitivo, in particolare a livello europeo, dei limiti operativi delle attività consentite alle organizzazioni non governative che operano nel Mediterraneo;

    occorre ribadire come la questione migratoria abbia rilevanza europea e, pertanto, necessita di azioni condivise a livello comunitario, a cominciare dalla lotta alla migrazione illegale attraverso l'intensificazione della cooperazione con i Paesi di origine e di transito, in particolare dell'Africa settentrionale;

    in tema di facilitazione dei rimpatri, lo stesso Consiglio europeo ha sottolineato la necessità di migliorare l'attuazione degli accordi di riammissione vigenti e di concluderne di nuovi anche utilizzando le necessarie leve «mediante il ricorso all'insieme delle politiche, degli strumenti e dei mezzi pertinenti dell'Unione europea, compresi lo sviluppo, il commercio e i visti»;

    il XXIV rapporto Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità) sulle migrazioni ha rilevato un aumento, nel 2018, degli stranieri irregolari, cioè quelli che non hanno permesso di soggiorno, che sono circa 533 mila, con un'incidenza dell'8,7 per cento rispetto al totale degli stranieri (nel 2017 l'incidenza era dell'8,2 per cento);

    il tema degli irregolari presenti nel Paese è fortemente critico: anni di scelte politiche del tutto sbagliate in tema di immigrazione da parte dei Governi di centrosinistra hanno di fatto prodotto un flusso migratorio irregolare del tutto incontrollato, che ha portato il numero dei clandestini presenti nel Paese a crescere in maniera esponenziale. Per questo è fondamentale intensificare le politiche di rimpatrio ed espulsione, che sino ad ora non hanno ottenuto grandi risultati, o comunque non hanno raggiunto gli obiettivi che l'attuale Esecutivo si era prefissato. Sarà, quindi, necessario adottare gli opportuni strumenti legislativi che consentano effettivamente di rimpatriare le centinaia di migliaia di persone che illegalmente continuano a sostare in Italia, senza titolo per rimanervi;

    per quanto riguarda le espulsioni nel nostro Paese, infatti, sempre i recenti dati Ismu indicano in 36 mila gli stranieri che hanno ricevuto il decreto che intima di lasciare l'Italia, ma solo il 19,4 per cento ha ottemperato all'ordine (per oltre 4 mila di questi si è trattato di un rimpatrio forzato). Tali dati collocano l'Italia al quinto posto in Europa dopo Germania, Francia e Regno Unito;

    in tema di collaborazione europea, va inoltre rilevato come al momento non risultano progressi significativi nel negoziato per la modifica delle regole di ingaggio dell'operazione Eunavformed Sophia;

    inoltre, sul piano internazionale, è stato recentemente al centro del dibattito in tema di politiche migratorie il Global Compact, ovvero il «Patto globale per una migrazione sicura, ordinata e regolare», sottoscritto in sede Onu il 5 agosto 2016; il Global Compact, affrontando in maniera teorica e generale tutti gli aspetti dell'immigrazione, contiene molti impegni che potrebbero rendere ancora più forte la pressione migratoria sul nostro Paese. Nello specifico, il patto conferisce ad ogni persona il diritto di migrare, indipendentemente dalle ragioni che la spingono a spostarsi, con la conseguenza che i migranti diventerebbero una massa indistinta e verrebbe a cadere lo stato di rifugiato, rendendo, dunque, irrilevante anche l'articolo 10 del dettato costituzionale. Ci sono, inoltre, indicazioni che potrebbero rilanciare le iniziative delle organizzazioni non governative nel Mediterraneo, con riflessi positivi per i trafficanti di persone ed estremamente negativi per un Paese come l'Italia, che ha già accolto un numero enorme di immigrati;

    pur comprendendo la necessità di un intervento di natura internazionale, certamente urgente, si ritiene insuperabile la tutela dei confini italiani e l'affermazione del ruolo e dell'interesse nazionale;

    per molti aspetti, il Global Compact, per l'interpretazione che se ne sta dando a livello interno e internazionale, costituirebbe, di fatto, un incoraggiamento a politiche di accoglienza indiscriminate, da un lato, e di esodo generalizzato, dall'altro;

    ad ogni modo, sempre in ambito europeo ed internazionale, deve essere l'Unione europea in primis a proseguire l'interlocuzione con i Paesi di provenienza e transito dei flussi migratori, al fine di ridurre al minimo i fattori che costringono le persone a lasciare il proprio Paese di origine, in particolare favorendo quelle azioni volte a creare favorevoli condizioni politiche, economiche, sociali e ambientali che consentano a ciascuno di soddisfare le proprie aspirazioni personali ed economiche nel proprio Paese di origine, evitando la ricerca di mezzi di sostentamento altrove, attraverso la migrazione irregolare;

    entro il 2050 un quarto di tutta la popolazione mondiale risiederà nel continente africano, pertanto l'Europa non può non interessarsi delle condizioni di crescita dell'area. La crescita economica e lo sviluppo infrastrutturale del continente africano diventano fondamentali nell'ambito della riduzione dei flussi migratori. In tale contesto, giova ricordare come, grazie al Presidente del Parlamento europeo, Tajani, l'Europa abbia adottato, con il Piano europeo per gli investimenti esterni, il Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile, che, con una dotazione di 4,1 miliardi di euro, cercherà di mobilitare 44 miliardi di euro in investimenti privati verso Stati «fragili», fino al 2020;

    va ricordato che la Cina è attualmente il maggiore investitore in Africa (circa 125 miliardi di dollari nell'ultimo decennio) e ha programmato investimenti per una cifra corrispondente a 60 miliardi di dollari nei prossimi tre anni. Pure gli investimenti degli Stati Uniti, dall'inizio degli anni 2000 ad oggi nel continente africano, ammontano a circa 75 miliardi di dollari. Da un punto di vista geopolitico, sia la Federazione russa, sia la Turchia stanno rafforzando sempre più la propria presenza strategica in Africa, con particolare riguardo al settore militare e della difesa;

    con particolare riferimento al fenomeno dell'immigrazione irregolare legata a fenomeni di criminalità, si segnala l'evidente rafforzamento delle organizzazioni criminali nigeriane, caratterizzate da legami iniziatici tra gli affiliati, catene di comando rigide e gerarchiche e dalla capacità oramai acquisita di approvvigionarsi direttamente dai mercati internazionali della droga. La cosiddetta «mafia nigeriana», giunta a fare concorrenza alle mafie nostrane, o addirittura a collaborare con esse per spartirsi il territorio, è coinvolta in prostituzione, traffico di esseri umani, traffico di droga e finanche traffico di organi (il più delle volte, espiantati da uomini e donne giunti in Italia via mare, e poi scomparsi nel nulla): una delle sue basi operative è Castel Volturno, dove indaga persino l'Fbi, nell'ambito di una vastissima inchiesta su numerosi traffici illeciti,

impegna il Governo:

1) a promuovere un impegno fattivo e responsabile degli Stati dell'Unione europea, volto a stipulare accordi bilaterali da parte dell'Europa con i Paesi di origine e di transito per interrompere i flussi migratori e per il rimpatrio dei clandestini, anche attraverso lo sviluppo di una politica di cooperazione volta a sostenere lo sviluppo economico e l'occupazione in questi territori, al fine di proteggere le frontiere terrestri, prevenire le partenze in mare e contrastare i trafficanti di uomini;

2) a promuovere opportune iniziative volte all'arresto dei flussi all'origine, prima che partano i viaggi, mediante la creazione di centri europei di assistenza, informazione e protezione nei Paesi di origine o di maggiore transito, con procedure rispettose dei diritti fondamentali, anche con il supporto di Unhcr e Oim;

3) ad assumere iniziative per a mettere in atto un vero e proprio «Piano Marshall per l'Africa», come indicato nel programma di Forza Italia, adottando robuste politiche di investimento, attraverso la creazione di un apposito fondo europeo per il sostegno dell'Africa, attingendo dalla programmazione del quadro finanziario 2021-2027, che integri le dotazioni e le iniziative esistenti, e coinvolgendo in partnership le imprese dei Paesi europei che vogliano contribuire attraverso propri veicoli d'investimento;

4) a ribadire la necessità di procedere a una revisione del sistema di Dublino, volta ad ottenere una più equa distribuzione dei richiedenti asilo in Europa, che preveda una ripartizione proporzionale dei migranti ancora in arrivo, presso tutti i Paesi dell'Unione europea, modificando il criterio della responsabilità dell'esame della domanda in capo allo Stato membro di ingresso del richiedente;

5) ad adottare ogni opportuna iniziativa volta a contrastare il fenomeno dell'immigrazione clandestina in Italia, attraverso specifici interventi diretti a ridurre il numero di irregolari presenti nel nostro Paese, potenziando le politiche di rimpatrio ed espulsione;

6) ad assumere iniziative per rafforzare, in modo concreto e attraverso specifici accordi e un'adeguata copertura finanziaria, le politiche di rimpatrio, prevedendo responsabilità e condizioni comuni per il rimpatrio volontario e forzato, la detenzione e le scadenze, includendo anche queste dotazioni finanziarie nei maggiori oneri per la gestione del fenomeno migratorio da rivendicare nei confronti dell'Unione europea;

7) a promuovere un intervento decisivo volto a rafforzare le frontiere esterne dell'Unione, attraverso l'intensificazione dei controlli di frontiera sia in mare che a terra nel Mediterraneo meridionale, sul Mar Egeo e lungo la «rotta balcanica», fornendo adeguato sostegno agli Stati membri in prima linea, assicurando la ricollocazione e il rimpatrio dei migranti e la costituzione di punti di crisi (hotspot) nei Paesi di provenienza, definendo un approccio comune europeo per la gestione del flusso dei rifugiati e dei migranti economici;

8) a promuovere la concreta apertura di corridoi umanitari di accesso in Europa, ossia di misure di evacuazione dei destinatari della protezione – anche attraverso l'utilizzo di mezzi aerei – per garantire canali di accesso legali, sicuri e controllati attraverso i Paesi di transito ai rifugiati che scappano da persecuzioni, guerra e conflitti, per evitare che essi debbano affidarsi a trafficanti e scafisti per raggiungere il territorio dell'Unione europea, e porre fine così alle stragi in mare;

9) a promuovere in sede europea interventi per integrare e rilanciare il «piano Frattini» elaborato nel 2004, rilanciato dallo stesso Junker, per offrire concretezza ad iniziative quali l'elaborazione di una lista dei Paesi sicuri, l'effettiva applicazione della European return directive, la definizione di un database degli overstayer, l'implementazione di strumenti quali la circolar migration e la blue card;

10) ad adottare iniziative per accelerare il rafforzamento di Frontex e l'implementazione di un'efficiente Guardia costiera europea e con maggiori dotazioni di uomini e di mezzi, per fornire all'Unione europea uno strumento efficace per il contrasto alle reti criminali di trafficanti di essere umani;

11) ad assumere iniziative per sostenere ulteriormente lo sviluppo e la formazione degli uomini e della capacità della Guardia costiera libica di fermare le imbarcazioni in partenza e di fermare l'attività dei contrabbandieri, quale elemento chiave per prevenire la migrazione illegale, assumendo iniziative per la definizione di analoghi accordi per estendere tale attività di formazione e sostegno alla Guardia costiera tunisina e a quella egiziana;

12) a promuovere la regolamentazione, in modo chiaro e definitivo, a livello europeo, dei limiti operativi delle attività consentite alle organizzazioni non governative che operano nel Mediterraneo; in ogni caso, a proseguire con una politica di razionalizzazione della presenza delle organizzazioni non governative, conformandosi ad obblighi e requisiti per lo svolgimento dei compiti di «search and rescue (sar)», nel rispetto delle forme di accreditamento e certificazione ai fini della massima trasparenza, nella piena collaborazione con le autorità italiane e consentendo l'intervento tempestivo della polizia giudiziaria contestualmente al salvataggio da parte delle organizzazioni non governative;

13) ad assumere iniziative per coordinare a livello europeo le operazioni di ricerca e salvataggio nel pieno rispetto del diritto internazionale e delle responsabilità degli Stati, adottando un nuovo schema di sbarco regionale in tutte le nazioni europee che si affacciano verso il Sud Europa, che consenta una rapida distinzione tra migranti economici e coloro che necessitano di protezione internazionale, riducendo l'incentivo a intraprendere viaggi pericolosi, facendo in modo che l'Unione europea sostenga economicamente tutti gli aspetti che gravano sugli Stati membri nella valutazione della domanda di asilo e nei rimpatri conseguenti all'esito negativo;

14) ad assumere iniziative affinché si pervenga a concreti risultati nel negoziato per la modifica delle regole di ingaggio dell'operazione Eunavformed Sophia, prevedendo la possibilità di diversificare i porti di sbarco dei migranti salvati in mare dalle navi militari comunitarie, senza far ricadere solo sull'Italia il peso dell'accoglienza;

15) a non sottoscrivere il Global Compact;

16) a monitorare i fenomeni di criminalità che coinvolgono in particolare gli immigrati irregolari e ad assumere ogni opportuna iniziativa volta a rafforzare le attività di indagine e contrasto, con particolare attenzione all'insorgere di fenomeni criminosi legati alla cosiddetta «mafia nigeriana», valutando altresì un potenziamento dei presidi delle forze dell'ordine nei luoghi più a rischio, che, ad oggi, sono al di fuori del controllo delle istituzioni democratiche, nei quali il continuo afflusso di immigrazione irregolare, controllata e favorita dalla stessa mafia nigeriana e da altre organizzazioni minori di diversa nazionalità, determinano crescenti problemi di sicurezza e ordine pubblico.
(1-00126) «Ravetto, Silli, Gregorio Fontana, Prestigiacomo, Occhiuto, Bergamini».


   La Camera,

   premesso che:

    nel mese di gennaio 2019 sono state immatricolate in Italia 164.935 autovetture, il 7,5 per cento in meno rispetto a gennaio 2018 (elaborazioni dell'Associazione nazionale filiera industria automobilistica su dati del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti). Il gruppo Fiat Chrysler automobiles (incluso Maserati) registra un calo tendenziale del 22 per cento nel mese, con volumi che si attestano a 40 mila nuove registrazioni con il 24 per cento di quota. Sono tre i modelli italiani tra i primi dieci di gennaio 2019: Fiat Panda (14.552 unità) al primo posto, seguita da Lancia Ypsilon (6.606) in seconda posizione e Fiat 500X (3.410) all'ottavo. A gennaio 2019 si registra un calo pesante delle immatricolazioni di auto diesel –31,4 per cento su gennaio 2018 e il 41,1 per cento di quota di mercato. Le vendite di auto a benzina raggiungono il 45,3 per cento di quota e quelle ad alimentazione alternativa si attestano al 13,7 per cento, di cui lo 0,4 per cento auto a zero o a bassissime emissioni (complessivamente quasi 900 unità);

    dati dell'Associazione nazionale filiera industria automobilistica dicono che nel 2018 il 79 per cento delle autovetture elettriche è stato immatricolato in sole 4 regioni: Trentino-Alto Adige, con una quota del 39 per cento, Toscana (19 per cento), Lombardia (12 per cento) e Lazio (9 per cento). Le due province con il maggior numero di auto elettriche immatricolate nel 2018 sono Trento (1.633) e Firenze (886), intestate per il 95 per cento a società di noleggio;

    l'Italia è il Paese europeo con la più alta presenza di auto con motori a carburante alternativo, gpl e metano, ma con la più bassa di auto elettriche. Il sistema Paese deve recuperare una sinergia tra le politiche energetiche e quelle industriali per incentivare le scelte industriali del prossimo futuro. L'Italia non può rimanere fuori dalla sfida sulle batterie e sui sistemi di accumulo, avendo il know-how di Terna, la società a controllo pubblico che gestisce la rete ad alta tensione nel nostro Paese;

    lo sviluppo dell’e-mobility rappresenta un fattore importante di sviluppo della filiera industriale nazionale, in particolare in settori quali la componentistica dei veicoli, la carrozzeria e gli interni, le apparecchiature di carica, la rete elettrica, il riciclo e la seconda vita delle batterie;

    il 5 febbraio 2019, nell'ambito degli Industry Days 2019, è stata lanciata la nuova piattaforma europea per la tecnologia e l'innovazione sulle batterie, con l'obiettivo di costruire un consorzio europeo che possa ritagliarsi un proprio spazio di mercato in un settore che, attualmente, vede lanciatissime le aziende asiatiche: quelle cinesi in primis, come Byd e Catl (che aprirà una fabbrica di batterie in Germania per rifornire costruttori tedeschi del calibro di Bmw, Mercedes e Volkswagen), la giapponese Nec e le coreane Samsung e Panasonic, che collabora con l'americana Tesla;

    il direttore generale del dipartimento energia della Commissione europea, Dominique Ristori, ha dichiarato: «L'Unione europea non vuole solo essere un consumatore di batterie, ma vuole diventare un leader di mercato, un settore che vale fino a 250 miliardi di euro entro il 2025. Per questo, la chiave è la ricerca e l'innovazione e sono convinto che questa nuova piattaforma farà in modo che l'Europa diventi un leader mondiale nelle batterie e nello stoccaggio. L'interesse economico in gioco è enorme e il ruolo e l'importanza di queste tecnologie aumenteranno significativamente in futuro. Per essere all'avanguardia di questa rivoluzione, dobbiamo consolidare le basi industriali per le batterie nel nostro continente, comprese tutte le tecnologie delle batterie»;

    secondo l'agenzia di stampa Reuters, la Francia investirà 700 milioni di euro (790 milioni di dollari) nei prossimi cinque anni in progetti per rafforzare l'industria europea delle batterie per auto elettriche e ridurre la dipendenza dei produttori automobilistici dai rivali asiatici dominanti. Questo piano è la risposta francese all'annuncio tedesco, arrivato nel novembre 2018, relativo ad investimenti per 1 miliardo di euro (in due tranche da 500 milioni) per la costruzione di una fabbrica di batterie in Germania. Non sono escluse iniziative e investimenti comuni tra Francia e Germania secondo le fonti citate da Reuters;

    al fine di orientare le scelte dei consumatori verso l'acquisto di automobili più green, così da contribuire al contenimento dell'innalzamento della temperatura globale e alla lotta contro i cambiamenti climatici, con la legge di bilancio per l'anno 2019, il Governo ha introdotto un meccanismo di bonus-malus grazie al quale riconosce sconti nel caso di acquisto di automobili nuove a basse emissioni e, viceversa, impone il versamento di un'ecotassa in caso di acquisto di auto nuove inquinanti;

    i commi dal 1031 al 1047 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (legge di bilancio per l'anno 2019), prevedono disincentivi, sotto forma di imposta, per l'acquisto di autovetture nuove con emissioni di anidride carbonica superiori ad una certa soglia (crescenti al crescere del livello di emissioni) e contestualmente incentivi, sotto forma di sconto sul prezzo, per l'acquisto di autovetture nuove a basse emissioni. La medesima legge prevede, inoltre, l'accesso gratuito per i veicoli a propulsione elettrica o ibrida nelle zone a traffico limitato;

    il 13 febbraio 2019, il Ministro dello sviluppo economico, nel rispondere all'interrogazione a risposta immediata in Assemblea (n. 3-00513) sul tema, ha dichiarato che la misura bonus-malus introdotta nella legge di bilancio «da un lato ha lo scopo di tutelare l'ambiente e di conseguenza la salute dei cittadini, dall'altro dà il via ad una nuova filiera della produzione di veicoli, sviluppando un nuovo modello di mobilità»;

    l'amministratore delegato di Fca, Mike Manley, aveva annunciato il 29 novembre 2018 un piano di investimenti da 5 miliardi di euro nel nostro Paese per il periodo dal 2019 al 2021, con l'obiettivo, tra le altre cose, di sviluppare nuovi modelli con motorizzazioni elettriche e ibride per colmare il gap con le industrie estere, al momento molto più avanti nella produzione di queste autovetture. Dopo la legge di bilancio, Manley ha fatto sapere che il piano verrà rivisto. Questo perché la misura del bonus-malus non è stata condivisa con chi dovrebbe concretamente sviluppare il nuovo modello di mobilità a cui fa riferimento il Ministro;

    se, come detto, ad essere avvantaggiate saranno le case automobilistiche estere, verranno invece penalizzate le produzioni di Cassino (Stelvio B e Giulia 2.0 B), Atessa (Ducato B), Grugliasco (Maserati Ghibli e 4P B e D), Modena (Maserati Gran Turismo e Gran Cabrio B e D), Melfi (500 X 2000 D e Renegade 2000 D), Mirafiori (Maserati Levante), con ulteriori rischi per la già critica situazione occupazionale del settore. Solo per citare una delle criticità, a Termini Imerese quasi 900 lavoratori (circa 600 Blutec e circa 300 indotto) sono in attesa da dicembre 2018 della proroga della cassa integrazione e di notizie sul rilancio della fabbrica,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per modificare la norma sul bonus-malus introdotta con la legge di bilancio per il 2019;

2) a prevedere un piano di politica industriale che, d'intesa con i soggetti imprenditoriali, le organizzazioni sindacali e gli enti locali, facendo leva sulle già estese competenze che ci sono sul territorio, consenta ad una delle maggiori industrie del Paese di essere protagonista della mobilità del futuro;

3) a prevedere un piano di incentivi che investa sulla ricerca e sulle numerose competenze ed eccellenze nell'ambito manifatturiero e tecnologico connesse alla mobilità elettrica.
(1-00127) «Epifani, Bersani, Fornaro».


   La Camera,

   premesso che:

    nei prossimi anni il settore dell’automotive dovrà mostrare la sua capacità di raccogliere le sfide legate ai grandi cambiamenti che lo attendono: elettrificazione e guida autonoma, insieme al diffuso calo delle vendite delle auto diesel, impongono scelte coraggiose, in particolare a livello economico-produttivo;

    il mercato dell’automotive, sia in Italia che in Europa, sembra avviato ad una crescita limitata a causa di tre fattori principali: un diverso manifestarsi della domanda, sia quantitativo che qualitativo, in primo luogo per l'evoluzione delle preferenze dei consumatori, l'introduzione di nuove tecnologie di powertrain e il mutamento dei modelli di mobilità urbana, una riduzione delle esportazioni dovuta alla crescita della produzione interna dei Paesi un tempo importatori (come, ad esempio, la Cina), un rischio concreto che le schermaglie commerciali tra Usa, Cina ed Europa diano luogo all'introduzione di dazi in grado di danneggiare significativamente l'economia europea. Il terzo fattore, sebbene sia legato a contingenze potenzialmente destinate a perdurare per un periodo di tempo circoscritto, avrebbe comunque un effetto immediato sulla struttura dell'industria, dalle conseguenze non facilmente reversibili;

    i primi due fattori sono, invece, di tipo strutturale e rappresentano, quindi, l'elemento al quale è necessario fare riferimento per una lettura dei dati di produzione in chiave strategica;

    in particolare, il calo della produzione di auto dei Paesi europei, che nelle statistiche si posizionano nei primi posti, rischia di essere dirompente sulle loro economie. Osservando le prime dieci posizioni nella geografia produttiva europea del 2017, i Paesi più esposti sono chiaramente quelli che hanno beneficiato dello spostamento sull'asse produttivo della Germania. Spagna (2,29 milioni di vetture), Francia (1,67 milioni di vetture), Regno Unito (1,67 milioni di vetture) e Italia (0,74 milioni di vetture) producono complessivamente 6,37 milioni di vetture. La Germania da sola ne produce 5,64 milioni, con Repubblica ceca (1,4 milioni di vetture), Slovacchia (0,95 milioni di vetture), Polonia (0,5 milioni di vetture), Ungheria (0,4 milioni di vetture) e Romania (0,36 milioni di vetture) si arriva a 9,25 milioni di vetture;

    secondo i dati forniti dall'Associazione nazionale filiera industria automobilistica, in un report pubblicato nel mese di settembre 2018, la domanda mondiale di autoveicoli dal 2007 al 2017 è aumentata del 35 per cento, passando da 72 milioni di unità a 97 milioni grazie alla forte crescita (+129 per cento) del mercato in Brasile, Russia, India e Cina, Paesi che hanno raggiunto il 38 per cento delle vendite mondiali (era il 23 per cento nel 2007), pari quindi a 15 punti in più;

    purtroppo, dall'inizio del 2018 questo trend positivo si è interrotto e la vendita extra-Unione europea solo delle vetture italiane è diminuita dell'11,1 per cento circa, a causa di un significativo crollo della domanda cinese;

    tuttavia, l'Italia, assorbita la drammatica diminuzione della produzione rispetto agli alti livelli registrati agli inizi degli anni ’90, è oggi meglio posizionata degli altri Paesi europei proprio per il fatto di avere una capacità produttiva (di auto) più limitata e per un graduale spostamento verso produzioni di fascia più alta, potenzialmente foriere di maggiori margini unitari e migliori opportunità di innovazione/riconversione tecnologica;

    le scelte di politica industriale nel nostro Paese dovranno indirizzarsi in maniera chiara ed inequivocabile su infrastrutture di ricarica e sugli incentivi che promuovano un cambio di paradigma dell'intera filiera automotive verso soluzioni e business più sostenibili;

    negli ultimi dieci anni, le emissioni di gas a effetto serra in Europa sono diminuite significativamente in tutti i settori dell'economia, anche in relazione alla crisi economico-finanziaria globale, con l'unica eccezione dei trasporti che ad oggi rimangono il primo settore per emissioni di gas a effetto serra in Europa, superando persino il settore elettrico;

    nell'ambito dell'Accordo di Parigi (Cop21) del 2015, l'Europa ha adottato una nuova strategia di decarbonizzazione, impegnandosi a ridurre drasticamente le proprie emissioni entro il 2050;

    secondo il rapporto How to decarbonise European transport by 2050, pubblicato dall’European federation for transport and environment, la decarbonizzazione del settore dei trasporti porterebbe ad una serie di conseguenze positive per gli oltre 500 milioni di cittadini europei;

    l'Italia, con solo lo 0,5 per cento di market share per immatricolazioni di auto elettriche e ibride plug-in nel 2018, resta significativamente indietro rispetto ad altri Paesi europei (i Paesi Bassi sono già al 9 per cento di share) nella transizione verso una mobilità a zero emissioni;

    consapevoli delle complessità e delle difficoltà attuali che si stanno affrontando per poter accelerare un modello di mobilità eco-sostenibile sollecitato anche dai nuovi regolamenti europei sulle emissioni di anidride carbonica dei veicoli, il Governo ha ritenuto di introdurre la misura di un bonus per l'acquisto di veicoli elettrici nella legge di bilancio per il 2019 e misure di sostegno a investimenti nelle infrastrutture di ricarica elettrica, promuovendo, il settore automotive anche attraverso il rifinanziamento e il potenziamento, fra gli altri, degli incentivi previsti dalla «nuova Sabatini» e quelli relativi al «iper-ammortamento»;

