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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 7 febbraio 2019

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, il Ministro della salute, il Ministro per gli affari europei, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:

   in Italia sono emersi due casi di morte, imputabili al Fentanyl, farmaco originato dalla morfina, utilizzato come droga, letale per i tossicodipendenti e per le forze dell'ordine. Infatti, negli USA, Paese di maggior consumo, alcuni agenti sono deceduti in seguito al contatto cutaneo accidentale avvenuto durante le operazioni di sequestro, non consapevoli che l'assorbimento transdermico lo rendesse biodisponibile in misura superiore al 95 per cento;

   i centri per il controllo e la prevenzione delle malattie Usa riferiscono un aumento di morti: 49 mila nel 2017. L'affare è gigantesco: un chilogrammo di Fentanyl, comprato in Cina per 3.800 dollari e tagliato rende oltre 30 milioni. Un'enormità, considerato, che un chilogrammo di eroina, acquistata per 50 mila dollari può renderne «solo» 200 mila;

   il maggior produttore illegale è la Cina. Gli Usa hanno chiesto controlli sulla produzione, poiché sono «invasi» di Fentanyl cinese, acquistabile online sul dark web, che provoca overdose nei soggetti con scarsa tolleranza agli oppioidi;

   l’International Journal of Drug Policy, in uno studio, ipotizza che ciò sia causato dalla diminuita produzione di oppio, quindi dell'eroina disponibile sul mercato;

   la droga è consumata anche in Europa, soprattutto in Estonia. In 2 Stati membri sono stati segnalati 77 casi di decesso, 13 vittime sono segnalate in altri 4 Stati; la droga è stata individuata in 11 Stati membri, con 44 sequestri totali avvenuti fra giugno e dicembre 2017;

   l'Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze considera il Fentanyl un analgesico narcotico con potenza 80 volte superiore a quella della morfina. Nel giugno 2018 un rapporto congiunto dell'Osservatorio e dell'Europol in materia di allerta precoce ha indicato che, dal 2012, sono giunti 28 nuovi Fentanyl, tutti di provenienza cinese;

   nel marzo 2018 il comitato scientifico dell'Osservatorio europeo ha redatto delle relazioni sulla valutazione dei rischi, inviate alla Commissione e al Consiglio. Il Consiglio ha quindi approvato la decisione ((A) 2018/1463, del 28 settembre 2018, con la quale tali sostanze sono state assoggettate a misure di controllo ed a sanzioni analoghe a quelle previste per le altre sostanze stupefacenti, poco dicendo, in tema di prevenzione rispetto agli acquisti, in generale, e sul dark web, in particolare, e sui modi per evitare l'importazione clandestina dalla Cina;

   nella decisione si afferma che: «L'esposizione accidentale al ciclopropilfentanil può presentare rischi per i familiari e gli amici dell'utilizzatore, per le forze dell'ordine, il personale dei servizi di emergenza, il personale medico e dei laboratori forensi, nonché per il personale addetto alle strutture penitenziarie e quello dei servizi postali»;

   in Italia, la direzione centrale antidroga, nell'ultima relazione annuale, riguardo al Fentanyl, ha specificato che «non si erano verificate evidenze della loro presenza nelle piazze italiane». Poi, nel settembre 2018, come detto in esordio, si è scoperto tardivamente il primo decesso avvenuto nell'aprile 2017. Inizialmente si riteneva che la vittima fosse morta per overdose da eroina;

   la comunicazione ritardata non ha consentito di conoscere l'esatta diffusione della droga in Italia, perché mancano dati certi relativi ai decessi avvenuti nell'ultimo anno e mezzo. Il ritardo preoccupa, perché l'unico caso accertato potrebbe rappresentare solo la punta dell’iceberg;

   infatti, una seconda morte è avvenuta il 10 giugno 2018. Un tossicodipendente è morto ed è stato trovato dai carabinieri a Travedona Monate. Accanto al suo corpo è stato trovato il Fentanil. «La bustina di plastica che lo conteneva recava la scritta 1:10 contenente sostanza solido pulviscolare bianca/beige». Si cita l'allerta di grado 3, diffusa dal sistema nazionale di allerta precoce dell'Istituto superiore di sanità. Il reperto è stato inviato il 20 luglio al laboratorio di analisi dei carabinieri di Milano, che, non riuscendo a identificare la sostanza, si è rivolto ai Ris di Parma. In quei laboratori il furanilfentanil è stato riconosciuto con un'analisi spettrografica;

   l'allerta dello Snap riporta in testa la dicitura «vietate la divulgazione e la pubblicazione su web», ma, tra chi riceve gli alert, si pensa che i dati vadano invece resi pubblici, anche fra chi non fa parte di queste categorie professionali;

   l'informazione può infatti interessare finanche gli stessi consumatori di stupefacenti. Gli allarmi dell'Osservatorio europeo su droghe e dipendenze e i sistemi nazionali di allerta di altri Paesi non riportano divieti di pubblicazione;

   infine, il 31 dicembre 2018, nell'ospedale di Melzo, sono stati rubati 400 grammi di Fentanil. Il furto è stato denunciato da un medico, che ha spiegato come le quattro fialette sparite fossero tenute in una cassaforte la cui chiave, non era evidentemente custodita al sicuro –:

   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative intendano assumere;

   se il Governo intenda investire l'Unione europea della questione, nelle sedi istituzionali proprie, per proporre l'adozione di ulteriori e più efficaci politiche di contrasto alla diffusione del Fentanil e similari nel territorio dei Paesi membri;

   se si intendano adottare iniziative atte a prevenire morti accidentali di persone non tossicodipendenti, in particolare tra quelle indicate nella decisione dell'Unione europea sopracitata, e delle forze dell'ordine in particolare, esposte al rischio di assorbimento involontario per via transdermica;

   quando si intendano adottare le iniziative di competenza per assoggettare ciclopropilfentanil e il metossiacetilfentanil a misure di controllo e alle sanzioni penali prescritte nella decisione dell'Unione europea sopracitata;

   se il Ministro dell'interno intenda predisporre un'attenta vigilanza per contrastarne la diffusione illegale, attivando in particolare la polizia postale, e per tutelare gli agenti dal contatto cutaneo;

   se il Ministro della salute intenda predisporre una indagine ministeriale per accertare eventuali ulteriori casi di morte, non ancora individuati, se intenda predisporre raccomandazioni per una più sicura detenzione del Fentanil nelle strutture del Servizio sanitario nazionale, e se intenda adottare iniziative per consentire la divulgazione e la pubblicazione tempestiva dei casi di morte a causa del Fentanil;

   se il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale intenda prendere contatti con il Governo cinese, avviando forme di collaborazione necessaria per garantire un efficace contrasto al narcotraffico;

   se il Governo, in particolare tramite il Dipartimento per le politiche antidroga, in ottemperanza alle competenze attribuite dalla legge, abbia in programma azioni mirate per prevenire e contrastare il diffondersi di questa specifica sostanza e della relativa tossicodipendenza.
(2-00263) «Ianaro, Macina, D'Uva, Nappi, Di Sarno, De Giorgi, Battelli, Galizia, Scerra, Bruno, Lombardo, Adelizzi, Menga, Caso, Zanichelli, Brescia, Olgiati, Angiola, Papiro, Trizzino, Palmisano, Rospi, Giordano, Di Lauro, Scagliusi, Lovecchio, Penna».

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per la famiglia e le disabilità, per sapere – premesso che:

   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 dicerie 2018 (Approvazione del bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio dei ministri per l'anno 2019 e per il triennio 2019-2021), pubblicato nel supplemento ordinario n. 2 alla Gazzetta Ufficiale del 16 gennaio 2019, contiene una succinta relazione sulle attività del centro di responsabilità «Politiche antidroga» e i relativi stanziamenti (rif.; pag. 156);

   le somme complessivamente assegnate alle «Politiche antidroga» per il 2019 sono pari ad euro 4.541.494 e sono destinate per euro 40.725 al funzionamento degli uffici e per euro 4.500.769,00 per gli interventi in materia;

   446.161 euro (quasi un decimo del totale) saranno destinate alla «spesa per la Conferenza triennale sui problemi connessi alla tossicodipendenza ivi compresi gli eventi preparatori». Si tratta della Conferenza nazionale sui problemi connessi alla diffusione delle sostanze stupefacenti e psicotrope che deve essere convocata ogni tre anni dal Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (articolo 1, comma 15);

   l'ultima conferenza nazionale (la VI) si è tenuta a Trieste nel marzo 2009; a partire dal 1990, le cinque precedenti Conferenze nazionali avevano rispettato i termini temporali fissati dal decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990;

   in un'intervista apparsa nell’home page del sito web del Dipartimento per le politiche antidroga, il Ministro per la famiglia e le disabilità Lorenzo Fontana, a cui sono state affidate le deleghe delle politiche sulle dipendenze, ad una precisa domanda sulla Conferenza nazionale, testualmente risponde: «L'ultima conferenza è stata organizzata nel 2009 ed i governi successivi hanno ritenuto, per vari motivi, di posticiparne la organizzazione. Nel corso del prossimo anno è nostra intenzione attivare dei tavoli preparatori di confronto per avviare già un primo circuito di confronto. Ci sembra il modo più produttivo di lavorare. Non sarò io ad indicare l'ordine del giorno ma gli operatori stessi attraverso un sistema di pubblica consultazione mediata delle singole Regioni a cui dovranno necessariamente partecipare gli operatori dei servizi pubblici, del privato sociale, i referenti delle Amministrazioni centrali e periferiche, i ricercatori universitari, le famiglie, cioè tutti i portatori di interesse nelle settore delle tossicodipendenze» –:

   se il Governo intenda rispettare quanto previsto dall'articolo 1, comma 15, del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, convocando, a distanza di dieci anni dalla precedente, la VII Conferenza nazionale sui problemi connessi alla diffusione delle sostanze stupefacenti e psicotrope;

   se nei dieci anni passati, ogni anno, sia stato previsto nel bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio dei ministri uno stanziamento analogo a quello citato in premessa, ovvero «spesa per la Conferenza triennale sui problemi connessi alla tossicodipendenza ivi compresi gli eventi preparatori»;

   se la prossima relazione al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia, che il Governo deve presentare entro il 30 giugno di ogni anno, conterrà una relazione analitica sulle spese effettuate dal Dipartimento per le politiche antidroga, posto che la relazione presentata dal Governo al Parlamento il 14 settembre 2018 contiene otto pagine di relazione sintetica sulle attività del Dipartimento.
(2-00262) «Magi».

Interrogazione a risposta orale:


   BRUNETTA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   nel proporre la nomina del professor Savona alla presidenza della Consob, il Consiglio dei ministri riesce nell'impresa di individuare un profilo sicuramente ragguardevole dal punto di vista tecnico e istituzionale, ma che ad avviso dell'interrogante assomma su di sé praticamente tutti i possibili presupposti esistenti di non conferibilità dell'incarico: in quanto pensionato, quello previsto dalla «legge Madia»; in quanto ex amministratore di un fondo di investimento, quello previsto dai decreti di attuazione della «legge Severino»; in quanto Ministro, quello previsto dalla «legge Frattini» sul conflitto di interessi;

   rispetto al primo aspetto, l'articolo 5 del decreto-legge n. 95 del 2012, prevede che, per una serie di pubbliche amministrazioni, tra cui viene citata espressamente la Consob, gli incarichi direttivi e dirigenziali possono essere conferiti «a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza» solo a titolo gratuito e comunque per una durata massima di un anno «non prorogabile né rinnovabile»;

   sul secondo aspetto, ovvero quello relativo alla non conferibilità dell'incarico quale ex amministratore di un fondo di investimento, l'articolo 4 del decreto legislativo n. 39 del 2013 prevede che «non possono essere conferiti gli incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni statali, regionali e locali» e «gli incarichi di amministratore di ente pubblico» «a coloro che nei due anni precedenti, abbiano svolto incarichi e ricoperto cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dall'amministrazione o dall'ente pubblico che conferisce l'incarico»;

   a tal proposito, si segnala che il Ministro Savona ha rassegnato le dimissioni da amministratore del fondo di investimento Euklid Ltd soltanto con decorrenza dal 21 maggio 2018;

   infine, rispetto alla inconferibilità dell'incarico quale Ministro, va rilevato che l'articolo 6 del decreto legislativo n. 39 del 2013 prevede l'applicazione ai componenti di Governo dei divieti stabiliti dalla legge n. 215 del 2004, il cui articolo 2 stabilisce che il titolare di cariche di Governo «non può ricoprire cariche o uffici o svolgere altre funzioni comunque denominate in enti di diritto pubblico, anche economici» e che l'incompatibilità «perdura per dodici mesi dal termine della carica di Governo nei confronti di enti di diritto pubblico, anche economici»;

   per giustificare la legittimità di tale nomina, sfruttando cavilli giuridici e lessicali, si può provare a dire che la «legge Madia» sui pensionati non si applica sugli incarichi conferiti dagli organi costituzionali, come il presidente della Consob che viene nominato, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, dal Quirinale, nonostante sia del tutto evidente che la riserva di autonomia che la legge stabilisce a favore degli organi costituzionali riguardi le nomine inquadrate nelle loro stesse strutture, non le nomine inquadrate in amministrazioni ed enti pubblici soggetti alla regola;

   si possono anche tirare fuori dai cassetti arditi pareri legali (non a caso rimasti inutilizzati) relativi ad altre ipotetiche nomine (non a caso non fatte) che evidenziano come la «legge Frattini» sul conflitto di interessi, richiamata dai decreti attuativi della «legge Severino», parli soltanto di «enti pubblici» e non di «pubbliche amministrazioni» e in sostanza fare finta che la legge istitutiva della Consob non dica che essa è appunto un ente pubblico e quindi vi rientra in pieno;

   si potrà magari anche provare a sostenere che nemmeno l'inconferibilità quale ex amministratore da meno di 24 mesi di fondo di investimento è applicabile, perché l'incarico di presidente della Consob non è equiparabile a quello di «amministratore di ente pubblico»;

   ad ogni modo, il tema è evidente, e va affrontato alla luce della nomina del professor Savona –:

   se la Presidenza del Consiglio abbia effettuato tutte le opportune verifiche rispetto alla normativa in vigore sulla conferibilità dell'incarico di presidente della Consob al professor Savona e se, alla luce di tali verifiche, permangano i presupposti giuridici per la legittimità della nomina.
(3-00505)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CARBONARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   in data 2 febbraio 2019 il fiume Reno è esondato rompendo l'argine in località Boschetto di Castel Maggiore, provocando l'allagamento di un'importante porzione di territorio. Nella zona di Castel Maggiore sono circa 300 le persone che hanno dovuto abbandonare le proprie abitazioni. Dieci in tutto sono i ricoverati per principio di ipotermia, tra cui sei carabinieri;

   alla luce di quanto accaduto, appare incomprensibile il ritardo della regione Emilia-Romagna nell'ultimazione dei lavori per la mitigazione del rischio idrogeologico, già finanziati con 43,4 milioni di euro in virtù di un accordo in essere tra la Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;

   in particolare, per il ripristino e la sistemazione dell'area di Passo Pioppe, era previsto un intervento da 220.000 euro, un lavoro che non solo non è stato ultimato ma che, secondo i primi accertamenti, sarebbe tra le principali cause dell'esondazione. Si tratta di un ritardo difficilmente comprensibile, soprattutto in considerazione del fatto che questi interventi erano stati finanziati proprio in virtù della necessità di essere realizzati tempestivamente e di essere rapidamente cantierabili;

   appare, pertanto, a giudizio dell'interrogante, paradossale l'inerzia del presidente della regione Emilia-Romagna, soprattutto in virtù dei poteri speciali che il ruolo di commissario di governo gli consentirebbe di esercitare –:

   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda avviare per accertare cause e responsabilità dell'accaduto;

   quali iniziative di sostegno e quali forme di risarcimento si intendano attivare per le aziende agricole danneggiate dalla piena e per i cittadini costretti ad abbandonare le proprie abitazioni.
(4-02189)


   MINARDO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   per l'ordinamento giuridico italiano l'accesso ai corsi universitari può essere libero o a numero programmato. Nonostante l'articolo 34 della Costituzione italiana garantisca a ogni cittadino il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi, il legislatore ha previsto alcune limitazioni al libero accesso al sistema universitario, programmando, per alcuni corsi di laurea, il numero dei posti disponibili;

   le norme che regolano la materia degli accessi ai corsi di laurea sono contenute nella legge 2 agosto 1999, n. 264. Tale normativa, da un lato disciplina la programmazione numerica di alcuni corsi universitari, dall'altro regola le procedure secondo le quali gli studenti dovranno essere ammessi. All'interno della stessa legge, infine, sono presenti i principi e i criteri ai quali il Ministero dovrà necessariamente attenersi per determinare, all'inizio di ogni anno accademico, sia il numero dei posti disponibili sia la loro corretta ripartizione;

   il Ministro interrogato ha più volte annunciato la cancellazione dei test di ingresso a medicina a vantaggio del «modello francese» (ammissione per tutti al primo anno e sbarramento ex post sulla base di esami e crediti) con la successiva accelerazione del Vicepremier Salvini di mettere il numero chiuso nelle facoltà umanistiche, da dove sono usciti tanti di laureati, rispetto a medicina ove c'è bisogno di ossigeno;

   nel mese di ottobre 2018 un comunicato del Consiglio dei ministri annunciava: «Si abolisce il numero chiuso nelle Facoltà di Medicina, permettendo così a tutti di poter accedere agli studi», fatto smentito dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e poi oggetto di rettifica da parte del Presidente del Consiglio dei ministri con un altro comunicato: «è obiettivo politico di medio periodo» che «potrà prevedere un percorso graduale di aumento dei posti disponibili, fino al superamento del numero chiuso»;

   a giudizio dell'interrogante regna parecchia confusione sul tema a Palazzo Chigi per cui sarebbe opportuno mettere mano subito alla materia avviando l’iter per riformare la normativa attuale –:

   vista l'urgenza di intervenire sulla materia che dovrebbe portare ad abrogare, innanzitutto, l'intera legge 2 agosto 1999, n. 264, che disciplina gli accessi a numero programmato ai corsi universitari, in quali tempi il Governo intenda adottare iniziative normative sul tema del numero chiuso per la facoltà di medicina.
(4-02201)


   ZARDINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   nel mese di dicembre 2015 l'allora Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Graziano Delrio, procedeva alla nomina dell'ingegner Ezio Facchin, presidente di Trentino Trasporti spa, quale commissario straordinario per la promozione delle opere di accesso al tunnel del Brennero;

   la funzione del commissario aveva lo scopo di promuovere per conto del Governo italiano le opere infrastrutturali di accesso al tunnel di base del Brennero;

   suddetti interventi riguardano la realizzazione della nuova linea tra Fortezza e Ponte Gardena, in continuità con il nuovo tunnel del Brennero, nonché delle circonvallazioni ferroviarie di Bolzano, Trento e Rovereto e dei nuovi accessi al nodo di Verona per complessivi 85 chilometri di linea a doppio binario;

   si tratta di interventi programmati dal 2003 per investimenti complessivi pari a circa 4 miliardi di euro per i territori di Bolzano, Trento e Verona, senza i quali il progetto del tunnel del Brennero risulterebbe incompleto;

   nel mese di dicembre 2018, l'ingegner Facchin ha comunicato le proprie dimissioni da commissario straordinario con una comunicazione inviata al Presidente del Consiglio Conte, prima della scadenza dell'incarico, prevista per marzo 2019;

   tale decisione motivata come riportato anche dagli organi di stampa «per l'assenza di interesse del Governo verso il progetto» sarebbe dovuta alla impossibilità di incontrare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti o un altro membro del Ministero o del Governo nonostante le ripetute richieste da parte dello stesso commissario –:

   se il Governo abbia già provveduto a nominare o intenda nominare e in quali tempi un nuovo commissario straordinario per promuovere le opere di accesso al tunnel del Brennero, considerata la grande rilevanza e strategicità delle opere in questione per la modernizzazione delle infrastrutture in questo quadrante del Paese.
(4-02203)


   MAGI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari europei, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   la Corte di giustizia dell'Unione europea ha condannato l'Italia il 17 novembre 2011, in merito alla causa C-496/09, poiché non ha adottato tutte le misure necessarie per conformarsi alla sentenza 10 aprile 2004, causa C-99/02, Commissione/Italia, relativa al regime di aiuti concessi dall'Italia per interventi a favore dell'occupazione, dichiarati illegittimi ed incompatibili con il mercato comune, venendo meno agli obblighi che incombono sul Paese in forza di tale decisione e dell'articolo 228, n. 1, del trattato CE;

   il 2 dicembre 2014 la stessa Corte ha condannato l'Italia nella causa C-196/13 per 200 discariche non bonificate, prevedendo come sanzione una multa forfettaria di 40 milioni di euro e una multa semestrale proporzionale alle discariche ancora non bonificate;

   il 16 luglio 2015 ha condannato l'Italia nella causa C-653/13 per non aver adottato tutte le misure necessarie all'esecuzione della sentenza Commissione/Italia (C-297/08) sull'emergenza rifiuti in Campania, comminando una multa giornaliera di 120.000 euro per ciascun giorno di ritardo nell'attuazione delle misure necessarie e una multa forfettaria di 20 milioni di euro;

   il 17 settembre 2015 la Corte ha condannato l'Italia nella causa C-367/14, perché ha ritenuto che le riduzioni e/o sgravi dagli oneri sociali concessi tra il 1995 e il 1997 a una serie di imprese del territorio insulare di Venezia e Chioggia costituivano aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune; a seguito della sentenza il nostro Paese ha versato una somma forfettaria di 30 milioni di euro e dovrà versare una penalità di 12 milioni di euro per ogni semestre di ritardo nel recupero degli aiuti;

   il 31 maggio 2018 la Corte ha condannato l'Italia nella causa C-251/17 per aver omesso di adottare le disposizioni necessarie per garantire che diversi agglomerati situati nel territorio italiano fossero provvisti di reti fognarie per la raccolta e/o di trattamento delle acque reflue urbane conformi alle prescrizioni dell'articolo 3, dell'articolo 4, paragrafi 1 e 3, nonché dell'articolo 10 della direttiva 91/271; per tali motivi la Corte ha stabilito che: 1) la Repubblica italiana, non avendo adottato tutte le misure necessarie per l'esecuzione della sentenza del 19 luglio 2012, Commissione/Italia (C565/10), è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell'articolo 260, paragrafo 1, TFUE; 2) nel caso in cui l'inadempimento constatato al punto 1 persista al giorno della pronuncia della sentenza, la Repubblica italiana è condannata a pagare alla Commissione europea una penalità di 30.112.500 euro per ciascun semestre di ritardo nell'attuazione delle misure necessarie per ottemperare alla sentenza del 19 luglio 2012 già citata, a partire dalla data della pronuncia della sentenza e fino all'esecuzione integrale della medesima, penalità il cui importo effettivo deve essere calcolato alla fine di ciascun periodo di sei mesi riducendo l'importo complessivo di una quota corrispondente alla percentuale che rappresenta il numero di abitanti equivalenti degli agglomerati i cui sistemi di raccolta e di trattamento delle acque reflue urbane sono stati resi conformi con quanto statuito dalla citata sentenza in rapporto al numero di abitanti degli agglomerati che non dispongono di tali sistemi al giorno della pronuncia; 3) la Repubblica italiana, inoltre, è condannata a pagare alla Commissione una somma forfettaria di 25 milioni di euro –:

   quale sia l'importo complessivo delle sanzioni pecuniarie che l'Italia ha dovuto versare in ragione delle condanne irrogate dalla Corte di giustizia ai sensi dell'articolo 260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e quali iniziative il Governo stia mettendo in campo per ottemperare a tali sentenze.
(4-02206)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CENNI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   il 15 gennaio 2019 la Camera dei Comuni del Regno Unito ha respinto l'accordo sulla «Brexit», proposto dal Primo Ministro inglese Theresa May prevista per il 29 marzo 2019;

   ad oggi le altre soluzioni prese in considerazione dal Governo inglese sono in continua evoluzione e non ancora definite, mentre crescono le probabilità di una uscita senza accordo, il cosiddetto «no-deal»;

   la Commissione europea ha adottato il 19 dicembre 2018 una comunicazione con la quale ha presentato un pacchetto di misure legislative relative ad alcuni specifici settori rispetto ai quali una uscita del Regno Unito dall'Unione europea senza accordo potrebbe provocare maggiori disagi per i cittadini e le imprese;

   alcuni Paesi europei come la Germania, il Belgio e la Francia si sono da tempo dotati di una legislazione di emergenza per affrontare i rapporti con il Regno Unito in caso di uscita senza alcun tipo di accordo con l'Unione europea;

   sono infatti attualmente 700 mila i cittadini italiani che risiedono in Inghilterra, mentre gli scambi commerciali tra i due Paesi, aumentati del 2,4 per cento rispetto al 2016, hanno raggiunto quota 34,5 miliardi di euro, di cui 23,1 miliardi di esportazioni verso la Gran Bretagna e 11,4 miliardi di euro di importazioni verso l'Italia;

   il Regno Unito, con un valore annuo (2017) pari a 3,35 miliardi di euro, rappresenta il quarto mercato di sbocco per le esportazioni agroalimentari italiane e il terzo all'interno dei confini comunitari;

   circa un quarto del totale delle vendite estere agroalimentari (24 per cento, per un valore che ha superato gli 810 milioni di euro) è rappresentato dal vino. Ogni 100 bottiglie made in Italy vendute nel mondo, ben 14 finiscono sulle tavole del Regno Unito. A seguire, ci sono l'ortofrutta trasformata con il 13 per cento del totale e i prodotti da forno e farinacei (11 per cento);

   tra i prodotti agricoli, invece, di tutto rilievo sono le vendite di ortofrutta fresca made in Italy che raggiungono un valore di 146 milioni di euro;

   nonostante il referendum del 2016, nel successivo anno (2017) si è assistito a una crescita delle spedizioni made in Italy «oltre Manica» di oltre tre punti percentuali;

   se si considera l'incidenza percentuale delle esportazioni agroalimentari di ciascuna realtà territoriale italiana rispetto al prodotto interno lordo settoriale (valore aggiunto), alcune regioni risulterebbero particolarmente «vulnerabili» ed esposte in caso di «no-deal»: in Campania le esportazioni alimentari verso il Regno Unito pesano per il 12,5 per cento sulla formazione del valore aggiunto agroalimentare, in Veneto l'11 per cento, il Piemonte il 7,4 per cento e in Lombardia il 5,7 per cento;

   in data 24 gennaio 2019 il Ministero dell'economia e delle finanze ha rilasciato un comunicato in cui annuncia di aver «approntato le misure necessarie per garantire la piena continuità dei mercati e degli intermediari in caso di recesso del Regno Unito dall'Unione Europea senza accordo. (...) Le misure, predisposte in stretto raccordo con le autorità di vigilanza e sentite le associazioni di categoria, avranno piena efficacia ove si verifichi un recesso senza accordo (...). Con tutta probabilità dette misure verranno adottate con la forma di un decreto legge, qualora ne ricorrano necessità e urgenza»;

   si apprende inoltre, da fonti stampa, che nei prossimi giorni «funzionari dell'Unione europea saranno a Roma per discutere di queste linee di intervento» –:

   quali iniziative urgenti intenda adottare il Governo nelle opportune sedi al fine di scongiurare una risoluzione della «Brexit» non ordinata (no-deal);

   quali specifiche iniziative normative intenda adottare, nel dettaglio, qualora si verificasse soltanto fra circa sette settimane il cosiddetto «no-deal», al fine di tutelare i nostri concittadini residenti nel Regno Unito e le imprese italiane coinvolte, oltre a garantire la continuità del solido rapporto di collaborazione e scambi commerciali che lega storicamente i due Paesi;

   quali iniziative intenda adottare per tutelare e salvaguardare le produzioni agroalimentari maggiormente esposte rispetto a un possibile «no-deal».
(5-01419)

Interrogazione a risposta scritta:


   UNGARO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   se non vi saranno nuovi negoziati, ovvero un'accettazione a Bruxelles della richiesta di prorogare gli effetti dell'articolo 50 del Trattato di Lisbona di almeno altri nove mesi per uscire dall'Unione europea rispetto alla fissata data del 29 marzo, per la prima volta al voto continentale non parteciperà il Regno Unito a causa dell'esito del referendum sulla «Brexit» tenutosi nel 2016;

   la Gran Bretagna quindi, come d'altro canto già la Confederazione elvetica, diventerà «Paese terzo», pur insistendo nella spazio geografico europeo;

   la legge n. 459 del 2001 sull'esercizio del diritto di voto all'estero non si applica alle elezioni europee, che sono regolate dalla legge 24 gennaio 1979, n. 18, e successive modificazioni. Al suffragio europeo non si applica, pertanto, il sistema del voto per corrispondenza: gli elettori italiani aventi diritto e stabilmente residenti nei Paesi dell'Unione europea, possono infatti recarsi presso le apposite sezioni elettorali istituite in loco dalla rete diplomatico-consolare italiana;

   si stima attualmente che siano più di 700 mila i connazionali che vivono nel Regno Unito. Se a questi si aggiungono i circa 300 mila italiani in Svizzera, sono più di un milione gli aventi diritto al voto italiani che risiedono nello spazio geografico europeo che non potranno votare il prossimo anno a meno di non intraprendere uno «scoraggiante» – in termini di propensione alla partecipazione al voto – viaggio nella Penisola per esercitare questa importantissima prerogativa;