    con la legge di bilancio per il 2019 è stato, infatti, potenziato lo strumento dell'iper-ammortamento, disponendone la proroga per il 2019 e aumentando, nell'ambito di una rimodulazione complessiva, la maggiorazione al 170 per cento per gli investimenti, fino a 2,5 milioni di euro;

    per quanto riguarda il profilo degli interventi a sostegno delle imprese, si ricorda il rifinanziamento della «nuova Sabatini», con la quale è stato previsto uno stanziamento di 480 milioni di euro al fine di agevolare l'accesso al credito delle piccole e medie imprese per interventi, tra gli altri, di digitalizzazione dei processi aziendali e ammodernamento tecnologico degli impianti. Tale strumento, congiuntamente alle altre iniziative del Governo, permetterà di introdurre, a partire dal 2019, circa 8 miliardi di euro nell'economia reale: al riguardo, giova evidenziare che il 2018 ha segnato l'inizio di una svolta tecnologica e motoristica nel settore automotive, non solo infatti auto elettriche e ibride ma investimenti che porteranno ad un rilancio dell'innovazione con le nuove tecnologie per la guida autonoma, l’infotainment e il motorsport. Si tratta di una rivoluzione automotive 3.0 che farà del 2019 l'anno delle grandi sfide anche sul piano tecnologico. Quasi tutte le case automobilistiche major hanno presentato infotainment compatibile con smartphone e accessori personali e anche su questo fronte le misure e gli incentivi introdotti dalla legge di bilancio per il 2019 possono contribuire ad un'importante riconversione della produzione italiana;

    per quanto poi concerne il bonus per l'acquisto di auto elettriche, introdotto dall'articolo 1, commi 1031-1038, della legge n. 145 del 2018 (legge di bilancio per il 2019), all'esito del confronto con gli operatori economici e con le associazioni dei consumatori, al fine di contemperare al meglio tutti gli interessi coinvolti, si prevedono delle agevolazioni per i veicoli a basse emissioni di anidride carbonica nuovi di fabbrica, immatricolati nel periodo dal 1° marzo 2019 al 31 dicembre 2021, acquistati, anche in locazione finanziaria, da parte di tutte le categorie di acquirenti, con prezzo risultante dal listino prezzi ufficiale della casa automobilistica produttrice inferiore a 50.000 euro Iva esclusa. È in corso l'adozione del decreto attuativo della suddetta misura, che ne disciplinerà l'erogazione;

    il sopra citato bonus è teso a rinnovare il parco circolante nel Paese favorendo la rottamazione di veicoli vecchi e l'acquisto di mezzi a basse emissioni inquinanti e a stimolare il cambiamento necessario a garantire la competitività futura di un settore chiave per l'economia italiana come quello dell'auto. Ciò consentirà di riconvertire gradualmente l'intero indotto che fa capo all’automotive, primo fra tutti quello della produzione di batterie che, nei prossimi mesi, diventerà strategico per il lancio definitivo della mobilità elettrica nei Paesi europei. È un settore nel quale l'Italia potrebbe diventare leader all'interno dell'Unione europea, incrementando la produzione e investendo in ricerca per la realizzazione di sistemi di accumulo più potenti, efficienti, duraturi e meno inquinanti;

    in base alle dinamiche del mercato, è ipotizzabile che i bonus disponibili consentiranno di raddoppiare le vendite di auto incentivate, che dunque potrebbero sfiorare, a fine 2019, le 18 mila unità. Di queste è prevedibile che il 30 per cento dovrebbe essere accompagnato dalla rottamazione di un'auto fino a Euro 4. Sulla base delle proiezioni, il Governo si attende un saldo positivo di quasi 14 milioni di euro, parte dei quali (fino a 5 milioni) serviranno a coprire le detrazioni per l'installazione di colonnine elettriche e wall box in aree private;

    il Governo sta già sostenendo progetti di ricerca e sviluppo finalizzati sia alla riconversione delle motorizzazioni del gruppo Fca verso l'ibrido e l'elettrico, sia attraverso lo strumento degli accordi di programma, la produzione di vetture più ecologiche;

    in questo contesto si segnala la definizione di altre proposte di programmi d'investimento sulla materia, attualmente in corso di negoziazione ovvero: Toward electrification – sviluppo di prodotti e di processi per l'industrializzazione di una nuova gamma di macchine elettriche –, E-Smart 4.0. – nuova generazione di pneumatici per autoveicoli e biciclette capaci di rispondere alle nuove sfide poste dall'evoluzione tecnologica automotive che metterà in campo nuovi veicoli elettrici e veicoli a guida autonoma (Pirelli Milano) –, Battery swapping eco-system per la «sostituzione delle batterie»;

    in relazione al gruppo Fca il Ministero dello sviluppo economico ha un'interlocuzione in corso: è stata approvata nel dicembre 2018 (Ministero dello sviluppo economico e regioni Piemonte, Abruzzo, Campania e provincia autonoma di Trento) la riformulazione di uno dei progetti finalizzato a maggiormente sostenere le nuove attività di ricerca e sviluppo sulle motorizzazioni ibride ed elettriche. Ciò anche in coerenza con le linee del Governo e a supporto del nuovo piano industriale presentato da Fca a fine novembre 2018, a salvaguardia degli investimenti previsti. Tale riformulazione ha permesso a Fca di presentare al soggetto gestore per l'approvazione tutti e quattro i progetti definitivi, finanziati con risorse del Fondo crescita sostenibile. La valutazione positiva da parte del soggetto gestore sulla valenza tecnologica dei progetti sarà prodromica all'emanazione da parte del Ministero dello sviluppo economico del decreto di concessione del contributo;

    l'11 dicembre 2018 presso il Ministero dello sviluppo economico si è tenuto il primo incontro, presieduto dal Ministro Di Maio, del tavolo dedicato al settore dell'auto finalizzato ad instradare un percorso costruttivo e collaborativo con tutti gli stakeholder (produttori e consumatori) del settore per l'elaborazione di una strategia unitaria,

impegna il Governo:

1) a proseguire sul percorso iniziato con le associazioni di categoria, le parti sociali e le case produttrici, anche attraverso l'istituzione del citato tavolo sull’automotive, per sostenere l'intera filiera nazionale nel passaggio a produzioni sempre più ecologiche, in coerenza con gli obiettivi europei e le esigenze dei cittadini, anche favorendo la realizzazione degli investimenti necessari e la progressiva conversione degli impianti industriali, al fine di evitare la contrazione della produzione e i conseguenti impatti negativi sui livelli occupazionali dell'intero comparto;

2) a porre in essere ogni iniziativa utile ad accelerare il rinnovo del parco macchine in circolazione con mezzi ad alta efficienza, prevedendo, nella fase transitoria e in aggiunta agli incentivi già previsti ai sensi dell'articolo 1, commi 1031-1038 della legge n. 145 del 2018 (legge di bilancio per il 2019), aiuti alla rottamazione dei veicoli di categoria Euro 3 o inferiore per favorire l'acquisto di autovetture usate di categoria Euro 5 e superiori, tenendo in considerazione le esigenze degli acquirenti finali con redditi più bassi;

3) a valutare l'opportunità di inserire nel decreto interministeriale di attuazione del sopra citato bonus per l'acquisto di veicoli elettrici ed ibridi, di prossima emanazione, la previsione di un meccanismo di finestre temporali nel corso dell'anno per valutare l'andamento temporale dell'assorbimento delle risorse che tenga conto, tra le altre, dell'esigenza delle case costruttrici di implementare la propria produzione di modelli incentivabili.
(1-00128) «Vallascas, Andreuzza, Sut, Bazzaro, Alemanno, Binelli, Berardini, Colla, Carabetta, Dara, Cassese, Patassini, De Toma, Pettazzi, Giarrizzo, Piastra, Masi, Orrico, Papiro, Paxia, Rizzone, Scanu, Rachele Silvestri».


   La Camera,

   premesso che:

    il codice della strada (decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285) statuisce, all'articolo 1, comma 3, che «al fine di ridurre il numero e gli effetti degli incidenti stradali e in relazione agli obiettivi e agli indirizzi della Commissione europea, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti definisce il Piano nazionale per la sicurezza stradale»;

    l'articolo 32 della legge 17 maggio 1999, n. 144, ha istituito un primo piano nazionale della sicurezza stradale (Pnss), definendone ambito, articolazione, strumenti attuativi e linee guida;

    questo primo Pnss, sviluppato per il periodo 2001-2010, assumeva, sulla base delle indicazioni della Commissione europea, l'obiettivo di ridurre del 50 per cento entro il 2010, il numero delle vittime di incidenti stradali;

    la Commissione europea ha suggerito a tutti i Paesi membri, con il documento «Towards a European road safety area: policy orientations on road safety 2011-2020 – COM (2010) 389», l'obiettivo di ridurre di un ulteriore 50 per cento il numero delle vittime rispetto ai dati rilevati nell'anno 2010;

    nel mese di marzo del 2014, sulla base delle indicazioni della Commissione europea, è stato approvato il nuovo «Piano nazionale della sicurezza stradale (Pnss) Orizzonte 2020»;

    questo secondo Pnss, ponendosi in continuità con quello adottato per il precedente decennio, ha adottato l'obiettivo generale definito dalla Commissione, impegnandosi a ridurre il numero dei morti del 50 per cento in dieci anni rispetto al dato 2010;

    i dati pubblicati nel 2018 da polizia stradale e comando generale dell'Arma dei carabinieri (ufficio operazioni, sala operativa e sezione statistica) mostrano un incremento degli incidenti mortali rispetto all'anno precedente pari al 3,6 per cento per la tratta autostradale e pari al 4,4 per cento per quelle gestite da Anas;

    l'Italia, esclusa Malta, è il peggiore Paese dell'Unione europea 28 per la diminuzione degli incidenti stradali nel periodo 2001-2017, raggiungendo un risultato pari solo al 20,37 per cento (dati Istat, 2018), performance ben lontana da quanto previsto dai Pnss;

    l'Italia, sempre secondo i dati Istat 2018, è l'undicesimo peggiore Paese tra quelli appartenenti all'Unione europea per il numero dei morti in rapporto agli abitanti;

    è lecito attendersi che le previsioni dal «PNSS Orizzonte 2020» vengano disattese;

    l'Italia è carente anche sul piano della prevenzione dagli incidenti stradali;

    il tipo di utenza, tolta quella dei pedoni, avente un maggiore tasso di mortalità è quella degli utilizzatori di motocicli – pari all'1,64 per cento – e di ciclomotori – pari allo 0,85 per cento – considerato anche che il 43,4 per cento degli incidenti stradali avviene su strade urbane e che secondo l'Aci, in Italia, circola un motociclo ogni 10 abitanti;

    la maggior parte degli utilizzatori di motocicli ha un'età inferiore ai 25 anni e nel 2017, secondo l'Istat, il 12,34 per cento delle vittime di incidenti stradali mortali apparteneva a questa categoria cui afferivano anche il 23,14 per cento delle vittime di incidenti non mortali;

    per ridurre l'incidentalità di questa fascia d'età presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è attivo il portale Pnes (piattaforma nazionale educazione stradale) che, sotto la supervisione dell'università La Sapienza, raccoglie i progetti rivolti alle scuole superiori di Aci, Ania, polizia stradale, Federazione italiana ciclisti e Federazione italiana motociclisti;

    la sensibilizzazione nelle scuole, con queste modalità, è inefficace e non all'altezza rispetto all'esperienza della maggior parte dei Paesi aderenti all'Unione europea, nonostante la Commissione europea abbia considerato a tale scopo, prioritarie le azioni mirate a migliorare la formazione e l'educazione degli utenti della strada, rafforzando anche l'applicazione delle regole della strada;

   in Europa sussistono best practice, come in Austria, dove l'opera di prevenzione e di riduzione degli incidenti stradali è affidata unicamente ad un'unica amministrazione gestita dal Ministero delle infrastrutture, detta National Research Development Programme KIRAS Austria, che, coinvolgendo anche soggetti privati, si occupa anche della prevenzione dagli incidenti stradali;

   il Kiras, in base all'incidentalità, progetta anche direttamente gli investimenti tecnologici per la messa in sicurezza delle strade, lanciando annualmente nuovi progetti di prevenzione;

   il modello Kiras ha prodotto una diminuzione degli incidenti del 57 per cento nel periodo 2001-2007, mentre l'Italia, nonostante più della metà degli incidenti stradali sia dovuta ad una cattiva conoscenza del codice della strada, non investe sufficienti risorse su questo sul versante della prevenzione,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per l'istituzione di un'unica agenzia che si occupi della prevenzione degli incidenti stradali, sotto il controllo del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e in sinergia con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per le attività nelle scuole;

2) ad adottare iniziative, anche normative, affinché l'agenzia si coordini con gli uffici decentrati della motorizzazione civile, al fine di realizzare dei corsi integrati per la prevenzione degli incidenti stradali nelle scuole secondarie di primo o secondo grado.
(1-00129) «Novelli, Pentangelo, D'Attis, Sozzani, Mulè, Germanà, Bergamini, Rosso, Mugnai, Bagnasco».


   La Camera,

   premesso che:

    nel mese di gennaio 2019, su delega della procura distrettuale antimafia di Catania, la polizia ha eseguito il fermo di 19 persone gravemente indiziate, a vario titolo, per reati di associazione a delinquere di tipo mafioso connessi ad un'organizzazione armata denominata Vikings o Supreme Vikings confraternity, finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, detenzione, trasporto e cessione di cocaina e marijuana e violenza sessuale aggravata;

    particolarmente allarmante è apparsa la circostanza che tale associazione, fortemente radicata sul territorio e saldamente in mano alla cosiddetta «mafia nigeriana», avesse la sua base operativa all'interno del centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo, uno dei centri di accoglienza per rifugiati più grandi in Europa, da dove tale associazione criminale ha assunto e conservato il predominio sulle altre comunità di stranieri presenti all'interno del centro di accoglienza, creando nei loro confronti anche un forte assoggettamento di tipo omertoso;

    in questo contesto destano particolare preoccupazione le politiche portate avanti dall'attuale Governo che, a partire dal decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante, tra le altre, disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale, immigrazione e sicurezza pubblica, volte innanzitutto a chiudere i piccoli centri di accoglienza presenti sul territorio e gestiti in coordinamento con i comuni, sistematicamente smantellando il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), che prevedeva la distribuzione su base volontaria di migranti in piccoli gruppi in ragione di tre per ogni mille abitanti;

    appare infatti opportuno ricordare che il cosiddetto Sprar è un sistema che esiste da oltre sedici anni, che è stato considerato da tutti i Governi (compresi quelli di centro-destra) come il sistema «modello» da presentare in Europa e che ha dimostrato che solo l'accoglienza in strutture diffuse, seguite da personale qualificato, in numero adeguato e attraverso una appropriata distribuzione sul territorio dei richiedenti asilo, agevola l'autonomia e l'indipendenza delle persone, da un lato, ed i processi di integrazione dall'altro;

    altrettanto grave, e sorretta da motivazioni meramente ideologiche, è stata la scelta operata dallo stesso «decreto sicurezza» di sopprimere a livello legislativo l'istituto del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ossia la forma di permesso di soggiorno che era stata maggiormente utilizzata nel nostro ordinamento; una scelta che ha determinato l'ingresso in clandestinità, dall'oggi al domani, per moltissimi migranti che lavoravano, studiavano ed erano perfettamente integrati nel nostro Paese e che, a partire dall'entrata in vigore del decreto, o dalla scadenza del permesso in precedenza concesso, da migranti legali sono improvvisamente diventati clandestini, privi di diritti e facile preda di delinquenti e criminali;

    allo stesso modo, la cosiddetta «politica di chiusura dei porti», consistita nella mancata autorizzazione ad attraccare per le navi cariche di migranti salvati in mare che si trovavano nei pressi delle coste italiane, ha messo a repentaglio la vita di persone, incluse donne e bambini, in fuga da guerre e torture e stremate da giorni di viaggio, al solo fine di dimostrare all'Europa l'intransigenza italiana; essa ha portato all'unico concreto risultato di aver esposto il nostro Paese alla responsabilità sul piano internazionale, derivante dalla violazione di obblighi vincolanti per l'Italia, che prevedono il necessario salvataggio, prima di tutto, delle vite in mare, collocandoci in una posizione marginale e di grande isolamento politico-diplomatico, non certo utile a trovare soluzioni condivise per la gestione di un problema estremamente complesso quale quello relativo ai flussi migratori;

    tale isolamento sul piano europeo ed internazionale ha finito per determinare una progressiva erosione di credibilità da parte dell'Italia e di indebolimento della sua capacità negoziale, con gravi conseguenze politico-diplomatiche innanzitutto in sede europea, dove, per esempio, è di fondamentale importanza la riforma del «regolamento di Dublino», tale da prevedere una redistribuzione obbligatoria dei richiedenti asilo tra gli Stati europei, di cui beneficerebbero l'Italia e gli altri Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, ma che allo stato attuale è in fase di stallo perché fermamente avversata proprio dai principali alleati del Ministro dell'interno a livello europeo, ossia i Paesi del cosiddetto. Gruppo di Visegrad, guidati dal leader ungherese Orban;

    un isolamento ulteriormente accentuato, poi, dall'improvvida scelta dell'Italia di non aderire al Global Compact for migration, un trattato predisposto in sede Onu e firmato da 193 Paesi nel 2016, che afferma come punto di partenza il principio che le migrazioni vanno affrontate a livello globale e volto a creare una rete internazionale per rendere le migrazioni sicure, ordinate e regolari; un trattato, dunque, che avrebbe finito per aiutare maggiormente proprio quei Paesi, come l'Italia, che anche in ragione della propria collocazione geografica, sono comunque maggiormente esposti ai fenomeni migratori;

    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo destano, dunque, sgomento e grande preoccupazione, non solo per la disumanità, ma anche per l'assoluta inefficacia, le scelte politiche e legislative portate avanti da questo Governo, che denotano sistematicamente come l'approccio ad un tema così delicato e complesso – sia per le vite umane coinvolte, sia per la sicurezza dei cittadini – sia unicamente sorretto da scelte meramente demagogiche e superficiali, improntate ad una logica sempre emergenziale e settoriale, il cui unico scopo è di rilanciare la questione migratoria come un tema da perenne campagna elettorale, prescindendo dall'efficacia delle soluzioni individuate, dalla loro conformità alle norme di diritto internazionale, nazionale ed europeo e da una visione globale e multilaterale, approfondita e di lungo periodo,

impegna il Governo:

1) ad adottare ogni iniziativa utile, nelle opportune sedi europee, volta rilanciare la proposta di revisione del regolamento 604/2013, detto «Dublino III», approvata dal Parlamento europeo il 16 novembre 2017, che stabilisce un'equa ripartizione della responsabilità relativa all'accoglienza dei richiedenti asilo in Europa, anche prevedendo una partecipazione assai più assidua del Governo alle riunioni convocate in sede europea su questo tema, alla luce del fatto che su numerosi vertici convocati per discutere tale riforma il Ministro dell'interno ha spesso disertato le riunioni, preferendo sostenere la linea dei Paesi di Visegrad, palesemente contraria agli interessi del nostro Paese;

2) a rivedere quanto prima la precedente decisione di sospendere l'adesione dell'Italia al Global Compact for safe, orderly and regular migration, anche sulla base della considerazione che proprio un Paese come l'Italia, esposto a consistenti flussi migratori, anche in ragione della propria posizione geografica, necessita più di altri Paesi di una forte condivisione delle proprie posizioni sia a livello europeo che internazionale;

3) ad adottare iniziative per rivedere quanto prima le scelte di politica legislativa e il complessivo impianto sotteso al «decreto sicurezza», sia per quanto riguarda il complessivo indebolimento del sistema Sprar, sia per quanto riguarda la contestata decisione circa l'avvenuta abrogazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, che, lungi dal rendere il nostro Paese più sicuro e protetto, come sistematicamente proclamato da esponenti del Governo in carica, hanno semplicemente spinto nella clandestinità e nell'illegalità persone di Paesi terzi che fino ad oggi studiavano, lavoravano ed erano perfettamente integrate nel nostro Paese;

4) a rivedere quanto prima l'infausta politica di «chiusura dei porti», che, lungi dall'affrontare in maniera efficace e con visione di lungo periodo il fenomeno degli sbarchi in Italia, si è concretizzata ogni volta in quella che appare ai firmatari del presente atto di indirizzo una mera tenuta in ostaggio, per giorni, di un pugno di migranti inermi e nell'esposizione dell'Italia alla violazione di precisi obblighi internazionali vincolanti anche per il nostro Paese, con l'unico effetto meramente propagandistico, ma dalle ricadute elettorali significative, di distogliere l'attenzione dai gravi problemi economici che stanno affliggendo il nostro Paese.
(1-00130) «Migliore, Quartapelle Procopio, Ceccanti, Marco Di Maio, Fiano, Giorgis, Martina, Orfini, Pollastrini, De Maria, Fassino, Guerini, La Marca, Scalfarotto».


   La Camera,

   premesso che:

    il comparto automotive italiano rappresenta 5.700 imprese, 100,4 miliardi di euro di fatturato, pari al 6 per cento del prodotto interno lordo, quasi 259.000 addetti (il 7,1 per cento del settore manifatturiero), una spesa in ricerca e innovazione di 1,7 miliardi di euro l'anno, 74,4 miliardi di euro di gettito fiscale nel 2017;

    con la legge di bilancio per il 2019 il Governo ha varato la cosiddetta «ecotassa» che prevede a partire dal 1° marzo 2019 una significativa tassazione progressiva delle autovetture a combustione, a partire da quelle con emissioni di anidride carbonica superiori ai 160 grammi per chilometro; contestualmente dispone l'erogazione di incentivi ad autovetture elettriche o ibride;

    tali misure sono state adottate, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, con frettolosità ed approssimazione, senza la possibilità di un adeguato dibattito parlamentare e senza il dovuto coinvolgimento preventivo dei soggetti della filiera;

    essendo la norma tarata sull'anidride carbonica, un climalterante e non un inquinante, non appare corretto parlare di «politiche per il miglioramento della qualità dell'aria» che hanno come obiettivo la riduzione di smog, inquinamento e polveri sottili. In termini ambientali, non vi sarebbero particolari effetti positivi, perché nelle strade italiane continuerebbero a circolare veicoli con oltre 20 anni di età, mentre si vanno a tassare, disincentivandone l'acquisto, veicoli di ultima generazione con prestazioni ambientali superiori alla media del parco circolante. La misura, quindi, sarà inefficace e impatterà non soltanto su vetture del segmento premium, già assoggettate al «superbollo», ma anche su molte vetture del segmento medio, mono-volumi e multi-spazio, usate dalle famiglie italiane e dai piccoli operatori economici rispetto ai quali un aggravio di 1.100 euro appare assolutamente fuori misura;

    da più parti, nel dibattito pubblico come nelle posizioni dei principali soggetti della filiera, è stato sottolineato che i primi a pagare il conto di queste misure sarebbero stati i cittadini virtuosi che intendono acquistare una nuova vettura, che in ogni caso inquinerà meno di una «vecchia» e che il mercato dell'auto subirà una pesante flessione, con conseguenze per l'occupazione e per le entrate dello Stato: meno veicoli venduti corrispondono a meno imposte incassate. Si ricorda che nel 2017 la contribuzione derivante dall'acquisto dei veicoli (versamento Iva e Ipt) è stata di 9,4 miliardi di euro;

    in considerazione dell'attuale situazione del mercato nazionale e internazionale, inoltre, tali misure avranno come effetto diretto quello di favorire case produttrici estere che negli ultimi anni hanno maggiormente sviluppato la produzione di auto elettriche o ibride, con un conseguente danno per le imprese automobilistiche che producono in Italia;

    a seguito di tali misure, infatti, Fca ha annunciato la volontà di un ridimensionamento del piano industriale del novembre 2018, che avrebbe previsto un complessivo piano degli investimenti in Italia per circa 5 miliardi di euro;

    si auspicava almeno una lieve crescita delle immatricolazioni a gennaio 2019, dovuta alla possibilità di acquistare veicoli nuovi prima dell'entrata in vigore delle suddette misure (1° marzo 2019), e invece non si è avuto nemmeno questo effetto, a testimonianza della natura depressiva delle suddette misure;

    a conferma di ciò, nel mese di gennaio 2019 sono state immatricolate 164.935 autovetture, il 7,5 per cento in meno rispetto a gennaio 2018 (elaborazioni dell'Associazione nazionale filiera industria automobilistica su dati del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in data 5 febbraio 2019). Il gruppo Fiat Chrysler automobiles (incluso Maserati) registra un calo tendenziale del 22 per cento nel mese, con volumi che si attestano a 40 mila nuove registrazioni con il 24 per cento di quota;

    inoltre, l'esclusione dagli incentivi delle auto a metano rappresenta una scelta insensata. È, infatti, ormai scientificamente provato che il metano per autotrazione sia il combustibile che produce le minori emissioni di inquinanti locali (PM, NOx, HC e altro). Inoltre, il metano è una fonte rinnovabile e ha una cospicua possibilità di produzione nazionale, al contrario di altre tecnologie incentivate che oggi vengono sviluppate principalmente da industrie estere;

    tale immotivata esclusione va in controtendenza rispetto al decreto ministeriale di incentivazione del biometano, varato nel 2018 con il fine di facilitare una sua massiccia utilizzazione come combustibile per l'autotrazione per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica, facendo leva sui punti di forza ambientale ed economica sopra rilevati;

    il saldo di tali misure in termini di benefici ambientali e di ricambio del parco circolante rischia di essere particolarmente ridotto se non addirittura negativo, poiché una fetta consistente di automobilisti, non potendosi permettere auto ibride o elettriche dal costo elevato (le uniche che beneficiano degli incentivi), rinvieranno l'acquisto di una nuova auto continuando ad utilizzare quella vecchia e inquinante;

    a ciò si aggiunge l'evidente conseguenza negativa per il mercato dell'usato e dei «chilometri zero» (che aveva risposto bene alla lunga fase di crisi economica), poiché è di tutta evidenza che i veicoli appartenenti a questi segmenti sono esclusi dagli incentivi e, in molti casi, saranno gravati dall'ecotassa;

    con il decreto legislativo 16 dicembre 2016, n. 257, l'Italia ha recepito la direttiva 2014/94/Ue (cosiddetta «direttiva Dafi») sulle infrastrutture per i carburanti alternativi nei trasporti. Tale direttiva prevede l'adozione di un piano nazionale per lo sviluppo delle infrastrutture per tali carburanti (elettrico, gnc, gnl) secondo il principio della neutralità tecnologica;

    è in fase di approvazione definitiva la proposta della Commissione europea di modifica del regolamento (Ue) n. 715/2007 sui limiti di emissioni di anidride carbonica per le automobili e i veicoli commerciali leggeri, che prevede una riduzione delle emissioni al 2030 del 37,5 per cento per le automobili e del 31 per cento per i furgoni, con un target intermedio al 2025. Tali nuove previsioni risultano irrealistiche e particolarmente penalizzanti per il settore;

    a seguito dell'accordo di bacino padano, sottoscritto tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e le regioni Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, è stato varato un provvedimento di blocco della circolazione per i veicoli considerati maggiormente inquinanti, dal 1° ottobre 2018 al 31 marzo 2019. Tale divieto riguarda i veicoli diesel Euro 3 (in Emilia-Romagna anche i diesel Euro 4). Tale provvedimento ha generato un disagio diffuso in molte famiglie e operatori commerciali dal basso potere di acquisto che in questi anni non si sono potuti permettere di sostituire la propria auto;

    peraltro, anche per l'adozione di tali divieti così come per l'ecotassa, si continua ad utilizzare come parametro del livello di emissioni l'anidride carbonica, quando, da un lato, tutti gli studi convergono sulla maggiore pericolosità di altre sostanze (pm 10, pm 2,5 e altre) generate principalmente dalla corrosione dell'asfalto e dall'usura degli pneumatici e non dai gas di scarico e, dall'altro lato, è ormai riconosciuto dalla più vasta letteratura scientifica che il traffico veicolare incide per una quota molto bassa sull'inquinamento atmosferico, su cui assai più incide il riscaldamento da abitazione;

    prima di nuovi provvedimenti di blocco della circolazione di determinate categorie di veicoli considerate inquinanti, occorrerebbe varare, in accordo con le regioni della pianura padana, un grande piano di sostituzione delle caldaie da riscaldamento più inquinanti, a partire da quelle pubbliche, rafforzando contestualmente gli incentivi per la sostituzione di quelle private con impianti a minore impatto ambientale,

impegna il Governo:

1) a varare un piano organico di transizione ecologica che sia realistico e non penalizzante per l'industria nazionale automobilistica e per i livelli occupazionali ad essa collegati, evitando ulteriori provvedimenti improvvisati e dannosi per il comparto e per gli automobilisti già fortemente vessati;

2) ad adottare conseguentemente un'iniziativa normativa urgente per l'abrogazione delle disposizioni sulla cosiddetta «ecotassa» contenute nella legge di bilancio per il 2019, nonché per la contestuale estensione dei soli incentivi alle auto alimentate a metano;

3) ad attuare pienamente il decreto legislativo 16 dicembre 2016, n. 257 di recepimento della direttiva 2014/94/Ue (cosiddetta «direttiva Dafi») che prevede un piano nazionale di sviluppo delle infrastrutture per i carburanti alternativi secondo il principio della neutralità tecnologica, sviluppando contestualmente l'elettrico nell'ambito della mobilità urbana, il metano compresso (gnc) per le medie e lunghe distanze, il metano liquido (gnl) per il trasporto merci ed il trasporto marittimo;

4) a tali fini, a costituire un tavolo permanente con i rappresentanti della filiera automotive (produttori di auto e veicoli industriali, produttori di componenti, rivenditori, gestori di servizi di mobilità pubblica e privata, organizzazioni sindacali, esperti di settore e altro) da consultare tassativamente prima di qualunque nuovo provvedimento in materia;

5) a promuovere in sede europea un'immediata revisione delle modifiche al del regolamento (Ue) n. 715/2007 sulla riduzione delle emissioni di anidride carbonica, in corso di approvazione, con l'obiettivo di giungere ad una transizione ecologica più morbida, realistica e compatibile con le prospettive di evoluzione tecnologica dell'industria nazionale automobilistica;

6) a riferire trimestralmente alle Camere sull'impatto che le misure recentemente introdotte avranno sul comparto automotive nazionale e sui relativi livelli occupazionali.
(1-00131) «Fidanza, Zucconi, Lollobrigida, Silvestroni, Rotelli, Acquaroli, Bellucci, Bucalo, Butti, Caretta, Ciaburro, Cirielli, Crosetto, Deidda, Luca De Carlo, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferro, Foti, Frassinetti, Gemmato, Lucaselli, Maschio, Meloni, Mollicone, Montaruli, Osnato, Prisco, Rampelli, Rizzetto, Trancassini, Varchi».