   è superfluo, ma purtroppo, ad avviso dell'interrogante, non per il Governo presieduto dal Presidente del Consiglio Prof. Giuseppe Conte, dire che l'impatto economico e socio-politico della «Brexit» sull'Italia e l'Europa è enorme. Questo contribuisce anche ad una recente disaffezione dei cittadini verso le importanti Istituzioni comunitarie che va combattuta anche con l'esercizio dei diritti fondamentali –:

   se i Ministri interrogati non intendano adottare, di concerto con gli altri Ministri competenti, iniziative urgenti per prevedere forme transitorie di allestimento dei seggi elettorali nel Regno Unito e in Svizzera per permettere e favorire la partecipazione al voto degli italiani residenti in Gran Bretagna e nella Conferenza elvetica presso le locali sedi consolari per le elezioni del Parlamento europeo del 2019 nel caso o meno di uscita del Regno Unito dall'Unione europea a fine marzo 2019.
(4-02199)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BAZOLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   la società Duferco Sviluppo spa nel mese di settembre 2018 ha depositato presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare istanza per la valutazione di impatto ambientale nell'ambito del provvedimento unico in materia ambientale per il progetto di realizzazione di una centrale a turbogas per la produzione di energia elettrica;

   la centrale, composta di 2 unità alimentate a gas naturale, dovrebbe essere realizzata nel comune di Nave (Bs), nel sito occupato in passato dallo stabilimento delle acciaierie Stefana, acquistato dalla società Duferco nel 2017. Nel progetto presentato i due generatori sarebbero dotati di due camini alti 25 metri l'uno e, secondo alcune stime, produrrebbero ogni ora di funzionamento complessivamente circa 900 mila metri cubi di fumi contenenti ossidi di azoto e ammoniaca, precursori delle PM10, destinati a ricadere su un'area vasta limitrofa;

   la scelta della società proprietaria dello stabilimento sta destando grande preoccupazione presso la comunità di Nave e dei paesi adiacenti, poiché la collocazione della nuova centrale andrebbe a insistere su un territorio particolarmente inadatto e già sufficientemente compromesso, in quanto caratterizzato da una conformazione orografica che favorisce il ristagno di polveri e smog, e già alle prese con una concentrazione di inquinanti in atmosfera, come particolato e polveri sottili, particolarmente pesante;

   queste preoccupazioni sono state manifestate dai sindaci dei comuni del territorio interessato, che comprende una vasta area ove i fumi sarebbero destinati a disperdersi, oltre che da associazioni ambientaliste e da spontanei comitati civici –:

   se la valutazione di impatto ambientale terrà adeguatamente in considerazione il contesto territoriale complessivo nel quale si inscenerebbe la nuova centrale, con particolare riferimento alle criticità ambientali già presenti, dovute, tra l'altro, anche all'eredità della forte industrializzazione della zona;

   se, alla luce della normativa vigente, sia assentibile il progetto di una nuova centrale termoelettrica da realizzarsi per scopi commerciali in aree fortemente antropizzate e già caratterizzate da una presenza significativa di inquinanti in atmosfera, tra cui in particolare polveri sottili;

   quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, per fugare le legittime preoccupazioni manifestate dai territori interessati.
(5-01420)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PALMISANO e VIANELLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   nel corso della XVII è stata approvata dalla 13a Commissione permanente (Territorio, ambiente, beni ambientali) del Senato, in data 25 maggio 2017, nell'ambito dell'affare assegnato n. 918, relativo alle problematiche ambientali che interessano la località Pilone, nel comune di Ostuni (Br), la risoluzione Doc. XXIV n. 77, con la quale si impegnava il Governo su diversi punti;

   in particolare, con la risoluzione si è sollecitato l’«impegno del Governo, attraverso la collaborazione con la Regione Puglia, al fine di: promuovere adeguate attività di monitoraggio volte a verificare la conformità dell'opera alla normativa vigente e al fine di evitare lo sversamento di liquami direttamente in mare; valutare la sospensione dei lavori avviando la comparazione per la valutazione di soluzioni progettuali e siti alternativi, sulla base della programmazione territoriale vigente, avvalendosi anche del NOE dell'Arma dei Carabinieri; a disporre, tramite le Agenzie del Sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente, il controllo delle attività in corso, sollecitando adeguata attività di vigilanza e verifica da parte di tutti gli enti coinvolti nel procedimento autorizzatorio ed in quello di realizzazione dell'opera; a coinvolgere in tali attività le comunità locali per il tramite delle istituzioni territoriali, delle associazioni ambientaliste e dei comitati locali dei cittadini; a riferire in Parlamento sull'esito dell'attuazione degli impegni presi»;

   da quanto a conoscenza dell'interrogante si è svolto un tavolo istituzionale presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per discutere sull'argomento relativo alle problematiche di carattere ambientale, sollevate anche da diversi comitati di cittadini e associazioni, per la salvaguardia di un tratto di fascia costiera in un territorio, come quello ostunese, a cui negli anni sono state conferite anche «bandiere blu» e le «5 vele» –:

   se esista un documento conclusivo del tavolo ministeriale che sancisce l'esito del proficuo lavoro svolto da tutti i partecipanti e, in caso affermativo, se lo stesso sia pubblicato e accessibile.
(4-02192)


   ROMANIELLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il 29 luglio 2018, il Comune di Castiraga Vidardo ha fatto ricorso al Tar contro la determina dirigenziale della provincia di Lodi con la quale si dava il «via libera» all'ampliamento dell'attività dell'inceneritore Ecowatt, autorizzando la società a far crescere il quantitativo di rifiuti trattati – da 27.935 a 35 mila tonnellate – e di rifiuti stoccati – da 2.020 a 3.160 metri cubi – a fronte di una richiesta della stessa società presentata nel luglio 2017. All'epoca, la provincia di Lodi, decise di agire senza ricorrere a un ulteriore passaggio tecnico, l'assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale;

   il comune di Castiraga Vidardo contestò il criterio di valutazione adottato e la mancata valutazione dei criteri previsti dalla normativa europea. Nelle valutazioni della determina provinciale non furono prese in considerazione una serie di fattori previsti dalla normativa europea, come quelli di carattere ambientale;

   il 29 gennaio 2019, lo stesso comune ha presentato nuovamente ricorso al Tar contro il nulla osta definitivo da parte della provincia di Lodi all'ampliamento dell'attività dell'inceneritore, autorizzato oggi a bruciare fino a 35 mila tonnellate di rifiuti l'anno – rispetto alle 27.935 tonnellate precedenti – e a stoccare fino a 3.160 metri cubi di rifiuti rispetto ai 2.020 metri cubi precedenti;

   nell'atto risulta che l'azienda abbia l'obbligo di non superare le 100 tonnellate al giorno di rifiuti da bruciare, perché questo per legge avrebbe dovuto costringere l'ente a richiedere la valutazione di impatto ambientale. Affinché accada questo, arrivando alle 35 mila tonnellate annue, si dovrebbe lavorare 365 giorni l'anno, cosa che tecnicamente non può avvenire;

   il dossier annuale di Legambiente sull'inquinamento atmosferico in Italia, Mal'aria 2019, restituisce un quadro puntuale del 2018. Un anno allarmante, segnato dal deferimento dell'Italia alla Corte di giustizia europea in merito alle procedure di infrazione per qualità dell'aria e che costerà multe onerose al nostro Paese. Facendo riferimento ai numeri: nel 2018, in 55 capoluoghi di provincia sono stati superati i limiti giornalieri previsti per le polveri sottili o per l'ozono, con la conseguenza diretta, per i cittadini, di aver respirato aria inquinata per circa 4 mesi nell'anno;

   nella classifica delle città che nel 2018 hanno superato il maggior numero di giornate «fuorilegge», Lodi risulta al secondo posto, con 149 giornate, 78 per il Pm10 e 71 per l'ozono. Un quadro decisamente preoccupante, che sottolinea l'urgenza a livello nazionale di pianificare misure strutturali capaci di abbattere drasticamente le concentrazioni di inquinamento presenti e di riportare l'aria a livelli qualitativamente accettabili. Secondo l'ultimo rapporto dell'Organizzazione mondiale della sanità, nel Nord Italia vivono il 95 per cento degli europei che rischiano malattie respiratorie legate a polveri ultrasottili, biossido d'azoto e ozono. La Pianura Padana rappresenta il territorio più a rischio a livello europeo, e 90 mila persone in Italia muoiono per smog ogni anno;

   quest'emergenza costa miliardi in termini di danni alla salute e all'ambiente, ma anche in relazione alle sanzioni causate delle procedure d'infrazione aperte dall'Unione europea. È necessaria una riconversione ecologica dell'economia e della mobilità sostenibile, al fine di rendere le città più vivibili. È necessario evitare ogni ampliamento nell'attività di incenerimento;

   sono note le posizioni del Ministro che, coerentemente con l'orientamento dell'interrogante, ritiene che l'incenerimento sia il fallimento del ciclo dei rifiuti, qualcosa di superato dalla storia e fuori dal contratto di Governo –:

   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro intenda intraprendere per la riduzione dei livelli di inquinamento nella Pianura Padana, ove si assiste ormai da diversi anni a un grosso problema anche per l'emergenza legata all'aumento delle emissioni su questo territorio.
(4-02197)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LOTTI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il 29 gennaio 2019, si è tenuta presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti la conferenza d convocata per l'approvazione del piano di sviluppo aeroportuale di Firenze;

   in tale sede il rappresentante del Ministero per i beni e le attività culturali ha chiesto e ottenuto un nuovo rinvio al 6 febbraio 2019 per formulare il parere di competenza;

   già in data 7 dicembre 2018 era stato disposto un rinvio proprio al fine di consentire al Ministero per i beni e le attività culturali di esprimere il proprio parere alla luce delle integrazioni richieste alla Società Toscana Aeroporti in relazione alle interferenze tra il nuovo lago ubicato in località Piano Manetti del Comune di Signa, richiesto come opera di compensazione ambientale, e la cosiddetta «bretella» stradale che a quella data si prevedeva passare nelle vicinanze;

   a seguito di tale rinvio, tuttavia, la legione Toscana, il comune di Signa e il comune di Lastra Signa avevano concordemente deciso di spostare il tracciato della «bretella», al fine eliminare ogni criticità;

   sebbene tale decisione fosse nota e sebbene siano state presentate, su richiesta del medesimo rappresentante del Ministero per i beni e le attività culturali in apertura della conferenza del 29 gennaio 2019, le relative delibere delle tre amministrazioni coinvolte nonché copia di un apposito accordo tra le medesime amministrazioni volto a superare la precedente localizzazione della strada, il rappresentante del Mibac ha ugualmente chiesto un rinvio, nonostante la riconosciuta completezza sostanziale degli elaborati presentati;

   è opinione dell'interrogante che il rinvio non sia motivato da ragioni oggettive, ma sia piuttosto strumentale e dilatorio, essendo l'istruttoria ormai conclusa e ben conoscendo tale amministrazione, da oltre un mese, il superamento dell'interferenza con il tracciato stradale;

   la normativa di riferimento, recata dalla la legge 7 agosto 1990, n. 241, non richiede l'espresso assenso di tutte le amministrazioni partecipanti, dando rilievo solamente al motivato dissenso, ai fini della conclusione dei lavori della conferenza entro il termine massimo di 90 giorni dalla sua prima riunione (nel caso di specie avvenuta il 7 settembre del 2018) –:

   se il rinvio così disposto sia conforme alla normativa di riferimento che impone la conclusione delle conferenze di servizi nei termini, anche in mancanza degli atti di assenso di tutte le amministrazioni partecipanti, considerato anche lo stato ormai concluso dell'istruttoria;

   se il Governo interrogato intenda adoperarsi per garantire il rispetto della legge e un esito definitivo alla conferenza di servizi, per non causare ulteriori danni e costi ingenti per l'intero sviluppo dell'area fiorentina e della Toscana.
(5-01430)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


   TONDO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   il programma che riguarda gli F35 dimostra la capacità e l'importanza fondamentale del connubio industria-difesa per lo sviluppo industriale del nostro Paese. Il programma relativo agli F35, di cui tra l'altro sono stati ridotti i costi di produzione e migliorata sensibilmente l'efficienza, è importante per la crescita della economia e dell'occupazione. La domanda dei velivoli è in forte crescita con una richiesta sempre più crescente da parte di clienti di tutto il mondo;

   da fonti di stampa si apprende che il Ministro Trenta ha evidenziato di voler effettuare una valutazione del programma sugli F35, considerando i vantaggi industriali, tecnologici e occupazionali per l'interesse nazionale. Ha inoltre ribadito di «cercare di allungare le consegne, ma non di tagliare l'ordine»;

   il Ministro Di Maio recentemente in un comunicato stampa (31 gennaio 2019) ha dichiarato che: nessuna decisione è stata ancora presa sul programma F35, «ma come Movimento 5 Stelle crediamo che sia una spesa inutile»;

   è quindi necessario chiarire quali valutazioni il Governo stia facendo sul programma F35 e soprattutto le problematiche afferenti al medesimo programma in modo che possano essere conosciute le reali intenzioni del Governo soprattutto riguardo alle possibili ricadute sull'industria e sull'occupazione del nostro Paese –:

   quali siano le effettive intenzioni del Governo in merito alla continuazione del programma relativo agli F35, in modo tale che si possano conoscere gli esiti delle valutazioni che il Ministro interrogato ha dichiarato di voler fare;

   se non sia necessario continuare la produzione di F35 che rappresentano uno strumento militare di indubbia eccellenza e che rafforzano il sistema difesa-industria tanto importante nel nostro Paese per lo sviluppo economico e occupazionale.
(4-02187)


   TONDO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   l'impiego di militari nelle operazioni di sicurezza e di controllo del territorio e della prevenzione dei delitti di criminalità organizzata è previsto fino al 31 dicembre 2019. La possibilità di fare ricorso alle Forze armate per fare fronte a talune gravi emergenze di ordine pubblico sul territorio nazionale è stata contemplata per la prima volta nell'anno 1992-1994;

   tale attività rientra tra i compiti delle Forze armate che, oltre alla difesa della patria, possono concorrere alla salvaguardia delle libere istituzioni. Ad oggi l'invio di personale militare è limitato a 7.050 unità di personale fino, come detto, al 31 dicembre 2019;

   al riguardo, diventa fondamentale – data la valutazione positiva che si può fare dell'attività svolta dalle Forze armate nel controllo del territorio, che, tra l'altro operano con la consueta professionalità – un'implementazione del numero dei soldati impiegati nelle operazioni di controllo e di prevenzione dei delitti di criminalità organizzata;

   infatti, è utile ribadire la necessità di risolvere il problema relativo al controllo del territorio che diventa sempre più importante per la pervasività sempre crescente di tutti i fenomeni criminosi, in particolare quelli legati alla criminalità organizzata. È utile in ogni caso fare delle valutazioni sull'inasprimento delle pene, ma è necessario oggi soprattutto un effettivo ed efficiente controllo del territorio proprio per prevenire ogni genere di reati –:

   quali siano gli orientamenti del Governo circa l'implementazione del contingente di personale militare da impiegare sul territorio per prevenire ogni genere di crimine da affiancare alle forze dell'ordine;

   se non sia necessario adottare urgentemente iniziative per aumentare il contingente di personale militare da affiancare alle forze dell'ordine nelle operazioni di sicurezza e di controllo del territorio e di prevenzione dei delitti di criminalità organizzata.
(4-02188)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ACQUAROLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   il 4 aprile 2018 è stato pubblicato il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, (decreto 3 gennaio 2018) con il quale sono state stabilite le procedure e i criteri per la definizione della programmazione nazionale in materia di edilizia scolastica per il triennio 2018-2020;

   con questo decreto gli enti locali hanno avuto la possibilità di partecipare a un bando regionale per predisporre progetti per gli edifici scolastici di loro proprietà prevedendo nuove costruzioni, ristrutturazioni, miglioramenti, messa in sicurezza, adeguamento sismico ed efficientamento energetico;

   alla regione Marche sono stati assegnati euro 37.600.000 per finanziare interventi nel settore dell'edilizia scolastica. Queste risorse sono state ripartite sulla base delle richieste pervenute dal territorio, secondo i criteri stabiliti dalla giunta regionale;

   il primo comune in graduatoria risulta essere Potenza Picena, in provincia di Macerata, per un intervento di euro 6.750.000 di cui euro 4.700.000 assegnati dalla graduatoria e euro 2.050.000 a carico dell'ente locale, per la costruzione di una nuova scuola in sostituzione dell'istituto comprensivo Raffaello Sanzio la cui vulnerabilità sismica è pari a 0,10;

   il progetto del comune di Potenza Picena, in base all'Allegato «B» legge n. 128 del 2013 – legge n. 107 del 2015 – decreto ministeriale (Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca – Ministero dell'economia e delle finanze – Ministero delle infrastrutture e dei trasporti) n. 47 del 2018 – DGR n. 602/2018 – DDPF n. 65/2018/EDI, è considerato cantierabile e quindi pronto per far partire sin da subito i lavori di costruzione dell'edificio scolastico;

   il comune di Potenza Picena non può procederà alla pubblicazione della gara d'appalto per la costruzione dell'immobile scolastico in questione perché ancora non è stato emanato il decreto per assegnare i fondi per questo intervento;

   questo ritardo sta generando per tutti gli enti locali assegnatari, oltre che al comune di Potenza Picena, notevoli disagi –:

   quali siano i tempi per l'espletamento delle procedure prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
(5-01424)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   ZANETTIN, D'ATTIS e SISTO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   stamane all'apertura del plenum del Consiglio superiore della magistratura (Csm) è stata denunciata la situazione degli uffici giudiziari di Bari, che continua ad essere «emergenziale» con «le decine di migliaia di processi da rifissare e con le prescrizioni che incombono»;

   il consigliere Lepre, che ha partecipato all'inaugurazione dell'anno giudiziario a Bari ha ricordato «lo spettacolo indecoroso della giustizia amministrata nelle tendopoli» e ha sottolineato che «le condizioni di frammentazione in ben otto sedi giudiziarie, non vicine tra loro» si traduce «in un costante rischio di gravi disservizi e disagio per tutti gli operatori»;

   nel contempo il Csm non è stato in grado di assegnare gli otto posti nel tribunale di Bari messi a concorso, nonostante fossero «a copertura necessaria», e quindi con incentivo, a seguito del ritiro di 20 su 21 domande presentate;

   hanno trovato quindi conferma le nefaste previsioni formulate dall'interrogante in Parlamento nel luglio 2018 in occasione del cosiddetto decreto Bari, che appariva fin dal suo varo, del tutto inadeguato alle necessità –:

   quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere il Governo per garantire l'amministrazione della giustizia negli uffici giudiziari di Bari.
(3-00503)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'ORSO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il 20 ottobre 2010, il Parlamento europeo e il Consiglio dell'Unione europea hanno adottato, previa deliberazione secondo la procedura legislativa ordinaria, la direttiva 2010/64/UE sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali che, all'articolo 5, paragrafo 2, stabilisce che: «Al fine di assicurare un servizio di interpretazione e di traduzione adeguato e un accesso efficiente a tale servizio, gli Stati membri si impegnano a istituire un registro o dei registri di traduttori e interpreti indipendenti e debitamente qualificati. Una volta istituiti, tali registri, se del caso, sono messi a disposizione degli avvocati e delle autorità competenti.»;

   da ciò si deduce che gli Stati membri avrebbero dovuto dare attuazione, entro il 27 ottobre 2013 (vedere articolo 9, paragrafo 1 della direttiva), a tale direttiva anche attraverso l'istituzione di un registro di traduttori e interpreti indipendenti e debitamente qualificati che possano assistere, in ogni paese dell'Unione europea, gli imputati che non parlano la lingua di quel Paese;

   nonostante ciò, l'Italia recepisce tale direttiva solo nel 2014, con il decreto legislativo n. 32, non provvedendo però all'istituzione di alcun registro e/o elenco di traduttori e interpreti per i procedimenti penali, lasciando così immutata la situazione precedente per cui chiunque può iscriversi, anche senza laurea, semplicemente dichiarando di conoscere una determinata lingua;

   con il decreto legislativo n. 129 del 23 giugno 2016, vengono emanate delle disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 32, recante attuazione della direttiva 2010/64/UE sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali. Tali modifiche lasciano quasi invariato il testo senza addivenire all'istituzione di un vero e proprio registro/elenco di traduttori e interpreti secondo quanto stabilisce l'articolo 5, paragrafo 2, della direttiva de qua;

   gli interpreti e i traduttori, quali ausiliari del giudice prestano la loro attività nell'interesse generale della giustizia, oltre che in quello comune delle parti;

   nel nostro Paese non parrebbe esistere un registro di traduttori e interpreti indipendenti e qualificati ai sensi di quanto disposto dall'articolo 5 della direttiva europea sopra citata. Da quanto emerge dal combinato disposto degli articoli 67 e 67-bis disposizioni attuative c.p.p., sembra che chiunque possa iscriversi come traduttore o interprete presso un tribunale, semplicemente dichiarando di conoscere una determinata lingua. Infatti, non sarebbe previsto alcun esame e/o verifica del livello di conoscenza della lingua o del grado di esperienza pluriennale lavorativa in tale ambito, nonché del possesso di una laurea magistrale in traduzione e/o interpretazione, ciò a discapito della garanzia e della qualità del servizio della giustizia;

   il compenso dei suddetti professionisti parrebbe, altresì, di gran lunga inferiore rispetto a quello previsto per qualsiasi prestazione lavorativa, ponendosi così in contrasto con i principi costituzionali in tema di tutela del lavoro e di equa e adeguata retribuzione delle prestazioni lavorative –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali iniziative di competenza intenda adottare per modificare l'attuale normativa di recepimento della direttiva 2010/64/UE, perché si istituisca un registro nazionale di traduttori e interpreti indipendenti e qualificati (con la previsione di un compenso dignitoso pari a quello degli altri Paesi europei) al servizio della giustizia e dei cittadini.
(4-02200)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   LOLLOBRIGIDA e BUCALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il tratto autostradale Messina-Villafranca Tirrena, gestito dal Consorzio autostrade siciliane, si snoda per sei chilometri, la maggior parte dei quali da decenni sono interessati da restringimenti e lavori per la messa in sicurezza e l'ampliamento delle uscite ricadenti sul comune di Messina;

   l'utenza, attraverso lettere e comitati, e i consiglieri comunali attraverso appositi documenti, hanno più volte segnalato l'inadeguatezza del costo del pedaggio tra Messina e Villafranca, una bretella che ricade sempre nel comune di Messina;

   nel mese di ottobre 2017 è stata promossa una raccolta di firme per proporre la soppressione del pedaggio autostradale tra Villafranca Tirrena e Messina, che ammonta a 1,20 euro e appare del tutto sproporzionato rispetto alle condizioni del tratto, che ha raccolto oltre novemila trecento firme;

   la bretella individuata nel tratto tra Villafranca Tirrena e Messina risulta percorribile solo in parte a causa dei numerosi restringimenti, e presenta spesso code e problematiche di ogni genere per la sicurezza degli utenti, e si verificano con grande frequenza incidenti mortali;

   lo stato della strada presenta criticità tali da necessitare una sistemazione definitiva;

   in seguito all'esame di una mozione depositata presso l'Assemblea regionale siciliana, il Governo della regione si è rivolto alla direzione generale delle concessioni autostradali del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti «per autorizzare poi il CAS ad annullare il pedaggio sia per San Gregorio che per Villafranca Tirrena» –:

   se sia informato di quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere in merito, con particolare riferimento alla decisione circa l'annullamento del pedaggio;

   se non ritenga di assumere le iniziative necessarie, per quanto di competenza, a ripristinare la viabilità del tratto autostradale di cui in premessa.
(4-02186)


   CECCANTI, CENNI, BRUNO BOSSIO, SCHIRÒ, MARCO DI MAIO, PIZZETTI, MIGLIORE, QUARTAPELLE PROCOPIO, CIAMPI, PAITA, ROSSI, BOSCHI, SERRACCHIANI, FIANO, MORANI e CANTINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   i vincoli derivanti dal rapporto fiduciario tra Governo e Parlamento richiedono una tempestiva informazione alle Camere relativa alla documentazione sulla base della quale il Governo persegue il suo indirizzo politico;

   sin dal 1990 il diritto d'accesso agli atti delle pubbliche amministrazioni costituisce un principio generale dell'attività amministrativa, al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza ed esso può essere soggetto a limiti ben precisi, soprattutto quando si tratta di parlamentari nell'esercizio della propria funzione;

   in data odierna si apprende dai giornali che il cosiddetto rapporto costi-benefici relativo alla tratta ferroviaria Torino-Lione è stato inviato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti al Governo francese –:

   se il Governo intenda presentare quanto prima il rapporto alle Camere, onde dover evitare di contattare i parlamentari francesi per richiedere una loro analoga e tempestiva iniziativa nei confronti della Ministra Elisabeth Borne. Ministro dei trasporti del Governo Philippe, e a qualunque altro ministro francese competente sulla questione.
(4-02193)


   PLANGGER, GEBHARD, EMANUELA ROSSINI e SCHULLIAN. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   le nuove disposizioni normative – introdotte dal cosiddetto decreto sicurezza – decreto-legge n. 113 del 2018 – sulla circolazione in Italia di veicoli con targa estera, prevedono il divieto a chi ha la residenza in Italia da più di 60 giorni di circolare con veicoli immatricolati all'estero, salvo che per particolari forme opportunamente documentate di leasing, comodato o noleggio;

   la sanzione va da euro 712 a euro 2.848, con fermo amministrativo del veicolo e sua confisca se entro 180 giorni non è immatricolato in Italia o condotto al confine con foglio di via (previa consegna delle targhe estere), anche mediante trasporto su altro veicolo;

   la mancanza del documento con data certa a dimostrazione del leasing/comodato/noleggio viene sanzionata da euro 250 ad euro 1.000, con obbligo di esibizione dello stesso entro 30 giorni e fermo amministrativo del veicolo nel frattempo;

   tali norme sono state opportunamente inserite nel nuovo codice della strada allo scopo di bloccare gli abusi dei cosiddetti furbetti della targa estera, residenti in Italia e proprietari di auto con targa estera per diminuire la probabilità di incorrere in sanzioni o controlli fiscali, oltre che per evitare di pagare il bollo e per godere di tariffe assicurative molto più basse rispetto a quelle italiane;

   va comunque sottolineata la contraddizione della tolleranza rispetto alla concessione di autovetture in leasing o in locazione senza conducente ai residenti e alle imprese italiane da parte di un'impresa costituita in un altro Stato membro dell'Unione europea o dello Spazio economico europeo che non ha stabilito in Italia una sede secondaria o altra sede effettiva; fattispecie consentita anche negli altri Paesi europei, ma temperata dall'obbligo di una targatura nazionale dei veicoli concessi;

   inoltre, le nuove disposizioni sulla circolazione in Italia di veicoli con targa estera stanno producendo un pesante effetto collaterale: in Italia ora è vietato guidare l'auto di un parente, di un amico o di un collega che abitano all'estero, a qualsiasi titolo la si conduca, anche occasionalmente o a titolo di cortesia;

   nelle zone di confine, in particolare, questo divieto fa prevedere situazioni paradossali: si pensi solo ai parenti che non possono guidare l'auto, perché non immatricolata in Italia, mentre il proprietario è in visita di cortesia, lavoro o svago, o al proprietario che, per diversi motivi – stato di malessere, maltempo o perché ha bevuto un bicchiere di troppo – non può essere riaccompagnato con la sua vettura a casa, magari a pochi chilometri di distanza, dal parente o amico, perché l'auto ha targa straniera;

   è del tutto evidente che si rischia di creare situazioni inutilmente vessatorie e poco comprensibili soprattutto per i cittadini che vivono nei territori di confine, e che spesso sono abituati a oltrepassare quel confine molto frequentemente se non quotidianamente, e per i frontalieri che hanno a disposizione un'autovettura di servizio della ditta estera per raggiungere dall'Italia il posto di lavoro oltre confine –:

   se i Ministri interrogati non ritengano di adottare con urgenza iniziative normative al fine di prevedere ragionevoli e adeguate deroghe al divieto stabilito dal nuovo articolo 93 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, in particolare per i cittadini residenti nelle zone di confine.
(4-02204)