Risoluzioni in Commissione:


   La VII Commissione,

   premesso che:

    le biblioteche dei conservatori di musica e delle accademie di belle arti sono custodi di un patrimonio musicale unico al mondo, stimato complessivamente in oltre 3 milioni di unità bibliografiche, documentali e audiovisive che è strumento essenziale per la formazione dei futuri musicisti, nonché parte fondante del patrimonio culturale e identitario del nostro Paese e come tale meritevole di salvaguardia e sostegno con risorse adeguate;

    si definiscono biblioteche musicali quelle istituzioni che conservano fonti musicali o materiali di interesse musicale quali libri e trattati, spartiti, partiture a stampa e manoscritte, codici liturgici, nastri, dischi, video, libretti d'opera e testi per musica, materiali epistolari e documentari pertinenti alla storia di musicisti e istituzioni musicali, strumenti musicali;

    per la natura fortemente specializzata delle raccolte, per la varietà di materiali e di supporti, per la forte specializzazione del personale ma anche degli utenti che di queste raccolte si servono, le biblioteche musicali necessitano di risorse umane e finanziarie per la tutela del posseduto, l'aggiornamento degli strumenti bibliografici e la riqualificazione dei servizi necessari alle nuove esigenze dell'alta formazione musicale;

    la letteratura professionale, sia in ambito italiano che internazionale, è ricca di contributi in materia di conservazione, salvaguardia e valorizzazione del patrimonio musicale, nonché in merito all'importanza di garantire l'accessibilità a queste risorse, in prima battuta attraverso una catalogazione che rispetti standard precisi e attraverso un'offerta articolata di servizi e attività, in spazi dedicati, con le adeguate tecnologie e mediante l'impiego di personale specializzato;

    per rispondere ai cambiamenti legati alla diffusione delle nuove tecnologie, l'Ifla Audiovisual and Multimedia Section ha pubblicato delle linee guida per i materiali audiovisivi e multimediali nelle biblioteche e in altre istituzioni, cosciente della rivoluzione tecnologica che ha investito le biblioteche di ogni tipologia, sottolineando l'importanza di affidare la gestione dei materiali audiovisivi e multimediali e dei servizi connessi a personale con specifiche competenze di tipo intellettuale, tecnico e legale, che sia consapevole delle potenzialità di queste risorse e che consideri l'accesso a questo materiale e alle attrezzature preposte come un normale aspetto del servizio di biblioteca;

    risulta indispensabile per il bibliotecario musicale possedere una formazione sia biblioteconomica che musicale, indipendentemente dalla tipologia di biblioteca (che si tratti di biblioteche pubbliche, conservatori, orchestre o università), alle cui funzioni e attività tradizionali di qualsiasi bibliotecario si aggiungono le specificità legate all'istituzione in cui opera;

    considerando l'evoluzione, avvenuta negli ultimi anni, dei formati e dei supporti delle risorse musicali non a stampa e tutto ciò che questo comporta in termini di gestione, conservazione e performance, è evidente come ai bibliotecari musicali si richieda non soltanto la conoscenza di un'ampia varietà di materiali, di fonti, di strumenti, di piattaforme, ma anche la capacità di affiancare ai materiali tradizionali un'adeguata offerta digitale fruibile a distanza ma anche in spazi attrezzati e di formare i propri utenti all'uso consapevole e responsabile di questa varietà di risorse;

    tuttavia, ad oggi risulta che il personale delle biblioteche musicali non sia debitamente qualificato per lo svolgimento indispensabile di tali funzioni e che in ogni caso vi sia una carenza di personale tale da pregiudicare il corretto utilizzo e la corretta consultazione del materiale d'inestimabile valore che popola gli archivi delle biblioteche;

    il docente di bibliografia e biblioteconomia musicale (CODM/01), specialista in materie bibliotecarie e musicologiche cui storicamente tali importanti giacimenti culturali sono stati affidati, dovrebbe assumere il compito di responsabile principale di queste infrastrutture della ricerca e della produzione artistica dell'area musicologica dell'Alta formazione artistica e musicale. Accanto a questa figura principale va poi contemplata la necessità di attivare in ogni conservatorio diversi profili professionali di personale bibliotecario con competenze specialistiche adeguate alla ricchezza e importanza dei patrimoni custoditi e al numero dei docenti e studenti dell'istituzione, essenziale per la nuova collocazione dei conservatori fra le istituzioni di alta cultura;

    la strutturazione degli organici e delle qualifiche da prevedere per ciascuna biblioteca non può essere lasciata alla discrezionalità di ciascun conservatorio e deve essere sottratta alla logica delle riforme a costo zero e delle conversioni di cattedra;

    Giancarlo Rostirolla, curatore dell'opera «Guida alle biblioteche e agli archivi musicali italiani» nel 2004, definiva le biblioteche dei conservatori, degli istituti musicali pareggiati e delle Accademie le biblioteche musicali per eccellenza, «serbatoi di importanza storica eccezionale, ai quali hanno attinto fin dalla fine del secolo scorso i musicologi di ogni paese; esse rappresentano il punto di riferimento per chiunque voglia avviare ricerche sulla storia musicale e sui suoi protagonisti. Esse vanno quindi considerate nella duplice prospettiva di: 1) biblioteche di conservazione di rilevante importanza storica, non soltanto per la disciplina musicale, ma anche per la storia del teatro, della danza, delle tradizioni popolari, e altro 2) biblioteche didattiche, di ricerca, studio e consultazione sia per gli studenti interni al conservatorio, sia per gli studiosi esterni italiani e stranieri»;

    negli anni, Iaml Italia, l'istituto bibliografico musicale italiano, e i professionisti delle biblioteche musicali si sono fatti promotori di diverse iniziative per far luce sul patrimonio musicale del nostro Paese, molte biblioteche degli istituti di musica hanno aderito al servizio bibliotecario nazionale e sono periodicamente censite e monitorate dall'anagrafe delle biblioteche italiane a cura dell'istituto centrale per il catalogo unico e le informazioni bibliografiche, che offre praticamente gli unici dati sul funzionamento di queste biblioteche. Tuttavia, la situazione complessiva appare frammentata e si conosce molto poco delle loro attività, dei servizi offerti, dei risultati raggiunti;

    già nel maggio 2008, sulla rivista «Classic», in un articolo a firma di Antonio Caroccia, si denunciava come la gran parte delle biblioteche musicali italiane risultassero «chiuse, inaccessibili, senza fondi e senza personale» e come la mancanza di risorse avesse «costretto a ridurre il personale, gli orari e il servizio al pubblico, costringendo all'impossibilità di aggiornare i cataloghi e creare multimedialità»;

    nel medesimo articolo si denuncia poi come «le biblioteche musicali si trovino a gestire un materiale che per ovvie ragioni di usura necessiterebbe al più presto di radicali processi di digitalizzazione: dal manoscritto antico alla edizione tardo ottocentesca, centinaia di migliaia di volumi andrebbero al più presto digitalizzati con scanner di nuova generazione a non-impatto, permettendo così l'archiviazione definitiva degli originali e la consegna manuale o la spedizione di stampe o di file in formato pdf»;

    le preoccupazioni del 2008 risultano ancora attuali, accresciute se possibile dal tempo trascorso e dalle ulteriori riduzioni di stanziamenti di risorse, che rendono il patrimonio custodito nelle biblioteche ancor più soggetto al rischio di usura e di degrado,

impegna il Governo:

   a porre in essere le iniziative normative necessarie a configurare le biblioteche annesse ai conservatori di musica e alle accademie che per tradizione, pregio e rarità di fondi bibliografici presentino un interesse particolarmente rilevante quali infrastrutture di ricerca locali e/o nazionali, qualificandole pertanto come strutture, risorse e servizi collegati utilizzabili dalla comunità scientifica per condurre ricerche di alta qualità, senza vincolo di appartenenza istituzionale o nazionale;

   a elaborare un censimento dei materiali presenti nelle biblioteche e negli archivi di cui al precedente impegno, finalizzato ad una catalogazione che rispetti precisi standard, al controllo bibliografico dei documenti musicali e al conseguente processo di digitalizzazione che conduca alla creazione di un database online che renda pubblici i patrimoni bibliografici, organologici, artistici ed archivistici dei conservatori di musica italiani;

   a dotare mediante apposite iniziative le biblioteche dei conservatori e gli archivi dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica di cui al primo impegno di personale specializzato che provveda a conservare, a incrementare e a rendere fruibile il patrimonio documentario e museale, su qualsiasi supporto, in correlazione sia all'attività didattica, di ricerca e di produzione dell'istituto, sia alla sua funzione di biblioteca musicale del territorio;

   a porre in essere tutte le iniziative normative volte ad assicurare a ciascuna biblioteca e archivio annessi ai conservatori di musica e alle accademie il personale necessario, garantendo per ciascun istituto un docente di bibliografia e biblioteconomia musicale (CODM/01) che svolga la funzione di responsabile scientifico e culturale e almeno un addetto alla sorveglianza, prevedendo inoltre per ciascun polo di interesse particolarmente rilevante anche un assistente di biblioteca e un funzionario di biblioteca in possesso del diploma di laurea magistrale/specialistica in musicologia e beni musicali (LM-45) o del diploma accademico di secondo livello in discipline storiche, critiche e analitiche della musica (DCSL-69);

   a prevedere, attraverso specifiche iniziative normative, adeguati percorsi di formazione e di aggiornamento professionale per lo svolgimento delle funzioni soprarichiamate di responsabile scientifico e culturale attraverso l'introduzione dell'insegnamento di bibliografia e biblioteconomia musicale (CODM/01) in tutti i corsi di studio dell'alta formazione artistica e musicale realizzando anche delle scuole di specializzazione in beni musicali all'interno dei conservatori di musica, al fine di formare il personale di cui al precedente impegno;

   a tenere in debita considerazione i titoli di studio, artistici e culturali in possesso dei collaboratori e degli assistenti di biblioteca attualmente in servizio, al fine di consentirne il passaggio al comparto docente.
(7-00192) «Nitti, Azzolina, Carbonaro».


   La VII Commissione,

   premesso che:

    il sistema scolastico italiano è fondato sull'autonomia scolastica che consente alle scuole di progettare in proprio la loro offerta formativa e il loro curricolo, tenendo conto delle indicazioni nazionali e delle altre norme generali dettate dal Ministero delle istruzione, dell'università e della ricerca;

    in questo contesto, l'esistenza di un sistema nazionale di valutazione del servizio scolastico, assicurato da un organismo autonomo e indipendente, è un elemento irrinunciabile per uno Stato democratico come il nostro, oltre che garanzia di efficacia del servizio;

    già il decreto del Presidente della Repubblica n. 75 del 1999 recante il regolamento in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, all'articolo 10, prevede «la verifica del raggiungimento degli obiettivi di apprendimento e degli standard di qualità del servizio», nonché l'emanazione di modelli di certificazione delle «conoscenze, competenze e capacità acquisite» evidenziando come l'autonomia scolastica risponda alla previsione costituzionale di un servizio scolastico pubblico, statale e paritario, gratuito nonché idoneo a garantire l'effettiva realizzazione dei diritti di cittadinanza solo se accompagnata da adeguate verifiche nazionali. Infatti, se il principio di riferimento è quello della tutela, da parte dello Stato, del conseguimento delle competenze fondamentali per il pieno esercizio di diritti di cittadinanza da parte di ciascun cittadino, è palesemente necessario prevedere un accertamento individuale del conseguimento di questi diritti e non limitarsi a una mera misurazione statistica dei livelli medi riferiti a territori più o meno estesi o a interi ordini di scuola;

    la valutazione della, qualità degli apprendimenti e del funzionamento delle scuole è stata introdotta nell'arco di vent'anni con il contributo di Governi di diverso orientamento politico; la spinta principale si deve all'azione riformatrice del Centro-destra che con legge n. 53 del 2003 ha introdotto nella legislazione italiana numerosi principi innovativi tra cui l'istituzione del servizio nazionale di valutazione;

    malgrado il sistema scolastico e la legislazione in materia siano stati oggetto del tortuoso dispiegarsi di successivi interventi e riforme che non hanno giovato alla stabilizzazione e al miglioramento delle procedure, il sistema della valutazione stava cominciando a produrre risultati significativi, che rischiano oggi di essere vanificati dalla retromarcia annunciata dell'attuale maggioranza;

    giova ricordare, infatti, che il nostro Paese si è adeguato con molto ritardo, rispetto agli altri Paesi europei, all'esigenza di introdurre sistemi di valutazione che, per un unanime consenso internazionale, costituiscono un presidio di garanzia fondamentale dei diritti dello studente;

    in un Paese come l'Italia che ha l'ambizione di sedere tra gli Stati più evoluti per quanto riguarda il sistema di istruzione, la valutazione scolastica andrebbe potenziata come elemento di sistema senza subire la tentazione di smantellare quello che è stato faticosamente costruito in questi anni, pur nella consapevolezza di possibili miglioramenti, per disporre finalmente di un vero sistema nazionale di valutazione fortemente ostacolato da innumerevoli resistenze di carattere ideologico o corporativo;

    la necessità di potenziare il sistema della valutazione appare tanto più vera e importante in questo periodo in cui è forte il dibattito, sia tra i cittadini che all'interno delle aule parlamentari, in materia di sistema degli accessi universitari e numero chiuso;

    il riconoscimento e il mantenimento del valore legale del titolo di studio non possono non comportare che sia rigorosamente garantita la corrispondenza tra preparazione conseguita dagli studenti e votazione attestata nel titolo di studio rilasciato dalle scuole;

    a tal fine, non si può prescindere dal prevedere che un organismo preposto alla valutazione di un servizio pubblico come la scuola deve anzitutto godere di piena autonomia e offrire garanzie di assoluta terzietà rispetto ai responsabili del servizio stesso;

    effettiva autonomia e terzietà deve poter essere verificata anche a partire dalla natura giuridica dell'ente preposto alla valutazione per cui un istituto di valutazione credibile deve poter:

     godere di autonomia statutaria e finanziaria;

     provvedere in proprio alla determinazione del fabbisogno di personale e al relativo reclutamento entro determinati limiti finanziari;

     programmare le proprie attività di valutazione esclusivamente secondo criteri che ne garantiscano l'imparzialità e la fondatezza scientifica;

    inoltre, un ente preposto alla valutazione di un sistema così complesso e delicato deve essere in grado, da una parte, di assicurare le azioni valutative che gli sono richieste e, contemporaneamente, di produrre ricerca scientifica sulle tante sfaccettature della valutazione, quali, ad esempio:

     lo studio delle tecniche di elaborazione delle prove disciplinari, con particolare riferimento alla loro solidità misuratoria (psicometrica);

     lo studio delle elaborazioni dei dati finalizzato ad accrescere la loro fruibilità in relazione ai diversi soggetti interessati (docenti, scuole, genitori, decisori politici, altri studiosi);

     lo studio di indicatori quantitativi e qualitativi delle dimensioni del servizio scolastico (formazione, inclusione, orientamento, organizzazione, cura del personale, rapporti col territorio, partecipazione e altro);

     lo studio delle tecniche di descrizione e di certificazione delle competenze;

     lo studio degli strumenti per guidare l'autovalutazione delle istituzioni scolastiche;

     lo studio delle metodologie di valutazione esterna basata sulle visite sul campo;

    l'introduzione del sistema di valutazione della qualità degli apprendimenti e del funzionamento delle scuole è frutto di numerosi interventi che, dalla già citata introduzione dall'autonomia scolastica e delle verifiche nazionali dovute al Ministro Berlinguer, passando per la legge delega emanata dal II° Governo Berlusconi, il decreto legislativo n. 286 del 2004 attuativo di tale delega che ha istituito l'attuale Invalsi, l'introduzione della prova Invalsi nazionale da parte del Ministro pro tempore Fioroni e dello stesso sistema nazionale di Valutazione da parte del Governo Monti, arrivano fino al recente decreto legislativo n. 62 del 2017 che ha consolidato il sistema delle prove standardizzate integrandovi anche quella per la certificazione delle competenze linguistiche in inglese di tutti i nostri studenti, realizzando una delle famose «i» volute dai Governi di Centro-destra come base del nostro sistema scolastico;

    in Italia la legge affida in via esclusiva sia la valutazione degli apprendimenti che la valutazione delle istituzioni scolastiche all'istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione che, nel corso della sua storia ventennale, avendo raccolto l'eredità del Cede, ha sempre più, e sempre meglio, rappresentato il motore istituzionale che ha sviluppato vari ambiti di azione e di ricerca a livello nazionale e internazionale;

    in questo lungo percorso l'Invalsi:

     ha realizzato per 12 anni prove censuarie in italiano e matematica e, dallo scorso anno, in inglese di qualità tecnica eccellente, anche nel confronto internazionale;

     ha puntualmente fornito dati attendibili sui livelli di apprendimento degli studenti di tutto il territorio nazionale alle scuole, ai docenti, ai dirigenti scolastici, agli amministratori, ai decisori politici, alle autorità preposte alla distribuzione di fondi nazionali e comunitari e a molti altri soggetti, pubblici e privati;

     ha assicurato la comparazione dei risultati di tutte le scuole pubbliche, statali e paritarie, garantendo in questo modo il controllo effettivo di una vera equipollenza del servizio reso agli utenti;

     ha realizzato in pochi anni un'infrastruttura tecnica di rilevante valore che ha permesso a milioni di studenti di svolgere le prove al computer (1,5 milioni l'anno per un totale di circa 5 milioni di prove erogate ogni anno). Questa infrastruttura costituisce di per sé un patrimonio che non ha eguali nella compagine internazionale: dei 25 Paesi dell'Ocse che svolgono prove censuarie, solo l'Italia e la Danimarca sono in grado di erogare prove al computer con valore certificatorio;

     ha da sempre garantito, per l'Italia, la progettazione, la realizzazione e la diffusione dei risultati di tutte le principali indagini internazionali (Ocse-Pisa, Ocse-Talis, Iea-Timss, Iea-Pirls, Iea-Iccs, Iea-Icils). In questo modo la valutazione dell'efficacia del sistema scolastico italiano procede in continua osmosi con la ricerca di modelli sempre più appropriati e attendibili e ciò consente di evitare l'esecuzione statica e ripetitiva delle procedure valutative potendo attingere dal meglio che viene prodotto dalla ricerca internazionale e dalla stessa ricerca italiana. Inoltre, questo tipo di indagini rompe l'autoreferenzialità del sistema scolastico italiano e consente di avere dati di riferimento per adottare provvedimenti e policy in grado di preparare gli studenti alle relazioni con il resto del mondo in cui si troveranno a vivere;

     da alcuni anni ha inoltre realizzato gli strumenti per l'autovalutazione delle scuole e gestisce la valutazione esterna degli istituti scolastici, svolta da nuclei appositamente formati e coordinati da dirigenti tecnici;

     ha infine assicurato supporto metodologico e scientifico per la valutazione dei dirigenti scolastici e svolge un'intensa attività di ricerca nazionale e internazionale sui principali campi connessi con la valutazione nel campo dell'istruzione;

    negli ultimi anni non solo è aumentata significativamente la partecipazione degli studenti alle prove Invalsi ma, parallelamente, si sono fortemente ridotte le forme di resistenza afte-prove stesse e, anzi, si è assistito a una graduale diffusione di gruppi di lavoro che, in quasi tutte le scuole italiane, esaminano con attenzione i risultati delle prove Invalsi e partecipano attivamente ai processi di autovalutazione e alle visite di valutazione esterna. Questa inversione di tendenza si è realizzata anche grazie al sempre maggiore coinvolgimento delle istituzioni scolastiche nel processo di miglioramento e di adeguamento alle mutate esigenze del sistema scolastico che l'Invalsi ha condotto in questi anni;

    l'Invalsi infatti, svolge con le scuole un'intensa e continua attività di divulgazione per illustrare i criteri di costruzione delle prove standardizzate e le modalità di lettura degli esiti degli studenti, al fine di ripensare e migliorare le strategie didattiche;

    questo tipo di attività contribuisce in modo determinante a rilanciare la formazione dei docenti in servizio relativamente ai metodi di accertamento e valutazione delle abilità, delle conoscenze e delle competenze, aspetto cruciale per orientare l'innovazione al miglioramento dell'efficacia formativa delle nostre scuole;

    il patrimonio di dati che ad anni l'Invalsi ha prodotto, elaborato e reso disponibile costituisce una fonte per studiosi di diversa provenienza che conducono ulteriori elaborazioni. In tal modo, l'Invalsi si propone come «Istat della scuola» e costituisce una risorsa insostituibile nel panorama scientifico del nostro Paese. E, proprio come per l'Istat, i suoi dati consentono all'autorità politica di assumere decisioni sulla base di dati attendibili e articolati nel tempo;

    in questo contesto non può che stupire che il finanziamento previsto per le rilevazioni nazionali, escluse quelle introdotte in questi ultimi due anni, per la partecipazione dell'Italia alle indagini internazionali e per la realizzazione della valutazione esterna delle istituzioni scolastiche, sia stato disposto come finanziamento temporaneo per soli quattro anni, dal 2016 al 2019 (legge n. 107 del 2015, articolo 1, comma 144);

    il Consiglio dei ministri del 12 dicembre 2018 ha approvato un disegno di legge recante «deleghe in materia di semplificazione, riassetto normativo e codificazione», ancora non trasmesso al Parlamento, che prevedrebbe la «razionalizzazione, eventualmente anche attraverso fusioni o soppressioni, di enti, agenzie, organismi comunque denominati, ivi compresi quelli preposti alla valutazione di scuola e università, ovvero trasformazione degli stessi in ufficio dello Stato»;

    le ipotesi di autonomia regionale, più o meno differenziata, quale che sia il giudizio politico che se ne dà, implicano in modo ancora più forte la permanenza e il rafforzamento di un sistema di verifica dei livelli di qualità dell'istruzione pubblica nelle diverse regioni del nostro Paese;

    gli stessi lavoratori dell'Invalsi hanno espresso la loro forte preoccupazione per il destino dell'Invalsi e la decisa volontà che l'Istituto mantenga lo status di ente di ricerca dotato di autonomia e terzietà funzionali alla sua mission istituzionale,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative per assicurare continuità al sistema di valutazione del servizio scolastico realizzato dall'istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (Invalsi);

   ad adottare iniziative per destinare risorse al potenziamento e al miglioramento del sistema di valutazione quale garanzia della qualità del sistema di istruzione e di capacità dello stesso di saper rispondere alle istanze di rinnovamento e modernizzazione che provengono anche dal mondo della ricerca, dalla tecnologia nonché dai settori produttivi e imprenditoriali, perché l'istruzione di oggi sappia formare cittadini consapevoli domani, ma sia anche fortemente connessa al loro futuro di lavoratori;

   ad adottare ogni iniziativa di competenza per mantenere l'attuale assetto giuridico dell'Invalsi quale ente pubblico di ricerca dotato di autonomia statutaria e finanziaria, come stabilito dal decreto legislativo n. 218 del 2016;

   ad adottare iniziative per prevedere, a partire dal 2020, l'imputazione permanente nel bilancio dello Stato del finanziamento di 8 milioni di euro annui previsto dalla legge n. 107 del 2015 fino al 2019, benché il suo impiego riguardi attività ordinarie dell'Istituto tutte previste dalla legge;

   ad adottare ogni iniziativa di competenza per escludere che l'istituto venga depotenziato o ridimensionato o ne vengano stravolte la mission e le funzioni attraverso accorpamenti, fusioni o riduzioni a ufficio dello Stato, che ne pregiudicherebbero la specificità e la terzietà dell'azione.
(7-00193) «Aprea, Casciello, Marin, Minardo, Palmieri, Saccani Jotti».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per gli affari europei, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:

   a più di due anni dal referendum che ha deciso politicamente il recesso del Regno Unito dall'Unione europea, il cosiddetto «caso Brexit» non si è ancora concluso e la continua attesa ha generato un clima di forte incertezza;

   affinché possa realizzarsi una gestione ordinata della «Brexit», è necessario prestare una particolare attenzione alla tutela dei diritti dei nostri concittadini nel Regno Unito e agli interessi delle imprese italiane;

   il recesso del Regno Unito dall'Unione europea genererà un grosso impatto anche sull'Italia: con circa il 5 per cento dell'ammontare complessivo delle esportazioni italiane, la Gran Bretagna si posiziona infatti al quarto posto tra i mercati di destinazione, dopo Germania, Francia e Stati Uniti. Tale percentuale di beni esportati, i quali sono complessivamente pari a 450 miliardi di euro nel 2017, si traduce in circa 23 miliardi di euro e, se si considera che il nostro import da Londra ammonta a circa 12 miliardi, risulta un avanzo commerciale di 11 miliardi;

   alla luce di tali percentuali, emerge con chiarezza la forte rilevanza del legame economico che unisce i due Paesi; nel caso in cui si giungesse ad una «Brexit» senza accordo finale, ciò potrebbe infatti modificare le percentuali di interscambio con l'estero e i 23 miliardi di euro di export verrebbero ridotti in modo sensibile; basti ricordare che a inizio 2016 ci si attendeva un aumento dell’export italiano verso la Gran Bretagna di circa il 5-6 per cento, mentre, dopo il referendum di giugno 2016, la percentuale si è fermata allo 0 per cento, per poi raggiungere il 3 per cento solo nel 2017;

   l'impatto sul sistema industriale italiano lo si comprende meglio disaggregando l'effetto del potenziale calo delle esportazioni italiane verso Londra, poiché circa il 40 per cento di queste sono concentrate in alcuni settori, quali la meccanica strumentale, i mezzi di trasporto e l'agroalimentare. Gli effetti su questi settori sarebbero dunque più rilevanti che in altri, tanto più se la «Brexit» avvenisse senza un accordo finale;

   anche gli investimenti diretti esteri subiranno variazioni in seguito alla eventuale «hard Brexit» sull'Italia. Il nostro Paese è destinatario di relativamente pochi Ide (investimenti diretti esteri), il 18,7 per cento del nostro prodotto interno lordo, contro il 46,7 per cento della media dell'Unione europea nel 2016, ma si tratta di investimenti con forte concentrazione a livello settoriale, manifatturiero, Information and communication technology e commercio all'ingrosso;

   si consideri poi che, nei 45 anni della sua adesione all'Unione europea, la Gran Bretagna e l'Italia hanno intessuto relazioni intense innanzi a forme di forte cooperazione di fatto tra Francia e Germania, al fine di riportare la politica dell'Unione in un ambito maggiormente condiviso, e la presenza della Gran Bretagna nell'Unione europea ha favorito la crescita della competitività del sistema produttivo italiano;

   la «Brexit» rischia di cambiare anche il volto della mobilità internazionale a fini lavorativi. Secondo gli ultimi dati dell'Istat relativi alle migrazioni internazionali e interne della popolazione residente, del dicembre 2018, nel 2017 il Paese che ha ospitato il maggior numero di italiani emigrati è proprio la Gran Bretagna con 21.000 emigrati;

   gli accordi di «divorzio» della Gran Bretagna dall'Unione europea dovrebbero prevedere alcune misure eccezionali per talune categorie di lavoratori, nel caso in cui si realizzasse effettivamente una «hard Brexit», cercando di garantire ai lavoratori italiani regole e condizioni di permanenza che prevedano restrizioni diverse da quelle attualmente applicate dalla Gran Bretagna ai lavoratori immigrati da altri Stati estranei all'Unione europea;

   considerando la presenza di 700 mila italiani complessivi stimati nel Regno Unito, si può facilmente prevedere l'importanza di ottenere obiettivi nel senso sopra detto;

   infine, nell'anno accademico 2016-2017, sono stati oltre 13 mila gli studenti italiani iscritti nelle università del Regno Unito e il numero complessivo di studenti è naturalmente maggiore, ma, ad oggi, non ci sono risposte certe per quanto riguarda le questioni dettagliate come l'entità delle tasse universitarie da pagare o la garanzia di poter godere dell'assistenza sanitaria;

   è notizia di questi giorni che il voto sull'accordo per la «Brexit» previsto per il prossimo mercoledì alla Camera dei Comuni verrà rinviato e che i vertici dell'Unione europea sarebbero disposti ad estendere sino al 29 marzo 2021 la permanenza del Regno Unito nell'Unione europea, piano che avrebbe già ottenuto il placet del presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, e che consentirebbe anche di coprire l'estensione temporale del budget comunitario –:

   in attesa di un chiarimento delle intenzioni del Governo britannico sui prossimi sviluppi, se i fatti di cui in premessa corrispondano al vero e, in caso affermativo, quali iniziative il Governo intenda assumere, in quest'ottica di perdurante incertezza, in particolare per quanto riguarda la tutela dei diritti e degli interessi degli imprenditori, dei lavoratori e degli studenti italiani residenti nel Regno Unito, nonché dei cittadini britannici in Italia, considerando le criticità esposte in premessa e la prospettata ipotesi di estensione lunga della «Brexit» fino al 2021.
(2-00287) «Ianaro, Scerra, Bruno, De Giorgi, Galizia, Olgiati, Papiro, Torto, Villani, Sabrina De Carlo, De Girolamo, De Lorenzis, De Toma, Del Grosso, Del Monaco, Del Sesto, Di Lauro, Di Sarno, Di Stasio, Dieni, D'Incà, Donno, Dori, D'Orso, D'Uva, Ehm, Emiliozzi, Ermellino, Faro, Ficara, Flati».

Interrogazione a risposta scritta:


   FORNARO e ROSTAN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   nel mese di dicembre 2018, con l'articolo 135 della «legge annuale di riordino dell'ordinamento regionale» (la legge «omnibus»), la regione Piemonte ha deciso di stabilizzare gli oltre 80 medici precari che prestano servizio sulle ambulanze del 118;

   la norma approvata dalla regione dispone che i medici in servizio presso le strutture del sistema di emergenza-urgenza territoriale 118 con contratti a tempo determinato, o comunque con rapporti di lavoro flessibile, e con un'anzianità lavorativa di almeno tre anni, possano accedere alle procedure di assegnazione degli incarichi convenzionali a tempo indeterminato anche senza aver superato il corso di medicina generale ma solo quello di emergenza territoriale. Questa possibilità resta comunque circoscritta agli incarichi del sistema di emergenza-urgenza e non prevede l'inserimento dei medici nelle graduatorie per la medicina generale;

   il 15 febbraio 2019 il Governo ha deciso di impugnare questo provvedimento davanti alla Corte Costituzionale;

   la norma della regione Piemonte va in una doppia e giusta direzione: stabilizzare i precari e migliorare un servizio di emergenza fondamentale per i cittadini come il 118;

   la stessa procedura è stata adottata anche da altre regioni senza che ci fosse alcuna impugnazione;

   il Ministero della salute ritiene che la stabilizzazione di questi 80 medici li metta in condizione di entrare nella graduatoria dei medici di famiglia, ma per diventarlo dovrebbero avere un titolo che non hanno e che la regione, a detta dell'assessore alla sanità, non intende fornire, il che equivale a smentire quanto sostenuto dal Ministero della salute e alla base del ricorso –:

   se, alla luce di quanto precisato dalla regione Piemonte, non vengano meno le motivazioni del ricorso e il Governo non ritenga corretto rinunciarvi.
(4-02351)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:

   il comune di Piombino è interessato da problematiche ambientali piuttosto gravi e importanti, dovute alla presenza dell'industria siderurgica nell'area piombinese che ha comportato grandi trasformazioni della morfologia territoriale e un progressivo inquinamento dei suoli, della falda acquifera sottostante e dell'area marina antistante;

   nel 1999 a seguito di uno studio di fattibilità redatto da Azienda regionale recupero risorse in Toscana (Arrr) per conto della Società Tap Spa, partecipata da Asiu spa (società a capitale pubblico affidataria dei servizi di igiene urbana nel comune di Piombino e della Val di Cornia) si decise di avviare un processo di trattamento e recupero dei rifiuti e sottoprodotti siderurgici dell'area industriale di Piombino mediante conglomerazione idraulica;

   nel 2000 venne istituito il sito di interesse nazionale (Sin) di Piombino, ai sensi della legge n. 426 del 1998, il quale si estende su una superficie terrestre di circa 930 ettari, di cui 580 appartengono al demanio statale, 321 sono di proprietà privata e 29 di proprietà del comune di Piombino;

   del Sin fanno parte anche i circa 2000 ettari dello specchio di mare antistante le industrie e il bacino portuale, anch'essi contaminati dalle attività industriali;

   con l'istituzione del Sin si sarebbe dovuto procedere alla caratterizzazione delle sostanze inquinanti nel suolo, nella falda e nelle acque marine, alle valutazioni dei rischi ambientali e alla predisposizione di progetti organici di bonifica per consentire l'utilizzo di questo di questo territorio in condizioni di sicurezza ambientale e sanitaria;

   sebbene il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sullo «Stato delle procedure per la bonifica» abbia fornito alcuni dati eloquenti, a distanza di diciotto anni dall'istituzione del sito di interesse nazionale non è stata completata neppure la caratterizzazione dello stesso;

   non essendo stata completata neanche la caratterizzazione delle discariche industriali abusive dello stabilimento ex Lucchini, individuate dalla Guardia di finanza e sequestrate dalla procura della Repubblica di Livorno nel 2007, circa 500.000 metri cubi di rifiuti restano confinati da decenni sui terreni demaniali in prossimità del mare ad est della Chiusa di Pontedoro;

   ad oggi ancora non si conoscono gli eventuali costi di un'operazione di bonifica complessa, in quanto non sono stati presentati progetti per il recupero ed il riuso delle aree costiere in questione e secondo i dati del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare le aree bonificate nel Sin sono pari a zero ettari;

   con l'accordo di programma del 24 aprile 2014, per la riconversione e la riqualificazione del sito industriale di Piombino vengono stanziate le seguenti risorse:

    13,5 milioni di euro per la bonifica dell'area denominata città Futura;

    8 milioni di euro per la messa in sicurezza permanente della discarica esaurita di loc. Poggio ai venti;

    50 milioni di euro per la messa in sicurezza permanente ed il trattamento delle acque di falda delle aree demaniali oggetto di sversamenti industriali abusivi;

   gli interventi di bonifica erano stati affidati ad Asiu spa, che però nel 2016, al momento del passaggio della Val di Cornia in Ato SUD, risulta avere un'esposizione debitoria di circa 21 milioni di euro, ai quali vanno aggiunti altri 10 milioni di euro di mancato accantonamento delle risorse per la gestione post mortem della discarica;

   per gestire questa delicata situazione, che avrebbe messo a rischio di commissariamento tutti i comuni soci, il 28 giugno 2016 viene creata RiMateria spa, partecipata da Asiu per 87,75 per cento, alla quale conferisce gli impianti, il personale, ma anche i debiti/crediti. RiMateria eredita da Asiu la concessione della ex discarica Lucchini della «sutura», la discarica Lucchini esaurita e l'area cosiddetta LI53, quest'ultima oggetto della previsione di una nuova discarica da 2,5 milioni di metri cubi;

   contestualmente viene nominato un commissario straordinario per l'attuazione dell'Accordo di programma il presidente della regione Toscana, Enrico Rossi, che a sua volta affida la progettazione e la realizzazione della Misp all'Autorità portuale e a RiMateria spa la gestione e il controllo della salubrità dei luoghi, la manutenzione ordinaria e la raccolta di percolato;

   il 29 novembre 2017 tramite decreto n. 17478 del 29 novembre 2017, la regione Toscana diffida RiMateria spa per il mancato rispetto delle prescrizioni di cui all'Autorizzazione integrata ambientale n. 189 del 2011;

   il 21 marzo 2018, la discarica è posta sotto sequestro e riaperta il 17 aprile sotto il costante controllo dei Noe di Grosseto. Attualmente RiMateria spa non ha ancora terminato i lavori indicati nelle prescrizioni dell'Aia n. 189 del 2011 e nella diffida della regione Toscana;

   ad oggi nessuno degli interventi di bonifica dell'area risulta essere attuato o in fase di attuazione –:

   se il Ministro interpellato intenda attivarsi al fine di procedere alla bonifica del sito di interesse nazionale anche aprendo ad una strategia di interazione tra livelli di governo locali, regionali e nazionali;

   se verranno predisposti progetti per la realizzazione di idonee infrastrutture di accesso nelle zone del Sin, coordinando bonifiche, opere infrastrutturali e riqualificazione per rendere disponibili territori risanati e utilizzabili per nuove attività;

   se e quali siano le iniziative che il Ministro intende mettere in atto per attivare le risorse stanziate con l'Adp del 2014 che, a distanza di cinque anni, risultano ancora inutilizzate e che, oltre ad eliminare potenziali rischi per la salute dei cittadini, costituirebbero un elemento di rilancio dell'economia di un'area industriale di crisi complessa;

   se, in riferimento alla richiesta di ampliamento della discarica gestita da RiMateria, tale prospettiva risulti essere compatibile con il decreto direttoriale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prot. n. 423 del 4 ottobre 2017 tenuto conto del rischio della cessione ai privati di enormi spazi per conferimenti esterni di rifiuti speciali, senza procedere alle bonifiche e alla messa in sicurezza del territorio.
(2-00285) «Ricciardi, Daga, Deiana, D'Ippolito, Federico, Ilaria Fontana, Licatini, Alberto Manca, Maraia, Rospi, Terzoni, Traversi, Varrica, Vianello, Vignaroli, Zolezzi, Forciniti, Frate, Frusone, Gagnarli, Galantino, Gallinella, Gallo, Giarrizzo, Giordano, Giuliano, Giuliodori, Grande, Grimaldi, Grippa, Gubitosa, Iorio, Iovino, L'Abbate, Lattanzio, Liuzzi, Lombardo, Gabriele Lorenzoni, Lovecchio, Macina, Maglione, Maniero, Manzo, Mariani, Marino, Martinciglio».

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PALAZZOTTO. — Al Ministro della difesa, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il 17 luglio 2018, Open Arms e Astral hanno ritrovato i resti di un gommone alle coordinate 34° 13'N 013° 52,4'E, al largo delle coste libiche. A bordo del relitto sono stati rinvenuti tre corpi abbandonati, due donne e un bambino. Josefa, una delle donne, ancora viva, è stata recuperata dai soccorritori insieme agli altri due corpi ormai senza vita;

   l'evento, oltre a suscitare grande clamore mediatico per la polemica nata tra il Governo italiano, Open Arms e la cosiddetta Guardia costiera libica per il legittimo sospetto, vista la dinamica dei fatti, che i corpi ritrovati siano stati abbandonati in acqua dopo un intervento libico, è stata oggetto di due atti di sindacato ispettivo: l'interrogazione a risposta immediata in Assemblea n. 3/00123 e l'interpellanza urgente n. 2/00063;

   una delle richieste avanzate al Governo attraverso tali atti era quella di sapere dal Governo medesimo quali imbarcazioni fossero transitate nella zona del ritrovamento, la notte tra il 16 e il 17 luglio 2018;

   a parere dell'interrogante, il Governo sul punto ha fornito risposte parziali e non soddisfacenti agli atti già presentati e sopra richiamati e, in particolare, all'interrogante appare improbabile che l'Italia non abbia il pieno controllo del traffico navale a ridosso delle proprie acque territoriali, non disponendo di dati preziosi quali il monitoraggio dei tracciati relativi a ogni imbarcazione che transita nel mediterraneo centrale, sia essa civile, militare, mercantile, o straniera;

   ad oggi quindi, non si sa ancora se e chi abbia avvicinato il gommone prima del ritrovamento da parte di Open Arms –:

   se il Governo intenda fornire ulteriori chiarimenti in relazione a quali assetti navali appartenenti alla Marina o alla Guardia costiera italiana, alla Marina o alla Guardia costiera Libica, alla Nato o alla missione EunavforMed siano coinvolti o comunque siano transitati nel tratto di mare ovvero nel raggio di 50 miglia, dal luogo del ritrovamento del relitto individuato dalla Open Arms e citato in premessa, dal momento che l'individuazione dell'assetto navale che per primo ha effettuato il salvataggio è fondamentale per accertare eventuali responsabilità.
(5-01565)

Interrogazione a risposta scritta:


   STUMPO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il consiglio comunale di Cotronei, in provincia di Crotone, discutendo di legalità e sicurezza a seguito di alcuni fatti criminosi avvenuti in Sila, con la delibera numero 36 dell'11 novembre 2017, ha unanimemente richiesto l'istituzione di una caserma dei carabinieri nella località di Trepidò;

   la storia di Cotronei è la storia di una comunità tranquilla e democratica che ha sempre rigettato ogni forma di violenza e di contiguità criminale;

   quello di Cotronei è un territorio vasto e strategico, più volte interessato da operazioni contro la criminalità dedita, in particolare, allo spaccio di droga;

   la conformazione geografica del territorio, per la sua vastità e la presenza di un significativo flusso di turisti, renderebbe necessario un ulteriore e adeguato presidio dell'ordine pubblico che l'amministrazione comunale ha individuato nella località di Trepidò;

   l'amministrazione comunale di Cotronei ha ribadito in tutte le sedi la disponibilità a garantire tutti gli oneri finanziari e organizzativi, oltre a mettere a disposizione un immobile adeguato per il funzionamento della caserma;

   nonostante le disponibilità dell'amministrazione comunale, a oggi sono pervenute solo risposte negative, l'ultima delle quali dal prefetto di Crotone;

   la necessità di una nuova caserma dei carabinieri è fortemente sentita dai cittadini e dagli operatori economici del territorio come garanzia di sicurezza e tranquillità nello svolgimento delle attività economiche e turistiche –:

   se il Governo, per quanto di competenza, sia a conoscenza della richiesta dell'amministrazione comunale di Cotronei e quali iniziative intenda adottare affinché si possa realizzare la nuova caserma dei carabinieri, venendo incontro alla reiterata richiesta dell'amministrazione comunale e ai sentimenti della cittadinanza.
(4-02349)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:


   SOZZANI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il 13 febbraio 2019 Ferrovie dello Stato italiane dopo aver ricevuto dalla statunitense Delta Air Lines e dalla britannica EasyJet una manifestazione di interesse non vincolante per l'acquisizione di circa il 30-40 per cento del capitale della nuova Alitalia, ha aperto a una trattativa con i due vettori per la costituzione della newco presso cui trasferire le attività dell'attuale compagnia in amministrazione straordinaria;

   tale trattativa escluderebbe, in linea teorica, quella con il vettore Lufthansa, almeno in attesa della presentazione da parte delle due compagnie di volo di un piano industriale propedeutico a quello più ampio di salvataggio dell'ex compagnia di bandiera italiana;

   tale piano, secondo le ricostruzioni dei quotidiani, dovrebbe aggirarsi su un valore pari a 800 milioni di euro di capitale e una flotta composta da circa 105 velivoli. Attualmente Alitalia conta invece una flotta di 118 aerei;

   secondo quanto riportato da notizie di stampa durante l'incontro svoltosi il 20 febbraio successivo tra Ferrovie dello Stato italiane, Delta Airlines e Easyjet, sarebbero emerse perplessità;

   nella medesima giornata, durante lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata svoltesi alla Camera dei deputati, anche il Ministro dell'economia e delle finanze, Giovanni Tria, avrebbe messo in dubbio l'operazione di rinazionalizzazione di Alitalia annunciando che lo Stato sarà mero creditore nelle operazioni e non socio al 51 per cento della compagnia, come peraltro annunciato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;

   corrobora tale raffreddamento nelle intenzioni del Governo anche la decisione optata da Fabrizio Palermo di ritirare l'offerta di Cassa depositi e prestiti, mentre Ferrovie dello Stato italiane non ha ancora chiarito quante risorse intende approntare per il nuovo capitale sociale che, secondo le stime ad oggi necessiterebbe di circa 2 miliardi di euro, dei quali 900 milioni sarebbero da restituire per il prestito «ponte» e 1.100 milioni per l'acquisto di nuovi aerei, soprattutto per le lunghe tratte;

   la stessa Easyjet poi avrebbe sollevato dubbi sull'operazione non dichiarando, a differenza di Delta, a quanto corrisponderebbe in realtà la porzione di capitale a cui accedere;

   non esiste quindi attualmente alcun piano industriale da parte dei quattro possibili nuovi soci di Alitalia –:

   con quali tempistiche e con quali modalità la nuova compagnia Alitalia sarà rilanciata;

   con quali condizioni finanziarie e commerciali Delta Airlines e Easyjet entrerebbero nel capitale sociale della nuova compagnia;

   quale ruolo avrà il Ministero dell'economia e delle finanze nella compagine societaria e nella gestione della nuova compagnia aerea.
(3-00557)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BUTTI e OSNATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   nei giorni scorsi la stampa nazionale (rif. Il Sole 24 ore di sabato 23 febbraio 2019 pagina 24) ha riferito di casi di frode informatica dovuti alla insufficiente sicurezza nella protezione dei dati delle fatture elettroniche in circolazione;

   in passato, sia gli interroganti che gli albi professionali avevano segnalato l'elevatissima probabilità che il problema potesse emergere;

   a ormai due mesi dall'entrata in vigore della norma non è ancora stata emanata la circolare esplicativa dell'Agenzia delle entrate –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti evidenziati e quali iniziative intenda assumere per evitare casi di frodi informatiche;

   quale sia l'orientamento del Ministro interrogato al riguardo e quali tempi si prevedano per l'emanazione della citata circolare esplicativa.
(5-01566)

FAMIGLIA E DISABILITÀ

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per la famiglia e le disabilità, per sapere – premesso che:

   nella relazione finale della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni altra forma di violenza di genere approvata il 6 febbraio 2018 è stato affrontato il tema della violenza subita dalle donne con disabilità;

   i lavori della Commissione hanno rilevato che la donna con disabilità vive in una condizione ancora più difficile, poiché spesso, «questo ruolo non le viene neanche riconosciuto; non è un essere umano, non è una cittadina, bensì un essere senza diritti, priva di sesso, corpo, intelligenza, desideri, emozioni»;

   ciò nonostante, in questo contesto, sono comunque stati rilevati dei progressi grazie alla stipula della Convenzione sui diritti umani delle persone con disabilità (Cdpr), approvata il 25 agosto 2006 e adottata, in via definitiva, il 13 dicembre 2006 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite e ratificata dall'Italia con legge 3 marzo 2009, n. 18;

   la Commissione, durante i lavori, si è avvalsa del contributo della dottoressa Bosisio Fazzi la quale ritiene che i documenti genere-neutrali (gender neutral) non danno luogo a un'adeguata attenzione alle donne, incluse quelle con disabilità. Inoltre le donne con disabilità oltre a sperimentare forme di discriminazione multipla devono affrontare il problema di una doppia «invisibilità»: come donne e come persone con disabilità. La dottoressa ritiene essenziale adottare in pieno il principio del mainstreaming per assicurare che la prospettiva di genere sia esplicitamente adottata, in ogni Paese, nello sviluppo e nella realizzazione di leggi, azioni e programmi relativi alla disabilità;

   per quanto concerne il quadro normativo nazionale, si apprende nel medesimo testo che non esiste una normativa specifica a tutela delle donne e delle ragazze con disabilità, alle quali pertanto si applica la normativa sulle pari opportunità e parità di trattamento di genere tra uomo e donna e la normativa specifica per la condizione di disabilità; ciò comporta che nessuna norma, politica, misura o azione a favore dell'uguaglianza di genere includa specifici riferimenti alle ragazze e alle donne con disabilità, mentre nessuna prospettiva di genere viene adottata nello sviluppo e nell'applicazione di norme, azioni e programmi relativi alla condizione di disabilità;

   tale elemento di criticità è stato sollevato al Governo italiano dal Comitato Onu sui diritti delle persone con disabilità nella sua osservazione conclusiva n. 1415: «Il Comitato raccomanda che la prospettiva di genere sia integrata nelle politiche per la disabilità e che la condizione di disabilità sia integrata nelle politiche di genere, entrambe in stretta consultazione con le donne e le ragazze con disabilità e con le loro organizzazioni rappresentative»;

   si sottolinea, inoltre, che il concetto di discriminazione basata sul genere, contenuto nel codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, non include la dimensione della discriminazione intersezionale sofferta dalle donne con disabilità in quanto donne e persone con disabilità e che nella legge 1° marzo 2006, n. 67 (cosiddetta «legge antidiscriminazione»), non è previsto il concetto di discriminazione intersezionale basato sul genere;

   secondo il rapporto dell'Istat di giugno 2015 in cui si erano raccolti i dati relativi alla violenza di genere sulle donne italiane, ben 6 milioni 788 mila donne sono state vittime nel corso della loro vita di almeno un episodio di violenza. Ma la cosa più allarmante è che, delle donne con disabilità, ha subito violenze fisiche o sessuali il 36 per cento di chi è in cattive condizioni di salute e il 36,6 per cento di chi ha limitazioni gravi. Si stima che il rischio di subire stupri o tentati stupri sia doppio per le donne disabili (10 per cento contro il 4,7 per cento delle donne non disabili);

   si evidenzia inoltre che la stessa legge n. 67 del 2006 non soddisfa gli obblighi derivanti dalla ratifica della Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne (Cedaw), in quanto non prevede rimedi specifici o sanzioni per le discriminazioni intersezionali;

   il fenomeno della violenza ai danni delle donne con disabilità non è oggetto di studio (a parte poche parziali iniziative); mancano specifiche politiche di prevenzione e di contrasto allo stesso; i servizi e i centri antiviolenza sono generalmente impreparati e/o inaccessibili a donne con disabilità;

   le donne con disabilità sono soggette a forme di violenza peculiari, che spesso non sono riconosciute come tali. In altri casi, le violenze sono riconoscibilissime, ma chi sta intorno e assiste non fa niente, per quieto vivere, per convenienza o, ancora, per senso di impotenza. Questo vuol dire che, se per una donna non disabile è difficile uscire dalla violenza, per una donna con disabilità, in questo contesto disabilitante e connivente, le possibilità sono infinitesimali –:

   quali iniziative specifiche il Ministro interpellato intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze, in tema di informazione, prevenzione, contrasto e risposta alla violenza nei confronti delle ragazze e delle donne con disabilità.
(2-00286) «Grippa, Angiola, Barzotti, Casa, Del Monaco, Del Sesto, Ficara, Frate, Lattanzio, Marzana, Parentela, Raffa, Roberto Rossini, Scagliusi, Serritella, Termini, Testamento, D'Arrando, Massimo Enrico Baroni, Bologna, Lapia, Lorefice, Mammì, Menga, Nappi, Nesci, Provenza, Sapia, Sarli, Sportiello, Trizzino, Troiano, Leda Volpi, D'Uva».