   BIGNAMI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la variante di valico è un'opera infrastrutturale di importanza strategica per la viabilità di collegamento tra Bologna e Firenze. Durante i lavori di realizzazione della variante di valico, residenti ed amministratori locali sollecitarono presso Società Autostrade la realizzazione di una bretella che collegasse Rioveggio (in Comune di Monzuno) e la Variante di valico;

   presso Rioveggio il nuovo casello, facente parte dell'opera dello svincolo di Rioveggio, ubicato sul tracciato storico della vecchia A1, sarebbe tuttora incompleto. Nel 2012, infatti, i lavori si sarebbero interrotti a causa della risoluzione contrattuale per gravi inadempienze dell'appaltatore affidatario. Pertanto si sarebbe proseguito nel perfezionamento del progetto di completamento delle opere residue, ma nulla è stato fatto per quanto attiene il completamento del casello stesso;

   va ribadito che la necessità di realizzare una bretella Reno-Setta è dettata dallo sdoppiamento del tracciato autostradale. In località La Quercia, infatti, l'autostrada si divide in due tracciati: uno è quello storico, l'altro è la variante di valico che attraversa l'Appennino all'altezza di 400 metri sul livello del mare, contro i 700 del tracciato storico. Non essendoci a Rioveggio alcun ingresso sulla Variante di valico, nel caso in cui si voglia prendere la direzione sud, si deve giungere al casello di Sasso Marconi e risalire verso l'Appennino, con notevole dispendio di tempo e di carburante;

   intanto, l'incompleto casello di Rioveggio, versa in condizioni di degrado ed incuria;

   della bretella Reno-Setta di fatto si discute da anni. Lo studio di fattibilità fu valutato da Anas come antieconomico. Anas si dichiarò non disponibile a farsi carico del contributo pubblico necessario, nonostante la regione Emilia-Romagna avesse finanziato, nel 2008, nell'ambito della legge regionale 30 del 1998, uno studio di fattibilità a tale scopo predisposto poi dalla provincia di Bologna;

   la bretella, oltre a rendere collegato un territorio intervallivo, darebbe respiro all'economia montana, oggi penalizzata da una viabilità risalente ai primi del ‘900, garantendo alle numerose attività industriali del territorio la possibilità di avere un collegamento autostradale;

   non meno importante è il collegamento con l'Alto Appennino Bolognese per il suo rilancio turistico: il turismo rimane tra le principali fonti economiche per le comunità dell'Alto-medio Reno;

   proprio in considerazione di tali fattori, la città metropolitana di Bologna ha inserito la bretella Reno-Setta tra le linee guida programmatiche del 2016-2021;

   tra le opere necessarie e collegate alla realizzazione della bretella Reno-Setta vi è il rifacimento del Ponte Cattani a Rioveggio, per un investimento stimato in 4 milioni di euro. Il ponte ha una larghezza di 2,20 metri e consente il passaggio di una sola vettura per volta. A ogni piena, inoltre, ne viene interdetto il transito: ciò rende l'idea dell'inadeguatezza di tale infrastruttura che collega l'abitato di Rioveggio con quello di Pian di Setta (comune di Grizzana Morandi), dove è presente la stazione dei treni;

   nel 2011 il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti pro tempore Matteoli manifestò la volontà di procedere con il collegamento in questione dichiarando evidente l'importanza di mettere in sicurezza il ponte Cattani;

   il 13 gennaio 2016, nelle mani del sindaco della città metropolitana di Bologna, sono state consegnate 12.500 firme di residenti a sostegno della realizzazione della bretella Reno-Setta;

   anche i consiglieri comunali della «Lista indipendente per Grizzana – Voltiamo pagina» hanno ripetutamente sottolineato tali problematiche –:

   se il Ministro interrogato intenda adottare iniziative per finanziare un aggiornamento dello studio di fattibilità già esistente, valutando non solo i parametri economici ma anche gli aspetti sociali connessi alla realizzazione dell'opera stessa;

   se, nel complesso, il Ministro interrogato intenda assumere iniziative per garantire la realizzazione della bretella Reno-Setta, il completamento del casello di Rioveggio e la messa in sicurezza del ponte Cattani.
(4-02207)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARCO DI MAIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   nel 1998 nasce il progetto della nuova questura approvato dal consiglio comunale di Rimini, attraverso lo strumento di un piano integrato sulla base di un accordo tra Ministero dell'interno, comune di Rimini e privato realizzatore che vedeva come sede l'area di via Ugo Bassi;

   nel 2005, Ministro dell'interno Pisanu, viene siglato un pre-contratto di affitto pari a 3,3 milioni di euro all'anno tra la società Da.Ma. che ha costruito la questura e il Ministero dell'interno;

   il comune di Rimini propose al Ministero dell'interno una procedura di esproprio circa l'utilizzo della struttura rimandando il contenzioso sull'affitto ad altra sede, procedura su cui la prefettura non diede autorizzazione;

   tutti i Ministri dell'interno che si sono succeduti nel corso degli anni, da quando è nato il progetto nel 1998, hanno sempre confermato la scelta della sede definitiva della questura di Rimini in via Ugo Bassi;

   da ultimo, era stato sottoscritto con il Ministro pro tempore Minniti un patto per la sicurezza che ribadiva quale sede definitiva della questura proprio quella di via Ugo Bassi e stabiliva che solo in via provvisoria, ed in attesa del ripristino funzionale della struttura, sarebbe stato utilizzato l'immobile di piazzale Bornaccini;

   la ratio, era che anche altri organi dello Stato, a partire dalla Guardia di finanza, e uffici pubblici decentrati sul territorio avrebbero potuto trovare spazi negli edifici di via Ugo Bassi al fine di utilizzare tutte le superfici utili e dividere i costi dell'affitto declinando uno dei progetti più innovativi dell'Agenzia del demanio, cioè «riunire gli uffici pubblici in un'unica sede e ridurre spazi e costi per le Pubbliche Amministrazioni in un'ottica di maggiore efficientamento»;

   l'Agenzia del demanio stava già producendo il progetto per la riqualificazione e ristrutturazione degli edifici di via Ugo Bassi, operando sulla base della legge n. 122 del 2010;

   a fronte di quanto riportato, poche settimane fa, il Sottosegretario per la giustizia Jacopo Morrone ha annunciato che la questura di Rimini sarebbe stata invece allocata presso l'edificio di palazzo Bornaccini;

   suddetto annuncio pone una serie di interrogativi che necessitano di tempestiva e adeguata risposta da parte del Ministero dell'interno, soprattutto in ragione del blocco della procedura di acquisto della sede di via Ugo Bassi da parte di Inail, i cui costi di acquisto e ristrutturazione funzionale sarebbero stati ampiamente ripagati dagli affitti di polizia di Stato ed altri uffici decentrati dello Stato;

   si preferisce pagare un affitto ad un proprietario privato con il rischio di lasciare nel più assoluto degrado un'area di 30 mila metri quadrati –:

   sulla base di quali decisioni di Governo sia avvenuto il richiamato annuncio da parte del Sottosegretario per la giustizia nell'ambito di una competenza che non sarebbe la sua e sulla base di quali motivazioni sarebbe stata assunta la decisione sulla sede definitiva della questura di Rimini presso Palazzo Bornaccini; se, ove tale decisione fosse confermata, non si palesi il rischio di un evidente danno erariale.
(5-01433)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MAGLIONE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   il 20 febbraio 2018 nel comune di Frasso Telesino (Bn) quattro giovani ragazze sono state ostaggio di un gruppo di rapinatori entrati in casa di un medico del posto, così come riportato dalla testata on lineNtr24 in data 21 febbraio 2018 titolando «Frasso Telesino, “arancia meccanica” nell'abitazione di un medico»;

   il 25 agosto 2018 nel comune di Bonea (Bn) l'auto di un consigliere comunale, Alfonso Pecchino, è stata incendiata, così come riportato dalla testata on lineOttopagine in data 25 agosto 2018;

   il 30 agosto 2018 nel comune di Sant'Agata dei Goti (Bn) si è verificata l'esplosione di una bomba carta davanti all'abitazione di un imprenditore, così come riportato dalla testata on lineNTR24 in data 30 agosto 2018;

   il 30 agosto 2018 il Sottosegretario di Stato alla difesa Angelo Tofalo definisce i suddetti episodi criminosi in Valle Caudina un segnale allarmante per l'intera collettività della provincia di Benevento, così come riportato dalla testata on lineIl Caudino in data 30 agosto 2018;

   il 24 settembre 2018 a seguito dell’escalation criminale in Valle Caudina il prefetto dottor Cappetta ha convocato presso il comune di Sant'Agata de’ Goti il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica a cui ha preso parte anche il Sottosegretario per l'interno Carlo Sibilia;

   tra la notte di domenica e lunedì 10 dicembre 2018 si sono verificati diversi episodi criminosi di tipo incendiario in Valle Caudina, precisamente nei comuni di Bucciano (Bn) e di Montesarchio (Bn), così come riportato dal quotidiano Il Mattino in data 10 dicembre 2018;

   l'8 gennaio 2019, il quotidiano il Sannio pubblicava un articolo che riportava la notizia di un'aggressione avvenuta da parte di una banda di cinque ladri, nei confronti di un padre, alla presenza dei figli minori, in un'abitazione di Bucciano (Bn). I ladri in quella circostanza, avevano inferto una picconata all'uomo, che riportava gravi ferite. La stessa famiglia peraltro aveva già subito un furto poche settimane prima;

   in data 21 gennaio 2019 è stato convocato d'urgenza un consiglio comunale sul tema della sicurezza presso San Martino Valle Caudina (AV), proprio perché la cittadinanza è preoccupata dei ripetuti episodi di ferimenti, colpi di pistola, attentati incendiari, furti e truffe, così come riportati dal quotidiano on lineIl Caudino in data 21 gennaio 2019;

   la recrudescenza dei suddetti fatti criminosi provoca, pertanto, un profondo turbamento nella comunità e rischia di minare la fiducia dei cittadini della Valle Caudina nelle istituzioni –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti;

   se e quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, intendano adottare al fine di garantire sicurezza ad un'area nella quale oramai i suddetti fatti criminosi si consumano con quotidiana frequenza.
(4-02190)


   TARTAGLIONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   dinanzi all'ipotesi, paventata in questi giorni, di un declassamento della questura di Campobasso, sono giunte dal territorio molisano, da esponenti delle forze dell'ordine, rappresentanti delle istituzioni locali, associazioni e semplici cittadini preoccupati dalle notizie provenienti dal Ministero dell'interno, richieste di chiarimenti;

   proprio grazie al magistrale lavoro di prevenzione e controllo messo in campo dalla questura, insieme alle altre forze dell'ordine, la città di Campobasso, capoluogo di regione, è considerata oggi tra le più sicure d'Italia;

   si rende indispensabile, quindi, adoperarsi affinché tali attività non subiscano di fatto un pericoloso ridimensionamento, esponendo il capoluogo a rischi fino ad oggi scongiurati. I risultati raggiunti dicono che l'attuale «regime» va mantenuto e ottimizzato per salvaguardare gli standard attuali; non si può e non si deve abbassare la guardia;

   non bisogna poi trascurare la legittima difesa dei livelli occupazionali e l'eventuale conseguente ricaduta in termini economici in un contesto già fortemente provato dalla chiusura di importanti aziende e da una crisi generale che in regione continua a far sentire i suoi effetti, mettendo a dura prova la popolazione e l'intero territorio. L'assessore regionale al ramo Luigi Mazzuta, coordinatore regionale della Lega, ha infatti accolto la richiesta del sindacato di polizia Coisp di tenere un incontro sulla questione della revisione degli organici e dei modelli organizzativi delle questure;

   è necessario, inoltre, ricordare che il Molise sta subendo ormai da tempo, come conseguenza della contrazione della spesa pubblica, considerevoli tagli, vittima di una logica prettamente numerica che, a quanto pare, viene adottata anche dal Governo attuale, che non tiene conto — come i suoi predecessori — delle particolari caratteristiche del territorio, sacrificando l'autonomia regionale sull'altare dei «costi/benefici»;

   è un problema non solo di sicurezza, ma anche di natura economica e di tutela del prestigio istituzionale della regione. C'è in ballo il rispetto nei confronti dei cittadini che meritano di conservare tutti i presidi democratici che conferiscono dignità ad un territorio e consentono il suo sviluppo sociale;

   si parla di «sovranismo» ma nei fatti il Governo, ad avviso dell'interrogante, sta spazzando via, con un tratto di penna e senza alcuna possibilità di confronto, i piccoli centri a vantaggio delle più grandi, influenti e ricche realtà –:

   se e in che modo il Ministro interrogato intenda adoperarsi per far fronte all'emergenza richiamata in premessa e quali iniziative intenda adottare al fine di scongiurare il declassamento della questura di Campobasso, analizzando ed illustrando le conseguenze che potrebbero scaturire da tale operazione.
(4-02198)


   UBALDO PAGANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   negli ultimi anni, in tutto il territorio nazionale, si è assistito a un'ascesa di episodi di violenza e aggressione di stampo neofascista e neonazista;

   alcune associazioni che si occupano del problema hanno quantificato il fenomeno in 5.600 casi dal 2005 ad oggi;

   quotidianamente si apprendono dagli organi di stampa episodi di questo tipo, che si fanno sempre più frequenti e impunemente violenti;

   nella notte tra sabato e domenica alcuni teppisti si sono introdotti nello stadio comunale di Gravina di Puglia, disegnando decine di svastiche sul muro perimetrale dello stesso;

   la XII disposizione finale della Costituzione vieta «la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista»;

   la legge n. 645 del 1952 sanziona «chiunque pubblicamente esalta esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche»;

   la legge n. 205 del 1993 vieta esplicitamente la propaganda dell'ideologia nazifascista e di incitamento all'odio razziale;

   malgrado ciò, a diverse organizzazioni e associazioni di stampo neofascista e neonazista è permesso di organizzare raduni, manifestazioni ed eventi a fini propagandistici e celebrativi;

   d'altronde, anche il Governo, a giudizio dell'interrogante, spesso si sottrae al dovere di censura nei confronti di queste attività e manifestazioni, che pure si attesta come indispensabile in una società libera e democratica fondata sul valore dell'antifascismo –:

   se e quali iniziative di competenza intenda intraprendere per contrastare questi episodi e porre un argine a questa deriva.
(4-02205)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   è di pochi giorni fa l'iniziativa, riportata sui quotidiani locali, di alcuni docenti del liceo scientifico Edoardo Amaldi di Roma di bloccare la didattica per due ore per parlare della presunta crisi umanitaria in Italia dopo il decreto sicurezza;

   gli insegnanti del liceo Amaldi avrebbero addirittura lanciato un appello anche alle altre scuole per parlare di tragedie in mare, sgomberi, migranti;

   in particolare, nel testo della lettera si legge «Siamo scossi e preoccupati. Ancora centinaia di morti nel Mediterraneo, ancora migranti costretti a restare in nave dopo un viaggio tragico, mentre a Castelnuovo di Porto si consuma una delle pagine più buie della nostra storia recente. Richiedenti asilo o migranti con protezione umanitaria sgomberati con l'esercito da un Cara con un preavviso di 48 ore, alcuni finiti in strada per effetto del nuovo decreto sicurezza, altri trasferiti di forza, costretti ad abbandonare il luogo che li aveva accolti, persone ancora una volta sradicate, bambini strappati alle loro classi, persone malate allontanate dai loro luoghi di cura. Si può continuare nella nostra routine didattica di fronte a quanto sta accadendo? Chiediamo all'intera comunità scolastica di dare un segnale di preoccupazione e riflessione trasformando le prime due ore di lezione di mercoledì 30 in uno sciopero alla rovescia: fermare la didattica per ragionare e riflettere insieme agli studenti di quanto sta accadendo, leggere i giornali, apprendere e commentare il dibattito di queste tragiche giornate»;

   nel quartiere con la più alta percentuale di reati commessi di tutta Roma, a Tor bella Monaca, nel più grande liceo della Capitale con 2000 iscritti, i professori sospendono la didattica e insegnano a fare lo «sciopero alla rovescia», in sostegno di chi commette il «reato di clandestinità» –:

   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, accertata la veridicità degli stessi, quali iniziative di competenza intenda assumere in merito.
(4-02191)


   ZARDINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   con decreto dirigenziale del dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, n. 106 del 23 febbraio 2016 è stato indetto un concorso finalizzato al reclutamento del personale docente per la scuola secondaria di primo e secondo grado;

   con decreti ministeriali prot. n. 93, n. 94 e n. 95 del 23 febbraio 2016 sono stati individuati gli ambiti disciplinari, i titoli valutabili e le prove d'esame relative al citato concorso;

   con decreto 27 maggio 2016, n. 420, è stata costituita la commissione giudicatrice destinata ad esaminare i candidati ammessi al concorso n. 106; i compensi dei componenti della commissione sono stati stabiliti ai sensi del decreto interministeriale (Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca – Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione) 12 marzo 2012;

   tali prove si sono svolte nel periodo che va dal mese di maggio 2016 al mese di novembre 2016, per un monte ore totale di oltre 150 per singolo commissario;

   ad oggi ai suddetti commissari non risultano essere stati erogati i compensi stabiliti dal succitato decreto 12 marzo 2012 –:

   per quali motivi non sia stata ancora effettuata l'erogazione dei compensi spettanti ai componenti della commissione giudicatrice del concorso per il reclutamento del personale docente destinato alla scuola secondaria di primo e secondo grado, di cui al decreto dirigenziale del dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 106 del 23 febbraio 2016.
(4-02196)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   GIACOMETTO e BIGNAMI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   l'Inps, Istituto nazionale della previdenza sociale, è l'ente previdenziale di riferimento del sistema pensionistico pubblico italiano e tale ente si trova a essere sottoposto alla vigilanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;

   nelle scorse settimane il periodico Panorama ha condotto un'inchiesta rispetto all'imponente patrimonio immobiliare di Inps, dimostrando quanto l'attuale governance dell'ente stia disattendendo gli obiettivi che si era data nel 2014 in merito a vendite e dismissioni;

   l'Inps ha un patrimonio immobiliare di 3,1 miliardi di euro stimato alla fine del 2017, suddiviso in più di 30.000 proprietà. Di questi, 1,2 miliardi è il valore di circa 11.000 tra palazzi e appartamenti dei quali più di 4.000 sono sfitti o occupati abusivamente secondo le stime della Corte dei Conti, che ha «bocciato» proprio nel 2017 la gestione del patrimonio di Inps;

   il piano di dismissioni del presidente Boeri prevedeva, nel solo 2018, incassi per 90 milioni di euro. Dopo aver rivisto la stima a 50 milioni di euro nel giugno 2018, si è chiuso l'anno con meno di 19 milioni di euro di incassi, un quinto dell'obiettivo;

   in particolare, l'inchiesta mette a nudo una gestione del tutto anti-economica rispetto al tema degli affitti. Nel 2016 l'Inps ha infatti incassato poco meno di 50 milioni di euro di canoni d'affitto da 9311 immobili locati, con i restanti 20.000 sfitti o occupati abusivamente. L'Inps, a sua volta, per affittare immobili destinati ai propri uffici, spende 87 milioni di euro l'anno. Si tratta, a giudizio degli interroganti, di un'assurdità oltre che di una vergognosa modalità di gestione dei fondi pubblici;

   nella sola Firenze risultano quasi 700 immobili di proprietà Inps. In un anno però si raccoglie circa 1 milione di euro in affitti, per poi spendere 1,6 milioni di euro per l'affitto della sede Inps di Firenze. Vicenda analoga avviene a Bologna: 2 milioni di euro di incassi dagli affitti, e 2,6 milioni di euro di spesa per la sola sede Inps di Bologna. Regno degli sprechi è anche il Piemonte, dove a fronte di 1 milione di euro di incasso su tutto il territorio regionale, spende poi 4,6 milioni di euro per i vari uffici territoriali piemontesi;

   ogni immobile posseduto dall'Inps non è soltanto un cespite iscritto a bilancio, ma fa parte del capitale posto a garanzia delle pensioni –:

   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno, in forza delle funzioni di vigilanza, adottare iniziative nei confronti dell'Istituto nazionale della previdenza sociale, al fine di verificare la situazione esposta in premessa;

   se non ritenga opportuno fornire elementi sullo stato di attuazione del piano di dismissioni immobiliare dell'Ente.
(3-00504)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GAGLIARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   la crisi economico-finanziaria che ha investito il Paese da circa dieci anni non risulta ancora superata e in particolar modo alcuni settori registrano forti disagi. Per rispondere a questo trend negativo e (in particolare, nel comparto edilizio e dei trasporti), diverse realtà territoriali hanno visto la nascita di cooperative di artigiani;

   il tema del socio artigiano di cooperativa è assurto nel corso degli ultimi agli onori della cronaca (si veda a titolo esemplificativo il sito web www.dilucca.it) poiché secondo la interpretazione data dall'Inps all'articolo 2, terzo comma, del regio decreto n. 1422 del 1924, che stabilisce che «le società cooperative sono datori di lavoro anche nei riguardi dei loro soci che impiegano in lavori da esse assunti», i soci di cooperativa sono sempre stati inquadrati, anche e soprattutto ai fini previdenziali, come lavoratori dipendenti e non riconosciuti come lavoratori autonomi, con i conseguenti relativi oneri e obblighi previdenziali;

   nel corso del 2015 il tribunale di Lucca accoglieva il ricorso di alcuni artigiani soci di cooperative per poi respingere nel gennaio 2016 il ricorso avverso a questa decisione presentato dallo stesso ufficio dell'Inps di Lucca;

   ancora, nel corso del 2017 la corte d'appello di Firenze, sezione lavoro, respingeva con due distinte sentenze (n. 387/2017 e n. 624/2017), due appelli dell'istituto contro le sentenze di primo grado che avevano visto vincitrici le cooperative artigiane lucchesi ricorrenti;

   infine, con sentenza n. 172 del 31 agosto 2018 anche il tribunale di Rimini accoglieva con favore il ricorso presentato da alcuni soci-lavoratori artigiani di cooperativa avverso il diniego di iscrizione alla gestione previdenziale artigiana opposto dall'Inps, stabilendo in tal modo che il socio-lavoratore autonomo di cooperativa ha diritto all'iscrizione alla Ivs artigiana;

   sul caso degli artigiani soci di cooperativa di Lucca sollevato in sede parlamentare con una serie di atti di sindacato ispettivo nel corso della XVII legislatura (interrogazioni n. 5/05896 e n. 4/09256), l'allora Sottosegretario delegato a rispondere, richiamando l'orientamento interpretativo dell'Inps annunciava altresì che «A seguito di numerose segnalazioni, l'INPS ha avviato un confronto con il Ministero che rappresento, volto all'analisi delle possibili soluzioni. Pertanto, posso affermare che la questione segnalata è all'attenzione del Governo. Ed infatti, al fine di definire un quadro normativo chiaro e univoco, il Ministero che rappresento e l'INPS si stanno adoperando per individuare idonee iniziative volte a tutelare gli interessi delle imprese e dei soci ma anche in generale di tutti i lavoratori interessati»;

   ad oggi all'interrogante non risultano soluzioni intraprese in tal senso e, anzi, come segnalato dalla Unione italiana cooperative-Unione regionale Marche e Confartigianato de La Spezia, la problematica continua a sussistere e l'Inps continua a mantenere il solito orientamento negando agli artigiani soci-lavoratori di cooperative la possibilità di vedersi riconosciuto l'inquadramento, anche ai fini previdenziali, di artigiani lavoratori autonomi –:

   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda adottare per garantire l'applicazione del diritto, come sancito da numerose sentenze, affinché le cooperative possano gestire i rapporti di lavoro, salvaguardando i livelli occupazionali e promuovendo così il patrimonio produttivo e il know how delle varie realtà territoriali italiane.
(5-01421)


   GRIBAUDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   dal 28 febbraio 1998 Poste italiane è stata trasformata da ente pubblico economico in società per azioni, con la conseguenza che i dipendenti da quella data sono transitati da un regime di natura pubblica a uno di natura privata, senza soluzione di continuità;

   l'articolo 53, comma 6, della legge del 27 dicembre 1997, n. 449, ai fini di provvedere alla liquidazione delle indennità di buonuscita maturate fino alla data del 28 febbraio 1998, stabilisce quanto segue: «A decorrere dalla data di trasformazione dell'Ente Poste Italiane in società per azioni (...) al personale dipendente della società medesima spettano (...) il trattamento di fine rapporto di cui all'articolo 2120 del codice civile e, per il periodo lavorativo antecedente, l'indennità di buonuscita maturata, calcolata secondo la normativa vigente prima della data di cui all'alinea del presente comma», ovvero che la prestazione debba essere calcolata sulla base dei valori retributivi utili in vigore al 28 febbraio 1998;

   tra i lavoratori transitati dal «pubblico» al «privato», questo trattamento è stato riservato solo ed esclusivamente ai dipendenti di Poste. Non è stato così, ad esempio, per i ferrovieri, che pure dal punto di vista giuridico sono stati oggetto della medesima trasformazione del rapporto di impiego;

   a tutti i dipendenti pubblici e privati non risulta sia mai stata negata la rivalutazione monetaria, essendo questa riconosciuta per legge;

   il congelamento della buonuscita al valore maturato al 28 febbraio 1998, indipendentemente dalla data di pensionamento del lavoratore, determina un evidente e grave danno economico a tutti i dipendenti di Poste assunti prima di tale data, discriminati rispetto a tutti gli altri lavoratori italiani;

   rispondendo all'interrogazione n. 5-11009 del 30 marzo 2017 presso la XI Commissione permanente della Camera il 18 maggio 2017, il Governo pro-tempore ha reso noto che i lavoratori postali in forza alla data del 28 febbraio 1998 erano 219.601; di questi 76.754 risultavano ancora dipendenti postali, mentre agli altri 142.847 cessati dal servizio era già stata liquidata l'indennità di buonuscita non rivalutata dal 1998; l'ammontare della rivalutazione monetaria e degli interessi eventualmente riconoscibili a tutti gli interessati sarebbe pari a 907.261.000 euro, mentre l'ammontare complessivo delle indennità di buonuscita che dovranno essere liquidate fino al 2040 è di 939.972.000 euro;

   dopo un notevole contenzioso che ha raggiunto anche la Corte Costituzionale, un gruppo di circa 270 fra dipendenti ed ex dipendenti postali, sta predisponendo ricorso presso la Corte di giustizia europea;

   un verdetto favorevole in quella sede costringerebbe il Governo italiano a individuare con urgenza la somma di 939,972 milioni di euro, quale riconosciuta dal Governo in risposta all'interrogazione suddetta; appare dunque preferibile una programmazione finanziaria specifica, anche mediante rateizzazione del dovuto, che consenta ai pensionati postali di ricevere le somme date dalla detta rivalutazione, e di applicare fin da subito la rivalutazione della buonuscita ai dipendenti ancora in forze a Poste Italiane, al fine di distribuire negli anni tale ingente importo di spesa –:

   quali iniziative intenda adottare il Governo per applicare ai lavoratori di Poste Italiane spa, cessati e in servizio, la rivalutazione del valore dell'indennità di buonuscita e procedere all'erogazione delle somme dovute, ponendo fine a una grave discriminazione unica nel mercato del lavoro italiano.
(5-01422)


   GABRIELE LORENZONI e BORDONALI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   la consegna della corrispondenza a giorni alterni ha indubbiamente gravato i portalettere, raddoppiando la quantità di posta giornaliera da consegnare;

   Poste Italiane spa, per fronteggiare una nuova commessa per lo smaltimento/consegna dei pacchi di Amazon, ha dovuto ricorrere all'assunzione di personale con contratto a tempo determinato (Ctd) a supporto dei portalettere di ruolo e smistare i quasi 30 mila pacchi che quotidianamente arrivano e ripartono da Brescia destinati a quasi tutte le regioni italiane;

   i lavoratori di Poste italiane, con contratto scaduto il 31 gennaio 2019, hanno iniziato il rapporto di lavoro con l'azienda Poste italiane a fine 2016, in seguito – appunto – all'accordo stipulato tra la società e Amazon;

   la mansione attribuita loro è la lavorazione dei pacchi Amazon destinati alla distribuzione in tutta Italia, con le seguenti modalità: i pacchi provenienti dai magazzini Amazon-Piacenza e successivamente di Bergamo, giungono al centro postale di Brescia, dove si procede allo scarico della merce, alla tracciatura, allo smistamento ed infine alla spedizione ai vari centri di destinazione in Italia;

   inizialmente (sino a Natale 2016) i contrattisti hanno lavorato affiancati a ingegneri di Roma e personale di altri centri postali d'Italia, aventi il compito di supportare l'inizio della lavorazione e formare i contrattisti nell'utilizzo dei sistemi operativi e delle attrezzature impiegate; dal 23 dicembre 2016 la responsabilità è tutta in capo a loro; essi sono coadiuvati solo dai capisquadra e capiturno;

   il «progetto Amazon», partito in forma sperimentale al centro postale di Brescia, con il passare del tempo è stato adottato anche da altri centri postali, con un nuovo accordo Poste-Amazon fino al 2021;

   attualmente, si lavorano pacchi per Brescia provincia e per Sicilia, Calabria, Puglia, Sardegna e parte della Campania; alcune spedizioni proseguono ancora su gomma, ma gran parte della merce oggigiorno viaggia su aerei-cargo e, all'interno del centro postale di Brescia, è preventivamente sottoposta a screening, dagli Screener di Cat.A2 (cosiddetti radiogenisti), personale certificato e abilitato da Enac che, tramite macchina a raggi x, ha il compito di dichiararne lo status di sicurezza per il trasporto aereo. Il numero di figure formate all'uso di questo macchinario va pertanto adeguato alla mole di lavoro;

   alcuni dei contratti iniziali sono stati rinnovati 5 volte, in due anni; oggi tali lavoratori rappresentano figure professionali inesistenti all'interno della struttura, formatesi con i corsi di abilitazione per «mulettisti uomo a bordo», con quello di screener Cat.A2 e alcuni anche con il superamento dell'esame di certificazione Enac;

   scaduto il quinto rinnovo, il 30 settembre 2018, a 14 di loro viene proposto uno stop di 20 giorni con successiva riassunzione il 21 ottobre 2018, sempre come lavoratori con contratto a tempo determinato e con scadenza al 31 gennaio 2019, mentre tutti gli altri vengono lasciati a casa;

   avendo maturato 26 mesi di lavoro presso Poste italiane, acquisito abilitazioni e certificazioni ad hoc e ricoprendo posti vacanti in organico, gli interessati auspicavano la trasformazione del proprio contratto, in contratto a tempo determinato con Poste italiane;

   invece, l'azienda ha provveduto, nel mese di dicembre 2018, all'assunzione di nuovo personale sempre con contratto a tempo determinato in scadenza al 29 febbraio 2019;

   per i contratti a tempo determinato del 2016, oltre al danno c'è anche la beffa: l'accordo sindacale tra Poste e le rappresentanze, contempla solo le stabilizzazioni dei portalettere, atteso che la prova selettiva richiesta per l'assunzione a tempo indeterminato è la prova di guida dello scooter a carico pieno –:

   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere in relazione alla situazione dei contrattisti a tempo determinato presso il centro postale di Brescia, considerate le competenze e le professionalità acquisite in oltre due anni di precariato e tenuto conto dei posti vacanti per le specifiche mansioni cui sono stati addetti.
(5-01426)


   ARESTA e PALMISANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il centro per l'impiego di Brindisi rappresenta il punto di riferimento per disoccupati e inoccupati di almeno sette comuni del brindisino, dopo che due anni fa si decise di chiudere quello di Mesagne;

   da mesi incombe una gravissima situazione sul centro per l'impiego di Brindisi, come peraltro segnalato dal primo firmatario del presente atto nel corso di un intervento di «fine seduta» tenuto nell'Aula della Camera dei deputati in data 6 febbraio 2019;

   all'interno del centro di Brindisi vi è grave carenza di personale e i sindacati, che si sono interfacciati con gli operatori che vi lavoravano, riferiscono della necessità di almeno venti nuove unità lavorative;

   da oltre tre anni non sono stati predisposti investimenti da parte della regione Puglia, a guida del Presidente Emiliano;

   gli operatori del centro per l'impiego di Brindisi sono costretti a utilizzare sistemi informatici obsoleti e fermi a quindici anni addietro;

   gli utenti del centro per l'impiego di Brindisi sono costretti a lunghe code agli sportelli a causa di un orario di apertura previsto solamente per tre ore al giorno (dalle 9:00 alle 12:00), da lunedì al venerdì (solamente il martedì è prevista una breve apertura pomeridiana dalle 15:30 alle 17:30);

   gli utenti del centro per l'impiego di Brindisi, oltre a essere costretti a lunghe attese, anche per molte ore, per evitare di perdere il proprio turno, durante la notte, spesso sono costretti a riposare all'interno di autovetture nei pressi del centro medesimo per garantirsi la priorità il giorno successivo;

   da recenti fonti stampa (Il Fatto Quotidiano) si ipotizza che alcune regioni siano addirittura intenzionate a ostacolare il Governo, a proposito delle assunzioni nei centri per l'impiego, in una fase in cui partirà il reddito di cittadinanza –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti di cui sopra;

   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato ritenga di adottare per garantire, non solo a Brindisi e provincia (Ostuni e Francavilla Fontana), ma anche negli altri centri per l'impiego, un servizio accettabile e agevolmente fruibile ai cittadini.
(5-01428)


   COSTANZO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   la ditta CM Service Srl, con sede legale a Cascinette d'Ivrea, è una società che gestisce i servizi di pulizie, portierato, guardiania e di manutenzione di edifici e fabbriche, con un fatturato che nel 2017 si attestava intorno ai 34 milioni di euro;

   da diversi anni, la ditta CM Service srl sembra realizzare il medesimo disegno: dapprima, la vittoria di gare d'appalto comunali al ribasso per la gestione dei servizi di pulizie, portierato e guardiania, successivamente la riassunzione del personale che già lavorava nei medesimi siti e infine il dispiegamento di una serie di misure volte a ridurre le retribuzioni e il monte ore dei lavoratori già operanti per conto delle ditte precedenti attraverso azioni ricattatorie, come testimoniano le denunce d'innumerevoli articoli apparsi sui siti di informazione locali;

   già il 4 settembre 2015 il quotidiano on-lineLa Sentinella del Canavese segnalava come a Ivrea «la società che ha vinto la gara (CM Service srl) ha fatto firmare alle lavoratrici contratti che prevedono da settembre il 30 per cento di ore in meno»;

   sul quotidiano Libertà-Sicilia, in data 29 agosto 2018 si denunciava l'ennesimo atto a danno dei lavoratori perpetrato da CM Service, con l'occupazione delle lavoratrici dell'appalto delle pulizie a difesa del loro salario, «a fronte della vergognosa proposta della CM Service di ridurre l'orario di lavoro a parità di lavoro da svolgere»;

   uno degli ultimi episodi in ordine di tempo riguarda la vittoria del bando da parte di Cm Service srl per i servizi di pulizie al dipartimento di Veterinaria dell'Università di Torino, a Grugliasco;

   come affermato dal sito La Stampa.it in un articolo del 31 dicembre 2018, la Cm Service Srl, che ha vinto il bando per il servizio di pulizie, ha proposto ai circa venti lavoratori già impiegati un nuovo contratto, inizialmente respinto al mittente, in cui era prevista la riduzione del 30 per cento del monte ore, definita inaccettabile dalle delegate sindacali. Dopo che l'azienda ha ridotto il taglio al 15 per cento, Cgil, Cisl Uil hanno poi deciso di firmare, così come i lavoratori di un altro dipartimento, agraria, dove il problema si è posto e risolto nello stesso modo, ma gli altri sindacati, che sono la larga maggioranza, hanno invece proclamato l'agitazione;

   le lavoratrici dei servizi di pulizia della facoltà di veterinaria di Grugliasco hanno poi firmato i contratti, ma, a quanto consta all'interrogante, lamentano trattamenti economici e lavorativi inaccettabili, oltre a situazioni che ostacolerebbero il dialogo con il personale dell'università –:

   se sia a conoscenza dei molteplici casi di mancato rispetto dei diritti dei lavoratori citati in premessa con protagonista la ditta CM Service, costantemente interessata da azioni di rivendicazione sindacale su tutto il territorio nazionale;

   quali urgenti iniziative, anche normative, intenda assumere al fine di impedire il protrarsi degli episodi citati in premessa su tutto il territorio nazionale;

   se non intenda adottare ogni iniziativa di competenza per acquisire i chiarimenti necessari in merito al modus operandi della società CM Service, che causa costantemente disagi alla cittadinanza e accese proteste dei lavoratori.
(5-01431)