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta immediata:


   VITIELLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il tribunale di Napoli nord è il secondo ufficio giudiziario della Campania e si impone tra i primi cinque in Italia per numero di affari giudiziari civili e penali;

   nell'ambito della riforma della geografia giudiziaria, il cui impianto ha trovato forma nella legge delega n. 148 del 2011 e nei successivi decreti legislativi n. 155 e n. 156 del 2012, la sua istituzione è stata un'eccezione alla ratio della riorganizzazione economica del sistema giustizia nel Paese;

   i territori a più alta densità criminale sono stati concentrati in questo nuovo presidio, al quale non vengono riconosciute le minime risorse necessarie per dare una risposta effettiva alla domanda di giustizia, con il rischio di favorire gli interessi della criminalità organizzata;

   il tribunale di Napoli nord ricopre un ruolo centrale per la tutela della legalità in un circondario giudiziario che abbraccia territori ben conosciuti come la «Terra dei fuochi»;

   la notevole attività di tali uffici rischia di essere vanificata da alcune criticità strutturali: l'insufficienza dei locali in uso al tribunale e l'inadeguatezza quantitativa e qualitativa della pianta organica del personale amministrativo e giudiziario;

   la struttura del Castello Aragonese non ospita solo il tribunale ma anche la procura di Napoli nord, l'ufficio notificazioni, esecuzioni e protesti e quelli del Consiglio dell'Ordine degli avvocati. Gli spazi sono assolutamente insufficienti rispetto alle esigenze giudiziarie civili e penali, tenuto conto che la mole di affari ha prodotto carichi di lavoro superiori alle aspettative che hanno costretto l'adozione di provvedimenti emergenziali, come, ad esempio, la celebrazione delle udienze nelle stanze degli studi dei magistrati;

   anche per il personale amministrativo si segnala l'assoluta inadeguatezza della pianta organica: le 146 unità previste non sono proporzionate al numero di magistrati, pari a 81; sproporzione che si riflette sia sulla gestione del personale che sull'andamento dei servizi di cancelleria;

   la straordinarietà del carico di lavoro del tribunale di Napoli nord ha indotto i vertici giudiziari e amministrativi a chiedere la modifica della pianta organica del personale amministrativo, ma l'unico risultato è stato l'ampliamento di sei unità degli assistenti giudiziari con il provvedimento ministeriale del 15 marzo 2018 –:

   se il Ministro interrogato non ritenga necessario ed urgente adottare le iniziative di competenza al fine di risolvere le criticità relative agli spazi e al personale di cui in premessa, in modo da scongiurare uno stallo della produttività del tribunale di Napoli nord.
(3-00558)


   LOLLOBRIGIDA, MELONI, VARCHI, MASCHIO, DELMASTRO DELLE VEDOVE, ACQUAROLI, BELLUCCI, BUCALO, BUTTI, CARETTA, CIABURRO, CIRIELLI, CROSETTO, LUCA DE CARLO, DEIDDA, DONZELLI, FERRO, FIDANZA, FOTI, FRASSINETTI, GEMMATO, LUCASELLI, MOLLICONE, MONTARULI, OSNATO, PRISCO, RAMPELLI, RIZZETTO, ROTELLI, SILVESTRONI, TRANCASSINI e ZUCCONI. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:

   il regolare funzionamento della giustizia in Italia è ormai per larga parte assicurato dalla magistratura onoraria, che equivale al 50 per cento dell'organico dei magistrati professionali e ricopre la totalità della funzione giurisdizionale di pace, il 90 per cento delle funzioni di pubblica accusa nei processi monocratici e quasi il 60 per cento delle funzioni giurisdizionali nei tribunali, raggiungendo picchi in quelli di provincia;

   ciononostante tale categoria continua non solo a non ottenere il giusto riconoscimento del proprio ruolo, ma, anzi, a subire pesanti discriminazioni, reiterate anche dalla riforma approvata nel 2017 dal Ministro pro tempore Orlando, che ha completamente disatteso le istanze della categoria, nonostante queste non prefigurassero alcuna stabilizzazione nella magistratura di ruolo, prevedendo, invece, il riordino della magistratura onoraria secondo un approccio minimalista, con un aumento modesto delle relative competenze e un riconoscimento delle tutele previdenziali di mera facciata, a saldi di bilancio invariati;

   tale riforma, inoltre, non solo ha previsto la creazione di uno «statuto unico» della magistratura onoraria, applicabile ai giudici di pace, ai giudici onorari di tribunale e ai vice procuratori onorari, con l’«intrinseca temporaneità dell'incarico», ma anche la rideterminazione della pianta organica dei giudici di pace in tutto il territorio nazionale, un fatto che, soprattutto nelle piccole realtà territoriali, rischia di portare alla paralisi degli uffici giudiziari;

   nel «contratto di governo» posto alla base dell'accordo tra Lega e MoVimento 5 Stelle per la formazione dell'attuale Esecutivo, si annuncia una «completa modifica» della «riforma Orlando», prevedendo «il riconoscimento del ruolo dei magistrati onorari (...) affrontando anche le questioni attinenti al trattamento ad essi spettante ed alle coperture previdenziali ed assistenziali»;

   in assoluta dissonanza rispetto a tali annunci, ad oggi alcun provvedimento concreto è stato preso in sostegno della magistratura onoraria e il tavolo tecnico istituito presso il Ministero della giustizia con il compito di elaborare una proposta di riforma si dovrebbe riunire il 7 marzo 2019, a una distanza di oltre tre mesi dalla prima convocazione;

   nella riunione del 7 marzo 2019 sarà esaminata la proposta avanzata dalla magistratura onoraria, e condivisa anche dalla magistratura di ruolo, volta a superare lo stallo venutosi a determinare e a risolvere finalmente alcune delle questioni più importanti –:

   quale sia l'orientamento del Governo in merito alla citata proposta formulata dai magistrati onorari e quali iniziative urgenti intenda assumere per tutelare i diritti e le legittime aspettative degli stessi e garantire il funzionamento della giurisdizione.
(3-00559)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:

   il sito portuale di Gioia Tauro rappresenta il più grande porto in Italia per il throughput container, il nono in Europa ed il sesto nel Mediterraneo, è strategicamente limitrofo alla rotta oriente-occidente che va dallo Stretto di Gibilterra al Canale di Suez, ed è uno dei maggiori siti di trasbordo, risultando punto funzionale di collegamento fra le reti globali e regionali che interessano le principali rotte del Mediterraneo;

   il porto ha una banchina lunga 3,4 chilometri; sono presenti 22 gru di banchina in grado di raggiungere fino a 23 file di container, i dipendenti sono oltre 1.300 e la struttura ha una capacità massima di 4 mega portacontainer;

   l'attività portuale ha raggiunto i 3.467.772 di Teu nel 2008, per poi scendere costantemente dal 2009 al 2011, riprendersi dal 2011 al 2013 ma poi scendere di nuovo tra il 2013 e il 2015, a causa delle condizioni difficili del mercato del trasbordo nel Mediterraneo e della concorrenza di altri importanti centri di trasbordo presenti in Grecia, Egitto e Malta;

   il porto di Gioia Tauro è presente fra i porti italiani inclusi nella rete «core» transeuropea di trasporto Ten-T secondo i criteri del regolamento (UE) 1315/2013, articolo 20, paragrafo 2, redatto sulla base dei dati relativi ai volumi di traffico operanti e, quindi, di competenza nazionale sugli assetti finanziari e decisionali;

   il Governo nazionale, direttamente e per mezzo dell'Autorità Portuale, governa la concessione delle banchine del porto di Gioia Tauro, che risultano essere affidate per il 50 per cento alla società MedCenter, partecipata da Contship Italia, e per l'altro 50 per cento dalla società Til che è controllata da Msc holding, e che attualmente sono in conflitto per strategie di investimento divergenti proprio nell'area portuale calabrese;

   tale assenza di univoca direzione progettuale industriale delle società Mct e Msc ha causato l'avviso di prelicenziamento di circa cinquecento dipendenti del comparto portuale di Gioia Tauro, senza indicarne modi e procedure, innescando una reazione drammatica dai risvolti sociali imprevedibili;

   l'intervento del prefetto di Reggio Calabria ha consentito la rapida istituzione del tavolo tecnico ministeriale e la convocazione delle parti interessate alla risoluzione della problematica che minaccia i livelli occupazionali presenti nel porto di Gioia Tauro e la concomitante ripresa delle operazioni portuali di Gioia Tauro sospese dai dipendenti giustamente preoccupati;

   l'assenza irresponsabile ed ingiustificata di Mct al tavolo ministeriale ed il reiterarsi di analoghi episodi precedenti accaduti nel 2017 e scongiurati solo attraverso l'intervento della autorità giudiziaria competente in materia lavoro, lascia come unico interlocutore ministeriale credibile e disponibile Msc;

   l'articolo 4 della Costituzione prevede che «la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto (...)»;

   è necessario preservare i livelli occupazionali presenti e la piena operatività portuale –:

   se il Ministro interpellato intenda avviare immediatamente l’iter di valutazione circa la sussistenza dei presupposti per il mantenimento della concessione senza esitazione alcuna o perdita di tempo, che risulterebbe deleteria rispetto al mantenimento dei livelli occupazionali, minacciati da un comportamento a parere degli interpellanti poco responsabile manifestato dalla MedCenter, ed all'attività operativa dello stesso sito portuale;

   se intenda considerare gli impegni manifestati dalla Msc al tavolo ministeriale e adottare opportune iniziative per concretizzare immediatamente gli accordi di investimento prospettati, al fine di realizzare l'incremento necessario del volume di traffico per un'azione di rilancio nazionale ed internazionale del porto di Gioia Tauro; ovvero se, in alternativa, si intenda valutare un eventuale ritiro della concessione alla società di gestione del porto, e predisporre una fase transitoria che consenta lo svincolo e l'utilizzo dei fondi del programma finanziario europeo per il piano di investimenti delle aree logistiche integrate del Paese, avviando lo studio per una celere eventuale riassegnazione della concessione ad altra società italiana;

   se e quali iniziative intenda adottare per effettuare una valutazione degli effetti della legge n. 136 del 2018 (che ha da ultimo modificato la legge n. 84 del 1994 relativa al riordino della legislazione in materia portuale), in termini di utilità per l'attività di sviluppo e crescita di cui necessita il porto calabrese di Gioia Tauro.
(2-00288) «Cannizzaro, Bartolozzi, Carfagna, Casciello, D'Attis, D'Ettore, Fasano, Fiorini, Gagliardi, Giacometto, Marrocco, Martino, Mazzetti, Mugnai, Musella, Nevi, Orsini, Pella, Polverini, Prestigiacomo, Ravetto, Paolo Russo, Scoma, Siracusano, Sisto, Sozzani, Squeri, Maria Tripodi, Vietina, Zanella, Zangrillo, Elvira Savino».

Interrogazioni a risposta immediata:


   STUMPO, MURONI e FORNARO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   in Italia 26 opere risulterebbero bloccate e senza risorse, opere che migliorerebbero la vita dei pendolari: linee di metropolitane, tram e collegamenti ferroviari di cui potrebbero beneficiare 12 milioni di persone se si investisse in una «cura del ferro» nelle città italiane, in particolare al Sud dove i ritardi sono enormi;

   il dossier «Pendolaria 2018» di Legambiente, presentato il 30 gennaio 2019, registra che per i pendolari, sulle 10 linee peggiori d'Italia, nulla è cambiato rispetto agli anni scorsi. Quindi, non c'è nessuna buona notizia per i pendolari sulle tratte ferroviarie Roma-Lido, Circumvesuviana, Reggio Calabria-Taranto, Verona-Rovigo, Brescia-Casalmaggiore-Parma, Agrigento-Palermo, Settimo Torinese-Pont Canavese, Campobasso-Roma, Genova-Savona-Ventimiglia e Bari-Corato-Barletta;

   le 26 opere incompiute devono diventare la priorità di intervento nei prossimi anni, nelle città e nei territori italiani; sono, ad esempio, le linee di metropolitane e tram indispensabili a Roma, Torino, Bologna, Palermo, Cagliari, come le linee ferroviarie al Sud che versano in uno stato di forte degrado in Calabria, Sicilia, Molise, Sardegna, Puglia;

   si tratta di interventi in tutta Italia, che comporterebbero una spesa limitata rispetto alle grandi opere, che sembrano condannate a non vedere luce, dato che per la loro realizzazione mancano risorse pari a quasi 10,8 miliardi di euro. La ragione è nel fatto che si continua a investire su strade e autostrade, come dimostrano i dati degli interventi realizzati durante la XVII legislatura: 3.900 chilometri tra strade provinciali, regionali e nazionali, 217 chilometri di autostrade, mentre sono state sospese o cancellate linee ferroviarie per 205 chilometri;

   con riferimento ai tagli ai servizi ferroviari regionali, solo nel Sud Italia, tra il 2010 e il 2018, si è tagliato del 33,2 per cento il numero di treni in circolazione in Molise, del 15,9 per cento quello in Calabria, del 15,1 per cento in Campania, del 6,9 per cento in Basilicata e del 5,6 per cento in Sicilia. Il record di aumento dei biglietti va alla Liguria pari al 49 per cento, seguita da Campania e Piemonte con aumenti del 48,4 per cento e del 47,3 per cento –:

   quali iniziative intenda adottare allo scopo di procedere al finanziamento integrale delle 26 opere oggi ferme e senza risorse affinché diventino la priorità di investimento dei prossimi anni e se non ritenga necessario adottare ulteriori iniziative di competenza per potenziare il numero di treni in circolazione, al fine di migliorare la qualità della vita di oltre 2,8 milioni di passeggeri del servizio ferroviario regionale.
(3-00563)


   ORLANDO, PAITA, GRIBAUDO, FIANO e ENRICO BORGHI. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:

   da notizie di stampa risulta che il 19 agosto 2018 il Ministro interrogato abbia inviato alla Società Autostrade per l'Italia una missiva in relazione al crollo del Ponte Morandi di Genova in cui si afferma che: «In relazione a tale disastro si avvia, in modo formale, la contestazione del gravissimo inadempimento di codesta società agli obblighi di manutenzione (ordinaria e straordinaria) e custodia, in oggettiva considerazione del collasso dell'infrastruttura, delle vittime accertate e degli ingenti danni riportati ai beni anche di soggetti terzi, senza considerare l'interruzione del sistema di viabilità e quindi la compromissione della funzionalità delle infrastrutture concesse. A seguito della contestazione in oggetto e all'esito della valutazione delle controdeduzioni che codesta società farà pervenire, si fa riserva di esperire tutte le iniziative di tutela apprestate dall'ordinamento giuridico, ferma restando l'idoneità della presente ad attivare i procedimenti di cui agli articoli 8, 9 e 9-bis della convenzione di concessione»;

   al riguardo, il Ministro interrogato ha poi esternato l'intenzione di voler predisporre un apposito provvedimento per revocare la concessione ad Autostrade per l'Italia, annunciando anche l'intenzione di procedere alla nazionalizzazione;

   il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato che: «Non possiamo aspettare i tempi della giustizia penale: disporremo la revoca delle concessioni ad Autostrade per l'Italia»; mentre il Vice Presidente del Consiglio dei ministri Luigi Di Maio ebbe a dire: «chi non vuole revocare le concessioni deve passare sul mio cadavere»;

   ad oggi l'unico intervento legislativo che esclude la partecipazione di Autostrade per l'Italia è contenuto nel cosiddetto decreto-legge su Genova, relativamente alla ricostruzione del Ponte, avverso il quale Autostrade per l'Italia ha proposto ricorso dinnanzi al tribunale amministrativo regionale della Liguria;

   nonostante siano trascorsi mesi dalla lettera citata, non è dato sapere se e come la società Autostrade per l'Italia abbia risposto e quali seguiti abbia dato il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per estinguere il rapporto concessorio. Allo stesso tempo non vi è traccia del provvedimento per la revoca della concessione, né si sono avute notizie dell'annunciata nazionalizzazione;

   il quotidiano La Stampa parla di una nuova missiva del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che darebbe ad Autostrade per l'Italia il tempo incredibilmente lungo di 4 mesi per fornire addirittura «una propria valutazione circa le possibili cause del crollo» –:

   se la procedura di revoca della concessione autostradale ad Autostrade per l'Italia per grave inadempimento sia stata effettivamente avviata, in che fase ora si trovi e con che tempistiche si completerà la revoca.
(3-00564)

Interrogazione a risposta scritta:


   PAOLO RUSSO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   nel mese di giugno 2017 veniva inaugurata la stazione di Napoli Afragola, a servizio della linea dell'alta velocità, opera di altissimo pregio architettonico progettata da Zara Hadid;

   a meno di due anni dall'apertura la stazione è del tutto priva di servizi efficienti, negozi e luoghi di ristorazione, se si esclude un piccolo bar di recente attivato;

   ad oggi non vi è alcun collegamento su ferro che consenta ai viaggiatori di raggiungere tale stazione da un qualsiasi altro nodo ferroviario campano; parimenti il collegamento su gomma è di fatto inesistente se si escludono le sole quattro corse nell'arco delle 24 ore che l'Eav assicura, senza ovviamente alcuna connessione con gli orari di arrivo e partenza dei treni; conseguentemente, gli utenti per raggiungere la stazione di Napoli Afragola sono costretti all'uso pressoché esclusivo dell'automobile, con tutti i disagi che una simile «scelta obbligata» comporta; attualmente, la stazione è dotata di un unico parcheggio di qualche centinaio di posti, manifestamente insufficiente, tanto da costringere i malcapitati viaggiatori a lasciare l'auto fuori dagli stalli previsti, così incorrendo ripetutamente in infrazioni pesantemente sanzionate;

   a breve una nuova area di parcheggio per altre centinaia di posti auto dovrebbe essere fruibile;

   la stazione di Napoli Afragola è utilizzata, ad oggi, da circa 500 abbonati pendolari nella tratta Napoli Roma ed è crescente il numero di fruitori abituali;

   tali utenti pendolari già affrontano una spesa significativa proprio per l'acquisto dell'abbonamento (circa 400 euro);

   si paventa il rischio che con l'apertura della nuova area parcheggio si passerebbe dall'attuale regime di parcheggio libero a quello a pagamento;

   a tutt'oggi sono solo 11 i vettori Trenitalia in andata Napoli Afragola-Roma Termini e 12 in direzione opposta, con ampie fasce orarie prive di reale collegamento soprattutto al mattino dalle 6 in poi in andata ed al pomeriggio dalle 15 in poi al ritorno –:

   quali iniziative di competenza ritenga adottare per evitare che il parcheggio di servizio della stazione di Napoli Afragola diventi del tutto a pagamento e per ampliare l'offerta di vettori proprio al mattino verso Roma e al pomeriggio, in direzione opposta, verso Napoli Afragola.
(4-02350)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta immediata:


   CASCIELLO, GELMINI, PAOLO RUSSO, APREA, BAGNASCO, ANNA LISA BARONI, BARTOLOZZI, BIANCOFIORE, CAPPELLACCI, CARFAGNA, D'ATTIS, FATUZZO, FITZGERALD NISSOLI, LABRIOLA, MARIN, MARROCCO, MUGNAI, NAPOLI, OCCHIUTO, ORSINI, PALMIERI, PETTARIN, PITTALIS, ROSSELLO, ROTONDI, RUFFINO, SACCANI JOTTI, SARRO, SANDRA SAVINO, SCOMA e MARIA TRIPODI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   nel mese di febbraio 2019, durante la visita ad alcuni istituti scolastici in Campania, il Ministro interrogato ha rilasciato dichiarazioni offensive verso i docenti del Sud che non si impegnerebbero abbastanza nel loro lavoro e sarebbero responsabili delle minori prestazioni degli studenti meridionali, alimentando stereotipi che andrebbero combattuti assumendo misure necessarie a colmare il gap esistente tra diverse zone dell'Italia;

   in una fase in cui la credibilità dell'istituzione scuola è continuamente messa in discussione da atteggiamenti di studenti e genitori che arrivano a minare la sicurezza fisica degli operatori appaiono ingiuriose le dichiarazioni rivolte a una categoria di lavoratori geograficamente definita, indebolendone ulteriormente l'autorità, il prestigio sociale e la forza persuasiva proprio dove sono più alti i tassi di abbandono scolastico, il disagio e la disoccupazione giovanile e maggiore è l'assenza di infrastrutture produttive in grado di stimolare il tessuto economico;

   gli insegnanti che operano in tali territori sono lasciati soli a rappresentare uno Stato che non li difende e che non prevede interventi a largo raggio su un tessuto sociale sfilacciato e senza grandi punti di riferimento;

   quasi metà dei docenti del Nord provengono dai territori di «fannulloni», senza che questo abbia ripercussioni sulla qualità e sulle performance degli studenti settentrionali;

   a disposizione delle scuole meridionali ci sono meno risorse e strutture, c'è scarsità di luoghi culturali e di aggregazione, quali biblioteche, centri sportivi, scuole con palestre;

   il Governo ha fortemente contratto le risorse del fondo per il contrasto alla povertà educativa, mentre sarebbero auspicabili sostegno e sviluppo dell'istruzione e della formazione professionale per dotare di strumenti concreti di costruzione di futuro i giovani che disagio e povertà educativa spingono lontano dall'istruzione, rendendoli potenziali destinatari della promessa di facile guadagno offerta dalla criminalità organizzata;

   sono evidenti le inadempienze del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in materia di edilizia scolastica, i cui fondi sarebbero sbloccati per almeno 7 miliardi ma sono assolutamente «latitanti»;

   nell'ambito del programma operativo nazionale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, nel 2017 è stato pubblicato l'avviso dello stanziamento di 350.000.000 di euro per progetti di edilizia scolastica in Basilicata, Campania, Calabria, Puglia e Sicilia, per accedere ai quali gli enti destinatari hanno presentato i progetti entro la scadenza richiesta del febbraio 2018, ma ad oggi di questi fondi non se ne sa nulla –:

   se il Ministro interrogato intenda scusarsi con i lavoratori delle scuole del Sud, adottando azioni concrete contro la dispersione scolastica – che, com'è noto, si riconnette a fenomeni di criminalità e disoccupazione giovanile – individuando specifici fondi da destinare alle scuole del Meridione.
(3-00560)


   MOLINARI, ANDREUZZA, BADOLE, BASINI, BAZZARO, BELLACHIOMA, BELOTTI, BENVENUTO, BIANCHI, BILLI, BINELLI, BISA, BOLDI, BONIARDI, BORDONALI, CLAUDIO BORGHI, BUBISUTTI, CAFFARATTO, CANTALAMESSA, CAPARVI, CAPITANIO, VANESSA CATTOI, CAVANDOLI, CECCHETTI, CENTEMERO, CESTARI, COIN, COLLA, COLMELLERE, COMAROLI, COMENCINI, COVOLO, ANDREA CRIPPA, DARA, DE ANGELIS, DE MARTINI, D'ERAMO, DI MURO, DI SAN MARTINO LORENZATO DI IVREA, DONINA, FANTUZ, FERRARI, FOGLIANI, FORMENTINI, FOSCOLO, FRASSINI, FURGIUELE, GASTALDI, GERARDI, GIACCONE, GIACOMETTI, GIGLIO VIGNA, GOBBATO, GOLINELLI, GRIMOLDI, GUSMEROLI, IEZZI, INVERNIZZI, LATINI, LAZZARINI, LEGNAIOLI, LIUNI, LO MONTE, LOCATELLI, LOLINI, EVA LORENZONI, LUCCHINI, MACCANTI, MAGGIONI, MARCHETTI, MATURI, MORELLI, MOSCHIONI, MURELLI, ALESSANDRO PAGANO, PANIZZUT, PAOLINI, PAROLO, PATASSINI, PATELLI, PATERNOSTER, PETTAZZI, PIASTRA, PICCOLO, POTENTI, PRETTO, RACCHELLA, RAFFAELLI, RIBOLLA, SALTAMARTINI, SASSO, STEFANI, TARANTINO, TATEO, TIRAMANI, TOCCALINI, TOMASI, TOMBOLATO, TONELLI, TURRI, VALBUSA, VALLOTTO, VINCI, VIVIANI, ZICCHIERI, ZIELLO, ZÓFFILI e ZORDAN. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. – Per sapere – premesso che:

   in Italia esiste un patrimonio edilizio scolastico vetusto e che necessita di continui interventi di messa in sicurezza degli edifici;

   circa il 57 per cento degli edifici scolastici non risulta essere in regola con la normativa antincendio;

   non è stato approvato l'emendamento al «decreto semplificazioni» che prevedeva la proroga del termine per l'adeguamento degli edifici scolastici alla normativa antincendio;

   risale a qualche settimana fa l'annuncio dell'approvazione di un piano antincendio e dello stanziamento di 114 milioni di euro per l'adeguamento alla normativa antincendio di 2.267 istituti scolastici, ma non è stata chiarita l'effettiva disponibilità delle predette risorse e la tempistica di erogazione delle stesse agli enti locali;

   il nostro Paese ha un'elevata esposizione al rischio sismico, come dimostrato dagli eventi sismici che si sono verificati in Molise il 16 agosto 2018 e in Sicilia ad ottobre 2018 e, da ultimo, il 26 dicembre 2018;

   dai dati dell'Anagrafe dell'edilizia scolastica, che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca da quest'anno ha reso disponibili in chiaro sul proprio sito istituzionale, emerge che solo il 25 per cento degli istituti scolastici in zona sismica 1 risulta adeguato alla normativa antisismica;

   molti sono stati gli interventi annunciati negli ultimi mesi per semplificare le procedure di assegnazione dei finanziamenti ed erogare risorse agli enti locali, ma non è stata chiarita la tempistica di erogazione delle suddette risorse;

   il tema dell'edilizia scolastica e, in particolare, della sicurezza delle scuole riguarda milioni di studenti che quotidianamente sono impegnati nelle ordinarie attività didattiche, per i quali è necessario garantire il diritto allo studio in ambienti sicuri e idonei –:

   quali azioni abbia posto in essere e quali intenda promuovere per migliorare la situazione generale dell'edilizia scolastica in Italia, con particolare riferimento all'adeguamento delle scuole alla normativa antisismica e a quella antincendio, e quante e quali risorse siano state sbloccate negli ultimi mesi, con la previsione dei tempi per l'effettiva disponibilità da parte degli enti locali.
(3-00561)