   SERRACCHIANI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il Governo ha indicato il professor Domenico Parisi quale nuovo presidente di Anpal e amministratore unico di Anpal Servizi spa ai sensi del decreto legislativo n. 150 del 2015 e, la nomina ha già ricevuto il parere favorevole delle competenti commissioni parlamentari;

   Domenico Parisi è professore ordinario presso l'Università del Mississippi, nonché direttore del «National Strategic Planning and Analysis Research Center», che ha sviluppato «Mississippi Works», un'app che, utilizzando big data, incrocia domanda e offerta di lavoro nello Stato del Mississippi;

   come si evince dal curriculum vitae allegato all'atto di nomina, il professor Parisi ricopre ancora numerosi incarichi di consulenza con esponenti politici e agenzie pubbliche statunitensi;

   in alcune iniziative pubbliche, il Ministro interrogato ha presentato il professor Parisi come colui che, tramite li «suo» sistema informatico creato nel Mississippi, rivoluzionerà i centri per l'impiego italiani, aiutando i «navigator» a incrociare domanda e offerta di lavoro con l'utilizzo di una piattaforma informatica innovativa;

   come riportato dal giornale L'Inkiesta, nel maggio 2018, Domenico Parisi ha fondato, negli Stati Uniti, una nuova società, «Valentz Inc», amministrata dalla moglie Michelle Parisi, a sua volta VP of finance and administration della società «Camgian», che si occupa dello sviluppo di piattaforme finalizzate, tra le altre cose, all'analisi di big data;

   il decreto del Presidente della Repubblica 26 maggio 2016, n. 108, «Regolamento recante approvazione dello Statuto dell'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro», all'articolo 5, comma 2, prevede che l'incarico di presidente di Anpal è incompatibile «con altri rapporti di lavoro subordinato pubblico o privato», e che è altresì incompatibile con «qualsiasi altra attività di lavoro autonomo, anche occasionale, che possa entrare in conflitto con gli scopi e i compiti dell'Anpal»;

   a oggi, il professor Parisi non ha ancora chiarito se, così come imposto dal decreto del Presidente della Repubblica sopra citato, prenderà una «unpaid leave of absence» (aspettativa senza emolumenti) dall'Università del Mississippi e rinuncerà agli altri numerosi incarichi di consulenza in potenziale conflitto di interesse con le forniture di Anpal e della sua società controllata Anpal Servizi spa –:

   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per assicurarsi che il professor Parisi sia collocato in aspettativa presso l'Università del Mississippi e rinunci immediatamente a tutti gli incarichi in potenziale conflitto di interesse, così come imposto dalla normativa vigente, per trasferirsi in Italia e ricoprire con pieno impegno il ruolo di presidente di Anpal e amministratore unico di Anpal Servizi spa;

   con quale tempistica e con quali iniziative si intenda vigilare affinché il potenziamento delle piattaforme informatiche dei servizi per il lavoro avvenga in totale trasparenza e con procedure aperte volte a favorire la partecipazione del maggior numero di potenziali fornitori a livello italiano e internazionale, in modo da fugare ogni dubbio sul fatto che, come riportato da varie testate giornalistiche, esista l'ipotesi che a vendere la piattaforma informatica e la relativa app allo Stato italiano sia direttamente l'Università del Mississippi, qualsivoglia soggetto controllato dall'Università del Mississippi, o addirittura da eventuali società private riconducibili al professor Parisi, a suoi familiari o a soggetti presso i quali il professor Parisi svolge attività di lavoro subordinato o autonomo.
(5-01432)

Interrogazione a risposta scritta:


   ORLANDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   la società Parmalat spa, con oltre 90 siti produttivi, è leader mondiale nella produzione e nella distribuzione del latte e dei suoi derivati. A partire dal 2011 essa è controllata dalla società francese Lactalis;

   il 3 dicembre 2018, l'azionista di controllo ha superato il 90 per cento del capitale di Parmalat spa, facendo scattare l'offerta pubblica di acquisto residuale obbligatoria sulle restanti azioni nonché la procedura che consente il ritiro della società di Collecchio dal listino di piazza Affari (cosiddetto «delisting»), dove era rientrata nel 2005 dopo il lavoro di risanamento dell'ex commissario straordinario, Enrico Bondi;

   il 9 gennaio 2019 i dipendenti di Parmalat hanno ricevuto una formale nota di servizio nella quale la multinazionale francese annuncia una riorganizzazione globale che, secondo fonti di stampa, prevede – tra le altre cose – l'assorbimento del corporate in «Lactalis Italia» e la conseguente concentrazione in Francia di tutte le funzioni strategiche e di supervisione. Parmalat, dunque, non sarebbe più gestita a Collecchio dal management italiano ma a Laval, diventando a tutti gli effetti una consociata del gruppo francese e perdendo definitivamente la sua autonomia;

   la ristrutturazione che il gruppo di Laval intende perseguire, sebbene solo annunciata senza ulteriori dettagli, rischia di avere un impatto di sistema sull'intera filiera agro-alimentare italiana: infatti, mettendo insieme Parmalat e Galbani, azienda casearia italiana anch'essa di proprietà della multinazionale francese, Lactalis conta in Italia circa 5 mila dipendenti, comprensibilmente in apprensione per il loro destino occupazionale e per il futuro industriale dei siti italiani;

   i sindacati, nei giorni scorsi, hanno espresso grande preoccupazione per un piano industriale che rischia di compromettere il valore commerciale e le potenzialità industriali di un marchio strategico del settore agro-alimentare italiano, legato al territorio, ai brand locali, all'acquisto di latte italiano e, in generale, al know-how maturato a Collecchio nel corso della storia decennale di Parmalat;

   il delisting e il nuovo piano industriale si inseriscono in una sequenza di decisioni che ha progressivamente declassato l'indipendenza formale della società emiliana: in particolare, nel 2012 Lactalis ha utilizzato cosiddetto «tesoretto» di Parmalat – circa 1,5 miliardi di euro accumulati durate la gestione commissariale – in un'operazione «a parti correlate» che ha drenato gran parte della liquidità verso il socio francese a fronte della cessione a Collecchio della controllata americana Lactalis American Group (Lag). Tale operazione è tuttora oggetto di contestazioni e approfondimenti da parte della Consob e della magistratura –:

   se il Governo sia a conoscenza del piano industriale del gruppo Lactalis per quanto attiene al futuro della Parmalat spa e quali iniziative di competenza ritenga di assumere al fine di garantire le capacità produttive del gruppo, il suo sviluppo e i livelli occupazionali in Italia, nonché per evitare pesanti conseguenze sul settore agroalimentare italiano;

   quali altre iniziative il Governo intenda assumere, per quanto di competenza, per la tutela del brand italiano, la conservazione in loco delle funzioni organizzative, direttive, manageriali nonché il mantenimento della loro titolarità in capo al management italiano.
(4-02195)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI, FORESTALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   nel nostro Paese la gestione delle presenze faunistiche è affidata esclusivamente alle uccisioni di animali in ambito venatorio e nelle attività di controllo;

   il decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 convertito dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, ha disposto che gli ungulati – fra i quali sono compresi i cinghiali – siano cacciabili secondo piani di selezione attuabili lungo tutto l'arco dell'anno e in qualsiasi ora del giorno e della notte;

   negli ultimi trenta anni il numero di cinghiali uccisi in Italia è in costante aumento;

   negli ultimi quaranta anni il numero di cacciatori italiani è in costante diminuzione;

   le odierne popolazioni di cinghiali sono frutto di azioni di ripopolamento e reintroduzione operate dalle associazioni venatorie, anche con il sostegno delle istituzioni;

   secondo le più recenti acquisizioni scientifiche presentate al convegno «verso una gestione sostenibile dei grandi mammiferi in Italia: uno sguardo oltre “l'emergenza cinghiale”», organizzato dalla regione Emilia-Romagna, il prelievo di cinghiali non limita le popolazioni che continuano a crescere anche in contesti con prelievo molto intenso a causa di diversi fattori che comprendono approcci gestionali inadeguati o inattuati, contrarietà del mondo venatorio, biologia «sfidante» della specie cambiamenti ambientali e climatici;

   la caccia agisce sulle diverse classi di sesso ed età in modo diverso dalla mortalità naturale, con l'effetto di diminuire l'aspettativa di vita media degli animali e ringiovanire le popolazioni;

   la caccia innesca risposte nella biologia riproduttiva della specie che, unitamente all'aumentata disponibilità trofica, causano un aumento della produttività delle popolazioni;

   la caccia altera il comportamento spaziale del cinghiale, con, tra l'altro, l'effetto di aumentare il rischio di danni all'agricoltura o provocare concentrazioni anomale in aree a divieto di caccia;

   il foraggiamento finalizzato ad attrarre o legare i cinghiali a un dato territorio è una pratica utilizzata anche nel resto d'Europa (Francia, Svizzera, Belgio, Polonia e altri), sebbene sia da tutti gli autori ritenuta critica in quanto in grado di aumentare il potenziale riproduttivo della specie e la sopravvivenza degli animali;

   l'adozione delle sole misure gestionali tecniche (prelievo, indennizzo, prevenzione), seppur efficaci, può non essere sufficiente a risolvere i conflitti sociali innescati dalla presenza del cinghiale;

   l'Ispra afferma che la legislazione e l’iter autorizzativo non sono un ostacolo a una gestione efficace;

   l'Ispra sostiene che le problematiche derivano da conflitti di carattere socio-politico ancora insoluti: piani di gestione di regioni e province ancora troppo influenzati dai portatori di interesse e di conseguenza, spesso, tecnicamente «deboli»; maggioranza del mondo venatorio che mira a massimizzare il prelievo, non collaborando a strategie gestionali finalizzate a riduzione drastica delle presenze sul territorio; forti resistenze del mondo agricolo ad applicare misure di prevenzione del danno; eccessivo, e in alcuni casi totalmente ingiustificato, allarmismo sulla pericolosità della specie per l'uomo (sono sempre più numerose le ordinanze dei sindaci per pubblica incolumità);

   oltre dalle evidenze scientifiche sopra riportate, la raccolta pressoché quotidiana di informazioni e notizie che danno conto dei conflitti generati dalla presenza di attività umane sui territori frequentati dai cinghiali dimostra il fallimento delle politiche gestionali della specie cinghiale affidate all'approccio venatorio –:

   se, per risolvere il problema dei danni ascritti alla fauna selvatica e ai cinghiali in particolare, i Ministri interrogati intendano rinunciare all'approccio basato sulla fallimentare gestione venatoria;

   se intendano adottare iniziative per finanziare progetti di sviluppo dei metodi che agiscono sul controllo della fertilità degli animali selvatici e che hanno già dimostrato piena efficacia sui cinghiali in cattività, unico sistema che può concretamente ed efficacemente ridurre la presenza degli animali selvatici sul territorio, perché svincolato dagli interessi del mondo venatorio.
(5-01425)


   LUCA DE CARLO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   nel 2016 si è tenuto un concorso indetto dal Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria, il più importante ente italiano di ricerca, dedicato alle filiere agroalimentari;

   oltre alla proclamazione dei vincitori del concorso in tale occasione si sono formate anche delle graduatorie di idonei non vincitori;

   molti di questi idonei, che già lavoravano presso il Crea come precari da decenni, sono rimasti a lavorare con la speranza di essere assunti da queste graduatorie, incoraggiati anche dalle esperienze pregresse per cui tutte le graduatorie di idonei precedenti erano sempre state esaurite nel tempo;

   ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, recante norme per la riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, che ha previsto disposizioni per «Superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni», nel solo Crea sono stati stabilizzati ben oltre 400 precari, alcuni dei quali presenti anche nella lista degli idonei;

   la stabilizzazione si è basata su di un criterio meramente temporale e non di curricula (cosa che è richiesta in un concorso), con evidenti limiti di merito;

   in base alla delibera n. 113 del 19 dicembre 2018 e successiva comunicazione del 19 dicembre 2018, l'entità dello scorrimento delle graduatorie consisterebbe in 19 unità, 4 ricercatori e 15 tecnologi, riferite a personale già di ruolo o che verrà stabilizzato;

   la stessa comunicazione riferisce che nel piano di fabbisogno è stata prevista l'assunzione di 36 nuovi ricercatori e tecnologi ed è stata data facoltà ai direttori di centro di ricerca di scegliere se assumere tramite scorrimento delle graduatorie vigenti, seppur in misura non superiore al 50 per cento delle posizioni assegnate a ciascun centro;

   le graduatorie, attive fino al 31 dicembre 2019, sono una preziosa opportunità di reclutamento nelle aree strategiche individuate dal Crea: nelle 26 graduatorie dei concorsi del 2016 vi sono 176 unità potenzialmente assumibili tramite scorrimento;

   i profili scientifici degli idonei ricoprono una vasta gamma di aree tematiche includendo, ad esempio, sia laureati in fisica o informatica, sia laureati in agraria o scienze forestali, scienze geologiche e biologiche che, per inclinazione personale o esigenze lavorative, si sono specializzati in settori scientifico-disciplinari più ampi rispetto al loro titolo (ad esempio genetica, genomica, biotecnologie agro-industriali, geologia, bioinformatica, sistemi informativi geografici, telerilevamento, modellistica, statistica applicata e altro) –:

   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, affinché nella prossima seconda fase della stabilizzazione ci sia un più ampio scorrimento delle graduatorie in scadenza a fine anno, prevedendo la possibilità per la terza fase della stabilizzazione dello scorrimento totale delle graduatorie.
(5-01427)

Interrogazione a risposta scritta:


   CASCIELLO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   il Crea (il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria) è il principale ente di ricerca italiano dedicato alle filiere agroalimentari con personalità giuridica di diritto pubblico. Dovrebbe rappresentare un modello d'eccellenza scientifico e di efficienza;

   è vigilato dal Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, le sue competenze scientifiche spaziano dal settore agricolo, zootecnico, ittico, forestale, agroindustriale, nutrizionale, fino all'ambito socioeconomico;

   nel 2015 ha effettuato una riorganizzazione funzionale del precedente Ente (Consiglio per la ricerca in agricoltura — Cra), dando vita a 12 centri di ricerca, 6 di filiera e 6 trasversali, presenti in maniera capillare sul territorio nazionale; il personale è composto da oltre 2.000 unità, di cui circa la metà tra ricercatori e tecnologi;

   dalla riorganizzazione è scaturita l'esigenza di identificare una nuova sede che potesse garantire congrui spazi operativi alle centinaia di dipendenti dell'amministrazione centrale;

   ha destato molto interesse e scalpore la notizia pubblicata, in data 11 agosto 2018 da Il Fatto Quotidiano, dal titolo «Il caso Crea: la nuova sede romana strapagata con problemi di agibilità»;

   si legge nel corpo dell'articolo: «Un immobile selezionato in modo informale, pagato a peso d'oro, contaminato da radon e amianto (...) Non si ritiene che esista un immobile pubblico adatto per le 400 persone da sistemare e la selezione della nuova sede viene affidata al Direttore Generale dell'Ente, Ida Marandola»;

   si legge ancora nel prosieguo dell'articolo: «La procedura, secondo i documenti ufficiali, è questa: il direttore generale, Marandola, guarda un po’ di siti internet e poi fa una richiesta informale, a nove operatori, per un palazzo tra i 9 e i 12 mila metri quadrati; ne scarta 8 per “proposte inadeguate” e decide per un immobile di via Po 14, offerto dall'agenzia TFT immobiliare. Costo 3 milioni annui di affitto, per una superficie “ragguagliata” (cioè compresi balconi scale, pianerottoli etc.) di 9.800 metri quadrati. (...) Non finisce qui. In seguito si scopre che nel palazzo c'è un problema di radon (gas cancerogeno) e di amianto; alcuni locali sono inagibili. Il risultato è che il cda di Crea fa causa al fondo Prelios, ex proprietario dell'immobile (ora è di Dea Capital sgr), e che l'ente deve cercarsi un'altra sede»;

   il canone di locazione dell'immobile pari ad euro 3.599.000,00 è confermato e riportato in chiaro nell'area trasparenza del sito ufficiale, alla voce «canoni di locazione o di affitto versati o percepiti»;

   il Crea, si legge sul sito istituzionale, è «fortemente convinto che la trasparenza amministrativa — avvicinando istituzioni e cittadini — costituisca lo strumento più efficace per consentire il controllo sociale sull'operato delle pubbliche amministrazioni, facilitando l'interazione tra i processi di prevenzione e contrasto dei fenomeni di illegalità e corruzione» –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se intenda verificare, per quanto di competenza, la corretta applicazione delle norme poste alla base della rigorosa gestione amministrativa dell'ente, anche al fine di salvaguardare la salute dei dipendenti, costretti a lavorare in una struttura contaminata dalla presenza di materiali altamente tossici e nocivi.
(4-02194)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ANZALDI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   risulta essere stata installata sul tetto di un edificio privato ubicato in Piazza Tommaso de Cristoforis presso il quartiere di Casalbertone in Roma un ripetitore per telefonia mobile;

   suddetto impianto visivamente impattante è ubicato su un palazzo a brevissima distanza dal plesso scolastico che comprende la scuola elementare «Randaccio» e una scuola comunale per l'infanzia frequentato complessivamente da centinaia di bambini;

   i due edifici sono di fatto separati dall'attraversamento pedonale di una strada;

   è noto che l'autorizzazione per la posa dei ripetitori, in base alle regole fissate dal codice delle comunicazioni elettroniche, è di competenza dei comuni, mentre il controllo e la vigilanza sugli impianti è affidata all'Arpa, l'Agenzia regionale per la protezione ambientale;

   tuttavia, la compatibilità del progetto con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità, deve essere assicurata uniformemente a livello nazionale soprattutto, in considerazione del fatto che si è nella fase di «start» della tecnologia 5G e che, nella fase di sperimentazione, Roma è una delle 5 città in Italia che risulta coinvolta;

   ad oggi si sa che i limiti e i riferimenti sono parametrati ancora nella maggior parte dei casi su tecnologia 3G;

   la preoccupazione principale nel caso in questione è legata alla presenza di una scuola con bambini che trascorrono ben 8 ore della giornata all'interno dell'edificio-:

   quali iniziative, il Governo intenda adottare, per quanto di competenza, e in considerazione del fatto che si è, per la città di Roma, in fase sperimentale in ordine alla tecnologia 5G, al fine di rafforzare gli strumenti di controllo sui limiti di esposizione in relazione a casi come quello richiamato in premessa in cui sono coinvolti plessi scolastici o altri luoghi sensibili.
(5-01429)

Interrogazione a risposta scritta:


   MELONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   l'Abruzzo è tra le regioni dove si registrano i maggiori disagi in materia di assistenza sanitaria, sia per quanto attiene ai tempi d'attesa per l'erogazione delle prestazioni, sia per la gravissima carenza di personale nelle quattro Asl provinciali, sia per quanto riguarda la prossimità e l'operatività delle strutture ospedaliere sul territorio;

   in particolare, l'ospedale civile «Gaetano Bernabeo» di Ortona, ha subito tre anni fa la chiusura del punto nascita e ora rischia il declassamento del pronto soccorso in punto di primo intervento (Ppi); ciò vuol dire che l'attività operativa è garantita solo nelle dodici ore diurne, che è presidiato dal 118 nelle ore notturne e che non è possibile l'osservazione breve del paziente;

   oltre alla chiusura di quello di Ortona attualmente è stata disposta la chiusura anche del punto nascita dell'ospedale di Sulmona; entrambe le decisioni recano un grave disservizio alle famiglie abruzzesi;

   inoltre, il reparto di medicina è sovraffollato e manca il personale medico, i primariati sono assegnati su più ospedali con consequenziale diminuzione della presenza degli stessi primari negli ospedali e alcuni reparti non riescono ad assicurare la continuità del servizio per tutti i giorni della settimana;

   l'Abruzzo ha bisogno di un sistema sanitario e sociale di qualità, sostenibile e partecipato dalle realtà locali, per garantire condizioni di prossimità ed equa accessibilità a tutte le categorie, e in questo quadro occorre salvaguardare il pronto soccorso, riaprire il punto nascite e potenziare tutti i servizi dell'ospedale di Ortona –:

   quali elementi siano emersi, nell'ambito dei Tavoli di monitoraggio sul piano di rientro, in ordine alle criticità richiamate in premessa e quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, al fine di garantire i livelli essenziali di assistenza, con particolare riguardo alla piena funzionalità dell'ospedale di Ortona, anche attraverso il ripristino del punto nascita al suo interno, e di tutte le strutture sanitarie abruzzesi.
(4-02202)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ANZALDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   da qualche tempo si segnalano una serie di criticità, riportate anche a mezzo stampa, per quanto concerne il recapito posta presso il territorio di Pisticci;

   si registrano, infatti, ritardi nella consegna di bollette e altri atti di notifica che comportano disagi e disservizi per i cittadini;

   una delle ragioni è sicuramente da ricercare nella carenza di personale in servizio presso uno dei territori più estesi e complessi della regione Basilicata, considerato che è il terzo comune per abitanti;

   tra le cause delle difficoltà di recapito verrebbero addotte anche incongruenze tra il numero civico posto dinanzi alle abitazioni e quello contenuto sulla posta, questo per una serie di modifiche apportate alla toponomastica;

   analogamente, per quel che riguarda gli sportelli postali, anche in relazione alle possibili nuove incombenze legate all'attuazione di alcune misure che vedono un coinvolgimento diretto di poste italiane si rischia di vedere ulteriormente accresciuta la mole di lavoro per gli attuali addetti che necessiterebbero di adeguato supporto –:

   quali siano le ragioni degli attuali disservizi nel recapito della posta nel territorio di Pisticci e quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo, nell'ambito del contratto di servizio, per il miglioramento del servizio medesimo e per un potenziamento del personale presso gli uffici dislocati sul territorio comunale.
(5-01423)

Apposizione di firme a risoluzioni.

  La risoluzione in Commissione Piastra e altri n. 7-00154, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 gennaio 2019, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Alemanno, Berardini, Carabetta, De Toma, Giarrizzo, Masi, Orrico, Papiro, Paxia, Rizzone, Scanu, Rachele Silvestri, Sut, Vallascas.

  La risoluzione in Commissione Orsini e altri n. 7-00163, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 gennaio 2019, deve intendersi sottoscritta anche dalla deputata Vietina.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Raciti n. 5-00110, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 luglio 2018, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Benamati.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Migliore e Orlando n. 5-01396, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 febbraio 2019, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Ceccanti.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Aprea n. 5-01407, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 febbraio 2019, deve intendersi sottoscritta anche dalla deputata Frassinetti.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:

   interrogazione a risposta in Commissione Cassese n. 5-00916 dell'8 novembre 2018;

   interrogazione a risposta scritta Ianaro n. 4-01897 del 19 dicembre 2018.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Gagliardi n. 4-01729 del 27 novembre 2018 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01421.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BAZZARO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il ponte della Costituzione di Venezia dell'architetto Calatrava, già dall'anno dell'inaugurazione del 2008, continua a far parlare di sé a causa dei costi superiori a quelli previsti e i contenziosi sorti e, soprattutto, per la scivolosità dei gradini, gli incidenti verificatisi, la scarsa accessibilità per i disabili che ha comportato ulteriori costi per la realizzazione di un'ovovia e le frequenti e costose manutenzioni;

   in seguito al monitoraggio periodico delle saldature effettuato da «Insula», nel novembre e dicembre 2017, il comune di Venezia ha smentito la possibile insorgenza di problemi statici alle strutture;

   già nel settembre 2015, alcune crepe sui masegni, lato stazione, hanno fatto avanzare l'ipotesi che la struttura ad arco ribassato spinga sui lati delle fondamenta, danneggiandoli, ipotesi respinta dagli uffici tecnici comunali, che tuttavia ha destato grande preoccupazione tra la popolazione;

   secondo l'amministrazione comunale la causa delle lacerazioni sulla pavimentazione non dipenderebbe dalle pressioni della struttura ma da dilatazioni della pavimentazione durante il periodo caldo, situazione da risolvere con un nuovo giunto di dilatazione da posizionare da parte della società Grandi Stazioni, responsabile del tratto di arredo urbano in questione;

   anche un commento dello studio Calatrava, riportato da il Gazzettino Venezia-Mestre del 4 novembre 2017, nota che il comportamento del ponte è quello previsto dal progetto;

   tuttavia, nel giugno 2018, una fotografia pubblicata sul gruppo Facebook «Venezia non è Disneyland» ha lanciato l'allarme e riacceso le polemiche sulla tenuta strutturale del ponte, mostrando crepe sulle strutture;

   un'ultima intervista all'ingegnere Enzo Siviero che ha effettuato il collaudo del ponte, pubblicata dal Corriere del Veneto del 21 agosto 2018, ha creato ulteriori sospetti sulle verifiche di ottemperanza delle due pagine di prescrizioni imposte dal collaudatore e ha incrementato la paura dei cittadini veneti, già impressionati e scossi a seguito del disastro provocato dal crollo del ponte Morandi di Genova, il 14 agosto scorso;

   risulta all'interrogante che il ponte della Costituzione di Venezia è anche stato oggetto di ispezione ministeriale in passato –:

   se il Ministro interrogato non intenda mobilitare tempestivamente i propri uffici competenti, attuando ispezioni accurate sulle strutture del ponte della Costituzione di Venezia, acquisendo le dovute informazioni, dati e riscontri, e anche valutando eventuali carenze progettuali, allo scopo di garantire la tenuta strutturale dell'opera e la sicurezza dei cittadini.
(4-01009)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Occorre premettere che il ponte della Costituzione, noto anche come ponte di Calatrava, è di proprietà e competenza dell'amministrazione comunale di Venezia che ne ha curato tutto l’
iter progettuale e la realizzazione.
  Al riguardo, la prefettura di Venezia ha riferito quanto segue.
  Il ponte della Costituzione è sottoposto sistematicamente a quattro tipi di monitoraggio da parte del comune di Venezia e della società Insula, controllata dal comune stesso.
  Il primo consiste in una verifica, tramite decine di sensori collocati sulla struttura, idonei ad accertare eventuali deformazioni in tempo reale. I segnali vengono raccolti in un
server che li associa alle immagini trasmesse dalle telecamere, dall'anemometro e dalle temperature rilevate dell'acciaio. Sulla base di tali dati viene redatta una relazione annuale che fino ad oggi non ha evidenziato situazioni di criticità.
  Il secondo tipo di monitoraggio consiste in un rilievo di tipo topografico, atto a verificare sia l'allontanamento delle fondazioni che un'eventuale rotazione, anche minima, delle stesse. Questo sistema di controllo nei primi anni ha evidenziato spostamenti minimi, come era previsto dal progetto, con tendenza a diminuire nel corso degli anni in maniera progressiva. Gli spostamenti verificatisi sino ad oggi non destano preoccupazione, rimanendo nell'ambito di quanto previsto.
  Con il terzo tipo di monitoraggio, che si avvale di tubi inclinomentrici annegati nella fondazione, ad oggi non si sono registrate criticità.
  Con il quarto tipo di monitoraggio vengono infine controllate, con cadenza biennale, le saldature del ponte, attraverso verifiche a campione di tipo visivo, magnetoscopico e ultrasonico. Nei mesi di novembre e dicembre 2017, con l'ausilio di un pontone galleggiante, sono stati eseguiti per circa due settimane gli ultimi monitoraggi, che hanno riguardato 45 saldature nelle zone della struttura soggette a maggiori sollecitazioni. Il lavoro è consistito nella raschiatura delle vernici, nella messa a nudo della superficie metallica e successivamente nell'esecuzione dei controlli, al termine dei quali si è provveduto ad eseguire l'intero ciclo di verniciatura. I risultati riscontrati sono da considerarsi nella norma.
  Tutte le azioni di monitoraggio sono state indicate dal collaudatore e sono coerenti con quanto realizzato in fase di cantiere e con il piano di manutenzione redatto dal progettista.
  Inoltre il comune di Venezia, a seguito dell'allarme diffusosi nel mese di giugno 2018 attraverso i
social media, ha provveduto a pulire l'arco che è risultato perfettamente intatto, evidenziando che la presunta crepa era in realtà una macchia.
  La stessa Amministrazione comunale ha rilevato che sulle fondamenta, lato stazione ferroviaria di Venezia Santa Lucia, è stato realizzato un nuovo giunto di dilatazione e sulla pavimentazione attenzionata, durante l'estate del 2018, non sono apparse nuove crepe.
  In ogni caso, tenuto conto che sono trascorsi 10 anni dalla realizzazione del ponte, il comune di Venezia ha ritenuto opportuno predisporre un piano di monitoraggio aggiornato ad opera assestata.
  In aggiunta, la società Grandi stazioni rail ha comunicato che, a seguito delle fessurazioni emerse nella pavimentazione dell'area antistante la spalla del ponte della Costituzione, lato palazzo della regione, è intervenuta nel mese di novembre 2017 per ripristinare detta pavimentazione. L'intervento è stato eseguito in nome e per conto della società GS Retaìl, proprietaria dell'area, ed è consistito nella sostituzione delle canalette di raccolta delle acque, nella realizzazione di nuovi pozzetti e nell'esecuzione di giunti di dilatazione nella pavimentazione. Tutta l'area interessata dai predetti interventi ad oggi non presenta nuovi segnali di degrado.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Danilo Toninelli.


   CASCIELLO e FASANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   nella notte tra il 24 e il 25 giugno 2018, nel comune di Battipaglia, lo stabilimento dell'azienda Nappi Sud, impegnata nel trattamento di rifiuti, per cause ancora da chiarire, è stato avvolto da fiamme altissime, lo scenario è stato infernale, l'azienda che opera nel settore della raccolta e trattamento dei rifiuti ha iniziato a bruciare poco dopo la mezzanotte per un rogo che ha interessato i cieli di Eboli e Battipaglia;

   le lingue di fuoco alte fino a 50 metri hanno determinato anche esplosioni avvertite in tutta la zona; si sono immediatamente diffusi la paura e il panico tra i residenti che hanno repentinamente serrato le finestre per evitare che la dispersione di fumi tossici nell'aria invadesse le abitazioni;

   l'incendio segue, a distanza di circa un anno, un altro analogo ai danni di un impianto dello stesso tipo;

   gli episodi ripetuti, in presenza di un'emergenza rifiuti che attanaglia il territorio e il malfunzionamento degli impianti destano preoccupazione negli amministratori locali e nella popolazione;

   sul territorio di Battipaglia operano almeno 24 impianti di trattamento, stoccaggio e smaltimento rifiuti, a quanto risulta dalle risposte che la regione Campania e il comune di Battipaglia hanno fornito ai comitati di protesta; all'elenco del Comune, poi, si aggiunge quello della direzione generale ciclo integrato delle acque e dei rifiuti; nell'elenco, sono riportate le autorizzazioni ambientali rilasciate dalla regione Campania a 7 aziende dislocate nella zona;

   in aggiunta, gli uffici regionali elencano anche le cinque autorizzazioni vigenti, inclusa quella del comune, per il territorio di Eboli;

   in pratica, sui circa 200 chilometri quadrati di territorio suddiviso fra i comuni di Battipaglia ed Eboli, insistono oltre 30 impianti di trattamento rifiuti, oltre a quelli privati; infatti, occorre tener presente anche lo Stir e i siti di stoccaggio provvisori, all'incirca, un impianto di rifiuti ogni 6 chilometri e mezzo;

   il primo passo da compiere è, naturalmente, che le autorità locali sanitarie monitorino attentamente la situazione con rilievi e campionamenti per la salvaguardia della salute della popolazione;

   si attendono, inoltre, i risultati dei rilievi Arpac e l'esito delle indagini delle forze dell'ordine e della magistratura per capire le cause dell'incendio; non si esclude infatti la natura dolosa dello stesso;

   desta, infatti, preoccupazione il ripetersi di roghi in aziende di tale tipologia;

   quest'ultimo incendio alla Nappi Sud di Battipaglia impone improcrastinabilmente una riflessione sulle responsabilità e sui ritardi accumulati dalla regione Campania in merito all'applicazione del piano regionale dei rifiuti e sulle discutibili scelte di far governare il sistema dei rifiuti ai privati, considerando le comunità locali solo come luoghi dove far sversare rifiuti, facendone sopportare ai cittadini l'enorme carico ambientale –:

   se, nell'ambito delle proprie competenze, non si intendano assumere iniziative per la verifica dei danni causati all'ambiente e alla salute dalla situazione esposta in premessa, e per l'attuazione di tutti gli interventi di messa in sicurezza del sito e di sanificazione igienico-sanitaria del territorio;

   se non si intenda provvedere all'istituzione di un tavolo permanente fra comuni, assessorato regionale e Ministeri competenti, al fine di individuare le opportune iniziative volte a dare soluzione alle criticità sanitarie e ambientali legate alla gestione dei rifiuti, e garantire la salute pubblica dei cittadini del territorio di cui in premessa.
(4-00578)

  Risposta. — Con riferimento alle questioni poste, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Per quanto concerne, in primo luogo, l'incendio verificatosi nel giugno 2018 presso la Nappi Sud di Battipaglia, sebbene dai primi rilievi si sia accertato che il rogo non ha interessato i rifiuti ma il capannone industriale con i macchinari ed alcuni materiali legnosi, il comune di Battipaglia, a fini esclusivamente cautelativi, ha emanato, nell'immediatezza dell'evento, un'ordinanza urgente disponendo, per tutti i residenti, l'allontanamento dalle case e dagli edifici ricadenti entro un raggio di 100 metri, fino al termine delle operazioni di spegnimento. Sono, inoltre, intervenuti, l'Arpac, le squadre dei vigili del fuoco e la polizia di Stato.
  Più in particolare, secondo quanto riferito dall'Arpac (Agenzia Regionale Protezione Ambientale in Campania) dall'esito analitico del campionamento di terreno
top soil per la verifica suolo è emerso che: i campioni di terreno c1 e c2 presentavano valori di concentrazione inferiori alle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) per i siti ad uso commerciale e industriale e il campione c2 di terreno presentava valori di concentrazione inferiori alle CSC per i siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale. Anche per quanto attiene la ricerca dei parametri PCB, PCDD, PCDF gli esiti analitici hanno riportato, per tutti e tre i campioni esaminati, valori di concentrazione inferiore alle CSC per i siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale. In riferimento ai superamenti per il parametro berillio nei campioni di suolo denominati c1 e c3, l'Arpac ha ritenuto che gli stessi possano essere attribuiti a valori di fondo naturale. Inoltre, dalle risultanze analitiche dei campionamenti utili alla ricerca nell'aria di idrocarburi policiclici aromatici effettuati tra il 25 e il 26 giugno Arpac non ha evidenziato criticità in merito all'andamento della qualità dell'aria.
  In merito agli aspetti prettamente sanitari inerenti gli incendi in questione, la ASL competente ha riferito che non sono pervenute segnalazioni di fastidi o disagi da parte della popolazione circostante. La ASL ha inoltre attivato uno specifico monitoraggio sulla produzione agricola e sugli allevamenti.
  Per quanto attiene, più in generale, il verificarsi nella regione Campania di episodi incendiari, il Ministero dell'interno ha segnalato, da parte sua, di aver adottato apposita circolare del 13 luglio 2018, in seguito alla quale è stato deciso di sottoporre i siti regionali ad una più assidua attività di controllo, e di inserirli, quali obiettivi da vigilare, nell'ambito dei piani di controllo coordinato del territorio, adottando determinazione in tal senso in sede di Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica. Il Ministero dell'interno ha fatto presente, altresì, di aver richiamato l'attenzione del presidente della provincia di Salerno – ente che gestisce l'impianto S.T.I.R. di Battipaglia, nonché il sindaco di Salerno, alla più ampia collaborazione per il soddisfacimento delle richiamate esigenze. I predetti enti hanno assicurato la loro tempestiva attivazione presso le società partecipate che gestiscono i siti di stoccaggio, per l'adozione delle necessarie misure di difesa passiva nelle strutture interessate.
  Ferme restando le considerazioni esposte, si segnala che, considerata la frequenza degli episodi di combustione, nel mese di marzo scorso, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha provveduto a pubblicare una circolare recante «Linee guida per la gestione operativa degli stoccaggi negli impianti di gestione dei rifiuti e per la prevenzione dei rischi», con l'obiettivo di prevenire l'innesco d'incendi e favorire la corretta gestione degli stoccaggi presso gli impianti di trattamento dei rifiuti. Il Ministero ha avviato, inoltre, congiuntamente al comando dei vigili del fuoco e alle autorità regionali, le attività finalizzate all'aggiornamento delle linee guida per una gestione in sicurezza dei rifiuti.
  La regione Campania, a sua volta, ha fatto presente di aver avviato, con delibera 705 dell'ottobre scorso, un rafforzamento delle attività di pattugliamento per i siti ritenuti maggiormente sensibili e vulnerabili e di aver previsto, con legge regionale n. 29 del 2018, l'elaborazione di linee guida volte all'implementazione di misure di prevenzione antincendio per gli impianti di trattamento dei rifiuti.
  A ciò si aggiunga che, in fase di conversione del decreto-legge n. 113 del 2018, è stata introdotta una norma che prevede l'obbligo per i gestori di impianti di stoccaggio e lavorazione dei rifiuti di dotarsi di un piano di emergenza interna al fine, tra l'altro, di controllare e circoscrivere gli incidenti e provvedere al ripristino dell'ambiente; la norma prevede altresì che, al fine di limitare gli effetti dannosi di incidenti rilevanti, il Prefetto predispone un piano di emergenza esterna e ne coordina l'attuazione.
  Inoltre, nel recente protocollo d'intesa sul «Piano d'azione per il contrasto dei roghi dei rifiuti» sono state introdotte, tra l'altro, specifiche misure volte ad intensificare il coordinamento delle attività di prevenzione, gestione dell'evento e ripristino delle aree coinvolte dagli incendi, allo scopo di aumentare la sicurezza del territorio e garantire la tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini.
  Alla luce delle informazioni esposte, si rassicura che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, monitora costantemente l'impatto regolatorio della normativa di settore e continuerà a svolgere le proprie attività di monitoraggio e controllo, senza ridurre in alcun modo il livello di attenzione su questa delicata questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.


   CIPRINI e SIRAGUSA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   al di fuori del confine nazionale, negli Stati con maggiore presenza di cittadini italiani, operano patronati che svolgono importanti funzioni di assistenza nello svolgimento delle pratiche pensionistiche, previdenziali o assistenziali, rappresentanza e tutela in favore dei lavoratori, dei pensionati e di tutti i cittadini che vivono e lavorano all'estero;

   i patronati maggiormente presenti, fanno capo ai maggiori sindacati di rappresentanza: Cgil, Cisl, Uil, Acli e sono disciplinati dalla legge 30 marzo 2001, n. 152;

   i patronati operanti oltre confine occupano numerosi dipendenti per il disbrigo delle pratiche richieste dai cittadini;

   risultano all'interrogante alcuni casi di violazione dei diritti dei lavoratori impiegati presso taluni patronati oltre confine, la cui gestione è affidata a persone che sono nel contempo responsabili di patronato e anche consiglieri dei Comites locali, in violazione della legge n. 152 del 2001 e della legge n. 286 del 2003 e dunque in palese conflitto di interessi;

   in particolare, secondo quanto denunciato da una lavoratrice signora R.M. (in http://www.vociestere.com/inca-cgil-diritti-irrinunciabili-diritti-indisponibili), il patronato Inca/Cgil di Monaco di Baviera avrebbe commesso delle violazioni dei diritti fondamentali ai danni della medesima lavoratrice, la quale, colpita da una malattia rara ed invalidante, lamenta l'illegittimità del licenziamento e la mancata corresponsione delle competenze maturate post licenziamento;

   il paradosso della vicenda risiede anche nel fatto che la responsabile del patronato in questione ricoprirebbe pure la carica di consigliere del locale Comites, che tra l'altro dovrebbe provvedere alla tutela dei diritti dei connazionali;

   la responsabile del patronato Inca/Cgil di Monaco di Baviera, dunque, avrebbe operato — a detta della lavoratrice — non solo in violazione dei diritti della ex lavoratrice del patronato ma anche in una situazione di conflitto di interessi, poiché secondo il parere interpretativo reso nel 2015 dall'ufficio competente per i Comites alla direzione generale per gli italiani all'estero del Ministero per gli affari esteri e della cooperazione internazionale, atteso il profilo istituzionale dei patronati, si applica la «causa di ineleggibilità dei loro membri all'interno dei Com.It.Es, così come previsto dall'articolo 5, comma 4, della legge n. 286 del 2003»;

   eppure la legge n. 286 del 2003 che costituisce i Comites prevede all'articolo 2, comma 5, che «L'autorità consolare e il Comitato ricevono periodicamente informazioni sulle linee generali dell'attività svolta nella circoscrizione consolare dai patronati di cui alla legge 30 marzo 2001, n. 152, nel rispetto della normativa nazionale e locale» e dunque la commistione di incarichi nel patronato e nei Comites, andrebbe a svilire anche il ruolo di garanzia e controllo che dovrebbe essere svolto da questi ultimi;

   nonostante il chiaro dettato normativo avallato anche da un parere interpretativo dell'amministrazione persistono di fatto prassi illegittime che portano alla concomitanza di incarichi con conseguente criticità per l'esercizio dei diritti dei lavoratori, come accaduto nella vicenda denunciata dalla lavoratrice dell'Inca Cgil di Monaco di Baviera –:

   se si sia a conoscenza della violazione della normativa segnalata che potrebbe interessare anche altri patronati;

   quali iniziative — anche di tipo normativo — intendano adottare i Ministri interrogati, per quanto di competenza, in merito alla disciplina dei Comites e dei loro rapporti con i patronati, al fine di garantire il rispetto del dettato normativo e rimuovere le situazioni di conflitto di interesse tra il profilo di responsabile di patronato e quello di membro del Comites;

   se si intenda avviare una istruttoria finalizzata all'accertamento, per quanto di competenza, delle violazioni dei diritti dei lavoratori a cui si è fatto riferimento in premessa, verificatesi presso il patronato Inca Cgil di Monaco di Baviera.
(4-00360)

  Risposta. — Con messaggio del 21 luglio 2015 diretto alla rete diplomatico-consolare, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale richiamava il profilo istituzionale dei Patronati e confermava l'applicazione della causa di ineleggibilità dei loro membri all'interno dei Comites, come previsto dall'articolo 5 comma 4 della legge 286 del 2003. Allo stesso tempo rilevava che appartiene, in via esclusiva, ai Comites la responsabilità e la competenza a deliberare in materia di cause di ineleggibilità o incompatibilità, come prescritto dall'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 2003, n. 395. Al riguardo merita segnalare che il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale nei casi analoghi a quello lamentato per Monaco, si è attivato per promuovere l'interessamento delle competenti strutture consolari; in alcuni casi la situazione si è risolta con le dimissioni spontanee dei membri interessati.
  Il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, a seguito della proposta di riforma degli organismi di rappresentanza delle comunità italiane all'estero presentata dal Consiglio generale degli italiani all'estero in base a quanto deciso dall'assemblea plenaria del novembre 2017, ha fatto presente al Consiglio generale degli italiani all'estero la necessità di cogliere tale occasione per ripensare il sistema di verifica delle condizioni di incompatibilità e ineleggibilità dei membri dei Comites, per una più efficace garanzia dei ruoli. A tale riguardo ha fatto presente che è auspicabile, in base al principio generale «
nemo iudex in re sua», il costruttivo coinvolgimento dell'Autorità consolare di fronte all'eventuale inerzia del Comitato che non dovesse provvedere alla rimozione di un'evidente causa di incompatibilità; in particolare l'Autorità consolare, dopo aver sollecitato senza successo il Comites, dovrebbe poter dirimere la questione direttamente o, in alternativa, con ricorso alla competente direzione generale del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, anche nell'ottica di un potenziamento del sistema di soluzione delle controversie previsto dall'articolo 24 della legge, con lo scopo di garantirne l'applicazione anche su istanza dell'Autorità consolare e non solo del Comitato come finora consentito.
  Circa il caso specifico relativo al patronato Inca/Cgil di Monaco di Baviera, il competente consolato generale era stato a suo tempo interessato ed aveva accertato quanto segue. Nel convalidare i risultati delle elezioni Comites del 18 aprile 2015, il Comites di Monaco di Baviera non rilevava l'incompatibilità della eletta presidente del Comites in rapporto alla legge 152 del 2001. Con lettera del 21 luglio 2015 il Console generale
pro tempore ricordava alla presidente del Comites che il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, con il citato messaggio del 23 luglio 2015, aveva ribadito le disposizioni in merito all'incompatibilità tra la carica di membro del Comites e di membro di patronato operante all'estero. Con riferimento all'elezione della stessa il Console generale invitava pertanto la presidente «a valutare la questione, tenuto conto che appartiene allo stesso Comites, in via esclusiva, la responsabilità e la competenza di deliberare in materia ex articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 395 del 2003».
  A seguito della predetta lettera la questione veniva discussa dal Comites nella riunione del 14 novembre 2015 e il relativo verbale riportava che tutti i consiglieri, ad eccezione di due, si dichiaravano a favore della permanenza dell'interessata nel Comites, non ritenendo la sua posizione tra quelle che la legge indica come non compatibili, non essendo ella dipendente di un patronato ma di una «associazione registrata» tedesca.
  Tale posizione è stata sostenuta anche dal patronato Istituto nazionale confederale di assistenza – coinvolto dal Ministero del lavoro – secondo il quale la «signora Lara Galli non ha alcun ruolo di rappresentanza legale né del nostro istituto di patronato, né dell'associazione Istituto nazionale confederale di assistenza Germania e V, della quale è esclusivamente dipendente». Al riguardo si precisa che dalle tabelle statistiche relative alla struttura organizzativa riferita all'anno 2017 trasmesse dal patronato al Ministero del lavoro ai sensi dell'articolo 11, comma
c) del decreto ministeriale 193 del 2008, la Signora Galli risulta indicata quale responsabile dell'ufficio Istituto nazionale confederale di assistenza di Monaco.
  In definitiva nella fattispecie specifica la sede consolare competente aveva intrapreso ogni azione possibile per sensibilizzare sulla questione, non potendo peraltro, come ricordato, destituire un membro eletto del Comites.
  Quanto all'avvio di «un'istruttoria finalizzata all'accertamento delle violazioni dei diritti dei lavoratori presso il patronato Inca Cgil di Monaco di Baviera», il competente Ministero del lavoro precisa che gli istituti di patronato e di assistenza sociale, in considerazione della rilevanza del ruolo sociale assunto, delle funzioni svolte e dello specifico sistema di finanziamento, sono sottoposti alla vigilanza dello stesso Ministero del lavoro (articolo 15 legge n. 152 del 2001 e articolo 10 decreto ministeriale n. 193 del 2008) il quale, annualmente, in Italia e all'estero, verifica la quantità e la qualità dell'attività svolta e la rispondenza degli uffici e della loro organizzazione ai parametri stabiliti dalla legge e dalle disposizioni regolamentari.
  Infine, quanto alla vicenda lavorativa della signora R.M., la competente direzione generale del Ministero del lavoro ha richiesto informazioni al patronato Istituto nazionale confederale di assistenza e ricevuto altresì la dichiarazione del coordinatore dell'associazione Inca Germania, signor Luigi Brillante. Dall'esame del carteggio ricevuto emerge che:
  le cause dell'interruzione del rapporto di lavoro della signora sono ascrivibili alle circostanze che «il rendimento carente, le numerose assenze (non sempre ascrivibili a motivi di salute), e la scarsa cooperazione ed assunzione di responsabilità nei confronti anche dei colleghi di lavoro, erano tali da tradursi in un rendimento insufficiente ad ottemperare agli obblighi lavorativi previsti dal contratto di lavoro»;
  «la signora R.M. assistita dal suo legale, a seguito del licenziamento del 22 maggio 2017, ha accettato la conciliazione propostale nell'udienza di luglio 2017 presso il Tribunale di Monaco, con la quale le sono stati corrisposti tutti i compensi che le spettavano in base alla normativa vigente che disciplina i rapporti di lavoro»
.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Ricardo Antonio Merlo.


   COMENCINI, VALBUSA, PATERNOSTER. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   in data 3 agosto 2018, per l'ennesima volta, si è allagato il sottopasso della Transpolesana 434, che corre nel territorio di San Giovanni Lupatoto (Verona), causando forti disagi al traffico con ripercussioni e rallentamenti sulle strade di decine di comuni veronesi;

   il problema si ripresenta ogni qual volta c'è un acquazzone con la conseguente formazione di chilometri di coda sulla rete stradale di mezza provincia: in tal modo, vengono colpiti cittadini, lavoratori e imprese;

   sembra che la causa dell'allagamento sia riconducibile alla mancata entrata in funzione delle pompe idrovore che dovrebbero mantenere sgombro il sottopasso succitato in caso di pioggia;

   il tratto stradale è di competenza dell'Anas e sul territorio della provincia veronese questa ha competenza su sole due tratte stradali: parte della strada statale 434 e parte della statale 12 Abetone-Brennero –:

   quali siano le cause di tali ripetuti allagamenti che causano gravi disagi in un punto strategico per la viabilità della Transpolesana e non solo;

   quali iniziative intenda prendere il Ministro interrogato, per quanto di competenza, affinché l'ente nazionale per le strade intervenga per evitare l'allagamento del sottopasso succitato e le conseguenze legate al traffico e alla sicurezza stradale.
(4-00941)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Nel tratto iniziale della strada statale 434 Transpolesana, dal chilometro 2+400 al chilometro 8+400, sono presenti due gruppi di impianti di pompaggio delle acque.
  In effetti, i diversi eventi meteorici a carattere di nubifragio hanno reso insufficiente il sistema di smaltimento delle acque piovane provenienti anche dalla adiacente rete stradale locale.
  La società Anas, interessata al riguardo, ha comunicato di aver elaborato uno studio preliminare per il potenziamento dello smaltimento delle acque meteoriche, il quale prevede la realizzazione di un impianto antiallagamento di emergenza per far convogliare il flusso anche nel canale artificiale Giulari.
  Al fine di programmare i necessari interventi per lo scarico nel suddetto canale, la medesima Anas ha già richiesto la prescritta autorizzazione agli uffici della regione Veneto.
  Il Ministero vigilerà sul prosieguo dell’
iter affinché i disagi segnalati possano essere risolti al più presto.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Danilo Toninelli.


   CONTE e MURONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   nella serata di domenica 24 giugno 2018, un vasto incendio è scoppiato nei depositi della Nappi Sud, un'azienda che si occupa di trattamento dei rifiuti nella zona industriale di Battipaglia;

   per cause ancora da chiarire, sono andate a fuoco, a stabilimento chiuso, senza particolari condizioni climatiche, due interi capannoni: in uno pare fossero stoccati rifiuti in legno, in un altro pare ci fossero solo uffici;

   sull'accertamento della natura dell'incendio, nonché su cause, responsabilità, moventi e dinamiche, sono al lavoro gli inquirenti;

   per i cittadini di Battipaglia sono state ore di grande disagio e forte preoccupazione, a causa della nube che si è sollevata dal rogo e che ha costretto in tanti a barricarsi in casa;

   l'episodio arriva a un anno esatto da un altro incendio che, nel giugno 2017, interessò l'azienda Sele Ambiente, anch'essa impegnata nel trattamento dei rifiuti e andata misteriosamente a fuoco;

   pochi giorni fa, un'altra ditta del ramo è stata interessata da un blitz dei carabinieri del nucleo operativo ecologico di Salerno, che hanno sequestrato un impianto di trattamento di rifiuti speciali per gravi violazioni di legge;

   in un tratto di meno di 7 chilometri tra Eboli e Battipaglia, si è consolidato un insediamento industriale di riciclaggio dei rifiuti composto da ben 20 impianti privati, capaci di trattare 2,5 milioni di tonnellate l'anno, una cifra equivalente a quasi tutto il fabbisogno regionale (che ammonta a 2,6 milioni di tonnellate);

   a questi si aggiungono due impianti pubblici: lo Stir di Battipaglia e quello di Eboli, che insieme trattano 114 mila tonnellate l'anno di frazione organica, pari al fabbisogno di Salerno e provincia;

   sull'area, incidono da anni, anche impianti dismessi di trattamento dei rifiuti mai bonificati;

   la zona si è trasformata, così, nel più mastodontico polo dei rifiuti d'Italia, con uno stravolgimento del territorio e rischi enormi per l'ambiente, la salute, l'assetto economico, vista anche la ricaduta su turismo e agricoltura, e non poche preoccupazioni per le possibili infiltrazioni malavitose nel tessuto industriale, dal momento che la cronaca spesso ha consegnato casi di interessi criminali nel ciclo dei rifiuti;

   gli incendi e gli eventi degli ultimi tempi riattivano le preoccupazioni per le ricadute sulla salute pubblica e sulla qualità dell'aria e del territorio, dentro una situazione ambientale di allarme sociale;

   la presenza oggettivamente sovradimensionata di impianti per il trattamento dei rifiuti in un'area così ristretta e l'assenza di confronto tra le istituzioni e le popolazioni, le quali da tempo si vedono calare dall'alto decisioni non concertate e non discusse, hanno generato un grosso allarme sociale;

   si rende ormai necessario avviare un piano complessivo di monitoraggio ambientale, epidemiologico e di impatto territoriale degli impianti di trattamento dei rifiuti, pubblici e privati, su tutta la zona;

   va al tempo stesso interessata l'Autorità nazionale anticorruzione, per verificare possibili infiltrazioni malavitose nel settore;

   va condotta un'analisi complessiva sull'attività dei privati, nel ramo rifiuti, e va avviata una fase nuova di bonifiche e di recupero ambientale –:

   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto in premessa e se intenda promuovere, nell'ambito delle proprie competenze, una iniziativa per approfondire i fatti citati e coordinare un'azione di monitoraggio, valutazione e intervento sull'area industriale tra Eboli e Battipaglia, ai fini della tutela dell'ambiente e del territorio.
(4-00567)

  Risposta. — Con riferimento alle questioni poste, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Per quanto concerne, in primo luogo, l'incendio verificatosi nel mese giugno di giugno 2018 presso la Nappi Sud di Battipaglia, sebbene dai primi rilievi si sia accertato che il rogo non ha interessato i rifiuti ma il capannone industriale con i macchinari ed alcuni materiali legnosi, il comune di Battipaglia, a fini esclusivamente cautelativi, ha emanato, nell'immediatezza dell'evento, un'ordinanza urgente disponendo, per tutti i residenti, l'allontanamento dalle case e dagli edifici ricadenti entro un faggio di 100 metri fino al termine delle operazioni di spegnimento. Sono, inoltre, intervenuti, l'Agenzia regionale per la protezione ambientale in Campania, le squadre dei vigili del fuoco e la polizia di Stato.
  Più in particolare, secondo quanto riferito dall'Arpac, dall'esito analitico del campionamento di terreno Top Soil per la verifica suolo è emerso che: i campioni di terreno C1 e C3 presentavano valori di concentrazione inferiori alle concentrazioni soglia di contaminazione (Csc) per i siti ad uso commerciale e industriale e il campione C2 di terreno presentava valori di concentrazione inferiori alle Csc per i siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale. Anche per quanto attiene la ricerca dei parametri Pcb, Pcdd, Pcdf gli esiti analitici hanno riportato, per tutti e tre i campioni esaminati, valori di concentrazione inferiore alle Csc per i siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale. In riferimento ai superamenti per il parametro berillio nei campioni di suolo denominati C1 e C3, l'Arpac ha ritenuto che gli stessi possano essere attribuiti a valori di fondo naturale. Inoltre, dalle risultanze analitiche dei campionamenti utili alla ricerca nell'aria di idrocarburi policiclici aromatici effettuati tra il 25 e il 26 giugno 2018, Arpac non ha evidenziato criticità in merito all'andamento della qualità dell'aria.
  In merito agli aspetti prettamente sanitari inerenti gli incendi in questione, la Asl competente ha riferito che non sono pervenute segnalazioni di fastidi o disagi da parte della popolazione circostante. La Asl ha inoltre attivato uno specifico monitoraggio sulla produzione agricola e sugli allevamenti.
  Con riferimento alla ditta Sele Ambiente, impianto interessato da un incendio verificatosi l'11 giugno 2017, la regione Campania ha rappresentato che l'Arpac con nota del 5 febbraio 2018 ha comunicato l'avvenuto ripristino delle strutture, degli impianti interessati dall'evento, la rimozione dei rifiuti combusti e dei rifiuti conseguenti all'incendio, nonché l'avvenuto espletamento delle attività finalizzate alla verifica di eventuali superamenti delle Csc, ai sensi dell'articolo 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006.

  Per quanto attiene, più in generale, il verificarsi nella Regione Campania di episodi incendiari, il Ministero dell'interno ha segnalato, da parte sua, di aver adottato apposita circolare del 13 luglio 2018, in seguito alla quale è stato deciso di sottoporre i siti regionali ad una più assidua attività di controllo, e di inserirli, quali obiettivi da vigilare, nell'ambito dei piani di controllo coordinato del territorio, adottando determinazione in tal senso in sede di Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica. Il Ministero dell'interno ha fatto presente, altresì, di aver richiamato l'attenzione del Presidente della provincia di Salerno - Ente che gestisce l'impianto S.T.I.R. di Battipaglia, nonché il Sindaco di Salerno, alla più ampia collaborazione per il soddisfacimento delle richiamate esigenze. I predetti enti hanno assicurato la loro tempestiva attivazione presso le società partecipate che gestiscono i siti di stoccaggio, per l'adozione delle necessarie misure di difesa passiva nelle strutture interessate.
  Ferme restando le considerazioni esposte, si segnala che, considerata la frequenza degli episodi di combustione, nel mese di marzo scorso, il Ministero dell'ambiente ha provveduto a pubblicare una circolare recante «Linee guida per la gestione operativa degli stoccaggi negli impianti di gestione dei rifiuti e per la prevenzione dei rischi», con l'obiettivo di prevenire l'innesco d'incendi e favorire la corretta gestione degli stoccaggi presso gli impianti di trattamento dei rifiuti. Il Ministero ha avviato, inoltre, congiuntamente al comando dei vigili del fuoco e alle autorità regionali, le attività finalizzate all'aggiornamento delle linee guida per una gestione in sicurezza dei rifiuti.
  La regione Campania a sua volta, ha fatto presente di aver avviato, con delibera 705 dell'ottobre 2018, un rafforzamento delle attività di pattugliamento per i siti ritenuti maggiormente sensibili e vulnerabili e di aver previsto, con legge regionale n. 29/2018, l'elaborazione di linee guida volte all'implementazione di misure di prevenzione antincendio per gli impianti di trattamento dei rifiuti.
  A ciò si aggiunga che, in fase di conversione del decreto-legge n. 113/2018, è stata introdotta una norma che prevede l'obbligo per i gestori di impianti di stoccaggio e lavorazione dei rifiuti di dotarsi di un piano di emergenza interna al fine, tra l'altro, di controllare e circoscrivere gli incidenti e provvedere al ripristino dell'ambiente; la norma prevede altresì che, al fine di limitare gli effetti dannosi di incidenti rilevanti, il Prefetto predispone un piano di emergenza esterna e ne coordina l'attuazione.
  Inoltre, nel recente Protocollo d'intesa sul «Piano d'azione per il contrasto dei roghi dei rifiuti» sono state introdotte, tra l'altro, specifiche misure volte ad intensificare il coordinamento delle attività di prevenzione, gestione dell'evento e ripristino delle aree coinvolte dagli incendi, allo scopo di aumentare la sicurezza del territorio e garantire la tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini.
  Alla luce delle informazioni esposte, si rassicura che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per quanto di competenza, monitora costantemente l'impatto regolatorio della normativa di settore e continuerà a svolgere le proprie attività di monitoraggio e controllo, senza ridurre in alcun modo il livello di attenzione su questa delicata questione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.