   CASA, GALLO, CARBONARO, ACUNZO, AZZOLINA, VILLANI, TUZI, NITTI, MARZANA, TORTO, BELLA, FRATE, MELICCHIO, MARIANI, LATTANZIO e TESTAMENTO. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. – Per sapere – premesso che:

   il decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, attualmente all'esame del Parlamento per la sua conversione in legge, introduce all'articolo 14 l'accesso al trattamento di pensione con almeno 62 anni di età e 38 anni di contributi (cosiddetta «quota 100»), misura che fin da subito ha raccolto uno straordinario successo anche nella scuola;

   il 28 febbraio 2019 scadono i termini di presentazione della domanda di cessazione dal servizio per accedere alla pensione con «quota 100» che, insieme alle altre forme di anticipo, quali opzione donna e pensione anticipata, si sommano alle ordinarie domande di cessazione dal servizio, inducendo ad ipotizzare un massiccio esodo di insegnanti dalle istituzioni scolastiche;

   se le previsioni dovessero essere confermate il prossimo anno scolastico si connoterebbe come un anno particolarmente complesso per la scuola, in quanto si dovrebbe far fronte ad una carenza di organico difficilmente gestibile che accentuerebbe l'utilizzo di personale a tempo determinato, sia curricolare che di sostegno, i cui numeri si attestano già, nel corrente anno scolastico, a 125 mila unità –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto e quali iniziative intenda intraprendere per rispondere efficacemente e tempestivamente al vuoto di organico che si presume possa verificarsi nel futuro anno scolastico.
(3-00562)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PRESTIPINO, FASSINO, BOSCHI, UBALDO PAGANO, PAGANI, FRAGOMELI, LOTTI, CIAMPI, CARLA CANTONE e ZAN. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   nei giorni scorsi, in una scuola elementare del quartiere San Giovanni a Roma, un bambino che ha appena superato la leucemia, con pesanti cure chemioterapiche, non è potuto tornare alle attività scolastiche come suo diritto, poiché alcuni compagni di classe non hanno effettuato le vaccinazioni obbligatorie;

   un bambino immunodepresso per via della sua patologia corre un grave rischio per la sua vita, se inserito in classi nelle quali è a stretto contatto con alunni non vaccinati;

   in molte scuole sono presenti situazioni in cui gli studenti, nonostante l'obbligo, non sono vaccinati e se, come nel caso in questione, l'anno scolastico è già iniziato, diviene difficile l'inserimento dei bambini immunodepressi in classi composte esclusivamente da alunni con le coperture vaccinali obbligatorie previste;

   l'inserimento nelle classi in cui è assicurata la copertura vaccinale non garantisce le condizioni di piena sicurezza dei bambini che sono stati sottoposti a terapie oncologiche e perciò non possono vaccinarsi, poiché il rischio di contagio non può essere scongiurato nei momenti di aggregazione;

   con la proroga al 10 marzo 2019 del termine, in caso di autocertificazione, per la presentazione di tutti i documenti attestanti l'assolvimento degli obblighi vaccinali, si è creata in tutto questo tempo ulteriore incertezza nel salvaguardare l'accesso in sicurezza alle scuole, e quindi la tutela del diritto allo studio, per i bambini immunodepressi –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;

   se abbia dati certi sull'effettiva copertura vaccinale degli studenti delle scuole italiane, per le fattispecie obbligatorie;

   quali iniziative urgenti intenda adottare per garantire la tutela del diritto allo studio e all'istruzione dei bambini a maggiore rischio di contagio.
(5-01561)


   MORGONI, ASCANI e PICCOLI NARDELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   l'Accademia di belle arti di Macerata è stata istituita nel dicembre del 1972, fortemente promossa dalla comunità e dagli enti locali che vollero affiancare all'università di plurisecolare tradizione anche il più alto livello della formazione artistica;

   dalla sua istituzione si è svolta la quotidianità dello studio e della ricerca, nell'aggiornamento della sperimentazione sui linguaggi, nell'avvicendarsi di docenti e studenti, nelle fondamentali trasformazioni che oggi incardinano strettamente le accademie di belle arti al sistema universitario nazionale;

   attualmente l'accademia di Macerata ha cinque sedi attrezzate, più il distaccamento per il restauro di Montecassino, 1.200 studenti, 120 docenti, 16 Ata e tecnici amministrativi, 14 corsi di primo livello, 11 di secondo livello, il quinquennale per restauratori e il master per illustratori e la scuola libera del nudo;

   i primi anni di attività sono stati fecondi di incontri a livello internazionale. La proficua congiuntura che vedeva l'accademia, per tramite del suo primo direttore Giorgio Cegna, legata all'attività editoriale artistica della Nuova Foglio, ha consentito il passaggio per Macerata e le conseguenti ricadute sulla didattica, di nomi illustri tra i quali gli artisti francesi legati a Pierre Restany e Michel Seuphor;

   l'accademia attende da oltre sette mesi la nomina del nuovo presidente in sostituzione del prof. Evio Hermas Ercoli, il cui mandato è scaduto nel luglio del 2018;

   tale situazione è stata recentemente stigmatizzata in occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico dell'Accademia da parte del sindaco di Macerata che ha considerato (...) «incredibile che da giugno non sia stato indicato il successore di Ercoli alla presidenza dopo che è stata fornita al Ministero la rosa dei candidati. Sono pressioni inammissibili e inaccettabili, bisogna rispettare le autonomie. Così si rallenta la programmazione, serve rispetto (...)»;

   il consiglio accademico aveva provveduto ad individuare, nel rispetto della normativa vigente, la terna per l'elezione del nuovo presidente dell'accademia stessa, in scadenza dal mese di luglio;

   tra i nomi individuati l'avvocato Vando Scheggia e avvocato Paolo Tanoni, indicati all'unanimità e l'avvocato Marco Fabiani a maggioranza dei votanti;

   a seguito della rinuncia dell'avvocato Paolo Tanoni, il Consiglio accademico il 21 giugno 2018 individua all'unanimità il dottor Enrico Brizioli quale terzo componente;

   il Ministero confermava con successive comunicazioni la correttezza della procedura seguita e preannunciava la nomina del presidente dell'accademia;

   con missiva del 12 febbraio 2019 il Ministero, su indicazione del capo di gabinetto del Ministro interrogato, indicava a giudizio degli interroganti inopinatamente, la necessità di provvedere al rinnovo della procedura di designazione con la motivazione di «evitare possibili contenziosi», per il quale in realtà tutti i termini di legge sarebbero ampiamente scaduti;

   il ritardo della nomina rischia di comportare notevoli danni sia all'attività amministrativa e didattica dell'accademia sia alla città di Macerata perché l'accademia costituisce da sempre un ineludibile punto di riferimento culturale ed economico –:

   quali siano i motivi della mancata nomina del nuovo presidente dell'Accademia di belle arti di Macerata e se non si intenda provvedervi, nel più breve tempo possibile, al fine di evitare il protrarsi delle problematiche suddette.
(5-01564)

Interrogazione a risposta scritta:


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   da un articolo pubblicato il 20 febbraio 2019 sul sito online «tuttoggi.info» si è appreso che in una scuola elementare di Foligno, un maestro supplente entrando in classe, avrebbe guardato un bambino nero e, dopo aver chiesto al resto dei compagni se lo trovassero brutto, avrebbe obbligato il bambino a girarsi verso la finestra e a guardare fisso verso fuori, in maniera tale da non vederselo di fronte;

   la segnalazione-denuncia sarebbe comparsa attraverso un post sui social, poi rimosso, ma sarebbe stata comunque confermata direttamente da alcuni genitori degli alunni coinvolti, loro malgrado, nella vicenda;

   il maestro supplente si sarebbe comportato allo stesso modo anche con la sorellina del bambino di quinta elementare, presente in un'altra classe, all'interno della stessa scuola elementare di Foligno: entrando in aula l'insegnante avrebbe detto di fronte a tutta la classe che la bambina era brutta, una scimmia, avrebbe chiesto ai compagni se la ritenessero anche loro brutta e avrebbe invitato i bambini a svolgere un compito, assegnando 50 minuti di tempo all'intera classe, tranne che a quella bambina, alla quale avrebbe assegnato solo 20 minuti;

   tali episodi sarebbero stati confermati praticamente all'unanimità dal resto dei compagni di classe e i genitori avrebbero segnalato i fatti alla dirigente scolastica;

   dall'articolo pubblicato su la Repubblica del 22 febbraio 2019 si apprende che i compagni del bambino offeso hanno provato a reagire, risistemando il banco, dicendo che il compagno di classe nigeriano fosse uguale a tutti loro e che, se lui avesse dovuto guardare la finestra, lo avrebbero fatto anche loro;

   una maestra sarebbe stata subito informata dell'accaduto, prima ancora dei genitori, che all'uscita di scuola, quel giorno erano rimasti increduli dal racconto unanime dei bambini;

   questo inaccettabile episodio di razzismo sarebbe accaduto venerdì 8 febbraio e lunedì 11 i genitori sarebbero andati a parlare con la preside, informandola dell'accaduto;

   la dirigente scolastica avrebbe convocato il maestro che, probabilmente consigliato da un legale come riporta l'articolo di Repubblica, si sarebbe giustificato dicendo che si trattava di un esperimento sociale per mostrare ai bambini il razzismo;

   dallo stesso articolo di Repubblica, però, si apprende che sulla pagina Facebook dell'insegnante vi è traccia di 2 post, datati entrambi 17 febbraio, sul dramma della Shoah, mentre risalendo indietro nel tempo sulla sua bacheca si trovano solo una serie di volgarità contro i migranti e i neri;

   solo nella giornata del 21 febbraio 2019, quando la notizia diventa di dominio pubblico e di interesse nazionale, la dirigente scolastica ha sentito l'esigenza di avvertire l'ufficio scolastico regionale, a parere dell'interrogante con un ritardo ingiustificato e ingiustificabile vista la gravità degli episodi denunciati;

   a parere dell'interrogante si è di fronte a un caso delicato e gravissimo, che va verificato immediatamente in tutti i suoi aspetti. Su una vicenda del genere è bene vederci chiaro e andare fino in fondo;

   a parere dell'interrogante questo insegnante, qualora i dovuti accertamenti dimostrassero la veridicità dei fatti, non potrebbe continuare a svolgere il ruolo di educatore e, se colleghi e dirigente scolastica avessero colpevolmente ritardato di denunciare i fatti medesimi a chi di competenza, dovrebbero subire le conseguenze del caso –:

   se il Ministro interrogato intenda avviare, per quanto di competenza, un'indagine ispettiva al fine di verificare se i fatti riportati in premessa rispondano al vero e, in caso, assumere le dovute iniziative nei confronti dell'insegnante e, nel contempo, accertare se altri insegnanti e la dirigente scolastica fossero a conoscenza dell'accaduto già prima del 21 febbraio, giorno in cui la notizia è diventata di dominio pubblico e, in tal caso, perché non abbiano provveduto a segnalare immediatamente i fatti alle autorità scolastiche competenti, lasciando che quell'insegnante continuasse a lavorare indisturbato.
(4-02352)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:

   la ditta CM Service Srl, con sede legale a Cascinette d'Ivrea, è una società che gestisce i servizi di pulizie, portierato, guardiania e di manutenzione di edifici e fabbriche, con un fatturato che nel 2017 si attestava intorno ai 34 milioni di euro;

   da diversi anni, la ditta CM Service srl sembra realizzare il medesimo disegno: dapprima, la vittoria di gare d'appalto comunali al ribasso per la gestione dei servizi di pulizie, portierato e guardiania, successivamente la riassunzione del personale che già lavorava nei medesimi siti e infine il dispiegamento di una serie di misure volte a ridurre le retribuzioni e il monte ore dei lavoratori già operanti per conto delle ditte precedenti attraverso azioni ricattatorie, come testimoniano le denunce d'innumerevoli articoli apparsi sui siti di informazione locali;

   già il 4 settembre 2015 il quotidiano on-lineLa Sentinella del Canavese segnalava come a Ivrea «la società che ha vinto la gara (CM Service srl) ha fatto firmare alle lavoratrici contratti che prevedono da settembre il 30 per cento di ore in meno»;

   sul quotidiano Libertà-Sicilia, in data 29 agosto 2018 si denunciava l'ennesimo atto a danno dei lavoratori perpetrato da CM Service, con l'occupazione delle lavoratrici dell'appalto delle pulizie a difesa del loro salario, «a fronte della vergognosa proposta della CM Service di ridurre l'orario di lavoro a parità di lavoro da svolgere»;

   uno degli ultimi episodi in ordine di tempo riguarda la vittoria del bando da parte di Cm Service srl per i servizi di pulizie al dipartimento di Veterinaria dell'Università di Torino, a Grugliasco;

   come affermato dal sito La Stampa.it in un articolo del 31 dicembre 2018, la Cm Service Srl, che ha vinto il bando per il servizio di pulizie, ha proposto ai circa venti lavoratori già impiegati un nuovo contratto, inizialmente respinto al mittente, in cui era prevista la riduzione del 30 per cento del monte ore, definita inaccettabile dalle delegate sindacali. Dopo che l'azienda ha ridotto il taglio al 15 per cento, Cgil, Cisl Uil hanno poi deciso di firmare, così come i lavoratori di un altro dipartimento, agraria, dove il problema si è posto e risolto nello stesso modo, ma gli altri sindacati, che sono la larga maggioranza, hanno invece proclamato l'agitazione;

   le lavoratrici dei servizi di pulizia della facoltà di veterinaria di Grugliasco hanno poi firmato i contratti, ma, a quanto consta agli interpellanti, lamentano trattamenti economici e lavorativi inaccettabili, oltre a situazioni che ostacolerebbero il dialogo con il personale dell'università –:

   se sia a conoscenza dei molteplici casi di mancato rispetto dei diritti dei lavoratori citati in premessa con protagonista la ditta CM Service, costantemente interessata da azioni di rivendicazione sindacale su tutto il territorio nazionale;

   quali urgenti iniziative, anche normative, intenda assumere al fine di impedire il protrarsi degli episodi citati in premessa su tutto il territorio nazionale;

   se non intenda adottare ogni iniziativa di competenza per acquisire i chiarimenti necessari in merito al modus operandi della società CM Service, che causa costantemente disagi alla cittadinanza e accese proteste dei lavoratori.
(2-00284) «Costanzo, Pallini, Davide Aiello, Siragusa, Amitrano, Ciprini, Bilotti, Cubeddu, De Lorenzo, Giannone, Invidia, Perconti, Segneri, Tripiedi, Tucci, Vizzini, Marzana, Masi, Melicchio, Migliorino, Misiti, Nitti, Palmisano, Parentela, Parisse, Paxia, Penna, Perantoni, Pignatone, Raduzzi, Raffa, Rizzo, Romaniello, Paolo Nicolò Romano, Roberto Rossini, Ruggiero, Ruocco, Giovanni Russo, Saitta, Salafia, Sarti, Scagliusi, Scanu, Scutellà, Serritella, Francesco Silvestri».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XI Commissione:


   GRIBAUDO, SERRACCHIANI, CARLA CANTONE, LACARRA, LEPRI, MURA, VISCOMI e ZAN. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   Abet Laminati è una storica azienda di Bra, in provincia di Cuneo, nata nel 1957 a seguito della conversione della produzione della precedente Abet (Anonima braidese estratti tannici) in direzione dei laminati plastici;

   Abet Laminati è oggi una tra le più importanti realtà produttrici di laminati plastici decorativi; ha collaborato negli anni con numerosi designer di rilevanza internazionale ed occupa attualmente oltre 600 dipendenti;

   nel pomeriggio del 21 gennaio 2019, l'Abet ha comunicato alle rappresentanze sindacali l'apertura della procedura di esubero per 112 dipendenti fra la sede di Bra e le filiali commerciali di Reggio Emilia e Roma, che verranno chiuse, nonché la cessazione dei contratti per oltre 50 lavoratori in somministrazione, a causa di una «accresciuta competitività internazionale» nel settore e di «nuovi concorrenti operanti in Paesi a basso costo produttivo»;

   in un incontro con il sindaco di Bra, Bruna Sibille, l'azienda ha indicato la volontà di investire nella sostituzione di alcuni macchinari dello stabilimento braidese, confermando altresì la necessità di rivedere l'organizzazione aziendale a partire dal personale;

   da circa due anni, l'azienda ha iniziato la riduzione dell'organico di dipendenza diretta con l'esternalizzazione dei servizi di portineria;

   a fronte degli investimenti annunciati, non è stato presentato alcun piano industriale per il rilancio dell'azienda;

   il 29 gennaio 2019 le assemblee dei lavoratori hanno deliberato una giornata di sciopero per il 31 gennaio, con presidio davanti ai cancelli della fabbrica dalle ore 5 alle ore 18;

   appare opportuno, a fronte della riorganizzazione e del rilancio aziendale auspicati da Abet, lasciare aperta la possibilità di un futuro impiego della manodopera oggi considerata in esubero, attraverso l'attivazione di ammortizzatori sociali dedicati –:

   quali iniziative intenda adottare per la salvaguardia del perimetro occupazionale della Abet Laminati di Bra, evitando il licenziamento di 112 lavoratori diretti e di oltre 50 lavoratori somministrati.
(5-01571)


   POLVERINI, MUGNAI, ZANGRILLO, FATUZZO e ROTONDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il decreto legislativo n. 297 del 2002, ha soppresso il libretto di lavoro in luogo dell'istituzione della «Scheda professionale del lavoratore», in ultimo aggiornata dal decreto direttoriale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 17 febbraio 2016, n. 33/43;

   la scheda professionale del lavoratore è rilasciata dai centri per l'impiego (Cpi) e contiene i dati relativi alle esperienze formative e lavorative del soggetto in cerca di occupazione, alla sua effettiva disponibilità ed alla certificazione delle sue competenze professionali;

   tale documento costituisce ad oggi l'unico strumento operativo a disposizione dei datori di lavoro per valutare la possibilità di richiedere sgravi contributivi stante il fatto che, ai sensi dell'articolo 8, comma 3, legge n. 276 del 2003, a tale documento è riconosciuto il valore di certificativo obbligatorio;

   tutt'oggi le banche dati dei vari Cpi non risultano collegate a livello nazionale ad unica rete, ma esistono sistemi di rilievo provinciale o al massimo regionale, per cui le schede di lavoratori assunti da aziende collocate in diverse zone del territorio nazionale possono risultare incomplete e non aggiornate automaticamente, come pure appaiono lacunose le informazioni presenti nelle banche dati di Anpal;

   a decorrere dal 2015 ai sensi dell'articolo 1, commi da 118 a 124, della legge n. 130 del 2014, l'assunzione di lavoratori a tempo indeterminato ha permesso ai datori di lavoro di accedere a benefici contributivi. Analoghe misure in favore delle assunzioni sono state poi ulteriormente adottate a norma di legge fino all'ultima legge di bilancio (legge n. 145 del 2018);

   alcuni datori di lavoro, già nel corso del 2015, sulla base di informazioni non veritiere o comunque non aggiornate riportate nella scheda professionale, hanno assunto lavoratori beneficiando in prima battuta degli sgravi contributivi;

   a tali aziende l'Inps ha successivamente contestato l'indebita percezione di sgravi contributivi richiedendone la restituzione con riguardo ai lavoratori assunti a tempo indeterminato, il cui status non permetteva il riconoscimento del beneficio;

   ai Centri per l'impiego si chiederà, a breve, di gestire le anche pratiche relative al reddito di cittadinanza, mentre permane l'assenza di una banca dati nazionale –:

   quali iniziative urgenti, anche di natura normativa, intenda adottare per sanare la condizione delle imprese cui è contestata la percezione indebita dei benefici assunzionali, ancorché in buona fede, e per rendere efficace il sistema informativo dei centri per l'impiego e di Anpal fino ad unificarne le banche dati.
(5-01572)


   MURELLI, CAFFARATTO, CAPARVI, LEGNAIOLI, EVA LORENZONI e MOSCHIONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   già con atto di sindacato ispettivo n. 5/01088 dell'11 dicembre 2018, l'interrogante intendeva attirare l'attenzione del Governo sulla vicenda della Sima&Tectub, storica azienda operante nel comparto «Oil&Gas», con sede legale a Genova e stabilimento a Podenzano (PC), che la proprietà – la famiglia Malacalza – ha deciso di chiudere;

   da anni l'azienda soffriva la crisi del settore offshore, che ne ha ridotto gli ordini, situazione aggravata dalle sanzioni americane all'Iran, che ha comportato la chiusura di un significativo segmento di mercato;

   per la società trattasi di scelta inevitabile, con perdite per 11 milioni di euro negli ultimi sei anni; per i sindacati, invece, «la famiglia (avrebbe potuto) fare di più per salvare la Sima&Tectub» come, ad esempio, cercare altri mercati;

   va considerata la peculiarità del prodotto che realizza la Sima&Tectub;

   nel mezzo vi sono circa 40 dipendenti dello stabilimento, tra i 40 ed i 50 anni di età, a rischio di rimanere privi di copertura reddituale da lavoro, da ammortizzatore e da pensione;

   la famiglia Malacalza sembra abbia assunto una posizione di disponibilità rispetto ad ogni ipotesi di dialogo costruttivo fra le parti, per una gestione condivisa e una soluzione ottimale della vertenza;

   tale atteggiamento è per gli interroganti alquanto incomprensibile, sebbene i Malacalza abbiano fatto la stessa cosa con l'azienda Omba in Veneto –:

   se il Governo non ritenga di convocare urgentemente un tavolo istituzionale – con la proprietà aziendale, la regione Emilia-Romagna e le rappresentanze sindacali dei lavoratori – per prevedere ammortizzatori sociali di natura conservativa finalizzati alla reindustrializzazione del sito ovvero alte ricollocazione occupazionale dei lavoratori interessati attraverso l'attivazione di politiche attive del lavoro.
(5-01573)


   CIPRINI, PALLINI, PERCONTI, GIANNONE, COSTANZO, CUBEDDU, SIRAGUSA, DAVIDE AIELLO e DE LORENZO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto si apprende dalla stampa, «Tonnellate di nuove lavorazioni che arrivano, tonnellate di cioccolato che però se ne andranno. Succede a San Sisto, nello stabilimento della Perugina, dove Nestlé ha annunciato lo sbarco del KitKat (1.500 tonnellate) e il raddoppio del tartufo ma, di contro, ci sarà la dismissione di alcune produzioni considerate “marginali” o, come si dice, ormai fuori moda. La notizia è stata data dalla direzione di San Sisto nei giorni scorsi alla Rsu e oggi proseguirà il confronto, visto che si è parlato di volumi e non di prodotti specifici. [...] Da Nestlé nessuna posizione ufficiale ma filtra la notizia che non ci sia nessuna campagna di dismissione in corso, bensì un semplice avvicendamento di produzioni per rispondere all'evoluzione dei gusti dei consumatori. Viene fatto notare che “i 60 milioni investiti nell'ambito del piano del 2016 dimostrano come la multinazionale non intenda indebolire, bensì potenziare lo stabilimento di San Sisto”. Insomma anche se si perderà qualche produzione marginale, il saldo sarà comunque positivo. Sindacati sulla difensiva: “Il confronto è ancora aperto. Certo non siamo del tutto tranquilli”» (La Nazione Umbria del 19 febbraio 2019 a firma di Silvia Angelici);

   lo stabilimento della Perugina Nestlé di San Sisto in Perugia è stato interessato già nel recente passato da programmi di riorganizzazione aziendale che hanno portato, purtroppo, a procedure di riduzione del personale con conseguente perdita di posti di lavoro;

   l'accordo dell'aprile 2016 tra sindacati e azienda prevedeva anche importanti investimenti e un rilancio dei prodotti e della produzione;

   a oggi tuttavia, a parere degli interroganti non sono ancora del tutto chiari gli obiettivi di investimento della fabbrica e quali conseguenze possano produrre sui livelli occupazionali tanto che rimane forte la preoccupazione dei lavoratori in merito al proprio futuro lavorativo –:

   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto e quali iniziative intenda intraprendere al fine di conoscere le intenzioni dell'azienda in merito al mantenimento dei livelli occupazionali, così da rassicurare i lavoratori in merito al proprio futuro lavorativo e scongiurare ogni rischio di eventuali ricadute sugli attuali assetti occupazionali.
(5-01574)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   MORANI, ENRICO BORGHI, BRAGA, BRUNO BOSSIO, CARDINALE, CARNEVALI, CRITELLI, MARCO DI MAIO, GADDA, MIGLIORE, PEZZOPANE, RIZZO NERVO, ROTTA, SENSI e ZARDINI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   dai principali organi di stampa si apprende la notizia che un bambino di otto anni iscritto all'istituto primario di via Bobbio, quartiere San Giovanni a Roma, guarito dalla leucemia non può tornare sui banchi di scuola, poiché nella sua classe sono presenti ben 5 bambini non vaccinati;

   i medici dell'ospedale che hanno in cura il bambino raccomandano che «la collettività frequentata dal paziente abbia effettuato le vaccinazioni previste», perché il bambino, dopo la chemio, «non può essere sottoposto a vaccinazioni» e la malattia l'ha reso immunodepresso così che i compagni di classe non vaccinati mettono a rischio la sua vita;

   i dati parziali dell'Asl segnalano che il 30 per cento dei bambini iscritti all'istituto di via Bobbio non è vaccinato e cinque alunni inadempienti sono proprio nella classe in cui dovrebbe rientrare il bambino immunodepresso;

   a sua volta la regione Lazio ha chiesto alla Asl Roma 2 di attivarsi presso la dirigenza scolastica dell'istituto di via Bobbio per verificare le condizioni di accesso a scuola in piena sicurezza per il bambino immunodepresso, in quanto non è possibile accettare che il piccolo non possa frequentare regolarmente le lezioni con i suoi amici e con i suoi insegnanti, perché non sussiste una situazione di sicurezza per la sua salute;

   il decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73, «Decreto vaccini», ha portato il numero di vaccinazioni obbligatorie nell'infanzia e nell'adolescenza nel nostro Paese da quattro a dieci al fine di contrastare il progressivo calo delle vaccinazioni che ha determinato una copertura vaccinale media nel nostro Paese al di sotto del 95 per cento, la soglia raccomandata dall'Organizzazione mondiale della sanità per garantire la cosiddetta «immunità di gregge», per proteggere, cioè, indirettamente anche coloro che, per motivi di salute, non possono essere vaccinati;

   il rispetto degli obblighi vaccinali diventa un requisito per l'ammissione all'asilo nido e alle scuole dell'infanzia (per i bambini da 0 a 6 anni), mentre dalla scuola primaria (scuola elementare) in poi i bambini e i ragazzi possono accedere comunque a scuola e fare gli esami, ma, in caso non siano stati rispettati gli obblighi, viene attivato dalla Asl un percorso di recupero della vaccinazione ed è possibile incorrere in sanzioni amministrative da 100 a 500 euro;

   secondo la normativa attualmente in vigore le date da rispettare sono:

    entro il 10 marzo i dirigenti scolastici devono trasmettere alle Asl l'elenco degli iscritti fino a 16 anni per l'anno scolastico successivo; entro il 10 giugno alle scuole arrivano dalle Asl le liste dei ragazzi che non sono in regola con gli obblighi vaccinali, che non sono stati esonerati e che non hanno presentato formale domanda per essere vaccinati. I dirigenti scolastici hanno 10 giorni per chiedere alle famiglie di mettersi in regola, vaccinare i ragazzi o presentare certificato che attesti la prenotazione per effettuare la vaccinazione. Questa documentazione va depositata entro il 10 luglio. Entro il 20 luglio le scuole girano alle Asl competenti la documentazione presentata dalle famiglie e a questo punto chi non è in regola incorre in sanzioni –:

   quali iniziative urgenti i Ministri interrogati intendano adottare al fine di far chiarezza sulla notizia in questione e consentire al bambino un suo immediato rientro in classe in piena sicurezza:

   se non ritengano doveroso, al fine tutelare la salute pubblica e di rispettare le raccomandazioni poste dall'Organizzazione mondiale della sanità, adottare iniziative per rivedere gli effetti applicativi dello scadenzario della presentazione della documentazione dell'avvenuta vaccinazione per la frequenza scolastica, in particolare il termine del 10 marzo quale data entro cui depositare la documentazione comprovante le vaccinazioni effettuate.
(3-00556)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE FILIPPO, CARNEVALI, SCHIRÒ, UBALDO PAGANO, SIANI, MARCO DI MAIO e RIZZO NERVO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   in data; odierna, su autorevoli organi di stampa nazionali e locali si apprende la notizia che il medico «no vax» Fabio Franchi ha pubblicato in data 22 febbraio 2019 sul proprio profilo facebook la seguente richiesta: «Sto cercando un bambino/a – rigorosamente volontario/a – che abbia la parotite IN ATTO e che sia residente nelle Marche (o zone limitrofe). Si tratta di un esperimento che rispetta la Convenzione di Oviedo e non infrange le regole del codice di Norimberga. Non posso spiegare più di tanto per ora. Invito al “passaparola”. NB non ho intenzione di fargli alcuna iniezione»;

   lo stesso medico, sempre sul suo profilo facebook ha avanzato anche pesanti perplessità sul caso del bambino, guarito della leucemia, che non può rientrare nella sua scuola a Roma, perché molti dei suoi compagni di classe non sono vaccinati;

   secondo Franchi la famiglia del piccolo sarebbe stata «mal informata, poiché, anche se tutti i compagni fossero vaccinati, NON sarebbe comunque al sicuro. Prima di tutto perché i vaccinati con virus vivi possono essere fonte di infezione»;

   è necessario ad avviso degli interroganti, che sia il Ministro della salute che lo stesso ordine dei medici intervengano urgentemente per porre fine a queste pseudo-teorie scientifiche contro i vaccini –:

   se il Ministro interrogato non ritenga doveroso e urgente non solo valutare se sussistano i presupposti per promuovere, per quanto di competenza, un'ispezione presso lo studio del dottor Franchi ma predisporre tutte le iniziative necessarie per porre fine a quella che gli interroganti giudicano la falsa informazione evidenziata in questi messaggi.
(5-01562)


   BOND. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   la sensibilità chimica multipla (Mcs) è una sindrome organica complessa che si sviluppa in seguito a un'esposizione acuta o cronica a sostanze tossiche che scatenano una sensibilizzazione a più sostanze chimiche;

   i sintomi più frequenti della Mcs sono rinite, asma, rinite, stanchezza cronica, perdita della memoria a breve termine, problemi della pelle, dolori muscolari e articolari, digestivi e disfunzioni sensoriali. Con il tempo può produrre uno stato infiammatorio cronico che determina un danno organico irreversibile (artrite, lupus eritematoso sistemico, ischemie, patologie autoimmuni, cancro e altro);

   le sostanze che scatenano le reazioni sono generalmente profumi, deodoranti personali e ambientali, detersivi, solventi, prodotti per l'edilizia, gomme e plastiche conservanti e additivi alimentari, gas di scarico e combustibili, tessuti sintetici e altro. A questo si aggiunga anche una spesso ipersensibilità ai campi elettromagnetici (elettrosensibilità);

   in Italia l'incidenza della Mcs non è attualmente ben stimata. Alcune centinaia di casi riferiti dall'istituto superiore di sanità potrebbero rappresentare solo una minima parte, considerando che da diversi anni il Ministro della salute della Danimarca ha aperto un osservatorio sulla Mcs stimando in 50.000 il numero dei malati;

   purtroppo, l'assenza di un profilo di sintomi caratteristico e validato per la diagnosi di Mcs, l'esistenza di una diversa suscettibilità individuale e l'enorme varietà di sostanze chimiche imputate limitano significativamente l'identificazione di un chiaro legame con specifiche esposizioni e non consentono l'applicazione del modello diagnostico utilizzato per la diagnosi delle reazioni avverse a farmaco, ovvero il test di provocazione;

   attualmente nel nostro Paese sono sette le regioni che hanno adottato già un provvedimento che riconosce la sindrome come patologia rara: Lazio, Toscana, Emilia-Romagna, Veneto, Abruzzo, Marche e Puglia –:

   se non intenda adottare iniziative per riconoscere la sensibilità chimica multipla (Mcs) come malattia sociale e prevedere, da parte del servizio sanitario nazionale, l'erogazione dei farmaci salvavita e dei farmaci che contribuiscono significativamente al miglioramento delle condizioni dei soggetti affetti da Mcs, nonché l'erogazione degli ausili terapeutici al soggetto affetto da Mcs in funzione del suo grado di invalidità;

   se non ritenga indispensabile adottare iniziative, di concerto con le regioni, volte alla diagnosi precoce e alla prevenzione delle complicanze della Mcs, nonché per la necessaria formazione e aggiornamento del personale sanitario;

   ad avviare una campagna di sensibilizzazione e di corretta informazione, anche attraverso la diffusione di materiale esplicativo a favore dei cittadini, sui sintomi più frequenti, sulle caratteristiche con le quali si presenta, nonché sulle principali patologie connesse alla Mcs, anche al fine di una possibile identificazione precoce della medesima sindrome;

   se non consideri opportuno approfondire anche le possibili correlazioni dell'uso dei telefoni cellulari, wifi, ripetitori, con i sintomi frequenti di ipersensibilità ai campi elettromagnetici (elettrosensibilità), che rappresenta una delle caratteristiche della Mcs.
(5-01563)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

X Commissione:


   MORETTO e MORANI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   nel 2016 il noto operatore del turismo italiano Valtur veniva acquisito dal fondo Investindustrial dell'investitore Andrea Bonomi dopo le travagliate vicende ben note che hanno riguardato la famiglia Patti prima e l'imprenditore Franjo Ljuljdjuraj poi;

   nell'autunno 2017 la Valtur raggiungeva un accordo con la Sgr Investimenti Cdp (Cassa depositi e prestiti) per la vendita alla stessa di alcuni villaggi, con un impegno contestuale di investimento sulle strutture per un importo complessivo di 75 milioni di euro;

   nel marzo 2018 Valtur avviava una procedura di concordato liquidatorio presso il tribunale di Milano;

   una settimana prima del deposito della domanda di concordato da parte di Valtur, TH Resorts, operatore turistico partecipato al 46 per cento dalla Cassa depositi e prestiti, annunciava il proprio interessamento alla gestione dei villaggi di proprietà di Cassa depositi e prestiti, dimostrando di essere così informata anticipatamente delle scelte operate da Valtur;

   il piano di liquidazione ha visto la cessione dei singoli villaggi a vari operatori, in primis la stessa TH Resorts, e successivamente, nei primi giorni di luglio 2018, la vendita del solo marchio al gruppo pugliese Nicolaus;

   a nulla sono valsi i tentativi di frenare il piano di liquidazione, operati anche grazie all'attivazione, presso il Ministero dello sviluppo economico, del tavolo di crisi richiesto dalle organizzazioni sindacali, né le iniziative dei lavoratori e delle lavoratrici volte a sottolineare il successo del modello aziendale al netto dei debiti accumulati dalla cattiva gestione delle proprietà che si sono succedute;

   l'attuale proprietaria del marchio Valtur, il gruppo Nicolaus, ha annunciato un piano di sviluppo del marchio, ma non ha accettato di incontrare le organizzazioni sindacali che chiedevano di avere notizie su tale piano;

   all'esito degli accadimenti sono stati licenziati oltre 100 lavoratori della sede di Milano, il cui rapporto di lavoro è cessato da giugno 2018, tre strutture ricettive ex Valtur risultano ancora chiuse e altre sono state ridimensionate, con un conseguente minor impiego di lavoratori stagionali quantificabili in circa 500 unità –:

   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato nei confronti del gruppo Nicolaus per dare supporto alla reindustrializzazione del marchio Valtur, anche in un'ottica di riavvio dei villaggi rimasti chiusi e della rioccupazione degli ex dipendenti.
(5-01567)


   BAZZARO, ANDREUZZA, FOGLIANI e VALLOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   nel comune di Chioggia, all'interno dell'area portuale in Val del Rio, vi è un sito destinato dal piano regolatore portuale a bunkeraggio, per il quale la Società Costa Bioenergie S.r.l. ha ottenuto dal Ministero dello sviluppo economico, con decreto n. 17407 del 26 maggio 2015, l'autorizzazione a realizzare un deposito di 10350 metri cubi di carburanti, di cui 9.000 per Gpl;

   a seguito dell'istruttoria svolta dalla regione Veneto e dalla Commissione per la salvaguardia di Venezia si è ritenuto che l'autorizzazione rilasciata dal Ministero dello sviluppo economico non potesse essere sostitutiva anche dei provvedimenti edilizi e paesaggistici necessari alla costrizione del manufatto, pertanto, con ordinanza n. 95 del 2017, il dirigente del settore urbanistica del comune di Chioggia ha disposto la demolizione delle opere e la rimessa in pristino dei luoghi a carico della Costa Bioenergie per assenza dell'autorizzazione paesaggistica alla realizzazione dell'impianto di stoccaggio di Gpl;

   avverso detta ordinanza la Costa Bioenergie ha presentato ricorso innanzi al Tar del Veneto che con sentenza del 5 giugno 2018 ne ha dichiarato l'accoglimento, autorizzando la ripresa dei lavori;

   nella seduta del 21 giugno 2018 la giunta del comune di Chioggia ha deliberato l'impugnazione innanzi al Consiglio di Stato della citata sentenza del Tar n. 00604/2018 e, in occasione della prima udienza, anche la regione Veneto si è costituita in giudizio presentando nuovi elementi volti a evidenziare le contraddizioni emerse nel corso dei più recenti accertamenti sull'autorizzazione ministeriale del 2015 e chiedendo il ritiro della concessione da parte delle autorità competenti;

   con una nota congiunta il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministero per i beni e le attività culturali hanno espresso contrarietà alla realizzazione del deposito costiero di prodotti Gpl nel comune di Chioggia ed evidenziano il mancato coinvolgimento da parte della precedente amministrazione comunale della Commissione di salvaguardia di Venezia, con riferimento all'autorizzazione paesaggistica;

   il 29 gennaio 2019 si è tenuto al Ministero dello sviluppo economico un incontro per ricostruire l’iter autorizzativo del deposito Gpl a Chioggia, con tutte le sue criticità, e valutare con le parti coinvolte le possibili soluzioni –:

   se e quali iniziative di competenza intenda adottare con riferimento a quanto esposto in premessa, inclusa l'eventuale possibilità di supportare – anche in sede giudiziaria – la posizione di contrarietà alla realizzazione l'impianto Gpl a Chioggia.
(5-01568)


   MASI e VALLASCAS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   per l'intero comparto aerospaziale il Governo ha messo a disposizione complessivamente un miliardo di euro e ciò rappresenta un primo passo verso il rilancio del settore aeronautico soprattutto nel Mezzogiorno;

   negli stabilimenti di Leonardo-Finmeccanica a Pomigliano d'Arco, in collaborazione con l'Università Federico II di Napoli nascerà l'AeroTech Campus, un nuovo hub per l'innovazione tecnologica nel settore aerospaziale con l'obiettivo di rappresentare un incubatore di start up per far crescere le potenzialità del territorio e far emergere i giovani talenti nell'ambito dello sviluppo fenologico;

   in Puglia vi è il distretto aerospaziale pugliese (Dap), a cui è seguito il metadistretto, oggi cluster nazionale, e il distretto tecnologico aerospaziale (Dta) che operano per incrementare la produzione e la competitività, stimolare e supportare la ricerca e la formazione per favorire l'internazionalizzazione delle imprese;

   il distretto pugliese e fortemente radicato sul territorio, nelle province di Bari, Foggia, Brindisi e Taranto, con la presenza di grandi aziende che hanno trainato le imprese più piccole verso la creazione di un sistema industriale regionale di successo;

   le imprese del settore aerospaziale pur essendo distribuite su tutto il territorio regionale, hanno una propria specializzazione nelle diverse province di Bari, Taranto e Foggia, e in specifici sottosettori, dalle aerostrutture, ai motori, ai servizi, alla produzione di fusoliere, e molto altro, in realtà legate al gruppo Leonardo che occupano un significativo numero di addetti;

   la Puglia accoglie, quindi, non solo tutta la filiera produttiva, dalla componentistica alla creazione dei software, ma vanta anche aziende con diverse linee di progettazione e produzione: ala fissa, ala rotante, propulsione e software aerospaziali, tecnologie all'avanguardia nell'utilizzo di materiali compositi in fibra di carbonio per i quali la Puglia è un'eccellenza mondiale –:

   se il Governo, al fine di sostenere l'attrazione di investimenti produttivi in un comparto in cui l'industria italiana gioca un ruolo importante e accrescere le potenzialità del territorio anche in termini di creazione di occupazione, intenda intraprendere nel citato distretto della regione Puglia, in collaborazione con i centri di ricerca nazionali e internazionali, iniziative e/o progetti innovativi, anche sperimentali e dall'elevata specializzazione, di incubatori di impresa, con l'obiettivo di stimolare la capacità di attrazione di opportunità, per favorire lo sviluppo di nuova impresa ad alto contenuto tecnologico e aiutare, altresì, i giovani ricercatori a valorizzare i risultati della propria ricerca.
(5-01569)


   BARELLI e SQUERI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   con decreto della direzione generale per le valutazioni e le autorizzazioni ambientali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 430 del 22 novembre 2018 è stato avviato il riesame complessivo dell'autorizzazione integrata ambientale (Aia) per i grandi impianti di combustione;

   in particolare, si prevede, all'articolo 2, comma 2, che entro i «termini previsti dall'art. 29-quater del D.Lgs. n. 152/06» (di cui non è chiarissima la scadenza), gli impianti a carbone per rinnovare l'Aia devono «espressamente prospettare la cessazione definitiva dell'utilizzo del carbone ai fini di produzione termoelettrica entro il 31 dicembre 2025, dettagliando il piano di fermata definitiva... corredato del relativo cronoprogramma»;

   decorsi anche i termini per i poteri sostitutivi, la mancanza degli elementi sopra citati nell'Aia potrebbe comportare anche il fermo dell'impianto;

   in Sardegna questo decreto ha provocato sconcerto, in quanto lo sviluppo del chimico di Porto Torres, di Alcoa ed Eurallumina, oltre alla sicurezza energetica dell'isola, è legato agli impianti a carbone di Fiume Santo e Portoversme;

   in un documento unitario approvato dal consiglio regionale (gennaio 2019) è stato osservato che secondo la Sen 2017, per uscire dal carbone in Sardegna occorrono «investimenti per la realizzazione di un nuovo elettrodotto (2-2,4 miliardi di euro), l'installazione di 400 MW di potenza elettrica a gas (280 milioni di Euro) oltre a 500 milioni per infrastrutture di approvvigionamento del gas, tutte opere che al momento non sono state ancora progettate ed autorizzate»;

   l'Italia, che oggi copre con il carbone il 15 per cento del proprio fabbisogno elettrico (Polonia: 80 per cento, Germania: 40 per cento) è tra i pochi Paesi dell'Unione che ha stabilito una data di uscita dal carbone, peraltro tramite le Sen 2017, un documento programmatico in corso di revisione, la cui base normativa non è fondata su alcuna norma primaria;

   i piani nazionali «energia-clima» trovano invece la loro base giuridica nel regolamento (UE) n. 2018/1999, ma sono in corso di predisposizione da parte degli Stati membri;

   il citato decreto n. 430 del 2018, peraltro di mera natura dirigenziale, non appare dunque avere base giuridico legale sufficiente ad imporre i complessi adempimenti sopra citati, né per stabilire la chiusura degli impianti a carbone a fine 2025 –:

   quali siano gli intendimenti del Ministro interrogato per garantire la sicurezza energetica e lo sviluppo delle attività produttive nella regione Sardegna.
(5-01570)

Apposizione di firme ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Magi e Schullian n. 1-00121, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 febbraio 2019, deve intendersi sottoscritta anche dalle deputate: Boldrini e Muroni. E, contestualmente, l'ordine delle firme si intende così modificato: «Magi, Boldrini, Schullian, Muroni».

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Novelli e Mulè n. 4-02345, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 febbraio 2019, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Sozzani, Rosso.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Labriola n. 1-00098, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 102 del 18 dicembre 2018.

   La Camera,

   premesso che:

    l'area di Taranto è stata dichiarata «ad elevato rischio di crisi ambientale» con la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata il 30 novembre 1990. Successivamente è stata inserita tra i siti di bonifica di interesse nazionale (Sin) dalla legge n. 426 del 1998, e con il successivo decreto del Ministero dell'ambiente del 10 gennaio 2000 ne è stata disposta la perimetrazione. Una perimetrazione che copre una superficie complessiva di circa 115 mila ettari, di cui 83 mila ettari di superficie marina che interessa l'intera area portuale;

    la Commissione europea ha più volte invitato l'Italia a risolvere la grave situazione di inquinamento dell'aria, del suolo, delle acque di superficie e delle falde acquifere, che interessa il sito dell'Ilva, la città di Taranto e tutto il territorio limitrofo allo stabilimento, anche oltre lo stretto perimetro circostante, a causa della trasmissione degli inquinanti nell'aria, nell'acqua e nel terreno;

    nel sito dell'Ilva, nella città di Taranto e in tutto il territorio limitrofo allo stabilimento, le diverse matrici ambientali, quali terreni, aria, acque di falda e non, mostrano mediamente elevati livelli di compromissione e inquinamento;

    l'area di Taranto vive da anni di una crisi ambientale gravissima, conseguenza di una notevole concentrazione di insediamenti industriali ad alto impatto ambientale, ma soprattutto della presenza sul territorio del più grande stabilimento siderurgico d'Europa. Le azioni ad oggi poste in essere non possono ritenersi sufficienti a mitigare tutte le criticità ancora ben presenti sul territorio;

    per gli interventi di riqualificazione, valorizzazione, sviluppo economico e risanamento ambientale legati alle forti criticità dell'area di Taranto, l'articolo 6 del decreto-legge n. 1 del 2015 ha previsto uno specifico contratto istituzionale di sviluppo denominato «CIS Taranto», il cui soggetto attuatore è Invitalia. A ciò si aggiungano gli specifici compiti affidati dal medesimo decreto-legge del 2015 al commissario straordinario (previsto dal decreto-legge 129 del 2012) per la bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto nonché per l'attuazione dell'intervento di messa in sicurezza e gestione dei rifiuti pericolosi e radioattivi del deposito ex Cemerad di Statte, incarico ricoperto dal 2014, dalla dottoressa Vera Corbelli. L'importo totale ad oggi trasferito sulla contabilità speciale del commissario straordinario è pari a 126.850.000 di euro;

    in questi anni le complesse vicende legate allo stabilimento Ilva e le conseguenti perduranti emergenze industriali sanitarie e ambientali, sono state affrontate quasi esclusivamente con provvedimenti legislativi d'urgenza. Si contano undici decreti legge solo in questi ultimi anni, oltre a numerose norme inserite nei provvedimenti legislativi più vari. Provvedimenti d'urgenza che hanno dimostrato tutti i loro limiti, e hanno prodotto ben poco in termini di risanamento ambientale e di controllo dell'emergenza sanitaria, fallendo tutti l'obiettivo centrale di salvaguardare insieme ambiente, salute e lavoro. Una serie di interventi legislativi che hanno finito per produrre una inaccettabile stratificazione normativa;

    a pagare maggiormente le conseguenze di questa situazione sono soprattutto i cittadini dell'area di Taranto per la crisi sanitaria e ambientale irrisolta;

    ben poco si è fatto per le opere di ambientalizzazione e di risanamento del territorio, così come per le misure di sorveglianza e tutela sanitaria. Nessun risultato importante è stato conseguito sotto l'aspetto della riduzione dell'esposizione a inquinanti di origine industriale e dell'abbattimento dell'inquinamento;

    come dimostrano i numerosi, studi epidemiologici a cominciare dallo studio Sentieri, curato dall'istituto superiore di sanità, vivere in siti contaminati comporta mediamente un aumento di tumori maligni del 9 per cento tra 0 e 24 anni. In particolare, «l'eccesso di incidenza» rispetto a coetanei che vivono in zone considerate «non a rischio» è del 62 per cento per i sarcomi dei tessuti molli, 66 per cento per le leucemie mieloidi acute; 50 per cento per i linfomi Non-Hodgkin;

    difficile fare una graduatoria dei Sin in cui è più evidente l'impatto ambientale sulla salute, anche per la diversità di caratteristiche ambientali, di popolazione esposta, di storia di esposizione: sicuramente Taranto si conferma all'apice, insieme ai Sin pugliesi e siciliani;

    la popolazione dell'area di Taranto (oltre 200.000 abitanti nell'area Sin) è esposta non solo alle emissioni inquinanti degli stabilimenti Ilva ma anche all'inquinamento prodotto dalla raffineria, dal cementificio, dalle discariche, dall'area portuale, è di grande dimensione. Tutto questo è accompagnato dai numeri di decessi e malattie che risultano inevitabilmente assai rilevanti: centinaia di decessi prematuri, nuovi casi di tumore, diverse centinaia di ricoveri in eccesso ogni anno. Molte sono le cause di morte e malattia in eccesso, sia tumorali che non tumorali, la maggior parte delle quali in eccesso per gli uomini e per le donne. Si registrano casi in più anche in età pediatrica e di malformazioni alla nascita;

    peraltro, con la legge regionale n. 21 del 2012, la Puglia ha disposto la redazione della valutazione del danno sanitario (Vds) a valere per determinate aziende particolarmente inquinanti. Tuttavia a detta valutazione del danno sanitario regionale si è sovrapposta quella di carattere nazionale disciplinata dall'articolo 1-bis del decreto-legge 207 del 2012 del successivo decreto del Ministero della salute 24 aprile 2013 con il quale il Ministero ha stabilito criteri metodologici utili per la redazione (Vds) nazionale, che di fatto può essere redatta successivamente alla conclusione dei lavori di ambientalizzazione prescritti dalle vigenti autorizzazioni integrate ambientali (AIA), rendendo inapplicabile quella redatta sulla base della normativa regionale. È invece necessario prevedere che la valutazione del danno sanitario venga fatta «in corso d'opera», ossia durante tutti i lavori di ambientalizzazione prescritti dalle vigenti autorizzazioni integrate ambientali (AIA), e non alla fine;

    per quanto attiene allo stato di salute della popolazione ovvero gli studi di sorveglianza epidemiologica in corso, dai primi anni ’90 la situazione sanitaria della popolazione della città di Taranto è stata oggetto di studi epidemiologici nazionali e locali. Gli studi svolti dell'Oms (Organizzazione mondiale della sanità), proprio a cavallo del 1990, rappresentano il punto di partenza della letteratura scientifica riguardo le possibili interazioni a Taranto tra inquinamento ambientale di origine industriale ed effetti sulla salute dei suoi cittadini. Tra i tanti studi si segnalano: a) la perizia epidemiologica Forastiere-Biggeri-Triassi, del giugno 2012, sui dati sanitari forniti dalla ASL di Taranto e sui dati ambientali forniti dall'ARPA Puglia, 4 cui risultati indicano come i quartieri più vicini alla zona industriale presentano un quadro di mortalità e ospedalizzazione più compromesso rispetto al resto dell'area studiata; b) il progetto Sentieri – area del Sin di Taranto – Istituto superiore di sanità, nel quale si evidenzia come la mortalità per tutte le cause, tutti i tumori, apparato circolatorio, respiratorio e digerente rivela, in entrambi i generi, eccessi rispetto al riferimento regionale; c) l'indagine epidemiologica sito inquinato Taranto (IESIT) – Osservatorio epidemiologico regione Puglia – ASL Taranto del 2013, il cui studio mostra come per le neoplasie vi sia un eccesso di ricoveri e mortalità per tutte le neoplasie per quanto riguarda la città di Taranto, e comunque come si presenti più frequentemente un eccesso di ricoveri e mortalità fra i residenti del comune capoluogo e dei comuni limitrofi rispetto agli altri comuni regionali. Alle medesime conclusioni giungono i report e gli studi epidemiologici realizzati in questi anni dalla stessa Asl di Taranto;

    il 24 gennaio 2019, la Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha emesso la sentenza sul caso Ilva, dando sostanzialmente ragione ai 180 cittadini dell'area tarantina che si erano rivolti alla Corte sostenendo di aver subito danni alla salute a causa delle emissioni dell'Ilva, in quanto lo Stato non avrebbe adottato le necessarie misure legislative per proteggere la loro salute e l'ambiente, vista la pericolosità dell'impianto, e la popolazione non sarebbe stata adeguatamente informata sui danni derivanti alla salute stessa;

    nella citata sentenza, la Corte ritiene che «la proroga di una situazione di inquinamento ambientale mette in pericolo la salute dei richiedenti» e, più in generale, «quella della popolazione residente in aree a rischio». Ritiene inoltre che «le autorità nazionali non hanno adottato tutte le misure necessarie per garantire l'effettiva tutela del diritto alla loro vita privata»;

    sarà ora il Comitato dei ministri dei Consiglio d'Europa, massimo organismo politico della istituzione da cui dipende la Corte, a dover informare il governo italiano delle misure da adottare «per garantire l'esecuzione della sentenza della Corte». In ogni caso lo Stato italiano dovrà versare ai ricorrenti 5 mila euro per spese legali;