   DEIDDA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   l'autorità di sistema portuale del Mare della Sardegna è un ente con personalità giuridica di diritto pubblico dotato di autonoma finanziaria e di bilancio, istituita ai sensi del decreto legislativo n. 169 del 2016, nella quale sono confluite le ex autorità portuali di Cagliari e di Olbia-Golfo Aranci;

   attualmente, la medesima autorità è presieduta dal Presidente professore avvocato Massimo Deiana, il quale è succeduto al precedente commissario straordinario, Roberto Isidori, a sua volta nominato con decreto ministeriale 30 ottobre 2015, n. 358;

   la dotazione organica complessiva dell'autorità è attualmente ben oltre superiore alle 35 unità, comprensive di figure e profili professionali diversi, tra i quali personale a tempo determinato, nonché stagisti;

   la legge 12 marzo 1999, n. 68, così come anche modificata dal decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151, attuativo della legge 10 dicembre 2014, n. 183 (cosiddetto Jobs Act), ha previsto: a) l'istituzione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali del fondo per il diritto al lavoro dei disabili; b) l'istituzione ad opera delle regioni del fondo regionale per l'occupazione dei disabili; c) che gli uffici competenti, al fine di favorire l'inserimento lavorativo dei disabili, possano stipulare con il datore di lavoro convenzioni di integrazione lavorativa; d) che gli uffici competenti possano stipulare con i datori di lavoro privati – tenuti all'obbligo di assunzione di cui all'articolo 3 comma 1, lettera a), della citata legge n. 68 del 1999 – apposite convenzioni, finalizzate all'assunzione di soggetti disabili che presentino particolari caratteristiche e difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario, a fronte del conferimento di commesse di lavoro e contestuale assunzione del soggetto disabile da parte del soggetto conferente;

   la normativa italiana fa obbligo di assumere un numero determinato di persone portatrici di handicap a seconda del numero complessivo di dipendenti ed in particolare: da un minimo di 1 lavoratore (imprese con dipendenti in numero tra 15 e 35) ad un massimo del 7 per cento sul totale dei lavoratori occupati (imprese con dipendenti superiori a 50), con la previsione anche di agevolazioni fiscali per l'assunzione;

   la suindicata normativa risulta all'interrogante essere di frequente violata sia ad opera di soggetti privati che di amministrazioni pubbliche le quali preferiscono incorrere in sanzioni (pari a 63 euro giornalieri per ogni posto in organico lasciato libero e non ricoperto da un portatore di handicap), piuttosto che procedere all'assunzione di un disabile;

   secondo quanto risulta all'interrogante, nessun lavoratore portatore di handicap sarebbe stato assunto nell'ambito dell'autorità portuale in questione dal 2014 ad oggi;

   nel caso specifico dell'autorità portuale, trattandosi di un ente con personalità giuridica di diritto pubblico le condanne eventualmente comminate dalla Corte dei Conti, potrebbe riconoscere un «danno erariale», riconducibile alle recenti gestioni, dal momento che l'applicazione delle disposizioni in materia di assunzioni di soggetti portatori di handicap rientra negli atti di ordinaria amministrazione degli stessi –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione esposta in premessa e quali iniziative intendano adottare, per quanto di competenza, al fine di garantire, oltre che il rispetto della normativa da parte delle pubbliche amministrazioni, anche il pieno rispetto del diritto al lavoro delle persone con disabilità.
(4-00853)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  La direzione generale per la vigilanza sulle autorità portuali, le infrastrutture portuali ed il trasporto marittimo e per vie d'acqua interne ha comunicato che già nel 2016 la soppressa Autorità portuale di Cagliari, che contava un numero di dipendenti compreso tra 15 e 35, aveva provveduto, con decreto del commissario n. 70 del 29 aprile 2016, anche a seguito delle valutazioni intervenute con la competente agenzia per le politiche del lavoro per la Sardegna, a dare avvio ad una procedura selettiva per la copertura di un posto a tempo pieno e indeterminato da parte di un soggetto appartenente alle categorie protette di cui al l'articolo 1 della legge n. 68 del 1999.
  Al termine di tale procedura, con decreto n. 129 del 10 luglio 2017 è stata approvata la relativa graduatoria; l'autorità portuale ha quindi assunto il primo candidato, attualmente in servizio a tempo pieno e indeterminato dal 4 settembre 2017.
  A seguito poi della costituzione dell'autorità di sistema portuale del Mare di Sardegna con decreto del Presidente n. 100 del 30 marzo 2018 sono stati assunti anche il secondo e il terzo candidato, tramite scorrimento della graduatoria di cui al predetto decreto n. 129 del 2017.
  Infine, si fa presente che entro il corrente anno sarà conclusa anche la procedura selettiva avviata con decreto del Presidente n. 378 del 27 settembre 2018 per l'assunzione di un impiegato a tempo indeterminato appartenente alla categoria di cui all'articolo 18 della legge n. 68 del 1999.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Danilo Toninelli.


   GUIDESI, GRIMOLDI e RIBOLLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   in data 23 giugno 2015, la società Vis srl ha presentato istanza al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per l'attivazione di una procedura di valutazione di impatto ambientale (Via), ai fini della realizzazione di un impianto idroelettrico sul fiume Adda, denominato «Budriesse», che interessa il territorio dei comuni di Castelnuovo Bocca D'Adda (Lo), Maccastorna (Lo) e Crotta D'Adda (Cr);

   con parere n. 2367 del 21 aprile 2017 la commissione tecnica Via e Vas del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha ritenuto di non procedere all'ulteriore corso della valutazione del progetto, ai sensi del comma 3-ter dell'articolo 26 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni, per carenza e insufficienza delle integrazioni allo studio di impatto ambientale, richieste dalla regione Lombardia e dall'Aipo nel corso dell'istruttoria;

   è in itinere un supplemento dell'istruttoria tecnica, chiesto dalla Vis srl, che ha presentato integrazioni volontarie al progetto;

   su tali integrazioni l'Aipo ha espresso un parere favorevole, condizionato ad una serie di prescrizioni che, qualora ottemperate dalla società, modificherebbero in modo sostanziale l'intero progetto, il quale crea comunque impatti insostenibili per l'ambiente;

   il progetto prevede l'utilizzazione idroelettrica delle portate del fiume Adda, poco a monte della sua confluenza nel fiume Po, al confine tra le province di Lodi in sponda idrografica destra e di Cremona in sponda sinistra;

   si prevede il posizionamento di un impianto da 20 megawatt di potenza, per la produzione di energia elettrica con l'utilizzo di una traversa che genererebbe un invaso sul fiume per circa 10 chilometri verso monte, con una capienza di circa 3 milioni di metri cubi di acqua;

   il rigurgito generato dallo sbarramento comporterebbe modifiche anche ai terreni edificati, la sommersione delle sponde con conseguente moria di piante e arbusti, l'innalzamento della falda con variazioni anche superiori a 2 metri, nonché la sommersione delle opere di regimazione idraulica della Roggia Ferrarola;

   gli agricoltori sono in allarme, in quanto l'invaso comporterebbe alterazioni in una zona particolarmente sensibile al livello idrico e vocata all'attività agricola con presenza di allevamenti di bovini da latte e comporterebbe l'impossibilità di coltivare parecchi ettari con una conseguente perdita del valore fondiario;

   l'intervento incide sull'equilibrio ambientale e sulla morfologia del territorio e dovrebbe essere valutato con attenzione ai fini degli impatti ambientali e del mantenimento del deflusso minimo vitale e della tenuta delle sponde, anche in considerazione di un'ulteriore derivazione idroelettrica sulla stessa asta del fiume Adda, proposta dalla Edison spa, di cui influenzerebbe il salto idrico concesso;

   l'impianto rientra nella perimetrazione del parco regionale dell'Adda sud e si presenterebbe, secondo gli interroganti, in contrasto con le previsioni del piano territoriale di coordinamento del parco; le relative norme tecniche di attuazione ammettono la possibilità di realizzare centrali idroelettriche, in presenza di salti idraulici, purché non venga alterata «la morfologia fluviale, il valore naturalistico e paesaggistico del corso d'acqua interessato» e non si crei «una discontinuità dell'ecosistema fluviale»;

   il territorio interessato dalla realizzazione dell'impianto idroelettrico ricade in un'area fortemente vincolata anche dalla normativa del piano territoriale di coordinamento provinciale di Cremona e creerebbe notevoli impatti ambientali sul territorio che occorre mitigare o compensare –:

   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a evitare la realizzazione dell'impianto idroelettrico «Budriesse» della società Vis srl, sul fiume Adda, che interessa il territorio dei comuni di Castelnuovo Bocca D'Adda (Lo), Maccastorna (Lo) e Crotta D'Adda (Cr), valutando le conseguenze ambientali derivanti dalla realizzazione dell'opera, come esposte in premessa.
(4-00352)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'impianto idroelettrico «Budriesse», ricadente nei Comuni di Castelnuovo Bocca d'Adda (LO) e Crotta d'Adda (CR), sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Il procedimento di valutazione di impatto ambientale per il progetto sopra richiamato, la cui istanza è stata presentata dalla società proponente VIS S.r.l. in data 22 giugno 2015, ai sensi dell'articolo 23 del decreto legislativo n. 152 del 2006, è stato oggetto del parere della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale Valutazione impatto ambientale/Valutazione Ambientale Strategica n. 2367 del 21 aprile 2017, con il quale la stessa commissione, nel ritenere «carenti e insufficienti le integrazioni allo studio di impatto ambientale e alle richieste di documentazione progettuale formulate da parte della regione Lombardia e dell'Aipo», ha valutato che «non sussistono le condizioni per poter pervenire ad un parere di compatibilità ambientale sul progetto in questione» ed ha pertanto ritenuto «di non procedere all'ulteriore corso della valutazione del progetto definitivo di impianto idroelettrico “Budriesse” [...] ai sensi dell'articolo 26, comma
3-ter del decreto legislativo n. 152 del 2006».
  La regione Lombardia, da parte sua, si è espressa con la deliberazione di Giunta regionale n. 6367 del 20 marzo 2017, con la quale sono state rilevate «forti criticità in ordine alla compatibilità ambientale del progetto».
  Sul progetto dell'impianto idroelettrico il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo si è espresso con il parere protocollo 11788 del 14 aprile 2017, di esito positivo subordinatamente al rispetto di prescrizioni.
  Dando attuazione alle disposizioni di cui all'articolo 10-
bis della legge n. 241 del 1990, il Ministero dell'ambiente, nel mese di maggio 2017, ha comunicato l'esito dell'istruttoria di compatibilità ambientale alla società proponente.
  In riscontro a detta comunicazione, la società, nell'illustrare le proprie considerazioni in merito, ha richiesto una proroga di 180 giorni, concessa dal Ministero, dei termini per la conclusione del procedimento di cui all'articolo
10-bis, al fine di poter predisporre le integrazioni allo studio di impatto ambientale richieste dalla Regione Lombardia e dall'Aipo.
  Nel mese di novembre 2017, il proponente ha trasmesso la documentazione predisposta in riscontro agli adempimenti di cui all'articolo
10-bis della legge n. 241 del 1990.
  A seguito di un approfondito esame della predetta documentazione, la commissione tecnica Valutazione impatto ambientale/Valutazione Ambientale Strategica, in data 15 giugno 2018, si è espressa con il parere n. 2761, i cui esiti hanno confermato quanto espresso nel parere del 21 aprile 2017 con il quale aveva valutato che «non sussistono le condizioni per poter pervenire ad un parere di compatibilità ambientale sul progetto in questione».
  Con il sopra citato parere del 15 giugno 2018, la commissione ha, quindi, ritenuto «di non procedere all'ulteriore corso della valutazione del progetto definitivo di "impianto idroelettrico Budriesse [...] ai sensi dell'articolo 26, comma
3-ter del decreto legislativo n. 152 del 2006» e, altresì, di «poter rivedere l'esito del procedimento soltanto una volta sottoposto a valutazione istruttoria l'intero nuovo progetto, inclusa la conca di navigazione di cui alla prescrizione n. 8 del recente parere dell'Aipo».
  Alla luce degli esiti del parere n. 2761 sopra richiamato, il Ministero dell'ambiente sta predisponendo il provvedimento di archiviazione del procedimento di valutazione di impatto ambientale.
  Si ricorda, infine, che tutta la documentazione progettuale ed amministrativa, presentata dalla società proponente VIS S.r.l. nel corso del procedimento di compatibilità ambientale, unitamente alla documentazione integrativa, le osservazioni del pubblico, i pareri numeri 2367 del 2017 e 2761 del 2018 della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale Valutazione impatto ambientale/Valutazione Ambientale Strategica, i pareri del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e della regione Lombardia, è pubblicata sull'apposito portale del sito istituzionale del Ministero dell'ambiente.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.


   MANZO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il 10 giugno 2018 si è tenuto il primo turno delle elezioni amministrative in numerosi comuni campani, tra cui Castellammare di Stabia e Avellino. Procedendo con ordine, sul voto Stabiese è necessario un breve excursus relativo alle ultime elezioni dal 2010 ad oggi. Nel predetto intervallo, a Castellammare di Stabia, si è già votato ben quattro volte e ciò perché gli ultimi tre sindaci sono stati sfiduciati dalle rispettive maggioranze consiliari che, passando da destra a sinistra o viceversa, hanno sempre goduto di pacchetti elettorali confermati ad ogni singola elezione indipendentemente dallo schieramento;

   in occasione delle operazioni di voto del 10 giugno 2018, presto si è avuta notizia delle prime denunce per voto di scambio ai danni di due elettori che sono stati scoperti a fotografare la propria scheda votata. Ciò accadeva nel seggio n. 44 al quartiere Cicerone. Fatti che l'11 giugno 2018 venivano riportati anche dagli organi di stampa, dai quali si apprendeva che vi è stato un vero e proprio mercato dei voti; si veda al proposito l'articolo su Metropolis dell'11 giugno 2018, «Voti comprati per 50,00 euro» – La Procura apre una inchiesta di Tiziano Valle. Inoltre, l'articolo di Dario Sautto del 16 giugno 2018 pubblicato sul «IlMattino», «Castellammare, il clan nei seggi – pacchi alimentari e spesa farcita» che parla della vicenda legata alla distribuzione, da parte di un candidato al consiglio comunale, di pacchi alimentari «farciti di volantini elettorali», nonché della presenza di esponenti del clan Cesarano nel quartiere Ponte Persica;

   da quanto appreso dal citato articolo, questi hanno presidiato i seggi del predetto quartiere;

   anche ad Avellino, da quanto si apprende dalla stampa, in occasione del voto del 10 giugno, al Rione Valle, è stato individuato un uomo che ha fotografato il proprio voto, ottenendo in seguito una denuncia a piede libero. Tutto ciò nonostante il nostro questore di Avellino in sinergia con i carabinieri e i vigili urbani abbia organizzato un piano di sicurezza per garantire la correttezza delle operazioni di voto –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto denunziato in premessa e quali siano i suoi orientamenti in merito;

   se il Governo intenda farsi promotore di una iniziativa normativa per modificare la legislazione vigente al fine di perseguire in maniera più efficace il reato di voto di scambio politico-mafioso.
(4-00551)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante, facendo riferimento a presunte irregolarità verificatesi nel comune di Castellammare di Stabia (Napoli) e nel comune di Avellino durante le elezioni amministrative del 10 giugno chiede che vengano intraprese opportune iniziative normative volte a modificare la legislazione vigente al fine di perseguire in maniera più efficace il reato di voto di scambio politico-mafioso.
  In primo luogo si evidenzia che, per quanto riguarda la provincia di Napoli, le recenti elezioni amministrative hanno interessato venti comuni, di cui 12 con popolazione superiore a 15.000 abitanti e 8 con popolazione inferiore a detta soglia. Per garantire la complessiva regolarità delle consultazioni e prevenire il fenomeno del cosiddetto «voto di scambio», in tutte le realtà territoriali interessate, compresa quella di Castellammare di Stabia, la prefettura ha disposto mirati servizi sia in chiave di prevenzione generale e di controllo del territorio che di repressione di eventuali turbative, anche con l'impiego di personale di rinforzo delle forze dell'ordine.
  La tornata elettorale è stata oggetto di analisi di diverse riunioni di coordinamento delle forze di polizia, nel corso delle quali sono state definite le misure più idonee a garantire, a seconda del contesto territoriale, la regolarità dello svolgimento delle operazioni elettorali e a prevenire il rischio di forme di condizionamento e/o di inquinamento.
  Sul territorio è stata potenziata la presenza delle forze di polizia a garanzia di tutti i partecipanti alla competizione, proprio al fine di prevenire e contrastare possibili turbative nella fase della campagna elettorale. In quest'ottica sono stati intensificati anche i dispositivi di protezione a tutela degli obiettivi istituzionali, alle sedi dei partiti e dei movimenti politici.
  Si sottolinea, altresì, che in occasione dei ballottaggi, oltre ai servizi di vigilanza fissa presso i seggi elettorali, la questura di Napoli, ha programmato un ulteriore impiego di risorse per un'attività di vigilanza dinamica.
  Si soggiunge, sulla base di quanto riferito dalla predetta questura, che nella mattinata del 10 giugno 2018, personale del locale commissariato di Polizia di Stato, nell'ambito delle attività di controllo presso i seggi elettorali del comune di Castellammare di Stabia, è intervenuto presso la sezione n. 44, dove ha proceduto all'identificazione di alcuni elettori che il presidente del seggio aveva denunciato per aver fotografato con il proprio cellulare la loro espressione di voto.
  Gli atti acquisiti sono stati trasmessi alla competente autorità giudiziaria.
  Per quanto concerne, poi, le consultazioni amministrative per la scelta del sindaco di Avellino, è stato segnalato al Comando provinciale dei Carabinieri un elettore di anni 45 per aver fotografato con il proprio telefonino all'interno della cabina elettorale la scheda elettorale su cui aveva già espresso il voto. Della circostanza è stata informata la Procura della Repubblica di Avellino che ha proceduto per violazione di cui all'articolo comma 1 e 4 del decreto-legge n. 49 del 2008.
  Successivamente, in data 14 giugno 2018, il tribunale di Avellino ha emesso un decreto penale di condanna all'ammenda di euro 3.200. La scheda elettorale e stata annullata nell'immediatezza dal Presidente di seggio.
  Riguardo, poi, alle eventuali modifiche normative per rendere sempre più trasparente il procedimento elettorale in ogni sua fase, si assicura che è una priorità di questo Esecutivo l'approvazione di norme utili a disinnescare ogni tentativo di distorsione e inquinamento del voto.
  In tale direzione è vista con estremo favore l'iniziativa normativa n. S. 859, degli onorevoli Nesci ed altri, attualmente all'esame del Senato dopo l'approvazione alla Camera; proposta di legge già approvata in prima lettura, sul finire della passata legislatura con un'ampia convergenza politica.
  Sicuro beneficio in termini di trasparenza dei procedimenti elettorali potrà derivare dalle modifiche che si intendono apportare al sistema di scelta degli scrutatori, oggi rimesso alle decisioni delle commissioni elettorali comunali con il solo vincolo di individuarli dall'apposito albo.
  La reintroduzione del sistema del sorteggio degli scrutatori non può che essere vista con favore e ciò unitamente alla previsione di specifiche nuove ipotesi di incompatibilità, al divieto di ricoprire per più di due volte le funzioni di componente di seggio nella stessa sezione elettorale e, infine, alla specifica formazione da destinare a presidenti e scrutatori sulle procedure elettorali e sui modi per prevenire e individuare i tentativi di broglio.
  Si segnala, infine, che è intenzione del Ministero dell'interno approfondire le ipotesi tecniche e di fattibilità per l'introduzione del voto elettronico nel nostro Paese.
  E in tal senso, è in via di istituzione un apposito gruppo di esperti, rappresentanti delle diverse amministrazioni interessate, cui sarà affidato uno studio di fattibilità, attuativa e tecnico-organizzativa, del voto e dello scrutinio elettronico che, partendo delle esperienze pregresse italiane e straniere, possa delineare un modello che contemperi le esigenze di modernizzazione e snellimento delle procedure elettorali con le necessarie garanzie formali e costituzionali.
  Quanto, infine, alla specifica richiesta di iniziative normative per perseguire in maniera più efficace il reato di voto di scambio politico-mafioso, informo che proprio nella direzione auspicata dall'interrogante si muove il disegno di legge C-1302 del senatore Giarrusso e altri, attualmente all'esame della Camera dei deputati e già approvato dall'altro ramo del Parlamento il 24 ottobre 2018.
  

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo Sibilia.


   MARAIA, VIGNAROLI, MAGLIONE e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   nella discarica di rifiuti solidi urbani sita in località Difesa Grande ad Ariano Irpino (Avellino), gestita dalla Asi-Dev Ecologia S.r.l. ed attualmente dismessa, sono stati sversati abusivamente fanghi tossici industriali, come accertato dalla sentenza n. 241/2013 del tribunale di Ariano Irpino;

   malgrado ciò la discarica è stata dichiarata sito non inquinato dal verbale della conferenza di servizi dell'11 dicembre 2014 della regione Campania, che ha recepito le valutazioni dell'analisi di rischio redatta l'11 ottobre 2014 dall'Asi-Dev;

   ciò nonostante, la presenza nel sito di elevate concentrazioni di sostanze inquinanti;

   l'aver dichiarato la discarica «sito non inquinato» sembrerebbe essere frutto di quelle che appaiono agli interroganti violazioni della normativa di settore:

    1) l'Asi-Dev, nel valutare il rischio derivante dalle sostanze tossiche all'interno della discarica, secondo gli interroganti ha erroneamente applicato i parametri normativi relativi ai siti a destinazione d'uso industriale-commerciale di cui alla colonna B della tabella 1 dell'Allegato 5 al Titolo V, parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006. Ciò avveniva nonostante la discarica non sia considerabile sito industriale, perché destinata a rifiuti solidi urbani ed insiste su un'area destinata dal piano urbanistico comunale all'uso di attrezzature eco-ambientali. L'Asi-Dev doveva applicare i più restrittivi parametri di cui alla colonna A della citata tabella 1, rispetto ai quali si sarebbero evidenziati sforamenti di quasi tutte le sostanze inquinanti;

    2) l'Asi-Dev, per dimostrare la non contaminazione da ferro e manganese della zona esterna alla discarica, ha applicato un parametro di confronto basato sul cosiddetto «valore di fondo naturale» senza argomentare l'esistenza di fattori antropici o naturali che abbiano alterato, a prescindere dalla discarica, la conformazione chimica del terreno. Inoltre, il valore del fondo naturale è stato calcolato sulla base di analisi condotte su campioni verosimilmente già inquinati, perché prelevati nello stesso sito della discarica; in tale modo la società Asi-Dev Ecologia S.r.l. agirebbe incontrastato con il protocollo dell'Ispra dell'aprile 2009 e la delibera dell'Ispra n. 20/2017 che prescrivono che le campionature del fondo naturale devono essere effettuate in zone limitrofe e distanti dai fattori di inquinamento;

    3) l'analisi di rischio non sembra tener conto del fatto che il sito della discarica è stato dichiarato ad «elevata pericolosità di frana» dall'Autorità di bacino della Puglia, con nota dell'11 dicembre 2014, la quale evidenzia che la discarica è attualmente interessata da un fenomeno franoso. Tale profilo di rischio non è stato preso in considerazione dalla conferenza di servizi della regione Campania, circostanza che potrebbe comportare un danno ambientale in caso di cedimento della discarica con conseguente fuoriuscita del suo contenuto;

   infine, si evidenzia che la discarica, con accordo operativo del 18 luglio 2011 è stata ammessa ad un progetto di bonifica finanziato dal Governo per 6.480.000,00 euro nell'ambito del programma strategico per le compensazioni ambientali nella regione Campania, somma attualmente congelata per espressa richiesta del comune di Ariano Irpino avanzata il 18 dicembre 2012 nell'ambito di una riunione del comitato di controllo dell'accordo –:

   quale sia l'orientamento del Ministro, per quanto di competenza, rispetto alle anomalie contenute nell'analisi di rischio Asi-Dev e nel verbale della conferenza di servizi dell'11 dicembre 2014;

   se il Governo intenda sbloccare il finanziamento di 6.480.000,00 euro stanziato con l'accordo di programma, e vincolare la sua spesa esclusivamente alla realizzazione della bonifica della discarica, escludendo progetti diversi;

   se non si ritenga opportuno, al fine di evitare un possibile danno ambientale, valutare se sussistono i presupposti per l'invio del comando dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente presso la discarica di Difesa Grande, anche nell'ottica di effettuare nuove analisi, in particolare sul percolato della discarica che ancora adesso viene costantemente prelevato e portato nei depuratori delle limitrofe aree industriali.
(4-01089)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  La discarica sita in località Difesa Grande, nel comune di Ariano Irpino, non è mai stata ricompresa nella perimetrazione di alcun sito di bonifica di interesse nazionale, pertanto, le competenze procedimentali in materia di bonifica su tale area sono in capo alla regione Campania, ai sensi dell'articolo 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Al riguardo, la ragione Campania ha fatto presente che l'importo di euro 6.480.000,00, tratto dalle risorse in quota al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, stanziato dal Governo con accordo di programma a favore del comune di Ariano Irpino nell'ambito dell'accordo di programma compensazioni ambientali, era destinato al progetto di bonifica della discarica Difesa Grande, con soggetto attuatore (per la fase della progettazione e dell'attuazione) la società Sogesid S.p.a.
  A seguito della caratterizzazione ed analisi di rischio effettuata dal soggetto gestore della discarica, il sito, all'esito della conferenza di servizi dell'11 dicembre 2014, è stato ritenuto non contaminato e, quindi, non da bonificare.
  Conseguentemente, il Comune ha chiesto di utilizzare il predetto finanziamento per la realizzazione di interventi afferenti il settore del ciclo integrato delle acque, settore considerato prioritario nell'accordo al pari delle bonifiche.
  La Regione, non avendo motivi ostativi al riguardo, con nota del 28 gennaio 2015, ha comunicato detta decisione al Ministero, titolare delle risorse, ai fini della presa d'atto da parte del comitato di indirizzo e controllo dell'accordo.
  Il comitato, nella seduta del 26 maggio 2015, risulta aver preso atto della decisione assunta.
  A seguito di tale decisione il soggetto attuatore, Sogesid S.p.a., ha avviato le attività tecniche di competenza funzionali alla progettazione degli interventi sostitutivi nel settore delle acque.
  Tanto premesso, in relazione alle analisi condotte dalla società ASI-DEV-Ecologia s.r.l. sul sito per verificarne lo stato di contaminazione, la regione Campania ha evidenziato che gli esiti dell'attività suddetta sono stati partecipati agli enti nell'ambito della Conferenza di servizi sopra indicata. Ad ogni modo, la stessa regione si è detta disponibile a programmare qualsiasi ulteriore attività ritenuta necessaria sul sito in questione.
  Alla luce delle informazioni esposte, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per quanto di competenza, rassicura comunque che continuerà a svolgere la propria attività di monitoraggio, senza ridurre in alcun modo il livello di attenzione su questa vicenda.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.


   PAITA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   a seguito delle analisi condotte da Arpal è stata segnalata la presenza di alghe tossiche lungo i litorali compresi tra Arenzano e Savona;

   le analisi segnalano la presenza di 68 mila cellule per litro d'acqua con relativa assegnazione di un codice giallo rispetto alla pericolosità;

   ad essere interessati sono i comuni di Arenzano, Cogoleo, Varazze, Celle, Albissola fino a Savona;

   non è stato disposto nessun divieto di balneazione ma è stata segnalata la necessità di fare attenzione ad immergersi in acque con poco ricambio;

   è comunque del tutto evidente che si tratta di una situazione di criticità che rischia di avere ripercussioni anche sulla stagione turistica –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative intenda assumere al fine di contrastare il suddetto fenomeno e di tutelare gli operatori turistici da possibili ripercussioni negative in termini di presenze lungo i litorali interessati.
(4-01312)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare si rappresenta che la proliferazione algale è imputabile alla specie
Ostreopsis cf ovata, una microalga bentonica potenzialmente tossica di probabile origine tropicale, rinvenuta nel mediterraneo a partire dagli anni 70, in Italia dal 1989.
  In situazioni meteoclimatiche e di conformazione costiera favorevoli detta specie può moltiplicarsi in maniera incontrollata, dando luogo a vere e proprie proliferazioni massive, i cosiddetti
bloom, tipicamente nel periodo estivo. Dai numerosi studi effettuati in materia, emerge che, pur trattandosi di fenomeni pressoché naturali, il surriscaldamento globale contribuisce in maniera determinante all'espansione di questo organismo nel mediterraneo mentre resta incerto se, tra i fattori scatenanti, possano essere annoverati gli effetti conseguenti ad attività antropiche.
  La specie in argomento, stante la sua potenziale capacità di produrre tossine con effetti avversi sull'uomo e su alcuni organismi acquatici, è oggetto di un monitoraggio specifico, correlato alla gestione delle acque di balneazione, limitatamente alle aree costiere italiane ciclicamente soggette a tali proliferazioni.
  Dal punto di vista normativo, la sorveglianza algale rientra nelle attività di controllo disciplinate dal decreto legislativo n. 116 del 2008, di recepimento della direttiva 2006/7/CE concernente la gestione della qualità delle acque di balneazione e dal relativo decreto attuativo decreto ministeriale 30 marzo 2010.
  In particolare, all'articolo 12, comma 1, del decreto legislativo in questione è disposto che: «Qualora il profilo delle acque di balneazione mostri una tendenza alla proliferazione di macroalghe o fitoplancton marino, le regioni e le province autonome provvedono allo svolgimento di indagini per determinarne il grado di accettabilità e i rischi per la salute ed adottano misure di gestione adeguate...».
  Inoltre l'articolo 3, comma 1, del decreto ministeriale 30 marzo 2010 prevede che «Qualora il profilo delle acque di balneazione indichi un potenziale di proliferazione cianobatterica o di macroalghe, fitoplancton o fitobentos marino, le Regioni e le Province autonome provvedono ad effettuare un monitoraggio adeguato per consentire un'individuazione tempestiva dei rischi per la salute ... adottando i criteri contenuti nelle linee guida del Ministero della salute su Ostreopsis ovata di cui all'allegato C e successive modificazioni ed i protocolli operativi realizzati dall'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale in collaborazione con le Agenzie regionali protezione ambientale...».
  Le linee guida citate sono state aggiornate nel 2014 e pubblicate come rapporto Istisan 14/19 dell'Istituto Superiore di Sanità (Iss).
  Tale documento prevede tre profili di rischio in cui possono essere inquadrate le zone interessate, definiti in base al numero di cellule
Ostreopsis determinate in colonna d'acqua e alle condizioni ambientali e meteorologiche: fase di routine, fase di allerta e fase di emergenza. Per ognuna di queste fasi sono previste attività e misure di gestione diverse, via via più incisive con l'aumento del rischio, a carico degli enti territoriali competenti (regione, comuni, Arpa, Asl).
  Relativamente al caso in questione, la regione Liguria ha individuato 14 aree nell'ambito delle quali dare attuazione ad un programma di sorveglianza dell’
Ostreopsis ovata.
  A seguito del monitoraggio eseguito nel mese di luglio 2018 nel tratto di costa in argomento, è stata accertata una proliferazione di
Ostreopsis ovata quantificata in 68.480 cellule/litro, per cui le autorità competenti hanno dovuto innalzare l'area alla fase di allerta in considerazione del numero di cellule misurate e delle condizioni meteoclimatiche al contorno, così come indicato nelle linee guida dell'ISS.
  Si precisa che, in tale situazione, le disposizioni normative e regolamentari vigenti, non prevedono, necessariamente, l'adozione di un provvedimento di divieto di balneazione. Di contro, è richiesto che sia data necessaria ed esaustiva informazione alla cittadinanza circa gli eventuali rischi connessi alla balneazione o ad altre attività ricreative nelle spiagge interessate dal fenomeno.
  La regione Liguria ha fatto presente, da parte sua, che, in relazione alle condizioni ambientali rilevate, sono state adottate tutte le misure di prevenzione a tutela della salute della cittadinanza.
  L'Arpal, da ultimo, ha verificato che in un campionamento supplementare effettuato a fine luglio 2018, il numero delle cellule misurate nello stesso punto era sceso a 5.840 cellule/litro, valore per il quale, sempre secondo quanto riferito dall'agenzia, non sussiste alcun profilo di rischio specifico.
  Il Ministero, per quanto di competenza, continuerà comunque a tenersi informato e continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio nei confronti dei soggetti territorialmente competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.