    è da troppo tempo che l'azienda sanitaria locale di Taranto denuncia l'assoluta carenza e inadeguatezza di mezzi e del personale a disposizione, rispetto alle reali necessità e ai bisogni del territorio;

    la richiesta di personale e mezzi da parte della Asl, è peraltro supportata dal dato emerso inequivocabilmente dall'aggiornamento sul registro tumori che inesorabilmente avverte che ci sarà necessità di lavorare in difesa della salute ancora per molti anni, sottointendendo un concetto chiaro in medicina che distingue gli effetti a breve da quelli a lungo tempo legati all'esposizione ad inquinanti;

    sono anni che l'azienda sanitaria di Taranto ha necessità di implementare la propria dotazione organica, rendendo possibile l'ingresso di nuove professionalità, in grado di raccogliere la richiesta di salute della popolazione. Da qui la necessità di consentire perlomeno l'avvio di procedure concorsuali che possano permettere il prosieguo delle attività di sorveglianza nella popolazione e nei lavoratori e monitoraggio, oltre alle ricerche epidemiologiche come l'elaborazione del registro tumori;

    ad una situazione di profonda criticità sanitaria e ambientale, si aggiunga che i cittadini del Rione Tamburi di Taranto stanno assistendo da tempo al lento ma costante deprezzamento delle proprie abitazioni a causa dell'inquinamento derivante dall'adiacente presenza dei parchi minerari del colosso dell'acciaio tarantino;

    i cittadini chiedono giustamente conto delle richieste di risarcimento avallate anche da procedimenti penali vinti davanti ai giudici di merito del tribunale di Taranto;

    dal 2013, molti cittadini del Rione Tamburi, hanno deciso di citare in giudizio l'Ilva di Taranto, per chiedere il risarcimento relativo al deprezzamento commerciale degli immobili, per via dell'inquinamento causato dallo stabilimento siderurgico. La Corte di Cassazione con sentenza del 2005, accertò, definitivamente, che l'Ilva immetteva nelle zone circostanti circa 58 tonnellate al giorno di polvere ferrosa;

    è ormai un dato di fatto che circa l'80 per cento di tali polveri continuino a cadere sul quartiere Tamburi. Seppure i giudici di merito del tribunale di Taranto abbiano accertato la continuità di tali quantità immesse, e quindi, il diritto dei proprietari degli immobili al risarcimento, sarebbero stati risarciti solamente i proprietari che hanno avuto il pronunciamento giudiziale favorevole prima dell'insediamento dell'amministrazione straordinaria, e non invece quelli che lo avrebbero ottenuto dopo, creando una ingiusta discriminazione tra soggetti aventi lo stesso diritto;

    vale inoltre la pena sottolineare che l'attuale normativa prevede una sorta di immunità sia amministrativa che penale per gli acquirenti dell'Ilva prevista in riferimento alle condotte poste in essere dai medesimi acquirenti in attuazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale sanitaria;

    una norma ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo molto probabilmente incostituzionale, che lede lo stesso rispetto del principio dello Stato di diritto, e che pone l'Italia come forse l'unico Paese che garantisce l'immunità penale agli acquirenti per l'eventuale mancato rispetto delle norme di tutela ambientale e della salute pubblica;

    il decreto-legge n. 1 del 2015 ha infatti previsto l'esclusione dalla responsabilità penale o amministrativa per il commissario straordinario e i suoi delegati, a fronte di condotte poste in essere in attuazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria. Successivamente, con il decreto-legge n. 98 del 2016, si è integrato il comma 6 dell'articolo 2 del citato decreto-legge n. 1 del 2015, al fine di estendere anche all'acquirente, nonché ai soggetti da questi delegati, l'esclusione dalla medesima responsabilità penale e amministrativa per le condotte attuative del piano ambientale;

    proprio riguardo all'esenzione dalla suddetta responsabilità penale, l'Avvocatura generale dello Stato, nell'ambito del parere espresso il 21 agosto 2018, in merito a possibili anomalie relative alla procedura di gara per il trasferimento a terzi dei complessi industriali facenti capo alle società del gruppo ILVA, ricorda che, circa la suddetta esenzione per gli acquirenti, la stessa Avvocatura «ha già avuto modo di occuparsi con parere del 14 settembre 2017 (...) – rilevando che l'eventuale futura modifica del suddetto piano (ex articolo 1, comma 8.1 del decreto-legge n. 191 del 2015, e la variazione dei termini per la sua attuazione (ex articolo 1, comma 8, cit.), postula che l'esimente di cui all'articolo 2, comma 6 cit. operi per tutto l'arco di temporale in cui l'aggiudicatario sarà chiamato ad attuare le prescrizioni ambientali impartite dell'amministrazione –. Detto arco temporale risulterà quindi coincidente con la data di scadenza dell'autorizzazione integrata ambientale in corso di validità (23 agosto 2023)»;

    con riguardo al recupero e alla valorizzazione dell'area di Taranto, giova inoltre ricordare che nel 1992 fu siglato un protocollo di intesa tra il Ministro per gli interventi delle aree urbane, il Ministro della difesa, il Ministero per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno, il presidente della regione Puglia, il presidente della provincia di Taranto e il sindaco di Taranto, per la delocalizzazione delle installazioni militari navali sul mar Piccolo ed il recupero e la valorizzazione degli immobili dismessi in funzione degli interessi della collettività;

    i soggetti firmatari con tale protocollo convennero che «costituiscono obiettivi primari per l'area di Taranto la delocalizzazione delle installazioni militari navali sul mar Piccolo ed il recupero e la valorizzazione degli immobili e degli spazi così dismessi, al fine di consentire un uso da parte della collettività aderente a nuovi modelli di sviluppo della città stessa, riferiti alla sistemazione viaria, alla promozione di nuove imprenditorialità a vocazione turistica, ad una accresciuta rete di servizi e di verde pubblico»;

    peraltro la città è fisicamente «imprigionata» nel suo sviluppo urbano, dai due muraglioni militari dislocati per chilometri lungo le coste del Mar Piccolo e del Mar Grande, che rendono inaccessibile ai tarantini il mare più vicino,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per prevedere lo stanziamento di maggiori risorse finanziarie necessarie per accelerare e garantire gli interventi di bonifica e di riqualificazione dell'area di Taranto;

2) ad avviare una interlocuzione con i nuovi proprietari dello stabilimento siderurgico, anche al fine di individuare tutti gli strumenti normativi idonei, volti a favorire un cambio di tecnologie produttive più pulite e sostenibili, la riconversione e l'uscita dal carbone, nonché una prospettiva di medio termine volta a delocalizzare l'impianto siderurgico;

3) ad adottare le iniziative di competenza per prevedere, anche in deroga ai vigenti limiti finanziari e assunzionali, l'avvio di procedure concorsuali che possano consentire all'azienda sanitaria locale di Taranto le indispensabili attività di sorveglianza nella popolazione e il monitoraggio epidemiologico;

4) ad adottare iniziative per stanziare opportune risorse al fine di garantire la prosecuzione del piano di sorveglianza della salute della popolazione residente nei comuni di Taranto e di Statte, di cui all'articolo 2 comma 4-quinquies, del decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136;

5) a valutare l'opportunità di adottare iniziative normative per attribuire, di concerto con la regione Puglia, all'azienda sanitaria locale di Taranto un assetto speciale che la ponga sotto il diretto controllo delle istituzioni statali, proprio per la particolare situazione sanitaria che colpisce la popolazione dell'intera provincia a causa dell'elevato inquinamento ambientale;

6) a promuovere, per quanto di competenza e di concerto con gli enti territoriali, l'implementazione dei programmi di aggiornamento per il personale medico della Asl di Taranto, con particolare riguardo ai medici pediatri, anche al fine di garantire una efficace e costante sorveglianza epidemiologica in conseguenza delle interazioni nell'area di Taranto tra inquinamento ambientale ed effetti sulla salute dei suoi cittadini, anche con riferimento ai conseguenti accertati casi di ritardo cognitivo nella prima infanzia;

7) relativamente al rapporto di valutazione del danno sanitario (Vds), da redigere nelle aree interessate dagli stabilimenti di interesse strategico nazionale, di cui al comma 1 dell'articolo 1-bis, del decreto-legge n. 207 del 2012, ad apportare le opportune modifiche al decreto ministeriale 24 aprile 2013, recante i criteri metodologici utili per la redazione del rapporto di valutazione del danno sanitario (Vds), al fine di garantire che il medesimo rapporto Vds venga redatto periodicamente durante tutti i lavori di ambientalizzazione prescritti dalle vigenti autorizzazioni integrate ambientali (Aia), e che a seguito del suddetto rapporto di valutazione del danno sanitario, l'Aia possa essere soggetta a riesame;

8) ad adottare iniziative per stanziare adeguate risorse al fine di assicurare l'attività di controllo e monitoraggio ambientale, attualmente svolta dall'Arpa Puglia, anche implementando le attuali stazioni fisse e mobili di monitoraggio della qualità dell'aria, per la rilevazione in continuo degli inquinanti PM10, PM2.5, NOx, O3, benzene, CO, SO2, e prevedendo a tal fine monitoraggi trimestrali;

9) ad adottare le iniziative di competenza per far sì che si possa procedere ad assunzioni o stabilizzazioni di personale, presso l'ARPA Puglia, indispensabili per il pieno svolgimento dei relativi compiti istituzionali;

10) a prevedere un'iniziativa normativa volta ad abrogare la norma vigente che prevede l'esclusione dalla responsabilità penale e amministrativa dell'acquirente dell'Ilva, nonché dei soggetti da questi delegati per le condotte attuative del piano ambientale;

11) ad adottare iniziative per provvedere al risarcimento di quei cittadini del rione Tamburi, che hanno ottenuto il pronunciamento favorevole per il risarcimento dei danni successivamente all'amministrazione straordinaria, e che non sono ancora stati liquidati, garantendo loro in tal modo, pari diritto rispetto ai cittadini che hanno avuto il medesimo pronunciamento favorevole ma sono stati subito risarciti solo in quanto detto pronunciamento è avvenuto prima dell'avvio della medesima amministrazione straordinaria;

12) a mettere in atto tutte le iniziative urgenti volte a garantire l'esecuzione della sentenza della Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo del 24 gennaio 2019, e a risarcire i ricorrenti in relazione alle somme dovute per spese legali;

13) ad adottare iniziative per istituire un fondo a favore dell'area di Taranto volto a finanziare misure di favore per le nuove attività imprenditoriali legate alla green economy, e per gli imprenditori e lavoratori del settore primario le cui attività sono state penalizzate dall'inquinamento;

14) ad avviare le opportune iniziative volte alla valorizzazione dell'Arsenale militare di Taranto, anche tramite aggiudicazione a privati per mezzo di asta pubblica, anche prevedendo la demolizione del muraglione militare, per garantire il recupero dell'area e degli spazi di verde pubblico a favore della collettività;

15) ad adottare le iniziative di competenza per avviare un processo di formazione per tutti gli operatori del settore (magistrati, forze di polizia e capitanerie di porto, ufficiali di polizia giudiziaria e tecnici delle Arpa, polizie municipali e altro) riguardo alla legge n. 68 del 2015, al fine di migliorare la lotta contro gli illeciti ambientali;

16) ad istituire, di concerto con gli enti nazionali e territoriali interessati, un tavolo tecnico operativo che coordini una task force, costituita da un pool di agenti appartenenti sia ai comparti di terra che di mare (capitaneria di porto, guardia di finanza, carabinieri e polizia municipale), con il supporto dell'Arpa regionale, con il compito di contrastare gli illeciti perpetrati a danno della pesca ed in particolare dei mitili, dei datteri, dei ricci di mare e ostriche locali, e di controllare e prevenire la pesca abusiva sia nell'area del Mar Piccolo che su tutta la costa marina dell'area di Taranto;

17) a provvedere, con le opportune iniziative di competenza, al potenziamento degli organici delle forze di pubblica sicurezza impegnate nella lotta alla pesca di frodo, oltre che a fornire, potenziare, integrare e modernizzare mezzi e strumenti necessari allo scopo;

18) ad attivarsi, con gli enti territoriali interessati, al fine di implementare il controllo del litorale alto ionico della provincia di Taranto e il monitoraggio continuo delle attività di pesca, con particolare attenzione verso la pesca a strascico nelle zone vietate con deturpazione del patrimonio biologico, al fine di contrastare le attività illegali e comunque di garantire una efficace salvaguardia della fauna ittica e, in particolare, quella protetta;
(1-00098) «Labriola, D'Attis, Occhiuto».

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Lollobrigida n. 1-00113, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 117 del 30 gennaio 2019.

   La Camera,

   premesso che:

    il 28 gennaio 2019 la squadra mobile di Catania ha arrestato sedici persone accusate di far parte di una banda di spacciatori di droga che aveva una propria «cellula» a Catania e base operativa nel centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo;

    le persone fermate appartengono tutte alla mafia nigeriana, attiva in tutta Italia e sulla quale è attualmente in corso un'indagine congiunta tra il Servizio centrale operativo della Polizia italiana, l'Fbi statunitense e la polizia canadese nella zona di Castelvolturno, e sono accusate di associazione mafiosa, traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope e violenza sessuale aggravata;

    l'inchiesta di Castelvolturno sta confermando l'estrema efferatezza dei crimini commessi da tale organizzazione criminale, attiva in Italia da ormai oltre vent'anni, che dispone di un vero e proprio esercito di immigrati, per la gran parte irregolari, su cui contare come manovalanza: «da Destra Volturno a Pescopagano, e lungo la Domitiana, l'esercito di immigrati che una stima approssimativa calcola in quindicimila, è ostaggio della mafia nigeriana. Che spaccia, minaccia, fa traffico di organi e ha praticamente potere di vita e di morte sugli altri connazionali, sui ghanesi e sugli ivoriani»;

    secondo alcune stime gli affiliati alla mafia nigeriana in Italia sarebbero centomila e costituiscono «un gruppo ramificato e potente, che rappresenta una seria minaccia all'ordine pubblico e al vivere civile»;

    la distribuzione sul territorio è stata confermata dalla relazione annuale della Direzione nazionale antimafia dell'aprile 2017: «I gruppi criminali nigeriani, difatti, operano su buona parte del territorio nazionale, comprese le regioni ove risulta forte il controllo della criminalità endogena, come nel caso della Campania e della Sicilia. Da sempre attivi in Piemonte, Veneto e Campania, hanno progressivamente esteso la loro presenza criminale anche in altre aree del territorio nazionale, quali le regioni adriatiche (in particolare Marche ed Abruzzo), la Capitale, le due isole maggiori e, più recentemente, in Puglia»;

    ancora in merito alla mafia nigeriana, nella relazione della Direzione nazionale antimafia si legge: «Quanto ai sodalizi nigeriani, si tratta di gruppi fortemente caratterizzati dalla comune provenienza etnico-tribale dei suoi membri. Tali elementi garantiscono a ciascun sodalizio un'elevata compattezza interna che ne consente un'efficace operatività nonostante la ricorrente suddivisione in cellule, attive in diverse aree territoriali nonché il riconoscimento dei caratteri dell'associazione mafiosa in diversi procedimenti penali. Le numerose attività repressive condotte nei confronti di nigeriani, operativi prevalentemente nella tratta di esseri umani finalizzata allo sfruttamento della prostituzione, nel traffico internazionale di sostanze stupefacenti e nel favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, consentono di delineare alcuni fattori che ne hanno favorito la specializzazione soprattutto con riferimento al narcotraffico»;

    gli arresti effettuati nel centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo non solo confermano il legame tra centri di accoglienza e criminalità organizzata straniera, ma dimostrano le attività di tali gruppi criminali nella gestione dell'immigrazione illegale, posto che alcuni dei fermati avrebbero anche collaborato con i trafficanti di esseri umani in Libia;

    secondo la Direzione nazionale antimafia «i migranti di etnia nigeriana rappresentano la nazionalità prevalentemente dichiarata al momento degli sbarchi; appare dunque evidente come l'incremento dei flussi migratori illegali (...) rappresenti un florido bacino che va ad alimentare i gruppi criminali della relativa matrice etnica, perlopiù attivi nel traffico internazionale di sostanze stupefacenti, nel favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e nei reati a questa correlati»;

    non va sottovalutato, inoltre, che in Nigeria si sta diffondendo un forte integralismo islamico, fatto che, attraverso la massiccia immigrazione di nigeriani, potrebbe aumentare la minaccia terroristica per la nostra Nazione;

    nonostante il fatto che già nel gennaio del 2005 i nostri servizi di intelligence e il Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno avevano allertato le squadre mobili di ben ventisei questure e i comandi generali dei carabinieri e della guardia di finanza sulla «evoluzione dei sodalizi malavitosi di quell'etnia attivi in Italia», grazie a una scellerata politica migratoria che ha aperto le porte della nostra Nazione senza alcun controllo a centinaia di migliaia di persone, e grazie a una disattenzione verso il fenomeno, la mafia nigeriana ha assunto una dimensione, una pericolosità e una distribuzione sul territorio che impongono di adottare provvedimenti urgenti e concreti per il suo contrasto;

    la politica di chiusura dei porti sta dando efficaci risultati sotto l'aspetto della riduzione del numero di immigrati che arrivano in Italia ma sta esponendo la nostra Nazione a continue ed estenuanti trattative con gli altri Stati dell'Unione europea che dovrebbero farsi carico dei migranti secondo il principio della redistribuzione;

    la totale assenza, nell'Unione, di un approccio burden sharing in merito all'ondata migratoria si è riversata per anni sulla nostra Nazione lasciata sola ad accogliere e soprattutto ad ospitare in seguito le migliaia di migranti in arrivo attraverso il Mediterraneo;

    il caso della nave «Diciotti» dimostra chiaramente come la soluzione ai tentativi di immigrazione irregolare non sia tanto chiudere i porti quanto impedire ai barconi di partire, perché solo questo potrà porre l'Italia al riparo dalla polemica con gli altri Stati dell'Unione europea per l'accoglienza dei migranti;

    in occasione del vertice di Malta, svoltosi nel febbraio del 2017, tra le ipotesi dibattute per contrastare l'immigrazione irregolare vi era stata quella di creare una line of protection, di fatto un blocco navale, da realizzare con unità e uomini libici finanziati dalla Commissione con duecento milioni di euro a valere sul fondo fiduciario dell'Unione europea per l'Africa, volto a costituire una prima linea di difesa per impedire le partenze, dietro alla quale dovrebbero continuare ad operare le navi europee della missione Sophia, con lo scopo di soccorrere i migranti alla deriva e di distruggere i barconi catturati;

    nel marzo 1997 l'allora Presidente del Consiglio dei ministri Romano Prodi stipulò un accordo con il Premier albanese per la realizzazione di un blocco navale della Marina militare per il respingimento dei migranti diretti in Italia, in cambio di aiuti come cibo e medicinali e l'impegno per la ricostruzione delle strutture statali albanesi;

    oltre alla questione dei cosiddetti barconi, necessita di urgente regolamentazione l'attività nel Mediterraneo delle navi di proprietà di alcune organizzazioni non governative che operano al confine con le acque territoriali libiche, troppo spesso al centro di operazioni poco chiare per aver preso a bordo migranti nel tentativo di trasportarli in Italia quando ancora non erano giunti in acque internazionali, e sulle quali in Italia stanno indagando due procure;

    la presenza di queste navi, infatti, può essere un incentivo per i trafficanti a caricare i migranti su imbarcazioni inadatte a tenere il mare contando sul fatto che saranno «salvati» proprio dalle organizzazioni non governative;

    inoltre, con riferimento al tema dell'emergenza migranti, il documento di economia e finanza 2018 ha evidenziato come il calo degli sbarchi registrato nel 2017 e nel 2018 rispetto agli anni precedenti non sia stato accompagnato dalla diminuzione delle presenze nelle strutture di accoglienza, le quali hanno continuato a registrare un andamento crescente;

    la spesa per operazioni di soccorso, assistenza sanitaria, accoglienza e istruzione è stimata in 4,3 miliardi nel 2017, al netto dei contributi dell'Unione europea, e prevista ancora in crescita fino ad una cifra compresa tra 4,6 e 5 miliardi di euro nel 2018, continuando a gravare sul nostro prodotto interno lordo per circa lo 0,3 per cento l'anno;

    ormai da anni si susseguono sbarchi di immigrati irregolari nel sud della Sardegna, perlopiù di soggetti aventi cittadinanza algerina, a mezzo di piccole imbarcazioni private, spesso non individuate, né individuabili dalle forze di polizia che pattugliano le coste, le quali, dunque, consentono l'accesso nel territorio nazionale in assenza di qualsivoglia controllo;

    la situazione, che ha già superato il limite della sicurezza, potrebbe ulteriormente peggiorare in vista della prossima stagione estiva, la quale vede ormai da anni un incremento notevole degli sbarchi diretti, soprattutto in zone ad elevata affluenza turistica come Porto Pino e Sant'Antioco, con gravi ripercussioni per un territorio già notevolmente segnato dalla crisi economica ed industriale;

    qualsiasi azione attuata finora non ha consentito l'interruzione della navigazione di tali imbarcazioni sulla citata tratta e, dunque, non ha reso possibile l'arresto degli sbarchi sopra indicati che, infatti, sfuggono al controllo delle forze di polizia locali, incaricate del pattugliamento delle acque territoriali;

    sul piano internazionale è stato recentemente al centro del dibattito in tema di politiche migratorie il Global compact, ovvero il «Patto globale per una migrazione sicura, ordinata e regolare», sottoscritto in sede Onu il 5 agosto 2016, e presentato come la più ampia iniziativa strategica di revisione dei flussi migratori e della loro gestione;

    il Global compact crea obblighi crescenti verso gli Stati in ordine ai servizi da fornire agli immigrati, anche a prescindere dal loro status di rifugiato, sottraendo agli stessi la gestione delle politiche migratorie sul proprio territorio nazionale;

    appare evidente come il Global compact non sia altro che l'ennesimo tassello di un progetto volto ad annientare confini, culture ed in particolare le sovranità nazionali in tema di immigrazione, un approccio contro il quale si sono già espresse numerose Nazioni, dichiarando ufficialmente di non aderire al Trattato;

    la sottoscrizione del complesso reticolato di impegni del Global compact, anche laddove genericamente formulati, è tale da comportare un'inaccettabile cessione di sovranità sul tema migratorio verso organismi sovranazionali senza alcun controllo democratico da parte dei cittadini dei singoli Stati;

    il Patto è finanziato da contributi volontari dei Governi al Global Compact trust fund;

    l'11 dicembre 2018 a Marrakech 164 nazioni hanno sottoscritto il Global Compact for safe, orderly and regular migration, mentre un gruppo di 13 Nazioni non hanno sottoscritto e non sottoscriveranno il Patto sul presupposto che il documento non stabilisce una netta differenza tra migrazione legale ed illegale;

    l'Italia ha disertato l'incontro di Marrakech e non ha ancora assunto una posizione chiara e ufficiale in merito alla propria intenzione di sottoscrivere o meno il Global compact;

    il flusso incontrollato di immigrati che tenta di arrivare in Europa lasciando gli Stati dell'Africa non potrà mai essere arrestato se non si interviene anche a sostegno dello sviluppo sociale e produttivo delle popolazioni in loco;

    come denunciato dalle organizzazioni panafricane, la presenza della Francia in alcuni Stati africani si configura come una vera e propria ingerenza e forma di neocolonialismo che ostacola la crescita e lo sviluppo di tali Nazioni, e il franco Cfa, ancora in gran parte controllato dallo Stato francese, garantisce a quest'ultimo uno strumento di controllo sulle economie locali ed europee,

impegna il Governo:

1) ad assumere le iniziative urgenti di competenza, anche normative, per potenziare le attività di indagine a contrasto della mafia nigeriana, anche attraverso l'istituzione di sezioni specializzate presso le procure antimafia, dedicate al contrasto alle mafie straniere attive sul territorio nazionale;

2) in questo quadro, ad adottare iniziative per disporre l'invio di un contingente militare nella zona di Castelvolturno a supporto delle forze di polizia impiegate nella lotta alla mafia nigeriana;

3) ad adottare ogni opportuna iniziativa per la creazione di un blocco navale davanti alle coste libiche che possa impedire il passaggio delle imbarcazioni cariche di migranti irregolari, con la partecipazione degli Stati membri dell'Unione europea, e in accordo e collaborazione con entrambe le autorità di governo presenti sul territorio libico, qualificandole come interlocutori dell'Unione e fornendo alle stesse sostegno economico e operativo per il controllo del proprio territorio e della rotta attraverso il deserto sfruttata dai trafficanti;

4) ad adottare iniziative per garantire l'immediata creazione di centri hot spot nei Paesi del Nord Africa, per l'esame delle domande di asilo;

5) ad attivare immediatamente i centri sorvegliati nei quali trattenere chi entra illegalmente in Italia nelle more del vaglio della domanda di protezione e al fine di eseguire tutti gli opportuni accertamenti di sicurezza, rispettando il principio che, per chi entra illegalmente in uno Stato europeo, non possa essere sufficiente dichiararsi richiedente asilo per non essere sottoposto ad alcuna forma effettiva di controllo o restrizione;

6) a promuovere la creazione di un fondo europeo, alimentato con risorse dell'Unione, con una dotazione di tre miliardi di euro per la realizzazione di accordi di riammissione con i Paesi di origine dei migranti e il potenziamento delle operazioni di rimpatrio;

7) ad adottare iniziative per una maggiore regolamentazione delle organizzazioni non governative, prevedendo che gli enti di promozione sociale iscritti nel registro unico nazionale abbiano l'obbligo di istituire una gestione separata per ciascuna iniziativa di raccolta fondi che attivano e il divieto di trasferire i fondi da un'iniziativa ad altra;

8) a porre all'attenzione delle istituzioni europee il tema di quello che appare ai firmatari del presente atto un approccio neocoloniale francese nei confronti dell'Africa e del franco Cfa;

9) a non sottoscrivere il Global Compact for safe, orderly and regular migration e a non contribuire in alcun modo al finanziamento del relativo trust fund.
(1-00113) (Ulteriore nuova formulazione) «Lollobrigida, Deidda, Acquaroli, Bellucci, Bucalo, Butti, Caretta, Ciaburro, Cirielli, Crosetto, Luca De Carlo, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferro, Fidanza, Foti, Meloni, Frassinetti, Gemmato, Lucaselli, Mollicone, Rotelli, Maschio, Osnato, Trancassini, Prisco, Varchi, Rizzetto, Zucconi».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:

   interrogazione a risposta scritta Vitiello n. 4-01450 del 23 ottobre 2018;

   interpellanza Grippa n. 2-00187 del 26 novembre 2018;

   interrogazione a risposta in Commissione Morani n. 5-01139 del 19 dicembre 2018;

   interrogazione a risposta in Commissione Costanzo n. 5-01431 del 7 febbraio 2019;

   interrogazione a risposta in Commissione Ubaldo Pagano n. 5-01549 del 21 febbraio 2019.