   PALAZZOTTO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato la Turchia per l'arresto di Selahattin Demirtas, uno dei leader del principale partito filo-curdo della Turchia, il Partito democratico popolare (Hdp). La Corte ha stabilito che la detenzione mira a «soffocare il pluralismo» nel Paese. Ha esortato quindi Ankara a liberare il leader filo-curdo, arrestato nel novembre 2016;

   la sua detenzione costituisce una ingiustificata interferenza con la libera espressione del voto del popolo e il diritto del ricorrente a essere eletto e di esercitare il suo mandato parlamentare. Questo è quanto sostiene la Corte europea;

   Selahattin Demirtas è ricorso alla Corte di Strasburgo nel febbraio del 2017 assieme ad altri membri del partito pro curdo HDP, tutti eletti in parlamento, arrestati e tenuti in detenzione preventiva;

   si rammenta che oltre Demirtas si trovano in carcere anche la co-segretaria del partito Hdp, Figen Yuksekdag e altri 9 membri del medesimo partito;

   nel suo ricorso il leader politico sosteneva che il suo arresto, avvenuto il 4 novembre 2016, e la sua detenzione in attesa di giudizio violavano i suoi diritti e il 20 novembre la Corte europea dei diritti umani gli ha dato ragione;

   in particolare nella sentenza si evidenzia che, nell'estendere ripetutamente la detenzione di Demirtas, i giudici turchi non hanno mai condotto un'analisi approfondita delle ragioni che rendevano necessaria la sua carcerazione, limitandosi a fornire motivazioni generiche;

   inoltre, secondo i giudici europei, da tutte le informazioni fornite alla Corte è difficile sostenere che il leader pro curdo, se rilasciato, avrebbe deciso di fuggire all'estero per sottrarsi alla giustizia;

   la continuata detenzione di un leader dell'opposizione non ha messo a repentaglio solo i suoi diritti, ma il sistema democratico del Paese;

   il presidente turco Erdogan ha respinto la sentenza della Corte europea dei diritti umani, sostenendo di non essere vincolato al suo rispetto;

   a parere dell'interrogante gli arresti, i processi e le detenzioni che hanno colpito il partito Hdp sono illegali, e sono stati perpetrati con fini puramente politici, essendosi rivelate infondate tutte le accuse in cui è stato coinvolto Demirtas;

   un Paese che rimane candidato all'ingresso nell'Unione europea non può non rispettare le sentenze della Corte europea, così come non può violare i più basilari diritti umani e del resto anche in passato non sono mancati casi di sentenze accettate e rese esecutive anche da parte della Turchia;

   l'Alta rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri, Federica Mogherini, durante un viaggio ad Ankara ha auspicato che il rilascio di Demirtas avvenga in tempi brevi, così come il segretario generale del Consiglio d'Europa e la Presidente dell'assemblea parlamentare dell'organizzazione hanno dichiarato come le autorità turche dovrebbero comunque rilasciare Demirtas;

   il Ministro degli esteri turco ha accusato il capo della diplomazia dell'Unione europea Federica Mogherini di aver oltrepassato il suo mandato chiedendo il rilascio del leader curdo Selahattin Demirtas;

   quello che è accaduto in questi anni in Turchia contro l'opposizione democratica e parlamentare è inaccettabile e l'Italia, secondo l'interrogante, non si può permettere, da una parte, i «tappeti rossi» quando giungono nel nostro Paese rappresentanze del regime di Erdogan, e poi rimanere inerte e silente di fronte al continuo disprezzo e oltraggio dei valori democratici, dei diritti umani e del Parlamento di quel Paese;

   il Governo italiano ha il dovere di rendersi protagonista nella battaglia per il rispetto dei diritti umani –:

   se e quali iniziative di competenza, anche di tipo diplomatico, il Governo intenda intraprendere nei confronti del Governo turco a seguito della sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo richiamata in premessa e, ad oggi, non osservata dalla Turchia.
(4-01749)

  Risposta. — Con sentenza pubblicata il 20 novembre 2018, la Corte europea dei diritti dell'uomo (Corte EDU) ha chiesto alla Turchia di adottare tutte le misure necessarie per porre fine alla custodia cautelare del leader del Partito democratico del popolo (HDP), Selahattin Demirtas, iniziata il 4 novembre 2016. La Corte ha inoltre condannato la Turchia a pagare 10.000 euro per danni morali e altri 15.000 euro per le spese legali e accessorie.
  Nella sentenza è stata rilevata, tra l'altro, la violazione dell'articolo 18 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), in combinato con l'articolo 5.3; la Corte ha sottolineato, in particolare, che le ragioni della detenzione di Demirtas sono strettamente collegate alla sua attività politica quale
leader di un partito di opposizione nella scena politica turca. Sulla violazione dell'articolo 18, la giudice Karakaş (turca), parte della giuria, ha depositato una memoria di dissenso.
  La sentenza in parola non risulta ancora definitiva ai sensi dell'articolo 43 della CEDU, secondo il quale «entro un termine di tre mesi a decorrere dalla data della sentenza di una Camera, ogni parte alla controversia può/ ...../ chiedere che il caso sia rinviato dinnanzi alla Grande Camera». In tal caso, un collegio di cinque giudici della Grande Camera è chiamato ad esaminare la domanda prima che la Grande Camera si pronunci con una propria sentenza.
  Poiché quella del 20 novembre non è una sentenza definitiva, non è previsto al momento un dibattito formale in sede di Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa in formato Diritti umani (CM-DH), organo deputato a monitorare l'esecuzione delle sentenze della Corte EDU.
  Il rilascio di Demirtas è stato invocato dalla Unione europea durante il dialogo politico di alto livello UE-Turchia del 22 novembre 2018 ad Ankara.
  Il successivo 28 novembre la delegazione dell'Unione europea a Strasburgo (EUDEL) ha depositato una propria dichiarazione, che rimane agli atti della riunione del Comitato dei ministri di quel giorno. In tale documento l'Unione europea prende nota della sentenza della Corte EDU, secondo cui la continua detenzione di Selahattin Demirtas è in violazione dei suoi diritti ai sensi della CEDU; ribadisce inoltre la richiesta di rilascio di Demirtas a breve, in linea con gli obblighi della Turchia in qualità di membro del Consiglio d'Europa.
  L'Italia è fortemente impegnata a livello internazionale per la promozione e il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, incluse la libertà di espressione e di opinione. Il nostro Paese sostiene altresì l'attività della Corte europea dei diritti dell'uomo, le cui sentenze sono obbligatorie.
  L'Italia, in ambito UE, continuerà a monitorare la situazione venutasi a creare in Turchia a seguito della sentenza del 20 novembre della Corte EDU e a promuovere il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, in linea con gli obblighi internazionali di ciascuno Stato.
  Al contempo continuerà ad assicurare, anche nei fori UE dedicati all'allargamento ai Paesi candidati, adeguata attenzione all'esigenza di veicolare fermi e chiari messaggi sul rispetto dello stato di diritto da parte di Ankara.
  A tal proposito, è opportuno ricordare che gli sviluppi intervenuti nel quadro politico turco a seguito del colpo di stato del luglio 2016 hanno indotto il Parlamento europeo a chiedere la sospensione dei negoziati di adesione fino alla normalizzazione della situazione interna e la Commissione ad escludere esplicitamente la prossima apertura di ulteriori capitoli negoziali.
  L'impossibilità di prevedere l'apertura di nuovi capitoli negoziali è stata confermata da ultimo anche nel rapporto Paese Turchia, pubblicato il 17 aprile 2018, nel quadro del pacchetto allargamento 2018.

La Viceministra degli affari esteri e della cooperazione internazionale: Emanuela Claudia Del Re.


   PARENTELA e D'IPPOLITO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   con deliberazione n. 156 del 19 dicembre 2016 il consiglio regionale della Calabria ha approvato il piano regionale di gestione dei rifiuti (Prgr) e il piano regionale amianto per la Calabria (Prac);

   dall'insediamento del presidente della giunta regionale Mario Oliverio sono state emanate, fino ad oggi, undici ordinanze contingibili e urgenti, ai sensi dell'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006 per il conferimento dei rifiuti solidi urbani della regione Calabria;

   il Prgr evidenzia la «necessità di incidere significativamente sull'adeguamento dell'attuale sistema impiantistico regionale in maniera tale che lo stesso sia orientato a quelle necessarie attività di supporto alla raccolta differenziata e, attraverso l'impiego di tecnologie di recupero spinto, possa ulteriormente incidere sul recupero di quelle materie riciclabili ancora contenute nei rifiuti urbani indifferenziati a valle della raccolta differenziata», nell'ottica di ridurre drasticamente la dipendenza del sistema regionale dalle discariche o dalla combustione;

   la regione Calabria, per affrontare una situazione diventata oggi estremamente critica, conseguentemente a una gestione dei rifiuti non in linea con i dettami della normativa comunitaria e nazionale, e che ha determinato l'avvio di procedure d'infrazione a suo carico, nelle more della costituzione delle comunità d'ambito, si è attivata in loro sostituzione per affidare i progetti per la ristrutturazione degli impianti di trattamento previsti nel nuovo assetto e per dare inizio alle relative procedure di istruttoria e di valutazione, a valle delle quali si potrà procedere con l'affidamento delle attività di realizzazione degli stessi;

   le ordinanze contingibili e urgenti, ai sensi del già richiamato articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006, in base, al comma 1, possono essere emesse — qualora si verifichino situazioni di eccezionale e urgente necessità — per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti anche in deroga alle disposizioni vigenti nel rispetto comunque delle disposizioni contenute nelle direttive dell'Unione europea e hanno efficacia per un periodo non superiore a sei mesi;

   il potere di ordinanza presenta numerose problematicità legate soprattutto all'adozione di provvedimenti che, a giudizio dell'interrogante, si pongono in contrasto con il principio di legalità in senso sostanziale. In tale ambito il diritto ambientale è intriso di norme — nella forma di regole ovvero di principi — di origine comunitaria, la cui derogabilità da parte di un atto amministrativo è difficilmente ammissibile, e anzi dovrebbe essere esclusa;

   a tal proposito, la norma introduce accanto al presupposto della «eccezionale ed urgente necessità» di tutela della salute e dell'ambiente, la precisazione che ai provvedimenti derogatori è possibile ricorrere solo qualora «non si possa altrimenti provvedere», introducendo un termine massimo di sei mesi all'efficacia dei provvedimenti ed un limite alla possibilità di reiterazione;

   la riformulazione attuata con il decreto-legge n. 80 del 2008, a modifica del comma 4 dell'articolo 191, ha eliminato ogni possibile incertezza interpretativa, perché specifica inequivocabilmente che nessuna forma speciale di gestione dei rifiuti può legittimamente protrarsi per più di 18 mesi –:

   di quali elementi disponga il Governo circa lo stato delle procedure relative all'attivazione degli impianti pubblici del polo tecnologico di Gioia Tauro, di Siderno, Rossano, Crotone, Lamezia Terme, Reggio Calabria e Catanzaro;

   quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, per evitare che si possa creare una situazione di emergenza per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti della regione Calabria, alla luce della reiterazione delle ordinanze contingibili e della mancata intesa con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, non concessa già in occasione dell'emissione della quarta ordinanza contingibile e urgente.
(4-01472)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha avviato, da tempo, un'attività di monitoraggio informatizzato delle ordinanze contingibili ed urgenti, a valle della quale, si è avuta una sensibile riduzione del ricorso al provvedimento emergenziale.
  Inoltre, al fine di individuare strumenti utili per il corretto esercizio del potere d'ordinanza ed evitare l'adozione di provvedimenti che contravvengano la normativa vigente, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha adottato, ad aprile 2016, apposita circolare nella quale viene ribadito, tra l'altro, che i provvedimenti in questione hanno un contenuto normativamente vincolato, consentendo soltanto il
«ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti»; inoltre, in quanto strumenti extra ordinem aventi carattere residuale, è stato ricordato che la capacità derogatoria di tali ordinanze ha un limite normativo generale.
  In tale contesto, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha rivolto dei richiami anche nei confronti della regione Calabria, rispetto alla quale non risulta che sia stato dichiarato lo stato d'emergenza, nonostante sussistano talune difficoltà nella gestione dei rifiuti e si sia fatto ricorso alle ordinanze contingibili ed urgenti. In particolare, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha sollecitato, in più occasioni, la regione a ricondurre alla normalità, entro tempi certi e celeri, la gestione dei rifiuti, nonché a porre in essere tutte le iniziative volte a superare le criticità esistenti sul territorio.
  Occorre segnalare che, in riscontro, la regione ha rappresentato un apprezzabile incremento della percentuale di raccolta differenziata grazie alla definizione e pubblicazione di linee guida e di indirizzo e la conclusione dei progetti relativi al ciclo di programmazione 2007-2013, finalizzati alla realizzazione di isole ecologiche. Tali iniziative, unitamente alle azioni di
governance avviate, costituiscono i fondamenti per il ritorno alla gestione ordinaria.
  Ad ogni modo, in considerazione del diffuso ricorso allo strumento delle ordinanze contingibili ed urgenti, si evidenzia che il Ministero sta istruendo un ulteriore provvedimento che indirizzi i sindaci, i presidenti di provincia e di regione nell'esercizio del potere derogatorio ex articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Per quanto attiene lo stato di attuazione dell'impiantistica pubblica per il trattamento dei rifiuti urbani, la Regione ha segnalato quanto segue:
  1. è stata aggiudicata la gara per la realizzazione del nuovo ecodistretto di Catanzaro-Alli. L'aggiudicatario ha prodotto il progetto definitivo ed ha richiesto e ottenuto l'Autorizzazione integrata ambientale (Aia) e il parere favorevole di Valutazione di impatto ambientale (Via). È in corso di acquisizione il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici. Si potrà quindi procedere alla sottoscrizione del contratto;
  2. è stata pubblicata la gara per la realizzazione dell'ecodistretto di Sambatello (RC), ponendo a base di gara il progetto definitivo corredato da tutti i pareri e le autorizzazioni. Il termine per la presentazione delle offerte è scaduto il 17 ottobre 2018; Si prevede che si potrà sottoscrivere il contratto entro la fine di dicembre 2018;
  3. il progetto definitivo per la realizzazione dell'ecodistretto di Rossano è in corso di approvazione. Si procederà, quindi, a breve a bandire la gara di appalto integrato;
  4. per gli impianti che dovranno essere realizzati dalle comunità d'ambito, sono state attivate le concertazioni con gli ambiti di Vibo Valentia e di Cosenza per l'individuazione dei siti di realizzazione delle nuove piattaforme;
  5. per l'ecodistretto di Siderno, che nascerà dal
revamping dell'impianto esistente, è in corso di redazione il progetto preliminare;
  6. i nuovi impianti di Crotone e di Lamezia Terme, da delocalizzare, saranno individuati in seno alle rispettive comunità d'ambito e saranno realizzati con il ricorso al partenariato pubblico-privato.
  La regione ha, inoltre, rappresentato di aver affiancato alla programmazione tecnica quella economica, riuscendo a reperire i finanziamenti per tali opere pubbliche, attingendo alle risorse dell'azione 6.1.3 del Por Calabria Fesr-Fse 2014-2020 (impianto di Sambatello), alle risorse della delibera Cipe 79/2012 (impianti di Rossano e di Catanzaro), alle risorse del FSC delibera Cipe 25/2016, confluite nel patto per la Calabria (impianti di Vibo Valentia e di Cosenza) e alle risorse del Fsc delibera Cipe 26/2016 (impianto di Siderno).
  Sempre secondo quanto riferito dall'amministrazione regionale, il sistema impiantistico sarà completato con il riefficientamento tecnologico dell'esistente impianto di Gioia Tauro e con il nuovo impianto di inertizzazione delle scorie e ceneri del Tmv di Gioia Tauro (finanziato con i fondi del Fsc delibera Cipe 25/2016).
  Alla luce delle informazioni esposte, si rassicura che, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a svolgere le proprie attività e a tenersi informato, mantenendo alto il livello di attenzione sulla questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.


   PETTARIN, BATTILOCCHIO, D'ATTIS, D'ETTORE, LUCA DE CARLO, FERRAIOLI, GIACOMETTO, MAZZETTI, MUGNAI, MULÈ, NOVELLI, PITTALIS, PORCHIETTO, ROSSELLO, RUFFINO, TONDO, MARIA TRIPODI, RIZZETTO, BAGNASCO, BIGNAMI, CASSINELLI, VIETINA, ROSATO e DEIDDA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   il 10 luglio 2018 si sono concluse le operazioni di una ricerca storica avviata negli anni Novanta, promossa dalla Società di Studi Fiumani e dalle associazioni degli esuli giuliano-dalmati e delle vittime delle foibe, che ha portato alla luce – nella località di Castua (Kastav), a una decina di chilometri da Fiume (Rijeka) – una fossa comune risalente alla fine del Secondo Conflitto Mondiale;

   la fossa comune era stata localizzata grazie alle testimonianze di alcuni sopravvissuti, e in particolare alla testimonianza diretta di un sacerdote croato;

   gli scavi erano iniziati nel mese di maggio 2018 e hanno visto la collaborazione del Governo croato;

   la notizia è stata riportata dalla stampa nazionale (Corriere.it) a firma del giornalista Claudio Del Frate, che riporta come fonte diretta Onorcaduti, organismo che fa capo al Ministero della difesa italiano che si occupa proprio della ricerca delle vittime di guerra e della loro memoria;

   la città di Fiume, durante il secondo conflitto mondiale e nel periodo immediatamente successivo alla sua conclusione, fu oggetto di atti di violenza da parte delle milizie comandate dal maresciallo Tito, al fine di mettere in pratica una vera e propria pulizia etnica nei confronti dei cittadini italiani;

   fu questo regime del terrore a provocare l'esodo di istriani, fiumani e dalmati dalle loro città natie verso il nostro Paese;

   il 4 maggio del 1945 si svolse un'azione portata a segno dalle milizie titine contro i cittadini di nazionalità italiana residenti nella zona di Fiume e contro le autorità italiane operative nel medesimo territorio;

   tra i corpi riportati alla luce dallo scavo terminato il 10 luglio 2018, potrebbero essere presenti, tra i numerosi civili, quelli dell'allora podestà di Fiume e senatore Riccardo Gigante, del giornalista Nicola Marzucco, del maresciallo della Guardia di finanza Vito Butti e del brigadiere dei Carabinieri Alberto Diana;

   le ossa ora si trovano all'istituto di medicina legale di Fiume per approfondite analisi;

   facendo seguito a quanto sopracitato, sarebbe opportuno e doveroso fare piena luce su quanto accaduto a Fiume e nelle altre città dell'Istria e della Dalmazia, oggi in territorio croato, durante il secondo conflitto mondiale e nel periodo immediatamente successivo alla sua conclusione –:

   se sia a conoscenza della suesposta situazione;

   se il Governo intenda assumere le iniziative di competenza affinché si possa cogliere il segnale di apertura e positiva collaborazione dimostrato da parte dal Governo di Zagabria rispetto alla suddetta ricerca storica, al fine di fare piena luce – a settant'anni da quegli avvenimenti – su quanto accaduto a Fiume, in Istria e in Dalmazia ai danni dei cittadini di nazionalità italiana e delle autorità del nostro Paese a guerra finita.
(4-01053)

  Risposta. — La ricerca della fossa comune di Castua evocata nell'interrogazione è stata ampiamente sostenuta sul piano bilaterale dal Maeci sia direttamente come direzione generale e Unione europea, sia attraverso l'Ambasciata d'Italia a Zagabria e il consolato generale a Fiume, peraltro in continuo raccordo con onorcaduti e con la Società di Studi Fiumani e, più in generale, con la federazione delle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati.
  In tale ambito è risultato determinate il positivo esito della commissione permanente tra Italia e Croazia per la sistemazione delle sepolture di guerra riunitasi a Roma il 24 ottobre 2017, con la partecipazione della direzione generale Unione europea, in cui è stato deciso con la controparte croata di procedere congiuntamente alla ricerca della fossa comune presso Castua.
  Il rinvenimento della fossa il 10 luglio scorso ha pertanto costituito, nel quadro degli attuali ottimi rapporti con le Autorità croate, una tappa storica di un percorso di riconciliazione teso a fare piena luce su quanto accaduto a guerra finita in Istria, a Fiume e in Dalmazia ai danni della popolazione autoctona italiana e il connesso Esodo di 350 mila persone dalle loro terre di origine.
  Da parte del Maeci si ritiene necessaria la prosecuzione della ricerca storica su quanto avvenuto e in tale ambito, d'intesa con la federazione delle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati, verrà altresì realizzato, grazie alle risorse derivanti dalla legge 72 del 2001, il riordino e lo studio del fondo archivistico dell'ambasciata d'Italia a Belgrado relativo a quel periodo che potrà fornire importanti informazioni storiche sui tragici eventi.
  Si segnala infine che, alla luce della rilevanza della legge 72/2001, ne è stato richiesto il rifinanziamento per il triennio 2019-21 ad ammontari invariati, in quanto strumento fondamentale per promuovere e sostenere gli studi connessi alle finalità evocate nell'interrogazione stessa.
  Un ruolo centrale è stato svolto anche dal commissariato generale per le onoranze ai caduti che, come previsto dell'articolo 267 del codice dell'ordinamento militare, provvede a tutte le attività di ricerca e sistemazione dei caduti di guerra nei sacrari/cimiteri di guerra in Italia e all'estero. Lo stesso commissariato è l'organo designato alla cura e manutenzione dei cimiteri di guerra italiani in Croazia in base all'articolo 2 dell'accordo bilaterale sulla sistemazione delle sepolture di guerra sottoscritto nel maggio 2000 e partecipa alla commissione permanente mista istituita in base all'articolo 10 incaricata di verificare e sorvegliare l'eventuale esumazione e traslazione di resti mortali delle vittime di guerra.
  Tale commissione si è riunita due volte nel 2017 ed ha esaminato i casi sottoposti da varie associazioni, tra cui la società di studi Fiumani, la cui segnalazione ha portato all'individuazione dell'area di sepolture di vittime italiane, in un terreno nei dintorni di Castua. Il 5 e 6 dicembre 2017 personale di onorcaduti ha per la prima volta effettuato una ricognizione congiunta con rappresentanti del Ministero dei difensori croati, nelle località di Castaua e Poloj. In entrambe le località sono state effettuate verifiche preliminari e raccolte testimonianze. Tra queste quella del parroco di Castua, quale testimone (non oculare) dei fatti avvenuti in passato. In detta località, grazie anche al deciso supporto del consolato generale a Fiume, si è svolta con successo un'attività di scavo e recupero di resti mortali, appartenenti a sette persone di età tra i 40 e i 60 anni. In mancanza di elementi certi di riconoscimento si è dovuto censirli come «ignoti». L'attività di recupero si è conclusa lo scorso 15 settembre con una celebrazione religiosa e, a seguire, il trasporto in Italia dei resti mortali presso il sacrario militare di Cargnacco, per la successiva e definitiva sepoltura, il 30 ottobre, nel tempio San Nicolò di Udine.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Ricardo Antonio Merlo.


   PRESTIPINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   nel mese di giugno 2018 è iniziato l'abbattimento selettivo nella regione Umbria, permesso dall'assessore, tra l'altro, all'agricoltura, alla caccia ed alla pesca;

   il ricorso a questo tipo di intervento non viene giustificato, ma è ritenuto l'unico praticabile, nonostante sussista la certezza che porterà all'uccisione di migliaia di capi in tutta la regione, tra i quali anche esemplari femminili in fase di gestazione e giovani madri, il cui abbattimento determinerà di conseguenza la morte dei loro piccoli;

   viene così in rilievo l'importante questione relativa al controllo della caccia nel nostro Paese e, più in particolare, all'utilizzo dello strumento dell'abbattimento selettivo in luogo dei metodi selettivi ecologici;

   la disciplina di settore è contenuta nella legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), che all'articolo 19, comma 2, recita: «Le regioni, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico, per la tutela del suolo, per motivi sanitari, per la selezione biologica, per la tutela del patrimonio storico-artistico, per la tutela delle produzioni zoo-agro-forestali ed ittiche, provvedono al controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia. Tale controllo, esercitato selettivamente, viene praticato di norma mediante l'utilizzo di metodi ecologici su parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. Qualora l'Istituto verifichi l'inefficacia dei predetti metodi, le regioni possono autorizzare piani di abbattimento. Tali piani devono essere attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali. Queste ultime potranno altresì avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani medesimi, purché muniti di licenza per l'esercizio venatorio, nonché delle guardie forestali e delle guardie comunali munite di licenza per l'esercizio venatorio»;

   a detto piano di abbattimento risultano prendere parte anche cacciatori, che non rientrano tra le categorie ammesse dalla normativa al controllo faunistico, ossia le «guardie venatorie», che possono avvalersi esclusivamente dell'ausilio dei «proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani medesimi, purché muniti di licenza per l'esercizio venatorio, nonché delle guardie forestali e delle guardie comunali munite di licenza per l'esercizio venatorio»;

   tale abbattimento selettivo avviene anche in violazione delle molteplici pronunce rese in questa materia dalla Corte costituzionale e dal Consiglio di Stato –:

   se non ritenga opportuno promuovere, per quanto di competenza e in collaborazione con le regioni, un'attività di monitoraggio per accertare:

    a) quali siano le procedure generalmente poste in essere dalle regioni e dalle province per conoscere, controllare e gestire il patrimonio faunistico nazionale;

    b) se l'abbattimento selettivo attuato ogni anno dalle regioni e previsto per le prossime settimane in Umbria sia compatibile con le prescrizioni della legge n. 157 del 1992;

    c) se vengano messi in atto prima di tutto «metodi ecologici», previsti dalla norma come condizione per procedere successivamente ai piani di abbattimento;

    d) se le motivazioni poste alla base dei piani di abbattimento, forniscano ad essi il carattere «straordinario» voluto dalla legislazione vigente e giustifichino il mancato ricorso ai rimedi «ordinari», come i prelievi selettivi;

    e) quali siano le ragioni dell'inefficacia dei metodi ecologici attuati;

   se il Governo non ritenga più opportuno, per il caso della regione Umbria, fare ricorso al prelievo selettivo dei caprioli, con successivo trasferimento dalla regione interessata ad altra area ritenuta idonea, sentito anche l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale.
(4-00575)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In linea generale, si evidenzia che ai sensi della legge 11 febbraio 1992, n. 157, l'esercizio dell'attività venatoria e il controllo numerico di una popolazione di animali selvatici sono attività nettamente distinte per quanto concerne le motivazioni, le specie oggetto degli interventi, il personale autorizzato allo svolgimento delle attività nonché i metodi, le aree e i tempi previsti per la loro realizzazione.
  L'articolo 2 della sopracitata normativa consente l'esercizio dell'attività venatoria purché questa non contrasti con l'esigenza di conservazione della fauna selvatica e non arrechi danno effettivo alle produzioni agricole. Gli articoli 13 e 18 (modificato, per ciò che concerne gli ungulati, dall'articolo 11-
quaterdecies, comma 5, della legge n. 248 del 2005) della stessa normativa individuano, rispettivamente, i mezzi per l'esercizio dell'attività venatoria, le specie cacciabili e i periodi di esercizio di tale attività. L'articolo 22 indica invece i requisiti necessari per accedere all'esercizio venatorio. Infine, l'articolo 21, al comma 1, lettera b), sancisce il divieto per chiunque di esercitare l'attività venatoria nei parchi nazionali, nei parchi naturali regionali e nelle riserve naturali, conformemente alla legislazione nazionale in materia di parchi e riserve naturali legge 394 del 1991); lo stesso divieto è ribadito alla lettera c) per le oasi di protezione, le zone di ripopolamento e cattura, i centri di riproduzione di fauna selvatica e le foreste demaniali (ad eccezione di quelle che, secondo le disposizioni regionali, sentito il parere dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, non presentino condizioni favorevoli alla riproduzione ed alla sosta della fauna selvatica).
  L'articolo 19 della legge n. 157 del 1992, in deroga ai divieti imposti da altri articoli della stessa norma, prevede la possibilità che le regioni provvedano al controllo delle specie di fauna selvatica, anche nelle zone vietate alla caccia, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico, per la tutela del suolo, per motivi sanitari, per la selezione biologica, per la tutela del patrimonio storico-artistico, per la tutela delle produzioni zoo-agro-forestali ed ittiche. Lo stesso articolo, al comma 2, impone alle amministrazioni competenti di esercitare selettivamente tale controllo, di norma mediante l'utilizzo di metodi ecologici su specifico parere tecnico dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. Qualora quest'ultima verifichi l'inefficacia dei predetti metodi, le regioni possono autorizzare piani di abbattimento, condotti con tecniche selettive.
  Il controllo delle specie di fauna selvatica, così come l'attività venatoria, costituisce pertanto una deroga al generale regime di protezione che la normativa accorda alla fauna ma, diversamente dalla caccia, si configura come uno strumento gestionale al quale è possibile ricorrere per rispondere a specifiche motivazioni e presenta, all'atto pratico, differenze sostanziali rispetto all'esercizio venatorio.
  Il controllo delle specie di fauna selvatica è altresì previsto dalla legge 6 dicembre 1991, n. 394. L'articolo 11, comma 4, prevede infatti che «il regolamento del parco stabilisca eventuali deroghe ai divieti di cattura, uccisione, danneggiamento e disturbo delle specie animali e tali deroghe possono prevedere eventuali prelievi faunistici ed eventuali abbattimenti selettivi, necessari per ricomporre squilibri ecologici accertati dall'ente parco stesso». Nello stesso articolo si individuano anche le figure autorizzate: «prelievi e abbattimenti devono avvenire per iniziativa e sotto la diretta responsabilità e sorveglianza dell'ente parco ed essere attuati dal personale dell'ente parco o da persone all'uopo espressamente autorizzate dall'ente parco stesso».
  Riguardo al controllo delle specie di fauna selvatica nelle aree protette, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale sottolinea che all'articolo 1, comma 3, lettera
b) della predetta normativa si menziona, tra le finalità istitutive di un'area protetta, quella di «perseguire, nell'ambito dell'applicazione di metodi di gestione (...) idonei a realizzare una integrazione tra uomo e ambiente naturale, la salvaguardia delle attività agro-silvo-pastorali».
  L'istituto ha, pertanto, ritenuto che, in presenza di danni insostenibili alle attività agricole imputabili alla fauna selvatica e verificatisi in un'area protetta, sia accettabile nonché coerente con il dettato normativo vigente una strategia integrata che preveda, tra le diverse misure applicabili, anche la limitazione numerica delle popolazioni di fauna selvatica responsabile dei danni lamentati.
  Tanto premesso, con specifico riferimento al prelievo di cinghiali attuato in Regione Umbria, l'Istituto superiore per la ricerca ambientale ha evidenziato, altresì, che le informazioni più recenti in suo possesso riguardano il piano di controllo del cinghiale in provincia di Terni, da realizzarsi nel periodo 2014-2018. In merito a tale piano, l'istituto ha espresso parere sfavorevole sulla base delle valutazioni tecniche delle informazioni fornite e dell'aderenza del provvedimento alla vigente normativa. In particolare, ha rilevato l'assenza di dati sulle attività di prevenzione attuate (tipologia, numero ed ubicazione nonché fondi investiti), sulle attività di prelievo realizzate e il ricorso ordinario al prelievo in braccata, tecnica che non risponde ai criteri di selettività e minimizzazione del disturbo alle specie non target previsti dalla norma.
  In merito all'attività di controllo ai sensi dell'articolo 19, commi 2 e 3, della legge n. 157 del 1992, l'applicazione dei metodi ecologici, l'eventuale verifica dell'inefficacia degli stessi e l'utilizzo alternativo della caccia di selezione con specifico riferimento al cinghiale, l'istituto ha fatto presente che, nella stesura dei propri pareri circa programmi di controllo della fauna, è valutata in generale l'applicabilità ed efficacia dei metodi ecologici di contenimento del danno. Tali metodi ecologici ritenuti efficaci anche nel lungo periodo (purché vengano correttamente installati e sia garantita un'adeguata e costante manutenzione) sono rappresentati da recinzioni che escludano la presenza di questi animali dall'area a rischio di danneggiamento. Sull'uso delle recinzioni dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale ha altresì evidenziato che:

   motivazioni di carattere ecologico rendono inopportuna una eccessiva proliferazione di recinzioni meccaniche permanenti a protezione delle colture, poiché ciò comporterebbe una riduzione della biopermeabilità con effetti negativi su altre componenti della biodiversità;

   motivazioni di carattere tecnico e logistico rendono inattuabile la protezione di vaste superfici mediante recinzioni elettrificate, poiché il notevole sviluppo lineare renderebbe la manutenzione ordinaria, necessaria a garantire l'efficienza della conduzione dell'elettricità dei fili, impraticabile nella pratica quotidiana.

  Pertanto, la recinzione di tutte le unità agricole presenti in un comprensorio di grandi dimensioni (a scala provinciale) appare difficilmente praticabile e non sempre attuabile in tutti i contesti ambientali esistenti. Ne consegue che la valutazione dell'efficacia di una strategia di prevenzione deve anche tenere conto che, laddove rimarranno superfici più o meno ampie di colture non protette, l'effetto su larga scala della prevenzione apparirebbe irrilevante, a causa della semplice traslazione del danno da appezzamenti protetti a quelli non protetti. In tali contesti, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale ritiene quindi che, per una più efficace riduzione degli impatti causati dal cinghiale, sia necessario attuare un programma di interventi articolato che si avvalga, in modo coordinato e sinergico, di strumenti di diversa natura (tecniche di prevenzione ecologica e tecniche selettive di rimozione degli animali) al fine di affrontare il problema nella sua complessità. A ciò si aggiunga che le consistenze e la distribuzione del cinghiale in Italia, nonché le sue intrinseche capacità riproduttive e di adattamento ai diversi ambienti, siano tali da far considerare gli interventi finalizzati alla riduzione numerica delle presenze su scala locale privi di criticità per la sua conservazione.
  Per quanto attiene, infine, al capriolo, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale ha fatto presente che, dalla documentazione ad essa pervenuta, risulta che gli abbattimenti sono stati autorizzati dall'amministrazione regionale in quanto il capriolo è inserito nell'elenco delle specie cacciabili del calendario venatorio 2018/19 della Regione Umbria (deliberazione di Giunta regionale n. 625 dell'11 giugno 2018). Si tratterebbe, quindi, di prelievo venatorio ordinario di tipo ricreativo. Non essendo l'abbattimento autorizzato ai sensi dell'articolo 19 della legge n. 157 del 1992, non sono previste né motivazioni specifiche (ad esempio la limitazione dei danni all'agricoltura), né l'adozione preventiva dei metodi ecologici.
  L'Istituto ritiene, inoltre, che la caccia di selezione al capriolo adottata nella Regione Umbria sia coerente con la predetta legge n. 157 del 1992 e con le indicazioni fornite dallo stesso istituto, in quanto si basa sulla stima della consistenza delle popolazioni e sull'adozione di piani di prelievo divisi per classi di sesso ed età, valutati dall'osservatorio faunistico regionale. Anche i tempi di prelievo risultano coerenti con la normativa nazionale, in quanto prevedono periodi differenziati per le diverse classi sociali; in particolare, l'abbattimento dei maschi di classe I e II è previsto dal 17 giugno al 15 luglio e dal 12 agosto al 30 settembre, mentre per le femmine e per i piccoli, dal 7 gennaio al 14 marzo 2019 (determinazione dirigenziale n. 6121, 6122 e 6123 del 14 giugno 2018 della regione Umbria).
  Alla luce delle informazioni esposte, si rassicura comunque che, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a monitorare l'impatto regolatorio della normativa di settore e a tenersi informato anche attraverso la propria attività di monitoraggio, mantenendo alto il livello di attenzione sul tema.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.


   ROMANIELLO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   Alessandro Fiori era un manager di 33 anni originario di Soncino, in provincia di Cremona;

   il 12 marzo 2018 prende un volo per Istanbul, pare per incontrare una ragazza conosciuta pochi giorni prima. Non avverte nessuno e i genitori si accorgono della sua partenza solo il mercoledì successivo;

   si è al corrente del fatto che Alessandro si reca in un pronto soccorso, forse per un malore cardiaco, ma nessun referto registra la sua entrata e la sua uscita in un ospedale di Istanbul. Esiste il filmato di una telecamera che riprende il manager mentre passeggia su un marciapiede, ma è un'inquadratura di pochi secondi;

   dal 14/15 marzo, però, Alessandro Fiori scompare nel nulla. La sua carta di credito esegue un prelievo di duemila euro in contanti il 13 marzo. Il giorno successivo, qualcuno tenta un improbabile nuovo prelievo di sette mila euro. Tentativo fallito, in quanto il plafond consentito era pari a 3 mila euro, e Alessandro ne era sicuramente al corrente. Il 28 marzo, dopo alcune inutili segnalazioni, avviene il drammatico ritrovamento del corpo di Alessandro nel Bosforo, davanti a Istanbul;

   il viso è deformato da tumefazione, ma per gli inquirenti di Istanbul la situazione è chiara: Fiori è annegato per un incidente o per un malore, o forse ancora per un suicidio. Per loro era vivo fino al 26 marzo, quando sarebbe caduto in acqua e affogato;

   quando il suo corpo arriva in Italia viene effettuata una nuova autopsia, stavolta accurata: secondo i medici di Milano, quella eseguita in Turchia sarebbe stata svolta senza seguire i protocolli internazionali. I medici milanesi riscontrano che Alessandro ha il cranio completamente fracassato, con un profondo solco individuato nella parte posteriore della testa. Dunque, la morte parrebbe provocata da un colpo inferto alla testa, con grande violenza. Alessandro sarebbe poi stato gettato nello stretto. Tutto questo quando era già morto, perché nei polmoni non è stata riscontrata la presenza di acqua; pertanto, il decesso per annegamento non è plausibile;

   inoltre, mentre la magistratura di Istanbul non ha aperto alcun fascicolo per omicidio e ha archiviato tutto come incidente o suicidio, la procura di Roma ha aperto un'inchiesta per omicidio –:

   quali iniziative di competenza abbia intrapreso il Ministro interrogato, per giungere alla verità sull'assassinio di Alessandro Fiori e, in seguito all'autopsia italiana, come intenda interfacciarsi con le autorità turche, che, da quanto sopra, pare non abbiano vigilato adeguatamente sul caso.
(4-01824)

  Risposta. — Il Signor Alessandro Fiori ha fatto perdere le proprie tracce il 14 marzo 2018 a Istanbul, dove era giunto per turismo il 12 marzo precedente. Appresa la notizia della scomparsa, il consolato generale ad Istanbul, in stretto raccordo con la Farnesina ed in contatto con il padre del connazionale (nel frattempo giunto sul posto), si è prontamente attivato con le competenti autorità locali perché fosse adottata ogni possibile misura atta a consentire il ritrovamento dell'interessato.
  Purtroppo il corpo senza vita del signor Fiori veniva rinvenuto il 27 marzo 2018 sulle rive del Bosforo. La salma, la cui identità è stata accertata tramite esame del DNA, è stata traslata in Italia il successivo 31 marzo.
  Il nostro consolato generale, di concerto con l'ambasciata ad Ankara, ha svolto a più riprese interventi presso le competenti autorità turche perché le indagini relative al decesso del connazionale proseguissero fino al definitivo accertamento delle cause che avevano condotto al tragico evento. In occasione dei passi svolti la nostra Rappresentanza ha sempre ricevuto assicurazioni in tal senso ed un fascicolo sul caso del signor Fiori risulta tuttora aperto.
  Il 5 settembre 2018 l'ambasciata ad Ankara ha formalmente chiesto informazioni sullo stato delle indagini e un passo di eguale tenore è stato svolto dal Consolato generale nei confronti del capo della polizia di Istanbul. L'ambasciatore ad Ankara ha recentemente portato il caso all'attenzione anche del direttore generale per gli affari consolari del Ministero degli affari esteri turco.
  Allo stato attuale risulta peraltro che il procuratore inizialmente titolare del fascicolo sia passato ad altro incarico e si è tuttora in attesa che venga individuato un altro pubblico ministero che segua l'attività investigativa. La nostra Rappresentanza ad Ankara e il consolato generale a Istanbul – in contatto con i familiari del signor Fiore e con i loro legali – continueranno a seguire la vicenda con la massima attenzione fino a quando non sarà fatta piena luce sulle circostanze che hanno portato al decesso del connazionale.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Ricardo Antonio Merlo.


   SCHIRÒ. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   la Germania, divenuta nella seconda metà del secolo scorso il Paese con il maggior insediamento di italiani (nel 2018 gli iscritti all'Anagrafe italiana residenti all'estero (Aire) sono 719.000), dopo l'Argentina, è diventata attualmente, con la crisi della Brexit, la meta preferenziale del flusso di nuova emigrazione (128.200) in uscita dal nostro Paese;

   gli espatri riguardano ormai anche interi nuclei familiari, come dimostra il numero dei minori (24.570, il 19 per cento del totale, di cui il 16,6 per cento ha meno di 14 anni e l'11,5 per cento meno di 10 anni);

   le difficoltà di inserimento scolastico dei figli di italiani, nel rigido e selettivo sistema tedesco, già evidenziate e attentamente studiate negli ultimi tre decenni dello scorso secolo, pur attenuandosi e differenziandosi con lo sviluppo dei processi di integrazione nella società di insediamento, si sono comunque protratte nel tempo e tendono a manifestarsi diffusamente con l'arrivo delle nuove famiglie immigrate;

   i condizionamenti formativi di cui si parla, secondo le analisi più accreditate, dipendono dalla condizione sociale delle famiglie, dai limiti del «capitale culturale» di cui sono dotate e dalla persistente pratica linguistica dialettale nelle famiglie, situazioni che rendono spesso severo l'inserimento nel sistema scolastico tedesco e costituiscono remore non secondarie rispetto agli sbarramenti e ai filtri previsti in tale ordinamento di studi;

   le statistiche relative alla presenza nei diversi tipi di scuola degli studenti stranieri provenienti da famiglie italiane segnalano, infatti, che essi, non a caso, con l'eccezione di quelli presenti a Berlino, hanno il tasso più alto di presenze nelle Förderschulen (scuole differenziali) e nelle Hauptschulen, cioè nel ramo residuo delle scuole dell'obbligo, che non danno la possibilità di accedere ai due rami superiori, con esiti restrittivi anche sulle prospettive di posizionamento nel mercato del lavoro;

   negli ultimi decenni, la situazione ha avuto un'evoluzione positiva, nel senso che è diminuita la presenza nelle scuole residuali di grado più basso ed aumentata quella nel Gymnasium, tuttavia i problemi di inserimento e progressione verso i titoli superiori e accademici sono ancora presenti e diffusi;

   nei programmi di promozione della formazione in italiano in Germania, adottati dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale utilizzando i fondi derivanti dal capitolo 3153 del proprio bilancio, si è tradizionalmente fatto ricorso ai «corsi di sostegno», realizzati dagli enti gestori operanti a stretto contatto con le scuole tedesche, in misura tuttavia decrescente per ragioni di limitazione di ordine finanziario e per l'idea, rivelatasi poco realistica, che i flussi di emigrazione in Germania tendessero ad attenuarsi;

   l'impetuosa ripresa degli espatri verso la Germania, unita alle persistenti esigenze di molte famiglie già insediate da tempo, che continuano ad essere alle prese con le difficoltà di scolarizzazione dei figli, restituiscono invece piena attualità a tale forma di intervento, rendendolo urgente e necessario –:

   se non ritenga di ricostruire il quadro evolutivo della realizzazione dei corsi di sostegno di cui in premessa nella realtà tedesca, di cui l'interrogante avanza richiesta, e di indicare le linee di intervento, per l'oggi e per il prossimo futuro, partendo dal «Piano Paese» per la Germania, in un settore di così diretto interesse per i nostri connazionali di vecchia e nuova residenza in tale Paese;

   se non ritenga di dovere prevedere, nell'ambito del piano di ripartizione dei fondi, derivanti dal capitolo 3153 del bilancio del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale un'adeguata riserva di risorse da destinare ai corsi di sostegno per i figli di italiani residenti in Germania, unico Paese nel quale tale esigenza si manifesta, o quantomeno tenere in adeguata considerazione le istanze degli enti promotori che ne facciano richiesta.
(4-01595)

  Il Maeci svolge un'azione particolarmente rilevante a favore della diffusione della lingua e cultura italiana nel mondo, supportando l'attivazione di corsi di italiano anche a favore dei nostri connazionali all'estero attraverso l'erogazione di contributi a valere sul capitolo di bilancio 3153.
  La Germania continua ad essere una priorità per la nostra promozione culturale nell'azione di diffusione dell'italiano, e, in particolare, per l'attività di sostegno alle nostre collettività, che a seguito dell'incremento dei flussi migratori registrato negli ultimi anni, assume carattere di rilevante attualità.
  Nel 2018 sono stati erogati contributi a favore di 15 enti gestori/promotori in Germania, per un importo totale di 3.110.788 euro, pari a circa il 22 per cento dell'intero stanziamento. Ad ulteriore riprova dell'impegno dell'Amministrazione, si evidenzia che tra i citati 15 Enti sono ricompresi 3 nuovi Enti non destinatari di contributo negli anni precedenti, tra i quali la Scuola materna «Pinocchio», la cui attività assume rilevanza, oltre che per la diffusione della lingua e della cultura italiana presso utenti stranieri, per il sostegno alle attività scolastiche degli alunni appartenenti alla nostra collettività.
  Con specifico riguardo ai corsi denominati un tempo «di sostegno» ed ora «preparatori» (nella dizione utilizzata dal decreto legislativo 64/2017, che li riporta all'articolo 10 comma 2 lettera a) tra le iniziative previste per l'apprendimento della lingua e cultura italiana, «per agevolare l'inserimento degli studenti italiani nei sistemi scolastici locali» realizzati in Germania, secondo i dati finali dell'anno scolastico 2017/2018 questi risultano in totale 550 (di cui 48 svolti a Dortmund, 8 a Francoforte, 37 a Hannover, 81 a Monaco, 337 a Stoccarda e 39 a Berlino). Considerato che nell'a.s. 2017/18 i corsi realizzati dagli enti gestori/promotori destinatari di contributi ministeriali operanti in Germania sono stati complessivamente 1.403, i corsi «preparatori» rappresentano una percentuale pari a circa il 39 per cento.
  Per quanto riguarda l'a.s. 2018/19, dai dati parziali finora acquisiti dalle sedi risulta che sono stati avviati 270 corsi preparatori a Stoccarda, 35 a Dortmund, 35 a Berlino e 37 ad Hannover. Tali dati, che dovranno essere confermati e completati a conclusione dell'anno scolastico, potranno variare in aumento, a seguito di nuove iscrizioni in corso d'anno.
  Per quanto riguarda gli alunni dei corsi preparatori, dai dati finali 2017/18 sono risultati pari a 652, articolati come segue:
  - Berlino: 88;
  - Dortmund: 87;
  - Francoforte 4;
  - Hannover 172;
  - Monaco 127;
  - Stoccarda 174.
  Rispetto al numero complessivo di alunni registrati nei corsi degli Enti gestori/promotori operanti in Germania per l'anno scolastico 2017/18, pari a 9.043, gli alunni dei corsi preparatori rappresentano una percentuale del 7,2 per cento.
  Si ritiene che il livello di risorse attualmente destinato ai corsi preparatori sia adeguato rispetto all'insieme delle iniziative formative in corso in Germania, e, mentre non appare necessario prevedere una riserva di quote specifiche a questo fine, si assicura che le future richieste degli enti gestori/promotori in questo settore saranno tenute nella massima considerazione.
  Va peraltro sottolineato che attraverso il sostegno ai corsi preparatori, l'Italia contribuisce anche a supplire alle carenze, in termini di inclusione, del sistema educativo tedesco, rispetto alle quali sono senz'altro auspicabili ulteriori misure da parte delle autorità scolastiche dei diversi laender tedeschi.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Ricardo Antonio Merlo.


   VIETINA e BIGNAMI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   da circa 10 giorni il connazionale Andrea Urcioli, cesenate, e Riccardo Pinela, portoghese, sono bloccati in Kuwait a causa di controversie legali sorte tra la ditta italiana, per la quale sono dipendenti, e altre società locali;

   da fonti di stampa odierne (7 dicembre 2018) si apprende dell'annuncio diramato dalla Farnesina relativo al rientro, a breve, di Urciuoli in Italia dato che il Kuwait ha di fatto rimosso il divieto di lasciare il Paese che era stato disposto nei confronti del nostro connazionale –:

   quali siano le tempistiche per il rientro di Urciuoli in Italia;

   se abbia preso contatti anche con lo Stato portoghese in relazione alla vicenda stessa.
(4-01816)

  Risposta. — Il 27 novembre 2018 il connazionale Andrea Urciuoli (nato a Milano il 2 novembre 1984) e il cittadino portoghese Ricardo Filipe Guerreiro Pinela, dipendenti della Cooperativa muratori & cementisti C.M.C. di Ravenna società cooperativa in servizio in Kuwait, sono stati oggetto di un provvedimento di fermo presso il commissariato di polizia della città di Al Jahra (a circa 38 chilometri da Kuwait City).
  I due dipendenti erano stati convocati dalla polizia per accertamenti legati a una denuncia presentata contro la Cmc da due ditte subappaltatrici, la saudita «Al Jaid» e la kuwaitiana British company, per mancati pagamenti e presunto furto di macchinari.
  I Signori Urciuoli e Pinela sono stati rilasciati a seguito di sottoscrizione di una garanzia da parte di un avvocato kuwaitiano circa la non intenzione, da parte dei suoi assistiti, di lasciare il Paese e sottoposti a restrizioni di viaggio fino a conclusione delle indagini.
  Da accertamenti effettuati con la Cmc è emerso come la misura cautelare si spieghi nell'ambito delle controversie legali sorte in esito alla decisione della stessa di risolvere il contratto con l'appaltatore principale in loco. In esito alla risoluzione del contratto, tutti i lavoratori erano stati rimpatriati, a eccezione del direttore di cantiere signor Guerreiro Pinela e del responsabile amministrativo, signor Urciuoli, rimasti a garantire la consegna del cantiere e a pagare i salari di ottobre. Risulta che la Cmc abbia esposizioni debitorie a favore di vari subappaltatori e fornitori e proprio questa circostanza ha determinato la presentazione di denunce da parte di questi ultimi, con richiesta di attuare una misura cautelare nei confronti degli unici due rappresentanti della Cmc rimasti in Kuwait.
  L'ambasciata si è immediatamente attivata fin dalla prima notizia del fermo per prestare la necessaria assistenza e verificare le condizioni detentive dei due dipendenti. A seguito di una specifica richiesta delle Autorità portoghesi e in base alla vigente normativa europea, l'ambasciata d'Italia ha prestato la medesima assistenza anche in favore del cittadino portoghese, signor Guerreiro Pinela. In particolare si è sottolineato che i due non erano legali rappresentanti della Cmc e pertanto non potevano essere ritenuti responsabili di quanto addebitato all'impresa. Si è inoltre evidenziata l'illiceità del provvedimento di restrizioni di viaggio, in quanto emesso in mancanza di responsabilità personali a carico dei dipendenti.
  L'ambasciata ha più volte sensibilizzato il Ministero degli affari esteri kuwaitiano, che ha assicurato la propria collaborazione in direzione di una soluzione, nel rispetto del corso legale delle indagini. Inoltre il 5 dicembre, su indicazione del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il direttore generale degli affari politici ha convocato l'ambasciatore del Kuwait in Italia, S.E. Sheikh Alì Khalid Al-Jabar Al-Sabah, per ricevere precise e aggiornate informazioni su quanto accaduto.
  Anche a seguito dell'intensa attività di sensibilizzazione esercitata sulle autorità kuwaitiane il 6 dicembre scorso il provvedimento restrittivo nei confronti dei due dipendenti è stato rimosso grazie a un provvedimento eccezionale del Ministro dell'interno. Il nostro connazionale ha quindi potuto fare rientro in Italia il 7 dicembre scorso.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Ricardo Antonio Merlo.


   ZAN. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la Repubblica Unita di Tanzania prevede nella propria legislazione penale il reato di omosessualità, punibile fino a 25 anni di carcere;

   a tale norma, fa seguito una vera e propria campagna di discriminazione e di persecuzione da parte delle autorità istituzionali della Tanzania contro i cittadini appartenenti alla comunità lgbt;

   in tempi recenti il presidente John Magufuli ha decretato la chiusura di 40 strutture sanitarie impegnate nella cura del virus dell'Hiv, con l'accusa di promuovere relazioni omosessuali e ha minacciato l'espulsione di qualsiasi cittadino straniero impegnato nella tutela dei diritti lgbt nel Paese, limitando di fatto le attività delle numerose associazioni umanitarie operanti nel territorio tanzaniano;

   il 29 ottobre 2018 Paul Makonda, governatore della ragione di Dar es Salaam e strettamente legato politicamente al presidente Magufuli, ha dichiarato in una conferenza stampa di voler iniziare una campagna di arresti per tutti coloro che sono sospettati di omosessualità, minacciando di torturare i sospettati per la verifica del loro orientamento sessuale, tramite test anali;

   è comprovato da svariate fonti (organizzazioni non governative e associazioni per la tutela dei diritti umani) che in Tanzania sistematicamente vengono arrestate in modo arbitrario persone ritenute omosessuali;

   queste vere e proprie persecuzioni fanno seguito a numerosi provvedimenti che hanno di fatto azzerato la libertà di pensiero e di espressione in Tanzania delle persone lgbt;

   tuttavia, tali persecuzioni avvengono nonostante la Tanzania abbia sottoscritto e ratificato la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, che dovrebbe impegnare lo Stato a tutelare ogni cittadina e ogni cittadino;

   la ministra del Regno di Danimarca per la cooperazione allo sviluppo Ulla Pedersen Tørnæs ha già annunciato il 15 novembre 2018 di sospendere tutti gli aiuti previsti per la Tanzania, per protesta a quanto sta accadendo nel Paese africano contro le persone lgbt;

   l'alta rappresentante Federica Mogherini ha dichiarato, in nome dell'Unione europea, che «L'UE è seriamente preoccupata del deteriorarsi della situazione delle persone LGBTI. In questo contesto le autorità tanzaniane hanno considerevolmente aumentato le pressioni sull'ambasciatore dell'UE, provocandone alla fine la partenza forzata e il richiamo a Bruxelles per consultazioni. Questo atteggiamento senza precedenti non è in linea con la tradizione consolidata di dialogo bilaterale e di consultazione tra le due parti, una situazione per cui l'UE esprime profondo rammarico. L'UE invita le autorità tanzaniane ad astenersi dall'esercitare limitazioni e pressioni indebite sulle missioni diplomatiche»;

   a parere dell'interrogante, è dovere del Governo applicare il comma 3 dell'articolo 10 della Costituzione italiana e garantire dunque immediato asilo alle persone attualmente perseguitate in Tanzania –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali iniziative di competenza intenda porre in essere per far cessare le violazioni dei diritti umani sopra descritte e per concedere immediato asilo e protezione alle persone attualmente perseguitate in Tanzania.
(4-01675)

  Risposta. — In Tanzania il codice penale del 1998 prevede all'articolo 154 che «ogni persona che (...) permetta ad un uomo di avere contatti carnali con lui o lei contro natura, commette un crimine, ed è punibile con l'ergastolo e in ogni caso con una pena non inferiore a trent'anni.»; l'articolo 155 punisce anche il tentativo di commettere «atti contro natura», con una pena non inferiore a 20 anni; l'articolo 157 punisce gli uomini che, in pubblico o privato, commettono atti osceni, con una pena di almeno 5 anni di prigionia.
  
A Zanzibar, che ha un codice penale separato dal resto del Paese, emendato nel 2004, sono previste pene inferiori, con un massimo di 14 anni per «atti contro natura», 7 anni al massimo per tentativi di commetterli e 5 anni per atti osceni.
  Mentre il codice penale tanzano parla unicamente degli uomini, quello zanzibarino prevede il carcere per 5 anni anche per atti di lesbismo.
  Legalmente reato criminale non è la condizione di omosessualità bensì l'atto in sé, in pubblico o privato.
  Storicamente la Tanzania ha recepito le leggi contro gli omosessuali dei colonizzatori tedeschi e britannici. Il diffondersi di dottrine radicali, sia dell'islam sia del cristianesimo, ha rafforzato i pregiudizi contro il mondo LGBTL
  Il 20 novembre 2018 il rappresentante delle comunità islamiche della Tanzania ha lanciato una durissima condanna dell'omosessualità nel corso delle celebrazioni per il compleanno del profeta Maometto.
  
La Tanzania resta fondamentalmente un paese laico, con una politica ufficiale a sostegno della parità di genere e della promozione dei diritti femminili. Eppure, nel corso dei tre anni della presidenza Magufuli si è registrata una stretta sui diritti politici e sociali ove questi configgano con i valori prevalenti, con dure prese di posizione sulla pianificazione familiare, sui diritti delle ragazze madri e sulle donne.
  Nel corso del 2016 si è sviluppata, in particolare, una vera e propria campagna antigay sotto la guida del Regional commissioner di Dar es Salaam, Paul Makonda, e dell'allora Vice Ministro della salute, oggi Ministro del turismo, Hamisi Kigwangalla. In tale periodo si sono registrati arresti di omosessuali ed attivisti a Zanzibar. Con le dichiarazioni del 29 ottobre 2018, il Regional commissioner Makonda ha rilanciato una nuova campagna antigay, giungendo a creare un'unità speciale
ad hoc.
  La durissima reazione interna e quella internazionale hanno tuttavia costretto il Governo tanzano a disconoscere la campagna di Makonda attraverso un comunicato ufficiale del Ministero degli esteri del 4 novembre 2018, che definisce quest'ultima una «opinione personale» e conferma che la Tanzania continuerà a rispettare le convenzioni internazionali sui diritti umani dalla stessa sottoscritte.
  L'impegno in parola è stato ribadito dal Presidente Magufuli al Vice Presidente della Banca mondiale Ghanem, nel corso della sua visita in Tanzania nel novembre 2018, nell'ambito del quale si è anche discusso di diritti umani. Va ricordato infatti che la Tanzania già nell'ottobre 2018 aveva accettato l’«Economic and Social Framework» della Banca mondiale, piano che mira a rafforzare l'impegno a favore dell'inclusione sociale dei gruppi vulnerabili e svantaggiati e a scoraggiare la discriminazione basata sull'orientamento sessuale.
  L'Unione europea e i suoi Stati membri, compresa l'Italia, hanno mantenuto alta la pressione sul Governo tanzano per evitare il ripetersi di atteggiamenti omofobici. L'alto rappresentante vicepresidente Mogherini il 15 novembre 2018 ha espresso «profonda preoccupazione dell'Unione europea per il peggioramento della situazione delle persone LGBTI» e ha annunciato una revisione complessiva della politica nei confronti della Tanzania.
  Rispetto ai quesiti posti dall'interrogante, si precisa che il Governo italiano è pienamente cosciente della situazione presente in Tanzania. In linea con il suo forte impegno a favore della tutela e della promozione dei diritti umani e delle libertà fondamentali nel mondo, il nostro Governo mira, di concerto con gli altri Stati membri della Ue, sia a livello nazionale che nei fora internazionali, a prevenire e combattere ogni forma di discriminazione e violenza in Tanzania, compresa quella contro le persone LGBTI. Segnali positivi farebbero auspicare che il Governo tanzano abbia compreso la gravità della situazione e che nei prossimi mesi si possa verificare un'inversione di tendenza con riguardo alle persecuzioni ai danni delle persone LGBTI. Non vi sono indicazioni al momento che nel Paese africano possano esserci cambiamenti normativi a breve.
  Quanto al riconoscimento della protezione internazionale, ogni decisione in materia viene adottata sulla base di un esame individuale a seguito di presentazione di domanda di asilo da parte dell'interessato. Nel corso dell'esame per accertare la presenza delle condizioni per il riconoscimento della protezione internazionale, si verifica la sussistenza dei presupposti previsti dal decreto legislativo del 19 novembre 2007 n. 51, tra i quali si richiama la persecuzione per gravi molti connessi all'appartenenza del richiedente ad un «particolare gruppo sociale», che può essere individuato in base alle caratteristiche proprie di tale gruppo, compreso l'orientamento sessuale.
  Con particolare riferimento alla situazione della Tanzania, al momento non sono segnalate richieste di asilo e protezione ma, ove si manifestassero, esse verranno valutate, come di norma, con la massima attenzione.
  Si precisa al riguardo che le commissioni territoriali per l'asilo in fase di prima audizione prestano particolare attenzione nell'esaminare se ricorrano condizioni di rischio o gravi discriminazioni per le persone LGBT richiedenti protezione internazionale.
  

La Viceministra degli affari esteri e della cooperazione internazionale: Emanuela Claudia Del Re.